S
UPPLEMENTI
Nuove letture e prospettive
di ricerca per il Settecento
europeo
08
IL CAPITALE CULTURALE
Studies on the Value of Cultural Heritage
JOURNAL OF THE SECTION OF CULTURAL HERITAGE
Department of Education, Cultural Heritage and Tourism
University of Macerata
eum
IL CAPITALE CULTURALE
Studies on the Value of Cultural Heritage
Supplementi 08 / 2018
eum
Il Capitale culturale
Studies on the Value of Cultural Heritage
Supplementi 08, 2018
ISSN 2039-2362 (online)
ISBN 978-88-6056-586-0
Direttore / Editor
Massimo Montella
Co-Direttori / Co-Editors
Tommy D. Andersson, Elio Borgonovi,
Rosanna Cioffi, Stefano Della Torre, Michela
di Macco, Daniele Manacorda, Serge Noiret,
Tonino Pencarelli, Angelo R. Pupino, Girolamo
Sciullo
Coordinatore editoriale / Editorial Coordinator
Francesca Coltrinari
Coordinatore tecnico / Managing Coordinator
Pierluigi Feliciati
Comitato editoriale / Editorial Office
Giuseppe Capriotti, Mara Cerquetti, Francesca
Coltrinari, Patrizia Dragoni, Pierluigi Feliciati,
Valeria Merola, Enrico Nicosia, Francesco
Pirani, Mauro Saracco, Simone Sisani, Emanuela
Stortoni
Comitato scientifico - Sezione di beni
culturali / Scientific Committee - Division of
Cultural Heritage and Tourism
Gi use ppe Ca prio tti, M a r a C er q u etti,
Francesca Coltrinari, Patrizia Dragoni,
Pierluigi Feliciati, Maria Teresa Gigliozzi,
Susanne Adina Meyer, Massimo Montella,
Umberto Moscatelli, Sabina Pavone, Francesco
Pirani, Mauro Saracco, Emanuela Stortoni,
Federico Valacchi, Carmen Vitale
Comitato scientifico / Scientific Committee
Michela Addis, Tommy D. Andersson, Alberto
Mario Banti, Carla Barbati, Sergio Barile,
Nadia Barrella, Marisa Borraccini, Rossella
Caffo, Ileana Chirassi Colombo, Rosanna
Cioffi, Caterina Cirelli, Alan Clarke, Claudine
Cohen, Lucia Corrain, Giuseppe Cruciani,
Girolamo Cusimano, Fiorella Dallari, Stefano
Della Torre, Maria del Mar Gonzalez Chacon,
Maurizio De Vita, Michela di Macco, Fabio
Donato, Rolando Dondarini, Andrea Emiliani,
Gaetano Maria Golinelli, Xavier Greffe, Alberto
Grohmann, Susan Hazan, Joel Heuillon,
Emanuele Invernizzi, Lutz Klinkhammer,
Federico Marazzi, Fabio Mariano, Aldo M.
Morace, Raffaella Morselli, Olena Motuzenko,
Giuliano Pinto, Marco Pizzo, Edouard
Pommier, Carlo Pongetti, Adriano Prosperi,
Angelo R. Pupino, Bernardino
Quattrociocchi, Margherita Rasulo, Mauro
Renna, Orietta Rossi Pinelli, Roberto
Sani, Girolamo Sciullo, Mislav Simunic,
Simonetta Stopponi, Michele Tamma, Frank
Vermeulen, Stefano Vitali
Web
http://riviste.unimc.it/index.php/cap-cult
e-mail
icc@unimc.it
Editore / Publisher
eum edizioni università di macerata, Centro
direzionale, via Carducci 63/a – 62100
Macerata
tel (39) 733 258 6081
fax (39) 733 258 6086
http://eum.unimc.it
info.ceum@unimc.it
Layout editor
Marzia Pelati
Progetto grafico / Graphics
+crocevia / studio grafico
Rivista accreditata AIDEA
Rivista riconosciuta CUNSTA
Rivista riconosciuta SISMED
Rivista indicizzata WOS
La Galleria dell’Eneide di Palazzo Buonaccorsi a Macerata.
Nuove letture e prospettive di ricerca per il Settecento europeo
* Gli interventi presentati in questo volume sono stati selezionati fra quelli pervenuti in risposta
a una call for paper dal comitato scientifico del convegno “La Galleria di palazzo Buonaccorsi a
Macerata: nuove letture e prospettive di ricerca per il Settecento europeo” (Macerata, Università
di Macerata e Musei Civici di palazzo Buonaccorsi, 21-23 giugno 2017), promosso dall’Università
di Macerata, Dipartimento di Scienze della Formazione dei Beni culturali e del Turismo, con il
patrocinio di SISCA (Società Italiana per lo Studio della Critica d’arte).
Comitato scientifico
Gabriele Barucca (già Soprintendenza ABAP delle Marche-Ancona), Silvia Blasio (Università di
Perugia), Enzo Borsellino (Università di Roma Tre), Giuseppe Capriotti (Università di Macerata)
Vittorio Casale (Università di Roma Tre), Claudia Cieri Via (Università La Sapienza di Roma),
Rosanna Cioffi (Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”), Francesca Coltrinari
(Università di Macerata), Valter Curzi (Università La Sapienza di Roma), Patrizia Dragoni
(Università di Macerata), Daniela Del Pesco (Università di Roma Tre), Michela di Macco
(Università La Sapienza di Roma), Elena Fumagalli (Università di Modena e Reggio Emilia),
Andrew J. Hopkins (Università degli Studi dell’Aquila), Riccardo Lattuada (Università degli studi
della Campania “Luigi Vanvitelli”), Lauro Magnani (Università di Genova), Sergio Marinelli
(Università di Venezia), Susanne Adina Meyer (Università di Macerata), Raffaella Morselli
(Università di Teramo), Mario Alberto Pavone (Università di Salerno), Cecilia Prete (Università
di Urbino), Massimiliano Rossi (Università del Salento, Presidente SISCA), Orietta Rossi Pinelli
(Università La Sapienza di Roma), Gianni Carlo Sciolla † (già Presidente SISCA), Alessandra
Sfrappini (Istituzione Macerata Cultura Biblioteca e Musei), Cinzia Maria Sicca (Università di
Pisa).
La Galleria dell’Eneide di Palazzo
Buonaccorsi a Macerata.
Nuove letture e prospettive di
ricerca per il Settecento europeo
a cura di Giuseppe Capriotti, Francesca Coltrinari,
Patrizia Dragoni, Susanne Adina Meyer, Massimiliano Rossi
Parte IV
Pubblico, ricezione, fortuna critica
Pastres P., Le scuole pittoriche nella letteratura artistica e nel collezionismo del Seicento, inizio Settecento / Pictorial schools
in artistic literature and in collecting of the Seventeenth century, beginning of the Eighteenth century
«Il Capitale culturale», Supplementi 08 (2018), pp. 533-559
ISSN 2039-2362 (online); ISBN 978-88-6056-586-0
DOI: 10.13138/2039-2362/1851
Le scuole pittoriche nella letteratura
artistica e nel collezionismo del
Seicento, inizio Settecento
Paolo Pastres*
Abstract
Nella selezione degli autori dei dipinti della Galleria dell’Eneide di palazzo Buonaccorsi il
committente seguì certamente il proprio gusto convocando artisti, dai vari centri italiani, che
caratterizzarono l’impresa con una certa uniformità stilistica. Tuttavia, anche in una simile
scelta, basata essenzialmente sulle qualità e il prestigio dei singoli autori, ebbe probabilmente
un’influenza anche la tradizione critica delle scuole pittoriche, con le loro specifiche
caratteristiche, ben riconoscibili e codificate dalla storiografia. Alla luce di tali considerazioni,
questo contributo ricostruisce il percorso del concetto di scuola pittorica, dagli esordi all’inizio
del Seicento fino al Settecento, nel contesto europeo, con particolare attenzione ai riflessi sul
collezionismo, il mecenatismo e in generale sulla cultura degli amatori d’arte. Inoltre, in
questa sede viene messa in rilievo la possibile influenza della “teoria dei modi” di Poussin, che
Félibien divulgò e associò alle differenze stilistiche delle varie scuole, sulle scelte operate dai
collezionisti e committenti più informati e sensibili, come nel caso del marchese Buonaccorsi.
In the selection of the authors of paintings for the Gallery of the Eneide in Palazzo
Buonaccorsi, the client certainly followed his taste, calling artists from various Italian centers,
which characterized the project with a certain stylistic uniformity. However, even in such a
* Paolo Pastres, Storico dell’arte, via Ciro di Pers 15, 33100 Udine, e-mail: paolo.pastres@
virgilio.it.
534
PAOLO PASTRES
choice, based essentially on the qualities and prestige of the individual authors, the critical
tradition of the pictorial schools, with their specific characteristics, well recognizable and codified
by historiography, probably also influenced. In light of these considerations, this contribution
reconstructs the development of the concept of pictorial school from the introduction, at the
beginning of the Seventeenth century, to the Eighteenth century, in the European context, with
particular attention to the reflections on collecting, patronage and in general on the culture of
art amateurs. Furthermore, this study points out the possible influence of Poussin’s “theory of
manners”, which Félibien disseminated and associated with the different styles of the various
schools, on the choices made by collectors and more informed and sensitive clients, as in the
case of marquis Buonaccorsi.
«Cercare ancora perché in Italia non esistono più quelle diverse scuole o
maniere di pittura toscana, romana, lombarda, veneziana ecc. ma sia sottentrata
una maniera unica e generale. Cercare se l’origine di ciò forse rimonti ai Carracci.
Cercare se ciò sia bene o male per le arti»1: questi impegnativi propositi sono stati
formulati da Pietro Giordani all’inizio dell’Ottocento, solo pochi anni dopo la
pubblicazione dell’edizione definitiva della Storia pittorica dell’abate Lanzi, che
nel 1809 descriveva la più articolata geografia delle scuole pittoriche italiane, dalle
origini fino ai suoi giorni2. Invece, secondo l’opinione di Giordani già nel Seicento
aveva preso avvio un’azione che tendeva ad attenuare le differenze stilistiche locali
e non a caso egli individuava nell’eclettismo carraccesco il momento iniziale di un
simile percorso. In effetti, le considerazioni del letterato piacentino presentano
notevoli intuizioni critiche, ma nondimeno nel corso del XVII secolo e per una
buona parte di quello successivo, persistono dei discrimini tra le varie scuole
pittoriche e soprattutto esse sono considerate, classificate, spiegate e in definitiva
impiegate dalla maggioranza degli esperti d’arte di quelle epoche. Ovvero, quello
della suddivisione in scuole – lo vedremo – rappresentava un modo di orientarsi in
un panorama pittorico sempre più complesso, in cui era indispensabile conoscere
e classificare la produzione trascorsa e allo stesso tempo trovare strumenti per
interpretare l’attuale.
Tuttavia, per quanto riguarda la contemporaneità, la sua valutazione si
è sempre rivelata un’operazione delicata, poiché essa presuppone un continuo
rapporto dialettico con il passato, come ci avverte l’acuta, illuminante, riflessione
di Giorgio Agamben
il contemporaneo non è soltanto colui che, percependo il buio del presente ne afferra l’inesitabile
luce; è anche colui che, dividendo e interpolando il tempo, è in grado di trasformarlo e di
metterlo in relazione con gli altri tempi, di leggerne in modo inedito la storia, di “citarla”
secondo una necessità che non proviene in alcun modo dal suo arbitrio, ma da un’esigenza
a cui egli non può non rispondere. È come se quell’invisibile luce che è il buio del presente,
proiettasse la sua ombra sul passato e questo, toccato da questo fascio d’ombra, acquisisse la
capacità di rispondere alle tenebre dell’ora3.
1
2
3
Giordani 2007, p. 162.
Lanzi 1809.
Agamben 2008, p. 24.
