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L'INFINITO NUMERICO IN CANTOR E TOMMASO D'AQUINO

Il problema delle molteplicità infinite in Cantor e Tommaso d'Aquino

L’infinito numerico in Tommaso d’Aquino e Georg Cantor: per un confronto tra filosofia e matematica di Testi Claudio Antonio (Centro Studi Tomistici di Modena) I- Premessa 1 Prima di entrare nello specifico dell'articolo, vorremmo innanzitutto precisare che il motivo di fondo che spinge la nostra ricerca è la convinzione, maturata nel corso degli studi, che cultura filosofica (non solo intesa come epistemologia, ma anche come metafisica2) e cultura scientifica siano in realtà in un rapporto ben più stretto di quello che l'attuale separazione può far pensare. Alcuni problemi, infatti, sono materia di ricerca di entrambe le discipline (l'infinito è uno tra i tanti) e siamo convinti che uno studio da entrambi i punti di vista possa favorire in ambedue gli ambiti l'approfondimento speculativo. Del resto la netta separazione delle due culture è una caratteristica della sola età moderna e contemporanea. Platone infatti usava il nome "filosofia" anche per indicare la geometria e le altre scienze3, e lo stesso accadeva in Aristotele 4 e in S.Tommaso5 (che studiò a Napoli aritmetica e geometria6 e che nella maturità commentò tutte le opere fisiche dello Stagirita), per i quali la "filosofia teoretica" comprendeva metafisica, matematica e fisica. Galileo stesso si diceva astronomo filosofo7, e Newton e Dalton titolavano le loro opere rispettivamente Philosophiae naturalis principia mathematica (1686) e A new system of chemical philosophy (1808). Kant, invece, nella sua prima critica, inizia ad usare la parola "filosofia" per indicare un 1. Il presente articolo è scaturito da un seminario tenuto nell'ottobre 1994 al Centro Studi Tomistici di Modena: desideriamo quindi ringraziare per l'indispensabile collaborazione soprattutto il dott. Luigi Berselli e gli altri membri del Centro per le stimolanti osservazioni, nonché il prof. Gianfranco Basti per i suoi attenti consigli. Precisiamo inoltre che per la parte su Tommaso ci siamo avvalsi dell'Index Thomisticus di R. Busa, uno strumento tanto prezioso quanto necessario per elaborare complete ricerche filologiche. 2.S. Weinberg ammette che l'opera dei neopositivisti non ha una gran importanza agli occhi del fisico moderno, ma per lui "filosofia" ha un significato ristretto solo a questo ambito di pensiero [S. Weinberg, Dreams of a final theory, 1993 ; trad. it. di G. Rigamonti, Il sogno dell'unità dell'universo, Mondadori, Milano, 1993, pp. 172-197]: siamo convinti che la lettura di pensatori come Platone, Aristotele, Tommaso, Bergson, Heidegger, che, pur nelle diversità, si inseriscono nella tradizione metafisica e che maturano le loro categorie al di fuori dello sviluppo scientifico, avrebbero maggiormente interessato il grande fisico: a Prigogine del resto è accaduto proprio questo. 3. Cfr. Teeteto 143d; Timeo 88c. 4. Cfr. Metaf. VI, c.1 1026a 19-23. 5. Cfr. In VI Metaph. l. 1 n. 1116; cfr. S.Th. q. 1 a. 4, In I Ethic. l. 1 . 6.Cfr. Alvarez-Lazo, La filosofia de las matematicas en Santo Tomas, Editorial Jius. Mexico, 1952, pp. xix-xxi. 7. Cfr. G. Galilei, Istorie e dimostrazioni intorno alle macchie solari, Opere, Ed. Naz., Firenze, V, p.102. 1 ambito distinto dalla matematica8, ma è con Hegel che questo uso diviene esplicito e consapevole9, e tale si conserva tuttora. In quest'ottica il problema dell'infinito nel numero (non esamineremo infatti dettagliatamente l'infinito nel tempo, né quello in grandezza e divisione, né gli aspetti strettamente teologici della questione, richiedendo ciò una ricerca ben più ampia) ci è parso particolarmente adatto dal momento che è stato attentamente studiato da almeno ventiquattro secoli sia da filosofi che da scienziati "puri". Peraltro questo esame sarà condotto soprattutto su un piano storico-esegetico: per gli aspetti e le implicazioni tecniche del problema rimandiamo quindi ai citati lavori di Basti e Perrone, i quali stanno applicando proprio alla ricerca strettamente scientifica principi di ispirazione aristotelicotomista. In particolare, abbiamo deciso di limitare il confronto a Tommaso e Cantor perché, oltre agli ovvi motivi di spazio: - riteniamo che l'unica via da percorrere per uscire dall'attuale atmosfera di nichilismo compiuto, in cui l’aletheia è stata quasi totalmente cancellata dalle tante opinioni e/o assiomatizzazioni, è riprendere in considerazione le singole cose concrete, così che queste diventino il riferimento imprescindibile del linguaggio e del pensiero. In ciò Tommaso, nel quale il grande spessore speculativo è sempre unito a un sano buon senso realista, è certamente maestro. Si aggiunga anche che la teoria dell'infinito numerico dell'Aquinate è spesso misconosciuta, anche all'interno dello stesso tomismo; - Cantor, un autore ancora troppo poco studiato, considerato il suo valore, ma fondamentale per gli enormi influssi che ha avuto sul pensiero (non solo matematico) - avendo tra l’altro una notevole cultura filosofica - si segnala come particolarmente adatto per riavvicinare le monadi reciprocamente chiuse della scienza e della filosofia: nelle sue opere, infatti, i problemi, compreso quello dell'infinito, sono sempre analizzati nei loro aspetti non solo scientifici, ma anche filosofici e teologici. Del resto è lui stesso ad affermare: "Nel pubblicare queste pagine, voglio mettere in luce che le ho scritte avendo in mente due grandi gruppi di lettori: filosofi che hanno seguito lo sviluppo delle matematiche fino ad oggi, e matematici che hanno presente le più importanti opere di filosofia, antiche e moderne"10. E ancora: "La teoria generale degli insiemi appartiene completamente alla metafisica[...]. La fondazione dei principi della matematica e delle scienze naturali sono questione della metafisica. La metafisica deve quindi considerare queste due scienze non solo come sue ancelle e aiutanti, ma come sue bambine che non devono essere perse di vista, ma devono essere sorvegliate e controllate [...]".11 8. Cfr. I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, Lib. II, p. II, cap. 1; trad. it. P. Chiodi, Critica della ragion pura, Torino, 1967, p. 551. 9. La "filosofia" è "la considerazione pensante degli oggetti" [G. W. F. Hegel, Encyklopädie der philosophiscen Wissenschaften im Grundrisse, n. 2 ; trad. it. di B. Croce, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Bari, 1983, p. 4 ], mentre "Noi, quelle scienze che sono state chiamate filosofia, denominiamo invece scienze empiriche" [ibid. p. 12]. Medesima mutazione semantica permane anche in Heidegger, secondo il quale "filosofia vuol dire metafisica" [M. Heidegger, “Das Ende der Philosophie un die Aufgabe des Denkens”, in Zur Sache des Denkens, Niemeyer, Tübingen, 1969; trad. it. a cura di E. Mazzarella, “La fine della filosofia e il compito del pensiero", in Tempo ed essere, Guida, Napoli, 1980, p. 169]. 10. G. Cantor, "Grundlagen einer algemeinen Mannigfaltigkeitslehre", Ein mathematisch-philosophischer Versuch in der Lehre des Unendlichen, Teubner Leipzig, 1883. Il presente passo è una prefazione che non è contenuta nell'edizione delle opere curata da E. Zermelo [cfr. M. Hallett, Cantorian set theory and limitation of size, Clarendon Press, Oxford 1984, p. 7]. 11. Lettera di Cantor a padre Esser del 1883 contenuta in G. Cantor, Nachlass viii, p. 132. Circa gli intensi rapporti di Cantor con esponenti della cultura cattolica si veda J. W. Dauben, George Cantor. His mathematics and philosophy of the infinite, Princeton, University Press, Cap. 6. 2 II- La teoria di Tommaso d’Aquino sulle moltitudini infinite Come si sa, Aristotele e Tommaso non hanno alcuna difficoltà ad ammettere l'infinito in senso potenziale (concetto che implica l'esistenza in atto del finito) in qualsivoglia significato della parola "infinito" (in grandezza, divisione, tempo, numero): è per questo che qui esamineremo solo la posizione di Tommaso sulla possibilità e l'esistenza in atto di moltitudini infinite, la quale è invece meno nota, ma anche più interessante per i nostri fini 12. Tommaso analizza il problema delle moltitudini infinite in atto distinguendo tre diverse problematiche13, che ritroveremo anche all'interno dell'analisi cantoriana: 1- La possibilità 14 dell'esistenza di molteplicità infinite in atto, problema che corrisponde alla domanda: è contraddittorio il concetto di "moltitudine infinita di enti in atto" ?; 2- La possibilità da parte di Dio di creare molteplicità infinite ovvero: è contraddittorio il concetto "Dio crea una molteplicità infinita di enti" ? 12. Per l'ammissione di moltitudini infinite in potenza vedi ad es. S.Th. I.7.4 e Q. de Anima a. 18 ad 3 per l'infinità potenziale dei numeri. 13. A questo riguardo bisogna fare grande attenzione a leggere bene i problemi che enuclea Tommaso: "se ci possa essere una moltitudine infinita" ("utrum possit esse in rebus infinitum secundum multitudine" [ad es. S.Th.I.7.4]), "se Dio possa creare una molteplicità infinita in atto" ("utrum Deus possit facere infinita esse actu" [ad es. Quodl. IX a. 1]) e "se ci siano infinite cose" ("utrum sint infinita" [ad es. In III Phys. l.ix n. 363]) sono questioni ben diverse tra loro. 14. I concetti di possibilità ed esistenza potrebbero essere oggetto di uno studio a sé stante. Per attenuare l'inevitabile equivocità di questi termini sono quindi necessarie alcune precisazioni. Innanzitutto vanno distinti tre piani: a- ontologico: è il piano trans-soggettivo del mondo esterno al soggetto; b- noetico: è il piano psicologico-conoscitivo delle rappresentazioni del conoscente, i cui oggetti esistono solo dopo che il soggetto li ha conosciuti; c- "ideale": con questo nome indichiamo un piano i cui oggetti, senza spessore ontologico, esistono ancor prima che il soggetto li abbia conosciuti: è su questo piano, per esempio, che per Hilbert esistono gli "elementi ideali" (tra cui l'infinito) [cfr. nota 65], e su cui esistono le idee trascendentali kantiane. Sommariamente, potremmo poi caratterizzare nel modo seguente le posizioni metafisiche e/o meta-matematiche che principalmente interessano il presente studio: - in una prospettiva aristotelico-tomista esistono le sostanze prime (piano a-) e tutto ciò che si trova con esse in una relazione di intrinseca dipendenza; - per l’intuizionismo esistono gli individui e ciò che dalla loro intuizione è costruibile; - nel pensiero formalista esiste tutto ciò che non implica contraddizione; - nel platonismo tutto ciò che è, esiste già, indipendentemente dalla nostra conoscenza [cfr. nota 55 per i rapporti tra queste ultime due posizioni]. Da tali diverse istanze segue che un ente logico-matematico (sia un elemento, una proprietà o una teoria) esiste: - per l'aristotelismo-tomismo se è intrinsecamente dipendente dal piano a); - nell’intuizionismo, invece, se è noeticamente costruibile a partire dall’intuizione basilare (“duità”); - per il formalismo e, almeno nella pratica [cfr. parte III], per il platonismo, se è non-contraddittorio. Inoltre va detto che il linguaggio logico e matematico esprimono: per Aristotele e Tommaso il piano a- attraverso il piano b-; per gli intuizionisti il piano b-; per Hilbert e i platonisti logici il piano c- e b- [cfr. nota 54]); per i platonisti ontologici il piano a- (per es. in Cantor [cfr.III]) oppure in parte a- e in parte b-[per es. in Gödel; cfr. nota 66]). Precisiamo poi che, nel presente studio, "possibilità" è intesa semplicemente nel senso logico di non contraddittorietà, a prescindere da considerazioni di logica modale o da riferimenti al piano fisico (ove possibilità è spesso usato da antichi e medievali come sinonimo di "potenza" [cfr. S.Th.I.46.1 ad 2 per questa distinzione]). 