SOMMARIO
Marco Rosario Nobile
Editoriale
Amadeo Serra Desfilis
Diventare maestro nei mestieri della costruzione a Valencia, secoli XIV-XV.
Apprendistato, pratica e mobilità
Edizioni Caracol
Dany Sandron
Raymond du Temple et les architectes de Notre-Dame de Paris (milieu XIIIème – début XVème siècle)
LEXICON
Storie e architettura
in Sicilia e nel Mediterraneo
Mercedes Gómez-Ferrer
Gaspar de la Ferla o Ferrando, un cantero siciliano en la Valencia de mediados del siglo XV
Emanuela Garofalo
Mestieri e competenze nel cantiere di architettura in Sicilia tra Trecento e primo Cinquecento
Javier Ibáñez Fernández
Le radici bassomedievali della stereotomia spagnola del Cinquecento
Maurizio Vesco
Magister versus architector: note sull’evoluzione di una figura professionale nella Sicilia del
Cinquecento
Pau Natividad Vivó
Bóvedas baídas de cantería en el Renacimiento español: clasificación constructiva
Salvatore Greco
Privilegio delli mastri Intagliatori et Architetti: il superamento di un ruolo subalterno Palermo 1613
Giuseppe Antista
La maestranza dei muratori e degli intagliatori di Cefalù: i Capitoli del 1631
DOCUMENTI
Giovanni Mendola, Fulvia Scaduto
Antonio Belguardo. Un maestro nella Palermo tra XV e XVI secolo: il regesto documentario
ISSN: 1827-3416
ISBN: 978-88-98546-56-5
n. 22-23/2016
Valeria Manfrè
Il progetto di Francesco Buonamici per la chiesa Madre di San Nicolò a Noto Antica
LEXICON
Alessia Garozzo
L’antico campanile della cattedrale di Lecce in un consulto del 1574
L’arte del costruire:
la formazione dei maestri tra Medioevo e prima età moderna
Edizioni Caracol
n. 22-23/2016
SOMMARIO
5
Marco Rosario Nobile
Editoriale
7
Dany Sandron
Raymond du Temple et les architectes de Notre-Dame de Paris
(milieu XIIIème – début XVème siècle)
13
Amadeo Serra Desfilis
Diventare maestro nei mestieri della costruzione a Valencia, secoli XIV-XV.
Apprendistato, pratica e mobilità
25
Mercedes Gómez-Ferrer
Gaspar de la Ferla o Ferrando, un cantero siciliano en la Valencia
de mediados del siglo XV
41
Emanuela Garofalo
Mestieri e competenze nel cantiere di architettura in Sicilia tra Trecento e primo
Cinquecento
53
Javier Ibáñez Fernández
Le radici bassomedievali della stereotomia spagnola del Cinquecento
69
Maurizio Vesco
Magister versus architector: note sull’evoluzione di una figura professionale
nella Sicilia del Cinquecento
77
Pau Natividad Vivó
Bóvedas baídas de cantería en el renacimiento español: clasificación constructiva
85
Salvatore Greco
Privilegio delli mastri Intagliatori et Architetti: il superamento di un ruolo subalterno Palermo 1613
93
Giuseppe Antista
La maestranza dei muratori e degli intagliatori di Cefalù: i Capitoli del 1631
101
DOCUMENTI
103
Alessia Garozzo
L’antico campanile della cattedrale di Lecce in un consulto del 1574
108
Giovanni Mendola, Fulvia Scaduto
Antonio Belguardo. Un maestro nella Palermo tra XV e XVI secolo: il regesto documentario
138
Valeria Manfrè
Il progetto di Francesco Buonamici per la chiesa Madre di San Nicolò a Noto Antica
5
Editoriale
Per chi studia l’Italia del sud, il catalogo della mostra Una arquitectura gótica mediterránea (2003) a cura
di Arturo Zaragozá Catalán e di Eduard Mira ha definito un crinale, un punto di svolta senza ritorno. Per
gli autori invitati a far parte del progetto non si trattava solo di liberarsi dal conformismo che determinava (e
determina ancora per i molti che non se ne sono accorti) giudizi e preconcetti. Questa nuova idea delle cose
aveva immediati riflessi sulle parole, esprimeva il desiderio di liberarsi dalla schiavitù del nominalismo miope,
da categorie fissate in altri luoghi e in tempi lontani. Ci chiediamo se questo sforzo non significasse anche la
risposta a questioni nuove, al bisogno, per esempio, di riposizionarsi, di costruire un ruolo all’interno di
un’Europa che, dopo Maastricht (1993) e Schengen (dal 1995), stava compiendo altri passi decisivi per la propria integrazione. Così l’idea di far parte di una comunità più ampia e polifonica obbligava a ricomporre il
passato, specialmente quello soggetto a distorsioni interpretative o a censure più o meno drastiche e più o
meno volontarie.
L’onda lunga di quelle valutazioni continua ancora oggi, molti tra i saggi presenti in questo numero doppio
di Lexicon lo dimostrano. Nel frattempo il Mediterraneo si sta trasformando, come accade ciclicamente, in
una frontiera la cui porosità è occupata da masse che buona parte degli europei non tollera; la distanza tra le
società che ne popolano le differenti sponde si amplifica e le posizioni si radicalizzano. In questi contesti mutevoli, il sud e la sua storia finiscono ancora per assurgere a geografia privilegiata di riflessioni, determinando
in modo decisivo il volto contraddittorio che identifica il nostro continente.
Ci si può immergere nel passato, muoversi con discrezione e sagacia filologica, appurare date, nomi, cose, ma
vale sempre – e questo costituisce la vera differenza – l’imperativo segreto che Bertolt Brecht indicava a Walter
Benjamin, e che ricordo qui a memoria: «non bisogna partire dalle buone cose del passato ma da quelle cattive del presente».
Questo numero è stato curato da Giuseppe Antista e da Domenica Sutera che è entrata a far parte del
Consiglio direttivo.
Lexicon - n. 22-23/2016
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LE RADICI BASSOMEDIEVALI DELLA STEREOTOMIA SPAGNOLA DEL CINQUECENTO1
Javier Ibáñez Fernández
Profesor titular, Universidad de Zaragoza
jif@unizar.es
Abstract
The Late Medieval Roots of the 16th Century Spanish Stereotomy
The tradition of stereotomy developed in the different Christian kingdoms of the Iberian Peninsula between the late XIV and
the early XV century will allow to materialize in stone the new Renaissance system which had arrived from Italy. This phenomenon, which represents, without a doubt, one of the greatest Spanish contributions to the “a la Antigua” architecture,
will follow two different ways: one, derived from the construction techniques developed in the building of ribbed vaults, and
the other one based on the carving and assembly of “piezas enterizas”.
Keywords
Late Gothic, Renaissance, stereotomy, architecture, Spain, 16th century.
Le ricerche condotte da un po’ di tempo a questa
parte hanno messo in evidenza che il rinnovamento
del tardogotico nei regni cristiani della penisola iberica inizia a cavallo fra il XIV e il XV secolo, con l’arrivo di professionisti della pietra come Isambart (ca.
1386-1443) o Pedro Jalopa (doc. 1399-1434), la cui eredità si prolunga fino agli anni centrali di quest’ultimo secolo2, quando sembrano delinearsi ben tre
interpretazioni del Gotico profondamente differenti.
In primo luogo, il brillante episodio della stereotomia sviluppato nella regione di Valencia3; in secondo
luogo, quello reso possibile dal lavoro di professionisti come Pedro Jalopa o Hanequin de Bruselas (doc.
1418-1471/1472) nell’area toledana e4, per finire,
quello avviatosi con l’arrivo del maestro tedesco
Hans von Köln – Juan de Colonia – (ca. 1420-1481) a
Burgos nei primi anni Quaranta del XV secolo5.
Nella Corona d’Aragona si assiste a uno spettacolare
sviluppo della stereotomia, grazie alla quale si riescono a materializzare strutture perfettamente definite, molto sobrie dal punto di vista ornamentale,
nelle quali il virtuosismo è espresso a partire da tagli
molto netti, veramente sorprendenti in punti concreti come le imposte delle volte che, in certe occasioni,
sembrano emergere dai muri6.
All’origine del fenomeno sta la figura di Guillem
Sagrera (doc. 1397-1452), che si trovava con Pedro
Jalopa e altri maestri provenienti dal Nord Europa a
Perpignano nel 14117. A lui si deve la definizione del
modello tipologico della loggia dei mercanti, che
verrà applicato per la prima volta nella costruzione
di quella di Palma di Maiorca (ca. 1426-1448), e che
conoscerà una straordinaria fortuna nei vari territori
dell’antica Corona d’Aragona fino agli anni centrali
del XVI secolo8, così come l’invenzione di sottotipi
architettonici o set-pieces, che sembrano sfuggire alla
tassonomia e alla periodizzazione stilistica9. È il caso
del modello di scala a chiocciola con vano centrale
utilizzato per la prima volta nella torre nord-occidentale della Loggia di Palma, noto in seguito come
“caracol de ojo abierto de Mallorca”; un tipo che
Sagrera utilizzerà di nuovo nel Castelnuovo di
Napoli – ampliandone le dimensioni e scanalandone
l’intradosso – [fig. 1]10, e che diverrà poi una delle
soluzioni stereotomiche più importanti della storia
della costruzione iberica in pietra11.