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
535
Quella medesima «necessità», legata a un processo che, con un riflesso di luci e
ombre, unisce tra loro i tempi, può essere applicata anche a collezionisti e amatori
d’arte, i quali indirizzano le proprie preferenze applicando paradigmi critici, come
appunto le scuole pittoriche, pur con tutte le ambiguità che un simile impiego
può comportare. Di un tale atteggiamento abbiamo un eloquente esempio grazie
a Francesco Algarotti, il quale, anche se usualmente impiegava il “metodo” delle
scuole per illustrare le proprie teorie sulla pittura, quando nell’autunno del 1742
presenta ad Augusto III sovrano di Polonia e principe elettore di Sassonia, un
piano per le collezioni reali di Dresda, in cui è compresa anche la creazione di una
«picciola e scelta raccolta»4 di quadri moderni, rappresentativa delle varie tendenze
europee, decide di non legare, perlomeno nella sua illustrazione, gli esiti individuali
alla provenienza geografica e alla relativa ascendenza da una comune tradizione5.
Dunque, le proposte del nobile veneziano, che individuano sia i principali artisti
dell’epoca sia le loro attitudini, per quanto possiamo interpretare, non paiono
trovare origine nella tipica distinzione in scuole regionali o nazionali, bensì nelle
tendenze espressive individuali, associando i pittori unicamente sulla base delle
loro qualità, ovvero i «varj caratteri, ed il forte e il debole de’ moderni pittori»6.
Algarotti, in quel modo, travalica i confini tracciati dalla critica e instaura inedite
consonanze stilistiche, anzi, pare compiacersi – e forse in quella sede vuole un
po’ vantarsi di simili conoscenze – di essere in grado di accostare autori formatisi
in ambienti tra loro distanti e che senza avere relazioni sono giunti a risultati
simili, come nel caso del veronese Balestra e del parigino Boucher7. Nondimeno,
anche senza ricorrere alle distinzioni in scuole, l’autore del Newtonismo per le
dame certifica l’esistenza – of course – di un’ampia gamma di opzioni offerte dal
mercato artistico del tempo, classificate però con altri criteri, delle quali, per altro,
solo pochi raffinati esperti potevano avere piena conoscenza ed essere in grado
di valutare, tanto più per indirizzarle verso un progetto unitario, come, appunto,
intendeva fare il letterato al servizio del sovrano sassone.
Per quanto il piano formulato da Algarotti fosse sontuoso e ambizioso8, esso
non era del tutto originale e aveva illustri precedenti, effettivamente realizzati,
in cui il ruolo delle scuole era stato preminente9, ma l’interesse di quel proposito
è dovuto, oltre all’importanza del suo autore, al fatto di essere forse l’unica
riflessione disponibile, perlomeno di tale ampiezza, su un simile programma, in
cui si fondono passione per la pittura, interesse collezionistico, ampie conoscenze
Algarotti 1792 (ma 1742), p. 362.
Algarotti 1742. Per un’analisi complessiva di quel progetto: De Benedictis 2016. Invece, per
quanto riguarda la raccolta di quadri moderni si veda Pierguidi 2012 e Pastres 2016a e 2016b.
6 Algarotti 1792 (ma 1742), p. 364.
7 Ivi, p. 367.
8 Tuttavia, il progetto non trovò piena applicazione e si limitò ad opere di pittori veneziani,
sulle quali si veda soprattutto: Anderson 2003, pp. 107-118; Ciancio 2009; Liebsch 2010; Pastres
2016a e 2016b.
9 Per una rassegna di tali esperienze rinviamo specialmente a Pierguidi 2004, 2008, 2011 e
2012.
4
5
536
PAOLO PASTRES
letterarie e storiche, ambizioni culturali e gusto raffinato. Tutto ciò, a ben
vedere, è presente pure nel palazzo del marchese Buonaccorsi. A tal riguardo, è
presumibile che nel 1742 il conte Francesco non conoscesse l’impresa maceratese,
sebbene qualche notizia potesse averla ricevuta dall’amico bolognese Giampietro
Zanotti, il quale ne aveva fatto cenno nel 1739 nella sua Storia dell’Accademia
Clementina10. Comunque, il letterato veneziano qualcosa in proposito potrebbe
aver appreso nell’estate-autunno del 1743, durante i profondi colloqui condotti
con Giambattista Tiepolo, allievo del Lazzarini, e forse anch’egli, sebbene
giovanissimo, attivo per Macerata, in qualità di garzone di bottega11.
Tornando al nostro tema, probabilmente nella Galleria dell’Eneide fu
impiegato il medesimo criterio adottato da Algarotti nella selezione degli autori
per Dresda, allontanandosi cioè dalla distinzione in scuole, che invece in altre
occasioni era stata impiegata e aveva guidato le preferenze. Pertanto, in entrambi
i casi pare di assistere a scelte motivate principalmente su componenti individuali,
legate cioè alla notorietà dell’artista e allo sviluppo della sua personalità stilistica
(nonché a circostanze contingenti), seguendo un gusto che non tiene più conto
delle diverse provenienze geografiche, ormai superate dalla «maniera unica
e generale»12 di cui parlerà un secolo dopo Giordani. Eppure, a ben riflettere,
anche in palazzo Buonaccorsi sono rappresentate le varie tendenze locali, con
la presenza di pittori appartenenti alla scuola bolognese, veneziana, napoletana,
come notato da Francis Haskell13. Forse, anche nell’elegante dimora maceratese
le scelte effettuate risentirono di quell’ambiguità cui si faceva cenno, nondimeno,
qualunque siano state le effettive motivazioni, non c’è dubbio che il modello
delle scuole fosse comunque presente ai suoi ideatori. D’altra parte, all’inizio del
Settecento, il legame con l’ambito di formazione giocava un ruolo importante,
anche se non sempre decisivo, nella valutazione delle qualità di ogni singolo
artista. Perciò, credo opportuno interrogarci su quale nozione di scuola pittorica
fosse diffusa all’attacco del XVIII secolo e, rivolgendo uno sguardo retrospettivo,
su come si sia formata e quale influenza ebbe nel dibattito critico e nella prassi
collezionistica14.
La distinzione della produzione pittorica in scuole regionali o nazionali
trova avvio, com’è noto, all’inizio del XVII secolo, riprendendo comunque le
differenziazioni stilistiche già formulate in precedenza, specialmente da Lomazzo,
il quale aveva anticipato il concetto di scuola e formulato una visione policentrica
dello sviluppo della pittura italiana15. Tuttavia, è interessante notare che lo
Zanotti, 1739, pp. 236, 305-306.
Ipotesi esposta da William L. Barcham nel corso della conferenza “Alla riscoperta del
giovane Tiepolo”, tenuta a Udine il 4 giugno 2011.
12 Giordani 2007, p. 162.
13 Haskell 1985, p. 349.
14 Sullo sviluppo del concetto di scuola pittorica rinviamo specialmente a Pastres 2012.
15 Nel Trattato del 1584 Lomazzo parla di «pittori veneziani» e soprattutto nella «Tavola
dei nomi» qualifica ogni artista con la sua provenienza, la città per gli italiani, più genericamente
il paese per gli stranieri. Sull’atteggiamento di Lomazzo nei confronti delle “varianti” locali della
10
11
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
537
strumento delle scuole fu impiegato fin dall’inizio sia in funzione storiografica sia
per organizzare le conoscenze sul presente, soprattutto a vantaggio dei collezionisti
e in generale degli amatori. D’altra parte, come sottolineato da tanti critici, da
Richardson a Lanzi, il conoscitore, ovvero l’appassionato d’arte e il collezionista,
doveva possedere un’ampia cognizione del passato, da cui derivava una base
culturale che gli permetteva di giudicare sulla qualità dei dipinti, cioè sulla loro
autenticità, se falsi o copie, e in definitiva sul loro valore. Di fatto, quando Giulio
Mancini delinea le caratteristiche ideali del conoscitore – termine introdotto in
questa accezione da Agucchi – non si rivolge solo all’esercizio attribuzionistico
sul passato, ma anche alla capacità di distinguere il valore delle opere moderne16.
Non sembra casuale, quindi, che alle origini dell’impiego delle scuole vi siano
autori come Agucchi e Mancini, oltre a Gigli, i quali si rivolgevano proprio ai
collezionisti e anch’essi lo erano.
Ad apertura del nostro itinerario ritroviamo, dunque, il celebre passo del
Trattato dell’ecclesiastico bolognese Giovanni Battista Agucchi, datato 16071615 (ma probabilmente del 1609-1610), in cui si distingue la pittura italiana,
seguendo il modello pliniano, in quattro scuole, definite “maniere”, la romana, la
veneziana, la lombarda (che comprende anche l’emiliana) e la toscana, suddivisa
tra fiorentini e senesi, ognuna delle quali caratterizzata da riferimenti stilistici
che accomunano quanti ad esse fanno riferimento: «possonsi dunque costituire
quattro spetie di Pittura in Italia, la Romana, la Vinitiana, la Lombarda, e la
Toscana»17. In quel breve passo Agucchi riassume le posizioni critiche tardo
cinquecentesche e primo secentesche, e al contempo traccia una prospettiva
storiografica in grado di affrontare le vicende pittoriche. In tal modo egli tenta di
fornire una sorta di mappa degli sviluppi artistici, legandoli ad un determinato
ambito geografico, individuando al loro interno i “maggiori”, la cui opera, per
così dire, traccia un solco, sul quale si inseriscono gli allievi, i continuatori, e
pure i cosiddetti “minori”. Era, questa, una forma di ricerca di orientamento nel
complesso e affollato mondo della pittura contemporanea e del passato prossimo,
pittura italiana, che comunque era avvertita dal teorico come un tutt’uno formato da varie parti,
delle quali il critico ha il compito-dovere di evidenziare le differenze, si rinvia a Pommier 2007,
pp. 377-378, secondo il quale per l’autore dell’Idea la pittura «è l’Italia» (p. 377), e si «pone come
erede della storia di tutta la pittura italiana, anche se non sfugge a una certa parzialità, legata alla
sua origine lombarda» (p. 378). L’importanza del pensiero di Lomazzo risulta evidente quando
notiamo che Giulio Mancini gli dedicò un intero capitolo delle sue Considerazioni (Mancini 1956,
pp. 155-163), mentre Domenichino, nella sua celebre missiva a Francesco Angeloni, in cui fa
riferimento al trattato dell’Agucchi, lascia intendere di avere letto il Trattato dell’Arte e il Tempio
della Pittura, pur non trovandosi d’accordo con quei testi (Bellori 1672, I, pp. 371-372).
16 Sul punto si veda Pierguidi 2016.
17 Ciò che resta del Trattato della pittura dell’Agucchi (di cui una parte era stata edita, sotto lo
pseudonimo di Graziadio Machati, nella prefazione a Diverse figure al numero di ottanta disegnate
di […] Annibale Carracci, Bologna 1646, e inoltre viene riportato in Bellori 1672, pp. 330-331)
è stato edito e commentato in Mahon 1947, pp. 241-258 (e pp. 119-154), il passo sulle quattro
scuole è a p. 246. Sull’Agucchi, in particolare: Natali 1951; Zapperi, Toesca, 1960; Ginzburg
Carignani, 1996a; de Mambro Santos, 2001.
538
PAOLO PASTRES
che s’inserisce in una tendenza tipicamente secentesca, evidente, ad esempio, nella
Carta del Boschini, seppur limitata all’offerta veneziana.
In seguito il merito della suddivisione in quattro scuole fu rivendicato dal
Domenichino, in una missiva inviata a Francesco Angeloni attorno al 1640, in
cui ricorda di essersi adoperato nel «distinguer, e far riflessione alli maestri, e
maniere di Roma, di Venetia, e di Lombardia, et a quelli ancora della Toscana»18.
Probabilmente però il Trattato fu il frutto di una collaborazione tra il grande
pittore e monsignor Agucchi19.
Il critico emiliano, quindi, prendeva atto della complessità del panorama
pittorico, sia passato sia presente, conseguente all’esistenza di tante diverse
possibilità espressive – più o meno accettabili, ma comunque esistenti –,
consapevole però che simili sfaccettature possono essere comunque ricondotte
ad un numero limitato di tendenze stilistiche, legate ai luoghi nei quali si sono
sviluppate. In tal modo egli contribuiva a fornire un primo mezzo di orientamento,
affermando: «si consideri, che se gli artefici passati hanno avuta una maniera loro
particolare […] non perciò si devono costituire tante maniere di dipingere, quanti
sono stati gli operaij, ma di una sola maniera si possa reputare quella, che da
molti van seguite»20. Cioè, egli ritiene che ogni pittore, pur nella sua particolarità,
presenti caratteri che lo accomunano ad altri, su base territoriale, certificando
così la rilevanza critica della frequentazione – ovvero l’alunnato – di maestri
detentori di conoscenze, che sono frutto di consuetudini locali, e della contiguità
agli esempi forniti dai loro capolavori.