3 3- L' esistenza ontologica di molteplicità infinite di enti ovvero: "esistono in atto moltitudini infinite di enti" ? A questo proposito è necessario vedere come Tommaso distingua diversi tipi di infinito: a) Infinito simpliciter (o secondo l'essenza) è ciò la cui infinità non è limitata a qualche aspetto determinato: è Dio e solo a Lui compete l'"infinità" senza ulteriori specificazioni, poiché ogni creatura è per lo meno finita sul piano entitativo avendo una forma che contrae l'essere a una natura determinata; b) Infinito secundum quid: ogni creatura è finita, ma può essere infinita secondo un certo aspetto: " [...] qualcosa oltre a Dio può essere infinito secondo un qualche determinato aspetto, ma non simpliciter"15; "nulla proibisce che qualcosa che è finito sotto un certo aspetto sia infinito sotto un altro aspetto: nell'ordine della quantità, per esempio, una superficie finita per larghezza può essere infinita per lunghezza. E così se ci fossero infiniti uomini, sarebbero infiniti solo relativamente cioè secondo la moltitudine: secondo l'essenza invece non avrebbero l'infinità, dato che ogni essenza sarebbe limitata entro una specie. Ma ciò che è infinito secondo l'essenza è Dio, come è stato detto nella prima parte"16 Un corpo è un ente finito, ma non è contraddittorio pensarlo infinito secondo l'estensione [cfr. anche S.Th.I.7.3], così come una molteplicità di creature è finita (in quanto composta da enti finiti), ma può ben essere pensata come composta da infiniti elementi. Siamo quindi di fronte a qualcosa che è finito secondo l'essenza, ma è infinito secondo un certo aspetto: vedremo come il transfinito cantoriano sia vicino a questo concetto di infinitum secundum quid17. Tommaso poi , con Al-Gazel, dopo aver diviso le molteplicità in due specie (per se e per accidens [De ver. 2.10]), applica questa divisione alle molteplicità infinite spiegandosi così: "Infatti una moltitudine si dice infinita per se, quando qualcosa esige che ci sia una moltitudine [necessariamente] infinita. E questo è impossibile che avvenga, perché se no qualcosa dipenderebbe da infiniti enti; e quindi la sua generazione non avverrebbe mai, perché non si possono attraversare infiniti enti. Invece una moltitudine si dice infinita per accidens quando qualcosa non esige una moltitudine necessariamente infinita, ma capita che sia infinita. Al lavoro del fabbro, ad es., una moltitudine è richiesta per se: esige infatti che ci sia la capacità di lavorare il ferro nell'anima, che ci sia la mano mossa dall'anima e che ci sia un martello. Se questi tipi di elementi [necessari] si moltiplicassero all'infinito, il lavoro del fabbro non si avrebbe mai, perché dipenderebbe da infinite cause. Ma se [ad ogni battuta] un martello si rompesse, ci vorrebbe una moltitudine di martelli, e questa sarebbe una moltitudine 15. " [...] aliquid praeter Deum potest esse infinitum secundum quid, sed non simpliciter" [S.Th.I.7.2]. 16. "Nihil prohibet aliquid esse infinitum uno modo quod est alio modo finitum: sicut si imaginemur in quantitatibus superficiem quae sit secundum longitudinem infinita secundum latitudinem autem finita. Sic igitur si essent infiniti homines numero haberent quidem infinita esse secundum aliquid, scilicet secundum multitudinem: secundum tamen rationem essentiae non haberent infinitatem, eo quod omnis essentia esset limitata sub ratione unius speciei. Sed illud quod est simpliciter infinitum secundum essentiae rationem, est Deus, ut in Prima Parte dictum est" [S.Th. III.10.3 ad 2]. Per le moltitudini infinite di enti della stessa specie come infinità secundum quid si veda anche De Pot. 1.2.ad 9 17. Cfr. G. Basti, Il rapporto mente-corpo nella filosofia e nella scienza, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1991 pp. 254 sgg. 4 per accidens: infatti è solo accidentale che molti martelli operino, e sarebbe indifferente [rispetto all'esistenza del lavoro del fabbro] che operino uno, due o più, o infiniti martelli (nel caso che si lavorasse per un tempo infinito)" 18 Molteplicità per se si hanno dunque quando esiste un elemento x che presuppone necessariamente (per se) ognuno degli elementi di quella molteplicità, i quali sono così tutti reciprocamente ordinati a quel successivo elemento x, di cui sono pre-condizioni. Una molteplicità è invece per accidens quando non c'è un elemento x che presuppone ognuno degli elementi della collezione, "quasi che siano [solo] posti nel medesimo luogo, e sarebbe indifferente se fossero uno, molti o più" [De Ver. 10.1])19: è superfluo notare a tal riguardo come la grande maggioranza delle molteplicità sono per accidens. 18. "Dicitur enim multitudo esse infinita per se, quando requiritur ad aliquid ut multitudo infinitas sit. Et hoc est impossibile esset, quia sic oporteret quod aliquid dependeret ex infinitis; unde eius generatio nunquam compleretur, cum non sit infinita pertransire. Per accidens autem dicitur multitudo infinita quando non requiritur ad aliquid infinitas multitudinis, sed accidit ita esse. Et hoc sic manifestari potest in operatione fabri ad quam quaedam multitudo requiritur per se, scilicet quod sit ars in anima et manus movens, et martellus. Et si haec in infinitum multiplicarentur, numquam opus fabrile compleretur: quia dependeret ex infinitis causis. Sed multitudo martellorum quae accidit ex hoc quod unum frangitur et accipitur aliud, est multitudo per accidens: accidit enim quod multis martellis operetur; et nihil differt utrum uno vel duobus vel pluribus operetur, vel infinitis, si infinito tempore operaretur." [S.Th. I.7.4]. "Una infinità i cui elementi non sono reciprocamente ordinati, è un infinito per accidens" ("Esse enim infinitum actu in his quae non habent ad invicem ordinem [corsivi miei], est esse infinitum per accidens" [Contra Gentes II.80 n. 1622 e); è la negazione della proposizione 1.3) nella nota seguente]. "Distinguit enim [si riferisce ad Al-Gazel] duplex infinitum: scilicet infinitum per se, et infinitum per accidens. Cuius distinctionis intellectus hinc accipi potest; quod cum infinitum principaliter in quantitate inveniatur, ut dicitur in I Physic.: si quantitas, in qua infinitum consistit habeat talem multitudinem cuius unaquaeque pars ab altera dependeat [vedi i modelli alle moltitudini per se in nota seguente] et certum ordinem habeat [1.3) vedi nota seguente], ita quod unaquaeque pars illius multitudinis requiratur per se; tunc infinitum in tali quantitate consistens dicetur infinitum per se: sicut patet in hoc quod baculus movetur a manu, manus a lacertis et nervis, qui moventur ab anima: quod si in infinitum procedunt ut scilicet anima ab alio moveatur, et sic deinceps, in infinitum, vel baculus aliquid aliud moveat, et sic deinceps, in infinitum, erit multitudo istorum moventium et motorum per se infinita. Si vero quantitas in qua consistit infinitum, resultet ex aliquibus pluribus qui eumdem ordinem servent [2.1)], et quorum numerus non requiritur nisi per accidens; tunc erit infinitum per accidens"[Quodl.IX a.1]. Si veda anche il citato De veritate 2.10 (ove la distinzione delle molteplicità prescinde dalla loro infinità), e soprattutto S.Th. I.46.2 ad 7 (in cui usa come esempio di una moltitudine per se l'insieme composto da un uomo generante, il sole, il corpo elementare..., cause per se della generazione di un uomo: in questo caso non è più vero che unaquaeque pars ab altera dependet, dato che la dipendenza vale solo per l'effetto finale) e ad 8 (in cui un insieme infinito di anime è detta moltitudine per accidens). Cantor si riferisce esplicitamente a S.Th. I.7.4 nella lettera del 7/4/1887 a Schlottman [G. Cantor, Nachlass vi, p.110; cfr. "Mitteilungen zur lehere von Transfiniten" III, Gesammelte Abhandlungen mathematischen un philosophischen Inhalts (Ed.Zermelo) Springer, Berlin, pp. 339-403]. 19. Volendo tentare un parallelo tra i testi citati sopra e i moderni concetti (meta)matematici, si potrebbe dire che: 0- Un insieme si dice "moltitudine" se ha almeno due elementi; 1- una moltitudine per se è una moltitudine P=A-{an} tale che: 1.1) A={a1,a2,...,an}; con questa scrittura si vuole esplicitamente indicare che a1 è il primo elemento e che non ci sono successori di an; 1.2) n= S(n-1), ove l'operazione di successione S indica la dipendenza di un elemento dal precedente. Da ciò inoltre segue evidentemente che n è un numero finito, non essendo un ordinale limite (numero transfinito che non è il successore di nessun numero); 1.3) Coroll. per ogni elemento ai di A-{a1} i=S(i-1) e quindi ogni elemento di A ha un certo ordine rispetto agli altri (certum ordinem habeat). Da ciò risulta che la molteplicità da cui an dipende sono tutti gli elementi di P; 1.4) da 1.2 e 1.3 segue che card(A)=n, Card(P)=n-1 e quindi gli elementi di P sono finiti; Un modello per questo set di assiomi è: a1=un uomo che conosca l'arte del fabbro, a2= movimento della mano, a3= martello nella mano, a4=lavoro del fabbro. Oppure an=il numero naturale n e a1=1, a2=2..., an=n cosicchè è una molteplicità per sè ogni insieme costruibile usando gli assiomi di Peano 1 ("1 è un numero naturale"), 2 ("il successore di un numero naturale è un numero 5 Ora, riguardo al primo problema, Tommaso rifiuta risolutamente, per quanto si tratti sempre di infinità secundum quid, la possibilità di molteplicità infinite per se. Questa nozione è infatti contraddittoria in quanto, da un lato afferma l'esistenza di un ultimo elemento, ma dall'altro ammette che questo dipende e quindi succede a un insieme di elementi che deve essere infinito e che, come tale, non è transitabile passo dopo passo: questa dipendenza non si ha invece se le moltitudini sono per accidens. Se si vuole fare un'analogia con la matematica, sarebbe come ammettere che un numero esiste solo dopo che si è contato uno ad uno un insieme infinito di numeri, ovvero dopo che si è "attraversato" effettivamente l'infinito [cfr. nota 19]. L'Aquinate ha invece un'interessante evoluzione circa la possibilità dell'esistenza di moltitudini infinite per accidens. Dopo aver posto il problema in questi termini senza prendere posizione al riguardo (De Ver. Q.2 a.10), egli dapprima rifiuta, con Averroè e contro Avicenna e Al-Gazel, la possibilità dell'esistenza di moltitudini infinite per accidens (S.Th. I.7.4; ibid. q.46.2 ad 7; Quodl.IX a.1), per due motivi principali: i) ogni moltitudine deve essere di una specie numerica [S.Th. I.7.4]20 ii) Dio, quando crea, determina sotto un certo numero [ibid.; Quodl.IX a.1] (facciamo notare che questo argomento riguarda la problematica 3). Successivamente, però, l'analisi concettuale dell'Aquinate diviene più precisa e nei commenti aristotelici egli giudica l'argomento i) solo probabile : "[Quindi Aristotele] mostra che non c'è un infinito secondo la moltitudine. Infatti ogni cosa che è numerabile può essere numerata e per conseguenza, è attraversabile numerandola.; ora, ogni numero e ogni cosa che ha un numero è numerabile; e quindi transitabile. Se quindi qualche numero, sia separato che esistente nelle cose sensibili, naturale") e 3 ("1 non è il successore di nessun numero"), senza evidentemente pensare i naturali come una totalità già esistente (cioè senza usare il principio di induzione). In questa interpretazione si può anche dire che ogni parte (escluso il primo elemento) dipende dalle altre (unaquaeque pars ab altera dependet). 