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"Dalla filosofia della storia del cinema all’archeologia", in Andrea Mariani, Giuseppe Fidotta (a cura di), Archeologia dei media. Temporalità, materia, tecnologia, Meltemi, Milano 2018

Introduzione a testi canonici sulla archeologia dei media, per la prima volta tradotti in italiano; quadro storico sugli studi contemporanei sul cinema in Italia e il contributo italiano agli studi sull'archeologia dei media.

P L E X U S Archeol o Tempor g alità, m ia dei me ateria, d A cura t e cnolo ia di Giu e Andre seppe Fidott gia a a Maria ni MELTEMI PLEXUS / 1 Archeologie, archivi e storie dei media DIRETTORE / BOOK SERIES COORDINATOR Simone Venturini COMITATO DIRETTIVO / EDITORIAL BOARD Diego Cavallotti, Simone Dotto, Andrea Mariani COMITATO SCIENTIFICO / SCIENTIFIC COMMITTEE Édouard Arnoldy, Michele Canosa, Luisa Catoni, Ruggero Eugeni, Oliver Fahle, Giovanna Fossati, Trond Lundemo, Pietro Montani, Federico Neresini, Peppino Ortoleva, Leonardo Quaresima, Cosetta Saba, Bernard Stiegler, Wanda Strauven, Benoît Turquety, Pasi Väliaho. SEDE Università degli Studi di Udine - Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale Plexus riguarda la complessità e l’estensione storica della nozione di “medium”, attraverso concetti e polarità chiave che contribuiscono a svolgerne le pieghe: archeologie e genealogie; archivi e ambienti; storie e immaginari. Ciascuno di questi insiemi e sistemi delinea un piano che, sovrapposto o embricato con gli altri, permette di visualizzare complessi emergenti di ordine superiore e al contempo si presenta come uno strato, una faglia da scavare e indagare con rigore e in profondità. Una visione “intrecciata” e “stratificata” che consente di conciliare più prospettive e strategie, utili a recuperare indagini accantonate, a riavvolgere fili, a interrogare ascendenze e derivare ainità, e di procedere verso innovativi oggetti di interesse teorico-metodologico e storiografico. Ogni titolo della collana rimanda quindi a una combinazione di ispirazioni di fondo provenienti dall’archeologia e dalla teoria dei media, dalla filosofia, dall’antropologia, dall’estetica e dalla sociologia della tecnica, dalle riflessioni di ordine teorico e storico-filologico sulle pratiche d’archivio, dalla storia tecnologica, culturale ed economica dei media. Plexus vuole essere uno spazio accogliente, un laboratorio di idee, uno strumento di mediazioni e di assemblaggi inediti (dunque monografie, ma anche traduzioni, collezioni antologiche), un terreno di incontro e coltura condiviso, capace di valorizzare oggetti e tropi di ricerca in uno spirito autenticamente interdisciplinare: uno spirito di cui il comitato scientifico è riflesso diretto. ARCHEOLOGIA DEI MEDIA Temporalità, materia, tecnologia a cura di Giuseppe Fidotta e Andrea Mariani MELTEMI Meltemi editore www.meltemieditore.it redazione@meltemieditore.it Collana: Plexus, n. 1 Isbn: 9788883537349 © 2018 – MELTEMI PRESS SRL Sede legale: via Ruggero Boscovich, 31 – 20124 Milano Sede operativa: via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 22471892 / 22472232 Indice 7 Dalla filosofia della storia del cinema all’archeologia Giuseppe Fidotta, Andrea Mariani 27 Notizie dagli scavi: altre prospettive per l’archeologia dei media Diego Cavallotti, Simone Dotto TEMPORALITÀ 45 Archeologia dei media. Alla ricerca di altri ordini di visione Siegfried Zielinski 55 Perché e come l’an-archeologia e la variantologia dei media e delle arti possono arricchire la riflessione sul film e sul cinema. Nove Miniature Siegfried Zielinski 77 L’archeologia dei media come poetica dell’obsolescenza Thomas Elsaesser MATERIA 109 Pre-visioni della Mediatecture. Una prospettiva media-archeologica Erkki Huhtamo 129 Il nuovo Materialismo come teoria dei media: medianatura e il lato oscuro della materia Jussi Parikka 141 Archeologia dei media. La crisi della memoria narrativa Wolfgang Ernst TECNOLOGIA 179 La prassi (rumorosa) dell’archeologia dei media Wanda Strauven 199 Per un’archeologia dei media sperimentale. Note epistemologiche e metodologiche sugli esperimenti con le tecnologie mediali del passato Andreas Fickers, Annie van den Oever 231 Bibliografia generale 247 Riconoscimenti Dalla filosofia della storia del cinema all’archeologia Giuseppe Fidotta, Andrea Mariani Per un’introduzione Il titolo di questa nota introduttiva echeggia un percorso che tenteremo variamente di tradurre in questi due saggi d’apertura, che testimoniano altresì il lavoro di squadra che ha sostenuto quest’impresa1. Speriamo di chiarire qui dove nasce l’idea e la necessità di una tale proposta e dove auspichiamo di rivolgerci nei campi della ricerca, certamente, ma anche in ambiti più vicini all’industria creativa, all’arte contemporanea e in generale verso chiunque desideri avvicinarsi a uno dei fronti speculativi più originali degli ultimi anni; si inscrive infine in questa operazione il desiderio di rendere più accessibili questi testi ai nostri studenti e ai più giovani tra i colleghi. Di cosa parliamo quando parliamo di archeologia dei media? Chiediamo al lettore qualche attimo di pazienza e rimandiamo un quadro più dettagliato sulla questione 1 La nostra riconoscenza va infatti in primis a Diego Cavallotti e Simone Dotto che hanno condiviso parimenti con noi il lavoro di traduzione e inquadramento critico di questo compendio. Il presente saggio è stato ideato congiuntamente da Giuseppe Fidotta e Andrea Mariani. Il primo paragrafo intitolato Per un’introduzione è stato scritto da Andrea Mariani, mentre il secondo paragrafo intitolato Di cosa parliamo quando parliamo di archeologia dei media? è stato scritto da Giuseppe Fidotta. 