Mentre, il letterato bresciano Giulio Cesare Gigli, che rivolge il proprio breve
testo del 1615, intitolato la Pittura trionfante, ad una ristretta cerchia di mercanti
e collezionisti veneziani (il testo è indirizzato al mercante d’arte e collezionista
veneziano di origine fiamminga Daniel Nys), non parla di scuole o maniere, ma
distingue i pittori in base alla loro città di provenienza21. Probabilmente tale
scelta rifletteva le teorie politiche presenti a Venezia all’inizio del Seicento, le quali
derivavano dalle opere dello storiografo ufficiale della Serenissima Paolo Paruta,
scritte nella seconda metà del Cinquecento e riedite proprio nei primi anni del
secolo successivo22. In una simile visione, città e patria si fondono. Per Paruta,
infatti, la dimensione cittadina corrispondeva al vertice delle virtù e la patria era
il luogo che tutti gli uomini portano entro se stessi, marcando la propria identità.
Non solo, è interessante rilevare, specialmente per la nostra disamina, la visione
delle diversità “regionali” italiane nell’analisi svolta da Paruta, il quale distingue
tra «Napolitani», «Lombardi», «Venetiani», «Fiorentini» e «Genovesi»:
Bellori 1672, I, pp. 371-372; il passo è riportato pure in Mahon 1947, pp. 119-122.
Sui rapporti tra Agucchi e Domenichino: Ginzburg Carignani, 1996b. Inoltre, sulle posizioni
teoriche di Agucchi si vedano le dirimenti osservazioni di Rossi 2002, pp. 221-224.
20 Agucchi in Mahon 1947, p. 243.
21 Gigli 1615. Su Gigli si veda in particolare: Hochmann 1988; Ginzburg 1996; Spagnolo 1996
e Pastres 2014.
22 Per questi aspetti rinviamo a Pastres 2014.
18
19
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
539
entità territoriali ben precisate, costruite su base poltico-sociale-culturale, che
pure la storiografia artistica impiegherà apertamente, assegnando loro valenze
stilistiche23.
Sottolineare, come in questo caso, i legami tra idee politiche e critica d’arte mi
sembra rilevante, poiché, anche quando trattiamo temi artistici, non dobbiamo
accantonare la lezione proveniente da qual complesso di studi che ci ha indicato la
necessità di individuare l’”orizzonte di attese” dei lettori, per meglio comprendere
i testi ad essi indirizzati.
L’incertezza nell’accezione del termine scuola, oscillante tra atelier e ambito
regionale, è ancora presente nelle Considerazioni sulla pittura redatte dal medico
e collezionista senese Giulio Mancini tra il 1619 e il 1621, dove sono proposte
quattro «schole» che derivano da tre artisti, Caravaggio, cui fa riferimento il
naturalismo, i Carracci, con il loro classicismo e la capacità di aver «congiunti
insieme la maniera di Raffaelo con quella di Lombardia»24, il Cavalier d’Arpino,
manierista, ai quali infine si aggiungono quei pittori che hanno operato attraverso
un «modo proprio e particolar senza andare per le pedate di alcuno»25. Tuttavia,
Mancini non si limitò a descrivere tendenze espressive originate da capiscuola
sostanzialmente slegati dal loro territorio, poiché individuò anche delle maniere
connotate geograficamente, sia parlando genericamente di pittori veneziani o
senesi26, sia segnalando l’esistenza di attitudini locali, menzionando quindi una
«maniera venetiana»27, una lombarda, oppure, nel caso del Passignano, di una
«maniera fra la natione fiorentina e venetiana»28. Inoltre, il critico senese nota
che grazie all’opera dei Carracci «Bologna con soportation delle altre natione, sia
l’Athene della pittura, poiché di questa natione vivon più pittori di grido che di tutte
l’altre nationi insieme»29. Siffatte scelte critiche risultano ancor più evidenti nella
redazione breve delle Considerazioni, stesa nel 1617-1619 e intitolata Discorso
di pittura, in cui nel capitolo riservato alla Ricognizioni delle Pitture si indica al
dilettante la necessità, dopo aver distinto gli originali dalle copie e stabilito la
datazione dei quadri, di «riconoscer la maniera s’è lombarda, toscana, venetiana,
romana o altramontana» e infine «il maestro et la maniera che l’ha fatta»30. In
tale sede ritroviamo l’impiego del termine “maniera” anche in senso collettivo,
travalicando l’usuale accezione legata a fattori individuali, riconoscendo – al pari
di quanto elaboravano Agucchi e Domenichino – l’esistenza di vere e proprie
scuole regionali, dalle quali derivano infine le inclinazioni personali; Mancini offre
pure considerazioni legate ai caratteri precipui delle espressioni locali, rilevando
Pastres 2014.
Mancini 1956, p. 109. Sul Mancini, tra gli ultimi studi apparsi, segnaliamo: Sparti 2008;
Maccherini 2005; Nicolaci 2014; Frigo 2012; Gage 2016; Pierguidi 2016.
25 Mancini 1956, p. 110.
26 Ivi, pp. 200, 211.
27 Ivi, p. 261.
28 Ivi, p. 221.
29 Ibidem.
30 Ivi, p. 327.
23
24
540
PAOLO PASTRES
non essere vero «quello che alcuni dicono che Venetia e la Lombardia non habbia
saputo colorire a fresco per l’opre notate di mastri venetiani, et per i lombardi
basti, per giustificazione loro, la cupola di Parma del Corregio»31.
L’intento di Mancini era di rivolgersi agli acquirenti e collezionisti interessati
all’attualità, o all’immediato passato, e specialmente ai pittori di “moda”,
categorie cui anch’egli apparteneva. A quel pubblico di amatori della pittura, il
critico toscano, oltre a fornire una valida guida nell’esercizio attribuzionistico,
proponeva quindi un innovativo e raffinato metodo di catalogazione delle
raccolte.
Dunque, Agucchi e Mancini, quasi nello stesso momento, nei propri trattati sulla
pittura – non editi, ma comunque abbastanza conosciuti dai loro contemporanei
– introducono in modo compiuto il concetto di scuola pittorica, rifacendosi ad
un’ampia serie di suggestioni culturali e storiografiche. Simili scelte critiche,
infatti, riflettevano la fine dell’ideale rinascimentale che poneva l’individuo al
centro del divenire storico, e specialmente il genio artistico, sostituendolo con un
gruppo coeso da uniformità stilistica e contiguità territoriale, in cui certamente
spiccano delle figure guida che tanto più sono significative quanto più hanno un
seguito, generando quindi una nuova visione della realtà di quel momento e del
passato, alla quale si somma il definitivo tramonto di ogni ideale universalistico
e una percezione frammentata e conflittuale della politica – siamo a cavallo
dell’inizio della “Guerra dei trent’anni”, 1618-1648 – con la conseguenza di
confini molto rigidi (che separano entità istituzionali diverse, ma anche mondi
religiosi e culturali in contrasto tra loro), e l’affermazione di un municipalismo
che segnala il policentrismo tipico della storia italiana. Un tale approccio
contribuiva, evidentemente, a mettere in profonda crisi il modello vasariano,
basato sulla centralità fiorentina e l’esaltazione dei traguardi michelangioleschi,
al cui valore normativo dovevano essere rapportate tutte le altre esperienze; per
altro una simile dottrina era già stata notevolmente indebolita, ne abbiamo fatto
cenno, dalle persuasive teorie di Lomazzo, che, a differenza di quanto asserito
dall’aretino, proponevano e accettavano forme diverse di “perfezione” artistica,
determinando di conseguenza l’esigenza di individuare e comprenderne le
differenti linee di sviluppo32.
Il concetto di scuola pittorica, inteso in senso “topografico”, riappare in Veneto
nel 1648 ne Le maraviglie dell’arte di Carlo Ridolfi, dove si accenna ad una «Scuola
Venetiana», usando pure come sinonimi i termini «stile» e «maniera»33. Sempre
a Venezia, nella Carta di Marco Boschini, del 1660 e significativamente redatta
Ivi, p. 315.
Alla trattazione del pensiero di Lomazzo Mancini dedicò un intero capitolo delle sue
Considerazioni (Mancini 1956, pp. 155-163), mentre Domenichino nella sua celebre missiva a
Francesco Angeloni, in cui fa riferimento al trattato dell’Agucchi, lascia intendere di avere letto il
Trattato dell’Arte e il Tempio della Pittura, pur non trovandosi d’accordo con quei testi (Bellori
1672, I, pp. 371-372).
33 Ridolfi 1648, I, p. 258. Sul Ridolfi in generale: Sohm 2001a.
31
32
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
541
in veneziano, si fa invece riferimento a «tute l’altre Scuole»34, distinguendo così i
modi della pittura locale rispetto a quelli altrui: in entrambi i casi gli autori non
si addentrarono nello specificare la partizione delle varie scuole, ma si limitarono
– in realtà si tratta di un’acquisizione di notevole valore critico – a riconoscere ed
esaltare la propria identità espressiva.
Non a caso, l’avanzare dell’idea di scuola pittorica nel corso del Seicento va di
pari passo con lo sviluppo della cosiddetta «letteratura artistica locale» – secondo
la ben nota definizione coniata da Schlosser – un fenomeno ampiamente legato a
volontà filopatrie (da cui emerge anche la polemica contro il toscano-centrismo
vasariano), incentrate fondamentalmente sulla storia e cultura cittadina,
attraverso la celebrazione delle glorie artistiche autoctone, con la relativa necessità
di distinguere, il più possibile, le caratteristiche locali.
Appare, inoltre, ricco di significato osservare che le raffigurazioni simboliche
della scuola romana, veneta e lombarda campeggino sull’antiporta de il
Microcosmo della pittura, edito nel 1657 da Francesco Scannelli35, in aperta
polemica antivasariana, nelle cui pagine le tre maggiori scuole moderne (la romana
comprendeva anche la Toscana e la lombarda includeva pure l’emiliana, alla cui
pittura è comunque riservato un amplissimo spazio), sono organizzate attorno ai
loro principali rappresentanti, riconosciuti rispettivamente in Raffaello, Tiziano e
Correggio, avanzandone un profilo storico36.
Pure nelle Vite di Giovan Pietro Bellori, del 1672, è impiegato il termine «scuola
romana»37, suggerendo dunque un risvolto topografico del vocabolo, anche per
il contesto in cui viene inserito: la descrizione della decadenza della pittura a
seguito di coloro che viziarono l’arte con la «maniera», un declino riscontrabile
a Firenze e nel «paese tutto di Toscana», nella «scuola romana», appunto, e pure
a Venezia e in Lombardia. In tale passo sono riproposte le quattro grandi scuole
pittoriche individuate dall’Agucchi e Domenichino, e del resto lo storiografo
romano riporta testualmente quelle posizioni proprio nella biografia dedicata
al pittore bolognese38. Viceversa, in molti altri punti del proprio testo il critico
romano utilizza il lemma “scuola” alludendo ad un rapporto tra maestro e allievi
non ancorato a vincoli territoriali, così, ad esempio, nella biografia di Annibale
riferisce di una «scuola de’ Carracci»39, oppure di un alunnato di Agostino
34 Boschini 1660, p. 81. Sulla posizione critica del Boschini si rinvia, in particolare, a Sohm
1991 e 2001a; e Dal Pozzolo 2014.
35 Scannelli 1657.
36 A parere di Rossella Lepore, Scannelli «oscilla tra un trattamento ‘astorico’ delle singole
scuole e l’esasperazione dell’individualità», inoltre la sua «divisione in scuole, rigida e minuziosa, è
più che altro un criterio esteriore, che non si sottrae a certi limiti di astrazione: una struttura volta
a contenere tutta una serie di osservazioni ad uso e consumo di un pubblico di amatori», Lepore
1989, p. 12.