2- Una moltitudine per accidens, invece, è un insieme tale che è una molteplicità e non è per se. Nei testi sopra citati Tommaso usa come esempio di tali moltitudini un insieme Q=B-{bn} tale che: 2.1) B= {B1,B2,...,bn}/si ha su B una partizione. La lettera maiuscola indica che ora stiamo parlando di insiemi di elementi e non di elementi per cui Bi= {x/ x appartiene a Bi}. Gli elementi dei diversi Bi svolgono quindi la medesima funzione Bi (eundem ordinem servent); 2.2) n= S(n-1); - Dati però questi assiomi non è più possibile dedurre che ogni elemento di B ha un certo ordine rispetto agli altri (=1.3)), ma solo che per ogni insieme di elementi Bi appartenente a B-{B1}, allora i=S(i-1); da ciò non segue più card(B)=n e card(Q)=n-1, nè segue che gli elementi di B o di C sono finiti; Un modello di 2- può essere B1=un uomo che conosce l'arte del fabbro, B2=movimento della mano, B3= un insieme di martelli che si rompono alla prima battuta, B4=movimento di uno dei martelli di B3 impugnato dal fabbro; Bn=lavoro del fabbro: è così solo accidentale che occorrano più martelli per avere il lavoro del fabbro. Se poi si ipotizza che il lavoro del fabbro duri in eterno, allora occorrono infiniti martelli (moltitudine infinita secundum quid). Un altro modello per 2- può essere: B1={x/ x=1/m} ove gli "m" sono tutti i numeri naturali, Bn=0. Gli elementi di B1 hanno la funzione di determinare il limite della successione 1/m, limite che è Bn=0. Ma non mi occorrono tutti gli elementi di B1 per determinare il limite di 1/m: mi basterebbe infatti anche un insieme C={x/ x=1/p} ove "p" appartiene a N-{3}. In questo senso l'insieme degli infiniti valori di una funzione e il limite della medesima sono una moltitudine infinita per accidens: ma moltitudini infinite per accidens possono essere detti tutti gli insiemi transfiniti di Cantor. 20. "Quia omnem multitudinem oportet esse in aliqua specie multitudinis. Species autem multitudinis sunt secundum species numerorum. Nulla autem species numeri est infinita: qui quilibet numerus est multitudo mensurata per unum, unde impossibile est esse multitudinem infinitam actu, sive per se, sive per accidens". 6 fosse infinito, seguirebbe che sarebbe possibile attraversare l'infinito, cosa che invece è impossibile. "Bisogna notare che questi argomenti sono solo probabili e sono tra quelle cose che sono comunemente sostenute. Ma non sono necessariamente conclusivi:[...] chi sostiene che c'è qualche moltitudine infinita non dice che per essa c'è un numero, o che abbia un numero, infatti il numero è la moltitudine misurata dall'unità, come è detto nel decimo libro della Metafisica. E per questo il numero è nella categoria della quantità discreta, ma non la moltitudine che è uno dei trascendentali"21 In altri termini Tommaso ci sta dicendo che la nozione di "moltitudine" appartiene, rispetto a quella di "numero", ad un piano più "profondo" e per questo non è necessario che una moltitudine abbia un numero 22: se penso diversi enti in quanto ognuno è indiviso in sé e diviso dagli altri, ricavo la nozione di moltitudine 23, mentre se conto, attraverso un’unità di misura omogenea, quanti sono gli enti della moltitudine colgo la nozione di numero. Tommaso dunque, pur continuando ad accettare la definizione aristotelica di numero come multitudo mensurata per unum, la quale limita il concetto di numero a quantità finite e determinate effettivamente, ritiene possibili molteplicità infinite per accidens negando appunto che ogni molteplicità (concetto trascendentale) debba avere un numero24. 21. "Secunda ratio ostendit quod non sit infinitum multitudine. Omne enim numerabile contingit numerari, et per consequens numerando transiri; omnis autem numerus, et omne quod habet numerum, est numerabile; ergo omne huiusmodi contingit transiri. Si igitur aliquis numerus, sive separatus, sive in sensibilibus existens, sit infinitus, sequetur quod possibile sit transire infinitum; quod est impossibile. Attendendum est autem quod istae rationes sunt probabiles et procedens ex hiis quae communiter dicuntur. Non enim ex necessitate concludunt: [...] qui diceret aliquam multitudinem esse infinitam non diceret eam esse numerum, vel numerum habere, addit enim numerus super multitudinem rationem mensurationis: est enim numerus multitudo mensurata per unum, ut dicitur in X Metaphys. Et propter hoc numerus ponitur species quantitatis discretae, non autem multitudo; sed est de trascendentibus." [In III Phys. l.viii n. 352; cfr. In XI Metaph.l.x n. 2328-9]. 22. Nemmeno Caitano pare avvedersi che la nozione di moltitudine non implica necessariamente la nozione di numero (cfr. testo citato da T. Centi nella nota 1 a S.Th. I.7.4); Selvaggi invece non segnala la distinzione moltitudine/numero [F. Selvaggi, Filosofia del mondo, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma, 1985, pp. 238-256], cosa che invece avviene in Avarez-Lazo [Alvarez-Lazo, op. cit., p. 86]. 23. Circa queste distinzioni sono fondamentali De Pot. q.7 a.9 e S.Th. I.30.3 ( in cui Tommaso sostiene che il Dio Trinitario può dirsi una moltitudine). Si veda anche: In X Metaph. l.iv n. 1993-98, ibid. l.viii n. 2090, In III phys. l.xii n.5, De Pot. 9.5 ad 22, In I Sent.24.1.2-3, S.Th. I.11.2-3. Anche Brentano ripropone simili distinzioni [cfr. E. Melandri, "I paradossi dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico", Omaggio a Husserl, Il Saggiatore, Milano, 1960, pp. 83-119, specialmente note 37 e 39; tale saggio è stato riedito nella Introduzione a B. Bolzano, I paradossi dell’infinito, Cappelli, Bologna, 1979]. 24. Cantor invece fa cadere la tesi secondo cui ogni molteplicità è finita poiché ogni molteplicità ha un numero, negando, con la scoperta dei "transfiniti", che ogni numero sia finito (da notare a questo proposito come già Tommaso parli di quantità e numeri infiniti [Quodl.IX a.1], che però, come vedremo, non ritiene esistenti). In questo senso il transfinito di Cantor è un "misto" tra le nozioni tommasiane di moltitudine e di numero, perché il tranfinito permette di contare una moltitudine che non è contabile con un numero finito. Che poi questo transfinito permetta davvero di contare è un'assunzione di Cantor, che - come vedremo - è sulla via di un approccio assiomatico del problema. Ricordiamo anche come invece Cantor (sulla linea di Alberto di Sassonia [ A. Maier, “Kontinuum, minima und aktuell Unendliches, in Die Vorläufer Galileis im 14. Jahrhundert, Roma, 1966; trad. it. di M. Parodi e A. Zoerle, Filosofia e scienza nel medioevo, Jaca Book, Milano 1984, pp. 288 sgg.]), attraverso il metodo della corrispondenza biunivoca, ritenga falsa la posizione tomista (che a nostro avviso è da considerarsi una "ipotesi" di cui non sarà mai mostrata la verità o falsità [cfr. nota 61]) secondo la quale la somma dei numeri pari e dei numeri dispari è maggiore dei soli numeri pari [Quodl.IX a.1 ad 1; S.Th. III.10.3 ad 3]. 7 Evidentemente, una volta ricavata questa distinzione, che tra l'altro è fondamentale anche in sede teologica [cfr. nota 23], cadrà anche l'argomento ii). Resta così aperta la sola possibilità di molteplicità per accidens infinite in atto, cosicché Tommaso dà risposta affermativa alla questione 2: " Inoltre fino ad ora non è dimostrato che Dio non può fare che ci siano infinite cose in atto"25 Tommaso dunque, dopo questa faticosa ricerca 26, conclude che è possibile che ci siano moltitudini per accidens infinite, ma da ciò non segue affatto che queste esistano (problema 3). Ora, da un punto di vista metafisico, già porsi due distinte domande circa la possibilità e circa l'esistenza degli enti, è estremamente rilevante perché significa non accettare l'assunto che, come vedremo, sta alla base di gran parte della matematica moderna, secondo il quale "possibilità implica esistenza" [cfr. III e IV]. Infatti, riguardo al problema 3, se è vero che ciò che è impossibile non esiste 27, e quindi non esistono moltitudini infinite per se in atto, resta aperta la domanda sull' esistenza di moltitudini infinite per accidens che Tommaso affronta dividendola in due questioni: 3a) l'esistenza di moltitudini infinite di enti fisici ; 3b) l'esistenza di moltitudini infinite di enti inestesi (tra i quali a noi interessano particolarmente i numeri)28. 25. "Praeterea adhuc non est demonstratum , quod Deus non possit facere ut sint infinita actu" [De Aeternitate Mundi n.310] (Tommaso sta discutendo intorno alla possibilità dell'esistenza di infinite anime separate [cfr. S.Th. I.46.2 ad 8]). Si noti la similitudidine e insieme la differenza di questa posizione tomista rispetto alla creazione nel tempo del mondo. Come si sa Tommaso dice che di principio non è dimostrabile ("nec demonstrative probari potest" S.Th. q.46 a1 e 2) nè che il mondo sia creato nel tempo, nè che sia eterno (creazione ab eterno): siamo di fronte perciò a un'affermazione di indecidibilità. Ma sulle moltitudini infinite per accidens la posizione è più debole: Tommaso afferma solo che non si è fino ad ora dimostrato che Dio non può fare molteplicità infinite per accidens, ma non asserisce che ciò non può di principio essere dimostrato. Resta invece di principio indimostrabile la verità di proposizioni che indicano infinità attuali per accidens [cfr. nota 62]. 26. Da un punto di vista esegetico la nostra linea interpretativa suppone che i brani dei commenti alla Fisica e alla Metafisica e il De Aeternitate Mundi siano posteriori a S.Th.I q.7 a.4 e al Quodl.IX e in ciò concordano (o possono concordare, considerando che per alcune opere si indicano periodi presunti) sia Grabmann, che Mandonnet che Waltz. In realtà, sebbene questi siano i brani espliciti sull'argomento, il nucleo teoretico della cauta posizione è la distinzione tra moltitudine trascendentale e numero, che ritroviamo ancora nel tardissimo testo di S.Th. III.30.3. Riguardo a Quodl. XII a.2 va notato come qui Tommaso non asserisca l'impossibilità da parte di Dio di creare moltitudini infinite ma di creare un corpo infinito in estensione (per la distinzione tra questi due problemi vedi anche ad esempio In III Phys. L.xii n. 7396). Di ciò non si avvede T. Centi (nota 2 a S.Th. I.7.4), come del resto non coglie tutte le distinzioni tra diversi infiniti quando asserisce, semplificando troppo il problema, che "[...] S.Tommaso dimostrò chiaramente l'impossibilità di un infinito attuale in tutto l'ordine creato" (La Somma Teologica vol. IV p. 16). Concordano con noi nel ritenere che Tommaso asserisca la possibilità di moltitudini infinite per accidens in atto Van Hagens [B. Van Hagens, Filosofia della Natura, Pontificia Università Urbaniana, Roma, 1983, p. 102] e Jolivet [R. Jolivet, Traitè de philosophie, Lyon-Paris, 1957; trad. it., Cosmologia, Morcelliana, Brescia, 1957 p. 18]; anche Artigas e Sanguineti ricordano le oscillazioni dell'Aquinate intorno a questo problema [M. Artigas- J. Sanguineti, Filosofia de la Naturaleza, Pamplona, 1989; trad. it., Filosofia della Natura, Le Monnier, Firenze, 1989]. Per un altro esempio di semplificazione della elaborata posizione tomista sull'infinito si può anche vedere P. Zellini, Breve storia dell'infinito, Adelphi, 1980, cap. 4. 