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Le radici bassomedievali della stereotomia spagnola del Cinquecento

2016

The tradition of stereotomy developed in the different Christian kingdoms of the Iberian Peninsula between the late XIV and the early XV century will allow to materialize in stone the new Renaissance system which had arrived from Italy. This phenomenon, which represents, without a doubt, one of the greatest Spanish contributions to the “a la Antigua” architecture, will follow two different ways: one, derived from the construction techniques developed in the building of ribbed vaults, and the other one based on the carving and assembly of “piezas enterizas”. La tradición estereotómica desarrollada en los diferentes reinos cristianos de la Península Ibérica desde finales del siglo XIV y comienzos de la centuria siguiente permitirá afrontar la materialización en piedra del nuevo sistema renacentista llegado desde Italia. Este fenómeno, que constituye, sin lugar a dudas, una de las mayores aportaciones españolas a la arquitectura “a la antigua”, se abordará a partir de dos vías sensiblemente diferentes: una, derivada de las técnicas constructivas desarrolladas en el volteo de las bóvedas de crucería, y otra, basada en la labra y el ensamblado de “piezas enterizas”. La tradizione stereotomica sviluppata nei vari regni cristiani della Penisola Iberica tra la fine del XIV secolo e gli inizi del secolo successivo permetterà di affrontare la materializzazione in pietra del nuovo sistema rinascimentale giunto dall’Italia. Questo fenomeno, che rappresenta, senza alcun dubbio, uno dei maggiori contributi spagnoli all’architettura “a la antigua”, seguirà due vie profondamente differenti: una, derivata dalle tecniche costruttive sviluppate nella costruzione di volte a crociera, e l’altra basata sulla lavorazione e l’assemblaggio di “piezas enterizas”.

SOMMARIO Marco Rosario Nobile Editoriale Amadeo Serra Desfilis Diventare maestro nei mestieri della costruzione a Valencia, secoli XIV-XV. Apprendistato, pratica e mobilità Edizioni Caracol Dany Sandron Raymond du Temple et les architectes de Notre-Dame de Paris (milieu XIIIème – début XVème siècle) LEXICON Storie e architettura in Sicilia e nel Mediterraneo Mercedes Gómez-Ferrer Gaspar de la Ferla o Ferrando, un cantero siciliano en la Valencia de mediados del siglo XV Emanuela Garofalo Mestieri e competenze nel cantiere di architettura in Sicilia tra Trecento e primo Cinquecento Javier Ibáñez Fernández Le radici bassomedievali della stereotomia spagnola del Cinquecento Maurizio Vesco Magister versus architector: note sull’evoluzione di una figura professionale nella Sicilia del Cinquecento Pau Natividad Vivó Bóvedas baídas de cantería en el Renacimiento español: clasificación constructiva Salvatore Greco Privilegio delli mastri Intagliatori et Architetti: il superamento di un ruolo subalterno Palermo 1613 Giuseppe Antista La maestranza dei muratori e degli intagliatori di Cefalù: i Capitoli del 1631 DOCUMENTI Giovanni Mendola, Fulvia Scaduto Antonio Belguardo. Un maestro nella Palermo tra XV e XVI secolo: il regesto documentario ISSN: 1827-3416 ISBN: 978-88-98546-56-5 n. 22-23/2016 Valeria Manfrè Il progetto di Francesco Buonamici per la chiesa Madre di San Nicolò a Noto Antica LEXICON Alessia Garozzo L’antico campanile della cattedrale di Lecce in un consulto del 1574 L’arte del costruire: la formazione dei maestri tra Medioevo e prima età moderna Edizioni Caracol n. 22-23/2016 SOMMARIO 5 Marco Rosario Nobile Editoriale 7 Dany Sandron Raymond du Temple et les architectes de Notre-Dame de Paris (milieu XIIIème – début XVème siècle) 13 Amadeo Serra Desfilis Diventare maestro nei mestieri della costruzione a Valencia, secoli XIV-XV. Apprendistato, pratica e mobilità 25 Mercedes Gómez-Ferrer Gaspar de la Ferla o Ferrando, un cantero siciliano en la Valencia de mediados del siglo XV 41 Emanuela Garofalo Mestieri e competenze nel cantiere di architettura in Sicilia tra Trecento e primo Cinquecento 53 Javier Ibáñez Fernández Le radici bassomedievali della stereotomia spagnola del Cinquecento 69 Maurizio Vesco Magister versus architector: note sull’evoluzione di una figura professionale nella Sicilia del Cinquecento 77 Pau Natividad Vivó Bóvedas baídas de cantería en el renacimiento español: clasificación constructiva 85 Salvatore Greco Privilegio delli mastri Intagliatori et Architetti: il superamento di un ruolo subalterno Palermo 1613 93 Giuseppe Antista La maestranza dei muratori e degli intagliatori di Cefalù: i Capitoli del 1631 101 DOCUMENTI 103 Alessia Garozzo L’antico campanile della cattedrale di Lecce in un consulto del 1574 108 Giovanni Mendola, Fulvia Scaduto Antonio Belguardo. Un maestro nella Palermo tra XV e XVI secolo: il regesto documentario 138 Valeria Manfrè Il progetto di Francesco Buonamici per la chiesa Madre di San Nicolò a Noto Antica 5 Editoriale Per chi studia l’Italia del sud, il catalogo della mostra Una arquitectura gótica mediterránea (2003) a cura di Arturo Zaragozá Catalán e di Eduard Mira ha definito un crinale, un punto di svolta senza ritorno. Per gli autori invitati a far parte del progetto non si trattava solo di liberarsi dal conformismo che determinava (e determina ancora per i molti che non se ne sono accorti) giudizi e preconcetti. Questa nuova idea delle cose aveva immediati riflessi sulle parole, esprimeva il desiderio di liberarsi dalla schiavitù del nominalismo miope, da categorie fissate in altri luoghi e in tempi lontani. Ci chiediamo se questo sforzo non significasse anche la risposta a questioni nuove, al bisogno, per esempio, di riposizionarsi, di costruire un ruolo all’interno di un’Europa che, dopo Maastricht (1993) e Schengen (dal 1995), stava compiendo altri passi decisivi per la propria integrazione. Così l’idea di far parte di una comunità più ampia e polifonica obbligava a ricomporre il passato, specialmente quello soggetto a distorsioni interpretative o a censure più o meno drastiche e più o meno volontarie. L’onda lunga di quelle valutazioni continua ancora oggi, molti tra i saggi presenti in questo numero doppio di Lexicon lo dimostrano. Nel frattempo il Mediterraneo si sta trasformando, come accade ciclicamente, in una frontiera la cui porosità è occupata da masse che buona parte degli europei non tollera; la distanza tra le società che ne popolano le differenti sponde si amplifica e le posizioni si radicalizzano. In questi contesti mutevoli, il sud e la sua storia finiscono ancora per assurgere a geografia privilegiata di riflessioni, determinando in modo decisivo il volto contraddittorio che identifica il nostro continente. Ci si può immergere nel passato, muoversi con discrezione e sagacia filologica, appurare date, nomi, cose, ma vale sempre – e questo costituisce la vera differenza – l’imperativo segreto che Bertolt Brecht indicava a Walter Benjamin, e che ricordo qui a memoria: «non bisogna partire dalle buone cose del passato ma da quelle cattive del presente». Questo numero è stato curato da Giuseppe Antista e da Domenica Sutera che è entrata a far parte del Consiglio direttivo. Lexicon - n. 22-23/2016 53 LE RADICI BASSOMEDIEVALI DELLA STEREOTOMIA SPAGNOLA DEL CINQUECENTO1 Javier Ibáñez Fernández Profesor titular, Universidad de Zaragoza jif@unizar.es Abstract The Late Medieval Roots of the 16th Century Spanish Stereotomy The tradition of stereotomy developed in the different Christian kingdoms of the Iberian Peninsula between the late XIV and the early XV century will allow to materialize in stone the new Renaissance system which had arrived from Italy. This phenomenon, which represents, without a doubt, one of the greatest Spanish contributions to the “a la Antigua” architecture, will follow two different ways: one, derived from the construction techniques developed in the building of ribbed vaults, and the other one based on the carving and assembly of “piezas enterizas”. Keywords Late Gothic, Renaissance, stereotomy, architecture, Spain, 16th century. Le ricerche condotte da un po’ di tempo a questa parte hanno messo in evidenza che il rinnovamento del tardogotico nei regni cristiani della penisola iberica inizia a cavallo fra il XIV e il XV secolo, con l’arrivo di professionisti della pietra come Isambart (ca. 1386-1443) o Pedro Jalopa (doc. 1399-1434), la cui eredità si prolunga fino agli anni centrali di quest’ultimo secolo2, quando sembrano delinearsi ben tre interpretazioni del Gotico profondamente differenti. In primo luogo, il brillante episodio della stereotomia sviluppato nella regione di Valencia3; in secondo luogo, quello reso possibile dal lavoro di professionisti come Pedro Jalopa o Hanequin de Bruselas (doc. 1418-1471/1472) nell’area toledana e4, per finire, quello avviatosi con