La scia dell’innovativa concezione architettonica
sviluppata da Sagrera si può riscoprire nell’attività
di altri maestri, come Antoni Dalmau (doc. 14351453)12, autore delle favolose microarchitetture del
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Fig. 1. Napoli. Castelnuovo, scala de caracol de ojo abierto.
Fig. 2. Saragozza. Cattedrale, dossale, particolare delle maclas por
interpenetración del basamento.
Fig. 3. Valencia. Cattedrale, accesso alla torre, particolare del sistema di copertura.
basamento del dossale della cattedrale di Saragozza.
Qui si ritrovano i complessi giochi di maclas por
interpenetración [fig. 2] già abbozzati, per esempio, in
alcune opere collegate a Isambart, come la cappella
“de los Corporales” di Daroca, e che Dalmau continuerà a sviluppare in altri incarichi al suo ritorno a
Valencia, come nell’antico retrocoro della cattedrale
della città, oggi trasformato in dossale del Santo
Calice13.
Il maestro morirà durante la costruzione del monastero della Trinità di Valencia, i cui lavori proseguiranno dopo la sua scomparsa. Sebbene risulti difficile determinare quali elementi si possano attribuire a
lui, nel complesso si individuano audaci soluzioni
stereotomiche, come i giochi di maclas del sepolcro
della regina Maria, le imposte delle volte del chiostro,
archi obliqui, volte a spigolo – vale a dire, senza
costoloni –, e persino una volta a botte inclinata14.
All’interno della stessa dinamica andrebbe inserita
l’attività di Francesc Baldomar (doc. 1425-1476),
autore della cappella reale del monastero di San
Domenico di Valencia (ca. 1451-1463), coperta con
un magnifico sistema di volte a spigolo. Lo stesso è
inoltre responsabile dell’ampliamento della cattedrale di Valencia nella zona occidentale (a partire
dal 1458), dove si concentra un gran numero di
esempi di virtuosismo stereotomico: finestre oblique, archi in angolo – come quello che dà accesso al
campanile – e, di nuovo, volte a spigolo [fig. 3]15.
È possibile che queste ultime abbiano attraversato i
Pirenei per mano di professionisti come Benôit
Augier, un francese che, dopo aver lavorato nei territori valenciani e catalani, venne incaricato della
realizzazione della scala degli Archivi di Toulouse
(1531-1535) – sfortunatamente perduta, ma nota a
partire da disegni e fotografie antiche16 –, e si occupò
forse della copertura sia della cappella funeraria di
Jacques Ricard – Galiot – de Genouillac (1465-†
1546), costruita nella zona occidentale della chiesa
parrocchiale di Assier, nel Lot [fig. 4]17, sia della
prima cappella del lato del Vangelo di quello stesso
tempio, chiusa con una spettacolare volta a spigolo
de terceletes, molto simile a quelle innalzate sopra
l’accesso al campanile della cattedrale di Valencia
[fig. 5].
Infine, va citato Pere Compte (doc. 1454-1506), autore della loggia di Valencia (ca. 1483-1498), nella quale
viene utilizzato, per la prima volta, un sistema completo di volte a vela con rampante rotondo, e dove si
55
continuano a sperimentare, sia caracoles de ojo abierto
de Mallorca – con l’intradosso scanalato, come nel
Castelnuovo –, sia volte a spigolo18.
D’altra parte, l’arrivo di Pedro Jalopa e Hanequin di
Bruxelles a Toledo porterà con sé l’introduzione, nel
cuore della penisola, di una nuova interpretazione
del Gotico, destinata a conoscere una propria evoluzione successiva. Come si è già segnalato, il primo si
era ritrovato con Sagrera a Perpignano, e lavorò sia
nella Corona d’Aragona, sia nel regno di Navarra,
prima di trasferirsi in territorio castigliano, mentre il
secondo probabilmente raggiunse Jalopa a
Saragozza19.
Entrambi erano capaci di sviluppare strutture molto
complesse a partire da un magnifico taglio della pietra, come si può verificare se si analizza il sistema di
copertura della cappella di San Giacomo nella cattedrale di Toledo (1435-1445) [fig. 6]20, ma non rinunciarono alla decorazione. Di fatto, preferirono un’interpretazione molto più ornamentale, che verrà continuata da altri professionisti come il bretone Juan
Guas (ca. 1430-1496)21. La sua padronanza della stereotomia risulta evidente se si osservano le mensole,
le imposte e le volte del chiostro della certosa de El
Paular [fig. 7], o le finestre e le porte oblique realizzate sia nel chiostro di San Juan de los Reyes di
Toledo, sia nel cortile del Collegio di San Gregorio di
Valladolid [fig. 8]. Tali virtuosismi si spiegano forse
a partire dalla sua conoscenza dell’ambiente artistico
valenciano in generale, e dell’opera di Pere Compte
in particolare. Ricordiamo infatti che nel 1484 aveva
effettuato un viaggio a Valencia per esprimere il proprio parere in merito ai lavori da compiere nella cappella della Loggia della città, coperta infine con una
Fig. 6. Toledo. Cattedrale, cappella di San Giacomo, particolare del
sistema di copertura.
Fig. 4. Assier (Lot). Chiesa parrocchiale, cappella funeraria di
Jacques Ricard de Genouillac, volta.
Fig. 5. Assier (Lot). Chiesa parrocchiale, prima cappella del
lato del Vangelo, volta.
Fig. 7. Certosa de El Paular. Chiostro, mensola e imposta.
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56
Fig. 8. Valladolid. Collegio di San Gregorio, finestra obliqua nel cortile.
Fig. 9. Burgos. Cattedrale, cappella di Sant’Anna o della
Concezione, sistema di copertura.
Fig. 10. Burgos. Cattedrale, cappella dei Connestabili, sistema di
copertura.
volta de terceletes veramente insolita nell’ambiente
valenciano, il cui disegno gli viene infatti attribuito22.
Per finire, come si è già accennato, il rinnovamento
del panorama architettonico della zona di Burgos si
verificherà un po’ più tardi, con l’arrivo di Hans von
Köln nella città castigliana verso il 1440. La squisita
tecnica stereotomica del maestro, osservabile nel
sistema di copertura della cappella di Sant’Anna o
della Concezione della cattedrale di Burgos, pensato
per coprire uno spazio a pianta irregolare [fig. 9],
sarà ereditata da suo figlio, Simón de Colonia (ca.
1454-1511)23, autore della magnifica cappella dei
Connestabili della cattedrale di Burgos (1482-1494)
[fig. 10]24.
Queste tre interpretazioni del Gotico sembrano
avere uno sviluppo parallelo, sebbene con contatti
puntuali di estremo interesse, soprattutto tra i centri valenciano e toledano, come quello stabilito tra
Juan Guas e Pere Compte nel 1484, o quelli che
ebbero luogo nelle riunioni di maestri tenutesi nella
cattedrale di Saragozza nel 1498, nel 1500 e nel 1504.
Qui si incontrarono maestri della Corona
d’Aragona – aragonesi, catalani e valenciani come
Pere Compte – con altri professionisti giunti da
Toledo, come Enrique Egas25.
In ogni caso, la tradizione dei territori orientali
della Corona d’Aragona sembra mantenersi inalterata nel tempo, almeno in aree periferiche, grazie al
lavoro svolto da professionisti formatisi nella tradizione stereotomica bassomedievale che giunsero a
plasmare le conoscenze riunite nel corso di secoli di
pratica costruttiva in vari manoscritti. È il caso di
quello intitolato Vertaderas traçes del Art de picapedrer, messo a punto dal maiorchino Joseph Gelabert
nel 1653, che raccoglie trazados – disegni stereotomici – per la realizzazione di archi, portali, finestre,
colonne tortili come quelle della Loggia di Palma,
capialzados, pennacchi, scale a chiocciola e volte26, o
dal Llibre de trassas de viaix y muntea, sistematizzato
dal catalano Joseph Ribes ancor più tardi, nel 1708,
che comprende circa duecento disegni di diversi
elementi architettonici, come archi, porte, ponti,
volte o scale27.
Dal canto suo, la tradizione avviatasi nel centro artistico di Burgos troverà riscontro, in un certo modo,
nel manoscritto Compendio de architectura y simetria de
los templos; un’opera costruita a partire da un nucleo
di sei capitoli preparati da Juan Gil de Hontañón (ca.
1470-1526) per il figlio Rodrigo (1500-1577), o da
57
Rodrigo a partire dall’esperienza trasmessagli da
suo padre28, che verranno in seguito raccolti, ordinati e ampliati da Simón García nei primi anni Ottanta
del XVII secolo (1681-1683)29.
Dalla lettura di quei capitoli si evince che i Gil de
Hontañón ritenevano che, parlando di architettura,
fosse necessario distinguere tra scienza e arte. Per
loro, la scienza partiva da tutta una serie di conoscenze basate sull’esperienza pratica, ma anche su
esercizi, calcoli e dimostrazioni di carattere scientifico che, secondo loro, configuravano un sistema
astratto di relazioni immutabili cui non si potevano
sottrarre, che trovava la sua espressione nella traza,
vale a dire nel disegno architettonico, e la sua forma
nella struttura.
