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Breve storia del Karate

LIVIO TOSCHI Breve storia del Karate Roma, 2014 Grafica: LT © FIJLKAM prima edizione: 2013 / aggiornamento: 2014 In copertina, fronte: monaci guerrieri (Museo delle Statue nel monastero di Shaolin) In copertina, retro: torii del santuario di Itsukushima nell’isola di Miyajima, presso Hiroshima A pagina 1: HIROSHIGE, Suruga, il mare di Satta (1858) * Quando possibile, i nomi cinesi sono indicati nella doppia trascrizione dei sistemi Wade-Giles e Pinyin, quest’ultimo adottato dalla Cina popolare. Esempio: kung-fu / gongfu. Breve storia del Karate di LIVIO TOSCHI La massima abilità nel disporre le truppe sta nel non dare forma certa. La disposizione delle truppe deve somigliare all’acqua. Come l’acqua, nel suo movimento, scende dall’alto e si raccoglie in basso, così le truppe devono evitare i punti di forza e concentrarsi sui vuoti. Come l’acqua regola il suo scorrere in base al terreno, così l’esercito deve costruire la vittoria adattandosi al nemico. Gli eserciti non hanno equilibri di forze costanti, così come l’acqua non ha forma costante. SUN-TZU / SUNZI, Bingfa L’ origine delle arti marziali si perde nella notte dei tempi, ma il loro sensazionale sviluppo in Asia fu possibile grazie alla fusione con i principi del buddismo indiano e del taoismo cinese. Il Giappone ha fatto proprie, sviluppato e rielaborato le arti marziali del continente fino a trasformarle in arti marziali nipponiche e come tali le ha esportate in tutto il mondo. Poche le testimonianze scritte dell’antichità. Il Libro degli Han (Hanshu) di Ban Biao, completato dai figli Ban Gu e Ban Zhao all’inizio del II secolo d.C., dedica ampio spazio all’arte della guerra, descrivendo dettagliatamente svariate forme di combattimento a mani nude. Tra la fine del II e l’inizio del III secolo, durante la dinastia Han orientale, godeva di grande e meritata fama il medico Hua To, pioniere della chirurgia e dell’agopuntura, esperto erborista, nonché inventore dell’anestesia. Per mantenere sano il corpo mise a punto il wuqinxi, un insieme di esercizi basato sull’osservazione dei movimenti di cinque animali: tigre, orso, cervo, scimmia e gru. Ebbe un successo così grande che perfino la maggior parte delle scuole marziali s’ispirò al mondo animale, libero dai condizionamenti imposti all’uomo dalla ragione (paura della sconfitta, del dolore, della morte), studiando di volta in volta le istintive ed efficacissime tecniche di combattimento del serpente, della mantide e così via. Le arti marziali sono state trasmesse per lo più oralmente attraverso i secoli per mantenere la necessaria segretezza: ogni famiglia, ogni scuola, ogni comunità aveva tutto l’interesse a non divulgare all’esterno le proprie esperienze per non perdere un vantaggio su potenziali avversari. Non lasciando nulla di scritto, però, molte scuole hanno sepolto i propri segreti con l’ultimo Maestro. 2 LIVIO TOSCHI Bodhidharma, l’«Illuminato» Il monaco indiano Bodhidharma (Ta-Mo / Damo in cinese, Daruma in giapponese) era figlio del re Suganda di Madras. Alla morte del suo maestro Prajnatara divenne il 28° patriarca buddista della scuola Mahayana (la dottrina del «grande veicolo»). Intorno al 520 d.C. andò in Cina e fu ricevuto a Nanjing dall’imperatore Wu-Di. Deluso dal buddismo cinese, dopo un lungo peregrinare giunse nel monastero di Shao-lin (Sil-lum in cantonese, Sho-rin in giapponese), il cui nome significa «giovane foresta». Il monastero era stato costruito ai piedi del monte Song, nella provincia di Henan, secondo alcuni nel I secolo a.C., secondo altri nel 495 d.C. La tradizione vuole che a Shaolin Bodhidharma abbia fondato una scuola impostata sulla meditazione: dhyana in sanscrito, chan in cinese, zen in giapponese (ma è probabile che la scuola si debba a Hui-Neng, 6° patriarca dopo Bodhidharma). Bodhidharma (Daruma / Ta-mo), Convinto che corpo e spirito fossero indivisibili, insegnò inoltre stampa di Yoshitoshi, 1887 ai monaci degli esercizi di respirazione (chi-kung / qigong ) e di ginnastica per fortificare il loro fisico, messo a dura prova da pesanti sedute meditative. Il suo metodo fu definito Luohan shiba shou, ossia «le diciotto mani dei discepoli di Buddha». Il buddismo zen invita a liberare la mente dalle proprie convinzioni (mu-shin = «mente vuota») allo scopo di raggiungere l’«illuminazione» (satori ). Secondo la leggenda, poiché in India aveva fatto parte della casta dei guerrieri (ksatriya), insegnò anche delle tecniche di combattimento a mani nude, che col tempo furono arricchite e perfezionate grazie al contributo di esperti di arti marziali che si recavano a Shaolin attratti dalla crescente fama del luogo. Per Bodhidharma le arti marziali (wu-shu, ossia «arte della guerra»; bu-jitsu in giapponese; in Occidente più noto come kung-fu / gongfu) servivano indubbiamente a rafforzare il corpo e a mantenerlo sano, pronto a difendersi da eventuali attacchi, ma contribuivano soprattutto al perfezionamento spirituale del praticante. Wu-de costituiva la virtù marziale. Quella di Bodhidharma che avvia l’insegnamento delle arti marziali a mani nude è solo una leggenda, visto che si praticavano già molto tempo prima che lui giungesse in Cina, ma potrebbe così interpretarsi: l’avvento del buddismo, assai popolare, fornì alle discipline di combattimento il necessario substrato morale, giustificandone la pratica, che altrimenti sarebbe degenerata nell’egoismo e nella violenza (CESARE BARIOLI). Neijia e Waijia I tanti metodi di combattimento nati a Shaolin si sono sviluppati lungo due direttrici. La prima prende il nome di nei-chia / neijia, stili “interni” o “morbidi” di combattimento, che privilegia gli aspetti filosofici e metafisici e comprende tre stili principali: tai-chi-chuan / taijiquan («pugno della suprema vetta»), pa-kua / bagua («otto trigrammi») e hsing-i / xingyi («mente e corpo»). La base spirituale dei tre stili è costituita dall’I-Ching / Yijing, il Libro dei Mutamenti. Questi stili morbidi sviluppano il concetto taoista di wu-wei, che viene solitamente tradotto «non azione», ma sarebbe meglio dire «non ingerenza». In sostanza è la capacità di dominare le circostanze Breve storia del Karate 3 senza opporvisi, che consente di sconfiggere un avversario cedendo apparentemente al suo assalto per neutralizzarlo con movimenti per lo più circolari, rivolgendo quindi contro di lui la sua stessa forza. Nel XIII secolo l’eremita taoista Chang San Feng / Zhang Sanfeng, cui si attribuisce la nascita del taijiquan, concentrò l’attenzione sull’energia interiore (chi in Cina, ki in Giappone, prana in India), che può manifestarsi all’esterno con incredibile potenza anche nelle persone meno prestanti. Nessuno meglio del minuscolo Maestro Ueshiba ha saputo in tempi recenti esprimere la potenza del ki. La seconda direttrice è la wai-chia / waijia, stili “esterni” o “duri” di combattimento, che si fonda sull’uso della forza in linea retta. Con il passare dei secoli gli stili esterni del nord (bei-chuan) si differenziarono da quelli del sud (nan-chuan) sia per la diversa costituzione fisica degli abitanti, sia per il diverso stato dei luoghi. In sintesi possiamo dire che al nord si predilessero i movimenti lunghi e aggraziati, con