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Una Madonna di Dürer in Romagna. Per la restituzione al maestro di Norimberga, [2018]

2018, Romagna Arte e Storia, 109, gennaio-aprile 2017-2018

Il saggio ripercorre la storia della tavola con la "Madonna del Patrocinio", oggi alla Fondazione Magnani-Rocca, attraverso nuovi documenti che ne attestano l'arrivo in Romagna e ne tracciano i suoi spostamenti fra Ravenna, Cotignola ed infine Bagnacavallo. L'opera è stata oggetto di una più approfondita lettura iconografica e simbolica e di un'indagine sull'ambito di committenza, mentre confronti stilistici e osservazioni tecniche hanno permesso di formulare una proposta di datazione svincolata dai due viaggi italiani del maestro di Norimberga. A seguito della recente espunzione della bellissima tavola dal catalogo di Dürer, questo contributo si prefigge l'obiettivo della re-attribuzione, conservando il parere espresso dal suo scopritore: Roberto Longhi. Vedi anche: https://www.academia.edu/41439333/La_Madonna_del_Patrocinio_di_D%C3%BCrer_da_Cotignola_a_Bagnacavallo_dopo_163_anni

109 - 2017-2018 Il tempio malatestiano e la graica faentina 2017-2018 109 rivista quadrimestrale di cultura numero 109 gennaio-aprile 2017-2018 Romagna arte e storia / Rivista quadrimestrale di cultura Anno XXXVII / XXXVIII numero 109 / gennaio-aprile 2017-2018 Direttore onorario Direttore responsabile Comitato di Direzione Impostazione grafica Realizzazione grafica Stampa © 2018 Pier Giorgio Pasini Ferruccio Farina Bruno Ballerin Dante Bolognesi Giordano Conti Ferruccio Farina Claudio Riva Noël Bessah Giorgio Pozzi Editografica, Rastignano (BO) Società Editrice «Il Ponte Vecchio», Cesena, Via Caprera 32, tel. 0547/609287, fax 0547/333371 e-mail: editriceilpontevecchio@gmail.com – www.ilpontevecchio.com Romagna Arte e Storia, rivista di cultura ®, Rimini e-mail: info@romagnaarteestoria.it – www.romagnaarteestoria.it Spedizione in abbonamento postale / Un numero € 13. Abbonamento per il 2017/2018 (nn. 109, 110, 111) € 32. Versamento su c.c. postale n. 17878471; bonifico bancario a IT68D0538723905000000654408 presso Banca Popolare dell’Emilia Romagna - Agenzia 3 Cesena. In copertina: Santi e diavoli sulla città di Rimini. Particolare dell’incisione Sant’Antonio predica ai pesci, sec. XVI. Romagna arte e storia SommARIo Anno XXXVII / XXXVIII numero 109 / gennaio-aprile 2017-2018 Ricerche: 5........................ Imprecazioni, ingiurie e bestemmie d’età medievale oreste Delucca 21.............................................. Una madonna di Dürer in Romagna. Per la restituzione al maestro di Norimberga Raffaella Zama 59........La singolare vicenda di una predella del Palmezzano contesa tra Firenze e Castrocaro michela Palmeri 77.....................................Il tempio malatestiano e la graica faentina Giulio Zavatta 87.......................................... Pistoni e Ballerini. Il ruolo delle bande nella storia della musica da ballo romagnola Franco Dell’Amore Schede: 101.................... Il comune e gli uomini di Talamello giurano fedeltà a Carlo Malatesti (29 maggio 1420) Claudio Riva raffaella zama una Madonna di Dürer in romagna. Per la restituzione al maestro di Norimberga Per l’illustre Roberto Longhi fu una «agnizione ‘de plano’» e così la piccola Madonna venerata sotto il titolo di ‘Beata Vergine del Patrocinio’ da quel momento portò il nome di Dürer: era il 1961, quando monsignor Antonio Savioli(1), certo di aver fra le mani un pezzo d’eccezione, portò al professore una «pallida» fotograia e subito fu reso noto che nella clausura del monastero delle Clarisse Cappuccine di Bagnacavallo si conservava un vero tesoro (ig. 1)(2). Lo stesso Don Savioli diede la prima esaltante notizia, informando del titolo tradizionalmente attribuitole come da iscrizione su un foglio devozionale della prima metà dell’Ottocento, inciso nella stamperia faentina Marabini(3). In mancanza di ulteriori documenti d’archivio fu la (1) Don Antonio Savioli (Fusignano 1915-Faenza 1999), architetto e docente, in particolare è stato un grande studioso. Noti i suoi approfondimenti sulla religiosità popolare, sull’iconograia mariana e sulle tradizioni in Romagna. Grazie al suo impegno furono allestite mostre, schedati migliaia di pezzi e pubblicati numerosi cataloghi, pertanto fu insignito della medaglia d’oro dal Ministero per i Beni Culturali. (2) Collocata nel coretto del monastero, la preziosa immagine era visibile attraverso una grata, custodita in un bauletto ed avvolta in una coperta, come ricorda Giorgio Cicognani: “Museo in-forma”, Sistema museale Provincia di Ravenna, 32, 2008, p. 10. (3) A. Savioli, La madonna delle Cappuccine di Bagnacavallo, in “Bollettino Diocesano di Faenza”, XLVIII, gennaio 1961, pp. 26-28. La stampa reca l’iscrizione “Miracolosa immagine della B.V. del Padrocinio / in Faenza Marabini incise”, non precisando se si deve al bulino di Vincenzo o del iglio Angelo. 21 zAMA 22 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA penna di Longhi a consacrare il dipinto alla memoria(4), ma anche a renderlo alquanto appetibile, tant’è che le monache lo vendettero nel 1969 al collezionista Luigi Magnani(5). Nel corpus del maestro di Norimberga la tavola fu accolta come ‘Madonna di Bagnacavallo’ e solo più tardi l’acuto sacerdote, consultando il libro Campione del convento, rinvenne un’annotazione relativa alla provenienza: «La Madre Sr. Gertrude Canattieri Religiosa Claressa del soppresso Monastero di Cottignola entrò nel nostro convento [in Bagnacavallo] il 13 maggio 1822 in età d’anni 73 [...]. Portò una bellissima Immagine della Beata Vergine di gran prezzo quale, Immagine era delle sue Fondatrici del Convento di Cottigniola, ed ora sta collocata nel nostro Coro, e si mostra miracolosa nel ricorso che facciamo a lei nelle nostre necessità». La notizia del suo arrivo da Cotignola, tuttavia, rimase celata per lungo tempo fra le pagine di un inesplorato bollettino parrocchiale(6). 1. Albrecht Dürer, madonna del Patrocinio, Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani-Rocca. (4) R. Longhi, Una madonna del Dürer a Bagnacavallo, in “Paragone”, 139, luglio 1961, pp. 3-9. (5) Oggi Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo, Parma. Ringrazio il Dott. Stefano Rofi per il suo cortese contributo. (6) A. Savioli, Il Dürer di Bagnacavallo proviene da Cotignola, in “Bollettino Parrocchiale”, Cotignola, luglio-agosto 1976. Mi permetto di segnalare che non appena ritrovata la notizia ne diedi diffusione: R. zama, Zaganelli e dintorni. Per una ricerca sui dipinti di Francesco e Bernardino, fra Cotignola e Ravenna”, Faenza, Ragazzini 1989, Esposizione fotograicodocumentaria, Cotignola 18-26 febbraio 1989, p. 13; R. zama, Gli Zaganelli, Francesco e Bernardino pittori, Rimini, Luisè Editore, 1994, p. 32. La notizia è stata poi ripresa da M. Faietti, 1490-1530: inlussi nordici in alcuni artisti emiliani e romagnoli, in V. Fortunati (a cura di), La pittura in Emilia e in Romagna, Il Cinquecento, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1994, p. 36 e riedita in A. Savioli, Una madonna del Dürer, Faenza, Tipograia faentina, 1995, tuttavia non è ancora stata pienamente recepita: V. Sgarbi (a cura di), Fondazione magnani-Rocca. Capolavori della pittura antica, Milano, A. Mondadori, 1984, pp. 71-75; I. Lübbeke in B. Aikema - B.L. Brown (a cura di), Il Rinascimento a Venezia e la pittura del nord ai tempi di Bellini, Dürer e Tiziano, Milano, Bompiani, 1999, catalogo della mostra, Venezia Palazzo Grassi 1999, pp. 282-283; V. Sgarbi in S. Tosini Pizzetti (a cura di, con la collaborazione di S. Rofi), Fondazione magnani-Rocca. Catalogo generale, Firenze, Nardini, 2001, pp. 81-84. Fu invece registrata da K. Hirakawa, Die Bagnacavallo-madonna von Albrecht Dürer, in “Bijutsushi”, Journal of the Japan Art History Society, 1999, 146, pp. 344-361. Ringrazio Kayo Hirakawa, Kyoto University, per lo scambio di informazioni e per aver messo a mia disposizione alcuni suoi materiali. 23 zAMA Dürer in clausura Il «convento con clausura» delle monache di Santa Chiara di Cotignola era stato istituito nel 1659 dal Cardinale Carlo Rossetti, Vescovo di Faenza, grazie al cospicuo lascito testamentario di don Gaspare Bolis(7).. L’atto rogato il 30 agosto 1635 consta di numerose pagine ricche di disposizioni relative ai beni immobili e vi sono richiamati in modo descrittivo anche i beni mobili più cari al testatore (libri, reliquie, pianete), ma nessun riferimento ad una sacra immagine della Madonna(8). D’altra parte la clarissa di Cotignola affermava che il dipinto era delle fondatrici del suo monastero. Le fondatrici, come ricorda il Fabri, furono «Suor Dorotea Felice Certani Bolognese e Suor Giovanna Maria Scapuccini da Ravenna»(9), le quali «maestre vi furono trasferite dal cenobio ravennate di Santa Chiara»(10). A loro si deve quindi la prima compilazione del Libro Campione delle memorie del monastero, in cui sono accuratamente registrate tutte le attività della comunità a partire dall’ingresso di suor Dorotea Felice nel ruolo di badessa e della sua consorella in quello di vicaria(11). Fra le pagine del volume, tuttavia, non si trova menzione di una preziosa Madonna giunta al convento di Cotignola insieme alle due monache, né compare alcuna notizia fra le diligenti annotazioni stilate lungo tutta la vita del convento. Romoaldo Maria Magnani, primo raccoglitore di memorie agiograiche faentine, ricordava nel 1742 come (7) R.M. Magnani, Vite de’ santi beati venerabili e servi di Dio della città di Faenza, Faenza, Presso l’Archi Impressor Vescovile, Camerale, e del S. Uicio, 1741, pp. 370-372; R.M. Magnani, Vite de’ santi beati venerabili e servi di Dio della diocesi di Faenza, Faenza, Presso l’Archi Impressor Vescovile, Camerale, e del S. Uicio, 1742, pp. 107-108, 132-133. (8) Ravenna, Archivio di Stato (di seguito ASRA), Notarile Cotignola, Atti di Gaspare Biancoli, 1635, 30 agosto. (9) G. Fabri, Le sagre memorie di Ravenna antica, Venezia, Per Francesco Valuasense, 1664, p. 148. (10) M. Pierpaoli (a cura di), Un secolo di cronaca ravennate 1588-1683. Traduzione del manoscritto inedito di Giovanni Francesco Vistoli Continuatio historiarum Hieronymi Rubei, Ravenna, Libreria Antiquaria Tonini, 1995, p. 41. (11) Bologna, Archivio di Stato (di seguito ASBO), Fondo Demaniale, Corporazioni religiose soppresse, II B 669, mm di S. Chiara e Catterina di Cottignola, 1/8682, Libro Campione delle memorie. 