l’arrivo del maestro tedesco Hans von Köln – Juan de Colonia – (ca. 1420-1481) a Burgos nei primi anni Quaranta del XV secolo5. Nella Corona d’Aragona si assiste a uno spettacolare sviluppo della stereotomia, grazie alla quale si riescono a materializzare strutture perfettamente definite, molto sobrie dal punto di vista ornamentale, nelle quali il virtuosismo è espresso a partire da tagli molto netti, veramente sorprendenti in punti concreti come le imposte delle volte che, in certe occasioni, sembrano emergere dai muri6. All’origine del fenomeno sta la figura di Guillem Sagrera (doc. 1397-1452), che si trovava con Pedro Jalopa e altri maestri provenienti dal Nord Europa a Perpignano nel 14117. A lui si deve la definizione del modello tipologico della loggia dei mercanti, che verrà applicato per la prima volta nella costruzione di quella di Palma di Maiorca (ca. 1426-1448), e che conoscerà una straordinaria fortuna nei vari territori dell’antica Corona d’Aragona fino agli anni centrali del XVI secolo8, così come l’invenzione di sottotipi architettonici o set-pieces, che sembrano sfuggire alla tassonomia e alla periodizzazione stilistica9. È il caso del modello di scala a chiocciola con vano centrale utilizzato per la prima volta nella torre nord-occidentale della Loggia di Palma, noto in seguito come “caracol de ojo abierto de Mallorca”; un tipo che Sagrera utilizzerà di nuovo nel Castelnuovo di Napoli – ampliandone le dimensioni e scanalandone l’intradosso – [fig. 1]10, e che diverrà poi una delle soluzioni stereotomiche più importanti della storia della costruzione iberica in pietra11. La scia dell’innovativa concezione architettonica sviluppata da Sagrera si può riscoprire nell’attività di altri maestri, come Antoni Dalmau (doc. 14351453)12, autore delle favolose microarchitetture del Lexicon - n. 22-23/2016 54 Fig. 1. Napoli. Castelnuovo, scala de caracol de ojo abierto. Fig. 2. Saragozza. Cattedrale, dossale, particolare delle maclas por interpenetración del basamento. Fig. 3. Valencia. Cattedrale, accesso alla torre, particolare del sistema di copertura. basamento del dossale della cattedrale di Saragozza. Qui si ritrovano i complessi giochi di maclas por interpenetración [fig. 2] già abbozzati, per esempio, in alcune opere collegate a Isambart, come la cappella “de los Corporales” di Daroca, e che Dalmau continuerà a sviluppare in altri incarichi al suo ritorno a Valencia, come nell’antico retrocoro della cattedrale della città, oggi trasformato in dossale del Santo Calice13. Il maestro morirà durante la costruzione del monastero della Trinità di Valencia, i cui lavori proseguiranno dopo la sua scomparsa. Sebbene risulti difficile determinare quali elementi si possano attribuire a lui, nel complesso si individuano audaci soluzioni stereotomiche, come i giochi di maclas del sepolcro della regina Maria, le imposte delle volte del chiostro, archi obliqui, volte a spigolo – vale a dire, senza costoloni –, e persino una volta a botte inclinata14. All’interno della stessa dinamica andrebbe inserita l’attività di Francesc Baldomar (doc. 1425-1476), autore della cappella reale del monastero di San Domenico di Valencia (ca. 1451-1463), coperta con un magnifico sistema di volte a spigolo. Lo stesso è inoltre responsabile dell’ampliamento della cattedrale di Valencia nella zona occidentale (a partire dal 1458), dove si concentra un gran numero di esempi di virtuosismo stereotomico: finestre oblique, archi in angolo – come quello che dà accesso al campanile – e, di nuovo, volte a spigolo [fig. 3]15. È possibile che queste ultime abbiano attraversato i Pirenei per mano di professionisti come Benôit Augier, un francese che, dopo aver lavorato nei territori valenciani e catalani, venne incaricato della realizzazione della scala degli Archivi di Toulouse (1531-1535) – sfortunatamente perduta, ma nota a partire da disegni e fotografie antiche16 –, e si occupò forse della copertura sia della cappella funeraria di Jacques Ricard – Galiot – de Genouillac (1465-† 1546), costruita nella zona occidentale della chiesa parrocchiale di Assier, nel Lot [fig. 4]17, sia della prima cappella del lato del Vangelo di quello stesso tempio, chiusa con una spettacolare volta a spigolo de terceletes, molto simile a quelle innalzate sopra l’accesso al campanile della cattedrale di Valencia [fig. 5]. Infine, va citato Pere Compte (doc. 1454-1506), autore della loggia di Valencia (ca. 1483-1498), nella quale viene utilizzato, per la prima volta, un sistema completo di volte a vela con rampante rotondo, e dove si 55 continuano a sperimentare, sia caracoles de ojo abierto de Mallorca – con l’intradosso scanalato, come nel Castelnuovo –, sia volte a spigolo18. D’altra parte, l’arrivo di Pedro Jalopa e Hanequin di Bruxelles a Toledo porterà con sé l’introduzione, nel cuore della penisola, di una nuova interpretazione del Gotico, destinata a conoscere una propria evoluzione successiva. Come si è già segnalato, il primo si era ritrovato con Sagrera a Perpignano, e lavorò sia nella Corona d’Aragona, sia nel regno di Navarra, prima di trasferirsi in territorio castigliano, mentre il secondo probabilmente raggiunse Jalopa a Saragozza19. Entrambi erano capaci di sviluppare strutture molto complesse a partire da un magnifico taglio della pietra, come si può verificare se si analizza il sistema di copertura della cappella di San Giacomo nella cattedrale di Toledo (1435-1445) [fig. 6]20, ma non rinunciarono alla decorazione. Di fatto, preferirono un’interpretazione molto più ornamentale, che verrà continuata da altri professionisti come il bretone Juan Guas (ca. 1430-1496)21. La sua padronanza della stereotomia risulta evidente se si osservano le mensole, le imposte e le volte del chiostro della certosa de El Paular [fig. 7], o le finestre e le porte oblique realizzate sia nel chiostro di San Juan de los Reyes di Toledo, sia nel cortile del Collegio di San Gregorio di Valladolid [fig. 8]. Tali virtuosismi si spiegano forse a partire dalla sua conoscenza dell’ambiente artistico valenciano in generale, e dell’opera di Pere Compte in particolare. Ricordiamo infatti che nel 1484 aveva effettuato un viaggio a Valencia per esprimere il proprio parere in merito ai lavori da compiere nella cappella della Loggia della città, coperta infine con una Fig. 6. Toledo. Cattedrale, cappella di San Giacomo, particolare del sistema di copertura. Fig. 4. Assier (Lot). Chiesa parrocchiale, cappella funeraria di Jacques Ricard de Genouillac, volta. Fig. 5. Assier (Lot). Chiesa parrocchiale, prima cappella del lato del Vangelo, volta. Fig. 7. Certosa de El Paular. Chiostro, mensola e imposta. Lexicon - n. 22-23/2016 56 Fig. 8. Valladolid. Collegio di San Gregorio, finestra obliqua nel cortile. Fig. 9. Burgos. Cattedrale, cappella di Sant’Anna o della Concezione, sistema di copertura. Fig. 10. Burgos. Cattedrale, cappella dei Connestabili, sistema di copertura. volta de terceletes veramente insolita nell’ambiente valenciano, il cui disegno gli viene infatti attribuito22. Per finire, come si è già accennato, il rinnovamento del panorama architettonico della zona di Burgos si verificherà un po’ più tardi, con l’arrivo di Hans von Köln nella città castigliana verso il 1440. La squisita tecnica stereotomica del maestro, osservabile nel sistema di copertura della cappella di Sant’Anna o della Concezione della cattedrale di Burgos, pensato per coprire uno spazio a pianta irregolare [fig. 9], sarà ereditata da suo figlio, Simón de Colonia (ca. 1454-1511)23, autore della magnifica cappella dei Connestabili della cattedrale di Burgos (1482-1494) [fig. 10]24. Queste tre interpretazioni del Gotico sembrano avere uno sviluppo parallelo, sebbene con contatti puntuali di estremo interesse, soprattutto tra i centri valenciano e toledano, come quello stabilito tra Juan Guas e Pere Compte nel 1484, o quelli che ebbero luogo nelle riunioni di maestri tenutesi nella cattedrale di Saragozza nel 1498, nel 1500 e nel 1504. Qui si incontrarono maestri della Corona d’Aragona – aragonesi, catalani e valenciani come Pere Compte – con altri professionisti giunti da Toledo, come Enrique Egas25. In ogni caso, la tradizione dei territori orientali della Corona d’Aragona sembra mantenersi inalterata nel tempo, almeno in aree periferiche, grazie al lavoro svolto da professionisti formatisi nella tradizione stereotomica bassomedievale che giunsero a plasmare le conoscenze riunite nel corso di secoli di pratica costruttiva in vari manoscritti. È il caso di quello intitolato Vertaderas traçes del Art de picapedrer, messo a punto dal maiorchino Joseph Gelabert nel 1653, che raccoglie trazados – disegni stereotomici – per la realizzazione di archi, portali, finestre, colonne tortili come quelle della Loggia di Palma, capialzados, pennacchi, scale