calci alti, al sud i movimenti brevi e potenti, con calci bassi o pugni. Da qui il motto: «Bei tui, nan chuan» («Al nord le gambe, al sud le braccia», ovvero «Calci nel nord, pugni nel sud»), che sintetizzava la caratteristica più appariscente delle due tradizioni. Gli stili duri sono collegati al monastero di Shaolin, gli stili morbidi ai templi taoisti sui monti WuTang / Wudang, nella provincia di Hubei. È celebre il detto: «Bei song Shaolin, nan zun Wudang» («Nel nord si stima Shaolin, nel sud si apprezza Wudang»). Gli stili morbidi, proprio per l’influenza del taoismo, mostrano un legame più profondo con la natura. Questo dualismo tra stili duri e morbidi, pur evidente, non ha tuttavia confini rigidi: qualcosa degli uni confluisce sempre negli altri. Gli stili esteriori, più facili da comprendere e quindi meglio utilizzabili nella realtà del combattimento, ebbero maggiore popolarità e furono esportati in Corea e ad Okinawa, mentre gli stili interiori rimasero a lungo circoscritti agli strati superiori della società cinese. Gli stili duri in Corea generarono il taekwondo, ad Okinawa il karate, diffuso in Giappone da Gichin Funakoshi (1868-1957); gli stili morbidi in Giappone generarono il jujitsu, da cui sono derivati il judo di Jigoro Kano (1860-1938) e l’aikido di Morihei Ueshiba (1883-1969). Attraverso i secoli centinaia di stili “esterni” e decine di “interni” si sono formati, mescolati e sovrapposti. La storia del kung-fu, come tutta la storia del pensiero cinese, è talmente complessa da scoraggiare un maggior approfondimento. Jujitsu Monaci guerrieri (affresco nel monastero di Shaolin) La più nota leggenda sulle origini del jujitsu, o «arte della flessibilità», racconta che intorno alla metà del ’500 un medico di Nagasaki, Shirobei Akiyama, si recò in Cina per approfondire le sue cognizioni sulla agopuntura e sui metodi di rianimazione (kappo), che presupponevano una perfetta conoscenza dei punti vitali del corpo umano. Akiyama, uomo di multiforme ingegno, approfittò del soggiorno nel continente per studiare anche il taoismo e le arti marziali cinesi. Tornato in patria, durante un periodo 4 LIVIO TOSCHI di meditazione notò che i rami più robusti degli alberi si spezzavano sotto il peso della neve, mentre quelli di un salice si piegavano flessuosi fino a scrollarsi del peso, per riprendere poi la posizione senza aver subito danni. Applicando alle tecniche di combattimento apprese in Cina le considerazioni maturate sulla cedevolezza o «non resistenza», fondò la scuola yoshin (del «cuore di salice»). Il taoismo (tao / dao in cinese e do in giapponese, significano «Via spirituale») si fonda sui principi complementari yin e yang : nessuno dei due può esistere senza l’altro. Nel mondo Statua in pietra di Lao-Tzu / Laozi a Quanzhou tutto è in perpetua mutazione tra questi due poli attraverso combinazioni dinamiche. Lo yang rappresenta – per esempio – l’uomo, il giorno, la durezza e l’attacco; lo yin rappresenta la donna, la notte, la morbidezza e la difesa. Le due forze inseparabili yin-yang sono raffigurate con il simbolo di due pesci gemelli (stilizzati, sembrano due grandi virgole) che formano un cerchio: un pesce è nero con un occhio bianco e un pesce è bianco con un occhio nero per significare che non vi è nulla di assoluto. Dal Tao-tê-ching / Daodejing, il testo cinese attribuito a Lao-Tzu / Laozi (VI secolo a.C.), mi preme citare alcune massime di grande importanza per il nostro studio: «L’uomo nasce debole e delicato / Muore rigido e duro [...]. Così: rigido e robusto sono i modi della morte / Debole e flessibile sono i modi della vita». «Il più cedevole nel mondo / Vince il più duro». «La massima del buon combattente è: / Assecondare per mantenere l’iniziativa [...]. Vince colui che lascia». Le molte scuole di jujitsu, pur con diverse sfumature, fecero proprio questo fondamentale concetto, che rivoluzionò la maniera di lottare: la morbidezza può vincere la forza (ju-no-seigoo). Va inoltre sottolineato che «ai livelli più alti delle arti marziali, il punto importante di tutte queste strategie sta nello sviluppare una sensibilità intuitiva verso le leggi dell’universo. Lo scopo più profondo non è semplicemente sconfiggere gli avversari, ma giungere al “modo” (Do o Tao), che è il modo in cui funziona l’universo» (PETER PAYNE). Il jujitsu si sviluppò in Giappone sotto nomi diversi a seconda del gruppo di tecniche che si preferiva approfondire (proiezioni, immobilizzazioni, percussioni, ecc.), raggiungendo il massimo splendore durante il lungo periodo di pace instaurato da Ieyasu Tokugawa all’inizio del XVII secolo, cioè dopo la vittoriosa battaglia di Sekigahara (1600), la sua autoproclamazione a shogun (1603) e la conquista del castello di Osaka (1615). La fine delle guerre civili che avevano insanguinato il Giappone dal XII secolo, interrotte soltanto per respingere le invasioni mongole di Kublai Khan nel 1274 e 1281, lasciò disoccupati migliaia di samurai («guerrieri al servizio di un signore»), che divennero perciò ronin («uomini onda», ossia guerrieri senza padrone). Breve storia del Karate 5 Molti di loro pensarono quindi di mettere a frutto quanto avevano appreso sui campi di battaglia, raccogliendo e perfezionando le tecniche di combattimento senz’armi ereditate dal passato. Mentre in precedenza esistevano solo scuole private ad uso dei grandi clan, ognuno dei quali elaborava e tramandava al suo interno colpi di particolare efficacia, sorsero allora scuole di arti marziali aperte a tutti. L’uso strategico del corpo umano raggiunse livelli sbalorditivi di efficienza, ma contemporaneamente il bu-jitsu (l’arte del combattimento) si trasformò in bu-do : tramite l’addestramento nella “Via” marziale si tendeva a raggiungere anche un perfezionamento spirituale. Due secoli e mezzo di pace durante lo shogunato Tokugawa (Edo ne era la sede, mentre la capitale risiedeva a Kyoto) furono possibili grazie ad una società rigidamente stratificata e ad un rigoroso controllo verticistico che tendeva al mantenimento dell’ordine. Divennero difficoltosi i contatti all’interno e furono drasticamente vietati quelli con l’esterno, pena la morte, relegando il paese fuori dalla storia. Intorno alla metà del XIX secolo, però, alla ricerca di nuovi mercati commerciali, le grandi potenze decisero di porre fine all’isolamento nipponico. L’8 luglio 1853 il commodoro statunitense Matthew Calbraith Perry giunse nella baia di Uraga con le sue celebri quattro «navi nere», chiedendo a nome del presidente Millard Fillmore l’apertura del Giappone al mondo occidentale. In seguito ai temporeggiamenti nipponici Perry tornò nel febbraio 1854 con otto navi da guerra, facendo chiaramente intendere che non avrebbe tollerato un rifiuto. Al trattato di Kanagawa con gli USA seguirono ben presto quelli con Gran Bretagna, Russia, Olanda e Francia, gettando nello sconforto quanti avrebbero preferito morire combattendo contro un nemico meglio armato che sottostare ad un umiliante cedimento. I contrasti tra i “falchi” e le “colombe” si acuirono via via fino a spaccare in due il paese. Il periodo compreso tra il 1853 e il 1868 è noto con il nome di bakumatsu («declino del bakufu», ossia dello shogunato), poiché lo shogun si era rivelato incapace di difendere