24 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA la badessa giunta da Ravenna a fondare il convento di Cotignola fosse «divotissima della B. Vergine, avanti un immagine della quale, creduta di Guido Reni, stava molte ore in orazione: e n’ebbe un giorno in visione, mediante questa, a cui porgeva calde suppliche». Nell’informare della Certani e delle sue meditazioni su «la passione di Cristo, e l’augustissimo Sacramento»(12), il Magnani lasciava intendere che l’immagine dipinta da buona mano esprimesse simbolicamente tali aspetti devozionali, ben presenti in effetti nella madonna del Patrocinio. Sulla igura di suor Dorotea Felice si è rinvenuta una dettagliata Vita manoscritta fra le memorie storiche del Convento di Santa Chiara di Ravenna, raccolte nel 1775 da un anonimo padre carmelitano che informava di non aver reperito notizie utili nell’archivio del monastero ravennate e d’averle richieste a Cotignola(13). Le notizie biograiche gli erano giunte a profusione e il religioso aveva deciso di riportarle testualmente, facendo trascrizione di un testo d’archivio redatto da una monaca che affermava di essere venuta «alla luce di questo mondo» quattro anni dopo la fondazione del convento. Nata quindi nel 1663, dava conoscenza di non aver potuto vivere la clausura in tempo utile per trovarvi ancora la Certani, scomparsa quando lei aveva solo nove anni: «[La badessa] governò pertanto questo Monastero per lo spazio di anni dodici continuati...». Alla stessa biograia doveva aver attinto anche il Magnani, ma per un più conciso riferimento alla devozione mariana di suor Dorotea Felice, tanto prediletta «che non si può con parole spiegare» – affermava la monaca – rendendo noto di come la Certani avesse ricevuto «in dono dal suo Signor Padre una bellissima immagine di questa beatissima Vergine, che si tiene fatta dal pennello di Guido Reno, ovvero più probabilmente di Raffaello». Messo da parte il Reni, con il riferimento al sommo pittore della città eterna, la monaca rendeva ben chiara la sua volontà di evidenziare la maggior antichità dell’opera e il fatto d’aver, a suo giudizio, (12) R.M. Magnani, op. cit., 1742, p. 133. ASRA, Corporazioni religiose soppresse, Monache di Santa Chiara, “Memorie storiche del Convento di S. Chiara di Ravenna raccolte l’anno 1775 e dedicate alle medesime madri da un religioso carmelitano [padre Pacini?]”, vol. 2051. (13) 25 zAMA riconosciuto fra i grandi della storia il nome del maestro indiscusso per grazia e per valori di classica perfezione. L’opera era a lei nota. Scriveva infatti: «la si conserva ino di presente, ove fu posta dalla S. Madre, cioè nella chiesa interiore sopra la grata che sta vicino all’Altar maggiore, ove avanti a questa SS. Immagine stava la buona Madre inginocchiata molte ore al giorno». Notizia, quest’ultima, tratta evidentemente dai ricordi delle sue consorelle più anziane che l’avevano informata dell’afidamento alla Vergine della loro fondatrice per le «grazie che desiderava si per lei, come per le sue Figlie e loro parenti» e in effetti merito della «sua divota immagine fu la miracolosa sanità di un fratello di una monaca conversa già sugli ultimi conini della vita». Non solo la clarissa dava conoscenza di quale forte devozione guidasse la Certani nell’invocare il patrocinio della Vergine, ma anche di come la sacra immagine era giunta a Cotignola: «Questa portò lei [la fondatrice] da Ravenna al nostro Monastero». La notizia quindi concorda con quella della consorella che più tardi trasferì il dipinto nel convento di Bagnacavallo. Strumenti di meditazione con «qualche Santa Imagine» «Forse il quadro fu recato in dote da qualche monaca di ricca famiglia», scriveva il Savioli, ben sapendo che oltre alla somma di denaro versata come dote ordinaria stabilita dalla legge canonica, le novizie erano tenute a portare con sé il corredo e la «Mobilia» per il modesto arredo della cella (in genere composto da inginocchiatoio, tavolino, scaldaletto, lavamano, crociisso). La quota dotale, tuttavia, non era issata in modo rigido all’interno dei diversi chiostri e così pure il conferimento degli accessori poteva essere diversiicato in base alle norme e alle consuetudini di ogni monastero, regolamentate da prelati con il consenso della Congregazione dei Vescovi e Regolari. Il monastero di Santa Chiara di Ravenna, annesso a quello dei padri conventuali di San Francesco, all’inizio del XVII secolo aveva come base comune a tutti i regolamenti e decreti le Costituzioni emanate dal cardinale Pietro Aldobrandini, arcivescovo della città. Facevano appello all’osservanza del voto di povertà ricordando 26 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA alle monache il regime di comunione di tutti beni: la vita comune escludeva il possesso individuale, persino delle piccole cose con cui erano arredate le celle. Le testimonianze archivistiche sulla vita del monastero nel secolo speciico sono esigue(14), ma alcune trascrizioni settecentesche informano dell’alto costo richiesto per la cerimonia di monacazione e per l’elemosina dotale (dai 400 ai 600 scudi) e brevemente riferiscono anche dell’entrata in clausura di Suor Dorotea Felice Certani, vestita il 19 settembre 1621 con saldo di scudi 500, effettuato dal padre. L’anno seguente la novizia diede conferma della sua professione. Se altro non emerge dalle carte del monastero di Ravenna, è il Libro Campione del convento sorto per iliazione ad informare su «quanto deve dare una giovane per monacarsi nel monastero di Santa Chiara di Cottignola professa» e sull’obbligo del conferimento di «una ancona grande di qualche Santa Imagine» a cui erano tenute sia le monache Coriste provenienti da ceti aristocratici sia le Converse di modesta estrazione sociale(15). Appurata la condivisione di norme e regolamenti fra i due chiostri, ne deriva che quando Suor Dorotea Felice prese i voti, entrò secondo la prassi della clausura ravennate dotata dal padre della sua «Santa Imagine». Si spiegano così i molti dipinti censiti dalla badessa di Cotignola, Suor Rosa Geltrude Cannattieri, nel suo «Inventario dei mobili appartenenti al Monastero di S. Cattarina in Cottignola e descrizione della Chiesa, e Convento» del 20 marzo 1798: «Intorno alla Chiesa [interiore] vi sono ventidue quadri tra grandi e piccoli, ma questi di mano non ecellente» e altri otto «Quadri di poca buona mano» nella «Camera del vestiario». L’unico eventuale richiamo al prezioso dipinto è nella descrizione della sagrestia della «Chiesa esteriore», dove erano «un Crociisso, ed un piccolo quadro della B. Vergine»(16); sembrano (14) ASRA, Tesi di Laurea in Archivistica di Roberto Gardini, L’archivio del monastero di S. Chiara di Ravenna (1533.1805), Inventario, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosoia, A.A. 1992-93 (documento in copia). (15) ASBO, op. cit. (16) ASBO, Fondo Demaniale, Miscellanea Corporazioni religiose soppresse, 138. 27 zAMA proprio i mezzi devozionali di cui la Certani si serviva per gli esercizi spirituali, ma la nota è talmente generica da lasciar ampio spazio ad un’altra possibilità. La badessa Cannattieri, infatti, alla luce delle proprietà miracolose della santa immagine, potrebbe non averla censita, perché il Dipartimento del Lamone aveva imposto l’obbligo di fare l’inventario nell’imminenza dei decreti attuativi di soppressione delle Corporazioni religiose e di conisca dei beni(17). È probabile allora che l’avesse portata con sé quando nel luglio 1796 le clarisse di Cotignola, nel timore di cadere nelle mani delle soldatesche francesi, partirono in barca lungo il canale Naviglio e raggiunsero Faenza, trovando rifugio nel convento di Santa Chiara ino al termine dell’occupazione francese nella provincia(18). Diversamente la tavoletta di Dürer sarebbe stata requisita dai commissari napoleonici, come accadde per la pala dell’altare maggiore con le Sante Chiara e Caterina del Guercino, conluita nel 1811 a Brera(19). In effetti, si vedrà più avanti accertato il fatto che la madonna del Patrocinio non scampò alle espropriazioni napoleoniche per merito di una copia esistente nel monastero di Bagnacavallo, come aveva considerato il Savioli(20). Dürerismi zaganelliani Suor Dorotea Felice Certani ricevette in dono dal padre la preziosa immagine e pertanto questa giunse da Bologna, dove la famiglia risiedeva. Supponendo la presenza del dipinto nella città felsinea in dalle origini, sembrerebbe non aver lasciato alcuna traccia nei pittori più attenti al maestro di Norimberga, in primis l’eccentrico Amico Aspertini che il Longhi immaginava «in prima ila» a far gli onori a Dürer nel 1506 (17) Il documento fu ricevuto dal dipartimento in data 16 aprile 1798 (27 germinale). (18) F. Lanzoni, Storia ecclesiastica e agiograia faentina dal XI al XV secolo, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1969, p. 328. (19) Era evidentemente l’unico pezzo degno di essere prelevato dal monastero: C. Spada, in Pinacoteca di Brera. Scuola Emiliana, Milano, Electa, 1991, pp. 214-215. Ringrazio l’amica Maria Caterina Spada per il piacevole scambio sull’argomento. (20) A. Savioli, op. cit., p. 26. 28 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA al suo arrivo a Bologna. Ma il critico anche ipotizzava per quell’incontro la presenza di «magari qualche romagnolo come lo zaganelli» – evidentemente pensando a Francesco – e aggiungendo «non dico per aver già vista la Madonna di Bagnacavallo!»(21). Invece, fra le simpatie del pittore di Cotignola per Dürer, pare proprio emergere la piccola Madonna giunta a distanza di tempo, paradossalmente, nella clausura della sua città natale. D’altra parte, già trent’anni prima di Longhi, la non casuale attrazione del maestro d’oltralpe su Francesco zaganelli era stata messa in rilievo da Wilhelm Suida, in un contributo incentrato sui rapporti signiicativi fra alcune opere del pittore romagnolo e l’arte tedesca, in particolare sui caratteri düreriani attinti attraverso le stampe(22). Caratteri poi concordemente riconosciuti all’artista a partire da Gnudi, ma con una notazione di Antonio Paolucci utile a comprenderne l’essenza stilistica: «Impossibile localizzare in maniera puntuale gli agganci con l’arte oltremontana (Schongauer, Dürer soprattutto) proprio perché elementi graici e desunzioni formali, bruciati sul piano della reinterpretazione fantastica, non esistono quasi più nemmeno come sedimento tecnico»(23). Paolucci invitava a considerare ardua la ricerca nei dipinti di Francesco zaganelli di vere e proprie desunzioni e infatti Marzia Faietti è riuscita a leggere in trasparenza le suggestioni giunte dal Nord nella bottega condivisa dal pittore con il fratello Bernardino, ma con la registrazione di alcune afinità di risultato e di interazione con le novità italiane(24). Con questo tipo di approccio alla produzione zaganelliana (in cui subito – a partire dall’emblematico 1499 che apparentemente originò ogni cosa – Francesco è apparso prevaricante su Bernardino) si è osservato quanto sia stata inluente la conoscenza della madonna del Patrocinio. (21) R. Longhi, op. cit., pp. 7-8. W. Suida, Francesco Zaganelli von Cotignola und die deutsche Kunst, in “zeitschrift für bildende Kunst”, 64, 1930/31, pp. 248-251. Sull’argomento vedi anche C. Arrighetti, La vocazione veneziana per la graica tedesca: distillazioni düreriane in alcune opere di Francesco Zaganelli, in “Atti e Memorie Nuova Serie”, Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna, LXV, 2015, pp. 135-165. (23) A. Paolucci, L’ultimo tempo di Francesco Zaganelli, in “Paragone”, marzo 1966, p. 66. (24) M. Faietti, op. cit., pp. 36-42. (22) 29 zAMA 2. Albrecht Dürer, madonna del Patrocinio (particolare), Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani-Rocca. 