Per loro, la struttura poteva – e doveva – essere
lasciata nuda perché, basandosi su una concezione
di natura chiaramente gotica, consideravano che l’arte, l’ornamentazione di quella struttura, potesse essere di qualsiasi natura, “moderna”, cioè gotica, a la
romana o al romano, cioè all’antica, o di qualunque
altro tipo; era un elemento che dipendeva dai gusti
degli uomini e dagli usi di ogni momento, non retto
da leggi immutabili, eterne, e pertanto accessorio,
secondario e, in ultima analisi, prescindibile.
I primi capitoli del Compendio raccolgono tutta una
serie di regole di calcolo strutturale che sono state criticate e giudicate come ingenue o prescientifiche perché non contemplano né le proprietà né la resistenza
dei materiali, ma studi recenti hanno messo in evidenza che di solito, nella costruzione tradizionale, i
materiali lavorano a tensioni molto inferiori alle massime ammissibili, per cui normalmente questi edifici
non presentano problemi di resistenza – dovuti
appunto ai materiali –, bensì di stabilità – dovuti alla
forma delle strutture –, e di conseguenza l’impiego di
formule aritmetiche, di tracciati geometrici e persino
di modelli su scala ridotta risulta perfettamente legittimo in questo tipo di costruzioni30. Inoltre, quei
primi capitoli includono due disegni di speciale interesse: quello di una scala che potrebbe corrispondere
al modello di “Vis de Saint-Gilles”, e quello di una
volta a crociera – in questo caso per illustrare il modo
di costruirla –; due elementi che appariranno di
nuovo nei successivi trattati di stereotomia31.
In ogni caso, il Compendio dimostra che in Castiglia si
costruiva ancora a la moderna, cioè in gotico. Presto
però si comprese che il fatto di decorare le strutture
al romano, cioè all’antica, mascherandole con sistemi
decorativi di origine gotica, che fin dalla fine del XV
secolo includevano motivi di tipo antiquario, o utilizzando elementi di natura architettonica declinati al
romano ma sprovvisti di qualsiasi senso strutturale e
trasformati in meri archetipi di applicazione decorativa, come quelli forniti da Diego de Sagredo (doc.
1512-1527) nelle sue Medidas del romano – pubblicate
per la prima volta, forse non a caso, a Toledo, epicentro dell’interpretazione più ornamentale del Gotico
iberico, nel 152632 –, non era di utilità se si volevano
recuperare l’architettura classica e i principi che la
reggevano.
In effetti, le strutture rivestite con questi sistemi
decorativi al romano erano ancora fondamentalmente
gotiche, anche se il protagonismo di quei rivestimenti, paragonati da vari osservatori del Seicento con
quelli realizzati dagli orafi nelle loro creazioni, porterà la storiografia artistica spagnola del XVIII, del XIX
e di buona parte del XX secolo, a segnalarne la specificità definendole platerescas33. Non solo, il fenomeno
in sé, vale a dire il fatto di mascherare strutture bassomedievali con decorazioni o elementi “al romano”,
che in Spagna si cercherà di collegare con il peso dell’eredità islamica, era frutto della libertà inerente al
Tardogotico e, di fatto, fu contemporaneo – e persino
in collegamento – con altri molto simili, prodottisi in
altre regioni europee non relazionabili a quel tipo di
eredità, come per esempio la Lombardia o la
Normandia34.
In realtà, il vero cambiamento si ebbe con l’introduzione del sistema degli ordini classici, che iniziò,
senza una definizione canonica, grazie a maestri italiani come Jacopo Torni, detto l’Indaco, più noto
come Jacobo Florentino (1476-1526), un pittore che si
dedicava anche alla scultura e successivamente
anche all’architettura35, e a maestri spagnoli formatisi in Italia come Diego de Siloe (ca. 1490-1563), che
aveva lavorato nella cappella Caracciolo di Vico in
San Giovanni a Carbonara a Napoli [fig. 11]. Solo in
un secondo momento tale sistema venne perfettamente codificato, principalmente attraverso il Quarto
libro (1537) e il Terzo libro (1540) di Serlio, che avranno una grande influeza persino prima di essere tradotti in spagnolo – nel 1552, nel 1563 e, di nuovo, nel
1573 –, su tutti quei maestri autoctoni che non ebbero
la possibilità di completare la loro formazione con un
viaggio in Italia, come Luis de Vega (1495-1562) o
Alonso de Covarrubias (1480-1570).
L’accettazione progressiva degli ordini e delle loro
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58
regole d’uso renderà possibile, alla fine, l’adozione di
un sistema architettonico nuovo, quello rinascimentale, sui cui elementi finirà per ricadere il peso dell’ornatum degli edifici; un sistema che, in Spagna – ed è
forse questo il suo maggior contributo all’architettura a la antigua –, si cercherà di materializzare in pietra,
partendo dalla lunga e consolidata tradizione stereotomica medievale ed esplorando due vie profondamente differenti: una derivata dalle tecniche costruttive sviluppate per la realizzazione delle volte a crociera, e l’altra basata sulla lavorazione e sull’assemblaggio di piezas enterizas.
Fig. 11. Napoli. San Giovanni a Carbonara, particolare dell’arco di
accesso alla cappella Caracciolo di Vico.
Fig. 12. Granada. San Girolamo, testata.
Fig. 13. Salvatierra de Escá (Saragozza). Chiesa parrocchiale, volta
sulla quale si eleva la sacrestia.
La persistenza della crociera
Effettivamente, la tradizione stereotomica medievale
e le tecniche sviluppate per l’innalzamento delle
volte a crociera permetteranno di materializzare
come sistemi binari o duplici, di costoloni e vele,
soluzioni formalmente classiche. Di fatto, sono strutture duplici, cioè volte a crociera nelle quali i costoloni formano un reticolo su cui si dispongono le vele:
quella sperimentata nella testata della chiesa di San
Girolamo di Granada, un’opera cominciata da
Jacobo Florentino e continuata, alla sua morte, da
Diego de Siloe [fig. 12]; gli archi strombati che mettono in comunicazione il presbiterio con il deambulatorio della cattedrale della stessa città, progettata
sempre da Siloe; la volta emisferica cassettonata
della chiesa del Salvador di Úbeda, progettata ancora da Siloe e costruita da Andrés de Vandelvira; le
volte a cassettoni dell’edificio del Comune di
Siviglia, o quella su cui si eleva la sacrestia della
chiesa parrocchiale di Salvatierra de Escá
(Saragozza) [fig. 13], e persino la formula sviluppata
da Andrés de Vandelvira nel presbiterio della chiesa
dell’antico convento di San Domenico de La Guardia
(Jaén) con una volta cassettonata a quarto di sfera
tagliata da un piano verticale non diametrale36.
La lavorazione e l’assemblaggio di piezas enterizas
Una seconda modalità attuata nella costruzione in
pietra nella Spagna del Cinquecento cercherà di
materializzare gli elementi del linguaggio classico
per mezzo della lavorazione e dell’assemblaggio di
piezas enterizas, cioè pezzi interi, ottenendo strutture
solidali nelle quali non è più possibile distinguere fra
costoloni e vele.
Si è soliti pensare che questa via sia stata estremamente innovativa tanto per gli scalpellini spagnoli di
59
tradizione medievale, quanto per gli artisti italiani o
formatisi in Italia, che giocarono un ruolo così importante nell’introduzione del nuovo sistema rinascimentale. In realtà va tenuto presente che sia la lavorazione di microarchitetture, sia la realizzazione di
quegli elementi e sottotipi architettonici o set-pieces
quale il caracol de ojo abierto de Mallorca, la cui elaborazione tenteranno di spiegare i trattati di stereotomia,
e persino la realizzazione di determinate soluzioni
come le volte a spigolo, si basavano sullo stesso principio, e cioè sulla lavorazione di blocchi di pietra37 e
sul loro assemblaggio per ottenere strutture nelle
quali ognuna delle parti – comprese quelle prettamente ornamentali – faceva parte di un tutt’uno.
Di fatto, come è stato suggerito da José Calvo López,
l’esperienza acquisita nella costruzione di volte a
spigolo nell’ambito artistico valenciano, tra la seconda metà del XV secolo e i primi anni del successivo,
mise a disposizione le conoscenze tecniche necessarie per la materializzazione dei primi sistemi di
copertura, che concepiti a partire da modelli formalmente classici, si realizzeranno mediante la lavorazione di piezas enterizas. Due esempi significativi
sono quelli ideati da Jacopo Torni per la sacrestia
della cattedrale di Murcia e l’accesso alla stessa dal
tempio. Nel primo caso si tratta di una volta a vela
chiusa con filari concentrici in cui tutti i pezzi, compresi quelli lavorati dal punto di vista scultoreo,
fanno parte della stessa superficie sferica [fig. 14].
Nel secondo si osserva invece una volta a botte obliqua con intradosso cassettonato, con uno spettacolare capialzado dall’inclinazione molto accentuata a una
delle due estremità [fig. 15]38.
Non si sa chi poté aiutare il fiorentino nella realizzazione di questi progetti, ma la conclusione di quelli
lasciati incompiuti alla sua morte nella cattedrale di
Murcia – il secondo corpo del campanile e la cappella dei Junterones –, sarà opera di Jerónimo Quijano
(ca. 1490-1563)39, un maestro di origine castigliana per
il quale si ipotizza una formazione pratica nell’ambito della tradizione costruttiva bassomedievale. Dopo
aver accolto gli apporti formali più rivoluzionari di
Torni e averli materializzati per mezzo della lavorazione di piezas enterizas, Quijano sarà in grado di proporre organismi estremamente immaginativi, a volte
per integrarli in costruzioni antiche, come nelle chiese di Santa Maria di Chinchilla (1536-1541), San
Giacomo di Jumilla (1538) o San Giacomo di Orihuela
(1545), altre volte in fabbriche di nuova fondazione,
come la collegiata di San Patrizio di Lorca (ca. 1535).