27. Per Tommaso nemmeno Dio può far esistere ciò che è contraddittorio: vedi ad es. Quodl.XII a.1; S.Th. I.25.3 e 4. 28. Che Tommaso sia ben consapevole che per l'esistenza di moltitudini infinite sia necessario ricorrere a diverse considerazioni a seconda che si considerino enti fisici o inestesi, lo si può anche vedere in C.G.II.80 n. 1622, in cui 8 Ora, Tommaso può dirimere la questione 3a) avvalendosi di principi fisici che ritiene necessari [cfr. In XII Metaph. l.x n. 2339], e, in base a questi, nega l'esistenza di moltitudini infinite29. Infatti, secondo la filosofia naturale aristotelica, ogni moto di enti fisici ha una determinata direzione a seconda che si avvicini o allontani dai quattro luoghi dell’universo (alto, basso, destra, sinistra); ma se vi fossero infiniti enti fisici l'universo sarebbe infinito. Da ciò seguirebbe l'impossibilità di determinare, ad esempio, se un corpo si avvicini o si allontani dall'alto, dato che disterebbe sempre infinitamente da tale luogo: dunque non si potrebbe più parlare di una posizione e di una direzione determinata nel moto di un ente fisico [cfr. In I De Coelo l.xii n. 111 per il moto; In II De Coelo l.xx n. 481, In III Phys. l.ix n. 368-9 per il luogo]30. Per quel che riguarda il problema 3b), Tommaso asserisce l'esistenza di un numero potenzialmente infinito di numeri 31, ma non troviamo nell'Aquinate questioni esplicite circa la loro infinità in atto. A nostro avviso Tommaso conclude così per un duplice ordine di motivi che brevemente riassumiamo: 1- Da un punto di vista della sua filosofia della matematica, il piano fisico-ontologico e quello logico-matematico sono intimamente collegati, e il secondo dipende in qualche modo dal primo, così che, se finiti sono gli enti fisici, allora finiti sono anche i numeri che li esprimono. A questo proposito è opportuno ricordare che Aristotele e Tommaso si sforzano di mostrare ai matematici che a loro non è necessario l'infinito attuale32: invece non si è sempre colto33 che questo sforzo è l'Aquinate precisa che Aristotele non è esplicitamente contro un numero infinito di sostanze spirituali in atto perché nella Physica e nel De Coelo [I, Cap. 6-7; In I De Coelo, lect. xiii-xiv] lo Stagirita dimostra solo che non ci sono (non esse) moltitudini infinite in atto di corpi. Si noti che, su un piano teologico, che esula dalla nostra ricerca, Tommaso non prende posizione circa il numero finito o infinito degli angeli [S.Th. I 50.3], mentre considera infinite le idee divine [De Ver.2.10 ad 1]. 29. "Singularia non sunt infinita actu, sed in potentia tantum" [S.Th, I-II.14.6 ad 1; cfr. De Ver. 19.2 ad 1, Q. de Anima 20 ad 13. In S.Th. III.10.3 e De Ver. 20.4 ad 1 si precisa inoltre che infiniti singolari in atto nè ci sono nè ci saranno. In C.G. I.69 n.591 e S.Th.I.14.12 ad 3 si dice che sebbene non ci siano infiniti singolari in atto, nell'ipotesi che ci fossero Dio li conoscerebbe tutti]. 30. Non è possibile addentrarci ulteriormente in queste tematiche, poiché per trattarle adeguatamente si dovrebbero spiegare i concetti aristotelici di luogo, posizione e moto, e metterli in relazione alla dinamica moderna (in cui, ad esempio, si accetta una relatività delle direzioni dei moti e delle posizioni degli oggetti) e al problema dell’infinità del cosmo. Sono però opportune alcune rapide osservazioni riguardanti l'Aquinate: A- I luoghi fondamentali in cui Tommaso tratta questi temi sono i commentari aristotelici (In III Phys.; In I De Coelo l. ix-xv; In XI Metaph. l.x). B- Il problema principale di questi trattati è quello di determinare se esista o meno un corpo infinito in estensione e/o se l'universo sia infinito (soprattutto In De Coelo). Oltre alla località e alle direzioni, le altre basi fisiche su cui poggiano le occasionali dimostrazioni del numero finito degli enti corporei sono: - Il numero dei moti fondamentali: ad es. In I De Coelo l.xiii n.130; - La struttura dell'universo: si asserisce che non può esistere un corpo infinito anomeomero (avente parti diverse), con parti di infinite specie (e quindi un numero infinito di enti), perché altrimenti vi sarebbe un numero infinito di specie di elementi materiali - il che è impossibile [In III Phys. l.ix n. 363]. Si noti però come in In I Phys. l.xi n. 88 e In III Phys. l.viii n. 354 Tommaso precisa che la finitezza degli elementi è qui solo probabile e supposta (non abbiamo trovato testi in cui la dimostri apoditticamente), mentre sarebbe conseguenza necessaria se si ammettesse un numero finito di moti fondamentali in base a cui gli elementi si diversificano: In I De coelo l. xiii n. 130). 31. "Species figurarum et numerorum et huiusmodi, non sunt infinitae in actu sed in potentia tantum" [Q. de Anima 18 ad 3]. 32. Fisica III c.7 e commento di Tommaso; si veda anche l'ottimo R. Mondolfo, L'infinito nel pensiero dell'antichità classica, La nuova Italia, Firenze, 1956, parte III cap. V. 9 anche accompagnato da una diversa teoria matematica e, quindi, non è semplicisticamente spiegabile attribuendo ad Aristotele e Tommaso scarsa intelligenza del problema matematico34; 2- Da un punto di vista gnoseologico Tommaso ammette che il nostro intelletto, per mezzo del concetto universale, abbia una certa conoscenza di cose simili potenzialmente infinite35, ed anzi la capacità di estendersi a infinite cose mostra per Tommaso l'immaterialità dell'intelletto umano36, ma riconosce anche che l'atto noetico umano conosce propriamente diverse cose singolari una dopo l'altra [De Ver.1.9; cfr.S.Th. III.2.3 ad 2]: perché mai ammettere dunque un infinito numerico attuale se non lo possiamo propriamente conoscere? Che utilità potrebbe infatti derivare da questa ammissione?37 Viste anche queste precisazioni, possiamo concludere che per Tommaso il concetto di "moltitudine per accidens infinita in atto": - è possibile dato che le nozioni di "moltitudine" e "infinito", appartenendo a diversi "ambiti" (trascendentale il primo, categoriale il secondo) non si contraddicono, nè si sono trovati fino ad ora (adhuc38) argomenti per mostrarne la contraddittorietà; - è una nozione di cui, anticipando il contenuto della nota 62, in sé non se ne potrà mai mostrare nè la verità nè la falsità dato che, realisticamente (e quindi tomisticamente) parlando, la verità o falsità di un enunciato è fondata da ultimo negli individui della realtà esterna, che l'esperienza umana coglie sempre in numero finito. Questo esame abbastanza analitico della posizione di Tommaso, che risulta ben più complessa di quanto comunemente si affermi39, ci permetterà ora di cogliere pienamente come la 33. Per una constatazione del fatto che questo misconoscimento si trova anche in insigni studiosi si veda ad esempio A. During, Aristoteles- Darstellung und Interpretation seines Denkens, Heidelberg, 1966 (trad. it. di P. Donini, Aristotele, Mursia, Milano, 1976, p. 298) e A. Taylor, Plato. The man and his work, London, 1968 ; trad. it. di M. Corsi, Platone. l'uomo e l'opera, La Nuova Italia, Firenze, 1990 (rist. anastat.) pp. 783 sgg. 34. Basti e Perrone stanno usando una matematica di ispirazione aristotelico-tomista anche in campo scientifico, ottenendo interessanti risultati: si veda ad es. G. Basti- A. Perrone, "Le radici forti del pensiero debole: il nichilismo e i fondamenti della matematica", Con-tratto: rivista di filosofia tomista e contemporanea, a.1 n.1 Dicembre 1992, pp. 13-82; G. Basti- A. Perrone, "Time and non locality. From the logical to metaphisycal beeing. An Aristotelianthomistic approach", Studies in Sciences and Theology, Labor et Fides, Ginevra, 1994, pp. 31-74. 35. In questo senso l'universale aristotelico-tomista si può avvicinare al transfinito cantoriano [G. Basti, op. cit., p. 254-261]. 36. "Il conoscere, il cui oggetto è in vero, e il volere, il cui oggetto è in buono, [sono] infiniti simpliciter [...]: entrambi si rapportano a ogni cosa, ed entrambi sono specificati dall'oggetto. È invece infinito secundum quid il sentire, che si rapporta a tutte le cose sensibili come il vedere a tutte le visibili" [S.Th. I.54; cfr. De Spir. Creat. 10 ad 7]; "La virtù intellettiva è in qualche modo infinita perché non è limitata dalla materia. Così che può conoscere l'universale, che in qualche modo è infinito, in quanto ha la caratteristica di contenere in potenza infiniti elementi" [Q. De anima 18 ad 3; cfr. De Veritate 15.2, ibid. 20.4, ibid. 2.9, C.G. II.49, ibid I.43.10, Comp.Theol. 1.133, S.Th. I-II 2.6 ad 6, ibid. I-II 30.2, ibid. 86.2]. 37. In questo senso riteniamo applicabili anche ai numeri le considerazioni di Tommaso, certo non perfettamente apodittiche anche se aventi un loro valore, circa il rifiuto di ammettere infinite specie di elementi dato che non le potremmo conoscere: "Elementa etiam esse infinita impossibile est; quia sic sequeretur quod essent ignota et eis ignota omnia ignorarentur" [In XI Metaph.l.x n. 2349; per analoghe considerazioni sul rifiuto di infiniti luoghi naturali perché a noi ignoti si veda In III Phys. l.ix n. 363]. Il medesimo argomento, unito a un sano buon senso realista, guida Tommaso nel rifiutare la tesi di Al-Gazel circa l'esistenza di infinite anime separate: "Sed tamen ratio non est multum utilis: quia multa supponit" [II Contra Gentes c. 38 n. 1148; cfr.Comp.Theol. art. 171]. 38. Ed è un "fino ad ora" che vale anche per il contemporaneo, dato che la gran parte delle antinomie logicomatematiche riguardano le classi (insiemi di tutti gli insiemi) e non gli ordini inferiori dei transfiniti. 39. Cfr. nota 26. 10 fondamentale speculazione cantoriana sull’infinito, che tanto ha inciso sullo sviluppo matematico e filosofico, si differenzi profondamente, nelle sue radici metafisiche, da quella dell’Aquinate. III- La teoria cantoriana dell’infinito e la sua influenza nei successivi dibattiti sui fondamenti della matematica Anche Georg Cantor, colui che da E. Zermelo è stato definito il creatore della disciplina denominata "teoria degli insiemi", ha affrontato, oltre alla fondamentale questione del continuo40, la stessa triplice problematica relativa alle molteplicità infinite che aveva impegnato lungamente Tommaso d'Aquino. Ciò può apparire strano, considerando che di Cantor, uomo di straordinaria cultura, non viene spesso ricordato il background filosofico e teologico che fa da sfondo alla sua produzione matematica, il che finisce per dare una visione estremamente parziale della sua opera. Innanzitutto egli distingue tre tipi di infinito: a) Infinito potenziale: "L'infinito potenziale si ha in presenza di una quantità finita, illimitata e variabile che si accresce oltre ogni limite (per es. il tempo che si conta a partire da un certo momento iniziale) o che decresce sotto ogni piccolo limite finito (per es. la corretta presentazione del così detto differenziale). Più in generale, parlo di un infinito potenziale ogni volta che si tratta di una quantità indeterminata capace di innumerevoli determinazioni"41. È il cosiddetto infinito improprio, cui Cantor riconosce un ruolo importante nella scienza 42, e che riprende il concetto già elaborato da Aristotele. 