l’onore del paese contro i “barbari”. Ne conseguì inevitabilmente una sanguinosa reazione a catena, culminata nel 1868 con la fine del bakufu Tokugawa e con la “restaurazione Meiji”: dopo sette secoli il potere politico dalle mani dello shogun tornava in quelle dell’imperatore. Il giovane Mutsuhito, 122° esponente della dinastia, trasferì la capitale da Kyoto (Heiankyo) a Edo, che chiamò Tokyo, ossia «capitale dell’est», inaugurando l’era Meiji, del «governo illuminato» (1868-1912). Sotto l’infatuazione per la civiltà e i costumi occidentali, il budo subì una rapida decadenza (anche per l’enorme diffusione delle armi da fuoco) e non pochi esperti, rimasti senza allievi, per sopravvivere in una società profondamente mutata dovettero esibirsi a pagamento in squallidi locali o finirono nella malavita. I Maestri non tramandavano più il loro sapere, portandosi nella tomba i segreti della loro scuola (ryu): un grande patrimonio di nobili tradizioni stava per scomparire. Questo era il triste spettacolo che si Scuola Hua To: wuqinxi (i cinque animali) presentava a Jigoro Kano. 6 LIVIO TOSCHI Jigoro Kano, padre del Judo Il giovane professore Jigoro Kano nel 1882 aprì il Kodokan, un piccolo dojo dove elaborò una sintesi delle diverse scuole di jujitsu che aveva frequentato. Il nuovo stile da lui messo a punto, non più soltanto un’arte di combattimento, ma destinato alla divulgazione quale forma educativa del corpo e dello spirito, venne chiamato judo («Via della cedevolezza/flessibilità»): come precisò Kano nel 1922, si fondava sul miglior uso dell’energia (seiryoku-zenyo) allo scopo di perfezionare se stessi e contribuire alla prosperità del mondo intero (jita-kyoei). In sostanza Kano perseguiva una sintesi equilibrata fra virtù civile (bun) e virtù militare (bu). Il Kodokan («luogo per studiare la Via»), con un occhio alla tradizione e l’altro al futuro, in breve acquistò grande prestigio, anche grazie alle importanti vittorie riportate su varie scuole di jujitsu. Eliminati gli aspetti più violenti della disciplina marziale, il judo entrò perfino nei programmi Jigoro Kano (1860-1938) scolastici: fu un risultato senza precedenti, dovuto alle grandissime capacità pedagogiche di Kano. Una delle sue massime preferite era: «Niente sotto il cielo è più importante dell’educazione: l’insegnamento di una persona virtuosa può influire su molte altre; ciò che è stato ben assimilato da una generazione può essere trasmesso ad altre cento». È bene ricordare che Kano fu un personaggio di rilievo non solo nello sport del suo paese: fin dal 1909 rappresentava il Giappone nel CIO e nel 1911 fondò l’Associazione Giapponese degli Sport Amatoriali, di cui fu presidente fino al 1921. Ricoprì molte cariche importanti: rettore del Collegio dei Pari, direttore dell’Istituto Magistrale di Tokyo, addetto alla Casa Imperiale, segretario del Ministero dell’Educazione Nazionale, direttore dell’Educazione Primaria, senatore, ecc. Nel 1895 Kano elaborò il primo go-kyo («cinque principi»), o metodo d’insegnamento del judo; nel 1906 riunì a Kyoto i rappresentanti delle varie scuole per definire i primi kata («modelli» delle tecniche di lotta); nel 1921 presentò il nuovo go-kyo, tuttora invariato; nel 1922 diede vita al Kodokan-bunka-kai, l’Associazione Culturale del Kodokan. Il Jujitsu in Occidente Lontano dal Giappone, nonostante i viaggi e le dimostrazioni di Kano (la prima si svolse a Marsiglia nel 1889), si diffuse soprattutto il jujitsu, che aveva tratto nuovi stimoli dalla rivalità con il Kodokan. I maestri di jujitsu, infatti, costretti a subire la crescente popolarità del judo in patria, trovavano un fertile terreno d’insegnamento all’estero. Vediamo dunque quali furono i pionieri del jujitsu in Occidente. Già dal 1900 si trovavano a Londra, quali insegnanti al Bartitsu Club, i ventenni giapponesi Yukio Tani e Sadakazu (più noto come “Raku”) Uyenishi. Furono loro a spiegare i rudimenti del jujitsu al campione svizzero di lotta libera Armand Cherpillod, cui si deve il primo manuale in Breve storia del Karate 7 lingua francese (tradotto in italiano nel 1906). Chiuso il Bartitsu Club nel 1902, l’anno seguente Uyenishi aprì una sua palestra in Piccadilly Circus, che gestì fino al 1908, allorché fece ritorno in patria, affidando l’insegnamento all’allievo anziano William Garrud. Uyenishi nel 1905 scrisse Text-Book of Ju-Jutsu, Tani nel 1906 (con Taro Miyake) scrisse The Game of Ju Jitsu. Ben presto, alla scuola di Edith Garrud, anche le donne praticarono il jujitsu. Risale comunque al 1918 l’avvenimento più importante, ossia la costituzione del Budokwai per opera del Maestro Gunji Koizumi. Tani ne fu il primo istruttore. A Parigi, dopo una lunga e accesa campagna di stampa, il 26 ottobre 1905 si affrontrarono in un combattimento divenuto famoso Ernest Régnier (che si faceva chiamare Ré-Nié) e Georges Dubois, valente pugile, schermitore e pesista. Ré-Nié ebbe la meglio sul più pesante rivale in appena 26 secondi con una leva articolare. La notorietà acquisita lo portò a pubblicare nel 1906 – in collaborazione con il giornalista Guy de Montgailard – un opuscolo dal titolo Les secrets du jujitsu. Sul finire del 1905 giunsero a Parigi il già citato Tani e Katsukuma Higashi, proveniente dagli Stati Uniti (dove aveva scritto con Irving Hancock un libro sul “metodo Kano”). In dicembre i due disputarono all’Hippodrome Bostock un incontro così violento che spinse la prefettura a vietare i combattimenti tra due giapponesi. Nel 1906, a Berlino, il ventunenne Erich Rahn apriva la prima palestra di jujitsu in Germania, venendo ben presto incaricato d’impartire lezioni alla Polizia berlinese e all’Istituto Sportivo Militare. Grazie anche ai numerosi libri di Hancock, fin dai primi anni del secolo gli USA si appassionarono al jujitsu (nel 1905 veniva insegnato all’Accademia Navale di Annapolis). Hancock stesso, allievo del maestro Inouye, lo praticò con discreti risultati. Per diffondere il “metodo Kano” soggiornò in America dal 1902 al 1907 Yoshiaki Yamashita (nel 1935 ottenne il 10° dan), che ebbe tra i suoi allievi il presidente Theodore Roosevelt, graduato cintura marrone dopo tre anni di proficue lezioni impartitegli alla Casa Bianca. Una prova dell’interesse statunitense per il jujitsu è la sua inclusione nel programma delle Olimpiadi da disputarsi a Chicago nel 1904 (poi assegnate a Saint Louis). Anche in Italia, dove imperava la lotta greco-romana, si assisté a qualche sporadica esibizione nei primi anni del secolo. A Roma ricordo le lotte dello statunitense Witzler all’Adriano nel 1906 e soprattutto la dimostrazione tenuta il 30 maggio 1908 nella Villa Corsini da due marinai reduci dall’Estremo Oriente. Pochi giorni dopo re Vittorio Emanuele III volle che la dimostrazione fosse ripetuta nei giardini del Quirinale. Nonostante il buon esordio romano nel 1908, il cammino della “lotta giapponese” (una forma mista di jujitsu e judo) fu lento e difficile. Tradendone completamente lo spirito, nel nostro paese il jujitsu-judo fu praticato usando molto più la forza della cedevolezza, trascurando completamente Una seduta di jujitsu a Parigi la ricerca della “Via”. sul finire del 1905 8 LIVIO TOSCHI Il monastero della Nuvola purpurea. Nel 1994 i monasteri dei monti Wudang