a chiocciola e volte26, o dal Llibre de trassas de viaix y muntea, sistematizzato dal catalano Joseph Ribes ancor più tardi, nel 1708, che comprende circa duecento disegni di diversi elementi architettonici, come archi, porte, ponti, volte o scale27. Dal canto suo, la tradizione avviatasi nel centro artistico di Burgos troverà riscontro, in un certo modo, nel manoscritto Compendio de architectura y simetria de los templos; un’opera costruita a partire da un nucleo di sei capitoli preparati da Juan Gil de Hontañón (ca. 1470-1526) per il figlio Rodrigo (1500-1577), o da 57 Rodrigo a partire dall’esperienza trasmessagli da suo padre28, che verranno in seguito raccolti, ordinati e ampliati da Simón García nei primi anni Ottanta del XVII secolo (1681-1683)29. Dalla lettura di quei capitoli si evince che i Gil de Hontañón ritenevano che, parlando di architettura, fosse necessario distinguere tra scienza e arte. Per loro, la scienza partiva da tutta una serie di conoscenze basate sull’esperienza pratica, ma anche su esercizi, calcoli e dimostrazioni di carattere scientifico che, secondo loro, configuravano un sistema astratto di relazioni immutabili cui non si potevano sottrarre, che trovava la sua espressione nella traza, vale a dire nel disegno architettonico, e la sua forma nella struttura. Per loro, la struttura poteva – e doveva – essere lasciata nuda perché, basandosi su una concezione di natura chiaramente gotica, consideravano che l’arte, l’ornamentazione di quella struttura, potesse essere di qualsiasi natura, “moderna”, cioè gotica, a la romana o al romano, cioè all’antica, o di qualunque altro tipo; era un elemento che dipendeva dai gusti degli uomini e dagli usi di ogni momento, non retto da leggi immutabili, eterne, e pertanto accessorio, secondario e, in ultima analisi, prescindibile. I primi capitoli del Compendio raccolgono tutta una serie di regole di calcolo strutturale che sono state criticate e giudicate come ingenue o prescientifiche perché non contemplano né le proprietà né la resistenza dei materiali, ma studi recenti hanno messo in evidenza che di solito, nella costruzione tradizionale, i materiali lavorano a tensioni molto inferiori alle massime ammissibili, per cui normalmente questi edifici non presentano problemi di resistenza – dovuti appunto ai materiali –, bensì di stabilità – dovuti alla forma delle strutture –, e di conseguenza l’impiego di formule aritmetiche, di tracciati geometrici e persino di modelli su scala ridotta risulta perfettamente legittimo in questo tipo di costruzioni30. Inoltre, quei primi capitoli includono due disegni di speciale interesse: quello di una scala che potrebbe corrispondere al modello di “Vis de Saint-Gilles”, e quello di una volta a crociera – in questo caso per illustrare il modo di costruirla –; due elementi che appariranno di nuovo nei successivi trattati di stereotomia31. In ogni caso, il Compendio dimostra che in Castiglia si costruiva ancora a la moderna, cioè in gotico. Presto però si comprese che il fatto di decorare le strutture al romano, cioè all’antica, mascherandole con sistemi decorativi di origine gotica, che fin dalla fine del XV secolo includevano motivi di tipo antiquario, o utilizzando elementi di natura architettonica declinati al romano ma sprovvisti di qualsiasi senso strutturale e trasformati in meri archetipi di applicazione decorativa, come quelli forniti da Diego de Sagredo (doc. 1512-1527) nelle sue Medidas del romano – pubblicate per la prima volta, forse non a caso, a Toledo, epicentro dell’interpretazione più ornamentale del Gotico iberico, nel 152632 –, non era di utilità se si volevano recuperare l’architettura classica e i principi che la reggevano. In effetti, le strutture rivestite con questi sistemi decorativi al romano erano ancora fondamentalmente gotiche, anche se il protagonismo di quei rivestimenti, paragonati da vari osservatori del Seicento con quelli realizzati dagli orafi nelle loro creazioni, porterà la storiografia artistica spagnola del XVIII, del XIX e di buona parte del XX secolo, a segnalarne la specificità definendole platerescas33. Non solo, il fenomeno in sé, vale a dire il fatto di mascherare strutture bassomedievali con decorazioni o elementi “al romano”, che in Spagna si cercherà di collegare con il peso dell’eredità islamica, era frutto della libertà inerente al Tardogotico e, di fatto, fu contemporaneo – e persino in collegamento – con altri molto simili, prodottisi in altre regioni europee non relazionabili a quel tipo di eredità, come per esempio la Lombardia o la Normandia34. In realtà, il vero cambiamento si ebbe con l’introduzione del sistema degli ordini classici, che iniziò, senza una definizione canonica, grazie a maestri italiani come Jacopo Torni, detto l’Indaco, più noto come Jacobo Florentino (1476-1526), un pittore che si dedicava anche alla scultura e successivamente anche all’architettura35, e a maestri spagnoli formatisi in Italia come Diego de Siloe (ca. 1490-1563), che aveva lavorato nella cappella Caracciolo di Vico in San Giovanni a Carbonara a Napoli [fig. 11]. Solo in un secondo momento tale sistema venne perfettamente codificato, principalmente attraverso il Quarto libro (1537) e il Terzo libro (1540) di Serlio, che avranno una grande influeza persino prima di essere tradotti in spagnolo – nel 1552, nel 1563 e, di nuovo, nel 1573 –, su tutti quei maestri autoctoni che non ebbero la possibilità di completare la loro formazione con un viaggio in Italia, come Luis de Vega (1495-1562) o Alonso de Covarrubias (1480-1570). L’accettazione progressiva degli ordini e delle loro Lexicon - n. 22-23/2016 58 regole d’uso renderà possibile, alla fine, l’adozione di un sistema architettonico nuovo, quello rinascimentale, sui cui elementi finirà per ricadere il peso dell’ornatum degli edifici; un sistema che, in Spagna – ed è forse questo il suo maggior contributo all’architettura a la antigua –, si cercherà di materializzare in pietra, partendo dalla lunga e consolidata tradizione stereotomica medievale ed esplorando due vie profondamente differenti: una derivata dalle tecniche costruttive sviluppate per la realizzazione delle volte a crociera, e l’altra basata sulla lavorazione e sull’assemblaggio di piezas enterizas. Fig. 11. Napoli. San Giovanni a Carbonara, particolare dell’arco di accesso alla cappella Caracciolo di Vico. Fig. 12. Granada. San Girolamo, testata. Fig. 13. Salvatierra de Escá (Saragozza). Chiesa parrocchiale, volta sulla quale si eleva la sacrestia. La persistenza della crociera Effettivamente, la tradizione stereotomica medievale e le tecniche sviluppate per l’innalzamento delle volte a crociera permetteranno di materializzare come sistemi binari o duplici, di costoloni e vele, soluzioni formalmente classiche. Di fatto, sono strutture duplici, cioè volte a crociera nelle quali i costoloni formano un reticolo su cui si dispongono le vele: quella sperimentata nella testata della chiesa di San Girolamo di Granada, un’opera cominciata da Jacobo Florentino e continuata, alla sua morte, da Diego de Siloe [fig. 12]; gli archi strombati che mettono in comunicazione il presbiterio con il deambulatorio della cattedrale della stessa città, progettata sempre da Siloe; la volta emisferica cassettonata della chiesa del Salvador di Úbeda, progettata ancora da Siloe e costruita da Andrés de Vandelvira; le volte a cassettoni dell’edificio del Comune di Siviglia, o quella su cui si eleva la sacrestia della chiesa parrocchiale di Salvatierra de Escá (Saragozza) [fig. 13], e persino la formula sviluppata da Andrés de Vandelvira nel presbiterio della chiesa dell’antico convento di San Domenico de La Guardia (Jaén) con una volta cassettonata a quarto di sfera tagliata da un piano verticale non diametrale36. La lavorazione e l’assemblaggio di piezas enterizas Una seconda modalità attuata nella costruzione in pietra nella Spagna del Cinquecento cercherà di materializzare gli elementi del linguaggio classico per mezzo della lavorazione e dell’assemblaggio di piezas enterizas, cioè pezzi interi, ottenendo strutture solidali nelle quali non è più possibile distinguere fra costoloni e vele. Si è soliti pensare che questa via sia stata estremamente innovativa tanto per gli scalpellini spagnoli di 59 tradizione medievale, quanto per gli artisti italiani o formatisi in Italia, che giocarono un ruolo così importante nell’introduzione del nuovo sistema rinascimentale. In realtà va tenuto presente che sia la lavorazione di microarchitetture, sia la realizzazione di quegli elementi e sottotipi architettonici o set-pieces quale il caracol de ojo abierto de Mallorca, la cui elaborazione tenteranno di spiegare i trattati di stereotomia, e persino la realizzazione di determinate soluzioni come le volte a