37 Bellori 1672, I, p. 32. Per il Bellori si veda: Bell, Willette, 2002. Inoltre, per l’interpretazione
che Bellori offre della scuola romana: Cropper 1991 e Ginzburg 2015.
38 Bellori 1672, I, pp. 305-373.
39 Ivi, II, p. 394, parlando di Giovanni Lanfranco, la cui «maniera ritiene li principii e
l’educazione della scuola de’ Carracci».
542
PAOLO PASTRES
Carracci presso la «scuola di Alessandro Minganti bolognese scultore di molto
merito»40 e della frequentazione della «scuola del Rubens»41 da parte di Anton
Van Dyck.
L’irrisoluto dubbio semantico si ripropone anche nelle Vite di Giovanni
Battista Passeri, composte attorno al 1678, dove si parla, con accenni negativi,
dell’esistenza di opinioni divergenti distribuite tra «scuole diverse», con
«pregiudizio della gioventù inesperta»42, facendo riferimento alla maniera
toscana, veneta e lombarda, in contrasto tra loro sul tradizionale versante che
oppone il disegno della prima al colore delle altre due.
Invece, nelle Finezze de’ pittori italiani di Luigi Scaramuccia, del 1674, non
si fa riferimento alle scuole pittoriche, bensì alla maniera fiorentina, veneziana
e lombarda e, a proposito di quest’ultima, egli parla di «pittori Lombardi»,
ritenendo – si tratta di un aspetto da approfondire – che nella grandiosa
Crocifissione della controfacciata del duomo di Cremona «epilogata vi sia la
buona maniera Lombarda»43: il riferimento è a un affresco del 1520-1521 di
Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone dalla sua città natale, autore
di formazione veneta, con apporti di cultura tosco-romana, qui però assunto a
campione delle “maniere” di Lombardia.
Inoltre, nel corso del XVII secolo si affermò lentamente l’idea di stile – il cui
termine tendeva a sostituire quello di maniera ed era sinonimo di gusto – inteso
in senso collettivo, a individuare cioè una categoria che va al di là dell’espressione
individuale e che può ben definire anche la cultura di un’area geografica, di una
scuola44.
Di una simile tendenza semantica ritroviamo traccia nella Felsina pittrice
edita nel 1678 dal bolognese Giulio Cesare Malvasia, quando, a proposito di
Orazio Samacchini, il critico si chiede «che ha che fare uno stile coll’altro? La
maniera Romana colla Lombarda? se quella più alla statua, questa più al naturale
s’appoggiava; quella più dell’artificio, questa più della purità si pregia; quella più
dello studio, e del disegno, questa più della verità, e del colorito fa pompa»45. In
quelle righe i concetti di stile, maniera e scuola si legano l’un l’altro, non senza
richiamare sottili distinzioni di significato, indicando comunque un costante
riferimento ad un ambito “collettivo” e territoriale, che lo storiografo bolognese
ritiene come effettive entità artistiche, cui utilmente rifarsi per meglio illustrare le
vicende pittoriche.
Ivi, I, p. 116.
Ivi, I, p. 274.
42 Passeri 1934, p. 8.
43 Scaramuccia 1674, p. 123.
44 In merito, soprattutto: Ivanoff 1957; Sohm 2001b.
45 Malvasia 1678, I, p. 207. Sull’opera di Malvasia, almeno: Perini Folesani 2011; Cropper
2012; inoltre, Pierguidi 2014 (a p. 76 un attento commento all’incipit della vita di Samacchini,
in cui, ricorrendo alle teorie di Lomazzo, critica la prassi eclettica, contraddicendo altre posizioni
presentate nella Felsiana).
40
41
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
543
Invece il toscano Filippo Baldinucci nel suo Vocabolario del 1681, pur parlando
di una «Maniera Lombarda», non inserì la voce scuola, ma, significativamente,
il lemma «Scolare»46.
Ancora, Malvasia riprende un celebre sonetto attribuito ad Agostino Carracci,
nel quale erano elencati gli indirizzi che il giovane pittore avrebbe dovuto seguire
per eccellere nella sua arte: «Il disegno di Roma abbia alla mano/ La mossa con
l’ombrar veneziano,/ È l degno colorir di Lombardia»47. A proposito del testo
di Malvasia, esso generò non poche polemiche in relazione ad una presunta
sottovalutazione di Raffaello e della scuola romana, cui rispose nel 1705
Giampietro Zanotti48.
Malvasia segnalò così, in modo esplicito, l’esistenza delle «scuola» bolognese,
fiorentina, romana, lombarda e veneziana49, probabilmente sulla scia di
Dufresnoy50, che cita più volte, insieme a de Piles51 (oltre ad Agucchi, Gigli,
Mancini e Scannelli). A tali distinzioni lo storiografo felsineo conferì pure delle
coordinate stilistiche, precisando che la scuola fiorentina e romana sono «più
della finitezza, e della diligenza amatrici», mentre la lombarda e la bolognese
«più della tenerezza, ed animosità seguaci»52, la veneziana offriva «scappate di
lumi, opposizioni di sbattimenti, e riflessi», con figure «che col ben’istaccare una
dall’altra, favorischino, con mosse, ripieghi, e contrasti giudiziosi»53.
Dunque, in breve, possiamo affermare che il sistema delle scuole pittoriche si
sviluppa dall’intreccio, caratteristico di molta critica artistica secentesca, tra la
volontà di ricostruzione storica, che cristallizza tendenze tradizionali, passione
collezionistica ed esigenze di mercato. Anzi, proprio in ambito collezionistico le
scuole trovarono, per così dire, un’applicazione di carattere pratico, attraverso
sistemazioni ed ordinamenti, che potremmo definire come “protomuseologici”.
In tal senso è eloquente il celeberrimo caso del Theatrum di David Téniers il
giovane, del 1660, in cui le incisioni riproducono parte dei capolavori raccolti
dall’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo, dedicandosi unicamente ai dipinti
46 Baldinucci 1681, p. 148 (voce Scuola); a p. 89 compare la voce Maniera Lombarda, riferita
a «quegli Artefici, che anno procurato d’immitare il bello e natural modo di colorire de’ più celebri
Pittori Lombardi».
47 Malvasia 1678, I, p. 159.
48 Vittoria 1703; Cavazzoni Zanotti 1705.
49 Malvasia 1678, I, p. 63, nell’introdurre la vita di Marcantonio Raimondi nota che le incisioni
appagano la curiosità dei «dilettanti, che di averle tutte insiem raccolte, et unite, con bella gara si
pregian anch’essi. Di quelle però de’ miei paesani, de’ quali solo io qui tratto, mi intendo, che l’opre
più famose della Scuola Romana, della Lombarda, della Bolognese, e della Veneziana ci resero così
famigliari e comuni»; e in Malvasia 1678, II, p. 309, introducendo la vita di Domenichino, ricorda
anche la «Scuola Fiorentina».
50 Malvasia 1678, I, p. 324. Il rinvio è a Dufresnoy 1668, p. 208: «Singula quae celebrant
primae exemplaria classis/ Romani, Veneti, Parmenses, atque Bononi».
51 A riguardo si veda Perini Folesani 2012.
52 Malvasia 1678, II, p. 309, nella vita del Domenichino.
53 Ivi, I, p. 50, a proposito di Guido Reni.
544
PAOLO PASTRES
delle scuole italiane, benché quasi totalmente di origine veneta54. Tale esperienza
ebbe un’evidenza pubblica e di conseguenza un’ampia risonanza, mentre un altro
ben noto caso di impiego delle scuole in campo collezionistico, che però diremmo
essenzialmente privato, riguardava i disegni posseduti da Sebastiano Resta,
ordinati sulla base di quattro scuole, nella sua Galleria portatile55. Comunque,
va sottolineato che parliamo di cataloghi di raccolte, non tanto della dislocazione
delle opere nelle collezioni, la quale probabilmente seguiva ancora il ben noto
criterio delle dimensioni e dei generi.
Sempre restando in tema di incisioni, due decenni dopo, nel 1679, a Bologna
assistiamo invece ad un diverso impiego del concetto di scuola, nell’album
creato da Giuseppe Maria Mitelli56. Esso illustra, con 12 riproduzioni, dipinti
di autori bolognesi moderni, del Seicento, realizzando una forma illustrata di
letteratura artistica locale e, in effetti, è stata segnalato il suo legame con l’opera
di Malvasia57. Si trattava di una notevole novità nel panorama critico, anche
perché con tale operazione viene circoscritto un ambito artistico, cercando di
costruire un Pantheon illustrato della scuola locale. Una collezione ideale, quindi,
quella messa in atto da Mitelli, guidata dall’idea di una comunanza stilistica,
derivante da un’eguale formazione dei pittori, attivi nel medesimo luogo. In
questo caso la scuola diviene essa stessa il centro della collezione, per quanto
ideale, o comunque il fattore determinante. Inoltre, Mitelli diffonde l’immagine
della propria scuola, selezionandone accuratamente le opere, al fine di darne una
determinata visione, la quale deriva dalla consuetudine critica.
A margine, dobbiamo pure notare che inizia la celebrazione dei capiscuola,
pittori non solo importanti e famosi, ma rappresentativi di un milieu artistico,
capaci di riassumere in sé i caratteri migliori della tradizione locale, rifondarli
e farli avanzare: una categoria che affonda le proprie origini, ancora una volta,
in Lomazzo. Naturalmente, i capiscuola cui attribuire i maggiori onori erano
individuati nel passato, pensiamo, come esempio, alla triade proposta da Scannelli
nel 1657: Raffaello, Tiziano e Correggio. Per altro, il medico Scannelli associa i
tre pittori ad altrettanti organi umani, cuore, fegato e cervello, tanto diversi tra
loro quanto indispensabili alla vita del corpo, che nella metafora corrisponde
alla pittura italiana, per cui egli evidenzia le differenze, ma rinuncia alla ricerca
di una qualche superiorità. Non è questo il luogo per addentrarci nell’esegesi del
Il Theatrum Pictorium, con 243 dipinti riprodotti, pubblicato per la prima volta nel 1660 ad
Anversa e in seconda edizione nel 1684. Per una sintesi, segnaliamo: Vegelin van Claerbergen 2006.
Invece, in generale, sul rapporto tra incisioni di riproduzione e collezioni, Borea 1998.
55 Su Resta e la sua collezione: I disegni 1976; Wood 1996; Warwick 2000; Prosperi Valenti
Rodinò 2013; Bianco et al. 2017.
56 Su tale impresa, soprattutto: Borea 2010, pp. 109-112.
57 Borea 2010, p. 111: «un bel gruppo di stampe per divulgare le immagini di opera dei più
rappresentativi artisti bolognesi operanti nella prima metà del Seicento, tutti presenti nella Felsina
Pittrice, ciò che porta a credere che fra il Mitelli e il Malvasia vi fosse colleganza, se non proprio
un progetto comune, e in ogni caso il clima in cui i due operarono ciascuno a suo modo è lo stesso,
vibrante di entusiasmo per l’arte patria».
54
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
545
Microcosmo della pittura, ma indubbiamente quel testo offre una testimonianza
molto interessante sul ruolo ormai riconosciuto delle scuole e su come potevano
essere intese alla metà del Seicento, solo pochi decenni dopo i primi abbozzi di
Agucchi, Gigli e Mancini.
Tornando ai capiscuola, oltre ai “numi tutelari”, evidentemente ve ne erano
anche di contemporanei, ma il riconoscerli non era certo facile, serviva, tra le
altre cose, un’ampia rete di relazioni, sapere e vedere molte cose, e soprattutto
essere in grado di intenderle: ecco dunque emergere, ancora, il ruolo del
conoscitore, in grado di discernere e attribuire il giusto valore, ovviamente in
funzione collezionistica. A tutto ciò non era estranea la letteratura tout court
e la pubblicistica, dove non pochi erano i riferimenti alle arti figurative, a
cominciare, ovviamente, dalla Galeria – del 1620 – di Giova Battista Marino58.