8 GIUSEPPE FIDOTTA, ANDREA MARIANI terminologica alla seconda parte di questa introduzione: prima è necessario avvicinare il nostro oggetto da altre direzioni. Nel campo della storiografia e della teoria del cinema, i primi anni del nuovo millennio, in concomitanza con gli epocali cambiamenti imposti dalla svolta digitale nello scenario mediale contemporaneo, hanno portato a maturazione riflessioni che da tempo alimentavano una ridefinizione dell’identità2, dello statuto3, e della “localizzazione”4 del medium cinematografico. La fase d’inevitabile negoziazione che il cinema ha dovuto e deve affrontare nel qualificare da una parte la sua fisionomia in relazione agli altri media – “nuovi” – e dall’altra la sua stessa natura materiale – dalla “grana” fotografica al pixel5 –, si è rivelata un’occasione proficua per gli studiosi, per ridefinirne le coordinate storiche e rileggerne i capisaldi teorici. Così, quasi specularmente, il periodo del cinema delle origini6 e, insieme a esso, la straordinaria produzione teorica europea del primo dopoguerra7, sono diventati il pun2 D. Andrew, What Cinema Is!, Wiley-Blackwell, Hoboken 2010. A. Gaudreault e P. Marion, La fin du cinéma ? Un média en crise à l’ère du numérique, Armand Colin, Parigi 2013. 4 F. Casetti, Nuovi territori. Multiplex, Home Theatre, canali tematici, peer to peer, e la trasformazione dell’esperienza di visione cinematografica, in F. Casetti, M. Fanchi (a cura di), Terre incognite. Lo spettatore italiano e le nuove forme dell’esperienza di visione del film, Carocci, Roma 2006, pp. 9-13; Id., L’esperienza filmica e la ri-locazione del cinema, in “Fata Morgana”, n. 4, 2008, pp. 23-40. 5 G. Fossati, From Grain to Pixel: The Archival Life of Film in Transition, Amsterdam University Press, Amsterdam 2009. 6 W. Strauven (a cura di), The Cinema of Attractions Reloaded, Amsterdam University Press, Amsterdam 2006; A. Gaudreault, N. Dulac, S. Hidalgo (a cura di), A Companion to Early Cinema, WileyBlackwell, Hoboken 2012. 7 Vanno lette in questo solco le importanti curatele italiane e internazionali di Leonardo Quaresima per gli scritti di Siegfried Kracauer (la ri-edizione critica di Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, Lindau, Torino 2001) e Béla Balázs (L’uomo visibile, Lindau, Torino 2008) e Antonio Somaini per gli scritti di Laszlo Moholy-Nagy, Walter Benjamin, Sergej Ejzenštejn (Notes for a 3 DALLA FILOSOFIA DELLA STORIA DEL CINEMA ALL’ARCHEOLOGIA 9 to di partenza per una rifondazione disciplinare che inizia a radicarsi ben prima della fondamentale svolta digitale8. Se dunque da una parte il cinema torna ad “essere interessante in quanto impuro”9, come medium al centro di inter-relazioni tra soggetti, testualità, media differenti che prendono sostanza in forme rinnovate di negoziazione, esperienza e rimodulazione tra nuove macchine e nuovi utenti; dall’altra il cinema delle origini e la prima modernità diventano terreno di scavo per una rivisitazione delle sue “genealogie” e per un’apertura progressiva ai contesti10 e a tutto il sistema mediale a lui contemporaneo. Per quanto ci riguarda più da vicino, a partire dal 1994 il Convegno Internazionale di Studi di Cinema di Udine, grazie alle proposte e alla recettività ampia e differenziata di istanze condivise e costruite con la General History of Cinema, Amsterdam University Press, Amsterdam 2014). 8 Significativamente nello stesso periodo affiorano importanti riletture del cammino di istituzionalizzazione dei film studies: D. Polan, Scenes of Instruction: The Beginnings of the U.S. Study of Film, University of California Press, Berkley 2007; L. Grieveson, H. Wasson (a cura di), Inventing Film Studies, Duke University Press, Durham 2008; in Italia E. Dagrada, I rapporti con le università, in F. Casetti (a cura di), La Cineteca Italiana. Una storia milanese, Milano, Il Castoro - Quaderni Fondazione Cineteca Italiana, n. 10, 2005, pp. 154-157 e D. Bruni, A. Floris, M. Locatelli, S. Venturini (a cura di), Dallo schermo alla cattedra. L’insegnamento universitario del cinema e dell’audiovisivo, Carocci, Roma 2016. Infine A. Bertolli, A. Mariani, M. Panelli (a cura di), Can We Learn Cinema? Il cinema si impara? Forum, Udine 2013. 9 N. Dusi, Dal cinema ai media digitali. Logiche del sensibile tra corpi, oggetti, passioni, Mimesis, Udine-Milano 2014, p. 15. 10 Nell’alveo della storia culturale si veda in Italia il lavoro di E. Mosconi, L’impressione del film. Contributi per una storia culturale del cinema italiano 1895-1945, Vita e Pensiero, Milano 2006. Su questo fronte è importante rimandare alla riflessione attorno all’analisi e post-analisi del film per esempio in: G. Carluccio, F. Villa (a cura di), La Post-Analisi: intorno e oltre l’analisi del film, Kaplan, Torino 2005. Per un quadro sugli sviluppi dell’analisi nei film studies italiani, sulle aperture “oltre la semiotica” e i problemi dell’ermeneutica del film si veda P. Bertetto (a cura di), Metodologie di analisi del film, Laterza, Bari 2006. 