sono stati inclusi dall’UNESCO nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità La Porta della Montagna nel monastero di Shaolin (nella provincia di Henan) Breve storia del Karate 9 Karate Le arti marziali di Okinawa L’arcipelago delle Ryukyu appare come una lunga catena di isole tra il Giappone e Taiwan, bagnate dal Mar Cinese e dall’Oceano Pacifico. Okinawa è la principale di queste isole. La natura qui è bellissima ma avara e impone dure condizioni di vita alla popolazione. Un’evoluzione delle arti marziali di Okinawa probabilmente è dovuta al primo prolungato contatto con il bujitsu giapponese dopo l’arrivo di Tametomo Minamoto (1139-70), figlio del comandante Tameyoshi. Sconfitti da Kiyomori Taira nel 1156 in seguito all’insurrezione detta Hogen no ran, gli esponenti superstiti dei Minamoto furono esiliati nell’isola di Oshima. Ma Tametomo, prestante e valoroso guerriero (alto più di due metri, era tra l’altro abilissimo nel tiro con l’arco), riuscì a raggiungere Okinawa. Qui sposò la sorella di Ozato, signore del castello di Urazoe, al quale successe. Nel 1186 suo figlio Shunten divenne il più potente signore (aji ) dell’isola. Un notevole impulso alle arti marziali derivò senza dubbio dai contatti con la Cina dei Ming. Dal 1372, durante il regno di Satto, fino al 1873 la Cina riscosse un tributo annuo da Okinawa. Nel 1393 si stabilì nell’isola una missione cinese, che fondò il villaggio di Kume / Kuninda. Gli immigrati dal Fukien / Fujian (le «Trentasei famiglie») istruirono nelle lettere, nelle arti e nell’artigianato gli abitanti di Okinawa, che divenne un centro commerciale importantissimo e un crocevia culturale. Contemporaneamente furono assegnate borse di studio di tre anni ai giovani più promettenti perché si recassero in Cina a studiare i costumi e la cultura di quel grande paese. Fu così, è probabile, che Okinawa conobbe il kempo o chuan-fa / quan fa («Via del pugno»), nato secondo la tradizione nel monastero di Shaolin. Con il passare degli anni, forse, lo mescolarono con la lotta locale, chiamata tegumi o muto. Sho Hashi, re di Chuzan, nel 1429 unificò i tre regni di Okinawa: Hokuzan a nord, Chuzan al centro e Nanzan a sud. Il re Sho Shin (1477-1526) per mantenere la pace vietò il possesso di armi, che furono raccolte e custodite nel castello di Shuri. Conclusa la battaglia di Sekigahara (1600), i Tokugawa vittoriosi concessero al bellicoso clan degli Shimazu, che governavano il feudo di Satsuma nell’isola di Kyushu, di occupare le Ryukyu: 3.000 samurai compirono l’invasione senza incontrare valida resistenza (1609). Dopo la resa di re Sho Nei si costituirono il “partito illuminista” (kaika-to) e il “partito ostinato” (ganko-to), ma dobbiamo ricordare che solo nel 1879 le Ryukyu furono ufficialmente annesse al Giappone come prefettura. Agli abitanti venne imposto un nuovo tributo, che si sommava a quello che continuarono a pagare alla Cina. Fu inoltre rinnovato il divieto di possedere armi e persino gli utensili di uso quotidiano come bastoni e falcetti (che potevano trasformarsi in armi letali) dovevano essere chiusi nei magazzini durante la notte, costringendo gli abitanti a dedicarsi in segreto allo studio di una forma di autodifesa da Disegno tratto dal Bubishi 10 LIVIO TOSCHI usare contro gli invasori o i delinquenti comuni. Nacque così la scuola Okinawa-te («mano di Okinawa»), detta anche to-de («mano cinese» [l’ideogramma to caratterizza la dinastia Tang]) o semplicemente te, che si differenziava in tre stili: Naha-te, sul modello del kung-fu / gongfu della Cina meridionale (che generò la scuola shorei ), Shuri-te e Tomari-te, sul modello del kungfu / gongfu della Cina settentrionale (che generarono la scuola shorin). Va precisato che Naha era la capitale dell’isola, Shuri la sede del castello reale e Tomari la zona del porto (oggi Shuri e Tomari sono quartieri di Naha). Secondo Funakoshi le tecniche di Okinawa trovarono spazio nelle danze tradizionali per beffare la sorveglianza degli occupanti, come avvenne per la capoeira in Brasile. Data la segretezza che le circondava, le arti marziali si trasmettevano per lo più oralmente: proprio per la mancanza di documentazione è impossibile avere un quadro preciso degli stili locali. Va notato che mentre il kobudo («antiche tecniche di combattimento») giapponese comprendeva le tecniche marziali dei samurai, quindi l’uso della spada (katana), dell’arco (yumi ), della lancia (yari ), dell’alabarda (naginata), ecc., il kobudo di Okinawa comprendeva le tecniche di difesa adottate dai contadini, quindi l’uso della falce (kama), del trita-riso (tonfa), del mazzafrusto (nunchaku ), ecc. I divulgatori del Karate Il primo maestro delle Ryukyu fu Kanga Sakugawa di Shuri (1733-1815), soprannominato “Tode” perché combinò il kempo, da lui appreso in Cina, con le arti marziali di Okinawa. Studiò ad Akata con il monaco Peichin Takahara e si perfezionò a Naha con il maestro cinese Kwan Sang-fu. Sakugawa, come altri pechin (samurai di Okinawa), soggiornò a Satsuma per addestrarsi nel metodo di combattimento degli intrepidi samurai del clan Shimazu (jigen-ryu). Tornato in patria si specializzò nell’uso del bo, un bastone lungo circa 180 cm. Fu suo allievo Sokon Matsumura di Shuri (1792-1896), definito il “Musashi di Okinawa”, istruttore della famiglia reale e guardia del corpo del re, che gli conferì il titolo di bushi («guerriero»). Si racconta che sposò Chiru Yonamine, esperta di combattimento a mani nude, da cui era stato sconfitto. Matsumura studiò a Satsuma, ricevendo il menkyo della scuola jigen, e soggiornò a lungo in Cina: al suo ritorno elaborò lo Shuri-te, che probabilmente si basava su una sintesi di arti marziali locali, cinesi, giapponesi. Mise a punto il kata Bassai, poi si dedicò all’insegnamento del suo metodo e fu maestro di Anko / Yasutsune Azato (1827-1906), a sua volta maestro di Funakoshi. Azato era un uomo molto colto e insegnò al giovane allievo i classici cinesi e la calligrafia. Esperto di varie arti marziali, raccolse informazioni dettagliate sugli altri maestri di Okinawa perché riteneva che conoscere meglio un potenziale avversario gli avrebbe assicurato una posizione di vantaggio. Ai suoi discepoli consigliava: «Quando praticate il karate, usate le braccia e Esercitazione di karate davanti al castello di Shuri le gambe come spade». Breve storia del Karate 11 Anko / Yasutsune Itosu (1830-1916), allievo esterno di Matsumura, grande amico di Azato e anch’egli maestro di Funakoshi, introdusse il to-de nelle scuole di Okinawa e mise a punto i cinque kata detti Pinan. Tozzo di corporatura, possedeva una grande forza e una straordinaria stretta con le mani. Kanryo Higaonna (1853-1917) in gioventù aveva vissuto a lungo in Cina per approfondire la conoscenza del kempo, che combinò con le tecniche di Okinawa-te apprese dal maestro Kamadeunchu / Seisho Arakaki nel villaggio di Kume. Diede così vita allo stile Naha-te. Il migliore allievo di Higaonna fu Chojun Miyagi, che gli successe alla sua morte. Il primo maestro di Okinawa a recarsi in Giappone per insegnare fu Choki Motobu di Shuri (1871-1944), allievo per molti anni – con il fratello Choyu – di Itosu. Detto “la Scimmia” per la sua agilità, era uno straordinario combattente ma, essendo un