Esemplare, in tal senso, il caso, poco noto, di Antonio Lupis, prolifico letterato
pugliese attivo a Venezia nella seconda metà del Seicento, autore di fortunate
opere d’intrattenimento, nelle quali spesso inseriva richiami a questioni artistiche,
anche citando opere appena licenziate, come il Passaggio del mar Rosso di Luca
Giordano in Santa Maria Maggiore a Bergamo59.
Insomma, possiamo ritenere che la definizione critica delle varie scuole e il
loro profilo storico fossero considerati i presupposti necessari a comprendere
l’attualità e a condizionarne, in qualche modo, gli esiti.
Di fatti, l’album bolognese di Mitelli ci introduce ad un diverso impiego del
concetto di scuola pittorica, non più utile solo a dar ordine all’esistente, ma esso
stesso in grado di sviluppare raccolte o imprese artistiche. Alcuni significativi
esempi sono stati evidenziati dagli studi di Stefano Pierguidi, con i cicli delle
cattedrali di Lucca e Siena, nella Galleria Spada a Roma e in quella di Anna
Maria Luisa de’ Medici a Düsseldorf e altri casi meno noti60. Ma, per meglio
comprendere simili dinamiche è opportuno soffermarsi brevemente su alcuni
nodi critici che accompagnarono lo sviluppo e l’impiego del concetto di scuola,
poiché a lungo il dibattito, oltre alle diverse opinioni sulle caratteristiche stilistiche
e sull’eventuale superiorità da assegnare alle diverse scuole, si era concentrato
sulla questione dei loro confini, nonché denominazioni, e su come catalogare i
diversi autori, qualora si fossero spostati da un ambito ad un altro, innescando
una polemica critica che sarà ancora vivace alla fine del Settecento, con Lanzi61.
Simili controversie, che per certi versi possono apparire un po’ aride, in realtà
58 Sui rapporti tra Marino e la pittura, in special modo con alcune collezioni coeve, segnaliamo
soprattutto: Fulco 2001; Surliuga 2002; Sabbatino 2009; Fulco 2011. Inoltre, per il suo uso
dell’ekphrasis: Rima 2012; e per il rapporto tra il testo di Marino e le raffigurazioni delle “gallerie
di pittura”: Stoichita 2004.
59 In Pastres 2018.
60 In merito rinviamo soprattutto a: Pierguidi 2004, 2008, 2011 e 2012.
61 Eloquente in tal senso è il caso di Caravaggio, per il quale Lanzi osserva: «abbian questo o
i Lombardi per diritto di nascita, o i Veneti per diritto di educazione», ma alla «storia mette conto
che se ne scriva in Roma, dove visse, e dove influì al gusto de’ nazionali col suo esempio e co’ suoi
allievi», in Lanzi 1809, I, p. 260.
546
PAOLO PASTRES
toccano il problema centrale della formazione artistica e la possibilità che un
autore ha di evolversi e di cambiare il proprio carattere espressivo: temi che, come
possiamo intuire, assumono un’incidenza notevole e non sono certo da relegare
tra le curiosità erudite.
Uscendo dall’ambito italiano, in cui del resto la polemica filopatria era sempre
sottotraccia (per quelle sulla superiorità nazionale dobbiamo attendere la disputa
innestata a metà Settecento dal marchese d’Argent), e passando agli Entretiens di
André Félibien, del 1666-1688, notiamo anzitutto che il termine scuola tende ad
assumere il significato univoco di ambito regionale o nazionale e di stile, mentre
«maniere» è usato per indicare le espressioni individuali dei maestri, a volte seguite
dai loro allievi. A questo proposito l’accademico francese distingueva nettamente
tra gli artisti che si limitano ad imitare coloro che «leur on mis le pinceau à
la main», e quelli come Raffaello, Giulio Romano, Perin del Vaga, Leonardo,
Giorgione, Correggio, Tiziano, Veronese, Tintoretto, i Carracci e Caravaggio,
che invece, dopo essersi formati nell’ambito della propria scuola «se sont élevez
d’eux-mêmes dans les connoissances qu’ils ont acquises», sino «ont formé les
principales Ecoles»62. Un sceveramento di questo genere assegnava ai grandi geni
della pittura il ruolo di capiscuola, in grado di determinate le sorti di quelle cui
appartengono e che proprio grazie a loro mutano, si evolvono, e ne assumono,
di fatto, gli stessi caratteri: dalle loro personali «maniere» derivano quindi «les
principales Écoles»63. Nello specifico, Félibien parlava delle maniere di alcuni
autori, indicandoli con la città di provenienza (specie quelle italiane), inoltre dei
pittori francesi, tedeschi, fiamminghi e italiani64, ma la qualifica di scuola venne
riservata alla Fiorentina, Romana e Lombarda65, includendo in quest’ultima pure
gli artisti veneti (oltre agli emiliani, come d’altronde era consolidata tradizione
critica), indicando, ad esempio, Giorgione, Tiziano e Correggio coloro che per
primi «ont mis l’Ecole de Lombardie dans una haute réputation»66, oppure Paolo
Veronese e «tous les Peintres Lombards ne se sont point attachez à certe portie,
ma seulment à ce qui regarde le travail du pinceau»67, o i Bassano, per i quali nota
che «mais entre les Peintres de Lombardie, il n’y en a guéres eu, dont l’on vaye
outant de Tableaux»68. Le preferenze dello scrittore francese erano comunque
62 Félibien 1725, III, p. 186. Sull’opera di Félibien esiste un’amplissima bibliografia, ma
rinviamo, in particolare, a: Dionne 2001; Démoris 2007; e Germer 2016.
63 Félibien 1725, III, p. 185. Sull’interpretazione delle scuole pittoriche fornita da Félibien cfr.
Lo Nostro 2014, p. 35.
64 Interessante la contrapposizione tra fiamminghi e italiani, in Félibien 1725, II, p. 134.
65 In un passo Félibien pare distinguere tra pittori italiani e quelli lombardi: «Les Peintres
mêmes d’Italie, comme les Lombards, qui ont pas vû le belles antiques, n’ont point possedé cette
grande réputation qui’ont eû ceux de l’Escole de Rome» (Félibien 1725, II, p. 298). Del resto, anche
Carlo Ridolfi considerava gli autori di terraferma, ovvero veneti ma non veneziani, dei lombardi,
così, a proposito del Veronese si sottolinea che «trasse Paolo i natali in Verona, Città illustre di
Lombardia», in Ridolfi 1648, I, p. 297.
66 Félibien 1725, I, p. 275.
67 Ivi, III, p. 147.
68 Ivi, III, p. 149.
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
547
rivolte alla scuola romana, che trovava in Raffaello il fondatore e principale
interprete, cosicché prima di lui «on ne parloit que de l’Ecole de Florence», e poi
per suo merito «mais il mit celle de Rome à un si haut degré de perfection, que
depuis ce tens-là elle a toûjours été, considerée comme la primiere de toutes»69.
Il tema delle scuole pittoriche italiane era già stato brevemente affrontato da
Félibien nell’Introduzione alla pubblicazione delle sette conferenze che aveva
tenuto nel 1667 presso l’Accademia Reale, in particolare ricordando la famosa
lettera di Poussin, datata 24 novembre 1647, in cui era esposta la cosiddetta “teoria
dei modi”, la quale, com’è risaputo, paragonava i diversi registri espressivi usati
dai pittori a quelle che erano ritenute le modalità impiegate dalla musica antica
per manifestare le passioni70. Dunque, vent’anni dopo, il teorico del classicismo
del Grand Siècle riprese la formula del grande pittore, travisandola in diversi
punti, e a commento della quale osservava:
Comme ces differens Modes venoient des differentes moeurs et coutumes des peuples, qui
les avoient inventez, dont les uns étoient plus moderez comme les Grecs; les autres plus mols
et effeminez comme les Lydiens; l’on en peut faire comparaison avec les diverses manieres
de peindre, qu’on remarque dans l’Ecole de Rome, dans celle de Florence, et dans celle de
Lombardie, dont la premier conserve plus de majeste et de grandeur, la seconde plus de furie
et de mouvement, et la troisiéme beaucoup d’agrément et de douceur71.
Del resto, per l’accademico francese la sintesi delle tre scuole italiane – romana,
fiorentina e lombarda – risiedeva, naturalmente, in Nicolas Poussin, il quale trovò
«l’Art de mettre en pratique toutes ces differentes manieres»72.
Attraverso la “teoria dei modi” Félibien legò quindi le capacità di raffigurare
i sentimenti alle differenti caratteristiche delle scuole, per cui la maestà e la
grandezza appartengono a quella Romana, furia e movimento alla Lombarda
(che, ricordiamolo, comprendeva pure la Veneta e l’Emiliana), piacevolezza e
decoro alla Fiorentina.
Anche Malvasia, d’altro canto, pare associare alle scuole pittoriche la teoria
poussiniana dei “modi”, quando ricorda che Ludovico Carracci suggeriva ai
propri allievi di studiare le maniere dei grandi e di applicare «ciascuna di esse
al soggetto a lui più confacente, e proprio, come a dire, ad un lieto et amoroso,
la maniera Lombarda; ad un bizzarro, e grande, la Veneziana; ad un erudito, e
decoroso, la Romana»73: tema e stile, quindi, uniti a identificare una tendenza
territoriale.
Ivi, I, pp. 339-340.
Sulla “teoria dei modi” di Poussin (la lettera del pittore è in parte riportata in Blunt 1995,
pp. 367-370; e in Reyes 2009) esiste un’amplissima bibliografia, ma si veda almeno: Montagu 1992
(per l’interpretazione data da Félibien, pp. 238-242); Mérot 1994; Hammond 1996; Freedberg
1999; Reyes 2009; Unglaub 2011.
71 Félibien 1725, V, p. 325. Sull’interpretazione della “teoria dei modi” di Poussin offerta da
Félibien si veda soprattutto Montagu 1992, pp. 238-242 e Mérot 2014.
72 Félibien 1725, V, p. 325.
73 Malvasia 1678, I, p. 436.
69
70
548
PAOLO PASTRES
Da una simile impostazione discende, quasi naturalmente, che certi soggetti
sarebbero stati più adatti ad una scuola piuttosto che ad un’altra.
In seguito, sempre in Francia, Roger de Piles nell’Abrégé de la vie des peinters,
edito nel 1699 (ripubblicato nel 1715) e rivolto ai curieux, in cu le biografie
sono raggruppate per scuole pittoriche, propose un’identità tra i concetti di gusto,
scuola e nazione74. Alla questione del rapporto tra gusto e nazioni de Piles dedicò
l’intero capitolo che suggella l’opera, Du Gout, et de sa diversité, par rapport aux
differentes Nations, nel quale discettava sul concetto stesso di gusto, un tema che
avrà enorme fortuna nel corso del XVIII secolo, proponendo la sua distinzione
in tre categorie: naturale, artificiale e nazionale75. Alla prima di esse, il gusto
naturale, appartiene il talento personale; invece il gusto artificiale corrispondeva
allo studio e all’imitazione di una maniera; infine «le goût de Nation», in cui si
ritrova «une idée que les Ouvrages qui se sont ou qui se voyent en un païs, forment
dans l’Esprit de ceux qui les habitent»76, ovvero il condizionamento culturale
che deriva dal contesto – la città, la regione, lo Stato – in cui l’artista opera e
del quale è egli stesso espressione, associando quindi, attraverso una coerente
giustificazione teorica, il territorio e la sua storia agli esiti formali.
I gusti nazionali proposti da de Piles sono sei, il Romano, il Veneziano, il
Lombardo, il Tedesco, il Fiammingo e il Francese, corrispondenti a scuole
artistiche, offrendo per ognuno di essi un breve profilo critico, nel quale sono
esposti i principali riferimenti cui rifarsi per la loro interpretazione: per cui a
Roma si studia l’antico – rifacendosi alle stesse partizioni dello scrittore francese,
in quella scuola si eserciterebbe soprattutto il «Goût Artificiel» – a differenza di
Venezia, dove i pittori si sono «attachez à esprime le beau Nautrel de leur païs. Ils
ont caractérisé les objets par comparaison» – applicandosi nel «Goût Naturel» –
producendo un «vigueur harmonieuse de Couleurs»77, mentre il gusto Lombardo
rappresenta una mediazione tra i precedenti e consiste in un «Dessein coulant,
nourri, moëleux, & mêlé d’un peu d’Antique & d’un naturel bien choisi, avec
des Couleurs fonduës, fort aprochantes du naturel & employées d’un Pinceau
leger»78.