40. In questo studio, per semplici motivi di spazio, non si affronterà quello che per Cantor e per la matematica moderna è sicuramente il principale problema dei fondamenti ovvero il problema del continuo: è però opportuno riassumerne, anche se sommariamente, almeno la storia. Le origini dell'analisi infinitesimale moderna risalgono - come è noto - agli studi di Leibniz e Newton. Quest’ultimo, con la scoperta delle serie convergenti e dell'"analisi infinita", riuscì ad escogitare un modo per tematizzare infinità numeriche, "scoprendone" la loro convergenza verso un certo "limite": in questo modo veniva a cadere l'argomentazione sulla "intransitabilità" dell'infinito, argomento che troviamo in un certo senso già in Zenone, ma che Tommaso fa proprio solo per moltitudini per sé [cfr. nota 19]. Col metodo newtoniano si poteva infatti determinare il limite di una serie infinita, senza per questo aver fatto tutti i "passi" della serie stessa (il che in ogni caso non dimostra che questa totalità infinita, se considerata in atto, sia non-contraddittoria). Questa teoria però implicitamente presuppone da un lato la nozione di numero reale e di spazio continuo (nel caso in cui, ad esempio, il limite sia un numero irrazionale), mentre dall'altro lato (se si accetta il moderno concetto di funzione intesa come relazione che associa a ogni elemento del dominio un solo elemento del codominio) esige l'esistenza in atto di tutti i numeri, dai naturali fino ai reali. Cantor comprese perfettamente ciò e infatti cercò in ogni modo di "costruire", a partire dai naturali (aritmetizzazione dell'analisi), la totalità "ordinata" dei reali attraverso un processo di densificazione degli ordinali. Lo sforzo però di dimostrare che l'insieme-potenza dei naturali (equipotente al "continuo", cioè alla totalità dei reali) fosse equipotente alla totalità degli ordinali ricavabili dai naturali, fu vano, così che fu necessario porre questa equipotenza in modo assiomatico (ipotesi del continuo): i lavori di Gödel e Cohen hanno poi dimostrato che tale ipotesi è indipendente dagli altri classici assiomi della teoria degli insiemi. Quindi la grandezza di Cantor sta anche - e soprattutto - nell'aver colto perfettamente che tutta l'analisi moderna si fonda su e presuppone il concetto di continuo numerico attuale. 41. G. Cantor, "Mitteilungen zur Lehre vom Transfiniten", 1, II, in Zeitschrift fur Philosophie und philosophische Kritik, nn. 91-92, 1887-88, ora in Gesammelte...cit., p. 401. 42. G. Cantor, op. cit., pp. 171-172 (trad. it. in G. Rigamonti (a cura di), La formazione della teoria degli insiemi, Sansoni, Firenze, 1992, p. 86). 11 b) Infinito attuale: "Per infinito attuale bisogna intendere una quantità che da un lato non sia variabile, ma che sia fissa e determinata in tutte le sue parti - una vera costante - ma che allo stesso tempo sorpassi in grandezza ogni quantità finita dello stesso tipo"43. Questo può essere di due specie diverse: b1) Infinito attuale transfinito: "Questo è in sé costante, e più grande di ogni finito, ma sebbene sia senza restrizioni, è incrementabile e da questo punto di vista è quindi limitato" 44. In questa chiara formulazione di un infinito attuale ma incrementabile perché non assolutamente infinito convergono idee che già troviamo all'interno del pensiero di Spinoza e di Giordano Bruno 45, come Cantor esplicitamente riconosce 46, ma anche di Tommaso (concetto tomista di infinitum secundum quid per accidens). c) Infinito attuale Assoluto: "[...] non può in nessun modo essere incrementato o diminuito e quindi può essere considerato da un punto di vista quantitativo come un massimo assoluto. In un certo senso trascende la capacità umana di comprensione, ed in particolare al di là di ogni determinazione matematica"47. È, come l'Infinito simpliciter di Tommaso, non incrementabile perché infinito sotto ogni determinazione, e per questo non è determinabile matematicamente. Cantor quindi si differenzia dal suo avversario Kroneker il quale (come più tardi Poincarè con il predicativismo e Russell) riteneva considerabili attualmente solo infinità numerabili; ed ancor più lontano viene così a trovarsi da tutti coloro che (come gli intuizionisti quali Brouwer ed Heyting, o come i "nominalisti costruttivi" quali Goodmann e Quine) continueranno a negare ogni tipo di infinità attuale. Il "paradiso di Cantor" verrà invece difeso da tutti i "platonisti", sia dai platonisti logici (Hilbert e la sua scuola, il secondo Russell) che dai platonisti ontologici (il primo Russell, Gödel) tra i quali è da includere lo stesso Cantor48. Ora, come Tommaso, Cantor riconosce evidentemente che il concetto di moltitudine infinita non è contraddittorio, ma, in esplicita polemica con l'Aquinate, egli afferma che ogni moltitudine infinita ha un numero, numero di natura evidentemente diversa dai numeri finiti e che Cantor definisce appunto "numero transfinito"49 . Il transfinito “cardinale” è infatti il numero di elementi che formano un insieme infinito50. Ma Cantor va ben oltre Tommaso. Innanzitutto per i numeri e per i concetti in generale, distingue una duplice realtà: 43. G. Cantor, op. cit., p. 401. 44. Lettera di Cantor a A. Schmid del 1887, in G. Cantor, Nachlass vi, p. 99. Ricordiamo che per Cantor il transfinito è incrementabile attraverso il passaggio all'insieme-potenza (o l'aggiunta di un ordinale limite per insiemi di numeri ordinali), cosa che ancora a Bolzano non era del tutto chiara dato che riteneva R<(R x R) [cfr. M. Hallett, op. cit., p. 25 ]. 45. Per una chiara, seppur breve, esposizione dell'infinito nei due pensatori si può vedere B. Spaventa, Rinascimento, riforma e controriforma, Venezia, 1928, pp. 220-238. 46. G. Cantor, op. cit., pp. 205-6. 47. G. Cantor, op. cit., p. 401. 48. La presente classificazione è tratta dall'ormai classico libro di E. Casari, Questioni di filosofia della matematica, Feltrinelli, Milano, 1964. 49. G. Cantor, Nachlass vi, p. 110. 50. Nel presente studio non entreremo nel merito della distinzione cantoriana tra numeri cardinali ed ordinali. Per il rapporto tra insieme/elementi, intimamente legato al rapporto intensione/estensione rimandiamo alle precise analisi di Hallett, che contrasta l'estensionalismo di Cantor con l'impostazione più intensionale di Russell e Frege. 12 "Possiamo parlare - scrive Cantor nella sua fondamentale opera del 1883 - di realtà e di esistenza dei numeri interi, finiti come infiniti, in due sensi; a rigore, però, si tratta ancora degli stessi due rapporti sotto i quali può essere considerata in generale la realtà di concetti e idee qualsiasi. Innanzitutto possiamo considerare reali i numeri interi nella misura in cui, sulla base di certe definizioni, essi occupano nel nostro intelletto un posto assolutamente determinato, sono perfettamente distinti da tutte le altre parti costitutive del nostro pensiero, stanno con esse in relazioni determinate e modificano quindi la sostanza del nostro spirito in maniera definita [non contraddittorietà delle teorie; nota mia]; mi sia concesso di chiamare intrasoggettiva o immanente questa specie di realtà dei nostri numeri [esistenza noetica; nota mia]. Ma si può anche concedere una realtà ai numeri nella misura in cui essi sono da considerare espressione o immagine dei processi e relazioni del mondo esterno che sta di fronte all'intelletto [...]. Chiamo transoggettiva o transiente questa seconda specie di realtà dei numeri interi [esistenza ontologica; nota mia]."51 E dopo questa distinzione Cantor afferma, rispondendo così al problema 3-: "Dato il fondamento totalmente realistico, ma insieme anche totalmente idealistico, delle mie riflessioni, per me non c'è alcun dubbio che queste due specie di realtà siano sempre unite, nel senso che un concetto che va giudicato esistente nella prima accezione possiederà sempre, sotto certi aspetti (anzi sotto infiniti), anche una realtà transiente..."52 Ecco qui enucleato in maniera esplicita e chiara il principio metafisico secondo il quale la coerenza (o possibilità intesa come non-contraddittorietà) di una teoria è condizione sufficiente per l'esistenza (sia questa immanente, transiente o ideale [cfr. nota 14] ) degli oggetti che caratterizza53: è questa una delle istanze che separano "infinitamente" gran parte della logica e della matematica moderne da un approccio tomista, ed è stato uno dei temi che ha causato le più radicali "fratture" nei successivi dibattiti sui fondamenti della matematica. Infatti, a seconda che si accetti o meno questo principio in un ambito esclusivamente logico-matematico (cioè prescindendo dalle differenti posizioni riguardanti il significato ontologico, noetico o ideale dei simboli logici), si determinano nella pratica due interpretazioni profondamente diverse della matematica, rispetto alle quali anche le tesi che differenziano per es. logicismo, formalismo, platonismo logico, platonismo ontologico, intuizionismo e predicativismo divengono secondarie. Da questo punto di vista, infatti, risulta una netta bipartizione: - Da un lato, tra i principali autori che lo accettano troviamo: Cantor, Hilbert, Bernays, Cohen, ed i platonisti logici e/o ontologici (tra cui ad es. Russell, Gödel, Fraenkel) 54. Questi autori, 51. G. Cantor, Gesammelte...cit., pp. 181-183. Per un confronto tra coerenza cantoriana (=realtà immanente) e consistenza logica si può vedere M. Hallett, op. cit., pp. 20-24. 52. G. Cantor, op. cit., pp. 181-183; cfr. Nachlass vi, pp. 52-53. 53. Da un punto di vista teologico Cantor afferma, in consonanza con Agostino, che il transfinito esiste almeno come idea nell'intelletto divino che lo pensa, e quindi è non solo creabile (problema 2-), ma anche creato, perché in questo modo Dio manifesta la sua potenza [per tutto ciò si veda M. Hallett, op. cit., p. 20-24]. Si noti che, anche prescindendo completamente dal discorso teologico, il fisico e il matematico moderno usano domini con infiniti numeri e quindi suppongono che esistano in qualche modo tutti quanti: ma chi li ha mai visti tutti? Cantor ed Agostino danno in fondo una risposta a questa lecita domanda. 54. Per Hilbert in ogni sua opera edita si può ritrovare il suddetto principio; per il lettore italiano si veda l'eccellente raccolta D. Hilbert, Ricerche sui fondamenti della matematica, Bibliopolis, 1978, pp. 143, 157, 170, 175 sgg., 195, 13 infatti, pur nelle diversità teoriche, sono accomunati nella pratica dal ritenere che i simboli della logica e della matematica, non necessitando di fondamenti extra-linguistici, possano essere "scritti" alla sola condizione che non si contraddicano: questo permette loro di pensare, come Platone, che questi simboli descrivono proprietà godute o meno da oggetti che "già" esistono, almeno idealmente. In altri termini: ogni platonismo teorico implica l'accettazione pratica del principio in questione. Infatti, per sostenere la validità di certi assiomi "platonici" (come ad es. il principio di comprensione, il terzo escluso per qualsiasi insieme di elementi o l'assioma di scelta), al platonista, che non sempre può mostrare concretamente gli oggetti caratterizzati da tali assiomi, non resta che appellarsi al fatto che da questi utili assiomi non sono derivate (o non sono derivabili) contraddizioni55. -Per contro, tra coloro che più esplicitamente rifiutano il principio, troviamo gli intuizionisti. Per gli intuizionisti logica e matematica sono espressioni linguistiche di esperienze interiori e quindi, dato che ogni discorso - anche quello matematico- esprime il piano noetico, ne segue che un oggetto possibile (ad esempio un numero con certe caratteristiche non contraddittorie), ma per il quale non si conoscono regole di costruzione, non esiste matematicamente e quindi non si può dire che "già" gode o non gode di certe proprietà56. Da ciò segue che, quando si tematizzano totalità infinite i cui elementi sono definiti senza intuizionistiche “leggi di spiegamento”, viene a 253, 276 [cfr. nota 66]. Per Bernays si veda il Par. 1 dei Grundlagen der mathematik, scritto con Hilbert [ ibid. pp. 341 sgg.]