attaccabrighe e parlando il Gichin Funakoshi (1868-1957) dialetto di Okinawa (per cui aveva bisogno di un interprete per farsi capire), non ebbe successo come insegnante. Solo con l’arrivo di Funakoshi il karate poté diffondersi capillarmente nel paese del Sol Levante. Gichin Funakoshi Nacque a Shuri, figlio unico di una famiglia di possidenti (shizoku). Suo nonno paterno Gifuku era un rinomato studioso di Confucio, mentre suo padre Gisu ne sperperò l’eredità nell’alcool e nel gioco. Bambino gracile e introverso, si appassionò alle arti di combattimento: studiò con Azato, padre di un suo compagno di scuola, poi anche con Itosu, quindi con Matsumura e altri. Nel libro Karate-do. My Way of Life, scritto poco prima di morire, Funakoshi ebbe calde parole di riconoscenza per i suoi primi maestri, Azato e Itosu. Era non solo un abile calligrafo, ma conosceva anche i classici cinesi; pertanto nel 1888 cominciò ad insegnare in una scuola elementare, accettando di tagliarsi il ciuffo di capelli sulla testa, come imponeva la legge giapponese (fu perciò ripudiato dai suoi familiari, membri del “partito ostinato”). All’inizio del secolo la scuola di Funakoshi fu visitata da Shintaro Ogawa, commissario scolastico della prefettura di Kagoshima. Fra le varie esibizioni organizzate in suo onore ci fu anche una dimostrazione di karate, che lo impressionò moltissimo; in seguito al suo rapporto al Ministero dell’Educazione la disciplina fu introdotta nel programma della scuola media prefettizia Daiichi e nella scuola normale maschile. Nel 1912 approdò a Okinawa la flotta imperiale giapponese, al comando dell’ammiraglio Dewa, e una dozzina di ufficiali praticarono per qualche giorno il karate. Nel 1917 il Butokuden di Kyoto richiese un insegnante di Okinawa-te per una dimostrazione, la prima tenuta ufficialmente fuori dall’isola: venne inviato Funakoshi, 5° dan. Nel 1921 passò per Okinawa il principe ereditario Hirohito, diretto in Europa, e nel castello di Shuri Funakoshi organizzò un’esibizione che fu molto apprezzata. 12 LIVIO TOSCHI Nonostante fosse nato prematuro e i suoi stessi parenti non gli dessero molti anni di vita, grazie al karate si procurò una salute di ferro: sembra che negli oltre 30 anni di docenza alla scuola elementare non abbia mai saltato un giorno. Era molto resistente ai colpi, come lo era stato il suo maestro Itosu, e si allenava ripetutamente al makiwara. Lasciato l’insegnamento nel 1921, nella primavera del 1922 Funakoshi fu scelto dal Dipartimento dell’Educazione di Okinawa per eseguire una dimostrazione di karate alla scuola normale superiore femminile di Tokyo. Attentamente pianificata, l’esibizione riscosse un notevole successo. Cedendo alle insistenze di molti, tra cui i membri in esilio della famiglia reale di Okinawa (gli Sho), Funakoshi si tasferì nella capitale. Jigoro Kano lo invitò al Kodokan per un’altra dimostrazione e gli chiese d’insegnare alcune tecniche di atemi. Funakoshi frequentò saltuariamente non solo Kano, per il quale nutrì sempre un grande rispetto e profonda riconoscenza, ma anche Morihei Ueshiba. Nel 1922 scrisse il libro Ryukyu kempo: karate (karate significava ancora «mano cinese» e i nomi dei kata erano quelli originari di Okinawa), che quattro anni dopo ebbe una riedizione dal titolo Renten goshin karate-jitsu. Nel 1935 pubblicò Karate-do kyohan, tradotto nel 1974 dal maestro Tsutomo Oshima. I primi anni a Tokyo furono difficili soprattutto sotto l’aspetto economico e dovette adattarsi a fare il guardiano nell’ostello dove insegnava e dove viveva in una minuscola stanza. Poi gli allievi aumentarono (tra i primi ricordo il pittore Hoan Kosugi, che illustrò i libri di Funakoshi) e anche l’università di Keio aprì un corso di karate, seguita dalle università Waseda, Takushoku, ecc., nonché dalle accademie militare e navale. Nel 1933, apportate alla disciplina le molte modifiche richieste, il karate fu ufficialmente riconosciuto dal Butokukai, l’organizzazione imperiale per l’educazione della gioventù. Dopo aver utilizzato un’aula del Meisei Juku, un ostello per studenti di Okinawa situato nel quartiere Suidobata, per qualche tempo Funakoshi fu ospite nella palestra del famoso maestro di kendo Hiromichi (o Hakudo) Nakayama. Nel 1936, grazie al comitato nazionale di sostenitori del karate, venne costruito il dojo Shotokan («casa delle onde di pino») a Zoshigaya. “Shoto” era lo pseudonimo che Funakoshi usava da giovane nel firmare i suoi poemi cinesi. A questo proposito ha scritto il Maestro: «Godere la solitudine ascoltando il vento fischiare attraverso i pini era un’eccellente maniera per raggiungere la pace di spirito che il karate richiede». Yoshitaka Funakoshi (1906-1945) Quando il karate fu introdotto in Giappone era un efficace ma disorganizzato metodo di autodifesa, lontano dalle tradizioni del budo nipponico. Molti cambiamenti tecnici furono adottati e il kempo karate-jitsu di Okinawa si trasformò così in karate-do. Per facilitare la diffusione del karate in un Giappone sempre più nazionalista e xenofobo, l’ideogramma to, che si leggeva anche kara («cinese»), fu sostituito da un altro avente la stessa pronuncia, ma il significato di «vuoto» (sia nel senso di «disarmato», che in riferimento allo stato mentale del praticante, concetto zen di mu-shin). Vennero inoltre tradotti in giapponese i nomi originali delle tecniche e dei kata per renderli più comprensibili. Funakoshi così definiva il termine kara : Breve storia del Karate 13 « Come la lucida superficie di uno specchio riflette qualunque cosa le stia di fronte e una quieta valle riecheggia anche i più piccoli suoni, allo stesso modo il praticante di karate deve rendere vuota la sua mente di egoismo e di debolezza nello sforzo di reagire adeguatamente in qualunque circostanza». Quale guida spirituale per i suoi allievi Funakoshi elaborò i Venti Principi (Shoto nijukun), pubblicati nel 1938 con il commento di I Maestri del Karate (da sinistra): Kanken Toyama, Hironori Genwa Nakasone. Il primo kun Otsuka, Takeshi Shimoda, Gichin Funakoshi, Choki Motobu, ammonisce: «Non dimenticare che Kenwa Mabuni, Genwa Nakasone e Shinken Taira il karate-do comincia e finisce con il rei ». Altri principi sono: «Lo spirito viene prima della tecnica», «Libera la mente», «Nel combattimento devi saper padroneggiare il pieno e il vuoto», «Sii sempre creativo». Il Maestro condivise la direzione dello Shotokan con suo figlio Gigo (Yoshitaka in giapponese), che trasformò sostanzialmente lo stile elaborato dal padre, inserendovi attacchi lunghi e potenti, che facevano uso di nuove tecniche di calci alti, portati con la gamba completamente distesa. Nel 1945 i bombardamenti ridussero in cenere lo Shotokan e Yoshitaka morì di tubercolosi, a soli 39 anni. Due anni più tardi si spense anche la moglie di Funakoshi, che molto tempo prima –- a Okinawa – lo aveva aiutato nell’insegnamento del karate. Nel dopoguerra il generale americano Douglas Mac Arthur proibì la pratica delle arti marziali, ritenute l’anima dello spirito militarista nipponico, ma si fece eccezione per il karate, considerato uno stile di pugilato cinese. A poco a poco crebbe l’interesse degli americani e Funakoshi fu ripetutamente sollecitato a dare dimostrazioni. Poi venne invitato a darne anche