In tutti questi esempi Quijano cercherà di sintetizzare forme e tipologie di origine medievale con altre di
provenienza italiana,40 sfoggiando uno squisito uso
della stereotomia che lo porterà a proporre soluzioni
innovative, come quella ideata per il presbiterio della
chiesa di San Giacomo di Orihuela, realizzata alla sua
morte da Juan de Inglés (1528-1594), nella quale si
riuscirà a far coesistere formule di origine gotica –
non a caso la soluzione di copertura dipende dall’incrocio di quattro grandi archi – con una squisita lavorazione di piezas enterizas41.
Dalla crociera alla lavorazione di piezas enterizas
Come Quijano, sono vari i maestri che, partendo
dalla tradizione costruttiva bassomedievale, sceglie-
Fig. 14. Murcia. Cattedrale, volta della sacrestia.
Fig. 15. Murcia. Cattedrale, volta del vano di accesso alla sacrestia.
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60
ranno poi la lavorazione di piezas enterizas. È il caso
di Hernán Ruiz el Mozo (ca. 1505/1512-1569)42 che,
ricevuta una formazione essenzialmente pratica
accanto a suo padre, sarà capace di offrire il suo personale contributo sia nel campo della realizzazione
di strutture duplici – a crociera –, sia in quello della
materializzazione di altre più classiche per mezzo
della lavorazione di piezas enterizas.
È quanto risulta dall’analisi dei pochi – ma interessantissimi – trazados de cantería riuniti nel suo qua-
Fig. 16. Siviglia. Cattedrale, volta dell’antisala capitolare.
Fig. 17. Siviglia. Cattedrale, cupola della sala capitolare.
derno personale di disegni, datato intorno al 155043.
Solo uno rispecchia il procedimento per costruire
una volta a crociera, in questo caso, de terceletes, ma
è comunque estremamente interessante, poiché
offre un’opzione per risolvere il problema della
curvatura dei costoloni e dell’incontro fra i terceletes
e le ligaduras nelle chiavi secondarie che non deriva
dalla tecnica del Prinzipalbogen, bensì da una libera
interpretazione della tradizione iberica del rampante rotondo44.
Gli altri trazados de cantería del quaderno si riferiscono a volte o scale realizzate per mezzo di “piezas
enterizas” nelle quali non si distingue fra elementi
portanti e superfici sovrapposte, che pertanto non
pongono problemi lineari, bensì superficiali e volumetrici; una linea, questa, in cui si iscrivono i suoi
lavori presso la cattedrale di Siviglia, come l’antisala
capitolare (ca. 1562-1585)45, coperta con una volta a
schifo dall’intradosso straordinariamente lavorato
[fig. 16], come se fosse un soffitto ligneo – di fatto,
ricorda quello della sala capitolare della cattedrale di
Toledo –, o il suo progetto a pianta ellittica per la sala
capitolare (ca. 1558-1592).
La volta ellissoidale sopra questo spazio non era
ancora stata chiusa quando lo colse la morte, e il
capitolo affidò l’esecuzione del progetto a Pedro
Díaz de Palacios, estromettendo il figlio del maestro,
Hernán Ruiz III, il quale, offeso per la decisione,
reclamò gli utensili, i materiali da lavoro e, soprattutto, le sagome che suo padre aveva preparato per
chiudere lo spazio, e portò tutto con sé a Cordoba.
Senza le sagome, Díaz de Palacios non fu in grado di
continuare i lavori e venne infine sollevato dal suo
incarico. Gli successe Juan de Maeda (ca. 1510-1576),
a quel tempo capomastro della cattedrale di
Granada, che morirà poco dopo e sarà quindi sostituito dal figlio Asensio (ca. 1540-1602), che finalmente si occupò della chiusura della volta [fig. 17]46.
L’aneddoto è la prova del fatto che il segreto medievale non era ancora del tutto scomparso alla metà
del XVI secolo , e permette di comprendere fino a che
punto fossero necessarie – per non dire imprescindibili – le sagome in una costruzione in pietra di questo tipo che, nonostante il suo aspetto, non è più una
volta por cruceros, vale a dire a crociera, con costoloni e vele, bensì una struttura unica nella quale i
costoloni sono solidali con le parti delle vele.
Anche Andrés de Vandelvira (ca. 1504/1509-1575)
iniziò la sua carriera come semplice scalpellino ad
61
Alcaraz47. Si è già ricordato come fu capace di realizzare avvalendosi della pratica costruttiva bassomedievale por cruceros, quella cioè delle volte a crociera,
sia la volta semisferica cassettonata disegnata da
Siloe per la testata della chiesa del Salvador di
Úbeda, sia la volta del presbiterio della chiesa del
convento domenicano de La Guardia, a Jaén.
Tuttavia, come Hernán Ruiz el Mozo, finirà per preferire la realizzazione di strutture uniche a partire dalla
lavorazione e dall’assemblaggio di piezas enterizas.
È quanto si può osservare nella sacrestia della chiesa
del Salvador di Úbeda, aperta con un arco in angolo,
come quello ideato cent’anni prima da Francesc
Baldomar per l’accesso al campanile della cattedrale
di Valencia, con la differenza che, in questo caso, si
tratta di un arco obliquo. Lo spazio è coperto mediante tre volte a vela a pianta rettangolare, ottenute per
mezzo di filari quadrati e con una decorazione scultorea che segue il disegno dei cunei [fig. 18], molto
simili a quelle che disegnerà per la cattedrale di Jaén,
probabilmente la sua opera più conosciuta.
Suo figlio Alonso (ca. 1544-1626/1627)48, formatosi
all’ombra del padre e di Hernán Ruiz el Mozo, comporrà, negli anni Ottanta del XVI secolo, un manoscritto di stereotomia che è giunto fino a noi per
mezzo di due copie – anch’esse manoscritte – del
Seicento, noto con il nome di Libro de trazas de cortes
de piedra datogli dal frate Lorenzo de San Nicolás nel
XVII secolo49.
L’opera, estremamente coerente, rappresenta il primo
testo completo e sistematico della letteratura di stereotomia in Europa e comincia spiegando come realizzare differenti tipi di trombe, archi, decendas de cava, troneras, capialzados, scale a chiocciola e altre scale, per
finire con un grande repertorio di volte, in cui si
espongono quasi tutti i tipi rilevanti della costruzione
in pietra dell’epoca, ordinati secondo un criterio didattico, da minore a maggiore difficoltà.
Ciò che però risulta davvero interessante nell’ambito del nostro discorso è che la sua opera riesce a
rispecchiare con sufficiente precisione la realtà stereotomica duale sviluppatasi nella penisola Iberica
nel corso del Cinquecento, poiché riunisce sia soluzioni duplici, por cruceros, derivate dalla tradizione
bassomedievale, sia molte altre concepite per essere
eseguite mediante la lavorazione e l’assemblaggio di
piezas enterizas, e nomina e spiega il procedimento
per realizzare molti dei sistemi di copertura menzionati in queste pagine.
Ecco che, per esempio, tra le soluzioni derivate dalla
tradizione bassomedievale anteriore, oltre a un
modello di volta a crociera50, presenta vari tipi di
ochavo igual por cruceros51, vale a dire la formula usata
per coprire il presbiterio della chiesa di San
Girolamo di Granada; alcuni esempi di capilla redonda por cruceros52, la soluzione sviluppata nella testata
del Salvador di Úbeda; cappelle quadrate e rettangolari por cruceros53, come la volta a cassettoni della
sacrestia di Salvatierra de Escá; una capilla cruzada,54
molto simile a quella costruita sul presbiterio della
chiesa di San Giacomo di Orihuela, o la soluzione
ideata da suo padre per il presbiterio della chiesa de
La Guardia, che innalzerà alla categoria di archetipo
con il nome di Ochavo de La Guardia55.
Il repertorio di coperture che si potevano realizzare
mediante la lavorazione e l’assemblaggio di piezas
enterizas inizia con la «capilla redonda en vuelta
redonda»56, cioè con la volta semisferica che, a giudizio di Vandelvira, rappresentava il «principio y
Fig. 18. Úbeda. El Salvador, sacrestia, sistema di copertura.
Fig. 19. Siviglia. Cattedrale, sacrestia maggiore, sistema di copertura dello spazio centrale.
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62
dechado de todas las capillas romanas»; una soluzione usata – secondo un disegno di controversa attribuzione – per coprire lo spazio centrale della sacrestia maggiore della cattedrale di Siviglia [fig. 19]57,
destinata ad avere un notevole successo nella penisola. Subito dopo, l’autore passa a presentare altre
formule, come la «media naranja en capilla redonda
avenerada»58, utilizzata nella testata della chiesa del
monastero della Santa Spina di Valladolid, o in quella delle Bernardas de Jesús di Salamanca; la «media
naranja oval»59, impiegata, per esempio, nella testata
della chiesa parrocchiale di Chinchilla e in quella
della chiesa di San Giacomo di Jumilla; due varianti
sulla volta della cappella dei Junterones della cattedrale di Murcia, resa anch’essa archetipo come bóve-
Fig. 20. Siviglia. Cattedrale, patio de las dependencias capitulares.