3. Francesco zaganelli, Cristo in Pietà (particolare), Cotignola (Ravenna), Chiesa di San Francesco, 1499. L’impressione è che l’opera del Dürer fosse nota a Francesco già dal momento in cui dipingeva la lunetta della pala dei francescani di Cotignola (segnata 1499). Per l’incisività xilograica delle igure è il primo avviso di un generale e repentino avvicinamento a Dürer visto attraverso le stampe(25), ma il romagnolo «schiude avaramente il gruppo all’incidenza di una luce iltrante, che, […] si va sperdendo sul fondo di pietrisco grigio» – scriveva Longhi – poi «s’infosca»(26) sulla destra, proprio come nella tavoletta, riproponendo più volte a suo modo il bel dettaglio della pietra sbrecciata e il vivido contrasto con i panni rossi e bianchi (igg. 2, 3). Il confronto con l’Immacolata Concezione databile intorno al 1505, Pinacoteca dei Musei Civici di Vicenza(27), sembra invece non lasciar spazio a dubbi. Il rapporto fra i (25) C. Arrighetti, op. cit., pp. 145-146. R. Longhi, op. cit., p. 6. (27) M. Lucco, Pinacoteca civica di Vicenza. Dipinti dal XIV al XVI secolo, a cura di M.E. Avagnina, M. Binotto, G.C.F. Villa, Cinisello Balsamo, Silvana, Fondazione Giuseppe Roi, 2003, pp. 256-259; R. zama, Sull’arcivescovo Rinaldo Graziani OFM e l’iconograia dell’Immacolata Concezio(26) 30 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA 4. Albrecht Dürer, madonna del Patrocinio (particolare), Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani-Rocca. 5. Francesco e Bernardino zaganelli, La Vergine Immacolata col Bambino (particolare rispecchiato), Vicenza, Musei Civici, Pinacoteca, 1505 circa. due dipinti, concentrato sulla mezza igura della Vergine col Bambino, si apprezza se si rispecchia l’uno o l’altro in controparte in modo tale da riportare la vista a parità di giudizio (igg. 4, 5). Le analogie riguardano il volto ovale della Vergine con le labbra serrate, il naso allungato e gli stessi rapporti chiaroscurali (non si dimentichi il sofferto stato di conservazione della pala vicentina), ma anche il Bambino con le guance paffute, lo sguardo all’insù, il simbolo tenuto nella mano (per uno la rosa e per l’altro le fragoline) e il colpo di luce sul capo. C’è anche una tavola nel catalogo di Francesco zaganelli, con una madonna che adora Gesù Bambino di ignota ubicazione(28), posta dinanzi ad un drappo d’onore di tessuto ripiegato alla Bouts (madonna col Bambino, Venezia, Museo Correr) e collocata oltre un parapetto come fosse osservata da un punto di vista rialzato, se- ne in Romagna. Un mecenate per gli Zaganelli fra dispute e riforme del suo tempo, in “Romagna arte e storia”, 105, 2015, pp. 52-55, 61-66. (28) R. zama, op. cit., p. 168 (Cat. 57); Fondazione zeri, Fototeca, n. 69834, già New York, collezione Azzolino. 31 zAMA condo un’inquadratura simile alla inestra aperta sulla madonna del Patrocinio. Il fascino subìto dal dipinto di Dürer emerge essenzialmente nella igura del vispo Bambino, che tradisce tratti di leonardesca memoria con una reinterpretazione in posa scomposta, più ruotato verso la Madre e con la testa all’insù (igg. 6, 7). Altre congiunture sono nella più tarda Apparizione della madonna col Bambino in gloria ai Santi Francesco e Girolamo, Cesena, Fondazione Cassa di Risparmio, 1512, in cui Angelo Mazza ha evidenziato le relazioni con incisioni nordiche del gruppo della Vergine “in nubibus (“Maestro dalle banderuole”, Ravenna, Biblioteca Classense)(29). Lo zaganelli doveva, tuttavia, conoscere bene anche stampe düreriane come la Vergine e il Bambino sulla falce di luna, frontespizio della serie dell’Apo6. Albrecht Dürer, madonna del calisse(30) o meglio nella variante sul frontespizio della Patrocinio (particolare), Mamiano di Traversetolo (Parma), Fon- serie della Vita della Vergine, circolante persino in fogli sciolti (Pavia, Musei Civici, Inv. St. Mal. 193) ed elabodazione Magnani-Rocca. rate qualche anno prima della pubblicazione nei suoi libri xilograici (Norimberga 1511). Fra le nubi cumuliformi a sinistra di chi guarda, la testa di un cherubino interpreta bene quella del Bambino nella madonna del Patrocinio e ne conserva in linea di massima i suoi rapporti cromatici e chiaroscurali; rapporti evidenti anche al confronto fra i due Gesù Bambino, per l’incidenza di una serie di colpi di luce che a partire dalla fronte scivolano lungo tutto il corpo, attaccando la igura da sinistra verso destra (igg. 8, 9, 10)(31). 7. Francesco zaganelli, madonna che adora Gesù Bambino (particolare), Ubicazione Ignota. 32 (29) A. Mazza, “francescho da cotignola dipinse adi 8 de setenbre 1512”, Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena, 2006, pp. 9-15. (30) Interessante tale stampa anche per il confronto fra la igura di San Giovanni e quella di San Girolamo eremita, che si può apprezzare nel taglio di tre quarti del volto, rielaborato dallo zaganelli con una maggior rotazione verso l’alto per un adattamento alla diversa situazione spaziale della scena. (31) Per gli altri cherubini che accerchiano la Vergine nel dipinto dello zaganelli, si rimanda alla stampa con l’Incoronazione della Vergine aggiunta da Dürer alla serie xilograica della Vita della Vergine nel 1510. In particolare, per la testa a destra della Vergine, si noti la derivazione dal gruppo a destra nella stampa; stampa di riferimento anche per i bellissimi scorci dei cherubini che sostengono la Vergine alla base delle nubi a cumulo. UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA Dürer o non Dürer? Un’opera annunciata Nel 2012 la madonna del Patrocinio è stata accolta fra le oltre centonovanta opere presentate al grande evento espositivo Der frühe Dürer, organizzato dal Germanisches Nationalmuseum di Norimberga e curato da Daniel Hess e Thomas Eser. A sorpresa però è stata espunta dal corpus dell’artista e genericamente riferita ad un “Maestro della Germania meridionale o del Nord Italia”. L’espunzione, avvenuta dopo cinquant’anni di consensi da parte della critica, trae spunto dai dubbi avanzati da Katherine Crawford Luber(32) ed è argomentata da Peggy Grosse nel saggio “Dürer’s Madonnas?”, pubblicato nel ponderoso catalogo della mostra(33). Deboli, tuttavia, le considerazioni a sostegno della tesi, basate su indagini scientiiche effettuate allo scopo di analizzare il disegno preparatorio e la tecnica esecutiva. La Grosse, infatti, si sofferma essenzialmente sul confronto con disegni emersi da relettograie in infrarosso effettuate sull’Autoritratto con pelliccia, monaco, Alte Pinakothek e sul Salvador mundi, New York, The Metropolitan Museum of Art, da cui ricava che la madonna del Patrocinio è caratterizzata da un tratto meno elaborato, meno preciso e non accuratamente eseguito, quindi tale da non rispettare la norma, peraltro una norma alquanto accademica e discutibile. L’immediata reazione di Robert Suckale, apparsa nel breve spazio di una recensione alla mostra sull’autorevole “The Burlington Magazine”, rende bene l’idea della necessità di porre rimedio al vistoso abbaglio, con l’invito ad esaminare il dipinto in modo più approfondito(34). In particolare lo studioso invita a cogliere, prima ancora della preparazione del disegno, l’urgenza espressiva che il pittore concentra nel dialogo di gesti e di sguardi fra la 8. Albrecht Dürer, madonna del Patrocinio (particolare), Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani-Rocca. 9 e 10. Francesco zaganelli, Apparizione della madonna col Bambino in gloria ai Santi Francesco e Girolamo (particolare), Cesena, Fondazione Cassa di Risparmio, 1512. (32) C. Crawford Luber, Albrecht Dürer and the Venetian Reinassance, Cambridge, Cambridge University Press, 2005, pp. 44-52. (33) P. Grosse, Dürer’s madonnas?, in The Early Dürer, a cura di D. Hess, T. Eser, New York, Thames & Hudson, 2012, catalogo della mostra Der Frühe Dürer organizzata dal Germanisches Nationalmuseum, Nuremberg, 24 maggio-2 settembre 2012, pp. 236-244. Sono grata a Daniel Hess e Peggy Grosse, Germanisches Nationalmuseum, Nürnberg, per l’attenzione dimostrata a questo lavoro. (34) R. Suckale, Exhibitions: The early Dürer, nuremberg, in “The Burlington Magazine”, CLIV, agosto 2012, pp. 596-597. 