. Per Cohen rimandiamo a Set theory and continuum ipothesys, New York, 1966, cap.IV, la cui tesi di fondo è, come ben espone Lombardo-Radice, che "non tutto ciò che è pensabile senza contraddizione è di necessità costruibile" [L. Lombardo-Radice, L'infinito, Ed. Riuniti, Roma 1981, p. 119]. Per il platonismo degli altri autori si veda ad esempio: A. Fraenkl, Set theory and logic, Addison-Wesley, 1966, pp. 53 sgg.; K. Gödel, "What is Cantor's Continuum problem", in Philosophy of mathematics a cura di P. Banacerraf- H. Putnam, Englewood Cliffs, N. J. 1964, trad. it. in C. Celucci (a cura di), La filosofia della matematica, Laterza, Bari 1967. Facciamo notare che questa bipartizione è in parte già presente in Bouwer, il quale considera "formalisti" anche Russell, Zermelo e Cantor [L. E. J. Brouwer, Brouwer's Cambridge Lectures on Intuitionism, Cambridge 1981, trad. it. a cura di S. Bernini, Boringhieri, Torino 1983, p. 28] 55. Per dire che non basta rifiutare nella teoria il principio suddetto, come si limitano a fare Russell e Frege [B. Russell, Principles of mathematics, 1902, Introduzione alla II edizione; Lettera di Frege a Hilbert del 6 Gennaio 1900 in G. Frege, “Unbekannte Briefe Frege’s über die Grundlagen der Geometrie und Antwortbrief Hilbert’s an Frege”, pubblicate a cura di Max Steck nei Sitzungsberichte der Heildelberger Akademie der Wissenschaften; mathematischnaturwissenschaftliche Klasse, 1941; trad. it. di C. Mangione in G. Frege, Logica e Aritmetica, Boringhieri, Torino, 1965 p. 466 sgg.], quando poi nella pratica vi si fa ricorso. Infatti, non è forse vero, ad esempio, che Russell ha continuato a ritenere valida la nuova formulazione del principio di comprensione perché questa evitava l'originaria antinomia che tanto impensierì Frege? È anche opportuno notare come questi autori non si pongano in realtà l’obiettivo di fondare la matematica (la cui "verità" è affidata a imprecise argomentazioni circa l'evidenza degli assiomi [cfr. nota 66]), ma mirano a fondare il solo rigore della deduzione matematica. Hilbert, invece, sottolinea giustamente l'insufficienza di un tale appello all'evidenza: infatti, per usare le parole di Abrusci, "Hilbert riconosce contenuti ed evidenza anche alla matematica transfinita [...] e però non riconosce a quei contenuti e a quell'evidenza una capacità di mettere al riparo la matematica da ogni critica e di garantirle dunque una piena sicurezza. Perciò possiamo dire che per Hilbert ogni matematico nella pratica è un platonista, ma la matematica non si può fondare in modo platonistico; così Hilbert è un platonista nella pratica, non lo è nella fondazione della matematica" [in D. Hilbert, op. cit., p. 105]. Infatti, come si può intuire dalle sommarie caratterizzazioni date alla nota 14, l’istanza metafisica formalista fonda quella platonica, ma non viceversa, dato che il platonismo (almeno quello matematico) di per se’ spiega solo “come” esistono gli oggetti senza indicare quale caratteristica gli enti devono soddifare per considerarsi esistenti. 56. Per esemplificare, ci si chieda "se esiste un numero naturale n per cui, nello sviluppo decimale di l'n-esima, l'n+1 -esima,..., l'n+8 -esima e l'n+9 -esima cifra formano una successione 0123456789. A tale problema, che si riferisce a un'asserzione finora non giudicabile, non si può dare risposta nè in positivo nè in negativo. Ma allora, dato che non vi sono verità matematiche al di fuori del pensiero umano, dal punto di vista intuizionista, l'asserzione che nello sviluppo decimale di  compaia o meno una successione 0123456789 è priva di senso" [L. E. J. Brouwer, Brouwer's Cambridge Lectures...op. cit.; trad. it. di S. Bernini, Boringhieri, Torino 1983, p. 30-31]. 14 cadere, come fa notare anche Weyl57, la validità universale del principio del terzo escluso: infatti la dimostrazione della non impossibilità (= possibilità) che qualche elemento di un insieme infinito goda di certe proprietà, non è da questo punto di vista sufficiente per affermare che esiste un elemento che ha questa proprietà, dato che non sempre questo è costruibile58. Ritornando a Cantor, è opportuno osservare che vi sono altri temi importanti che emergono dalla sua ricerca sulle molteplicità infinite. Infatti, nel suo eccellente studio, Hallett spiega come Cantor abbia influenzato anche per altri motivi la matematica moderna e come l'attuale crisi epistemologica che interessa la logica e la matematica sia causata da tre nuclei teorici che da Cantor in poi sono alla radice delle suddette discipline. Vediamoli brevemente. 1) Dopo Cantor la matematica, da scienza del divenire, diviene scienza dell'essere; in altri termini da Cantor in poi diviene scontato, nel lavoro del matematico, definire a priori il dominio di variazione di una funzione. "Ogni infinito potenziale presuppone un infinito attuale ": così Hallett sintetizza il primo dei tre principi59 fondamentali della teoria cantoriana, esposti nel 1886 in un'opera di carattere filosofico. Ad esempio, tramite l'operazione di successore non posso definire tutti i naturali perché per quanto la applichi, avrò sempre un numero finito di naturali (per quanto potenzialmente infinito): ora il principio a) (peraltro strettamente legato al principio b)) ci assicura che i naturali già esistono tutti, così che definirò la funzione "successore" da un dominio a priori già determinato (N) a un certo codominio. Giustamente Hallett fa notare come la definizione a priori di un dominio attualmente infinito fosse necessaria alla matematica di quei tempi per definire i razionali tramite i naturali e i reali tramite i razionali, e probabilmente per questo il transfinito di Cantor fu accettato dai matematici come Dedekind che miravano ad aritmetizzare l'analisi ( e cioè a definire i reali partendo dai naturali) [cfr.M.Hallet, op.cit., pp. 24-32]. 2) Già in Cantor, nella sua teoria dell'Assoluto (principio c) [cfr. nota 58] troviamo l'idea della limitazione delle dimensioni per mezzo di insiemi che non possono essere elementi di altri, così come teorizza l'impostazione di Von Neumann [ibid. p. 48, p. 289]. 3) Nel pensiero cantoriano troviamo le principali cause per cui ora in matematica si ha un approccio assiomatico al problema dei fondamenti. Infatti, nella sua lettura della storia dell'insiemistica Hallett sostiene che l'assiomatica moderna (i cui sistemi in realtà non limitano le dimensioni, ma si assume solo che le limitino) non nasce tanto per le antinomie, ma soprattutto perché: a) il concetto di "insieme" in Cantor era poco chiaro (e tale è rimasto fino ad ora), così che per sfuggire alle critiche di Frege intorno alla contraddittorietà del concetto di insieme come "uno e molti" Cantor è stato costretto ad aderire ad un approccio sempre più formale (totalmente assente nelle prime opere) [ibid. p. 300]60; 57. H. Weyl, Das Kontinuum, Belino, 1918; trad. it. di A. B. Veit Riccioli, Il continuo, Bibliopolis, Napoli 1977 p. 34 sgg.. 58 Come si è visto Tommaso è da annoverarsi, per questo tema, tra questi ultimi autori, cui si avvicina anche per il problematico rifiuto del "tertium non datur" per le proposizioni singolari riguardanti i futuri contingenti [cfr. In I Peri Hermeneias l.xiii]. La sua posizione logico-matematica, però, non è da assimilarsi tout court a quella intuizionista, da cui, tra l'altro, si differenzia per il principio di reciproca ri-adeguazione soggetto-predicato e per il fatto che nell'Aquinate l'esistenza di un ente logico-matematico è legata anche a condizioni ontologiche [cfr. II]. Non è questo, in ogni caso, il luogo per poter esporre un adeguato confronto delle rispettive tesi. 59. Gli altri due principi sono: b) Il finito va trattato come il finito, fin che è possibile; c) L'Assoluto non può essere matematicamente trattato. 60. Per sviluppare questo tema sarebbe necessario introdurre la teoria dell'astrazione attraverso cui Cantor definisce i numeri, ed esaminare i lucidi testi di Frege, ma ciò esula dal campo d'indagine del presente articolo. Teoreticamente comunque la questione è di importanza fondamentale, in quanto tocca uno del classici problemi della filosofia (problema uno-molti), e anche qui si potrebbe vedere il contributo originale apportato da Tommaso 15 b) a questo diverso approccio Cantor è stato anche condotto poiché, per tematizzare l'infinito attuale, è stato costretto a fare delle assunzioni che in sé non sono così evidenti. Il testo su cui Hallett si basa per fare quest’ultimo rilievo, è all'interno della famosa lettera a Dedekind del 1899: "[...] Ci si può chiedere: come conosco che le molteplicità ben ordinate o sequenze a cui sono assegnati i numeri cardinali Aleph 0, Aleph 1...Aleph w0...Aleph w1...sono insiemi nel significato che ho spiegato, cioè quello di ‘molteplicità consistenti’? Non è possibile che queste molteplicità siano già ‘inconsistenti’, ma che la contraddizione che risulta dall'assunzione [corsivo mio] 'tutti i loro elementi possono essere considerati insieme’ non è ancora stata notata? [...] Il fatto [corsivo mio] della 'consistenza di molteplicità finite è una verità semplice e indimostrabile, ed è ‘l'assioma dell’aritmetica’ (nell'antico significato della parola). E, similmente, la ‘consistenza’ delle molteplicità a cui ho assegnato gli Aleph come numeri cardinali, è ‘l'assioma dell'aritmetica estesa, cioè transfinita’"61 Non si pensi comunque che l’influenza dell’indagine cantoriana sia circoscritta all’interno della sola storia della matematica: infatti, la posizione epistemologica che Cantor enuclea in quest’ultimo testo, poichè tematizza il problema della verità, ci permetterà ora di vedere come il concetto di infinità attuale transfinita implichi necessariamente delle conseguenze che, riguardando le radici stesse del pensiero filosofico occidentale, trascendono ampliamente l’ambito strettamente logico-matematico. IV - Considerazioni conclusive L'ultimo testo citato mostra come Cantor ponga sullo stesso piano proposizioni del tipo "un insieme di tre oggetti è non-contraddittorio" e "un insieme di infiniti oggetti è noncontraddittorio": ora, ciò significa aver smarrito completamente quella fondamentale distinzione tra proposizioni per sé vere e proposizioni supposte vere (ipotesi) caratteristica dell'epistemologia aristotelica e tomista62. Infatti, affermare che "un insieme di tre oggetti è non attraverso la sua teoria della reductio ad unum. Ricordiamo brevemente che Cantor concepisce un insieme come uno e molti ad un tempo in ciò richiamandosi esplicitamente al Filebo di Platone [G. Cantor, op. cit., p. 204]. Tra l'altro in quest'opera, che riprende la problematica uno-molti a livello ideale, dopo che nel Fedone si era posto il problema a livello delle cose concrete, Platone ammette non solo che sono "infinite le cose che divengono" [15b], ma anche che ogni idea è in sé ad un tempo una e "infinita molteplicità" [16d]; inoltre nel Sofista si dice che "molteplice è 'ciò che è ', in relazione a ciascuno dei generi, e però infinitamente molteplice 'ciò che non è' " [256e]. 