10 GIUSEPPE FIDOTTA, ANDREA MARIANI comunità nazionale e internazionale sviluppa un’attenzione marcata per la speculazione teorica, muovendo però da una problematizzazione storiografica11 che riesce a iniettare sul piano dell’indagine filologica e storica un’audacia e una creatività filosofica di ampio respiro – offrendo per di più, e tra i primi, una rete e un dialogo esplicitamente internazionali, su un terreno scientifico idealmente tracciato tra nord e sud d’Europa. Il respiro internazionale di questa impresa è funzione fondamentale di una rimessa in gioco dei mutamenti e delle “svolte” che nel frattempo la teoria e la storiografia del cinema andavano maturando e che abbiamo descritto poc’anzi: in generale “il ritorno in forza” della storia nella teoria del cinema12, e soprattutto il complesso contributo, ricco di conseguenze a lungo termine, che a livello internazionale la cosiddetta “New Film History” ha portato con l’articolato slittamento delle preoccupazioni teoriche e storiografiche dal testo – il film – al dispositivo – il cinema13. Per più di vent’anni l’appuntamento udinese accoglie e costruisce occasioni di incontro e confronto tra i protagonisti di importanti stagioni della teoria e della storia del cinema (e dei media): diviene un punto di contatto tra la tradizione italiana (dove la storiografia del cinema segna importanti contaminazioni con l’estetica e la filosofia, dopo la fase semiologica)14, i Cultural Studies 11 Sull’onda lunga di una forte ripresa dell’interesse storico per il cinema che nasce negli anni Ottanta: F. Casetti, Teorie del cinema. 1945-1990, Bompiani, Milano 1994, p. 311. 12 A. Gaudreault, Il ritorno del pendolo, ovvero storia di un ritorno in forza della storia, in G. P. Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale. Vol. 5. Teorie, strumenti, memorie, Einaudi, Torino 2001, pp. 221-244. 13 Tanto da convincere Thomas Elsaesser a voler correggere la definizione da lui stesso avanzata da New Film History a New Cinema History. 14 R. De Gaetano, Il cinema e i film. Le vie della teoria in Italia, Rubettino, Soveria Mannelli 2017, p. 98. A Roberto De Gaetano si deve questo aggiornamento di un precedente tentativo di sintetizzare DALLA FILOSOFIA DELLA STORIA DEL CINEMA ALL’ARCHEOLOGIA 11 di matrice anglosassone15, la New Film History e più di recente l’archeologia dei media. È da questa esperienza che il compendio che qui presentiamo origina e prende forma16. le correnti e le tendenze nel campo della teoria del cinema in Italia, tra i pochissimi contributi che coprano il periodo contemporaneo italiano (dagli anni Settanta a oggi). 15 Sulla ricezione del dibattito in Italia si veda: V. Pravadelli (a cura di), Numero speciale: “I Cultural Studies. Testo filmico, contesto della ricezione e spettatore”, in “Bianco e nero”, n. 4, luglio-agosto 2000. 16 L’ateneo udinese ha ospitato nel 2014 un’edizione del convegno dedicata alla storia del cinema e alla teoria della storia del cinema, dal titolo “At the Borders of (Film) History. Temporality, Archaeology, Theories”. Il convegno fu l’occasione per tornare su alcuni snodi centrali del percorso della storia del cinema e della teoria: dalla fase cruciale inaugurata dal convegno di Brighton del 1978, passando dall’istituzionalizzazione della cosiddetta New Film History per arrivare ai più recenti sviluppi dell’archeologia dei media e della progressiva apertura dal cinema ai media, di cui tra poco esploreremo i caratteri fondamentali. Fu inoltre l’occasione per verificare alcuni dei percorsi che il convegno udinese aveva già solcato – pensiamo almeno alle riflessioni sui “film e i suoi multipli” (2002) (un’esperienza di superamento dell’analisi tradizionale e un momento di incontro forte con le punte più avanzate della filologia e delle pratiche di archivio), sullo stile cinematografico (2006), sulle teorie del cinema “in prospettiva” (2009), sul canone cinematografico (2010) e sull’archivio (2011) – ovvero momenti di significativa densità dove la comunità scientifica italiana e internazionale ha saputo esprimere lo stato dell’arte del cammino degli studi sul cinema con brillante chiarezza: da questa tradizione rintracciamo alcuni elementi centrali che hanno portato i nostri interessi e la nostra curiosità muoversi dallo studio del cinema all’archeologia dei media, fino a sancirne un saldo intreccio. Tra gli ispiratori di quell’edizione riconosciamo certamente Jane Gaines della Columbia University, che presentò in quell’occasione un intervento centrale sul cosiddetto “historical turn” nei film studies, poi pubblicato in J. Gaines, Why We Took the “Historical Turn:” The Poisons and Antidotes Version, in A. Beltrame, G. Fidotta, A. Mariani (a cura di), At the Borders of (Film) History, Forum, Udine 2015: questo intervento nasce da un’importante “presa di posizione” espressa da Jane Gaines che ha influenzato significativamente il concept del convegno: Id., What Happened to the Philosophy of Film History?, “Film History”, Vol. 25, nn. 1-2, 2013, pp. 70-80; siamo ugualmente riconoscenti a Wanda Strauven che con noi ha curato lo sviluppo del progetto. 12 GIUSEPPE FIDOTTA, ANDREA MARIANI Intanto, appunto, dal film al cinema e dal cinema ai media. Il passaggio, accennato prima nelle sue ragioni principali, è sostanzialmente epistemologico e ci vede debitori di almeno tre correnti, in Italia: da una parte il filone di studi mediali di cui Peppino Ortoleva è stato certamente pioniere in Italia e che ha spesso aperto possibilità di scavo storico in direzione anti-evoluzionistica o addirittura verso quella dei media immaginari17; dall’altra gli studi di Francesco Casetti e dei suoi allievi, che vedono il cinema al centro di processi di negoziazione materiale, sociale, psicologica nel complesso dell’epoca moderna (una visione dunque esplicitamente e radicalmente relazionale all’interno della mediasphere moderna)18; infine la “scuola” di Leonardo Quaresima e la germinazione di lavori dedicati al rapporto del cinema con le