spigolo, si basavano sullo stesso principio, e cioè sulla lavorazione di blocchi di pietra37 e sul loro assemblaggio per ottenere strutture nelle quali ognuna delle parti – comprese quelle prettamente ornamentali – faceva parte di un tutt’uno. Di fatto, come è stato suggerito da José Calvo López, l’esperienza acquisita nella costruzione di volte a spigolo nell’ambito artistico valenciano, tra la seconda metà del XV secolo e i primi anni del successivo, mise a disposizione le conoscenze tecniche necessarie per la materializzazione dei primi sistemi di copertura, che concepiti a partire da modelli formalmente classici, si realizzeranno mediante la lavorazione di piezas enterizas. Due esempi significativi sono quelli ideati da Jacopo Torni per la sacrestia della cattedrale di Murcia e l’accesso alla stessa dal tempio. Nel primo caso si tratta di una volta a vela chiusa con filari concentrici in cui tutti i pezzi, compresi quelli lavorati dal punto di vista scultoreo, fanno parte della stessa superficie sferica [fig. 14]. Nel secondo si osserva invece una volta a botte obliqua con intradosso cassettonato, con uno spettacolare capialzado dall’inclinazione molto accentuata a una delle due estremità [fig. 15]38. Non si sa chi poté aiutare il fiorentino nella realizzazione di questi progetti, ma la conclusione di quelli lasciati incompiuti alla sua morte nella cattedrale di Murcia – il secondo corpo del campanile e la cappella dei Junterones –, sarà opera di Jerónimo Quijano (ca. 1490-1563)39, un maestro di origine castigliana per il quale si ipotizza una formazione pratica nell’ambito della tradizione costruttiva bassomedievale. Dopo aver accolto gli apporti formali più rivoluzionari di Torni e averli materializzati per mezzo della lavorazione di piezas enterizas, Quijano sarà in grado di proporre organismi estremamente immaginativi, a volte per integrarli in costruzioni antiche, come nelle chiese di Santa Maria di Chinchilla (1536-1541), San Giacomo di Jumilla (1538) o San Giacomo di Orihuela (1545), altre volte in fabbriche di nuova fondazione, come la collegiata di San Patrizio di Lorca (ca. 1535). In tutti questi esempi Quijano cercherà di sintetizzare forme e tipologie di origine medievale con altre di provenienza italiana,40 sfoggiando uno squisito uso della stereotomia che lo porterà a proporre soluzioni innovative, come quella ideata per il presbiterio della chiesa di San Giacomo di Orihuela, realizzata alla sua morte da Juan de Inglés (1528-1594), nella quale si riuscirà a far coesistere formule di origine gotica – non a caso la soluzione di copertura dipende dall’incrocio di quattro grandi archi – con una squisita lavorazione di piezas enterizas41. Dalla crociera alla lavorazione di piezas enterizas Come Quijano, sono vari i maestri che, partendo dalla tradizione costruttiva bassomedievale, sceglie- Fig. 14. Murcia. Cattedrale, volta della sacrestia. Fig. 15. Murcia. Cattedrale, volta del vano di accesso alla sacrestia. Lexicon - n. 22-23/2016 60 ranno poi la lavorazione di piezas enterizas. È il caso di Hernán Ruiz el Mozo (ca. 1505/1512-1569)42 che, ricevuta una formazione essenzialmente pratica accanto a suo padre, sarà capace di offrire il suo personale contributo sia nel campo della realizzazione di strutture duplici – a crociera –, sia in quello della materializzazione di altre più classiche per mezzo della lavorazione di piezas enterizas. È quanto risulta dall’analisi dei pochi – ma interessantissimi – trazados de cantería riuniti nel suo qua- Fig. 16. Siviglia. Cattedrale, volta dell’antisala capitolare. Fig. 17. Siviglia. Cattedrale, cupola della sala capitolare. derno personale di disegni, datato intorno al 155043. Solo uno rispecchia il procedimento per costruire una volta a crociera, in questo caso, de terceletes, ma è comunque estremamente interessante, poiché offre un’opzione per risolvere il problema della curvatura dei costoloni e dell’incontro fra i terceletes e le ligaduras nelle chiavi secondarie che non deriva dalla tecnica del Prinzipalbogen, bensì da una libera interpretazione della tradizione iberica del rampante rotondo44. Gli altri trazados de cantería del quaderno si riferiscono a volte o scale realizzate per mezzo di “piezas enterizas” nelle quali non si distingue fra elementi portanti e superfici sovrapposte, che pertanto non pongono problemi lineari, bensì superficiali e volumetrici; una linea, questa, in cui si iscrivono i suoi lavori presso la cattedrale di Siviglia, come l’antisala capitolare (ca. 1562-1585)45, coperta con una volta a schifo dall’intradosso straordinariamente lavorato [fig. 16], come se fosse un soffitto ligneo – di fatto, ricorda quello della sala capitolare della cattedrale di Toledo –, o il suo progetto a pianta ellittica per la sala capitolare (ca. 1558-1592). La volta ellissoidale sopra questo spazio non era ancora stata chiusa quando lo colse la morte, e il capitolo affidò l’esecuzione del progetto a Pedro Díaz de Palacios, estromettendo il figlio del maestro, Hernán Ruiz III, il quale, offeso per la decisione, reclamò gli utensili, i materiali da lavoro e, soprattutto, le sagome che suo padre aveva preparato per chiudere lo spazio, e portò tutto con sé a Cordoba. Senza le sagome, Díaz de Palacios non fu in grado di continuare i lavori e venne infine sollevato dal suo incarico. Gli successe Juan de Maeda (ca. 1510-1576), a quel tempo capomastro della cattedrale di Granada, che morirà poco dopo e sarà quindi sostituito dal figlio Asensio (ca. 1540-1602), che finalmente si occupò della chiusura della volta [fig. 17]46. L’aneddoto è la prova del fatto che il segreto medievale non era ancora del tutto scomparso alla metà del XVI secolo , e permette di comprendere fino a che punto fossero necessarie – per non dire imprescindibili – le sagome in una costruzione in pietra di questo tipo che, nonostante il suo aspetto, non è più una volta por cruceros, vale a dire a crociera, con costoloni e vele, bensì una struttura unica nella quale i costoloni sono solidali con le parti delle vele. Anche Andrés de Vandelvira (ca. 1504/1509-1575) iniziò la sua carriera come semplice scalpellino ad 61 Alcaraz47. Si è già ricordato come fu capace di realizzare avvalendosi della pratica costruttiva bassomedievale por cruceros, quella cioè delle volte a crociera, sia la volta semisferica cassettonata disegnata da Siloe per la testata della chiesa del Salvador di Úbeda, sia la volta del presbiterio della chiesa del convento domenicano de La Guardia, a Jaén. Tuttavia, come Hernán Ruiz el Mozo, finirà per preferire la realizzazione di strutture uniche a partire dalla lavorazione e dall’assemblaggio di piezas enterizas. È quanto si può osservare nella sacrestia della chiesa del Salvador di Úbeda, aperta con un arco in angolo, come quello ideato cent’anni prima da Francesc Baldomar per l’accesso al campanile della cattedrale di Valencia, con la differenza che, in questo caso, si tratta di un arco obliquo. Lo spazio è coperto mediante tre volte a vela a pianta rettangolare, ottenute per mezzo di filari quadrati e con una decorazione scultorea che segue il disegno dei cunei [fig. 18], molto simili a quelle che disegnerà per la cattedrale di Jaén, probabilmente la sua opera più conosciuta. Suo figlio Alonso (ca. 1544-1626/1627)48, formatosi all’ombra del padre e di Hernán Ruiz el Mozo, comporrà, negli anni Ottanta del XVI secolo, un manoscritto di stereotomia che è giunto fino a noi per mezzo di due copie – anch’esse manoscritte – del Seicento, noto con il nome di Libro de trazas de cortes de piedra datogli dal frate Lorenzo de San Nicolás nel XVII secolo49. L’opera, estremamente coerente, rappresenta il primo testo completo e sistematico della letteratura di stereotomia in Europa e comincia spiegando come realizzare differenti tipi di trombe, archi, decendas de cava, troneras, capialzados, scale a chiocciola e altre scale, per finire con un grande repertorio di volte, in cui si espongono quasi tutti i tipi rilevanti della costruzione in pietra dell’epoca, ordinati secondo un criterio didattico, da minore a maggiore difficoltà. Ciò che però risulta davvero interessante nell’ambito del nostro discorso è che la sua opera riesce a rispecchiare con sufficiente precisione la realtà stereotomica duale sviluppatasi nella penisola Iberica nel corso del Cinquecento, poiché riunisce sia soluzioni duplici, por cruceros, derivate dalla tradizione bassomedievale, sia molte altre concepite per essere eseguite mediante la lavorazione e l’assemblaggio di piezas enterizas, e nomina e spiega il procedimento per realizzare molti dei sistemi di copertura menzionati in queste pagine. Ecco che, per esempio, tra le soluzioni derivate dalla tradizione bassomedievale anteriore, oltre a un modello di volta a crociera50, presenta