Fig. 21. Siviglia. Lonja de contratación, volta.
da de Murcia60, e ben sei modelli di capillas ovales, sebbene nessuno sia esattamente uguale a quello utilizzato nella sala capitolare della cattedrale di Siviglia61.
Include anche la “capilla cuadrada en vuelta redonda”62, una volta a vela chiusa mediante filari concentrici, come quella della sacrestia della cattedrale di
Murcia; vari tipi di cappelle – quadrate e rettangolari – «por hiladas cuadradas»63, «por hiladas cuadradas diferentes»64, e persino artesonadas65, vale a dire
differenti modelli di volte a vela, come quelle progettate per la sacrestia del Salvador di Úbeda e la cattedrale di Jaén, e vari modelli di «ochavo igual por
dovelas»66, il tipo di volta a schifo utilizzato per
coprire le sacrestie di pianta ottagonale delle chiese
di San Giacomo di Jumilla e San Giacomo di
Orihuela.
Parimenti, comprende altre soluzioni, come il «patio
cuadrado sin columnas», simile a quello costruito da
Hernán Ruiz per articolare le dipendenze capitolari
della cattedrale di Siviglia [fig. 20]67; un «patio
redondo con columnas» 68, che ricorda quello edificato nel palazzo di Carlo V de La Alhambra di
Granada, dove si ritrova una volta a botte anulare,
eseguita en carpanel, costruita tra il muro perimetrale
e l’architrave curvo del colonnato, e formule di alto
valore ornamentale, come la capilla enlazada69, in realtà una volta a vela con decorazione scultorea dell’intradosso, come quelle realizzate nella Loggia di
Siviglia [fig. 21].
Sorprendentemente, altre soluzioni, come quelle
basate sulla volta a botte, che conobbero un gran successo nella penisola iberica, come dimostrano ad
esempio i sistemi di copertura delle sacrestie delle
cattedrali di Sigüenza [fig. 22] – che spicca per l’importanza concessa alla decorazione scultorea –, di
Almería [fig. 23] – molto più sobria –, o di Jaén, quest’ultima costruita dal padre Andrés, restano escluse
dal suo catalogo, forse perché Vandelvira aveva già
spiegato come tendere gli archi che potevano generarle e aveva addirittura presentato vari modelli di
decenda de cava (volta a botte inclinata).
In ogni caso, quando Alonso de Vandelvira scrisse il
suo trattato l’architettura spagnola aveva segnalato da
tempo la sua preferenza per la lavorazione di piezas
enterizas, e stava sperimentando un processo di semplificazione ornamentale, praticamente di astrazione,
sotto la guida di architetti dal marcato profilo tecnico,
come Juan Bautista de Toledo (ca. 1515-1567)70, l’ingegnere militare responsabile del progetto generale
63
dell’Escorial, o, soprattutto, Juan de Herrera (ca. 15301597)71, un matematico divenuto architetto che sceglierà disegni molto semplici dal punto di vista decorativo, che materializzerà mediante la lavorazione e
l’assemblaggio di piezas enterizas, giungendo a sviluppare soluzioni stereotomiche molto audaci.
Per certi versi Juan de Herrera sembrava condividere
tesi molto simili a quelle difese in precedenza dai Gil
de Hontañón, sebbene dopo la generalizzazione dell’uso degli ordini classici prima, e l’introduzione del
sistema rinascimentale poi, i principi compositivi, le
relazioni proporzionali e in definitiva le strutture,
erano cambiati definitivamente. Non erano più strutture gotiche, bensì strutture rinascimentali che potevano rimanere completamente nude – di fatto, quella
sarà la tendenza –, e che andavano eseguite mediante la lavorazione e l’assemblaggio di piezas enterizas.
Di fatto, tralasciando la presenza del tamburo, la
cupola della chiesa dell’Escorial rappresenta un
esempio perfetto di «capilla redonda en vuelta
redonda», includendo, inoltre, altre dimostrazioni di
virtuosismo stereotomico, come gli archi strombati
«en torre cavada y redonda» delle aperture del tamburo72; e la celebre volta del sottocoro del tempio non
è altro che una «capilla cuadrada en vuelta redonda», vale a dire una volta a vela chiusa mediante filari concentrici che, in questo caso specifico, presenta
un rampante quasi piatto [fig. 24]73.
Si tramanda che nel corso dei lavori dell’Escorial
venne redatto un breve trattato di stereotomia.
Sebbene a oggi risulti irreperibile74, è probabile che
questo non differisse troppo nei contenuti e nella
forma dal manoscritto di Ginés Martínez de Aranda
(doc. 1564-1622)75, intitolato Cerramientos y trazas de
montea76. Quest’ultimo non fu concepito con l’intenzione di offrire una visione globale e sistematica dei
problemi che potevano presentarsi a uno scalpellino
al momento di dividere un elemento costruttivo in
cunei, come l’opera di Vandelvira, bensì come
un’autentica enciclopedia – come un’opera di consultazione o di riferimento – del disegno geometrico
in architettura.
L’intenzione era quella di esporvi i principi fondamentali per l’esecuzione di archi, capialzados, scale a
chiocciola, altre scale, pennacchi, volte, cappelle e
ochavos. Tuttavia l’unica copia dell’opera giunta fino
a noi, apparentemente autografa dello stesso
Aranda77, un esemplare di piccolo formato pensato
per essere usato in cantiere, si interrompe brusca-
Fig. 22. Sigüenza (Guadalajara). Cattedrale, sacrestia, volta.
Fig. 23. Almería. Cattedrale, volta della Sacrestia.
Fig. 24. Madrid. Basílica de El Escorial, volta del sottocoro.
Lexicon - n. 22-23/2016
64
mente nella parte dedicata alle scale a chiocciola. A
oggi non siamo in grado di dire se Martínez de
Aranda sia giunto a concludere il volume, ma tutto
sembra indicare che avesse un piano di lavoro perfettamente delineato. Se l’avesse conclusa, o se fosse
giunta completa ai nostri giorni, la sua opera avrebbe superato di gran lunga quella di Vandelvira per
numero di trazados. Prova ne sia il fatto che Martínez
de Aranda include 75 archi e 51 capialzados, di contro
ai 14 archi e 10 capialzados di Vandelvira. Inoltre, di
solito i suoi disegni prescindono da tutto quanto è
accessorio, risultando così più chiari, in linea con i
trazados de cantería contenuti nella Teorica y practica de
fortificacion, pubblicata da Cristóbal de Rojas nel
1598, il primo trattato di architettura militare in
senso stretto stampato in Spagna78, e le sue esposizioni sono molto più precise e dettagliate di quelle di
Vandelvira, con meno rimandi a disegni anteriori e
del tutto prive di digressioni e riferimenti a opere
costruite. Così, per esempio, si riferisce al caracol de
ojo abierto come al caracol che chiamano di Maiorca,
1
con una certa reticenza a vincolare il tipo astratto con
l’archetipo materiale79.
Secondo frate José de Sigüenza, testimone d’eccezione del processo costruttivo dell’Escorial, il modo in
cui venne lavorato il duro granito impiegato nella
costruzione del complesso e, in definitiva, la padronanza della stereotomia, avevano permesso di ottenere forme così pure e perfettamente lavorate che
sembravano d’argento; un’analogia in cui, evidentemente, il mestiere degli orafi non serviva a evocare la
profusione ornamentale delle opere mascherate al
romano del primo Cinquecento, che la storiografia
artistica ha definito come platerescas80. Non a caso,
l’Escorial inaugurerà la preferenza per un’architettura molto sobria dal punto di vista decorativo, nella
quale la struttura sembrava essersi imposta sull’ornamento. Di fatto, in un processo d’astrazione senza
precedenti, si giungerà a prescindere persino dal
sistema italiano degli ordini classici, una circostanza
che obbliga a domandarsi se la si può ancora chiamare architettura classicista, ma questa è un’altra storia.
Quest’articolo riprende e amplia il contenuto di una lezione, con lo stesso titolo, tenuta nel Seminario sulla stereotomia spagnola del Cinquecento, nel-
l’ambito del programma del Dottorato di ricerca in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica dell’Università IUAV di Venezia. Desidero, in primo
luogo, ringraziare sinceramente Massimo Bulgarelli per l’invito a parteciparvi, e Marco Rosario Nobile per averlo reso possibile.
Vorrei dedicare quest’articolo al lavoro di professori come Arturo Zaragozá Catalán, José Carlos Palacios Gonzalo, Santiago Huerta Hernández,
Enrique Rabasa Díaz e José Calvo López, che hanno evidenziato l’imperiosa necessità di costruire una nuova Storia dell’Architettura che trascenda
il mero studio delle forme e dedichi più attenzione a questioni tecniche, proprie della Storia della Costruzione. Il presente lavoro rientra nel Proyecto
I+D “Los diseños de arquitectura en la Península Ibérica entre los siglos XV y XVI. Inventario y catalogación” (HAR2014-54281-P) del Ministerio de
Economía y Competitividad. Desidero ringraziare la Dott.ssa Valentina Mitscheunig per la preziosa collaborazione prestata per la traduzione di questo articolo.