altre arti, il lavoro sul testo tra intertestualità e intermedialità, la filologia e il restauro del film, in una prospettiva dove il testo filmico e la ricerca del suo “originale” andavano qualificati necessariamente all’interno dell’universo dialogico a cui era esposto, tra intertestualità e intermedialità, vecchi e nuovi media. Citiamo questi riferimenti – non certamente esaustivi e che vedono comunque direttamente 17 Oltre al classico P. Ortoleva, Mediastoria. Comunicazione e cambiamento sociale nel mondo contemporaneo, Il Saggiatore, Milano 2002 e il più recente Il secolo dei media, Il Saggiatore, Milano 2009, si veda almeno Id., La presenza e il sistema. Il videotelefono, un oggetto che non c’è, in M. Nacci (a cura di), Oggetti tecnici di uso quotidiano, Marsilio, Venezia 1998, pp. 152-167 e Id., Introduzione, in G. Balbi, La radio prima della radio. L’Araldo telefonico e l’invenzione del broadcasting in Italia, Bulzoni, Roma 2010. 18 Soprattutto i suoi lavori più recenti: F. Casetti, L’occhio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità, Bompiani, Milano 2005 e Id., La Galassia Lumière. Sette parole chiave per il cinema che viene, Bompiani, Milano 2015. Tra la produzione degli allievi, ci limitiamo a segnalare una raccolta di saggi internazionali che sarà un riferimento certo nel campo della teoria del cinema in Italia, A. D’Aloja, R. Eugeni (a cura di), Teorie del cinema. Il dibattito contemporaneo, Raffaello Cortina, Milano 2017, dove viene presentata anche una sezione di saggi di archeologia dei media. DALLA FILOSOFIA DELLA STORIA DEL CINEMA ALL’ARCHEOLOGIA 13 e indirettamente implicati centri di ricerca e atenei di tutta Italia, che hanno variamente contribuito non solo in occasione del convegno, ma spesso anche in progetti di ricerca nazionali e internazionali o autonomamente su linee di investigazione analoghe – perché ci permettono di evidenziare un apporto italiano al cammino della storia e teoria del cinema verso l’archeologia dei media dove, come Thomas Elsaesser ha recentemente evidenziato nel saggio che qui pubblichiamo, almeno tre aree hanno concentrato una fondamentale attenzione: Bologna, Pordenone e Udine. Il polo bolognese ha visto e vede un addensamento, unico per concentrazione e qualità, di ricerca scientifica (l’ateneo bolognese, in prima linea per le ricerche “oltre” il cinema, su televisione e altri media, è stato anche un centro all’avanguardia nel mondo per gli studi sul restauro e la filologia del cinema: si pensi agli scritti fondativi di Michele Canosa), centri di conservazione (la Cineteca di Bologna), di restauro (L’immagine Ritrovata), di disseminazione della cultura del cinema (Il Cinema Ritrovato); il polo udinese, che ha origine bolognese, ha il convegno, cui Elsaesser riconosce una funzione storicamente centrale almeno tra la fine degli anni Novanta e la prima decade dei Duemila; infine le Giornate del cinema muto di Pordenone, a conferma che le premesse della “svolta” impressa dal convegno di Brighton19 hanno avuto una coda lunghissima, che ha sedimentato in Italia e che tuttora viene discussa e criticamente inquadrata nel nostro Paese: pensiamo al ruolo importante nello studio del cinema muto in Italia dei gruppi di ricerca degli atenei di Bologna (in particolare per le ricerche di Michele Canosa e Monica Dall’Asta), Milano “Statale” (in particolare per le ricerche condotte da Elena Dagrada e Raffaele De 19 Su questo si veda almeno A. Gaudreault, Cinema delle origini o della “cinematografia-attrazione”, Il Castoro, Milano 2004. 14 GIUSEPPE FIDOTTA, ANDREA MARIANI Berti), Pavia (gli studi di storia culturale su cinema e modernità di Elena Mosconi), Roma Tor Vergata (in particolare con gli studi di Luca Mazzei) e di Torino (in particolare i percorsi tracciati da Silvio Alovisio, Paolo Bertetto – gli studi sul restauro, sul Metropolis di Fritz Lang – e Giulia Carluccio, spesso in collaborazione col Museo del cinema di Torino), senza dimenticare il magistero di Gian Piero Brunetta a Padova20 e la funzione della rivista storica “Immagine. Note di storia del cinema” diretta da Michele Canosa e dell’Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema (AIRSC), che negli ultimi anni hanno saputo porsi in un dialogo complesso e mai facile con il dibattito internazionale21. Il cinema delle origini, la riflessione sulla storiografia del cinema, la questione del patrimonio audiovisivo, il restauro del film e, in questo scenario, il complesso equilibrio tra testualità del film (la centralità stessa del film negli studi sul cinema)22 e il cinema come macchina della modernità e dispositivo mediale, possono essere riconosciuti anche in Italia come alcuni tra i campi d’indagine più ricchi e complessi dove la teoria del cinema ha articolato e continua ad articolare un confronto non facile, ma assai produttivo23 e il contri20 Si veda, in funzione di compendio storico-teorico, il suo: G. P. Brunetta, Storia e storiografia del cinema, in Id. (a cura di), Storia del cinema mondiale. Vol. 5. Teorie, strumenti, memorie, Einaudi, Torino 2001, pp. 190-219. Ma in generale l’operazione metodologica pionieristica alla base della sua storia del cinema italiano e poi della storia del cinema mondiale. 21 Alcuni cenni su questa questione in particolare in: I. Agostini, L. Mazzei (a cura di), Sulle rotte dei travelogues. Primi itinerari italiani dal cinema al paesaggio e viceversa, in “Immagine. Note di storia del cinema”, n. 10, 2014. Oltre a Immagine, vanno ricordate, soprattutto per il loro potente respiro internazionale, le riviste Cinegrafie e Griffithiana. 