33 zAMA 11. Albrecht Dürer, Salvador mundi fanciullo, Vienna, Albertina Museum, 1493. Madonna e il Bambino; un dialogo fortemente incentrato sul tema della Passione, come si vedrà di seguito. In margine alla mostra, anche Simone Ferrari ha ribadito la centralità del dipinto nel catalogo di Dürer «in virtù di un’altissima tenuta qualitativa»(35). Andrà poi considerato il fatto che si tratta di un’opera pienamente annunciata, in quanto, come segnala Suckale, il motivo della inestra e della porta ad arco che si apre sul fondo compare nel S. Ferrari, Il giovane Dürer: rilessioni in margine ad una mostra, in “Tecla”, Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica, Università degli Studi di Palermo, n. 7, 30 giugno 2013, p. 111. (35) 34 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA foglio miniato dell’Albertina datato 1493 con il Salvador mundi fanciullo (pergamena 11,8 × 9,3 cm; Inv. 3059). Inoltre il tipo isionomico del piccolo Cristo è lo stesso della madonna del Patrocinio ed è ottenuto con segni graici di grande freschezza e rapidità esecutiva, mentre tiene fra le mani una melagrana allusiva alla passione che lo attende (ig. 11). Un disegno acquerellato del Wallraf-Richartz Museum di Colonia (21,7 × 17,2 cm; Inv. z 00130), di datazione accettata intorno al 1495, anticipa nel complesso l’impostazione della scena, ma evidentemente è ancor scevro da qualsiasi esperimento di italianizzazione. Come nota Panofsky, possiede invece un effetto vicino alla scultura, per le «audaci acquerellature che suggeriscono la profondità di un vigoroso altorilievo», giustiicabile con la conoscenza di opere scultoree di alto livello viste da Dürer in un periodo trascorso a Strasburgo; ad esempio di Nicolaus Gerhaert von Leyden(36), che potrebbero avergli suggerito l’idea della scena (ig. 12). Da ricordare inoltre la più volte ribadita attinenza del Bambino al noto disegno del Louvre, segnato 1495 e forse tratto da un modello di Lorenzo di Credi (Inv. RF 4662) e all’altro conservato agli Ufizi con una prova in piccolo fra gli Studi di igure inluenzata da prototipi leonardeschi (Inv. 1049E)(37), peraltro richiamati dalla Grosse. Converrà anche osservare l’ambientazione del famoso Autoritratto di Madrid, Museo del Prado (1498), caratterizzata da un arco di sbieco sul fondo dietro la igura e da due inestre: quella su cui Dürer si affaccia è identiicabile con l’apertura dello spazio dipinto, come nella madonna del Patrocinio e l’altra aperta sul paesaggio è deinita similmente da uno stipite di pietra modanato. Proviamo ad immaginare quale reale spazio architettonico Dürer intenda richiamare nello sfondo di tali opere. Ciò che appare è un piccolo ambiente caratterizzato da una inestra coincidente con l’inquadratura della sce- (36) E. Panofsky, La vita e l’opera di Albrecht Dürer, Princeton, Princeton University Press, 1955, ed. cons. Milano, Abscondita, 2006, pp. 39-40. (37) K. Herrmann Fiore (a cura di), Dürer e l’Italia, Milano, Electa, 2007, catalogo della mostra, Roma, Scuderie del Quirinale, 10 marzo-10 giugno 2007, pp. 222-223 (rispettivamente schede di H. Grollemund e G.M. Fara); P. Grosse, op. cit., pp. 240-241. 35 zAMA 12. Albrecht Dürer, madonna col Bambino in una nicchia, Colonia, Wallraf-Richartz Museum. na e afiancata da cornici che forse accennano ad altre aperture o da inestre in piena vista. Una porta di accesso si apre nel piccolo vano immediatamente dietro o a lato del punto di posa delle igure ed è impostata con un arco non pienamente visibile, ma probabilmente a sesto acuto. Dürer potrebbe aver fatto riferimento ad una struttura tipica dell’architettura di Norimberga, la Chörlein, una tradizionale inestra aggettante a base poligonale, il cui nome sembra trarre origine dai cori delle cappelle private. L’esemplare più noto al tempo doveva essere quello nella chiesa di San Sebaldus, tuttavia a ine Quattrocento tale genere di bay-window di carattere sacro, era ampiamente diffusa nell’architettura cittadina. Illuminava una tipologia di stanza ispirata allo Studiolo italiano, la Vorderstu- 36 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA be, animando le facciate delle case con forme generalmente rettangolari e decorative, sinonimo di erudizione e successo del proprietario. In tale contesto va considerato anche il Ritratto di donna noto come Giovane Fürleger con i capelli intrecciati databile al 1497, Berlino, Gemäldegalerie, per il quale Panofsky individuava uno schema compositivo iammingo nel genere del Ritratto d’uomo di Bouts a Londra, National Gallery(38), dove però è accertabile la presenza di una sola inestra laterale entro la stanza di posa. Come nell’antico Rathaus norimberghese, all’interno della Chörlein si poteva trovare una santa immagine(39) ed è forse questa la situazione richiamata dal pittore nella madonna del Patrocinio. L’ultimo, ma non meno importante anello di congiunzione con il dipinto è la mater dolorosa dell’Alte Pinacothek di Monaco, unico pannello riconosciuto a Dürer del polittico voluto nel 1496 da Federico III di Sassonia per la Schlosskirche di Wittemberg. L’Addolorata condivide con la igura di Maria nella tavoletta Magnani-Rocca il tipo isionomico e la resa di vari dettagli: dalla nordica cufia piegata a formare una V rovesciata al centro della fronte, alle lunghe ciocche di riccioli fulvi deiniti con peculiare abilità scultorea(40). Una ‘Compassio mariae’ A Norimberga, poco prima il 1500, Dürer poteva trovare la tipograia del suo padrino di battesimo, Anton Koberger, al lavoro per la stampa delle trecentesche Revelationes Sanctae Birgittae, edizione latina voluta (38) E. Panofsky, op. cit., p. 60. Ghotic and Renaissance Art in nuremberg 1300-1550, Monaco, Prestel-Verlag, 1986, catalogo della mostra The Metropolitan Museum of Art, New York e Germanisches Nationalmuseum, Nuremberg, 24 luglio-28 settembre 1986, pp. 31, 36, 45; S. Gulden, An Ideal neighborood. The Physical Environment of the Early Dürer as a Space of Experience, in D. Hess, T. Eser, op. cit., p. 35. (40) E. Panofsky, op. cit., p. 57. Per tutti i punti di incertezza e per gli aspetti documentari vedi T. Eser, in D. Hesse, T. Eser, op. cit., p. 545. Sulla mater dolorosa, sui suoi rapporti con tipologie facciali tipiche dell’Oberrhein e con la xilograia, utili ad una datazione intorno al 1497, si rimanda a P. Grosse, Ibidem, p. 241. (39) 37 zAMA dall’imperatore Massimiliano I(41). Forse Albrecht vi partecipò disegnando, sulla base della editio princeps stampata a Lubecca nel 1492 da Bartholomaeus Ghotan, le illustrazioni che i suoi collaboratori avrebbero intagliato nelle matrici xilograiche. Con le Rivelazioni, Brigida di Svezia aveva dato origine a uno dei testi mariani più diffusi in Europa settentrionale e delle visioni brigidine è impregnata molta della produzione a stampa di Dürer(42), ma fu evidentemente fonte d’ispirazione anche per il Polittico dei sette dolori di maria di Wittemberg e per la madonna del Patrocinio. Sulla base dello spirito devozionale brigidino, la tavoletta invita alla meditazione sul parto della Vergine, sull’adorazione del Bambino ed in particolare sulla passione di Cristo vista attraverso i dolori provati da Maria e a Brigida rivelati. L’osservatore può così immedesimarsi nella Santa a contemplare il primo dei sei dolori di Maria, quello insito nella sua mente, «Primo fuit in cogitatione mea»: ogni volta che guardava il Figlio, lo avvolgeva in fasce e vedeva le sue mani e i suoi piedi, nell’animo veniva colta da un intenso dolore, perché il suo pensiero precorreva il tempo dei patimenti e della morte sulla croce(43). Nella scena il Bambino siede sulle ginocchia della Madre e posa su un panno di lino candido – una delle fasce ricordate da Brigida – e alza la testa verso di lei con uno sguardo profondo e triste, in ricerca di attenzione. La Madonna lo ricambia con gli occhi abbassati e socchiusi; il suo viso ha un’espressione dolce e pacata, ma seria e pensosa. Delicatamente gli tiene la mano, appena sopra i piedi uniti e un poco scostati per la posa vivace – l’attenzione è rivolta ai punti che ospiteranno le piaghe di Cristo –, mentre tutto il corpo del Bambino emana luce e simbolicamente rimanda allo splendor divinus delle Revelationes. Il dipinto è quindi incentrato sull’intimo dia- (41) Revelationes Sanctae Birgittae, Nuremberg, Anton Koberger, 21 september 1500. (42) Per alcuni esempi: E. Panofsky, op. cit., p. 184; G.M. Fara, Albrecht Dürer, originali, copie, derivazioni, Firenze, Olschki, 2007, p. 195. (43) Ibid., Liber sextus, Cap. LVII; L. Gambero, Testi mariani del secondo millennio.4. Autori medievali dell’occidente sec. XIII-XV, Roma, Città Nuova Editrice, 1996, p. 560. 38 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA logo di sguardi e gesti fra Madre e Figlio, inteso come momento di meditazione nel presagio della passione, ma anche sui simboli della passione chiaramente espressi: le fragoline, frutti rossi come il sangue versato da Gesù, tenute dal Bambino nella mano destra; il carciofo, spinoso come la corona di Cristo, lavorato a sbalzo sul bracciolo del faldistorio. Un particolare di assoluta rafinatezza, quest’ultimo, ottenuto a soli colpi di luce in omaggio al mestiere di orafo del padre, scriveva Longhi(44). In effetti le foglie del carciofo ricordano esempi ornamentali come nel Calice Widerholt, sbalzati da un anonimo artista per Massimiliano I e nei disegni e nelle stampe più decorative o araldiche di Dürer(45). Maria appare profondamente aflitta nell’anima ed ogni elemento esteriore comunica la condizione di dolore provato. Anche il manto a lutto contribuisce e la colloca nel tempo della Passione, richiamando il momento in cui è sul Calvario e incontra il Figlio carico della croce o quello più tardo ai piedi della croce mentre partecipa alle sofferenze del Figlio morente (chiaro il riferimento alla mater dolorosa di Wittemberg). Nel risvolto del manto sul capo della Vergine, l’artista ha posto all’attenzione dell’osservatore il soppanno, caratterizzato dal colore tipico dell’abito francescano, forse scelto in riferimento alla destinazione del dipinto. Il fatto stesso che Brigida avesse preso l’abito del Terzo Ordine Francescano – in un’opera così intrisa di simbolismi – può signiicare una relazione con l’ambito di appartenenza del committente o la sua predilezione spirituale. In una sola immagine Dürer ha sintetizzato i due temi religiosi prediletti, come osserva Knappe: la Madonna e la Passione di Cristo(46). (44) R. Longhi, op. cit., p. 6. R. Kahsnitz, in Ghotic and Renaissance..., op. cit., pp. 227-229; R. Schoch, Ibidem, pp. 292-293; B. Drake Boehm, Ibidem, p. 316. (46) K.A. Knappe, Dürer. Incisioni. opera completa, Milano, Antonio Vallardi, 1964, p. XI. (45) 39 zAMA Populus alba: legno italiano al tempo del primo viaggio? Era il 25 maggio 1961 quando Roberto Longhi conobbe ‘de visu’ la Madonna che subito avrebbe pubblicato a nome di Dürer e l’occasione si prestò anche per un esame dello stato di conservazione. La stesura pittorica risultava ingiallita per effetto delle vecchie vernici e alterata da due interventi eseguiti in tempi diversi, per due diverse motivazioni: il più antico fu giudicato dal critico come tardo-cinquecentesco, trattandosi di «un’aggiunta che, provvedendo a mascherare certe parti del Bimbo, mostra di essere stata indotta da scrupoli moralistici post tridentini», mentre l’altro fu datato a «non prima del secolo dei lumi» per la notevole perizia con cui «una vecchia bruciatura» era stata risarcita, aggiungendo tre ciocche di capelli alla chioma ricadente sulla spalla sinistra della Vergine. Nel primo caso, l’intervento di censura delle nudità informa di come il dipinto fosse conservato in luogo di pubblica devozione e infatti secondo Longhi doveva trovarsi già per tempo «in un convento di clausura femminile», dove era stato sottoposto alle misure di controllo morale afidate dalla Controriforma ai vescovi. In effetti, ino al 1582, Bologna e parte della Romagna erano nella stessa provincia ecclesiastica di Ravenna, nell’ambito di azione di uno dei massimi interpreti della riforma, il Cardinal Paleotti, autore del celebre Discorso sugli «abusi et errori delle pitture». Su «Alberto Durero, pittore e geometra germano», il vescovo di Bologna si esprimeva con toni di grande apprezzamento per come «nelle opere sue fosse osservante della santità et onestà» e chissà se il giudizio era maturato dinanzi alla già censurata madonna del Patrocinio(47). Il secondo intervento, di reintegrazione pittorica sulla bruciatura, rende noto quanto si fosse mantenuto vivo il ricorso alla miracolosa immagine nei secoli, perché a quanto pare l’incidente è da imputarsi al crollo inaspettato di una candela devotamente accesa davanti alla tavola. (47) G. Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, Bologna, per Alessandro Benacci, 1582, Libro I, Cap. VIII, in P. Barocchi, Trattati d’arte del Cinquecento, Bari, Laterza, 1961, p. 167. 40 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA L’informazione di un restauro, raccolta da Antonio Corbara e contenuta in una sua minuta di scheda ministeriale(48), sembra verosimilmente riferibile al caso. Avvenne nel 1864 per mano del faentino Enrico Baldini(49), documentato anche come autore di una copia della Madonna, eseguita quattro anni più tardi per l’evidente necessità di preservare l’originale da ulteriori danni(50). E non dall’originale, ma dalla copia, fu ricavato il disegno inciso nella stamperia Marabini (ig. 13)(51). L’attenzione di Longhi, tuttavia, si concentrò limitatamente anche sul supporto, giudicato una «tavola di legno italiano, di cm. 47,8 di altezza, per 36 di larghezza». Solo qualche foro di tarlo ed una lieve decurtazione sui lati lunghi, ne alteravano di «pochissimo» la leggibilità(52). Trattandosi di legno italiano, egli doveva riferirsi al populus alba, il pioppo bianco ricordato dal Vasari come «da molti chiamato oppio e da alcuni gàttice: il quale legname […] è dolce affatto e mirabile per dipignervi sopra»(53). La datazione dell’opera poteva quindi essere ancorata tout court al tempo di uno dei due viaggi di Dürer in Italia (di cui peraltro solo il secondo è certo) e Longhi infatti si ritenne convinto dell’esecuzione in un momento dell’artista più maturo, vicino alla pala del Rosario dipinta a Venezia per l’altare dei tedeschi in San Bartolomeo di Rialto (1506)(54). (48) Faenza, Biblioteca Comunale Manfrediana, Fondo Corbara: Bagnacavallo, Cappuccine Immacolata, «Carteggio per Dürer III». (49) Enrico Baldini, iglio del più noto Adriano (Faenza, 1810-1881) proliico decoratore murale e su ceramica, fu allievo alla scuola di disegno faentina di Achille Farina e all’Accademia di Firenze ebbe come maestro Enrico Pollastrini, esponente della pittura accademica di storia. È noto grazie ad un solo dipinto in collezione pubblica: Diamante Torelli difende Faenza dalle milizie del Valentino nell’anno 1500, Faenza, Pinacoteca Comunale. Devo alla cortesia di Marcella Vitali, che ringrazio, tutte le informazioni in merito. (50) Sul verso: Enrico Baldini/ fece nel 1868/ in Bagnacavallo. (51) Come risulta evidente al confronto con la copia, oggi conservata a Brescia, Monastero Immacolata Concezione, dove conluirono le poche monache del convento di Bagnacavallo: K. Hirakawa, op. cit., p. 345. (52) R. Longhi, op. cit., p. 3. (53) G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori ed architettori..., Firenze, Giunti, 1568, ed. cons. G. Milanesi, Firenze, Sansoni, 1878, III, p. 152. (54) La pala è una tavola di pioppo con imprimitura su tela applicata al legno: J.C. Smith, Tra san Luca e Apelle: l’artista rappresenta se stesso, in B. Aikema (a cura di), Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia, Mila- 41 zAMA 13. Stamperia Marabini, Faenza, B.V. del Patrocinio. Successivamente la datazione fu anticipata al presunto primo viaggio(55), come se il rinvenimento sul territorio – dov’era «in dall’origine» affermava pur senza attestazio- no, 24 ore cultura, 2018, catalogo della mostra, Milano, Palazzo Reale, 21 febbraio-24 giugno 2018, p. 60. (55) V. Sgarbi, op. cit., pp. 71-75 con bibliograia precedente ed inoltre F. Anzelewsky, Albrecht Dürer. Das malerische Werk, Berlin, Deutscher Verlag für Kunstwissenschaft 1991, pp. 129, cat. 16; I. Lübbeke in B. Aikema, B.L. Brown, op. cit., pp. 282-283. 42 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA ni al riguardo Vittorio Sgarbi(56) – fosse condizione suficiente a ritenerlo ivi compiuto. Sgarbi ipotizzava «un momento bolognese» precedente a quello documentato nel 1506, verso il 1495, durante il quale Dürer si sarebbe informato sulle invenzioni del Crevalcore e nello speciico sulle tre tavole già nel castello di Etrepy dipinte per Bologna, di cui si ha riscontro nel trittico di Wittemberg(57). Per un itinerario fra Bologna e Ferrara in tempo utile agli altari di Wittemberg (Dresda, Gemäldegalerie) e Paumgartner (Monaco, Alte Pinakothek), in effetti si era espresso anche Longhi, sottolineando le «estese» conoscenze sull’arte italiana da parte dell’artista di Norimberga ed in particolare di «qualche squarcionesco ferrarese di seconda sfera nel genere del Crevalcore» e del Tura nell’altare Roverella. Pur ritenendo affatto plausibile l’idea di un precoce passaggio emiliano di Dürer, è evidente che sulla scelta di una data per la madonna del Patrocinio non svincolata dai due viaggi italiani, deve aver pesato il giudizio di Longhi in merito alla provenienza italiana del supporto ligneo. Ma il critico ebbe effettivamente la possibilità di veriicare sul verso della tavola l’essenza del legno? Sicuramente poteva vedere il legno nel suo spessore sul lato lungo sinistro, ma si tratta di una dimensione minima, di appena 1,3 cm, mentre nella parte opposta quel lembo di supericie era coperto. Il Savioli infatti vi indicava la presenza di una «traccia di scrittura sopra una carta incollata» e nello spessore della base inferiore della tavola riferiva di una «lista di legno inchiodata», forse allo scopo di ostacolare la progressiva curvatura della tavola, in effetti «imbarcata nella direzione longitudinale delle ibre»(58). Nessun accenno da parte di Savioli e Longhi al verso, che pure spesso è fonte di informazioni e contribuisce al racconto sulla storia passata delle opere. Unico indizio la debole iscrizione su carta, di cui non (56) V. Sgarbi, op. cit., p. 74. V. Sgarbi, op. cit., pp. 73-74; V. Sgarbi, Antonio da Crevalcore e la pittura ferrarese de Quattrocento a Bologna, Arnoldo Mondadori, 1985, pp. 9, 36, 72-81, 100; V. Sgarbi (a cura di), Da Cimabue a morandi. Felsina pittrice, Bologna, Bononia University Press, 2015, catalogo della mostra, Bologna Palazzo Fava, 14 febbraio-30 agosto 2015, p. 20. (58) A. Savioli, op. cit., p. 26. (57) 43 zAMA rimane alcuna ulteriore memoria. Neppure le fotograie scattate per conto di Longhi, in quello stesso giorno, dagli operatori SCALA di Firenze documentano il legno della tavola, tanto era prioritario immortalare l’efigie del Dürer appena ritrovato(59). Ad informare sul verso della tavola è una lettera scritta al collezionista Luigi Magnani, nove anni più tardi, da Augusta Ghidiglia Quintavalle, Soprintendente alle Gallerie di Parma, per riferire in merito allo stato di conservazione dopo aver «esaminato attentamente, con la lente, insieme a Pasqui [il restauratore Renato Pasqui], la preziosa tavola del Dürer». La loro premura è concentrata particolarmente nel valutare come «la curvatura della tavola si accentui sempre più» e a proposito segnalavano «che dietro il dipinto è un foglio di tela metallizzata che, probabilmente contribuisce a tale curvatura impedendo il normale movimento della tavola stessa e impedendo pure, a questa, di assorbire, dalla parte posteriore, l’umidità dell’aria che permetterebbe l’equilibrio termico e idrico e lascerebbe che la tavola si raddrizzasse»(60). Quando era stato ricoperto il verso della tavola? Se la scrupolosa descrizione del Savioli non si sofferma sulla qualità del legno nella sua parte più ampia(61) e se neppure Longhi ne fa menzione, forse già a quel tempo non era visibile. La tela metallizzata, in effetti, era già prodotta dalle industrie di metà Ottocento e la sua applicazione potrebbe risalire al momento del restauro eseguito dal Baldini. Quando nel 1969 il Magnani acquistò il dipinto, (59) Il 25 maggio 1961 SCALA eseguì tre scatti per Roberto Longhi. Si trattava di fotocolor ektachrome 18 x 24: un intero e due particolari (Gesù Bambino e la metà inferiore del dipinto). I tre negativi non entrarono negli archivi SCALA, ma se ne trova memoria in un’annotazione sui registri cartacei. Un ulteriore scatto fu eseguito nel 1965 quando il dipinto si trovava ancora nel monastero delle Clarisse a Bagnacavallo. Ringrazio Vera Silvani, Scalarchives, per la sua disponibilità a ricercare tali informazioni. Il supporto ligneo non è documentato neppure nella Fototeca della Fondazione Longhi. Ringrazio Andrei Bliznukov per la cortesia di un controllo in archivio. (60) Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani-Rocca, Archivio L. Magnani, Lettera raccomandata del 2 ottobre 1970 indirizzata da A. Ghidiglia Quintavalle a «Ill. Prof. Luigi Magnani, Bannone di Traversetolo (Parma)». (61) Mons. Savioli descrive l’incurvarsi del legno sull’asse longitudinale delle ibre, ma ciò era facilmente deducibile, come lo è oggi, tramite la vista del taglio radiale della tavola nelle sezioni longitudinale e trasversale. 