2
A proposito di tutti questi aspetti, si veda J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, The Northern Roots of Late Gothic Renovation in the Iberian Peninsula, in Architects
without Borders. Migration of Architects and Architectural ideas in Europe 1400-1700, a cura di K. Ottenheym, Mantova 2014, pp. 15-27.
3
A. ZARAGOZÁ, El arte de corte de piedras en la arquitectura valenciana del Cuatrocientos. Francesch Baldomar y el inicio de la estereotomía moderna, in Actas
del Primer Congreso de Historia del Arte Valenciano, (Valencia, mayo de 1992), Valencia 1993, pp. 97-104; F. MARÍAS, Materiales y técnicas: viejos fundamentos para las nuevas categorías arquitectónicas del Quinientos, ivi, pp. 263-269; M. GÓMEZ-FERRER, La cantería valenciana en la primera mitad del siglo XV: el
maestro Antoni Dalmau y sus vinculaciones con el área mediterránea, in «Anuario del Departamento de Historia y Teoría del Arte», IX-X, 1997-1998, pp.
91-105; A. ZARAGOZÁ, El arte de corte de piedras en la arquitectura valenciana del Cuatrocientos: Pere Compte y su círculo, in El Mediterráneo y el Arte Español,
Actas del XI Congreso del C.E.H.A., (Valencia, septiembre 1996), Valencia 1998, pp. 71-79; ID., Arquitectura gótica valenciana. Siglos XIII-XV, Valencia
2000; ID., El arte de corte de piedras en la arquitectura valenciana del Cuatrocientos: un estado de la cuestión, in «Archivo de Arte Valenciano», LXXXIX, 2008,
pp. 332-356; M. GÓMEZ-FERRER, A. ZARAGOZÁ, Lenguajes, fábricas y oficios en la arquitectura valenciana del tránsito entre la Edad Media y la Edad Moderna.
(1450-1550), in «Artigrama», 23, 2008, e in La arquitectura en la Corona de Aragón entre el Gótico y el Renacimiento, a cura di Mª I. Álvaro Zamora, J. Ibáñez
Fernández, Zaragoza 2009, pp. 149-184.
4
D. HEIM, A. Mª YUSTE GALÁN, La torre de la catedral de Toledo y la dinastía de los Cueman. De Bruselas a Castilla, in «Boletín del Seminario de Estudios
de Arte y Arqueología», LXIV, 1998, pp. 229-250; A. Mª YUSTE GALÁN, La introducción del arte flamígero en Castilla: Pedro Jalopa, maestro de los Luna, in
«Archivo Español de Arte», 307, 2004, pp. 291-300.
65
N. MENÉNDEZ GONZÁLEZ, Juan de Colonia en los inicios del Tardogótico burgalés, in Actas del IV Simposio Internacional de Jóvenes Medievalistas, (Lorca,
5
2008), Murcia 2009, pp. 145-160.
6
C. PÉREZ DE LOS RÍOS, A. ZARAGOZÁ CATALÁN, Bóvedas de crucería con enjarjes de nervios convergentes que emergen del muro en el área valenciana, ss. XIV-
XV, in Actas del Octavo Congreso Nacional de Historia de la Construcción, (Madrid, 9-12 de octubre de 2013), a cura di S. Huerta, F. López de Ulloa,
Madrid 2013, pp. 833-842; A. ZARAGOZÁ CATALÁN, C. PÉREZ DE LOS RÍOS, Bóvedas de crucería con enjarjes de nervios convergentes que emergen del muro en
el área valenciana. Siglos XIV-XV (y 2), in Bóvedas valencianas. Arquitecturas ideales, reales y virtuales en época medieval y moderna, a cura di J. C. Navarro
Fajardo, Valencia 2014, pp. 37-57.
J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, La arquitectura en el reino de Aragón entre el Gótico y el Renacimiento: inercias, novedades y soluciones propias, in «Artigrama», 23,
7
2008, e in La arquitectura en la Corona de Aragón…, cit., pp. 39-95, alle pp. 48-49. A proposito di Guillem Sagrera, si veda J. DOMENGE I MESQUIDA, Guillem
Sagrera, in Gli ultimi independenti. Architetti del gotico nel Mediterraneo tra XV e XVI secolo, a cura di E. Garofalo, M. R. Nobile , Palermo 2007, pp. 5893; ID., Guillem Sagrera et lo modern de son temps, in «Revue de l’Art», 166, 2009/4, pp. 77-90.
8
S. LARA ORTEGA, Las seis grandes lonjas de la Corona de Aragón, Valencia 2007.
9
Utilizziamo le parole di F. MARÍAS, Cuando el Escorial era francés: problemas de interpretación y apropiación de la arquitectura española, in «Anuario del
Departamento de Historia y Teoría del Arte», XVII, 2005, pp. 21-32, alle pp. 28-29.
10
Sulla scala napoletana, si veda J. CALVO LÓPEZ, E. DE NICHILO, Stereotomia, modelli e declinazioni locali dell’arte del costruire in pietra da taglio tra Spagna
e Regno di Napoli nel XV secolo. Tre scale a chiocciola a confronto: Castel Nuovo a Napoli, la Lotja di Valenzia e la Capilla de los Vélez a Murcia, in Teoria e pratica del costruire: saperi, strumenti, modelli. Esperienze didattiche e di ricerca a confronto, (Ravenna, 27-29 ottobre 2005), a cura di G. Mochi, Ravenna 2005,
II, pp. 517-526, alle pp. 519-521.
11
A. SANJURJO, El caracol de Mallorca en los tratados de cantería españoles de la Edad Moderna, in Actas del Quinto Congreso Nacional de Historia de la
Construcción, (Burgos, 7-9 junio 2007), Madrid 2007, II, pp. 835-845; ID., Historia y construcción de la escalera de caracol: el baile de la piedra, in El arte de la
piedra. Teoría y práctica de la cantería, Madrid 2009, pp. 233-277, alle pp. 245-255; ID., Otra mirada a la historia de la construcción de nuestras catedrales: los
caracoles de piedra y su evolución, in «Semata, Ciencias Sociais e Humanidades», 22, 2010, pp. 555-566, alle pp. 560-563.
12
Il profilo più recente del maestro, in A. ZARAGOZÁ CATALÁN, M. GÓMEZ-FERRER LOZANO, Pere Compte arquitecto, Valencia 2007, pp. 29-35.
13
J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, J. ANDRÉS CASABÓN, La catedral de Zaragoza de la Baja Edad Media al Primer Quinientos. Estudio documental y artístico, Zaragoza
2016; A. ZARAGOZÁ CATALÁN, Componiendo con vuelos, maclas e intersecciones en el episodio tardogótico valenciano, in Historia de la ciudad VII, Valencia 2015,
pp. 90-102.
14
A. ZARAGOZÁ CATALÁN, M. GÓMEZ-FERRER LOZANO, Pere Compte…, cit., pp. 32-34.
15
Sul personaggio e la sua produzione architettonica, si veda ivi, pp. 36-39.
16
B. TOLLON, L’escalier de Toulouze ou la vis des archives revisitée, in «Mémoires de la Société Archéologique du Midi de la France», LII, 1992, pp- 97-106.
Lo studio della scala, in A. ZARAGOZÁ CATALÁN, J. CALVO-LÓPEZ, P. NATIVIDAD-VIVÓ, Stereotomic Exchanges between Iberia and France in the 16th century: Benoît Augier, Valencian Stairways and the Escalier de Toulouse, in Nuts & Bolts of Construction History: Culture, Technology and Society, Acts of the
Fourth International Congress on Construction History, (Paris, July 3-7, 2012), Paris 2012, I, pp. 385-392.
17
M. GÓMEZ-FERRER, La estereotomía. Relaciones entre Valencia y Francia durante los siglos XV y XVI, in Les échanges artistiques entre la France et l’Espagne
(XVe-fin XIXe siècles), a cura di J. Lugand, Perpignan 2012, pp. 103-118, alle pp. 107-110.
18
A. ZARAGOZÁ CATALÁN, M. GÓMEZ-FERRER LOZANO, Pere Compte…, cit., pp. 76-102.
19
J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, The Northern Roots…, cit., pp. 16-19.
20
Ivi, pp. 26-27.
21
Nonostante l’importanza della sua figura, Juan Guas non è ancora stato oggetto di uno studio di carattere monografico. La sua origine bretone è
stata dimostrata da J. AZCÁRATE, Sobre el origen de Juan Guas, in «Archivo Español de Arte», XXIII, 1950, pp. 255-256.
22
A. ZARAGOZÁ CATALÁN, M. GÓMEZ-FERRER LOZANO, Pere Compte…, cit., pp. 32-34.
23
J. GÓMEZ MARTÍNEZ, El arte de la montea entre Juan y Simón de Colonia, in Actas del Congreso internacional sobre Gil Siloe y la escultura de su época, (Burgos,
13-16 octubre 1999), Burgos 2001, pp. 355-366.
24
F. PEREDA, A. RODRÍGUEZ G. DE CEBALLOS, Coeli enarrant gloriam Dei. Arquitectura, iconografía y liturgia en la capilla de los Condestables de la catedral de
Burgos, in «Annali di architettura», 9, 1997, pp. 17-34; I. G. BANGO TORVISO, Simón de Colonia y la ciudad de Burgos. Sobre la definición estilística de las
segundas generaciones de familias de artistas extranjeros en los siglos XV y XVI, in Actas del Congreso Internacional sobre Gil Siloe y la escultura de su época,
(Burgos, 13-16 octubre de 1999), Burgos 2001, pp. 51-69, alle pp. 55-62.