22 In Italia, per un importante contributo sui contesti produttivi, per uno sguardo “attorno” ai film, ricordiamo gli studi sui modi di produzione di Vito Zagarrio all’Università di Roma Tre. 23 Si pensi alla recentissima collezione delle prime teorie del cinema italiane, F. Casetti, S. Alovisio e L. Mazzei (a cura di), Early Film DALLA FILOSOFIA DELLA STORIA DEL CINEMA ALL’ARCHEOLOGIA 15 buto dell’archeologia dei media favorisce in larga parte un ritorno stimolante e assai vario sulle potenzialità e le implicazioni di tali questioni. “Bisogno di storia; pervasività della teoria”24, chiosava così Francesco Casetti al termini dell’ultimo capitolo del suo “Teorie del cinema. 1945-1990”, dove forniva un primo inquadramento dei non facili rapporti tra i due mondi. I testi presentati in questo compendio rintracciano la via di alcuni possibili sviluppi a quella chiosa: intensificazioni e compenetrazioni dei discorsi sul cinema e sui media, tra storia e teoria che testimoniano una parte significativa della storia degli ultimi vent’anni. La necessità – condivisa da più parti in Italia25 – di tradurre per il pubblico italiano il complesso dibattito dell’archeologia dei media (non limitato a questioni di storia e teoria del cinema) si inserisce esattamente in questo percorso e si sta strutturando come un’iniziativa intrecciata, condivisa e coesa e, per più motivi, proficua. Risulta chiaro che la proposta editoriale che qui presentiamo provenga dall’ambito degli studi sul cinema e inquadri la funzione e la ricchezza dell’archeologia dei media nell’ambito cinematografico. Ed è altrettanto evidente che l’impulso a un cammino speculativo come quello dell’archeologia dei media provenga, dalla prospettiva di questa raccolta, da un’inquietudiTheories in Italy 1896-1922, Amsterdam University Press, Amsterdam 2017. 24 F. Casetti, Teorie del cinema. 1945-1990, cit., p. 336. 25 Oltre all’antologia curata da Ruggero Eugeni e Adriano D’Aloja, sono in corso di pubblicazione la traduzione del volume di Jussi Parikka, What is Media Archaeology?, per l’editore Carocci, con traduzione di Enrico Campo e introduzione di Ruggero Eugeni, Simone Venturini e Vincenzo Mele; quest’ultimo dell’Università di Pisa, dove è stata inaugurata nel 2016 una Summer School di sociologia dei media e archeologia dei media. Contestualmente la laurea magistrale in Scienze del patrimonio audiovisivo e dei nuovi media del polo Udinese ha inaugurato una cattedra di Archeologia dei media nel 2016. 16 GIUSEPPE FIDOTTA, ANDREA MARIANI ne che è prima di tutto storiografica: da qui il grosso debito che riconosciamo alla tradizione convegnistica udinese e allo studio del cinema delle origini e della prima modernità in Italia. Dunque tale presupposto implica due assunti di base che abbiamo velatamente espresso finora: l’apertura progressiva dal fronte cinematografico al contesto mediale tout court e l’assunzione del paradigma archeologico come “riflesso” primario di una tale svolta26. Ma che cos’è l’archeologia dei media? L’importanza del paradigma archeologico di matrice foucaultiana nel cammino degli studi sul cinema in Italia e nel mondo è ormai largamente condivisa e ci torneremo a breve: la profondità di applicazione di un tale approccio e la radicalità con cui si sceglie di impostare lo “scavo” – la capacità, ovvero, di superare e penetrare la “materialità” dei livelli discorsivi del modello foucaultiano, come spiegheremo meglio tra poco – qualificano le variabili possibilità di gioco che l’archeologia dei media può offrire al campo di studi sul cinema, sia in ambito storiografico, sia in ambito teorico. Il passaggio dalla teoria e dalla storia del cinema alla teoria e al campo di scavo dei media, nell’archeologia 26 Su questo punto, inoltre, ci riconosciamo nel lavoro che da tempo viene condotto in Italia sui fronti degli studi di cultura visuale e di storia culturale dei media, come negli atenei di Bergamo (in particolare gli studi su gestualità e corpo di Barbara Grespi), Pavia (i lavori di Federica Villa sulla scrittura del sé, rintracciata in una vasta gamma di pratiche mediali e di Deborah Toschi sulle dinamiche di genere) o l’Università Cattolica di Milano (gli studi sull’audience di Mariagrazia Fanchi); il fronte di studi sulle pratiche “marginali” del cinema è un altro importante campo d’investigazione dove l’apertura progressiva ai media è maturata in anni di ricerche sulle pratiche amatoriali (si pensi agli studi di Luisella Farinotti all’Università IULM di Milano) o su documentario e arte contemporanea (le ricerche di Marco Bertozzi allo IUAV di Venezia) e in pratiche d’archivio (la programmazione e i progetti dell’Archivio Nazionale del Film di famiglia – Home Movies di Bologna, diretto da Mirco Santi e Paolo Simoni). DALLA FILOSOFIA DELLA STORIA DEL CINEMA ALL’ARCHEOLOGIA 17 non presuppone dunque un meccanismo di esclusione, un aut aut, né un superamento, bensì un’inclusione profonda, un intreccio inevitabile, perfino – nel caso della proposta di Thomas Elsaesser27 – una radicale identità, dove cioè la storia del cinema esprime un’archeologia dei media, coincide con essa, ne è un fondamentale propulsore: a significare cioè l’assunzione dello sviluppo del medium cinematografico, “oltre i film”, nell’epoca della sua svolta digitale, nel quadro più ampio dello sviluppo della modernità e della storia dei media. Di cosa parliamo quando parliamo di archeologia dei media? Il breve percorso appena tracciato non deve trarre in inganno: l’archeologia dei media, persino in una fase come quella attuale di stabilizzazione avanzata (o di sclerotizzazione, direbbero i critici), rimane un oggetto dai tratti volutamente opachi. “Non vi è consenso tra gli studiosi”, scrivono Erkki Huhtamo e Jussi Parikka ad apertura di un intervento cruciale sul tema, “né sui principi né sulla terminologia propri dell’archeologia dei media”28. Addirittura lo statuto stesso dell’oggetto resta nebuloso, tant’è che nel medesimo testo il tentativo più compiuto di definire l’archeologia dei media si risolve in un evasivo “un insieme di approcci strettamente connessi”29. In quanto tale, sarebbe lecito domandare, l’archeologia dei media è quindi un metodo (un insieme di principi, protocolli 27 T. Elsaesser, Film History as Media Archaeology. Tracking Digital Cinema, Amsterdam University Press, Amsterdam 2016. 