Per quanto riguarda le scuole non italiane, de Piles rilevò che il gusto tedesco,
«qu’on appelle ordinairement G», si riconosce in una «idée de la Nature comme
elle se voit ordinairement avec ses deffauts, & non comme elle pourroit être dans
sa pureté» – considerazione che ripropone il tema classicista del bello ideale – e
nella propensione dei suoi pittori ad applicarsi «plus arrëtez à finir leurs objets
qu’à les bien disposer», concludendo che quegli artisti, tranne alcune eccezioni,
realizzano figure dalle espressioni «ordinairement insipides», con disegno «sec»,
74 de Piles 1699, pp. 525-532. Su de Piles, almeno: Teyssèdre 1964; Puttfarken 1985; Alpers
1995; Puttfarken 1996; Kapor 2009; Lo Nostro 2016; Perini Folesani 2016; Costa 2016.
75 de Piles 1699, pp. 525-528.
76 Ivi, p. 528.
77 Ibidem.
78 Ivi, pp. 529-530.
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
549
colore mediocre, dando luogo a un «travail fort péné»79. Il gusto fiammingo «ne
differe de l’Allemand que par une plus gande union de Couleurs bien choisies,
par un excellent Clair-obscur, & par un Pinceau plus moèleux»80. Infine, il gusto
francese, il quale fu «toûjours si partagé, qu’il est difficile d’en donner une idée
bien juste: car il paroît que les Peintres de cette Nation on été dans leurs Ouvrages
assez differensler uns des autress», a causa dei periodi trascorsi a Roma o a
Venezia ritornando in patria con una «inclination particuliére pour les Ouvrages
de ce pais-la» e molti «mis toute leur industrie à imiter la Nature telle qu’ils
la croyoient voir»81, raggiungendo il risultato di trattare «leurs sujets avec tant
d’élevation que leurs Ouvrages serviront toûjours d’Ornemens à la France &
seront admirez de la Postérité»82.
Sul delicato problema dell’assegnazione degli artisti alle varie scuole, de Piles
propose un eloquente esempio, che gli serviva da metro di giudizio per i casi più
controversi, affermando che Annibale Carracci seguiva il gusto lombardo prima
di trasferirsi a Roma, dove assunse totalmente le tendenze di quella città, tanto
che le opere seguenti alla Galleria Farnese devono essere assegnate proprio a quel
gusto83. In conseguenza di una simile considerazione, il teorico francese chiarisce
che egli non intende annoverare fra i «Peintres Lombards ceux qui étans nez en
Lombardie ont suivi ou l’Ecole Romaine, ou l’Ecole Vénitienne», poiché, «j’ay
plus d’égard en cela à la maniére que l’on a pratiquée qu’au lieu où l’on a pris
naissance»84, ovvero, l’accademico parigino instaurava una completa fusione tra
il pittore, il suo carattere espressivo, o meglio la maniera, e la scuola o gusto cui
apparteneva, distribuendo i legami solo in conseguenza della tendenza seguita,
indipendentemente da questioni di carattere anagrafico.
Si formò quindi nell’Abrégé l’unione tra gusto, scuola e nazione, inscindibile
nel riconoscimento dell’appartenenza, per cui, a titolo di esempio, i bergamaschi
e bresciani Palma il Vecchio, Moretto, Lotto e Moroni, pur essendo lombardi di
nascita, avendo seguito le maniera di Giorgione e di Tiziano, andranno considerati
della «Ecole Vénitienne»85. Tra l’altro, de Piles in questa occasione specifica che
furono in errore coloro che, per risolvere il “dilemma” dei rapporti tra mondo
lombardo e veneto, ipotizzarono l’esistenza di un’unica scuola, come riteneva
– sebbene non sia esplicitamente nominato – Félibien, il quale raggruppava
Giorgione, Correggio, Tiziano e Veronese nella scuola Lombarda86. D’altro
canto, come sappiamo, nell’Abrégé de Piles organizzò le biografie dei pittori
proprio attorno alle loro scuole di appartenenza, raggruppando, in altrettanti
79
80
81
82
83
84
85
86
Ivi, p. 531.
Ivi, p. 532.
Ibidem.
Ibidem.
Ivi, p. 530.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
550
PAOLO PASTRES
distinti capitoli, le vite dei romani con i fiorentini, dei veneti, dei lombardi, dei
tedeschi con i fiamminghi, e dei francesi, seguendo quei criteri tassonomici appena
evidenziati, inaugurando un metodo che in seguito sarà adottato anche da altri
autori87.
La scuola pittorica, dunque, corrisponde a una nazione e al gusto che essa
esprime, e gli artefici vanno distribuiti tra esse in relazione alla maniera che
professano, al «Goût Artificiel & le Goût de Nation», per usare la definizione di
de Piles, il quale, in sostanza, è slegato dal luogo di nascita, dipendendo piuttosto
dalla scelta stilistica operata, benché questa, inevitabilmente, sia in buona misura
condizionata dai natali e dalle circostanze della formazione. Di conseguenza, se
nel corso del tempo la maniera muta radicalmente, come può accadere a causa
di spostamenti, portando ad abbracciare quella tipica di un’altra scuola, allora
si modificherà pure la collocazione che spetta a quell’artista nella costellazione
delle tendenze di matrice territoriale; oppure, se un pittore approda nell’ambito
di una scuola diversa da quella in cui si era formato, ma ne mantiene i caratteri,
sempre in quella va annoverato: è il caso – abbastanza tipico – di Caravaggio, che
de Piles, nonostante gli exploits romani, mantiene ne «L’Ecole de Lombardie»88.
Il critico francese riprese la partizione in scuole nel Cours de peinture par
principes del 1708, approfondendone i caratteri e rimarcando il loro legame con
il gusto locale89.
Sul versante anglosassone, Jonathan Richardson impiegava anch’esso il
metodo delle scuole, in An Essay on the Theory of Painting, licenziato nel 1715,
dove si menzionano la veneziana, la lombarda e la fiamminga, eccellenti nell’suo
del colore, oltre alla fiorentina e alla romana, le quali primeggiano per il disegno,
cui va poi unita la bolognese, capace di sommare le prerogative delle precedenti90,
affermando comunque, al di là di simili distinzioni regionali, che «Italy has
unquestionably produced the best modern Painting, especially of the best kinds,
and possessed it in a manner alone, when no other nation in the word had it in
any tolerable degree; that was then confequently the great school of Painting»91.
Sempre Richardson, per descrivere le varie tendenze espressive, inserì nel
proprio Scienze of a Connoisseur del 1719 un paragrafo dal titolo «Account of the
several Schools of Modern Painting», in cui ne illustrò cinque italiane (Veneziana,
Bolognese, Lombarda, Fiorentina e Romana), oltre alla Tedesca, Fiamminga,
Inglese e Francese. La scuola romana era indicata dal critico inglese come quella
dei migliori disegnatori e di coloro che meglio degli altri conoscevano l’antico,
mentre «generally they were not good Colourists»92; la fiorentina, anch’essa
Ad esempio lo stesso metodo sarà tenuto da Dézallier d’Argenville 1762; e Prunetti 1786.
de Piles 1699, pp. 340-344.
89 de Piles 1708.
90 Richardson 1715. In generale sul critico britannico segnaliamo Gibson-Wood 2000.
91 Richardson 1715, p. 68.
92 Richardson 1719b, p. 78; per una riflessione sull’approccio di Richardson alla connoisseurship:
Albl 2016.
87
88
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
551
composta da ottimi disegnatori e «had a Kind of Greatness»93, ma non per
l’antico; la scuola Veneziana e la Lombarda composte da «Excellent Colourists,
and a certain Grace, but entirely Modern, especially those of Venice»94, sebbene
poco corretti nel disegno e con scarsa conoscenza storica e dell’antico; infine
la Bolognese, la quale «is a sort of composition of the Others»95. Per quanto
attiene alla scuola Tedesca, Richardson notava che essa era contraddistinta da
«Drayness, and ungraceful Stiffness»; invece la Fiamminga era formata da buoni
coloristi che imitavano la natura «as They conceived it»; mentre i pittori francesi,
tranne poche eccezioni, gli apparivano privi di ogni qualità particolare96. Infine,
la scuola Inglese, la quale, in un periodo di generale decadenza della pittura,
gli appare come la più probabile erede delle grandezze del passato, anche in
considerazione del ricchissimo patrimonio di opere raccolto in quella nazione dal
collezionismo, nonché degli illuminati consigli che Richardson espone nel proprio
testo97. Queste considerazioni ci appaiono piuttosto generiche e anche poco
originali, ma, per altro, simili indicazioni in Art of Criticism erano considerate,
«Light Sketches», utili solo a introdurre il perfetto Connoisseur alla necessaria
cognizione dell’esistenza di diverse scuole, così come delle differenti maniere degli
artisti: «When we are at a loss, and know not to what Hand to attribute a Picture,
or Drawings it is of use to consider of what Age, and what School it Probably
is; the will reduce the enquiry into a narrow compass, and oftentimes lead u sto
the master we are seeking for»98. Comunque, per ulteriori specificazioni su tali
questioni, il saggista inglese rinviava, senza farne i nomi, agli autori «who have
professedly treated on those subjects»99.
Infine, tornando alla Galleria dell’Eneide, anch’essa, in fondo, è una forma
di collezione e certamente esprime la raffinata cultura artistica di un amatore,
cui era chiara e pacifica, come ai suoi contemporanei, la suddivisione della
pittura italiana in scuole regionali, alle quali corrispondeva un preciso carattere
stilistico. Probabilmente, Buonaccorsi riteneva pure che alle inclinazioni locali
fossero associati distinti registri espressivi più o meno adatti agli argomenti da
raffigurare, seguendo così, per una via del tutto personale, la “Teoria dei modi” di
Poussin-Félibien. Eppure, ne abbiamo fatto cenno, in questo caso il richiamo alle
scuole non basta, dato che balza agli occhi una certa uniformità stilistica – direi
quasi di tono – nei dipinti della Galleria: forse la ricerca di una “sintesi italiana”
tra le tendenze regionali, o, piuttosto, il compiacimento nel ritrovare il proprio
gusto, declinato con le sfumature che le differenti scuole consentono? Comunque
sia, possiamo ritenete che nell’eccezionale impresa del marchese Buonaccorsi si
93
94
95
96
97
98
99
Richardson 1719b, p. 78.
Ivi, pp. 78-79.
Ivi, p. 79.
Ivi, p. 80.
Ivi, pp. 51-56.
Richardson 1719b, pp. 155-156.
Ivi, p. 156.
552
PAOLO PASTRES
rifletta anche un articolato percorso critico, quello iniziato con la distinzione in
scuole pittoriche, che dalle pagine si è trasferito sulle pareti, con esiti spettacolari.
Riferimenti bibliografici / References
Agamben G. (2008), Che cos’è il contemporaneo?, Milano: Nottetempo.
Albl S. (2016), Jonathan Richardson conoscitore, in Il metodo del conoscitore.
Approcci, limiti, prospettive, Atti della giornata di studi (Roma, 5 giugno
2015), a cura di S. Albl, A. Aggujaro, Roma: Artemide, pp. 27-44.
Algarotti F. (1792), Progetto per ridurre a compimento il Regio Museo di
Dresda, presentato in Hubertsbourg alla R. M. di Augusto III Re di Polonia
il dì 28 ottobre 1742, in F. Algarotti, Opere del conte Algarotti edizione
novissima, VIII, Venezia: Palese, pp. 351-374.
Alpers S. (1995), Roger de Piles et l’histoire de l’art, in Histoire de l’histoire
de l’art, I, De l’Antiquité au XVIIIe siècle, Cycles de conferences oragnisés
au muse du Louvre (10 ottobre, 14 novembre 1991; 25 gennaio, 15 marzo
1993), Paris: Klincksieck-Musée du Louvre, pp. 283-301.