vari tipi di ochavo igual por cruceros51, vale a dire la formula usata per coprire il presbiterio della chiesa di San Girolamo di Granada; alcuni esempi di capilla redonda por cruceros52, la soluzione sviluppata nella testata del Salvador di Úbeda; cappelle quadrate e rettangolari por cruceros53, come la volta a cassettoni della sacrestia di Salvatierra de Escá; una capilla cruzada,54 molto simile a quella costruita sul presbiterio della chiesa di San Giacomo di Orihuela, o la soluzione ideata da suo padre per il presbiterio della chiesa de La Guardia, che innalzerà alla categoria di archetipo con il nome di Ochavo de La Guardia55. Il repertorio di coperture che si potevano realizzare mediante la lavorazione e l’assemblaggio di piezas enterizas inizia con la «capilla redonda en vuelta redonda»56, cioè con la volta semisferica che, a giudizio di Vandelvira, rappresentava il «principio y Fig. 18. Úbeda. El Salvador, sacrestia, sistema di copertura. Fig. 19. Siviglia. Cattedrale, sacrestia maggiore, sistema di copertura dello spazio centrale. Lexicon - n. 22-23/2016 62 dechado de todas las capillas romanas»; una soluzione usata – secondo un disegno di controversa attribuzione – per coprire lo spazio centrale della sacrestia maggiore della cattedrale di Siviglia [fig. 19]57, destinata ad avere un notevole successo nella penisola. Subito dopo, l’autore passa a presentare altre formule, come la «media naranja en capilla redonda avenerada»58, utilizzata nella testata della chiesa del monastero della Santa Spina di Valladolid, o in quella delle Bernardas de Jesús di Salamanca; la «media naranja oval»59, impiegata, per esempio, nella testata della chiesa parrocchiale di Chinchilla e in quella della chiesa di San Giacomo di Jumilla; due varianti sulla volta della cappella dei Junterones della cattedrale di Murcia, resa anch’essa archetipo come bóve- Fig. 20. Siviglia. Cattedrale, patio de las dependencias capitulares. Fig. 21. Siviglia. Lonja de contratación, volta. da de Murcia60, e ben sei modelli di capillas ovales, sebbene nessuno sia esattamente uguale a quello utilizzato nella sala capitolare della cattedrale di Siviglia61. Include anche la “capilla cuadrada en vuelta redonda”62, una volta a vela chiusa mediante filari concentrici, come quella della sacrestia della cattedrale di Murcia; vari tipi di cappelle – quadrate e rettangolari – «por hiladas cuadradas»63, «por hiladas cuadradas diferentes»64, e persino artesonadas65, vale a dire differenti modelli di volte a vela, come quelle progettate per la sacrestia del Salvador di Úbeda e la cattedrale di Jaén, e vari modelli di «ochavo igual por dovelas»66, il tipo di volta a schifo utilizzato per coprire le sacrestie di pianta ottagonale delle chiese di San Giacomo di Jumilla e San Giacomo di Orihuela. Parimenti, comprende altre soluzioni, come il «patio cuadrado sin columnas», simile a quello costruito da Hernán Ruiz per articolare le dipendenze capitolari della cattedrale di Siviglia [fig. 20]67; un «patio redondo con columnas» 68, che ricorda quello edificato nel palazzo di Carlo V de La Alhambra di Granada, dove si ritrova una volta a botte anulare, eseguita en carpanel, costruita tra il muro perimetrale e l’architrave curvo del colonnato, e formule di alto valore ornamentale, come la capilla enlazada69, in realtà una volta a vela con decorazione scultorea dell’intradosso, come quelle realizzate nella Loggia di Siviglia [fig. 21]. Sorprendentemente, altre soluzioni, come quelle basate sulla volta a botte, che conobbero un gran successo nella penisola iberica, come dimostrano ad esempio i sistemi di copertura delle sacrestie delle cattedrali di Sigüenza [fig. 22] – che spicca per l’importanza concessa alla decorazione scultorea –, di Almería [fig. 23] – molto più sobria –, o di Jaén, quest’ultima costruita dal padre Andrés, restano escluse dal suo catalogo, forse perché Vandelvira aveva già spiegato come tendere gli archi che potevano generarle e aveva addirittura presentato vari modelli di decenda de cava (volta a botte inclinata). In ogni caso, quando Alonso de Vandelvira scrisse il suo trattato l’architettura spagnola aveva segnalato da tempo la sua preferenza per la lavorazione di piezas enterizas, e stava sperimentando un processo di semplificazione ornamentale, praticamente di astrazione, sotto la guida di architetti dal marcato profilo tecnico, come Juan Bautista de Toledo (ca. 1515-1567)70, l’ingegnere militare responsabile del progetto generale 63 dell’Escorial, o, soprattutto, Juan de Herrera (ca. 15301597)71, un matematico divenuto architetto che sceglierà disegni molto semplici dal punto di vista decorativo, che materializzerà mediante la lavorazione e l’assemblaggio di piezas enterizas, giungendo a sviluppare soluzioni stereotomiche molto audaci. Per certi versi Juan de Herrera sembrava condividere tesi molto simili a quelle difese in precedenza dai Gil de Hontañón, sebbene dopo la generalizzazione dell’uso degli ordini classici prima, e l’introduzione del sistema rinascimentale poi, i principi compositivi, le relazioni proporzionali e in definitiva le strutture, erano cambiati definitivamente. Non erano più strutture gotiche, bensì strutture rinascimentali che potevano rimanere completamente nude – di fatto, quella sarà la tendenza –, e che andavano eseguite mediante la lavorazione e l’assemblaggio di piezas enterizas. Di fatto, tralasciando la presenza del tamburo, la cupola della chiesa dell’Escorial rappresenta un esempio perfetto di «capilla redonda en vuelta redonda», includendo, inoltre, altre dimostrazioni di virtuosismo stereotomico, come gli archi strombati «en torre cavada y redonda» delle aperture del tamburo72; e la celebre volta del sottocoro del tempio non è altro che una «capilla cuadrada en vuelta redonda», vale a dire una volta a vela chiusa mediante filari concentrici che, in questo caso specifico, presenta un rampante quasi piatto [fig. 24]73. Si tramanda che nel corso dei lavori dell’Escorial venne redatto un breve trattato di stereotomia. Sebbene a oggi risulti irreperibile74, è probabile che questo non differisse troppo nei contenuti e nella forma dal manoscritto di Ginés Martínez de Aranda (doc. 1564-1622)75, intitolato Cerramientos y trazas de montea76. Quest’ultimo non fu concepito con l’intenzione di offrire una visione globale e sistematica dei problemi che potevano presentarsi a uno scalpellino al momento di dividere un elemento costruttivo in cunei, come l’opera di Vandelvira, bensì come un’autentica enciclopedia – come un’opera di consultazione o di riferimento – del disegno geometrico in architettura. L’intenzione era quella di esporvi i principi fondamentali per l’esecuzione di archi, capialzados, scale a chiocciola, altre scale, pennacchi, volte, cappelle e ochavos. Tuttavia l’unica copia dell’opera giunta fino a noi, apparentemente autografa dello stesso Aranda77, un esemplare di piccolo formato pensato per essere usato in cantiere, si interrompe brusca- Fig. 22. Sigüenza (Guadalajara). Cattedrale, sacrestia, volta. Fig. 23. Almería. Cattedrale, volta della Sacrestia. Fig. 24. Madrid. Basílica de El Escorial, volta del sottocoro. Lexicon - n. 22-23/2016 64 mente nella parte dedicata alle scale a chiocciola. A oggi non siamo in grado di dire se Martínez de Aranda sia giunto a concludere il volume, ma tutto sembra indicare che avesse un piano di lavoro perfettamente delineato. Se l’avesse conclusa, o se fosse giunta completa ai nostri giorni, la sua opera avrebbe superato di gran lunga quella di Vandelvira per numero di trazados. Prova ne sia il fatto che Martínez de Aranda include 75 archi e 51 capialzados, di contro ai 14 archi e 10 capialzados di Vandelvira. Inoltre, di solito i suoi disegni prescindono da tutto quanto è accessorio, risultando così più chiari, in linea con i trazados de cantería contenuti nella Teorica y practica de fortificacion, pubblicata da Cristóbal de Rojas nel 1598, il primo trattato di architettura militare in senso stretto stampato in Spagna78, e le sue esposizioni sono molto più precise e dettagliate di quelle di Vandelvira, con meno rimandi a disegni anteriori e del tutto prive di digressioni e riferimenti a opere costruite. Così, per esempio, si riferisce al caracol de ojo abierto come al caracol che chiamano di Maiorca, 1 con una certa reticenza a vincolare il tipo astratto con l’archetipo materiale79. Secondo frate José de Sigüenza, testimone d’eccezione del processo costruttivo dell’Escorial, il modo in cui venne lavorato il duro granito impiegato nella costruzione del complesso e, in definitiva, la padronanza della stereotomia, avevano permesso di ottenere forme così pure e perfettamente lavorate che sembravano d’argento; un’analogia in cui, evidentemente, il mestiere degli orafi non serviva a