28 E. Huthamo, J. Parikka, Introduction, in Idd. (a cura di), Media Archaeology: Approaches, Applications, and Implications, University of California Press, Berkeley-London 2011, pp. 1-21, p. 2. 29 Ibidem. 18 GIUSEPPE FIDOTTA, ANDREA MARIANI e procedure, approcci appunto, inerenti a un medesimo campo operativo) o una disciplina (un sistema codificato di saperi, la cui coerenza interna è garantita dalla condivisione di paradigmi e istituzioni comuni)? Diversi studiosi hanno preso posizione per l’una o per l’altra ipotesi, a ulteriore dimostrazione dell’opacità di cui si discute. Da una prospettiva metodologica individuare analogie nella maniera in cui studiosi, artisti e curatori “praticano” l’archeologia dei media non è arduo: risultano condivisi infatti i presupposti teorici ed operativi concernenti tre macro-questioni – temporalità, materia e tecnologia – che in questo volume abbiamo individuato come punti di riferimento e di seguito illustreremo più nel dettaglio. Meno semplice la difesa della prospettiva disciplinare. Nella postfazione al volume di Parikka e Huhtamo, i quali peraltro mutuano da Mieke Bal la nozione di “disciplina itinerante”30 per ribadire che l’espressione archeologia dei media “non designa una disciplina accademica”31, Vivian Sobchack parla di una “disciplina indisciplinata che evita assiduamente ogni sorta di interpretazione onnicomprensiva e di teoria totalizzante”32. Sulla stessa lunghezza d’onda, Siegfried Zielinski da decenni pratica una propria personale variante, ribattezzata “an-archeologia dei media”33, la cui matrice anarcoide è invece talmente condivisa da essere stata individuata come uno dei pochi punti in comune tra le varie correnti34. È possibile immaginare una disciplina fondata sull’anarchia metodologica? Thomas Elsaesser ha la30 M. Bal, Traveling Concepts in the Humanities, University of Toronto Press, Toronto 2002. 31 E. Huhtamo, J. Parikka, cit., p. 2. 32 V. Sobchack, Afterword: Media Archaeology and Re-presencing the Past, in Ivi, pp. 323-333, p. 328. 33 Sull’an-archeologia zielinskiana si rimanda ai due saggi dell’autore qui antologizzati. 34 Si veda S. Natale, Understanding Media Archaeology, “Canadian Journal of Communication”, vol. 37, n. 3, 2012, pp. 523-527. DALLA FILOSOFIA DELLA STORIA DEL CINEMA ALL’ARCHEOLOGIA 19 mentato l’assenza di “un progetto condiviso di ricerca” e di “una formulazione persuasiva o pertinente del problema a cui l’archeologia dei media dovrebbe dare una risposta”35, puntualmente richiamata, non senza una traccia di malizia, nell’eccesso eclettico di Huthamo e Parikka, i quali, nel rintracciare ispirazioni e precursori, scomodano “le teorie del materialismo culturale, l’analisi del discorso, l’idea di temporalità non lineare, le teorie di genere, gli studi postcoloniali, l’antropologia visuale, l’antropologia dei media, e le filosofie del neo-nomadismo”36. Dallo schieramento opposto, uno studioso come Wolfgang Ernst pratica una variante dell’archeologia dei media del tutto depurata dalle influenze degli studi culturali, postumana e postumanista, e già per questo sideralmente distante dalle discipline e dalle teorie appena evocate37. A una simile mancanza di coerenza interna, che parrebbe far evaporare l’ipotesi della disciplina, si contrappone tuttavia la vigoria istituzionale dell’archeologia dei media, attorno alla quale sono andati proliferando soltanto nell’ultimo quindicennio una varietà di istituti di ricerca, programmi di studio, eventi accademici e pubblicazioni38. La portata di questo successo, che in anni 35 T. Elsaesser, Media Archaeology as Symptom, “New Review of Film and Television Studies”, vol. 14, n. 2, 2016, pp. 181-215, p. 184. 36 E. Huthamo, J. Parikka, cit., p. 2. 37 Per una ricostruzione concisa del pensiero di Ernst, si rimanda a J. Parikka, Archival Media Theory: An Introduction to Wolfgang Ernst’s Media Archaeology, in W. Ernst, Digital Memory and the Archive, a cura di J. Parikka, University of Minnesota Press, Minneapolis-London 2013, pp. 1-22. Sulla questione dei rapporti tra archeologia dei media à la Ernst e studi culturali, si veda W. Ernst, Let There Be Irony: Cultural History and Media Archaeology in Parallel Lines, Ivi, pp. 37-54. 38 Proprio a causa della portata del fenomeno, non è possibile menzionare qui nemmeno le più significative tra queste manifestazioni. Per un quadro d’insieme, si rimanda a https://monoskop.org/ Media_archaeology (ultimo accesso giugno 2017). 