nelle basi aeree degli USA: per l’occasione scelse come assistenti Isao Obata (della Keio University), Toshio Kamata (della Waseda) e Masatoshi Nakayama (della Takushoku). Avversato da Funakoshi, che riteneva il kata la massima espressione del karate, il primo campionato di kumite in Giappone fu organizzato dalla Japan Karate Association soltanto nel 1957, dopo la sua scomparsa. Sul monumento che lo ricorda nel tempio zen di Engaku a Kamakura si legge questa massima: Il monumento a Gichin Funakoshi (Engakuji, «Karate ni sente nashi», ossia «Non c’è tecnica offensiva nel Karate». Kamakura) 14 LIVIO TOSCHI Gli stili di Karate Shotokan, wado, shito (Shorin-ryu) e goju (Shorei-ryu) sono i quattro stili più importanti di karate. L’ultimo è uno stile potente, che viene da Naha; gli altri tre, agili e veloci, provengono da Shuri e Tomari. Lo stile wado («Via della pace») fu creato nel 1934 dal giapponese Hironori Otsuka (1892-1982). Prima di divenire allievo di Funakoshi (1922) Otsuka aveva ottenuto il menkyokaiden che lo consacrava successore di Shinzaburo Nakayama, patriarca della scuola di jujitsu shindo yoshin, e lo stile da lui insegnato utilizzava largamente il concetto di “non resistenza”. Il wado riscosse subito un grande successo ed ebbe il suo centro principale nella Waseda University. In contrasto con Funakoshi fu Otsuka a dettare le prime regole del kumite. Nel 1966 ricevette un’alta onorificenza dall’imperatore Hirohito e nel 1972 gli venne Kenwa Mabuni (1889-1952) concesso il 10° dan. Lo shito si deve a Kenwa Mabuni (1889-1952). Il nome shito deriva dalla contrazione dei nomi in giapponese dei suoi due insegnanti, Itosu (Shuri-te) e Higaonna (Naha-te). Mabuni studiò il kempo e apprese la forma di Shaolin chiamata gru bianca, quindi approfondì l’uso delle armi. Durante una visita a Okinawa nel 1927 Kano incoraggiò Mabuni e Miyagi a insegnare il karate a Tokyo. Mabuni, infatti, nel 1928 raggiunse Funakoshi nella capitale, ma un anno dopo si trasferì a Osaka, dove fondò lo Yoshukan. La creazione ufficiale dello shito risale al 1934, con la pubblicazione del Goshinjitsu karate-kempo, che illustra kata di Naha-te e Shuri-te. Morì a Osaka Chojun Miyagi (1888-1953) il 23 maggio 1952. Chojun Miyagi (1888-1953), che nel 1921 aveva partecipato alla dimostrazione davanti al principe Hirohito nel castello di Shuri, visitò più volte la Cina e conobbe molte scuole di boxe cinese, ma studiò anche gli stili interni: creò il goju («duromorbido»), uno stile basato sui principi dello yin e dello yang, affine al Naha-te. Insegnò in Giappone e alle Hawaii (1934) e fu nominato rappresentante di Okinawa nell’Associazione di Arti Marziali del Grande Giappone, il Dai Nippon Butokukai. Miyagi era stato allievo di Kanryo Higaonna e fu maestro di Gogen Yamaguchi, detto “il Gatto” (1909-1989). Morì a Naha Hironori Otsuka (1892-1982) l’8 ottobre 1953. Breve storia del Karate Samurai, di Kuniyoshi 15 Samurai, di Kunisada Tametomo Minamoto, di Kobayashi «Se qualcuno chiede qual è lo spirito dello Yamato, rispondi: è un fiore di ciliegio che profuma il sole del mattino». Mootori Norinaga 16 LIVIO TOSCHI Karate moderno - Alcune date significative 1965 1966 1966 1970 1970 1974 1978 1980 1981 1982 1985 1986 1986 1988 1993 Nasce l’Unione Europea di Karate. 1° Campionato europeo (a Parigi). Dalla fusione della Federazione Italiana Karate - FIK (con sede a Firenze) e della Karate International Academy of Italy - KIAI (con sede a Roma) si costituisce la Federazione Italiana di Karate - FIK, con sede a Roma. Augusto Ceracchini ne è prima commissario, poi (29 gennaio 1967) presidente. 1° Campionato mondiale (a Tokyo). In questa occasione i delegati di 33 nazioni fondano la World Union of Karate-do Organizations - WUKO. Il francese Jacques Delcourt viene eletto presidente, Ryoichi Sasakawa presidente onorario. L’Associazione Italiana Karate - AIK (con sede a Milano) diviene Federazione Sportiva Italiana Karate - FESIKA. 1° Campionato europeo juniores (a Mannheim). Il 7 dicembre la Giunta Esecutiva del CONI autorizza la FILPJ a comprendere il Karate fra le discipline sotto il suo controllo. Poco dopo (1979) si sciolgono le due Federazioni tra loro in contrasto, la FIK e la FESIKA, riunendosi sotto l’egida della Federazione Italiana Karate e Discipline Affini - FIKDA, gestita in regime commissariale prima da Carlo Zanelli e poi da Matteo Pellicone, ambedue presidenti della FILPJ. Giovanni Ricciardi vince il Campionato mondiale (categoria ippon) a Madrid. 1a edizione dei World Games di Karate (a Santa Clara, negli USA). Il 20 giugno si tiene l’Assemblea straordinaria della FIKDA. Dopo aver lungamente applaudito la relazione di Pellicone, che sottolinea il duro lavoro «necessario per creare le strutture organizzative della nuova Federazione e le premesse per una conduzione democratica della stessa», l’Assemblea approva all’unanimità lo statuto. Considerato il costante sviluppo del Taekwondo, decide inoltre di mutare il nome della FIKDA in Federazione Italiana Karate Taekwondo e Discipline Affini - FIKTEDA. Preso atto della rinuncia di Matteo Pellicone a presentare la propria candidatura, viene eletto presidente Marco Tosatti. Nasce la Federazione Italiana Taekwondo - FITA, alla quale aderiscono diverse società di Karate, tanto che la neonata Federazione cambia il suo nome in FITAK. 1° Campionato europeo femminile (a Sion, in Svizzera). Vista «la conflittualità esistente, da sempre, tra i fautori di un Karate sportivo e quelli legati alle tradizioni dei maestri giapponesi», nella seduta del 21 marzo il Consiglio Federale della FILPJ riconosce la FITAK (anziché la FIKTEDA) quale referente del Karate. Si chiude così un lungo periodo di transizione aprendo grandi prospettive «in un mondo agitato ma ricco di stili e talenti, carico di tradizioni e cultura». La FITAK è presieduta dal coreano Sun Jae Park (presidente onorario è Matteo Pellicone). Gianluca Guazzaroni vince il Campionato mondiale (categoria ippon) al Cairo. Nel corso della Coppa del Mondo disputata ad Algeri si svolge l’assemblea dei paesi aderenti alla WUKO, che votano compatti la nascita della World Karate Federation - WKF. Breve storia del Karate 1993 1994 1994 1994 1995 17 Il Karate entra nel programma dei Giochi del Mediterraneo. Davide Benetello vince il Campionato mondiale (-80 kg) a Kota Kinabalu, in Malesia. Giuseppe Pellicone viene eletto vicepresidente sia della WKF, sia dell’EKF. La 5a Assemblea straordinaria della FILPJ approva l’ingresso del Karate, già disciplina associata, come quarto Settore. Nasce così la FILPJK, divenuta FIJLKAM dopo la costituzione della Federazione Italiana Pesistica e Cultura Fisica (2000), oggi FIPE. In maggio la Nazionale di Karate partecipa alla prima manifestazione internazionale sotto le insegne della FILPJK. FIJLKAM / Medagliere del Karate (dal 1995) WORLD GAMES O A B Karate M Karate F C. MONDIALI O A B C. EUROPEI O A B GIOCHI del MED. O A B 7 1 7 1 2 4 8 2 6 5 13 6 33 12 32 9 31 15 8 5 5 4 10 9 8 8 6 10 11 19 45 41 46 13 9 19 Aggiornato al 5 maggio 2014 (dopo il Campionato Europeo disputato a Tampere, in Finlandia) La medaglia di Silvia Girlanda per i 100 anni della FIJLKAM 18 LIVIO TOSCHI Cronologia essenziale del Giappone 660 a.C. È considerata la data di nascita dell’impero giapponese ad opera di Jimmu Tenno. 