evocare la profusione ornamentale delle opere mascherate al romano del primo Cinquecento, che la storiografia artistica ha definito come platerescas80. Non a caso, l’Escorial inaugurerà la preferenza per un’architettura molto sobria dal punto di vista decorativo, nella quale la struttura sembrava essersi imposta sull’ornamento. Di fatto, in un processo d’astrazione senza precedenti, si giungerà a prescindere persino dal sistema italiano degli ordini classici, una circostanza che obbliga a domandarsi se la si può ancora chiamare architettura classicista, ma questa è un’altra storia. Quest’articolo riprende e amplia il contenuto di una lezione, con lo stesso titolo, tenuta nel Seminario sulla stereotomia spagnola del Cinquecento, nel- l’ambito del programma del Dottorato di ricerca in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica dell’Università IUAV di Venezia. Desidero, in primo luogo, ringraziare sinceramente Massimo Bulgarelli per l’invito a parteciparvi, e Marco Rosario Nobile per averlo reso possibile. Vorrei dedicare quest’articolo al lavoro di professori come Arturo Zaragozá Catalán, José Carlos Palacios Gonzalo, Santiago Huerta Hernández, Enrique Rabasa Díaz e José Calvo López, che hanno evidenziato l’imperiosa necessità di costruire una nuova Storia dell’Architettura che trascenda il mero studio delle forme e dedichi più attenzione a questioni tecniche, proprie della Storia della Costruzione. Il presente lavoro rientra nel Proyecto I+D “Los diseños de arquitectura en la Península Ibérica entre los siglos XV y XVI. Inventario y catalogación” (HAR2014-54281-P) del Ministerio de Economía y Competitividad. Desidero ringraziare la Dott.ssa Valentina Mitscheunig per la preziosa collaborazione prestata per la traduzione di questo articolo. 2 A proposito di tutti questi aspetti, si veda J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, The Northern Roots of Late Gothic Renovation in the Iberian Peninsula, in Architects without Borders. Migration of Architects and Architectural ideas in Europe 1400-1700, a cura di K. Ottenheym, Mantova 2014, pp. 15-27. 3 A. ZARAGOZÁ, El arte de corte de piedras en la arquitectura valenciana del Cuatrocientos. Francesch Baldomar y el inicio de la estereotomía moderna, in Actas del Primer Congreso de Historia del Arte Valenciano, (Valencia, mayo de 1992), Valencia 1993, pp. 97-104; F. MARÍAS, Materiales y técnicas: viejos fundamentos para las nuevas categorías arquitectónicas del Quinientos, ivi, pp. 263-269; M. GÓMEZ-FERRER, La cantería valenciana en la primera mitad del siglo XV: el maestro Antoni Dalmau y sus vinculaciones con el área mediterránea, in «Anuario del Departamento de Historia y Teoría del Arte», IX-X, 1997-1998, pp. 91-105; A. ZARAGOZÁ, El arte de corte de piedras en la arquitectura valenciana del Cuatrocientos: Pere Compte y su círculo, in El Mediterráneo y el Arte Español, Actas del XI Congreso del C.E.H.A., (Valencia, septiembre 1996), Valencia 1998, pp. 71-79; ID., Arquitectura gótica valenciana. Siglos XIII-XV, Valencia 2000; ID., El arte de corte de piedras en la arquitectura valenciana del Cuatrocientos: un estado de la cuestión, in «Archivo de Arte Valenciano», LXXXIX, 2008, pp. 332-356; M. GÓMEZ-FERRER, A. ZARAGOZÁ, Lenguajes, fábricas y oficios en la arquitectura valenciana del tránsito entre la Edad Media y la Edad Moderna. (1450-1550), in «Artigrama», 23, 2008, e in La arquitectura en la Corona de Aragón entre el Gótico y el Renacimiento, a cura di Mª I. Álvaro Zamora, J. Ibáñez Fernández, Zaragoza 2009, pp. 149-184. 4 D. HEIM, A. Mª YUSTE GALÁN, La torre de la catedral de Toledo y la dinastía de los Cueman. De Bruselas a Castilla, in «Boletín del Seminario de Estudios de Arte y Arqueología», LXIV, 1998, pp. 229-250; A. Mª YUSTE GALÁN, La introducción del arte flamígero en Castilla: Pedro Jalopa, maestro de los Luna, in «Archivo Español de Arte», 307, 2004, pp. 291-300. 65 N. MENÉNDEZ GONZÁLEZ, Juan de Colonia en los inicios del Tardogótico burgalés, in Actas del IV Simposio Internacional de Jóvenes Medievalistas, (Lorca, 5 2008), Murcia 2009, pp. 145-160. 6 C. PÉREZ DE LOS RÍOS, A. ZARAGOZÁ CATALÁN, Bóvedas de crucería con enjarjes de nervios convergentes que emergen del muro en el área valenciana, ss. XIV- XV, in Actas del Octavo Congreso Nacional de Historia de la Construcción, (Madrid, 9-12 de octubre de 2013), a cura di S. Huerta, F. López de Ulloa, Madrid 2013, pp. 833-842; A. ZARAGOZÁ CATALÁN, C. PÉREZ DE LOS RÍOS, Bóvedas de crucería con enjarjes de nervios convergentes que emergen del muro en el área valenciana. Siglos XIV-XV (y 2), in Bóvedas valencianas. Arquitecturas ideales, reales y virtuales en época medieval y moderna, a cura di J. C. Navarro Fajardo, Valencia 2014, pp. 37-57. J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, La arquitectura en el reino de Aragón entre el Gótico y el Renacimiento: inercias, novedades y soluciones propias, in «Artigrama», 23, 7 2008, e in La arquitectura en la Corona de Aragón…, cit., pp. 39-95, alle pp. 48-49. A proposito di Guillem Sagrera, si veda J. DOMENGE I MESQUIDA, Guillem Sagrera, in Gli ultimi independenti. Architetti del gotico nel Mediterraneo tra XV e XVI secolo, a cura di E. Garofalo, M. R. Nobile , Palermo 2007, pp. 5893; ID., Guillem Sagrera et lo modern de son temps, in «Revue de l’Art», 166, 2009/4, pp. 77-90. 8 S. LARA ORTEGA, Las seis grandes lonjas de la Corona de Aragón, Valencia 2007. 9 Utilizziamo le parole di F. MARÍAS, Cuando el Escorial era francés: problemas de interpretación y apropiación de la arquitectura española, in «Anuario del Departamento de Historia y Teoría del Arte», XVII, 2005, pp. 21-32, alle pp. 28-29. 10 Sulla scala napoletana, si veda J. CALVO LÓPEZ, E. DE NICHILO, Stereotomia, modelli e declinazioni locali dell’arte del costruire in pietra da taglio tra Spagna e Regno di Napoli nel XV secolo. Tre scale a chiocciola a confronto: Castel Nuovo a Napoli, la Lotja di Valenzia e la Capilla de los Vélez a Murcia, in Teoria e pratica del costruire: saperi, strumenti, modelli. Esperienze didattiche e di ricerca a confronto, (Ravenna, 27-29 ottobre 2005), a cura di G. Mochi, Ravenna 2005, II, pp. 517-526, alle pp. 519-521. 11 A. SANJURJO, El caracol de Mallorca en los tratados de cantería españoles de la Edad Moderna, in Actas del Quinto Congreso Nacional de Historia de la Construcción, (Burgos, 7-9 junio 2007), Madrid 2007, II, pp. 835-845; ID., Historia y construcción de la escalera de caracol: el baile de la piedra, in El arte de la piedra. Teoría y práctica de la cantería, Madrid 2009, pp. 233-277, alle pp. 245-255; ID., Otra mirada a la historia de la construcción de nuestras catedrales: los caracoles de piedra y su evolución, in «Semata, Ciencias Sociais e Humanidades», 22, 2010, pp. 555-566, alle pp. 560-563. 12 Il profilo più recente del maestro, in A. ZARAGOZÁ CATALÁN, M. GÓMEZ-FERRER LOZANO, Pere Compte arquitecto, Valencia 2007, pp. 29-35. 13 J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, J. ANDRÉS CASABÓN, La catedral de Zaragoza de la Baja Edad Media al Primer Quinientos. Estudio documental y artístico, Zaragoza 2016; A. ZARAGOZÁ CATALÁN, Componiendo con vuelos, maclas e intersecciones en el episodio tardogótico valenciano, in Historia de la ciudad VII, Valencia 2015, pp. 90-102. 14 A. ZARAGOZÁ CATALÁN, M. GÓMEZ-FERRER LOZANO, Pere Compte…, cit., pp. 32-34. 15 Sul personaggio e la sua produzione architettonica, si veda ivi, pp. 36-39. 16 B. TOLLON, L’escalier de Toulouze ou la vis des archives revisitée, in «Mémoires de la Société Archéologique du Midi de la France», LII, 1992, pp- 97-106. Lo studio della scala, in A. ZARAGOZÁ CATALÁN, J. CALVO-LÓPEZ, P. NATIVIDAD-VIVÓ, Stereotomic Exchanges between Iberia and France in the 16th century: Benoît Augier, Valencian Stairways and the Escalier de Toulouse, in Nuts & Bolts of Construction History: Culture, Technology and Society, Acts of the Fourth International Congress on Construction History, (Paris, July 3-7, 2012), Paris 2012, I, pp. 385-392. 17 M. GÓMEZ-FERRER, La estereotomía. Relaciones entre Valencia y Francia durante los siglos XV y XVI, in Les échanges artistiques entre la France et l’Espagne (XVe-fin XIXe siècles), a cura di J. Lugand, Perpignan 2012, pp. 103-118, alle pp. 107-110. 18 A. ZARAGOZÁ CATALÁN, M. GÓMEZ-FERRER LOZANO, Pere Compte…, cit., pp. 76-102. 19 J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, The Northern Roots…, cit., pp. 16-19. 20 Ivi, pp. 26-27. 21 Nonostante l’importanza della sua figura, Juan Guas non è ancora stato oggetto di uno studio di carattere monografico. La sua origine bretone è stata dimostrata da J. AZCÁRATE, Sobre el origen de Juan Guas, in «Archivo Español de Arte», XXIII, 1950, pp. 255-256. 22 A. ZARAGOZÁ CATALÁN, M. GÓMEZ-FERRER LOZANO, Pere Compte…, cit., pp. 32-34. 