20 GIUSEPPE FIDOTTA, ANDREA MARIANI più recenti ha anche investito l’Italia39, non è però da ritenersi indicativa dell’affermazione dell’archeologia dei media come paradigma egemonico o comunque maggioritario degli studi sui media, quanto piuttosto (ma non esclusivamente) di processi endemici legati alla propagazione del sapere nell’università contemporanea. La forza dell’archeologia dei media, quindi, non è da attribuirsi al suo status di disciplina, come si è visto assai dubbio e dubitato, ma alla sua natura itinerante, o meglio, alla sua capacità di “viaggiare”. Solo grazie alle infrastrutture e ai network accademici (non dissimili in questo a forme familiari agli studiosi di arte contemporanea) che permettono la circolazione di idee, teorie, metodi e pratiche, l’archeologia dei media è riuscita a penetrare contesti locali, ad adattarsi a dinamiche contingenti ed infine a rispondere ad esigenze specifiche. È quanto ha suggerito anche Parikka, il quale, in una affascinante ricognizione di queste forme, prende le misure di un fenomeno che si estende dagli archivi agli studi d’artista, dagli spazi museali alle discariche, lungo gli assi disciplinari, geograficamente dispersa tra istituzioni accademiche dagli Stati Uniti all’Europa, dal Sud America all’Australia, Giappone, Indonesia, altro ancora; dalla teoria accademica americana alle culture tecnologiche dell’era sovietica fossilizzate nei paesi dell’Est Europa, alle enormi pile di rifuti elettronici processati in Cina, agli artisti di Berlino il cui lavoro ruota attorno all’obsolescenza e alla cultura tecnica40. Come si spiega che ad un certo punto, all’incirca alla fine degli anni Duemila, dopo aver trovato in Germania il proprio terreno di coltura ed essersi dapprima diffusa in aree culturalmente limitrofe e in seguito in maniera incontrollata un po’ ovunque, l’archeologia 39 Cfr. nota 25. J. Parikka, What Is Media Archaeology?, Polity, Cambridge 2012, p. 160. La traduzione è di chi scrive. 40 DALLA FILOSOFIA DELLA STORIA DEL CINEMA ALL’ARCHEOLOGIA 21 dei media sia diventata onnipresente, per giunta in una varietà di ambiti che eccede quello specificatamente scientifico? Una delle risposte più convincenti, formulata da Thomas Elsaesser, vuole che in realtà l’archeologia dei media, né disciplina né metodo, sia in realtà un sintomo, capace di indicare e quindi di “rispondere a un certo numero di crisi, molte delle quali oltrepassano il dominio del cinema e dei media”41. Lo studioso menziona la crisi dell’idea di progresso, e più in generale la crisi del progetto illuminista, la cui manifestazione media-archeologica è il rifuto della linearità e della teleologia; e poi la crisi delle nozioni di storia, di memoria, di narrazione, di rappresentazione e di immagine. Avvicinandosi alle questioni al cuore dell’ambito di ricerca, l’ipotesi del sintomo ha anche il merito di connettere esplicitamente l’emersione del “metodo” archeologico all’interno degli studi sui media e le conseguenze della rivoluzione digitale. In questo senso, secondo Elsaesser, l’archeologia dei media è figlia di una forma di feticismo della memoria e della materialità, nato in risposta da un lato a quel che Wendy Chun ha definito “l’effemerità durevole” della cultura di Internet42 e dall’altro alla pretesa percezione della “smaterializzazione” della realtà sociale43. Una volta messo in evidenza lo statuto ambiguo, aperto e plurale dell’archeologia dei media, appare chiaro che questo volume non intenda presentarsi come una introduzione esaustiva. Un tentativo del genere difficilmente potrebbe rendere conto della moltitudine di idee, pratiche ed esperienze che vanno 41 T. Elsaesser, Media Archaeology as Symptom, cit., p. 188. W. Chun, The Enduring Ephemeral, or the Future Is a Memory, “Critical Inquiry”, vol. 35, n. 1, 2008, pp. 148-171. 43 Per una discussion della cosiddetta “ipotesi della smaterializzazione”, si rimanda a B. Brown, Materiality, in W. J. T. Mitchell, M. Hansen, Critical Terms for Media Studies, University of Chicago Press, Chicago 2010, pp. 49-63. 42 22 GIUSEPPE FIDOTTA, ANDREA MARIANI coagulandosi sotto questa etichetta. In questo senso, la scelta di limitare la selezione di testi a interventi in inglese di studiosi nord-europei e anglosassoni il cui lavoro generalmente non travalica i limiti dell’accademia sarebbe stato di per sé non poco contraddittorio. Quel che questo volume intende presentare, invece, è il potenziale del contributo media-archeologico per gli studi sui media, qui individuato specificatamente nei tre macrocampi all’interno dei quali l’archeologia dei media ha con maggiore evidenza aperto nuove prospettive. Di conseguenza, il volume si articola in tre sezioni, ciascuna corrispondente a un macrocampo: temporalità, materia e tecnologia. La prima sezione – Temporalità – si apre con un reperto archeologico: “Archeologia dei media. Alla ricerca di altri ordini di visione” (1992) di Siegfried Zielinski, un testo programmatico e una dichiarazioni di intenti, nonché una delle prime apparizioni di un’idea di archeologia dei media che nel corso dei decenni diventerà maggioritaria. Si tratta di concepire il proprio lavoro di archeologo, sostiene Zielinski, come parte di un progetto capace di illuminare energie e potenzialità ignorati dalla storiografia e riconsiderarne la portata all’interno di contesti differenti. Ed è tanto più stimolante confrontare l’intervento con quello successivo, “Nove miniature” (2015), in cui l’autore presenta alcuni dei frutti di questo lavoro, sia in termini di progetti di ricerca che di ipotesi teoriche. Di particolare rilevanza per la questione della temporalità, Zielinski concepisce l’archeologia dei media come una “macchina del tempo” (un’idea che condivide con Huhtamo) che permette allo studioso di muoversi “all’interno e attraverso il tempo profondo”, ovvero di “dissolvere i