25
J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, Arquitectura aragonesa del siglo XVI. Propuestas de renovación en tiempos de Hernando de Aragón (1539-1575), Zaragoza 2005, pp.
193-205; J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, Los cimborrios aragoneses del siglo XVI, Tarazona 2006, pp. 1-7.
26
E. RABASA, De l’art de picapedrer (1653) de Joseph Gelabert, un manuscrito sobre estereotomía que recoge tradiciones góticas y renacentistas, in Actas del Quinto
Congreso Nacional de Historia de la Construcción, (Burgos, 7-9 junio 2007), Madrid 2007, II, pp. 745-754; El manuscrito de cantería de Joseph Gelabert titulado
Vertaderas traçes del Art de picapedrer: transcripción, traducción, anotación e ilustración del texto y los trazados, a cura di E. Rabasa Díaz, Madrid 2011.
27
M. CARBONELL I BUADES, De Marc Safont a Antoni Carbonell: la pervivencia de la arquitectura gótica en Cataluña, in «Artigrama», 23, Zaragoza, 2008, e in
La arquitectura en la Corona de Aragón…, cit., pp. 97-148, alle pp. 116-117; F. TELLIA, El tratado de estereotomía de Joseph Ribes, 1708, in Actas del Séptimo
Lexicon - n. 22-23/2016
66
Congreso Nacional de Historia de la Construcción, (Santiago de Compostela, 26-29 de octubre de 2011), Madrid 2011, II, pp. 1413-1420; F. TELLIA, Las bóvedas de crucería en el Llibre de trasas de viax y muntea de Joseph Ribes, in Actas del Octavo Congreso Nacional de Historia de la Construcción…, cit., II, pp.
1017-1025; F. TELLIA, J. C. PALACIOS, Las bóvedas de crucería del manuscrito Llibre de trasas de viax y muntea, de Joseph Ribes, in «Locvs amoenvs», 13,
2015, pp. 29-41.
28
J. GÓMEZ MARTÍNEZ, El gótico español de la Edad Moderna. Bóvedas de crucería, Valladolid 1998, pp. 20-25.
29
Il manoscritto è stato oggetto di due edizioni differenti. La prima è dedicata ai primi sei capitoli, vale a dire, a quelli direttamente collegati con i
Gil de Hontañón (Compendio de architectura y simetría de los templos por Simón García. Año de 1681, a cura di J. Camón, Salamanca 1941), mentre la seconda offre la trascrizione e l’edizione facsimile di tutto il manoscritto (Compendio de Architectvra y simetria de los templos conforme a la medida del cuerpo
humano con algunas demostraziones de geometria. Año de 1681. Recoxido de diversos Autores, Naturales y Estrangeros. Por Simón Garçia. Architecto natural de
Salamanca, a cura di A. Bonet Correa, C. Chanfón Olmos, Valladolid 1991). A propósito della personalità artística di Simón García, si veda Mª N.
RUPÉREZ ALMAJANO, Anotaciones sobre la vida y la obra del arquitecto Simón García, in «Archivo Español de Arte», 281, 1998, pp. 68-75, e A. BONET CORREA,
Simón García trattatista di architettura, in «Il disegno di architettura», 19, 1999, pp. 4-15.
30
Le regole del calcolo strutturale contenute nel manoscritto sono state studiate da S. HUERTA, Arcos, bóvedas y cúpulas. Geometría y equilibrio en el cál-
culo tradicional de estructuras de fábrica, Madrid 2004, pp. 207-237.
31
J. CALVO LÓPEZ, La literatura de la cantería: una visión sintética, in El arte de la piedra…, cit., pp. 101-156, alle pp. 107-108. A proposito del sistema des-
critto nel manoscritto per la costruzione di una volta, si veda S. HUERTA, La construcción de las bóvedas góticas según Rodrigo Gil de Hontañón, arquitecto
de la catedral de Segovia, in Segovia: su catedral y su arquitectura. Ensayos en homenaje a Antonio Ruiz Hernando, a cura di P. Navascués Palacio, S. Huerta,
Madrid 2013, pp. 107-133.
32
In questo caso, è stata pubblicata per prima l’edizione facsimile di quella apparsa a Toledo nel 1549 (Medidas del romano por Diego de Sagredo, a cura
di F. Marías, A. Bustamante, Madrid 1986), e dopo quella della editio princeps (Medidas del Romano. Diego de Sagredo. Remón de Petras. Toledo. 1526, a
cura di F. Marías, F. Pereda, Toledo 2000). Ora si possono consultare, oltre alla editio princeps, quella di Lisbona del 1541, la prima edizione di Lisbona
del 1542, quelle toledane del 1549 e del 1564 e le traduzioni francesi del 1536, del 1539, del 1550, del 1555 e del 1608 all’indirizzo
http://architectura.cesr.univ-tours.fr/Traite/Auteur/Sagredo.asp?param=.
33
E. ROSENTHAL, The image of roman architecture in renaissance Spain, in «Gazette des Beaux-Arts», 52, 1958, pp. 329-346; J. B. BURY, The stylistic term
Plateresque, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XXIX, 1976, pp. 199-230; A. CLOULAS, Origines et évolution du terme plateresco à propos d’un article de J. B. Bury, in «Mélanges de la Casa de Velázquez», XVI, Madrid 1980, pp. 151-161.
34
J. IBÁÑEZ FERNÁNDEZ, La portada de Santa María de Calatayud. Estudio documental y artístico, Calatayud 2012, pp. 75-77.
35
Il più completo profilo autobiográfico e professionale del maestro è ancora quello realizzato da C. GUTIÉRREZ-CORTINES CORRAL, Renacimiento y arqui-
tectura religiosa en la antigua diócesis de Cartagena (Reyno de Murcia, Gobernación de Orihuela y Sierra de Segura), Murcia 1987, pp. 61-66.
36
J. CALVO LÓPEZ, “Estereotomía de la piedra”, in Máster de Restauración del Patrimonio Histórico, Murcia 2004, pp. 115-151, alla p. 135.
37
La lavorazione si poteva eseguire o “por robos” o “por escuadría”, un metodo che partiva dalle proiezioni ortogonali, su pianta e prospetto, di ogni
singolo pezzo, e che pertanto comportava lo spreco di molto materiale, o “por plantas”, vale a dire con sagome, o combinando i due sistemi. A proposito di tutte queste questioni, si veda E. RABASA DÍAZ, Forma y construcción en piedra. De la cantería medieval a la estereotomía del siglo XIX, Madrid
2000, pp. 141-160; J. CALVO LÓPEZ, Entre labra y traza. Instrumentos geométricos para la labra de la piedra de sillería en la Edad Moderna, in Actas del VI
Congreso Nacional de Profesores de Materiales de Construcción de Escuelas de Arquitectura Técnica, Sevilla 2001, pp. 107-120; J. CALVO LÓPEZ, Estereotomía…,
cit., pp. 120-123; ID., La literatura de la cantería…, cit., pp. 111-112.
38
ID., Jacopo Torni l’Indaco vecchio and the emergence of Spanish classical stereotomy, in Teoria e pratica del costruire..., cit., II, pp. 505-516. Su queste due solu-
zioni, si veda J. CALVO LÓPEZ, M. Á. ALONSO RODRÍGUEZ, E. RABASA DÍAZ, A. LÓPEZ MOZO, Cantería renacentista en la catedral de Murcia, Murcia 2005,
pp. 79-92, e pp. 93-102.
39
C. GUTIÉRREZ-CORTINES CORRAL, Jerónimo Quijano, un arquitecto del Renacimiento, in «Goya», 139, 1977, pp. 2-11; C. GUTIÉRREZ-CORTINES CORRAL,
Renacimiento y arquitectura religiosa en la antigua diócesis de Cartagena…, cit., pp. 66-80.
40
Per gli esempi citati nel testo si veda ivi, pp. 197-215 (Santa Maria di Chinchilla), pp. 215-236 (San Patrizio di Lorca), pp. 237-250 (San Giacomo di Jumilla),
e pp. 250-270 (San Giacomo di Orihuela). A proposito della testata della chiesa di San Giacomo di Jumilla, si veda anche M. Á. ALONSO RODRÍGUEZ, J. CALVO
LÓPEZ, Mª C. MARTÍNEZ RÍOS, Levantamiento y análisis constructivo de la cabecera de la iglesia de Santiago de Jumilla, in XIX Jornadas de Patrimonio Cultural de la
Región de Murcia, (Cartagena, Alhama de Murcia, La Unión y Murcia, 7 de octubre-4 de noviembre de 2008), Murcia 2008, II, pp. 649-659.
41
P. NATIVIDAD VIVÓ, Estereotomía renacentista en el Levante: la ‘capilla cruzada’ de Orihuela, in Bóvedas valencianas…, cit., pp. 111-132; A. LÓPEZ GONZÁLEZ,
Cabecera cuadrada renacentista con bóveda pseudo-esférica cruzada en la iglesia de Santiago de Orihuela (Alicante), in «EGA. Revista de expresión gráfica
arquitectónica», 25, 2015, pp. 148-157.