44 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA fu sottoposto ad un intervento conservativo presso l’Istituto Centrale per il Restauro, documentato fra febbraio e giugno dello stesso anno, ma nessuna informazione d’archivio riguarda la ibra del legno e nemmeno le indagini diagnostiche esaminano il verso(62). A restauro concluso fu la stessa Ghidiglia Quintavalle a suggerire al Magnani la rimozione del foglio di tela metallizzata, che ancora oggi cela l’essenza del legno. La nota di Longhi sul «legno italiano» sembra quindi non costituire una prova inconfutabile, tanto più perché secondo il Corbara il legno non era pioppo, ma «forse faggio»(63) e pertanto la madonna del Patrocinio può essere svincolata da qualunque soggiorno italiano di Dürer. Nel caso poi, un’indagine scientiica rivelasse trattarsi di populus alba – il legno preferito dai pittori italiani(64) – va comunque considerata la facilità con cui una tavola sulla tratta Venezia-Norimberga poteva viaggiare grezza e, in direzione inversa, viaggiare dipinta. Infatti i corrieri del Fondaco dei Tedeschi normalmente facevano la spola fra le due città, attraverso il passo del Brennero o il meno diretto passo di Resia, a seconda delle stagioni: il percorso dove viaggiavano sia i volumi stampati a Norimberga da Koberger sia quelli stampati a Venezia da Aldo Manuzio(65). Roma, ISCR, Archivio fotograico documentazione restauri, OA4219: la scheda di restauro ben poco racconta sulla storia conservativa del dipinto, descrivendo in sintesi l’intervento di pulitura e di rimozione delle vernici e dei rifacimenti posticci. Più interessante è la documentazione fotograica di cui è corredata: furono realizzati tredici scatti prima, durante e dopo il restauro dello strato pittorico, a luce naturale, radente e ultravioletto. Tre radiograie mostrano lo stato della pittura e non attraversano il legno ino a identiicare la ibra (se fosse pioppo, avrebbe la tipica aghettatura). (63) Si vuol qui ricordare che Antonio Corbara, in qualità di Ispettore Onorario alle Antichità, aveva maturato esperienza di schedatura del patrimonio artistico romagnolo su ben oltre 17.000 opere. (64) I legni più diffusi per la pittura su tavola in Germania erano invece il tiglio e le conifere. In merito alle indagini sui supporti usati da Dürer vedi D. Hess, O. Mack, Dürer as Painter. The Early Work up to 1505, in D. Hess, T. Eser, op. cit., pp. 172-174. (65) B. Roeck, Venezia e la Germania: contatti commerciali e stimoli intellettuali, in B. Aikema, B.L. Brown, op. cit., pp. 45-50; B. Böckem, The Young Dürer and Italy. Contact with Italy and the mobility of Art and Artist around 1500, in D. Hess, T. Eser, op. cit., pp. 56-58. (62) 45 zAMA Converrà allora rivalutare il suggerimento avanzato da Peter Strieder(66), di una datazione per la madonna del Patrocinio intorno al 1497-98, necessaria a sedimentare le diverse componenti del dipinto. Proposta sostanzialmente accettata da Karl Schütz (1496-97) e da Heinz Widauer, secondo il quale l’opera sarebbe in leggero anticipo sulla madonna Haller, Washington, National Gallery (1498 circa)(67). Al riguardo, anche Simone Ferrari ed Elisabetta Fadda considerano plausibile un tempo successivo al discusso primo viaggio in Italia, sul 1498, in virtù del fascino di Leonardo sul maestro tedesco, ben dimostrato dal Gesù Bambino(68). Herbarium dei simboli Molte volte mi sono chiesta per quale motivo Dürer abbia inserito nel dipinto il rafinatissimo dettaglio del carciofo. Un particolare relegato e quasi imprevisto, realizzato in ultimo a rapidi e magistrali tratti graici: ilamenti dorati su base scura, che per l’osservatore fungono da richiamo sul lussuoso seggio di Maria, il faldistorium. Generalmente riservato ai prelati (ma a Norimberga anche alle badesse) e a personaggi di corte, qui sembra contestualizzare l’ambito di committenza e l’unico elemento in evidenza – il pomo del bracciolo – funge da oggetto parlante. Longhi sottolineava come la luce iltrante si disperde nel fondo di pietrisco grigio per «tornare poi cautamente (66) P. Strieder, Deutsche malerei der Dürerzeit, Königstein im Taunus, Langewiesche, 1966, p. 18; vedi inoltre la prima edizione U.S.: P. Strieder, The Hidden Dürer, Chicago, Rand McNally Company, 1978, p. 24 e ancora P. Strieder, Dürer, Milano, Mondadori, 1976, p. 180. (67) K. Schütz, Dürer pittore religioso, in K. Herrmann Fiore, op. cit., p. 220; H. Widauer, Ibidem, p. 224; P. Grosse, Dürer’s Italian madonnas, in D. Hess, T. Eser, op. cit., pp. 336-337, con bibliograia precedente. (68) S. Ferrari, op. cit., 2013, p. 111, con bibliograia di riferimento. Sull’inlusso leonardesco vedi inoltre E. Panofsky, op. cit., pp. 52-53, 92, 119, 121-122; G.M. Fara, Galeazzo da Sanseverino, Luca Pacioli e l’Italia, in G.M, Fara, Albrecht Dürer teorico dell’architettura. Una storia italiana, Firenze, Olschki, 1999, pp. 29-40. Non risulta quindi affatto condivisibile una datazione al 1490 circa, avanzata in occasione dell’ultima mostra di Norimberga, né sarebbe valida per alcun discepolo di Dürer nord italiano o sud germanico, come avanzato da P. Grosse, op. cit., pp. 236-244, 334-335, 338. 46 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA a sbalzare di riccioli e d’aculei il bocciolo […] a guisa di carciofo rinsecchito» e dunque si riferiva al carciofo coltivato, il Cynara scolymus, che analogamente al carciofo selvatico, il Cynara cardunculus o più comunemente cardo è spinoso e allude simbolicamente alla Passio Christi. Il contesto e l’iconograia della madonna del Patrocinio, tuttavia, esprimono il tema della passione già in maniera inequivocabile in dal primissimo piano e pertanto il carciofo emerge delicatamente dal fondo come componente superluo. Qualche altra considerazione può permettere di giustiicare diversamente la presenza simbolica di questo elemento a partire da un dato oggettivo: Dürer aveva un’ottima conoscenza di varietà di piante e iori, infatti erbe selvatiche e iori di campo sono i protagonisti di vari studi su carta e si trovano disseminati nei paesaggi delle sue stampe(69). Osservati dal vero e illustrati con perizia di ascendenza iamminga, fanno comparsa anche nei dipinti e il celebre Autoritratto del Louvre è un esempio signiicativo per il iore d’eringio che tiene in mano – l’Eryngium campestre noto come ‘Cardo stellato’ o ‘Cardone’ –, il cui valore divino è accentuato dal motto iscritto sul fondo. Il tradizionale riconoscimento di tale varietà botanica, tuttavia, è stato messo in discussione recentemente, con la proposta di identiicare invece il iore nell’Aster atticus: assumerebbe pertanto una connotazione astrale, pur mantenendo la sua matrice cristiana in quanto la pianta è nota anche come ‘Oculus Christi’(70). La nuova identiicazione permette di considerare che le erbe illustrate dagli artisti, seppure trattate con la peculiare minuzia descrittiva degli erbari, presentano il problema del riconoscimento di varietà simili, soprattutto quando sono decontestualizzate dal loro habitat naturale. Osservando attentamente la tavola Magnani-Rocca si nota che il bocciolo terminale emerge da un carciofo sottostante, come fosse da esso generato. Questa caratteristica non appartiene al Cynara scolymus e tanto meno (69) B. Aikema, Albrecht Dürer e i suoi contemporanei, fra oberdeutschland e Valpadana, in B. Aikema, op. cit., p. 35. (70) S. Brisman, Sternkraut: ‘The Word that Unlocks’. Dürer Self-Portrait of 1493, in D. Hess, T. Eser, op. cit., pp. 194-207. 47 zAMA 14. Albrecht Dürer, madonna del Patrocinio (particolare), Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani-Rocca. al Cynara cardunculus, bensì ad una pianta perenne stolonifera volgarmente chiamata ‘Carciofo grasso’ o ‘Carciofo dei tetti’, il Sempervivum tectorum, caratteristico per le «sue foglie disposte come le squamme del carciofo comune»(71). Viste in natura, le piante di carciofo e semprevivo sono molto diverse, ma se si isolano le rosette dalla pianta madre il riconoscimento diventa dificile e la dificoltà diventa massima in una riproduzione graica (igg. 14, 15). Storicamente il problema della distinzione delle due varietà è emersa agli esperti dell’araldica degli Sforza, i quali giunsero tardivamente a distinguere l’impresa della ‘sempreviva’. A credere si trattasse di «carcioi ioriti» fu Giulio Porro e così furono considerati a lungo, in oltre il momento in cui si era riusciti a decifrare l’impresa grazie ad un documento scritto nel 1475 da Galeazzo Maria Sforza nel quale stabiliva le uniformi degli uomini d’arme dei suoi fratelli(72). Considerando quindi il pomo del faldistorio l’elemento caratterizzante si è osservato come nella tradizione fosse spesso un dettaglio igurato oppure recasse uno stemma (vedi l’esemplare conservato a Castel Sant’Angelo, Sala di Perseo), per cui si può credere che nel dipinto di Dürer avesse la funzione di richiamare un motivo araldico del committente. L’impresa della ‘sempreviva’ fu personale di Bianca Maria Visconti: la pianta, perenne e con sviluppo a tappeto, era simbolo di persistenza e ben rappresentava come la casata viscontea, estinta nel ramo maschile, si perpetuasse in quella sforzesca. Era stata assunta da Francesco Sforza e dai suoi igli a signiicare la perseveranza nell’ottenimento degli obiettivi politici. Lodovico il Moro, inine, aveva voluto fregiare del valore dinastico (71) Dizionario delle scienze naturali nel quale si tratta metodicamente dei differenti esseri della natura, Firenze, per V. Batelli e igli, 1833, V, p. 244. (72) G. Porro, Catalogo dei codici manoscritti della Trivulziana, Torino, Bocca, 1884, pp. 201-202. Vedi anche G. Galeati, La Chiesa di S. Sigismondo presso Cremona, Cremona, Bergonzi, 1913, pp. 122, 137, 154; G. Chittolini, Il Quattrocento. Cremona nel Ducato di milano (1395-1535), Azzano San Paolo, Bolis, 2008, p. 24. L. Firpo, Francesco Filelfo e il «Codice Sforza» della Biblioteca Reale di Torino, Torino, Utet, 1967, p. 64; F. Leverotti, organizzazione della corte sforzesca e produzione serica, in C. Buss (a cura di), Seta oro Cremisi. Segreti e tecnologia alla corte dei Visconti e degli Sforza, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2009, p. 20. 48 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA dell’impresa la nipote Bianca Maria Sforza, quando nel 1493 era andata in sposa all’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, e infatti il primo gioiello della sua dote era «una collana facta alla divisa de le semprevive cum sei balassi grossi, dentro diamanti vintiquatro de dverse sorte, smeraldi sei, perle 14 grosse, et perle trentasei minore», per un valore di ben 9.000 ducati d’oro, il più alto fra tutti. Nell’inventario dei beni dotali risultano persino «Coperte XXV da mulo alla sforcesca, recamate cum le semprevive»(73), ma dell’impresa Bianca fece soprattutto gran sfoggio sulla pettorina e sulla manica della veste di velluto broccato d’oro, come attesta il noto ritratto di Ambrogio de’ Predis. L’imperatrice fece propria l’impresa ed anche Massimiliano I la utilizzò nel decoro tessile. È visibile nel ritratto di Vienna, Kusnthistorisches Museum (1502), dove la connotazione più naturalistica del motivo è stata causa di un dificile riconoscimento(74). Il nuovo Frauenzimmer della regina Seguendo la tratta commerciale da Norimberga al territorio tirolese, Dürer ebbe più occasioni per fare sosta a Innsbruck, dove ha realizzato due acquerelli che rappresentano la residenza principesca, oggi conservati all’Albertina di Vienna. Si tratta di due vedute eseguite all’interno della corte nel complesso tardogotico della Hofburg, con le viste verso Meridione e verso Settentrione riprese da un punto di osservazione rialzato e posto in prossimità della Türnitz, riconoscibile per la doppia scala coperta che dava accesso alla cappella di corte, con 15. Sempervivum tectorum (O.W. Thomé, Flora von Deutschland, Österreich und der Schweiz, Gera, 1885). (73) F. Calvi, Bianca maria Sforza-Visconti regina dei romani imperatrice germanica e gli ambasciatori di Lodovico il moro, Milano, Antonio Vallardi, 1888, pp. 131, 147. (74) C. Buss, op. cit., pp. 53-54, 78-79, 98-100; per un esempliicativo disegno al tratto del motivo tessile con foglie accartocciate e bocciolo del sempervivum tectorum (simili al pomo del faldistorio) vedi p. 99; alla stessa pagina si rimanda anche per il ritratto di Massimiliano I eseguito da Ambrogio de’ Predis, con l’impresa sforzesca sul damaschino d’oro. Vedi inoltre K. Schütz in Emperor maximilian I and the age of Dürer, a cura di E. Michel, M.L. Sternath, Prestel Verlag, Munich, London, New York, 2012, catalogo della mostra Vienna, Albertina, 14 settembre 2012 - 6 gennaio 2013, pp. 146-147. 