61. G. Cantor, op. cit., pp. 447-8. Su un piano esegetico, dato che Hallett non fa alcun commento a questo proposito, facciamo notare come da questo testo appaia la grande competenza storica di Cantor il quale, precisando che qui "assioma" va inteso "nell'antico significato", mostra di conoscere la distinzione tra proposizioni vere (assiomi) e ipotetiche [cfr. nota seguente]. 62. Normalmente si identificano le prime con gli "assiomi", le seconde con i "postulati". In realtà, da un punto di vista filologico la distinzione di Tommaso è più articolata. L'Aquinate infatti, commentando Aristotele [cfr. In I Post. An. l.v, xviii e l.xix], dice che i principi immediati di una dimostrazione (ovvero quelle proposizioni in cui il predicato appartiene immediatamente al soggetto e in cui quindi questa appartenenza non è dimostrata per mezzo di altre proposizioni [l. v n.45]), possono essere: 1- "Dignitates" (axiomata per lo Stagirita): sono i principi che ognuno ammette per poter ragionare su qualsiasi cosa (ad es. il principio di non contraddizione, o il principio secondo cui il tutto è maggiore della parte) e il cui studio è di pertinenza del metafisico [l. v n.49-50]; 16 2- "Positio" (theseis): sono proposizioni che non sono note a tutti e quindi sono caratteristiche delle diverse scienze; sono di due tipi fondamentali: 2.1- alcune possono essere vere o false (ad es. “questo è un'unità”) e si suppongono vere [l. v n. 51]. Un esempio storicamente importante è la proposizione "i pianeti si muovono secondo la concezione tolemaica degli eccentrici e degli epicicli" (così come le altre teorie cosmologiche degli antichi, di Platone, di Aristotele, di Eudosso) che, per quanto salvi le apparenze, non è necessariamente vera, ma si suppone vera [In II De Coelo l. xvii n. 451; S. Th. I.32.1.ad 2]. Sono tutte in forma universale o particolare [l.xix] e sono dette "suppositio" (ipothesis) se il discente le ritiene probabili o "petitio" (in Aristotele aithema, termine che spesso viene tradotto con postulati, in Euclide aithemata) se il discente ha una posizione neutrale. Queste proposizioni: 2.1.1- alle volte derivano direttamente dalle definizioni: ad es. il IV postulato di Euclide per il quale "tutti gli angoli retti sono uguali" si comprende immediatamente (almeno secondo Tommaso) dalla definizione stessa di angolo retto secondo la quale "angolo retto è quello che si ottiene facendo cadere una retta su un'altra, in modo che determini due angoli uguali" [l. v n. 50]. Evidentemente solo chi conosce la definizione può cogliere l'immediatezza di queste proposizioni. È da notare che questo tipo di dimostrazione, che procede da qualcosa di più noto per noi, verso qualcosa che è più "radicale" in sé, è secondo Tommaso un procedimento "risolutorio", diverso dalla "composizione" che procede da ciò che è primo sia per noi che in sé stesso (come ad esempio i sillogismi che dalle cause deducono gli effetti) [cfr.S.Th. I-II 14.6]; 2.1.2- alle volte sono dimostrabili da altre scienze [l. v n.50 ove si dice che il primo postulato di Euclide secondo cui da due punti può passare una retta è dimostrabile dal fisico]: queste proposizioni sono quindi immediate relativamente alla scienza cui appartengono [l.xix n. 162]; 2.1.3- altre volte non sono dimostrabili di principio: un esempio di queste ultime è proprio la proposizione "moltitudini per accidens infinite in atto sono non-contraddittorie" e ogni proposizione che include la nozione di infinito in atto per accidens come, ad esempio, "i numeri pari più i dispari sono maggiori dei soli numeri dispari" [cfr. nota 24]. Altri esempi in Tommaso di ipotesi non verificabili sono "il mondo è eterno" e "il mondo ha avuto inizio nel tempo" [cfr. nota 25]. Le possiamo ritenere immediate in un senso solo negativo dato che non c'è medio che le possa dimostrare, ma non in quanto il soggetto includa il predicato; 2.1.4- vi sono infine proposizioni che non sono dimostrate da altre scienze (in quanto su ciò ci sono discordi opinioni), ma per le quali non si può nemmeno dire che sono indimostrabili di principio. Un esempio di questo tipo di proposizioni (per la verità solo implicitamente enunciato nei testi tomisti) è forse il V postulato di Euclide (almeno considerando il numero "infinito" dei dibattiti sull'argomento) e tale era ai tempi di Tommaso la proposizione ""i pianeti si muovono secondo la concezione tolemaica degli eccentrici e degli epicicli". Questi principi si possono dire immediati per lo stesso motivo dei principi del tipo 2.1.3. 2.2- altre sono le proposizioni definitorie come ad esempio "l'unità è ciò che è indivisibile secondo quantità" [l. v n.51] o "l'uomo è animale razionale mortale" [l.xix n. 163]. Tommaso precisa che le definizioni non si possono dire vere o false: dire cosa è l'unità non implica verità o falsità, mentre proposizioni del tipo "l'unità è" o "questa è un'unità" possono essere vere o false [l. v n. 51]. Le definizioni inoltre non hanno la forma universale o particolare (quantificata, per dirla in termini moderni)[l.xix n. 164], ed è compito del metafisico dimostrare l'esistenza delle sostanze prime cui si riferiscono [l. xviii n.152]. Una trattazione esaustiva della teoria della definizione è fatta negli Analitici Secondi; per una lettura "attuale" della stessa rimandiamo a G. Basti - A. Perrone, "Le radici forti..." op. cit. Ricordiamo inoltre come Tommaso (con Aristotele) affermi che i principi comuni a più scienze (koinà, koinai ennoiai in Euclide) quale ad esempio, oltre alle dignitates, il principio comune secondo cui "se da eguali tolgo eguali ottengo eguali" (diverso dai principi propri della geometria del tipo "la linea ha una nozione così fatta" [l. xviii n. 154-155]) possono essere dignitates, suppositiones o petitiones [In Post. An. l.xix]. In Tommaso, quindi, "principio comune" non equivale a dignitates (principi metafisici): se tutte le dignitates sono principi comuni, l'inversa non vale. È estremamente difficile tradurre con termini moderni la suddetta distinzione, dato che oggi, poiché la nozione di verità è entrata in crisi, "assioma", "postulato" e "ipotesi" sono spesso usati come sinonimi. Per far risaltare la gerarchia veritativa decrescente che invece le suddette proposizioni hanno entro l'epistemologia aristotelico-tomista le potremmo distinguere, usando proprio una divisione tomista [In Peri Herm. I, l.i n. 8], in "proposizioni vere" (2.1, 2.1.1, 2.1.2 e 2.2 nel caso per queste ultime si sia dimostrata l'esistenza delle sostanze prime cui si riferiscono) e "proposizioni ipotetiche" (2.1.3, 2.1.4 e 2.2 nel caso in cui la suddetta condizione non si sia verificata). Probabilmente quando Cantor parla di "assioma...nell'antico significato della parola" vuole indicare la classe delle proposizioni vere. Si noti come queste distinzioni siano oggi completamente dimenticate non solo in sede teorica (dove per es. in ZF si chiamano univocamente "assiomi" sia l’assioma di coppia che l’assioma di scelta, dove il secondo è un'assunzione mentre il primo è riscontrabile con una "concreta" operazione intellettuale), ma anche in sede storica. Ad esempio Lentini usa sinonimicamente "assioma" e "postulato" quando parla di Aristotele ed Euclide [ L. Lentini, Il 17 contraddittorio" è fare un'affermazione immediatamente vera, dato che la caratteristica della non contraddittorietà appartiene immediatamente all'insieme, essendo "indotta" da questo per il semplice fatto che posso cogliere simultaneamente tre oggetti: ciò non potrebbe accadere se ciò fosse contraddittorio, poiché la contraddizione non è di fatto pensabile. Tale "induzione" non si può evidentemente avere se l'insieme è una moltitudine infinita: questa infatti non può "indurre" alcuna caratteristica nel momento in cui si coglie, dato che nessun intelletto finito può afferrare distintamente tutti i suoi infiniti elementi. Attribuire la caratteristica della non-contraddittorietà a una moltitudine infinita è quindi assumere che questa gli competa63, così che queste proposizioni fondamentali, non essendo fondate dall'oggetto, acquisteranno la loro validità solo in quanto da queste non è possibile dedurre alcuna contraddizione: ogniqualvolta il matematico moderno definisce a priori un dominio infinito su cui varia una funzione opera appunto quell'assunzione. Ed è proprio questa ineludibile assunzione una delle radici profonde che conducono al "pensiero assiomatico" o "formalistico" (da non considerarsi sinonimi di "metodo assiomatico" o "formalizzazione"64) in cui, oltre a ritrovare l'assunzione cantoriana65, si considera come paradigma del sapere, Franco Angeli, Milano, 1990, p.9 sgg.], mentre altre volte vengono identificati gli assiomi con i principi comuni a più scienze [ad es. F. Selvaggi, Filosofia delle scienze, Roma, 1953, p. 128; nota 4 ai Post. An. A 72a 24, Laterza Bari 1988, trad. di M. Gigante e G. Colli; nemmeno Alvarez-Lazo, ( Alvarez- Lazo, op. cit., pp. 89 sgg.) mette in luce questa distinzione]. 63. Un identico modo di ragionare mediante assunzioni, ancora implicito in Cantor [M. Hallett, op. cit., p. 175], lo ritroviamo in tutta l'assiomatica moderna da Zermelo fino a Von Neumann, che esplicitamente fa quest'assunzione [ibid. pp. 211 sgg., p. 275 sgg., p. 295]: giustamente Hallett fa notare come questo modo di ragionare sia la radice per cui ora nel sapere matematico è subentrata un'istanza esclusivamente pragmatica, proprio come è avvenuto nella storia della fisica [ibid. p. 305]. Vorremmo far notare come, alla luce di ciò, anche la celebre dimostrazione cantoriana secondo cui P(N)>N si fonda appunto sull'assunzione che N è un insieme e quindi è pensabile unitariamente senza contraddizione, cioè si assume che N non sia una classe ovvero che non abbia una cardinalità pari a quelle dell'insieme di tutti gli insiemi, perché in questo caso non vale P(A)>A. 64. Abbiamo appositamente parlato di "pensiero assiomatico", perché non tutto ciò che è "assiomatizzato" o "formalizzato" implica il "pensiero assiomatico" o "formalistico". Ad esempio, è noto come A. Heyting abbia formalizzato la logica intuizionista, ma ciò non toglie che il fondamento della teoria intuizionista sia quello di considerare le proposizioni matematiche e logiche come espressioni di costruzioni interiori, e non sia affatto cercato nelle dimostrazioni di coerenza. Su questi temi è particolarmente chiara la divertente "Disputation" contenuta in Intuitionism. An Introduction, North-Holland Publishing Co., Amsterdam 1956, pp. 1-12 (trad. it. di C. Celucci in La filosofia della matematica, Laterza, Bari, 1967, pp. 233-248). In questo senso anche la metafisica tomista potrebbe essere formalizzata, e se ne potrebbe dimostrare la sua consistenza, ma non sarebbe certo questo a costituire il fondamento della sua verità. 