confini della diacronia (sul piano verticale) […] e della sincronia (sul piano orizzontale)”. Inoltre, non meno centrali risultano i concetti di “variantologia” e di “an-archeologia” discussi nel saggio nel caratte- DALLA FILOSOFIA DELLA STORIA DEL CINEMA ALL’ARCHEOLOGIA 23 ristico stile oracolare del mediologo tedesco. Thomas Elsaesser con “L’archeologia dei media come poetica dell’obsolescenza” (2015) investiga la temporalità medio-archeologica da due prospettive. Da una parte, la temporalità del medium, in questo caso del cinema, in rapporto al tema dell’obsolescenza tecnologica, qui presentata, anche se da prospettiva molto differente da quella zielinskiana, come tensione tra standardizzazione industriale e potenziale diversificazione estetica, tradotti rispettivamente in politica e poetica. Dall’altra, la temporalità della storiografia, rispetto alla quale l’archeologia dei media si dà come metodo in grado di “riorganizzare le cronologie convenzionali”, di “destabilizzare le solite periodizzazioni”, di “confutare le teleologie” e infine di “rendere il passato nuovamente strano, anziché perfettamente familiare”, poiché “il passato non è mai passato, anche quando sembra essere perduto”. La sezione centrale – Materia – ospita interventi selezionati appositamente per questa antologia, con l’intento di completare lo spettro delle variabili della proposta media-archeologica e nel contempo testimoniarne la spinta più radicale. Se la prima sezione dialoga esplicitamente con la storia e la teoria del cinema, questi tre saggi se ne allontanano momentaneamente, esprimendo piuttosto un paradigma archeologico che dell’architrave trattiene l’iscrizione materiale e l’enfasi sul supporto fisico, sulla materia più che sul discorso. “Pre-visioni della mediatecture” (2010) è un “preludio” alla celebre archeologia dei panorami mobili di Erkki Huhtamo44: lavorando sulle prime proiezioni celesti, Huhtamo non solo arricchisce le ricerche sugli apparecchi ottocenteschi, ma contrae e distende continuamente la nozione stessa di “medium” fino al 44 E. Huhtamo, Illusions in Motion. Media Archaeology of the Moving Panorama and Related Spectacles, MIT Press, Cambridge 2013. 24 GIUSEPPE FIDOTTA, ANDREA MARIANI punto di discutere la materialità di un supporto mediale come “il cielo” e inquadrarne le discendenze nella famiglia degli schermi. Il breve e assai denso “Il nuovo materialismo come teoria dei media” (2012) di Jussi Parikka inquadra uno snodo cruciale dell’arcipelago di posizioni media-archeologiche: i legami che l’archeologia dei media intrattiene con il materialismo, a cui vengono ricondotte le aperture ai fenomeni mediali presenti in quella corrente trasversale ed eterogenea della scena filosofica contemporanea definita, appunto, “nuovo materialismo”. Così facendo, Parikka esprime le potenzialità dell’archeologia dei media come pensiero critico, politico e “movimentista”, alimentato da una materialità profonda dei media e della medialità. “Archeologia dei media. La crisi della memoria narrativa” (2004) di Wolfgang Ernst rappresenta il punto più radicale di un’immaginaria escalation materialista in questa seconda sezione: una visione essenzialmente matematica della storia (“dalla narrazione al conteggio”, appunto) in cui il piano discorsivo e la sua interpretazione sono subordinati all’operazione di iscrizione materiale dell’informazione da parte di un apparato (o una macchina) e l’operazione di scrittura esclude ogni possibile apporto ermeneutico, se non addirittura umano; insomma, un’archeologia dei media come storia scritta dalle macchine. La sezione conclusiva – Tecnologia – ritorna sulla questione della natura dell’archeologia dei media discussa nelle pagine precedenti: accanto, e per certi versi in contrasto, alla nozione di archeologia dei media come ipotesi metodologica, come prassi analitica ed approccio epistemologico alla storia e alla teoria dei media, un gruppo consistente di studiosi, artisti e curatori ha infatti esplorato le possibilità di una concezione dell’archeologia dei media come attività pratica (o, come di- DALLA FILOSOFIA DELLA STORIA DEL CINEMA ALL’ARCHEOLOGIA 25 rebbe Zielinski, Tätigkeit45). Per Wanda Strauven, autrice del saggio “La prassi (rumorosa) dell’archeologia dei media” (2015), l’attività che meglio sussume spirito e obiettivi dell’archeologia dei media è l’hacking, inteso come una serie di operazioni che mirano a “forzare le potenzialità del sistema”, a “creare disurbo”. Ad essere hackerata, quindi, è la concezione tradizionale di storiografia dei media, rispetto alla quale l’archeologia dei media non rappresenta altro che una pratica che crea disturbo. L’appello di Andreas Fickers e Annie van den Oever “Per un’archeologia dei media sperimentale” (2015) radicalizza la possibilità di concepire l’archeologia dei media come attività pratica, facendone una vera e propria metodologia di ricerca sperimentale, da condursi in laboratorio, sul corpo vivo delle macchine e in interazione con queste. Rivendicando un legame fisico, se non addirittura sensuale, con gli artefatti tecnologici del passato, i due studiosi individuano nel re-enactment uno strumento euristico per la storia della tecnologia in cui si uniscono le intuizioni di Collingwood sulla conoscenza come riproposizione e riconoscimento con quelle di Huhtamo sul thinkering (un neologismo tra think e tinkering, traducibile con “smanettare riflessivo”) come strumento pedagogico. 45 S. Zielinski, Media Archaeology, “CTheory”, 1996, www.ctheory.net/articles.aspx?id=42, (ultimo accesso giugno 2017).