49 zAMA 16. Albrecht Dürer, Veduta della Hofburg verso Settentrione (particolare), Vienna, Albertina Museum. l’abside corrispondente allo sporto poligonale visibile in entrambi gli acquerelli, rispettivamente a sinistra e a destra. La veduta della Hofburg verso Settentrione mostra sul fondo un ediicio porticato, da cui si intravede l’esistenza di una seconda corte con la struttura residenziale riservata all’imperatrice e al suo entourage, il Frauenzimmer o Hintere Burg riconoscibile grazie alla torre con i caratteristici bay-windows angolari cuspidati, detti Erker (ig. 16)(75). La Contea Tirolese era passata nelle mani di Massimiliano I grazie al cugino Sigismondo “Il Danaroso” intorno al 1490 ed Innsbruck in quanto capitale era stata eletta a nuova sede residenziale principesca dal suo predecessore. L’Imperatore, subito dopo il matrimonio con Bianca Maria Sforza, avvenuto per procura a Milano a ine 1493 (raggiunse la sposa a Innsbruck solamente nel marzo 1494), aveva fatto iniziare la costruzione del nuovo Frauenzimmer(76), evidentemente già terminata al momento dell’acquerello di Dürer(77). I due acquerelli, unitamente ad un terzo rafigurante la veduta della città di Innsbruck dalla zona di Hötting, sono stati generalmente messi in relazione al discusso primo viaggio in Italia e solo di recente sembrano aver trovato una datazione stringente: risalirebbero all’autunno del 1494 quindi alla sosta durante il viaggio in andata. La veduta della città da Nord troverebbe invece la sua collocazione a seguito della costruzione della torre del Wappenturm, i cui lavori erano stati avviati nel 1494, dopo che l’antica torre a sud verso Saggen era andata a fuoco, ed erano terminati nel 1496 come da iscrizione (75) W. Landi, I luoghi di Dürer in Tirolo, in Dürerweg. Artisti in viaggio tra Germania e Italia da Dürer a Canova, Convegno di studi, Cembra e Segonzano, 7-8 marzo 2015, a cura di R. Pancheri (Quaderni Trentino Cultura. Atti 21), Trento 2015, pp. 61–68. (76) C. Metzger, in E. Michel, M.L. Sternath, op. cit., pp. 140-141. (77) Sul Frauenzimmer di Bianca Maria vedi D. Unterholzner, Bianca maria Sforza (1472-1510) Herrschaftliche Handlungsspielräume einer Königin vor dem Hintergrund von Hof, Familie und Dynastie, Dissertation zur Erlangung des Doktorgrades der Philosophie an der Philosophisch-Historischen Fakultät der Leopold-Franzens-Universität Innsbruck, Eingereicht bei Ao. Univ. Prof. Dr. Heinz Nolatscher, Innsbruck, 2015, pp. 74-98. 50 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA posta su un Erker sommitale(78). Quest’ultimo passaggio di Dürer nella capitale del Tirolo è stato quindi ipotizzato durante il viaggio di ritorno dall’Italia, fra il 1496 e il luglio 1497, quando è attestata nuovamente la sua presenza a Norimberga(79). Svincolandosi dall’andata e ritorno supposti, va considerata la grande possibilità dell’artista di raggiungere Innsbruck in qualunque altro momento, come suggerisce l’Autoritratto del Prado datato 1498 e irmato a ricordo di un episodio memorabile per la sua carriera: documenta l’immagine dell’artista, vestito all’italiana, affacciato alla inestra a golfo di un Erker con il panorama alle sue spalle della valle dell’Inn nel circondario di Telfs – sono visibili il corso tortuoso del iume e il gruppo montuoso di Mieming con la cima dell’Hohe Munde – visto da Mösern, sul percorso che dista circa 30 km dalla capitale imperiale(80). Ad Innsbruck infatti risiedeva Peter Rummel von Lichtenau, parente della moglie Agnes(81), titolare di una iorente attività commerciale nel settore minerario con particolare specializzazione nella fusione dell’ottone e nell’estrazione dell’argento dalle miniere del Tirolo. Per tradizione avviata nel 1377 dalla sua famiglia intratteneva rapporti commerciali con Venezia e fu fra i primi ad entrare in relazione societaria con un veneziano, facendo capo al Fondaco dei Tedeschi(82). Come altre famiglie del patriziato di Norimberga in attività nella città italiana, ad esempio i Kress, Haller, Reiter, Behaim e Tucher, anche i (78) E. Michel, in E. Michel, M.L. Sternath, op. cit., p. 180. Nella veduta della Hofburg verso Meridione non si vedono né la vecchia né la nuova torre, come osserva W. Landi, op. cit., p. 68. (79) W. Landi, op. cit., pp. 59, 66-68. L’autore circoscrive la data di ritorno dall’Italia alla primavera del 1496 sulla base della stampa del Siilitico, tuttavia dubbia in quanto non monogrammata e non menzionata dal Bartsch. Anche un’altra stampa tradizionalmente riferita alla stessa data, La scrofa mostruosa di Landser, non può costituire un appiglio cronologico certo: G.M. Fara, op. cit., 2007, pp. 28, 150-151; T. Eser, material for a Dürer matrix from 1471 to 1505, in D. Hess, T. Eser, op. cit., p. 545. (80) W. Landi, op. cit., p. 60. (81) F. Anzelewsky, Dürer, His art and life, New York, Chartwell Books, 1987, p. 48; W. Landi, op. cit., p. 61. (82) S. de Rachewiltz, J. Riedmann, Comunicazione e mobilità nel medioevo, incontri fra il Sud e il centro dell’Europa, secoli XI-XIV, Annali dell’Istituto storico italo-germanico, 48, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 256, 266. I. Di Lenardo, Dürer tra norimberga e Venezia, 1506-1507, in B. Aikema, op. cit., p. 104. 51 zAMA Rummel avevano quindi la possibilità di favorire viaggio e permanenza di Dürer a Venezia. Ma Peter Rummel era anche consigliere imperiale e tesoriere di Massimiliano a Innsbruck, nonché presidente della Camera Tirolese(83) e pertanto nessuno meglio di lui poteva introdurlo presso la corte imperiale(84). Qui, forse in un momento diverso da quello degli acquerelli della Hofburg, Dürer avrebbe trovato Massimiliano I alla ricerca un pittore di corte uficiale(85), ma soprattutto avrebbe incontrato Bianca Maria Sforza al rientro nel Frauenzimmer dopo i lunghi mesi trascorsi a Worms e nei Paesi Bassi(86). Non si tratta però dell’unica via attraverso la quale Dürer poteva giungere a corte, altre possibilità si incrociano con questa. Sappiamo infatti della fraterna amicizia con Willibald Pirckheimer, nata al più tardi dopo il ritorno a Norimberga di entrambi dall’Italia(87). A Pavia prima del 1495 l’umanista aveva stretto un rapporto di amicizia con Galeazzo da Sanseverino(88), il capitano generale dell’esercito sforzesco, che fu ai servigi all’Imperatore fra il 1496 e il 1499 in Italia e in Tirolo(89) e più tardi si adoperò per il fratello di Dürer(90). Una igura altrettan(83) I. Blanchard, A. Goodman, J. Newman, Industry and inance in early modern history, Stuttgart, Steiner, 1992, pp. 166-167. C. Schaper, Die Hirschvogel von nürnberg und ihr Handelshaus, in “Nürnberger Forschungen”, 1973, p. 200. (84) È ciò che sostiene anche F. von Rummel, Franz Ferdinand von Rummel: Lehrer Kaiser Josephs I. und Fürstbischof von Wien (1644-1716), Wien, Verlag für Geschichte und Politik, 1980, p. 92. (85) Sulla presenza di un artista a corte dal 1498 vedi A. Scheichl, Who was (or were) Jörg Kölderer? Innsbruck court painter and tyrolean master builder, in E. Michel, M.L. Sternath, op. cit., pp. 81-89. (86) D. Unterholzner, op. cit., pp. 51-56, 266: come testimonia la corrispondenza, Bianca Maria era spesso in viaggio, ma certamente si trovava a Innsbruck nel periodo compreso fra l’agosto 1497 e l’aprile 1498. (87) G.M. Fara, op. cit., 1999, p. 22. (88) Sulla igura di Galeazzo Sanseverino, G.M. Fara, op. cit., 1999, p. 32-34. (89) Anche suo fratello Gaspare detto “il Fracassa” fu inviato dal Moro alla corte imperiale: Regesta Imperii, http://www.regesta-imperii.de/regesten/suche.html, in particolare: RI XIV,2 n. 4206, Glurns, 13 agosto 1496, Galeazzo deve raggiungere Massimiliano I; RI XIV,2 n. 5884, Innsbruck, 17 febbraio 1498, Gaspare incontra Bianca Maria; RI XIV,3,1 n. 9638, Innsbruck, 27 dicembre 1499, Galeazzo incontra Massimiliano I. Da ricordare che nei Sanseverino scorreva sangue sforzesco ed inoltre Galeazzo aveva sposato nel 1496 la cugina dell’Imperatrice, Bianca Giovanna Sforza, iglia naturale di Lodovico il Moro. (90) G.M. Fara, op. cit., 1999, p. 32 nota 12. 