4 a.C. Il tempio che ospita i simboli imperiali (il gioiello, lo specchio e la spada) è trasferito a Ise, dove esiste ancora. 645 Costituzione dell’imperatore Kotoku, detta Riforma Taika: nessun nobile può possedere terre personali, che passano tutte in proprietà dello Stato. 710 Fondazione di Nara, che diviene la capitale. 712 È ultimato il Kojiki, la più antica cronaca del Giappone, scritta in cinese come il Nihongi (o Nihon Shoki ), del 720. 794 Fondazione di Heiankyo (Kyoto). L’imperatore Kammu vi trasferisce la capitale. 1167 Kyomori Taira ottiene la carica di cancelliere, la più importante dell’impero. 1180 Ha inizio la guerra Gempei tra i potenti clan Taira (o Heishi / Heike) e Minamoto (o Genji). 1184 Yoritomo e Yoshitsune Minamoto battono i Taira a Ichinotani, Yashima e Dannoura. 1192 Yoritomo Minamoto è nominato shogun. La capitale è trasferita a Kamakura. 1199 Alla morte di Yoritomo la moglie Masako, della famiglia Hojo, governa in nome del figlio. 1274 Prima invasione mongola (con 900 navi che trasportano 30-40.000 guerrieri). L’attacco è diretto alla baia di Hakata, a nord dell’isola di Kyushu. Per la prima volta i giapponesi vedono armi da fuoco. 1281 Seconda invasione mongola con oltre 4.000 navi. 40.000 coreani sbarcano nell’isola di Iki (nella baia di Hakata) e massacrano gli abitanti. La flotta cinese con 100.000 guerrieri attracca a Hirado. L’esercito di Takimune Hojo resiste per sette settimane. Il 25 agosto scoppia una violenta tempesta, il cosiddetto “vento divino” o kami-kaze. 1331 L’imperatore Go-Daigo tenta un colpo di stato, che fallisce. Takauji Ashikaga, autoproclamatosi shogun, sconfigge Go-Daigo presso Kobe. 1404 Lo shogun Yoshimitsu Ashikaga invia ambasciatori alla corte dei Ming. 1543 I Portoghesi sbarcano in Giappone e v’introducono l’uso di perfezionati archibugi occidentali, il cui impiego modifica radicalmente la tecnica di guerra. 1572 Oda Nobunaga depone e manda in esilio lo shogun Yoshiaki Ashikaga, che ha complottato contro di lui. Stabilisce il suo quartier generale ad Azuchi, dove fa costruire il più grande e splendido castello del tempo, ma non assume il titolo di shogun. 1582 Parte dal Giappone la prima ambasceria verso l’Occidente (giunge in Italia nel 1585), che fa ritorno nel 1590. 1584 Nasce il grande spadaccino Miyamoto Musashi, autore del Gorin-no-sho (Il libro dei cinque anelli ). Il fondatore del Niten-ichi-ryu («Due cieli, una scuola») muore nel 1645. 1587 Toyotomi Hideyoshi assesta un colpo decisivo alla pirateria conquistando l’intero Kyushu. 1592 Prima spedizione di Hideyoshi in Corea con un esercito di 150.000 guerrieri. 1597 Seconda spedizione in Corea, ma Hideyoshi muore l’anno seguente. 1600 Il 21 ottobre Ieyasu Tokugawa sconfigge a Sekigahara l’esercito di Ishida Mitsunari, fedele a Hideyori, figlio di Hideyoshi. 1603 Ieyasu riceve dall’imperatore il titolo di shogun. 1609 Il clan Shimazu di Satsuma conquista le isole Ryukyu con un esercito di 3.000 samurai. Breve storia del Karate 1615 1636 1641 1702 1853 1854 1866 1867 1868 1871 1872 1873 1876 1877 1878 1884 1889 1895 1895 1905 1912 1923 1926 1941 1945 1989 19 Ieyasu conquista il castello di Osaka e Hideyori si suicida. I Portoghesi vengono espulsi dal Giappone e ha inizio la politica isolazionista. I sudditi giapponesi non possono lasciare il paese o, dopo averlo lasciato, farvi ritorno. Concessione olandese a Deshima, piccola isola nella baia di Nagasaki. In dicembre ha luogo il famoso episodio dei 47 ronin, che attaccano il palazzo di Kira Yoshinaka a Edo per vendicare il loro padrone, Asato Naganori. L’8 luglio quattro navi statunitensi, comandate dal commodoro Matthew Calbraith Perry, entrano nella baia di Edo per chiedere l’apertura di relazioni commerciali. Il 31 marzo viene firmato il trattato di Kanagawa con gli USA. Altri trattati sono firmati con la Gran Bretagna, la Russia, l’Olanda e la Francia. Muore lo shogun, seguito pochi mesi dopo dall’imperatore Komei. I loro successori sono Keiki Tokugawa e Mutsuhito (122° imperatore del Giappone). Il 9 novembre Keiki restituisce nelle mani dell’imperatore la carica di shogun, che Yoritomo Minamoto ha ricevuto per la prima volta nel 1192. I più fanatici sostenitori di Keiki, i samurai di Aizu, si ribellano. Lo scontro decisivo con le truppe imperiali avviene nei pressi di Fushimi, una decina di chilometri a sud di Kyoto. La battaglia dura 3 giorni (dal 28 al 30 gennaio) e vede il successo dell’esercito imperiale. Il 4 luglio i superstiti sostenitori dei Tokugawa vengono annientati a Ueno. Ha inizio l’era Meiji (del «governo illuminato»). Abolizione dei daimyo e degli han, sostituiti da prefetture. Lo Shinto diviene religione di stato. Saigo Takamori è nominato comandante in capo delle forze armate. Legge per la coscrizione obbligatoria: la ferma è di 3 anni per tutti i maschi di 21 anni. Viene adottato il calendario solare (gregoriano) al posto di quello lunare. Un editto vieta ai samurai di portare le due spade. Saigo Takamori (“l’ultimo samurai”) si ribella alle nuove leggi. Il 24 settembre a Kagoshima si scontrano 30.000 samurai e 76.000 soldati dell’esercito regolare: Saigo, sconfitto, si suicida. Gli viene eretto un monumento nel parco di Ueno. Assassinio di Okubo Toshimichi, il “Bismark del Giappone”. Il Giappone adotta come fondamentale il meridiano di Greenwich. La Costituzione è promulgata l’11 febbraio, nell’anniversario della fondazione dello Stato giapponese, che il Nihongi fa risalire all’11 febbraio del 660 a.C. A conclusione della guerra in Corea, il 17 aprile viene firmato il trattato di Shimonoseki tra il Giappone vittorioso e la Cina. È fondato a Kyoto il Dai Nippon Butokukai (Associazione per lo sviluppo delle virtù marziali del Giappone), che nel 1899 ricostruisce il Butokuden («luogo delle virtù marziali»). Il 5 settembre viene firmato a Portsmouth (USA) il trattato di pace tra il Giappone vittorioso e la Russia. Muore l’imperatore Meiji. Con Yoshihito ha inizio l’era Taisho (della «grande rettitudine»). Il 1° settembre un terribile terremoto devasta la regione del Kanto (oltre 140.000 morti). Con l’imperatore Hirohito ha inizio l’era Showa (della «pace illuminata»). Il 7 dicembre l’aviazione giapponese attacca Pearl Harbour. Il 2 settembre il Giappone firma la resa incondizionata sulla nave ammiraglia americana Missouri nella baia di Tokyo. Con l’imperatore Akihito ha inizio l’era Eisei (della «pace compiuta»). 