23 J. GÓMEZ MARTÍNEZ, El arte de la montea entre Juan y Simón de Colonia, in Actas del Congreso internacional sobre Gil Siloe y la escultura de su época, (Burgos, 13-16 octubre 1999), Burgos 2001, pp. 355-366. 24 F. PEREDA, A. RODRÍGUEZ G. DE CEBALLOS, Coeli enarrant gloriam Dei. Arquitectura, iconografía y liturgia en la capilla de los Condestables de la catedral de Burgos, in «Annali di architettura», 9, 1997, pp. 17-34; I. G. BANGO TORVISO, Simón de Colonia y la ciudad de Burgos. Sobre la definición estilística de las segundas generaciones de familias de artistas extranjeros en los siglos XV y XVI, in Actas del Congreso Internacional sobre Gil Siloe y la escultura de su época, (Burgos, 13-16 octubre de 1999), Burgos 2001, pp. 51-69, alle pp. 55-62. 25 J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, Arquitectura aragonesa del siglo XVI. Propuestas de renovación en tiempos de Hernando de Aragón (1539-1575), Zaragoza 2005, pp. 193-205; J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, Los cimborrios aragoneses del siglo XVI, Tarazona 2006, pp. 1-7. 26 E. RABASA, De l’art de picapedrer (1653) de Joseph Gelabert, un manuscrito sobre estereotomía que recoge tradiciones góticas y renacentistas, in Actas del Quinto Congreso Nacional de Historia de la Construcción, (Burgos, 7-9 junio 2007), Madrid 2007, II, pp. 745-754; El manuscrito de cantería de Joseph Gelabert titulado Vertaderas traçes del Art de picapedrer: transcripción, traducción, anotación e ilustración del texto y los trazados, a cura di E. Rabasa Díaz, Madrid 2011. 27 M. CARBONELL I BUADES, De Marc Safont a Antoni Carbonell: la pervivencia de la arquitectura gótica en Cataluña, in «Artigrama», 23, Zaragoza, 2008, e in La arquitectura en la Corona de Aragón…, cit., pp. 97-148, alle pp. 116-117; F. TELLIA, El tratado de estereotomía de Joseph Ribes, 1708, in Actas del Séptimo Lexicon - n. 22-23/2016 66 Congreso Nacional de Historia de la Construcción, (Santiago de Compostela, 26-29 de octubre de 2011), Madrid 2011, II, pp. 1413-1420; F. TELLIA, Las bóvedas de crucería en el Llibre de trasas de viax y muntea de Joseph Ribes, in Actas del Octavo Congreso Nacional de Historia de la Construcción…, cit., II, pp. 1017-1025; F. TELLIA, J. C. PALACIOS, Las bóvedas de crucería del manuscrito Llibre de trasas de viax y muntea, de Joseph Ribes, in «Locvs amoenvs», 13, 2015, pp. 29-41. 28 J. GÓMEZ MARTÍNEZ, El gótico español de la Edad Moderna. Bóvedas de crucería, Valladolid 1998, pp. 20-25. 29 Il manoscritto è stato oggetto di due edizioni differenti. La prima è dedicata ai primi sei capitoli, vale a dire, a quelli direttamente collegati con i Gil de Hontañón (Compendio de architectura y simetría de los templos por Simón García. Año de 1681, a cura di J. Camón, Salamanca 1941), mentre la seconda offre la trascrizione e l’edizione facsimile di tutto il manoscritto (Compendio de Architectvra y simetria de los templos conforme a la medida del cuerpo humano con algunas demostraziones de geometria. Año de 1681. Recoxido de diversos Autores, Naturales y Estrangeros. Por Simón Garçia. Architecto natural de Salamanca, a cura di A. Bonet Correa, C. Chanfón Olmos, Valladolid 1991). A propósito della personalità artística di Simón García, si veda Mª N. RUPÉREZ ALMAJANO, Anotaciones sobre la vida y la obra del arquitecto Simón García, in «Archivo Español de Arte», 281, 1998, pp. 68-75, e A. BONET CORREA, Simón García trattatista di architettura, in «Il disegno di architettura», 19, 1999, pp. 4-15. 30 Le regole del calcolo strutturale contenute nel manoscritto sono state studiate da S. HUERTA, Arcos, bóvedas y cúpulas. Geometría y equilibrio en el cál- culo tradicional de estructuras de fábrica, Madrid 2004, pp. 207-237. 31 J. CALVO LÓPEZ, La literatura de la cantería: una visión sintética, in El arte de la piedra…, cit., pp. 101-156, alle pp. 107-108. A proposito del sistema des- critto nel manoscritto per la costruzione di una volta, si veda S. HUERTA, La construcción de las bóvedas góticas según Rodrigo Gil de Hontañón, arquitecto de la catedral de Segovia, in Segovia: su catedral y su arquitectura. Ensayos en homenaje a Antonio Ruiz Hernando, a cura di P. Navascués Palacio, S. Huerta, Madrid 2013, pp. 107-133. 32 In questo caso, è stata pubblicata per prima l’edizione facsimile di quella apparsa a Toledo nel 1549 (Medidas del romano por Diego de Sagredo, a cura di F. Marías, A. Bustamante, Madrid 1986), e dopo quella della editio princeps (Medidas del Romano. Diego de Sagredo. Remón de Petras. Toledo. 1526, a cura di F. Marías, F. Pereda, Toledo 2000). Ora si possono consultare, oltre alla editio princeps, quella di Lisbona del 1541, la prima edizione di Lisbona del 1542, quelle toledane del 1549 e del 1564 e le traduzioni francesi del 1536, del 1539, del 1550, del 1555 e del 1608 all’indirizzo http://architectura.cesr.univ-tours.fr/Traite/Auteur/Sagredo.asp?param=. 33 E. ROSENTHAL, The image of roman architecture in renaissance Spain, in «Gazette des Beaux-Arts», 52, 1958, pp. 329-346; J. B. BURY, The stylistic term Plateresque, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XXIX, 1976, pp. 199-230; A. CLOULAS, Origines et évolution du terme plateresco à propos d’un article de J. B. Bury, in «Mélanges de la Casa de Velázquez», XVI, Madrid 1980, pp. 151-161. 34 J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, La portada de Santa María de Calatayud. Estudio documental y artístico, Calatayud 2012, pp. 75-77. 35 Il più completo profilo autobiográfico e professionale del maestro è ancora quello realizzato da C. GUTIÉRREZ-CORTINES CORRAL, Renacimiento y arqui- tectura religiosa en la antigua diócesis de Cartagena (Reyno de Murcia, Gobernación de Orihuela y Sierra de Segura), Murcia 1987, pp. 61-66. 36 J. CALVO LÓPEZ, “Estereotomía de la piedra”, in Máster de Restauración del Patrimonio Histórico, Murcia 2004, pp. 115-151, alla p. 135. 37 La lavorazione si poteva eseguire o “por robos” o “por escuadría”, un metodo che partiva dalle proiezioni ortogonali, su pianta e prospetto, di ogni singolo pezzo, e che pertanto comportava lo spreco di molto materiale, o “por plantas”, vale a dire con sagome, o combinando i due sistemi. A proposito di tutte queste questioni, si veda E. RABASA DÍAZ, Forma y construcción en piedra. De la cantería medieval a la estereotomía del siglo XIX, Madrid 2000, pp. 141-160; J. CALVO LÓPEZ, Entre labra y traza. Instrumentos geométricos para la labra de la piedra de sillería en la Edad Moderna, in Actas del VI Congreso Nacional de Profesores de Materiales de Construcción de Escuelas de Arquitectura Técnica, Sevilla 2001, pp. 107-120; J. CALVO LÓPEZ, Estereotomía…, cit., pp. 120-123; ID., La literatura de la cantería…, cit., pp. 111-112. 38 ID., Jacopo Torni l’Indaco vecchio and the emergence of Spanish classical stereotomy, in Teoria e pratica del costruire..., cit., II, pp. 505-516. Su queste due solu- zioni, si veda J. CALVO LÓPEZ, M. Á. ALONSO RODRÍGUEZ, E. RABASA DÍAZ, A. LÓPEZ MOZO, Cantería renacentista en la catedral de Murcia, Murcia 2005, pp. 79-92, e pp. 93-102. 39 C. GUTIÉRREZ-CORTINES CORRAL, Jerónimo Quijano, un arquitecto del Renacimiento, in «Goya», 139, 1977, pp. 2-11; C. GUTIÉRREZ-CORTINES CORRAL, Renacimiento y arquitectura religiosa en la antigua diócesis de Cartagena…, cit., pp. 66-80. 40 Per gli esempi citati nel testo si veda ivi, pp. 197-215 (Santa Maria di Chinchilla), pp. 215-236 (San Patrizio di Lorca), pp. 237-250 (San Giacomo di Jumilla), e pp. 250-270 (San Giacomo di Orihuela). A proposito della testata della chiesa di San Giacomo di Jumilla, si veda anche M. Á. ALONSO RODRÍGUEZ, J. CALVO LÓPEZ, Mª C. MARTÍNEZ RÍOS, Levantamiento y análisis constructivo de la cabecera de la iglesia de Santiago de Jumilla, in XIX Jornadas de Patrimonio Cultural de la Región de Murcia, (Cartagena, Alhama de Murcia, La Unión y Murcia, 7 de octubre-4 de noviembre de 2008), Murcia 2008, II, pp. 649-659. 41 P. NATIVIDAD VIVÓ, Estereotomía renacentista en el Levante: la ‘capilla cruzada’ de Orihuela, in Bóvedas valencianas…, cit., pp. 111-132; A. LÓPEZ GONZÁLEZ, Cabecera cuadrada renacentista con bóveda pseudo-esférica cruzada en la iglesia de Santiago de Orihuela (Alicante), in «EGA. Revista de expresión gráfica arquitectónica», 25, 2015, pp. 148-157. 42 A. J. MORALES, Hernán Ruiz el Joven, Madrid 1996. 43 A proposito del quaderno, P. NAVASCUÉS PALACIO, El manuscrito de arquitectura de Hernán Ruiz, el Joven, in «Archivo Español de Arte», XLIV, 175, 1971, pp. 295-321; P. NAVASCUÉS PALACIO, El libro de arquitectura de Hernán Ruiz, el Joven, Madrid 1974. Si vedano anche gli studi raccolti in Hernán Ruiz II. Libro de arquitectura, Sevilla 1998. 