52 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA to plausibile è anche quella del ricco mercante e uomo d’affari Christoph I Scheurl, dirimpettaio dei Dürer in Burgstrasse(91) e padre del noto giurista e umanista Christoph II, il grande amico di Albrecht(92). A documentare i rapporti di Scheurl con Massimiliano I è il prestito accordato di 233 gulden ungheresi, che sottintende da un lato la crisi inanziaria in cui versava la corte nei primi anni Novanta e dall’altro quanto il mercante fosse intimo dell’Imperatore. Più volte infatti lo aveva seguito ad Anversa, Worms, Ptuj e Innsbruck. mentre il Re dei Romani durante i soggiorni a Norimberga preferiva stare da lui anziché al castello. Quando poi la sua attività commerciale si rivelò fallimentare, fu grazie a quel rapporto che Scheurl trovò una posizione nel Frauenzimmer di Bianca Maria Sforza, dov’è documentato almeno in dal 1506, proprio quando suo iglio a Bologna accoglieva l’amico pittore e concittadino, giunto in città per imparare i segreti della prospettiva(93). Proposta alquanto suggestiva inine è quella del passaggio di Dürer a Milano, all’altezza del primo viaggio in Italia. Grazie a Pirckheimer e a Galeazzo Sanseverino, il pittore sarebbe venuto a contatto con gli artisti presenti alla corte degli Sforza – da Leonardo e i leonardeschi a Bramante e Bramantino – ma anche con il frate matematico Luca Pacioli(94). L’ipotesi, già ventilata in passato e (91) S. Gulden, An Ideal neighborhood. The Physical Environment of the Early Dürer as a Space of Esperience, in D. Hesse, T. Eser, op. cit., pp. 29-32. (92) Su Christoph II in riferimento al secondo soggiorno di Dürer in Italia e al suo viaggio a Bologna G.M. Fara, op. cit., 1999, p. 36-40; A. De Benedictis, Un umanista tedesco tra Bologna e norimberga, tra le guerre d’Italia e la Riforma in Germania: Christoph Scheurl (1481-1542), in S. Frommel (a cura di), Crocevia e capitale della migrazione artistica: forestieri a Bologna e bolognesi nel mondo (secoli XV-XVI), Bologna, Bononia University Press, 2010, pp. 81-90. (93) A. von Scheurl, Christoph Scheurl, Dr. Christoph Scheurls Vater, “Mitteilungen des Vereinsfür Geschichte der Stadt Nürnberg”, 5, (1884), pp. 13-46 in particolare pp. 17, 18, 28; S. Gulden, op. cit., p. 32; A. Grebe, Albrecht Dürer e “l’Arte segreta della prospettiva”. La sintesi di arte e scienza a Bologna nel 1506, in S. Frommel, op. cit., pp. 105-118. (94) S. Ferrari, Bramante, Leonardo e Dürer, in S. Ferrari, A. Cottino, Forestieri a Milano. Rilessioni su Bramante e Leonardo alla corte di Ludovico il moro, Busto Arsizio (Va), Nomos Edizioni, 2013, pp. 153-188, con bibliograia precedente ed ancora S. Ferrari, Il paragone delle arti. Luca Pacioli a milano fra Leonardo, Bramante e Dürer, in S. Zufi, Luca Pacioli tra Piero 53 zAMA recentemente ripresa, trova dificoltà nell’essere condivisa(95), ma non v’è dubbio che Dürer sia entrato in contatto con più igure d’ambito sforzesco. Varie dunque le situazioni che avrebbero permesso a Dürer l’incontro con Bianca Maria Sforza e la commissione di una tavoletta ispirata alle sue predilezioni devozionali, particolarmente incentrate sulla igura di Santa Brigida di Svezia. Fin dal marzo 1495, infatti, l’Imperatrice era stata membro dell’ordine brigidino e possedeva un libretto manoscritto di orazioni con la Vita e le ammonitiones della santa, oggi a Vienna, sul quale un’iscrizione informa della sua grande devozione alla Vergine: “exaudi li mei preghi et oratione de mi BIACA mARIA serva vostra”(96). Romagna andata e ritorno Sulla scia delle ipotesi in qui formulate, ritenendo plausibile la proposta di una precoce visione della madonna del Patrocinio da parte degli zaganelli, si dovrà magari considerare che non doveva trattarsi di una commissione fatta da Bianca Maria per le proprie meditazioni, ma di un dono destinato ad una igura signiicativa nella sua rete di rapporti personali. L’Imperatrice infatti mantenne sempre i legami con la sua patria, intrattenendo relazioni familiari e cercando di sostenere gli interessi della sua famiglia e dei suoi parenti presso la corte asburgica. Per gli Sforza di Milano e di Pesaro le residenze imperiali di Bianca Maria e Massimiliano furono più volte luogo di rifugio nei momenti di grave dificoltà politica. Varie lettere informano dei frequenti rapporti affettivi e diplomatici, non limitati al solo scambio di ambasciate e di corrispondenza, ma aperti allo scambio di regali quale atto puramente formale. È in questo contesto che Bian- della Francesca e Leonardo, Venezia, Marsilio, 2017, catalogo della mostra Sansepolcro, Museo Civico, 10 giugno-24 settembre 2017, pp. 37-49. (95) G.M. Fara, Dürer, Leonardo e la storia dell’arte, in B. Aikema, op. cit., pp. 81-93. (96) Österreichischen Nationalbibliothek, Ser. n. 2597, Milano, circa 1490; O. Mazal, F. Unterkircher, Katalog der abendländischen Handschriften der Österreichischen nationalbibliothek, “Series nova”, 2, Wien, Prachner, 1963, pp. 267-268; D. Unterholzner, op. cit., pp. 34, 198. 54 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA ca Maria può aver scambiato, fra i vari beni materiali come gli oggetti d’arte, anche la tavoletta di Dürer. Fra i suoi corrispondenti più assidui spiccano la collezionista d’eccezione Isabella d’Este (a lei legata da doppia parentela) e il marito Francesco Gonzaga, che la omaggiò di un bellissimo cavallo, ma con Isabella lo scambio fu più frequente e vario: oggetti religiosi, profumi, cibi, tessuti ed un particolare abito in stile tedesco fu fatto preparare dall’imperatrice appositamente per lei(97). In stretti rapporti di familiarità con i marchesi di Mantova era il signore di Pesaro, Giovanni Sforza (già sposo della defunta Maddalena, sorella di Francesco), presso il quale sono documentati gli zaganelli grazie ai vincoli parentali nati nel contesto delle comuni origini cotignolesi. Non a caso un loro dipinto è elencato nelle collezioni gonzaghesche(98), ma a Mantova possiamo immaginarlo spedito da Pesaro senza per forza pensare ad un viaggio in città dei due romagnoli. Occorrerà piuttosto far luce sul contesto dei rapporti affettivi di Bianca Maria in cui possono aver ruotato i pittori di Cotignola, ad esempio Ferrara dove la corrispondenza rende noto l’intimo rapporto con la sorella minore Anna, andata in sposa due anni prima di lei ad Alfonso d’Este, ma precocemente morta di parto il 30 novembre 1497(99). Meglio percorribili allora le tracce del legame con la sorella maggiore Caterina, iglia naturale di Galeazzo Maria e Lucrezia Landriani, cresciuta alla corte ducale sotto protezione dell’ava paterna e successivamente adottata da sua madre, Bona di Savoia. Quando Caterina andò in sposa a Girolamo Riario nell’aprile 1477, la futura Imperatrice aveva solo cinque anni, ma l’amorevole tutela di Bona e la crescita culturale impartita avevano creato un clima affettuoso fra igli naturali e legittimi del duca, capace di protrarsi nel tempo. Dai rarissimi documenti sopravvissuti infatti, si apprende che (97) D. Unterholzner, op. cit., pp. 167-178. A. Luzio, La galleria dei Gonzaga venduta all’Inghilterra nel 162728. Documenti degli archivi di mantova e Londra raccolti ed illustrati, Milano, L.F. Cogliati, 1913, p. 312: «La visitazione della Vergine a S. Maria Elisabetta con alcune altre igure di Bernardino Cotignola, alto poco meno di quarte 5, largo poco meno di 4». (99) D. Unterholzner, op. cit., pp. 178-181. Per i rapporti degli zaganelli con Ferrara: R. zama, op. cit., 1994, pp. 14, 21-22. (98) 55 zAMA a distanza di anni la signora di Imola e Forlì ebbe cura di esprimere a Bianca Maria il piacere per la notizia del completamento del suo vincolo matrimoniale con Massimiliano, inviando le sue congratulazioni(100) e l’Imperatrice invece, si assicurò che il duca di Milano «se facia praticha per le perle de la contessa de Imola, se li manda li retracti, polvere odorifere et una balla de moscho et de le pexe de garza da Ambrogio»(101). Una nota documenta l’occasione in cui gli zaganelli ebbero a trovarsi Caterina Sforza in posa per un ritratto, a Imola o forse a Forlì, «in un quadro piccolo con ornamento di noce»(102). È in Romagna, dunque, che i pittori della patria dinastica degli Sforza sarebbero venuti a diretto contatto con la madonna del Patrocinio di Dürer. Della bolognese nobiltà Suor Dorotea Felice al secolo Isabella, era l’unica femmina nata a Giovan Filippo Certani, nobiluomo bolognese fondatore dell’Accademia dei Selvaggi. La sua illustre famiglia era originaria di Firenze, laddove il cognome era Cerrettani derivando dalla proprietà feudale del castello di Cerreto Maggio, ma il ramo trasferito nella città felsinea a seguito della cacciata dei Medici si modiicò in Certani. Isabella aveva almeno due fratelli: don Filippo Maria Certani, canonico regolare lateranense, autore di Opere a stampa e il più celebre abate Giacomo Certani, canonico di San Giovanni in Monte e San Petronio, teologo, maestro di ilosoia morale e autore di molte opere(103). Fu (100) Regesta Imperii, cit., RI XIV,1 n. 2791, Imola, 16 ottobre 1493. E ancora il 6 novembre 1494 Bianca Maria incarica Maffeo Pirovano «Del pregare el prefato Signore [Lodovico il Moro] che facia opera cum la Contessa dei Imola per le perle», come ricorda F. Calvi, op. cit., pp. 107, 159. (102) Firenze, Archivio di Stato, Inventario di Palazzo Vecchio, Guardaroba di Cosimo I de’ Medici, GM 65, c. 160: «Uno ritratto della Signora d’Imola in un quadro piccolo con ornamento di noce, di mano di Cutignione (sic!), n. 1». (103) G. Fantuzzi, notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna, Nella Stamperia di San Tommaso d’Aquino, 1783, pp. 170-171; G.L. Betti, Un polemista e teorico della politica nella Bologna del Seicento, in “Il Carrobbio”, 1980, pp. 41-50. (101) 56 UNA mADonnA DI DüRER IN ROMAGNA. PER LA RESTITUzIONE AL MAESTRO DI NORIMBERGA quest’ultimo a suggerire al Cardinal Rossetti la sorella, per la fondazione del Monastero di Cotignola, distaccandola dal cenobio ravennate(104). Isabella era stata condotta dai genitori a monacarsi in Romagna, anziché nel monastero di San Bernardino di Bologna – dove peraltro a quindici anni era entrata per qualche tempo –, raggiungendo in tal modo le zie paterne. Non si conosce il motivo per cui le cinque sorelle di Giovan Filippo Certani a loro volta raggiungessero il monastero di Ravenna, ma è noto che vi furono portate dallo zio(105). Evidentemente il padre di Giovan Filippo era morto e lo zio Sforza Certani, noto imprenditore nel settore serico(106), era il tutore delle minori. Sforza: un nome che fa pensare, ma qui comincia tutta un’altra storia. (104) ASRA, Corporazioni religiose soppresse, cit. ASRA, Corporazioni religiose soppresse, Monache di Santa Chiara, Libro ove si descrivono le monache che pigliano l’abito della religione di S. Chiara e fanno professione. Inizia l’anno 1556 ino alli 1669, [1773], vol. 2038: elemosina dotale di Sforza Certani per Suor Diamante e Suor Diodata, 4 ottobre 1593; Suor Dorotea e Suor Vincenza, 22 ottobre 1596; Suor Ancilla, 8 settembre 1600; elemosina dotale di Giovan Filippo Certani per Suor Dorotea Felice, 19 settembre 1621. (106) G.B. Rossi, Registro degl’illustrissimi signori Gonfalonieri del popolo della città di Bologna detti li collegi o’ tribuni della plebe, quali sono stati di quest’antichissimo magistrato. Cominciando dall’anno 1500, proseguendo per tutto il 1680, In Bologna, Per Gio. Recaldini, 1680, pp. 83, 94; C.C. Malvasia, Felsina pittrice vite de pittori bolognesi alla maesta christianissima di Luigi XIIII re di Francia e di nauarra, Tomo Primo, In Bologna, Per l’erede di Domenico Barbieri, 1678, p. 99. (105) Ancora una volta sono debitrice all’amico Pietro Bertini di un confronto sugli aspetti redazionali. Al suo cordiale sostegno ultradecennale vanno i miei più sentiti ringraziamenti. 57