Anderson J. (2003), Tiepolo’s Cleopatra, Melbourne: Macmillan.
Baldinucci F. (1681), Vocabolario toscano dell’arte del disegno nel quale
si esplicani i propri terrmini e voci, non solo della pittura, scultura, et
architettura; ma ancora di altre Arti a quelle subordinate, e che abbiano
fondamento nel disegno, Firenze: Santi Franchi al Segno della Passione.
Bell J., Willette T., a cura di (2002), Art history in the age of Bellori, Atti del
convegno di studio (Roma, 21-22 novembre 1996), Cambridge: Cambridge
University Press.
Bellori G.P. (1672), Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, Roma:
Mascardi, 1672; ed. a cura di E. Borea, Torino: Einaudi, 2009.
Bianco A., Grisolia F., Prosperi Valenti Rodinò S. (2017), Padre Sebastiano
Resta (1635-1714). Milanese, oratoriano, collezionista di disegni nel
Seicento a Roma, Atti del convegno (Roma, 11 dicembre 2015), Roma:
Edizioni Oratoriane.
Blunt A. (1995), Nicolas Poussin, London: Pallas Athene.
Borea E. (1998), Stampe in Europa nel Seicento per servire i collezionisti di arte
italiana, in Per Luigi Grassi, disegno e disegni, a cura di A. Forlani Tempesti,
S. Prosperi Valenti Rodinò, Rimini: Galleria editrice, pp. 339-358.
Borea E. (2010), Storia dell’arte con figure. Recueils per le scuole pittoriche
italiane, in À l’origine du livre d’art. Les recueils d’estampes comme entreprise
éditoriale en Europe (XVI°-XVIII° siècles), textes réunis par C. Hattori, E.
Leutrat, V. Meyer, Cinisello Balsamo: Silvana Editoriale, pp. 109-119.
Boschini M. (1660), La Carta del navegar pitoresco, Venezia: Baba, 1660; ed. a
cura di A. Pallucchini, Venezia-Roma: Fondazione Giorgio Cini, 1966.
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
553
Cavazzoni Zanotti G.P. (1705), Lettere familiari scritte ad un amico in difesa del
conte Carlo Cesare Malvasia autore della Felsina pittrice, Bologna: Pisarri.
Ciancio V. (2009), Francesco Algarotti und die Galerie der modernen Maler am
Hof von Dresden (1742-1746), in Francesco Algarotti. Ein philosophischer
Hofmann im Jahrhundert der Aufklärung, Atti del Convegno (Potsdam,
27-28 ottobre 2006), a cura di H. Schumacher, B. Wehinger, Laatzen:
Wehrhahn Verlag, pp. 151-159.
Costa S. (2016), Dal Dialogue alle Conversations: il pubblico dell’arte secondo
Roger de Piles, in R. de Piles, Dialogo sul colorito, ed. a cura di G. Perini
Folesani, S. Costa, Firenze: Olschki, pp. 137-183.
Cropper E. (1991), “La più bella antichità che sappiate desiderare”, history and
style in Giovan Pietro Bellori’s “Lives”, in Kunst und Kunsttheorie 14001900, Atti dei simposi (Wolfenbüttel, 15 dicembre 1987 – 27 novembre – 1
dicembre 1988), a cura di P. Ganz, M. Gosebruch, Wiesbaden: Harrassowitz
in Komm, pp. 145-173.
Cropper E. (2012), Malvasia’s anti-vasarian history of art, a tradition, not a
rebirth, in Gifts in return. Essay in honour of Charles Dempsey, a cura di
M. Schlitt, Toronto: Centre for Reformation and Renaissance Studies, pp.
415-444.
Dal Pozzolo E.M., a cura di (2014) Marco Boschini, l’epopea della pittura
veneziana nell’Europa barocca, Atti del convegno di studi (Verona, 19-20
giugno 2014), Treviso: ZeL Edizioni.
De Benedictis C. (2016), Tra ‘progetto’ e sogno: a Dresda il museo di Francesco
Algarotti, «Studi di Storia dell’Arte», 27, pp. 225-234.
de Mambro Santos R. (2001), Arcadie del vero. Arte e teoria nella Roma del
Seicento, Roma: Apeiron.
de Piles R. (1699), Du gout, Et de sa diversitè, par rapport aux differentes
Nations, in Abrégé de la vie des peinters, avec des reflexions sur leurs
Ouvrages, et un Traité du Peintre parfait, de la connissance des Desseins, &
de l’utilité des Estampes, Paris, Muguet.
de Piles R. (1708), Cours de peinture par principes, Paris: Estienne.
Démoris R. (2007), in A. Félibien, Entretiens sur les vies et sur les auvrages des
plus excellens peintres ancien set modernes, a cura di R. Démoris, I-II, Paris,
Les Belles Lettres, 2007.
Dézallier d’Argenville A.J. (1762), Abrégé de la vie des plus fameux peintres, I,
Paris: Du Bure.
Dionne U. (2001), Félibien Dialoguiste: les Entretiens sur les vites des peintres,
«Dix-septième siècle», 210/1, pp. 49-74.
Dufresnoy C.-A. (1668), De arte graphica, Paris: Barbin,1668; ed. a cura di C.
Allen, Y. Haskell, F. Muecke, Ginevra: Droz, 2005.
Félibien A. (1725), Entretiens sur les vies et sur les auvrages des plus excellens
peintres ancien set modernes, I-V, Paris: S. Marbre-Cramoisy, 1666-1688;
seconda edizione Paris: Trévoux, 1725.
554
PAOLO PASTRES
Freedberg D. (1999), De l’effet de la musique aux effets de l’imagine; ou
pourquoi les modes ne sont pas les affetti, in La Jeérusalem délivrée du
Tasse. Poésie, peinture, musique, ballet, Atti del colloquio (Parigi, 13-14
novembre 1996), a cura di G. Careri, Paris: Klincksieck-musée du Louvre,
pp. 309-338.
Frigo A. (2012), Can One Speak of Painting if One Cannot Hold a Brush?
Giulio Mancini, Medicine, and the Birth of the Connoisseur, «Journal of the
History of Ideas», 73, pp. 417-436.
Fulco G. (2001), Il sogno di una “Galleria”: nuovi documenti sul Marino
collezionista (1979), in La «meravigliosa» passione. Studi sul Barocco tra
letteratura e arte, Roma: Salerno, pp. 83-117.
Fulco G. (2011), Marino e la tradizione figurativa, «Filologia e critica»,
XXXVI/3, pp. 413-433.
Gage F. (2016), Painting as medicine in early modern Rome. Giulio Mancini
and the efficacy of art, University Park, Penn: State University Press.
Germer S. (2016), Art, pouvoir, discours, la carrière intellectuelle d’André
Féllibien dans la France de Louis XIV, Paris: Edition de la maison des
sciences de l’homme.
Gibson-Wood C. (2000), Jonathan Richardson art theorist of the English
Enlightenment, New Haven: Yale University Press.
Gigli G.C. (1615), La Pittura trionfante, Venezia: Alberti, 1615; ed. a cura di
B. Agosti, S. Ginzburg, Porretta Terme (Bo): I Quaderni del Battello Ebbro,
1996.
Ginzburg Carignani S. (1996a), Giovanni Battista Agucchi e la sua cerchia, in
Poussin et Rome, Atti del Congresso (Roma, Académie de France à Rome
e Bibliotheca Hertziana, 16-18 novembre 1994), a cura di O. Bonfait, C.L.
Frommel, Paris: Editions de la Réunion des Musées Nationaux, pp. 273291.
Ginzburg Carignani S. (1996b), Domenichino e Giovanni Battista Agucchi, in
Domenichino 1581-1641, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale
di Palazzo Venezia, 10 ottobre 1996 – 14 gennaio 1997), a cura di C. Strinati,
A. Tantillo, Milano: Electa, pp. 121-137.
Ginzburg S. (1996), Introduzione, in G.C. Gigli, La Pittura trionfante, Venezia:
Alberti, 1615; ed. a cura di B. Agosti, S. Ginzburg, Porretta Terme (Bo): I
Quaderni del Battello Ebbro, 1996, pp. 5-25.
Ginzburg S. (2015), I caratteri della scuola romana in Maratti e Bellori, in
Maratti e l’Europa, Atti delle giornate di studio (Roma, palazzo Altieri, 1112 novembre 2013), a cura di L. Barroero, S. Prosperi Valenti Rondinò, S.
Schütze, Roma: Campisano, pp. 25-51.
Giordani P. (2007), Note correttive ai manoscritti della Storia della scultura
stilate da Pietro Giordani tra il 1812 e il 1817 (Ferrara, Biblioteca Comunale
Ariostea, Ms Classe I 516), a cura di F. Leone, B. Steindl, in L. Cicognara,
Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova,
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
555
a cura di F. Leone, B. Steindl, G. Venturi, I, Bassano del Grappa: Istituto di
ricerca per gli studi su Canova e il Neoclassicismo, pp. 111-177.
Hammond F. (1996), Poussin et les modes: le point de vue d’un musicien, in
Poussin et Rome, Atti del colloquio (Roma, Académie de france, 16-18
novembre 1994), a cura di O. Bonfait, C.L. Frommel, M. Hochmannn, S.
Schütze, Paris: Réunion des Musées Nationaux, pp. 75-91.
Haskell F. (1985), Patrons and Painters. A Study in the Relations Between Art
and Society in the Age of the Baroque, London: Chatto & WIndus, 1963,
trad. it. Mecenati e pittori. Studio sui rapporti tra arte e società italiana
nell’età barocca, Firenze: Sansoni.
Hochmann M. (1988), Les annotations marginales de Federico Zuccaro à un
exemplaire des «Vies» de Vasari. La réaction antivasarienne à la fin du XVIe
siècle, «Revue de l’Art», 80, pp. 64-71.
I disegni del Codice Resta, schede critiche a cura di G. Bora, Cinisello Balsamo
1976.
Ivanoff N. (1957), Stile e maniera, «Saggi e Memorie di storia dell’arte», 1, pp.
109-163.
Kapor V. (2009), ‘Couleur locale’ a pictorical term gone astray?, «Word &
Image», 25, pp. 22-32.
Lanzi L. (1809), Storia pittorica della Italia dal risorgimento delle belle arti fin
presso al fine del XVIII secolo, Bassano: Remondini; edizione a cura di M.
Capucci, 3 voll, Firenze: Sansoni, 1968-1974.
Lepore R. (1989), Introduzione, a F. Scannelli, Il microcosmo della pittura,
ristampa anastatica, Bologna: Nuova Alfa Editoriale, pp. 7-29.
Liebsch T. (2010), «… una picciola e scelta raccolta di quadri moderni»
Francesco Algarottis Gemäldeauftrag für Dresden an zeitgenössische Maler
in Venedig, in Venedig-Dresden. Begegnung zweier Kulturstädte, a cura
di B. Marx, A. Henning, Dresden: Staatliche Kunstsammlungen DresdenSeeman, pp. 217-239.
Lo Nostro G. (2014), La trattatistica francese tra il XVII e il XVIII secolo.
Dal collezionismo a una prima strutturazione delle scuole pittoriche italiane,
«teCLa-Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica», 9, pp. 31-45.
Lo Nostro G. (2016), Da Vasari a Roger de Piles. Il paradigma vasariano
nella storiografia artistica francese tra il XVII e il XVIII secolo, in Vasari
als Paradigma. Reception, Kritik, Perspektiven – The Paradigm of Vasari.
Reception, Criticism, Perspectives, a cura di F. Jonietz, A. Nova, Venezia:
Marsilio, pp. 265-273.
Maccherini M. (2005), Giulio Mancini, committenza e commercio di
opere d’arte fra Siena e Roma, in Siena e Roma, Raffaello Caravaggio e
i protagonisti di un legame antico, catalogo della mostra (Siena, palazzo
Squarcialupi, 25 novembre 2005 – 5 marzo 2006), a cura di B. Santi, C.
Strinati, Siena: Protagon Editori, pp. 393-401.
Mahon D. (1947), Studies in Seicento Art and Theory, London: The Warburg
Institute-University of London.