20 LIVIO TOSCHI Dizionarietto giapponese ai Amaterasu arashi atemi bakufu bakumatsu bu buke bun bushi bushido chanoyu chusei dai daimyo densho do (michi) dojo emakimono -gi giri gokyo gorin han haniwa hara (tanden) heimin -ji -jidai jitsu -jo joseki ju kabuki kakemono kami-no-kuni kanji katana kaze ken kerai amore, armonia dea del sole e progenitrice della casata imperiale tempesta > dojo-arashi = tempesta sul dojo colpire al corpo (ateru = colpire, mi = corpo) governo della tenda, ossia lo shogunato nel Giappone feudale declino del bakufu (ultimi anni dello shogunato Tokugawa) virtù militare il corrispettivo del nostro cavaliere medievale virtù civile guerriero > bushi-no-nasake = la compassione del guerriero Via del guerriero, codice d’onore dei samurai cerimonia del tè fedeltà grande > dai-Nippon = il grande Giappone signore terriero, governatore (letteralmente: «grande nome») documenti segreti delle scuole di bugei Via spirituale (dao o tao in cinese) luogo dove si apprende la Via pittura di tipo narrativo su rotoli orizzontali (suffisso) costume > judo-gi, karate-gi dovere, in particolare verso un superiore i cinque principi, ossia le 5 serie di 8 tecniche da eseguire in piedi nel judo i cinque principi etici fondamentali (letteralmente: «cinque anelli») feudo statuette di argilla usate anticamente come ornamento sepolcrale ventre, addome > haragei = arte di concentrare l’energia vitale nell’hara gente comune (suffisso) monastero, tempio > Shaolin-ji = il monastero di Shaolin (suffisso) epoca > sengoku-no-jidai = epoca dei regni combattenti arte, tecnica (suffisso) castello > Himeji-jo = il castello di Himeji lato d’onore cedevole, flessibile > ju-no-seigoo = chi è morbido controlla chi è rigido forma vivace di teatro giapponese (il no è una forma sobria e raffinata) rotolo verticale il paese degli dei (= il Giappone) ideogrammi cinesi spada lunga leggermente curva > te-gatana = mano a sciabola (shuto) il vento > kami-kaze = vento divino prefettura / spada > ken-do = Via della spada vassallo Breve storia del Karate kime kimono kobudo kokoro ku (mu) kuge kyu-ba-no-michi manga Mikado mon mushin ran rei ryu saburau sakura satori seiza sensei seppuku shin shinto shizoku shoen shogun sonno joi tai (mi) tenno tenshin torii tsuba -tzu ukiyo-e Yamato damashii yoroi yu zanshin zen 21 decisione senza riserve tipico abito giapponese budo antico cuore, spirito il vuoto (wu in cinese) nobile di corte Via dell’arco e del cavallo schizzo, disegno Augusta Porta (= l’imperatore del Giappone) stemmi di famiglia non-mente; stato di “mente vuota” ribellione saluto > ritsu-rei o tachi-rei= saluto in piedi; za-rei = saluto in ginocchio scuola > kito-ryu, yoshin-ryu, ecc. essere al servizio di un nobile (da cui il sostantivo samurai ) fiore di ciliegio, considerato il simbolo del Bushido risveglio; stato di illuminazione della mente posizione seduta alla giapponese (sui talloni) maestro > sensei-ni-rei = saluto al maestro nome formale dell’harakiri (= tagliare il ventre); suicidio rituale dei samurai mente, cuore, anima, spirito > yo-shin = cuore di salice Via degli dei o kami-no-michi (dal cinese shen-tao); l’antica religione giapponese gentiluomo di campagna feudo, proprietà comandante in capo (il primo fu Yoritomo Minamoto nel 1192) «venerare l’imperatore, espellere i barbari» (slogan patriottico) corpo > tai-sabaki = rotazione del corpo sovrano celeste (= l’imperatore del Giappone) > wang in cinese spirito cosmico / ma anche: figlio del Cielo (= l’imperatore del Giappone) portale all’ingresso dei santuari shintoisti (ha la forma del pi greco: π) guardia della spada: in metallo finemente lavorato, protegge l’impugnatura (suffisso) maestro > Lao-tzu, Sun-tzu, ecc. stampa con matrici di legno (letteralmente: «pittura del mondo fluttuante») lo spirito del Giappone armatura > yoroi-gumi-uchi = combattimento con l’armatura coraggio, audacia, generosità attenzione meditazione / forma di buddismo giapponese, che deriva dal chan cinese PRONUNCIA La lettera J si pronuncia G (dolce), la G si pronuncia G (dura), la W si pronuncia U, la Y si pronuncia I. Le lettere CH si pronunciano C (dolce), le lettere SH si pronunciano SC. Le parole che iniziano con H o K, quando sono precedute da un’altra parola cambiano la H in B e la K in G: HARAI-MAKIKOMI e DE-ASHI-BARAI, KOSHI-WAZA e O-GOSHI. Inoltre, SHI diventa JI: SHIME-WAZA e JUJI-JIME. 22 LIVIO TOSCHI Bibliografia sulla storia delle Arti Marziali (dal 1980 ad oggi) KENJI TOKITSU, ed. it. Lo Zen e la Via del Karate, SugarCo, Milano, 1980 PETER PAYNE, ed. it. Arti marziali. La dimensione spirituale, Fabbri, Milano, 1982 LUIS ROBERT, ed. it. Judo (La storia del Judo: pp. 7-25), SIAD, Milano, 1983 TOMMASO BETTI BERUTTO, Da cintura bianca a cintura nera, NES, Roma, 1986 / 10a edizione GICHIN FUNAKOSHI, ed. it. Karate Do. Il mio stile di vita, Edizioni Mediterranee, Roma, 1987 OSCAR RATTI e ADELE WESTBROOK, ed. it. I segreti dei samurai, Edizioni Mediterranee, Roma, 1987 / 2a edizione CESARE BARIOLI, Il grande libro del Karate (La storia: pp. 9-73), De Vecchi, Milano, 1988 PETER LEWIS, ed. it. Arti marziali, Rizzoli, Milano, 1988 HOWARD REID e MICHAEL CROUCHER, ed. it. La Via delle arti marziali, RED, Como, 1988 ENNIO FALSONI, La storia del Karate italiano, 2 vv. (numeri speciali di “Banzai”), 1989 ROBERTO FASSI, Il Karate (La storia: pp. 8-18), De Vecchi, Milano, 1990 LOUIS FREDERIC, ed. it. Le arti marziali dall’A alla Z, Sperling & Kupfer, Milano, 1990 GEORGE W. ALEXANDER, ed. it. Okinawa: isola del Karate, Yamazato Publications, Lake Worth - USA, 1991 Studi su Jigoro Kano, in “Quaderni del Bu-Sen”, 1, 1991, pp. 27-66 WALTER LONG, ed. it. Sumo. La più spettacolare arte marziale giapponese, Edizioni Mediterranee, Roma, 1992 OSCAR RATTI e ADELE WESTBROOK, ed. it. Aikido e la sfera dinamica, Edizioni Mediterranee, Roma, 1992 (ristampa) KISSHOMARU UESHIBA, ed. it. Lo spirito dell’Aikido, Edizioni Mediterranee, Roma, 1992 (ristampa) JOHN STEVENS, ed. it. La Via dell’Armonia, Edizioni Mediterranee, Roma, 1992 KENJI TOKITSU, ed. it. L’arte del combattere, Luni, Milano, 1993 MORIHEI UESHIBA, ed. it. Budo, Edizioni Mediterranee, Roma, 1994 JIGORO KANO, ed. it. Judo Jujutsu, Edizioni Mediterranee, Roma, 1995 MICHEL BROUSSE, Le Judo. Son histoire, ses succès, Liber, Ginevra, 1996 PIO GADDI, L’evoluzione delle regole internazionali per le competizioni di Judo dal 1951 al 1996, FILPJK, Roma, 1996 WERNER LIND, ed. it. Budo. La Via spirituale delle arti marziali, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996 JIGORO KANO, ed. it. Fondamenti del Judo (prefazione di CESARE BARIOLI), Luni, Milano, 1997 YVES KIEFFER e LUIGI ZANINI, ed. it. Il Kung fu, Xenia, Milano, 1997 JOHN STEVENS, ed. it. I Maestri del Budo, Edizioni Mediterranee, Roma, 1997 Dossier Kata, in “Arti d’Oriente”, 3, luglio-agosto 1998, pp. 32-45 CESARE BARIOLI, Il Kung-fu, De Vecchi, Milano, 1998 DONN FREDERICK DRAEGER, ed. it. Le arti marziali giapponesi come discipline spirituali, Edizioni Mediterranee, Roma, 1998, 3 vv. 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Da Bodhidharma a Jigoro Kano, in “Lancillotto e Nausica”, 2-3, maggiodicembre 1998, pp. 6-21 Da Shaolin al Giappone, in “Athlon”, 1-2, gennaio-febbraio 1999, pp. 52-54 I primi regolamenti italiani del judo, in “Athlon”, 4, aprile 1999, pp. 42-43 Nasceva 80 anni fa la Federazione Jiu-Jitsuista Italiana, in “Athlon”, 11-12, novembre-dicembre 2004, pp. 63-64 Voce: Judo, in Enciclopedia dello Sport, Istituto Treccani, 2004 Risale a 100 anni fa il nostro primo contatto con la “lotta giapponese”, in “Athlon”, 8-9, agostosettembre 2006, pp. 36-38 Trentasei anni di Campionati mondiali, in Il Karate azzurro sul tetto del mondo, FIJLKAM, Roma, 2006, pp. 8-15 Campionati europei e mondiali di Judo, in Breve storia del Judo italiano, FIJLKAM, Roma, 2007, pp. 5-33 Umberto Cristini, in “Rassegna storica del Risorgimento”, ottobre-dicembre 2007, pp. 569-573 Il padre del Judo venne nella capitale 80 anni fa. 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