65. Infatti Hilbert, per conservare l'infinità attuale e il terzo escluso in matematica, innanzitutto distingue (ad es. nella conferenza Über das unendliche [in D. Hilbert, op. cit., pp. 233-266]) tra pensiero contenutistico "i cui segni significano e servono per la comunicazione, ad es. il segno 2 per l'abbreviazione del segno numerico 11" [ibid. p. 244] o "il teorema a+b=b+a ove a e b significano determinati segni numerici" [ibid. p. 248] e pensiero non contenutistico i cui segni "non hanno in sé alcun significato" [ibid. p. 244], come ad es. "la formula a+b=b+a; e questa non è più una comunicazione immediata di qualcosa di contenutistico, ma è un certo costrutto formale", uno dei "costrutti ideali della nostra teoria" [ibid.] (l'infinito, "che non si trova mai realizzato" nè "si trova presente nella natura", è uno di tali costrutti, cui "resta soltanto il ruolo di idea- se per idea, secondo l'accezione di Kant, intendiamo un concetto della ragione che oltrepassa ogni esperienza e con cui il concreto viene integrato nel senso della totalità" [ibid. pp. 265-266]). Secondariamente Hilbert cercherà di dimostrare - nelle opere posteriori - come gli assiomi transfiniti pensati in modo non contenutistico non conducano a contraddizioni: ma pensare non contenutisticamente un assioma transfinito è assumere che il transfinito abbia un'esistenza ( anche se solo ideale), e quindi che non sia in sé contraddittorio. Medesimo ragionamento si trova nelle opere posteriori: nelle Grundlagen der Mathematik, per esempio, si spiega che, quando si tratta di dimostrare la consistenza di teorie che fanno uso di domini infiniti di individui, non è più possibile mostrarne la consistenza scrivendo "concretamente" tutte le proposizioni e tutti gli individui che soddisfano un certo predicato, ma è necessario prima assumere che tali teorie sono consistenti e poi mostrare che da esse non sono derivabili contraddizioni [vedi la traduzione del passo in D. 18 adeguato fondamento della validità degli assiomi la dimostrazione che da questi, usando solo le regole di trasformazione permesse, non sono derivabili contraddizioni (consistenza o coerenza della teoria)66. Infatti, per quanto il formalismo matematico (il cui atteggiamento di fondo, nella pratica, è ben più diffuso di quanto comunemente si pensi [cfr. III]) sia fin dall'origine hilbertiana una teoria ben più articolata [cfr. nota 65] e che si è arricchita di diverse sfumature a seconda delle successive teorizzazioni, sicuramente uno dei suoi principali tratti distintivi è appunto il considerare che la consistenza di una teoria, oltre ad implicare l'esistenza logicomatematica degli oggetti caratterizzati dalla teoria stessa [cfr. III, nota 55], ne fondi adeguatamente la validità. In questo modo il concetto di assioma e/o "prima veritas" non risulta più avere una "dignità" superiore ai teoremi, ma perde la sua centralità a favore della nozione di "dimostrazione". Infatti, come ben si esprime Kolmogorov, "la posizione formalista della matematica asserisce che la scelta degli assiomi, che ne costituiscono la base, è una scelta arbitraria e soggetta solo a considerazioni di convenienza pratica che sono al di fuori della matematica e sono, naturalmente, più o meno convenzionali. Il requisito assoluto a cui deve rispondere ogni sistema matematico è, per la posizione formalista, che gli assiomi che ne costituiscono la base siano consistenti"67. In altri termini, non si tratta più di "verificare" la verità di una o più proposizioni, ma di dimostrare che da un insieme di proposizioni (gli assiomi) e Hilbert, op. cit.,; trad. it. cit., p. 362]. Ovviamente per chi, come gli intuizionisti, voglia "vedere" ciò che è in sé non contraddittorio, ciò non ha alcun valore fondazionale [ibid., pp. 44-45; A. Heyting, "Disputation" in Intuitionism..., op. cit., p. 1-12], ed a questi Hilbert fa forse ironico riferimento in "Sull'infinito" [trad. cit., p. 234-235]. 66. Oltre ad alcuni dei testi citati a nota 54, riportiamo la risposta di Hilbert a Frege :"Lei scrive: 'Attribuisco il nome di assiomi a proposizioni...Il fatto che gli assiomi sono veri ci assicura che essi non si contraddicono tra loro.' Mi ha molto interessato leggere nella Sua lettera proprio questa frase, poiché io, da quando ho cominciato a riflettere, scrivere e tenere conferenze su questo argomento, ho sempre detto esattamente il contrario: se assiomi arbitrariamente stabiliti non sono in contraddizione, con tutte le conseguenze, allora essi sono veri, allora esistono gli enti definiti per mezzo di questi assiomi. Questo è per me il criterio della verità e dell'esistenza. La proposizione 'Ogni equazione possiede una radice’ è vera, ossia è dimostrata l'esistenza della radice, quando l'assioma 'Ogni equazione possiede una radice può venire aggiunto agli altri assiomi aritmetici senza che mai possa scaturire una contraddizione in una qualunque conclusione da essa dedotta. A dire il vero, questa concezione è la chiave per la comprensione non solo del mio volume, ma anche per esempio della conferenza sugli assiomi dell'aritmetica che ho recentemente tenuto a Monaco, nella quale sviluppavo, o per lo meno accennavo alla dimostrazione del fatto che esiste un sistema di tutti i numeri reali ordinari, mentre al contrario non esiste il sistema di tutte le potenze cantoriane, o se si vuole di tutti gli Alef; cosa del resto che anche Cantor afferma nello stesso senso, anche se con parole leggermente diverse" [Risposta del 29 Dicembre 1899 di Hilbert a Frege, in G. Frege, “Unbekannte Briefe Frege’s über die Grundlagen der Geometrie und Antwortbrief Hilbert’s an Frege”, cit. ; trad. it. cit., p. 464- 465]. Il medesimo testo di Hilbert citato sopra ci fornisce anche l'occasione per fare alcune altre considerazioni circa la parola "esiste". Si può infatti osservare come ciò che in Cantor non era "matematicamente determinabile" e quindi solo matematicamente parlando non esisteva (l’assoluto e le classi), per Hilbert semplicemente "non esiste". Da questa piccola variazione emerge come il discorso matematico sia ora considerato come l'unico discorso valido, secolarizzando così la prospettiva religiosa di Cantor la cui adesione al "pensiero assiomatico"[cfr. IV] è infatti limitata alla sola matematica. Del resto la radice del positivismo non è forse quella di intendere "il discorso scientifico" come "il discorso" ? Certo, è vero che oggi tanti scienziati (fisici o matematici) sostengono che i possibili sistemi da loro studiati non esistono nella realtà, distinguendosi così dai platonici (quali ad es. Cantor e Gödel [K. Gödel, "What is Cantor's Continuum problem", cit., p. 133]) e dai realisti ingenui (quali ad es. Einstein [A. Einstein- L.Infeld, Die Evolution der Physik, Hamburg, 1956, trad. it., L’evoluzione della fisica, Torino, 1965, p. 303.] e Weinberg [S. Weinberg, op. cit., pp. 172 sgg.]). Resta però il "fatto" che il mondo scientifico studia il possibile e non ciò che ontologicamente è, e quindi ritiene che il possibile sia "ciò che è degno di essere pensato" (per dirla con Heidegger): il pensiero scientifico è quindi in pieno "oblio dell'essere" nonostante alcuni scienziati asseriscano, in modo ben poco coerente con i principi della conoscenza scientifica, la distinzione tra la possibilità e l’esistenza. 67. A. N. Kolmogorov, O principe tertium non datur, in "Matematiceskii Sbornik" XXXII, pp. 646-667; trad. it. in E. Casari (a cura di) Dalla logica alla metalogica, Sansoni, Firenze 1979, pp. 167-194. 19 usando certe regole di derivazione, non sono deducibili contraddizioni. Quando, dalla tecnica con cui si intende dimostrare la consistenza di una teoria formalizzata, si viene a intendere la consistenza come fondamento della teoria stessa, si passa dal metodo assiomatico al pensiero assiomatico. E’ quindi su un piano filosofico e non metodologico che il pensiero assiomatico viene a trovarsi agli antipodi di un approccio aristotelico-tomista, secondo il quale il fondamento dell'esistenza e della verità delle proposizioni vere è la res esterna, e non la dimostrazione che da esse non sono derivabili contraddizioni68. Per concludere, quindi: se pongo come essenziale per una teoria l'infinito numerico in atto, allora avrò come principi della stessa delle "proposizioni ipotetiche" (nel senso antico del termine [cfr. nota 62]), che valgono solo in quanto da queste non sono derivabili contraddizioni: ciò incanala il pensiero su quella via che conduce, sia nella teoria che nella pratica, al modo di ragionare assiomatico, completamente antitetico all'epistemologia aristotelico-tomista in cui permane la distinzione tra proposizioni vere e ipotetiche. Va inoltre rilevato che l'istanza dell'infinito attuale, ben lungi dall'essere una semplice opzione di gradimento, è oggi un'esigenza imprescindibile del lavoro del matematico (e del fisico) moderno, a cui sono necessari domini di infiniti numeri predefiniti a priori. La matematica quindi, e forse il pensiero più in generale, resteranno sulle attuali posizioni in cui (come accade nel pensiero debole [cfr. nota 68]) alla verità di alcune proposizioni si è ormai sostituita la pluralità delle opinioni e/o dei sistemi assiomatici, fino a che non si sia formalizzato un modo di ragionare che matematicamente abbia per lo meno la stessa capacità "espressiva" dell'analisi attuale, ma in cui non siano necessari domini a priori e infinità attuali69. 68. Da notare anche che il pensiero assiomatico, come opportunamente fa notare L. Lombardo-Radice (e diversamente da Gödel per il quale l'ipotesi del continuo è falsa nonostante abbia dimostrato che dagli usuali assiomi della teoria degli insiemi non è refutabile [K. Gödel, "What is...", cit.], si avvicina al pensiero ipotetico deduttivo nel momento in cui, dato che le antinomie sono uno tra i motivi che costringono ad elaborare sistemi assiomatici peraltro altamente controintuitivi, ci si avvede che sono possibili tante teorie insiemistiche essenzialmente diverse le une dalle altre, ma tutte consistenti (almeno fino ad ora, dato che per i numeri reali si è costretti a "credere" alla loro coerenza, non essendosene data la dimostrazione), così che ogni insieme di assiomi non diviene altro che un insieme di ipotesi da cui si possono dedurre certe conseguenze. Ad esempio, una differenza davvero essenziale è data dalle assiomatiche in cui vale l'ipotesi del continuo ( Cantor, ZF, NBG) rispetto alla teoria di Cohen (ove quest'ipotesi non vale) [L. Lombardo-Radice, op. cit., Roma 1981 pp. 114 sgg.] Queste differenze si accrescono di numero nel momento in cui si contrappongono approccio formalista ed approccio predicativista e/o intuizionista, logiche bivalenti e plurivalenti. Qualcosa di analogo succede anche nella storia della fisica nel momento in cui ci si avvede che, a seconda e/o di certe condizioni (ad es. velocità più o meno prossima a quella della luce) e soprattutto a seconda del livello di indagine (microscopico o macroscopico) valgono leggi e principi diversi. Da notare poi come in questa perdita di una verità a favore delle molte opinioni si ha un paradossale avvicinamento del pensiero assiomatico al pensiero debole, così che possiamo usare le parole di uno dei suoi più insigni esponenti per commentare l'attuale stato del dibattito sui fondamenti della matematica, in cui abbiamo dei "singoli veri" che risultano dalla "messa in atto di procedure [assunzione degli assiomi e deduzione delle conseguenze; nota mia]; procedure che, lungi dall'essere svalutate in nome di un accesso più originario all'essere, vengono finalmente riconosciute come le uniche vie disponibili per un'esperienza della verità" [G. Vattimo, "Dialettica, differenza, pensiero debole", in G. Vattimo (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 19907, p. 124]. 69. Basti e Perrone si stanno appunto muovendo in questa direzione, distinguendosi però decisamente dall'approccio intuizionista in quanto, tra le altre differenze, propongono una teoria dell'infinità virtuale. 20