556
PAOLO PASTRES
Malvasia G.C. (1678), Felsina pittrice, Vite de’ Pittori Bolognesi, Bologna:
Davico.
Mancini G. (1956), Considerazioni sulla pittura, ed. a cura di A. Marucchi, L.
Salerno, I, Roma: Accademia Nazionale dei Lincei.
Mérot A. (1994), Les modes, ou le paradoxe du peintre, in Nicolas Poussin
1594-1665, catalogo della mostra (Parigi, Galeries nationales du Grand
Palais, 27 settembre 1994 – 2 gennaio 1995), a cura di P. Rosenberg, Paris:
Réunion des Musées Nationaux, pp. 80-86.
Mérot A. (2014), “Manières” et “modes” chez André Félibien, les premières
analyses du style de Nicolas Poussin, in L’Héroïque et le Champêtre, I, Les
catégories stylistiques dans le discours critique sur les arts, a cura di M.
Cojannot-Le Blanc, C. Pouzadoux, É. Prioux, Paris, Press universitaires de
Paris ouest, pp. 187-203.
Montagu J. (1992), The Theory of the musical Modes in the Académie Royale de
peinture et de sculpture, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes»,
LV, pp. 233-248.
Natali G. (1951), Monsignor G. B. Agucchi e le scuole pittoriche italiane,
«Siculorum gymnasium», 4, pp. 117-119.
Nicolaci M. (2014), Giulio Mancini critico e collezionista. Considerazioni
intorno al suo inventario dei beni, in Collezioni romane dal Quattrocento
al Settecento: protagonisti e complementari, a cura di F. Parrilla, Roma:
Campisano, pp. 59-77.
Passeri G.B. (1934), Il libro delle Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti, a cura
di J. Hess, Lipsia-Vienna: Keller.
Pastres P. (2012), Luigi Lanzi e le scuole pittoriche, in Luigi Lanzi 1810-2010;
archeologo e storico dell’arte, a cura di M.E. Micheli, G. Perini Folesani. A.
Santucci, Camerano: Empatiabooks, pp. 185-232.
Pastres P. (2014), Giulio Cesare Gigli e le patrie pittoriche, «Annali di critica
d’arte», 10, pp. 73-103.
Pastres P. (2016a), Algarotti e l’abate Conti: una fonte per il Sileno di Zuccarelli,
«Letteratura & Arte», 14, pp. 59-69.
Pastres P. (2016b), Algarotti per Augusto e Mecenate a Dresda. Artisti, acquisti
e programmi pittorici nei versi ad Augusto III del 1743-1744, «Studi
germanici», 10, pp. 9-66.
Pastres P. (2018), Una pagine di Antonio Lupis del 1687 per la fortuna di
Luca Giordano in Veneto: l’elogio del Passaggio del mar Rosso di Bergamo,
«Annali di critica d’arte», pp. 157-169.
Perini Folesani G. (2011), Philosophie du droit, philosophie de l’histoire,
curiosité antiquarie et histoire de l’art, la méthode de Carlo Cesare Malvasia,
in L’artiste et la philosophe, l’histoire de l’art à l’épreuve de la philosophie
au XVIIe siècle, Atti del colloquio internazionale (Parigi, 19-22 settembre
2007), a cura di F. Cousinié, C. Belin, Rennes: Press Univ. de Rennes, pp.
335-354.
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
557
Perini Folesani G. (2012), Malvasia e Roger de Piles, occasioni di un incontro,
in Crocevia e capitale della migrazione artistica, forestieri a Bologna e
bolognesi nel mondo (secolo XVII), Atti del convegno di studi (Bologna, 30
novembre – 2 dicembre 2010), Bologna: Bononia Univ. Press, pp. 107-124.
Perini Folesani G. (2016), A proposito di Roger de Piles, in R. de Piles, Dialogo
sul colorito, ed. a cura di G. Perini Folesani, S. Costa, Firenze: Olschki, pp.
1-136.
Pierguidi S. (2004), Il programma sacrificato ai pittori: la gallerie La Vrillière
(Parigi, 1635-1660), Spada (Roma, 1698-1705) e Bonaccorsi (Macerata,
1710-1717), «Saggi e memorie di storia dell’arte», 28, pp. 129-168.
Pierguidi S. (2008), Non vuole che s’introducano tavole forestiere. Il confronto
fra artisti forestieri e scuole pittoriche nelle pale d’altare della seconda metà
del Cinquecento, «Storia dell’arte», 121, pp. 129-145.
Pierguidi S. (2011), Il mecenatismo di Anna Maria Luida de’ Medici a
Düsseldorf: le scuole pittoriche italiane a confronto, «Münchner Jahrbuch
der bildenden Kunst», 62, pp, 251-259.
Pierguidi S. (2012), Dalle pale d’eccellenti artefici nel duomo di Siena (16731688) alla galleria di quadri moderni di Dresda (1742), «Saggi e memorie di
storia dell’arte», 36, pp. 171-188.
Pierguidi S. (2014), Le aporie della critica di Malvasia: tra difesa del primato
lombardo e ossequio alla teoria eclettica, in «ArtItalies», 20, pp. 68-78.
Pierguidi S. (2016), Giulio Mancini e la nascita della connoisseurship,
«Zeitschrift für Kunstgeschichte», 79, pp. 63-71.
Pommier É. (2007), Comment l’art devient l’art, dans l’Italie de la Renaissance,
Paris: Gallimard, 2007; trad. it. L’invenzione dell’arte nell’Italia del
Rinascimento, Torino: Einaudi, 2007.
Prosperi Valenti Rodinò S. (2013), Dilettanti del disegno nell’Italia del Seicento.
Padre Resta tra Malvasia e Magnavacca, Roma: Campisano.
Prunetti M. (1786), Saggio pittorico, Roma: Zempel.
Puttfarken T. (1985), Roger de Piles’s theory of art, London/New Heaven: Yale
University Press.
Puttfarken T. (1996), Roger de Piles. Une littérature artistique destinée à un
nouveau public, in Les “Vies” d’artistes, Actes du Colloque International
(Paris, 1-2 ottobre 1993), a cura di M. Waschek, Paris: Musée du Louvre,
pp. 81-102.
Reyes H. (2009), The Rhetorical Frame of Poussin’s Theory of the Modes,
«Intellectual History Review», 19/3, pp. 287-302.
Richardson J. (1715), An Essay on the Theory of Painting, London: Bowyer,
1715, in The Works of Jonathan Richardson, [London] 1792.
Richardson J. (1719a), An essay on the whole Art of Criticism as it relates to
Painting, in Id., Two discourses, London: Churchill, 1719, pp. 1-220.
Richardson J. (1719b), An Argument in behalf of the Scienze of a Connoisseur,
in Id., Two discourses, London: Churchill, 1719, pp. 1-234.
558
PAOLO PASTRES
Ridolfi C. (1648), Le maraviglie dell’arte ovvero le vite degli illustri pittori veneti
e dello stato, Venezia: Sgava, 1648; ed. a cura di D.F. von Hadeln, 2 voll.,
Berin, 1914-1924.
Rima B. (2012), L’idea della pittura e “La Galeria” degli specchi, «Letteratura
& Arte», 10, pp. 65-106.
Rossi M. (2002), Ultimi ragguagli di Parnaso. Un percorso tra gli studi secenteschi
sui rapporti penna-pennello, «Studiolo», 1, pp. 221-241.
Sabbatino P. (2009), Il ritratto di Ariosto «gran Pittor» nella «pinacoteca»
poetica di Marino e la «Galleria regia» dell’Orlando furioso nella letteratura
artistica, «Studi rinascimentali», 7, pp. 119-133.
Scannelli F. (1657), Il microcosmo della pittura, Cesena: Per il Neri; ristampa
anastatica, Bologna: Nuova Alfa Editoriale, 1989; ne esiste una edizione
moderna a cura di E. Monaca, Roma: UniversItalia, 2015.
Scaramuccia L. (1674), Le finezze de pennelli italiani, ammirate, e studiate da
Girupeno sotto la scorta, e disciplina del genio di Raffaello d’Urbino, con
una curiosa, ed attentissima osservazione di tutto ciò, che facilmente possa
riuscire d’utile, e di diletto à chi desidera rendersi perfetto nella Teorica, e
Prattica della Nobil’Arte della Pittura, Pavia: Gio. Andrea Magri.
Sohm P. (1991), Pittoresco. Marco Boschini, his critics, and their critiques of
painterly brushwork in seventeenth and eighteenth-century Italy, Cambridge:
Cambridge University Press.
Sohm P. (2001a), La critica d’arte del Seicento: Carlo Ridolfi e Marco Boschini,
in La pittura nel Veneto. Il Seicento, II, a cura di M. Lucco, Milano: Electa,
pp. 725-756.
Sohm P. (2001b), Style in the art theory of early modern Italy, Cambridge:
Cambridge University Press.
Spagnolo M. (1996), Appunti per Giulio Cesare Gigli: pittori e poeti nel primo
Seicento, «Ricerche di storia dell’arte» 59, pp. 56-74.
Sparti D.L. (2008), Novità su Giulio Mancini: medicina, arte e presunta
“connoisseurship”, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in
Florenz», 52/1, pp. 53-72.
Stoichita V.I. (2004), La bella Elena ed il suo doppio nella Galeria del Cavalier
Marino, in Estetica barocca, a cura di S. Schültze, Roma: Campisano, pp.
205-221.
Surliuga V. (2002), La Galeria di G. B. Marino tra pittura e poesia, «Quaderni
d’italianistica», 1, pp. 65-84.
Teyssèdre B. (1964), L’histoire de l’art vue du Grand Siècle. Recherches sur
l’Abrégé del la Vié des Peintures par Roger de Piles (1699), et ses sources,
Paris: Julliard.
Unglaub J. (2011), Poussin and Rospigliosi: Novità, Copies, and Modes, in
“Novità”. Neuheitskonzepte in der Bildkünsten um 1600, Atti del convegno
di studi (München, 28 febbraio – 1 marzo 2008), a cura di U. Pfisterer, G.
Wimböck, Zürich: diaphanes, pp. 447-469.
LE SCUOLE PITTORICHE NELLA LETTERATURA ARTISTICA E NEL COLLEZIONISMO
559
Vegelin van Claerbergen E. (2006), David Teniers and the theatre of painting,
catalogo della mostra (London, Somerset House 19.10.2006 – 21.01.2007),
London: Holberton.
Vittoria V. (1703), Osservazioni sopra il libro della Felsina pittrice per difesa di
Raffaello da Urbino, dei Caracci e della loro scuola, Roma: Zenobi.
Warwick G. (2000), The arts of collecting. Padre Sebastiano Resta and the
market for drawings in early modern Europe, Cambridge: Cambridge
University Press.
Wood J. (1996), Padre Resta as a Collector of Carracci Drawings, in «Master
Drawings», XXXIV/1, pp. 3-71.
Zanotti G.P. (1739), Storia dell’Accademia Clementina di Bologna aggregata
all’Istituto delle Scienze e dell’Arti, I, Bologna: Lelio dalla Volpe.
Zapperi R., Toesca I. (1960), Agucchi, Giovanni Battista, in Dizionario
biografico degli italiani, I, Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana, pp. 504506.
JOURNAL OF THE SECTION OF CULTURAL HERITAGE
Department of Education, Cultural Heritage and Tourism
University of Macerata
Direttore / Editor
Massimo Montella
Texts by
Gianpaolo Angelini, Giuseppe Capriotti, Rosanna Cioffi, Francesca
Coltrinari, Valter Curzi, Paolo Delorenzi, Valentina Fiore, Giulia Iseppi,
Roberto Carmine Leardi, Rodolfo Maffeis, Sergio Marinelli, Susanne
Adina Meyer, Angelo Maria Monaco, Désirée Monsees, Paolo Pastres,
Alberto Pavan, Arianna Petraccia, Chiara Piva, Cecilia Prete,
Massimiliano Rossi, Sara Rulli, Laura Stagno, Christina Strunck,
Andrea Torre
http://riviste.unimc.it/index.php/cap-cult/index
eum edizioni università di macerata
ISSN 2039-2362
ISBN 978-88-6056-586-0
Euro 25,00