42
A. J. MORALES, Hernán Ruiz el Joven, Madrid 1996.
43
A proposito del quaderno, P. NAVASCUÉS PALACIO, El manuscrito de arquitectura de Hernán Ruiz, el Joven, in «Archivo Español de Arte», XLIV, 175,
1971, pp. 295-321; P. NAVASCUÉS PALACIO, El libro de arquitectura de Hernán Ruiz, el Joven, Madrid 1974. Si vedano anche gli studi raccolti in Hernán Ruiz
II. Libro de arquitectura, Sevilla 1998.
44
E. RABASA DÍAZ, Técnicas góticas y renacentistas en el trazado y la talla de las bóvedas de crucería españolas del siglo XVI, in Actas del Primer Congreso Nacional
67
de Historia de la Construcción, (Madrid, 19-21 de septiembre 1996), Madrid 1996, pp. 423-433, alle pp. 427-429; E. RABASA DÍAZ, Forma y construcción en
piedra…, cit., pp. 126-129; J. CALVO LÓPEZ, La literatura de la cantería…, cit., pp. 110-111.
45
A. J. MORALES, Hernán Ruiz el Joven, cit., pp. 38-42.
46
Ivi, pp. 46-51; J. Mª GENTIL BALDRICH, La traza oval y la sala capitular de la catedral de Sevilla. Una aproximación geométrica, in Qvatro edificios sevillanos,
Sevilla 1998, pp. 97-141.
47
L. GILA MEDINA, V. M. RUIZ PUENTES, Andrés de Vandelvira: aproximación a su vida y obra, in La arquitectura del Renacimiento en Andalucía. Andrés de
Vandelvira y su época, (Catálogo de la exposición celebrada en la Catedral de Jaén entre el 2 de octubre y el 30 de noviembre de 1992), a cura di P.
Salmerón Escobar, Sevilla 1992, pp. 79-118; P. GALERA ANDREU, Andrés de Vandelvira, Madrid 2000; Andrés de Valdelvira. V Centenario, a cura di A. Pretel
Marín, Albacete 2005; Andrés de Vandelvira. El Renacimiento del Sur, a cura di J. L. Chicharro Chamorro, Jaén 2007.
48
F. CRUZ ISIDORO, Alonso de Vandelvira (1544-ca. 1626/27). Tratadista y arquitecto andaluz, Sevilla 2001.
49
El tratado de arquitectura de Alonso de Vandelvira, a cura di G. Barbé-Coquelin de Lisle, Albacete 1977. L’interpretazione del trattato, in J. C. PALACIOS
GONZALO, Trazas y cortes de cantería en el Renacimiento español, Madrid 2003.
50
El tratado de arquitectura…, cit., II, f. 96 v; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 290-301.
51
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 104 v-105 r, y ff. 106 v-107 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 340-343.
52
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 62 v-65 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 200-207.
53
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 97 v-99 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 302-315.
54
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 119 v-120 r J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 322-323.
55
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, f. 103 v; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 332-335.
56
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 60 v-61 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 188-195.
57
Si tratta di una volta emisferica su pennacchi incassati in quattro archi strombati – in realtà, quattro trombe ottuse –, eseguita totalmente in pietra,
di uno spessore notevole, spiegabile con l’importanza concessa ai lavori di entalladura, sull’intradosso, e per il fatto che era stata concepita per essere estradossata e la cui stabilità verrà assicurata mediante elementi ancora propri della tradizione costruttiva gotica, come la struttura di pinnacoli e
rampanti collocata all’esterno, sopra la cupola. Secondo alcuni autori sarebbe stata disegnata da Diego de Riaño (ca. 1495-1534) e conclusa dal suo
discepolo Martín de Gainza (ca. 1490-1556) (A. J. MORALES, La Sacristía Mayor de la Catedral de Sevilla, Sevilla 1984), mentre secondo altri il disegno
andrebbe collegato alla figura di Diego de Siloe e dovrebbe essere leggermente posticipato (F. MARÍAS, I. Arquitectura y urbanismo. Rejería y orfebrería,
in La cultura del Renacimiento (1480-1580), a cura di V. García de la Concha, in Historia de España Menéndez Pidal, vol. XXI , a cura di Jover Zamora,
Madrid 1999, pp. 363-411, alla p. 375; R. SIERRA DELGADO, La cúpula de la Sacristía Mayor de la Catedral de Sevilla: contexto y evolución en Andalucía, in
Actas del Tercer Congreso Nacional de Historia de la Construcción, (Sevilla, 26-28 de octubre de 2000), Madrid 2000, II, pp. 1.039-1.048; R. SIERRA DELGADO,
Diego de Siloé y la nueva fábrica de la Sacristía Mayor de la Catedral de Sevilla, Sevilla 2012).
58
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 66 v-67 v; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 208-211.
59
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, f. 68 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 212-215.
60
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, 69 v-71 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…., cit., pp. 220-225.
61
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 71 v-78 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 228-243.
62
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, f, 83 r-v; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 254-259.
63
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 84 r-85 v; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 264-271.
64
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 89 v-91 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 278-281.
65
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 111 v-115 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 362-365.
66
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, f. 104 r, y ff. 105 v-106 r; J. C. PALACIOS GONZALO,Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 336-339.
67
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 108 v-109 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 350-351.
68
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, f. 111 r J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 356-359.
69
El tratado de arquitectura…, cit., vol. II, ff. 115 v-116 r; J. C. PALACIOS GONZALO, Trazas y cortes de cantería…, cit., pp. 366-373.
70
J. RIVERA BLANCO, Juan Bautista de Toledo y Felipe II. La implantación del clasicismo en España, Valladolid 1984.
71
Juan de Herrera y su influencia, Actas del Simposio, (Camargo, 14-17 julio 1992), a cura di M. Á. Aramburu-Zabala, J. Gómez Martínez, Santander 1993;
C. WILKINSON ZERNER, Juan de Herrera, arquitecto de Felipe II, Madrid 1996; Biografía de Juan de Herrera, a cura di M. Á. Aramburu-Zabala, C. Losada
Varea, A. Cagigas Aberasturi, Santander 2003.
72
A propósito di tutte queste questioni si veda A. LÓPEZ MOZO, La cúpula de El Escorial: geometría, estereotomía y estabilidad, in Actas del Sexto Congreso
Nacional de Historia de la Construcción, (Valencia, 21-24 octubre 2009), Madrid 2009, II, pp. 763-776; A. LÓPEZ MOZO, La cúpula de El Escorial: configuración constructiva, in «Reales Sitios», 184, 2010, pp. 4-23; E. RABASA DÍAZ, A. LÓPEZ MOZO, El Escorial. Estereotomía de la piedra, in El Escorial: Historia, Arte,
Ciencia y Matemáticas, a cura di Mª T. Gutiérrez Alarcón, Madrid 2011, pp. 149-180.
73
A. LÓPEZ MOZO, Planar vaults in the Monastery of El Escorial, in Proceedings of the First International Congress of Construction History, (Madrid, 20th-24th
January 2003), a cura di S. Huerta, Madrid 2003, II, pp. 1327-1334, alle pp. 1330-1334.
74
A. BUSTAMANTE, F. MARÍAS, El Escorial y la cultura arquitectónica de su tiempo, in El Escorial en la Biblioteca Nacional, a cura di E. Santiago Páez, Madrid
1985, pp. 115-219, alla p. 129.
Lexicon - n. 22-23/2016
68
75
A proposito del profilo biografico e professionale del maestro, si veda A. BONET CORREA, La arquitectura en Galicia durante el siglo XVII, [Madrid 1966]
Madrid 1984, pp. 115-130; ID., Ginés Martínez de Aranda, arquitecto y tratadista de Cerramientos y arte de montea, in Cerramientos y trazas de Montea. Gines
Martinez de Aranda, Madrid 1986, pp. 13-34, alle pp. 20-23; L. GILA MEDINA, Ginés Martínez de Aranda. Su vida, su obra y su amplio entorno familiar, in
«Cuadernos de Arte de la Universidad de Granada», 19, 1988, pp. 65-81.
76
Cerramientos y trazas de Montea…, cit. Allo studio del manoscritto ha dedicato la sua tesi dottorale José Calvo López (J. CALVO LÓPEZ, Cerramientos
y trazas de montea de Ginés Martínez de Aranda, Tesis doctoral presentada por el Arquitecto Superior José Calvo López bajo la dirección del Doctor
Arquitecto Enrique Rabasa Díaz, Madrid, Universidad Politécnica de Madrid, Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Madrid, Departamento
de Ideación Gráfica Arquitectónica, 1999). Si può consultare anche J. CALVO LÓPEZ, El manuscrito Cerramientos y trazas de montea, de Ginés Martínez
de Aranda, in «Archivo Español de Arte», LXXXII, 325, 2009, pp. 1-18; ID., La literatura de la cantería…, cit., pp. 127-132.
77
Ivi, p. 129.
78
C. DE ROJAS, Teorica y practica de fortificacion, conforme las medidas y defensas destos tiempos, repartida en tres partes, Madrid 1598. Sui suoi trazados de can-
tería, si veda J. CALVO LÓPEZ, Los trazados de cantería en la Teórica y práctica de fortificación de Cristóbal de Rojas, in Actas del Segundo Congreso Nacional
de Historia de la Construcción, Madrid 1998, pp. 67-75; ID., La literatura de la cantería…, cit., pp. 125-127.
79
Ivi, p. 129.
80
A. CLOULAS, Origines et évolution du terme plateresco…, cit., pp. 151-152.