44 E. RABASA DÍAZ, Técnicas góticas y renacentistas en el trazado y la talla de las bóvedas de crucería españolas del siglo XVI, in Actas del Primer Congreso Nacional 67 de Historia de la Construcción, (Madrid, 19-21 de septiembre 1996), Madrid 1996, pp. 423-433, alle pp. 427-429; E. RABASA DÍAZ, Forma y construcción en piedra…, cit., pp. 126-129; J. CALVO LÓPEZ, La literatura de la cantería…, cit., pp. 110-111. 45 A. J. MORALES, Hernán Ruiz el Joven, cit., pp. 38-42. 46 Ivi, pp. 46-51; J. Mª GENTIL BALDRICH, La traza oval y la sala capitular de la catedral de Sevilla. Una aproximación geométrica, in Qvatro edificios sevillanos, Sevilla 1998, pp. 97-141. 47 L. GILA MEDINA, V. M. RUIZ PUENTES, Andrés de Vandelvira: aproximación a su vida y obra, in La arquitectura del Renacimiento en Andalucía. Andrés de Vandelvira y su época, (Catálogo de la exposición celebrada en la Catedral de Jaén entre el 2 de octubre y el 30 de noviembre de 1992), a cura di P. Salmerón Escobar, Sevilla 1992, pp. 79-118; P. GALERA ANDREU, Andrés de Vandelvira, Madrid 2000; Andrés de Valdelvira. V Centenario, a cura di A. Pretel Marín, Albacete 2005; Andrés de Vandelvira. El Renacimiento del Sur, a cura di J. L. Chicharro Chamorro, Jaén 2007. 48 F. CRUZ ISIDORO, Alonso de Vandelvira (1544-ca. 1626/27). Tratadista y arquitecto andaluz, Sevilla 2001. 49 El tratado de arquitectura de Alonso de Vandelvira, a cura di G. Barbé-Coquelin de Lisle, Albacete 1977. L’interpretazione del trattato, in J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería en el Renacimiento español, Madrid 2003. 50 El tratado de arquitectura…, cit., II, f. 96 v; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 290-301. 51 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 104 v-105 r, y ff. 106 v-107 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 340-343. 52 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 62 v-65 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 200-207. 53 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 97 v-99 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 302-315. 54 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 119 v-120 r J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 322-323. 55 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, f. 103 v; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 332-335. 56 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 60 v-61 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 188-195. 57 Si tratta di una volta emisferica su pennacchi incassati in quattro archi strombati – in realtà, quattro trombe ottuse –, eseguita totalmente in pietra, di uno spessore notevole, spiegabile con l’importanza concessa ai lavori di entalladura, sull’intradosso, e per il fatto che era stata concepita per essere estradossata e la cui stabilità verrà assicurata mediante elementi ancora propri della tradizione costruttiva gotica, come la struttura di pinnacoli e rampanti collocata all’esterno, sopra la cupola. Secondo alcuni autori sarebbe stata disegnata da Diego de Riaño (ca. 1495-1534) e conclusa dal suo discepolo Martín de Gainza (ca. 1490-1556) (A. J. MORALES, La Sacristía Mayor de la Catedral de Sevilla, Sevilla 1984), mentre secondo altri il disegno andrebbe collegato alla figura di Diego de Siloe e dovrebbe essere leggermente posticipato (F. MARÍAS, I. Arquitectura y urbanismo. Rejería y orfebrería, in La cultura del Renacimiento (1480-1580), a cura di V. García de la Concha, in Historia de España Menéndez Pidal, vol. XXI , a cura di Jover Zamora, Madrid 1999, pp. 363-411, alla p. 375; R. SIERRA DELGADO, La cúpula de la Sacristía Mayor de la Catedral de Sevilla: contexto y evolución en Andalucía, in Actas del Tercer Congreso Nacional de Historia de la Construcción, (Sevilla, 26-28 de octubre de 2000), Madrid 2000, II, pp. 1.039-1.048; R. SIERRA DELGADO, Diego de Siloé y la nueva fábrica de la Sacristía Mayor de la Catedral de Sevilla, Sevilla 2012). 58 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 66 v-67 v; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 208-211. 59 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, f. 68 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 212-215. 60 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, 69 v-71 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…., cit., pp. 220-225. 61 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 71 v-78 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 228-243. 62 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, f, 83 r-v; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 254-259. 63 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 84 r-85 v; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 264-271. 64 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 89 v-91 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 278-281. 65 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 111 v-115 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 362-365. 66 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, f. 104 r, y ff. 105 v-106 r; J. C. PALACIOS GONZALO,Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 336-339. 67 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 108 v-109 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 350-351. 68 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, f. 111 r J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 356-359. 69 El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 115 v-116 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 366-373. 70 J. RIVERA BLANCO, Juan Bautista de Toledo y Felipe II. La implantación del clasicismo en España, Valladolid 1984. 71 Juan de Herrera y su influencia, Actas del Simposio, (Camargo, 14-17 julio 1992), a cura di M. Á. Aramburu-Zabala, J. Gómez Martínez, Santander 1993; C. WILKINSON ZERNER, Juan de Herrera, arquitecto de Felipe II, Madrid 1996; Biografía de Juan de Herrera, a cura di M. Á. Aramburu-Zabala, C. Losada Varea, A. Cagigas Aberasturi, Santander 2003. 72 A propósito di tutte queste questioni si veda A. LÓPEZ MOZO, La cúpula de El Escorial: geometría, estereotomía y estabilidad, in Actas del Sexto Congreso Nacional de Historia de la Construcción, (Valencia, 21-24 octubre 2009), Madrid 2009, II, pp. 763-776; A. LÓPEZ MOZO, La cúpula de El Escorial: configuración constructiva, in «Reales Sitios», 184, 2010, pp. 4-23; E. RABASA DÍAZ, A. LÓPEZ MOZO, El Escorial. Estereotomía de la piedra, in El Escorial: Historia, Arte, Ciencia y Matemáticas, a cura di Mª T. Gutiérrez Alarcón, Madrid 2011, pp. 149-180. 73 A. LÓPEZ MOZO, Planar vaults in the Monastery of El Escorial, in Proceedings of the First International Congress of Construction History, (Madrid, 20th-24th January 2003), a cura di S. Huerta, Madrid 2003, II, pp. 1327-1334, alle pp. 1330-1334. 74 A. BUSTAMANTE, F. MARÍAS, El Escorial y la cultura arquitectónica de su tiempo, in El Escorial en la Biblioteca Nacional, a cura di E. Santiago Páez, Madrid 1985, pp. 115-219, alla p. 129. Lexicon - n. 22-23/2016 68 75 A proposito del profilo biografico e professionale del maestro, si veda A. BONET CORREA, La arquitectura en Galicia durante el siglo XVII, [Madrid 1966] Madrid 1984, pp. 115-130; ID., Ginés Martínez de Aranda, arquitecto y tratadista de Cerramientos y arte de montea, in Cerramientos y trazas de Montea. Gines Martinez de Aranda, Madrid 1986, pp. 13-34, alle pp. 20-23; L. GILA MEDINA, Ginés Martínez de Aranda. Su vida, su obra y su amplio entorno familiar, in «Cuadernos de Arte de la Universidad de Granada», 19, 1988, pp. 65-81. 76 Cerramientos y trazas de Montea…, cit. Allo studio del manoscritto ha dedicato la sua tesi dottorale José Calvo López (J. CALVO LÓPEZ, Cerramientos y trazas de montea de Ginés Martínez de Aranda, Tesis doctoral presentada por el Arquitecto Superior José Calvo López bajo la dirección del Doctor Arquitecto Enrique Rabasa Díaz, Madrid, Universidad Politécnica de Madrid, Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Madrid, Departamento de Ideación Gráfica Arquitectónica, 1999). Si può consultare anche J. CALVO LÓPEZ, El manuscrito Cerramientos y trazas de montea, de Ginés Martínez de Aranda, in «Archivo Español de Arte», LXXXII, 325, 2009, pp. 1-18; ID., La literatura de la cantería…, cit., pp. 127-132. 77 Ivi, p. 129. 78 C. DE ROJAS, Teorica y practica de fortificacion, conforme las medidas y defensas destos tiempos, repartida en tres partes, Madrid 1598. Sui suoi trazados de can- tería, si veda J. CALVO LÓPEZ, Los trazados de cantería en la Teórica y práctica de fortificación de Cristóbal de Rojas, in Actas del Segundo Congreso Nacional de Historia de la Construcción, Madrid 1998, pp. 67-75; ID., La literatura de la cantería…, cit., pp. 125-127. 79 Ivi, p. 129. 80 A. CLOULAS, Origines et évolution du terme plateresco…, cit., pp. 151-152.