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Il contratto di appalto - Dispense

CONTRATTO DI APPALTO DISPENSE INTEGRATIVE PER LA LEZIONE DEL 6/12/2012 di Aldo P. Benedetti 1) Premessa. 2) La forma. 3) Le parti del contratto di appalto. 3.1) Subappalto 4) Caratteristiche del contratto di appalto in relazione ad altre fattispecie. 5) La prestazione dell’appaltatore. 6) Garanzie e responsabilità dell’appaltatore. 7) Il recesso del committente ex art. 1671 cod. civ. 1) Premessa. Il Codice Civile dedica al contratto di appalto una disciplina articolata contenuta nelle norme degli artt. 1655 – 1677. Tale disciplina si apre con una puntuale definizione di questo contratto, che l’art. 1655 cod. civ. definisce come “il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”. Da tale definizione emergono con chiarezza quelli che sono gli elementi caratterizzanti questo contratto; il contratto di appalto è un contratto consensuale ad effetti obbligatori, finalizzato alla esecuzione di un’opera o di un servizio, a prestazioni corrispettive; la forma è generalmente libera (fatta salva la disciplina specifica che regolamenta gli appalti per la realizzazione di opere pubbliche o la prestazione di servizi a favore della Pubblica Amministrazione, nonché fatto salvo quanto previsto dagli artt. 237 e 852 cod. nav. per quanto concerne la costruzione di navi o di aeromobili) ed è essenzialmente oneroso. Inoltre si evidenzia come il contratto di appalto richieda – in accordo con la definizione codicistica – particolari “caratteristiche “ da parte del appaltatore: infatti non è sufficiente che sia stata convenuta tra i contraenti il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, ma è necessario che l’assunzione di tale obbligo avvenga “con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio”. Giova peraltro rilevare fin da subito come la disciplina civilistica del contratto di appalto trova limitata applicazione nel campo degli appalti pubblici. Infatti, quando il committente è un soggetto pubblico o quando la prestazione appaltata concerne la realizzazione di opere o servizi pubblici, si applica una disciplina speciale (di origine comunitaria), estremamente complessa ed articolata, che regola non solo la formazione della volontà da parte dell’appaltatore, ma anche importanti e significativi profili di merito. In particolare importanti aspetti – come, ad esempio, la disciplina del capitolato d’appalto o la regolamentazione della revisione dei prezzi e dello ius variandi in capo al soggetto pubblico – sono disciplinate tenendo conto della peculiarità degli interessi pubblici che vengono in considerazione in queste relazione contrattuali. In ogni caso, poiché il rapporto tra committente pubblico ed appaltatore conserva intatta la sua natura privatistica, restano intatte le regole previste dal Codice Civile per tutti quegli aspetti che non sono disciplinati dalla disciplina di settore. Comunque è doveroso accennare come, in effetti, l’influenza che la disciplina degli appalti pubblici ha spiegato nei confronti degli appalti privati sia stata particolarmente significativa. Altro aspetto che deve essere fin da subito evidenziato è l’estrema duttilità dello schema contrattuale dell’appalto. Soprattutto se si ha riguardo all’appalto di servizi è facile osservare come esso si presti agevolmente per descrivere operazioni economicamente disparate. Basti pensare al c.d. catering (in cui l’appalto di servizi convive con la somministrazione), all’engineering, al contratto di organizzazione di viaggio e al contratto di pubblicità. 2) La forma del contratto di appalto. Il contratto di appalto è, in linea di principio, un contratto a forma libera, non essendo soggetto ad alcun vincolo di forma (Cass. 6 giugno 2003, n. 9077). Peraltro sono date tre ipotesi in cui, di contro, anche l’appalto deve necessariamente avere forma scritta. Abbiamo quindi la necessità della forma scritta, per espressa previsione di legge (artt. 237, 238 e 852 cod. nav.) per l’appalto relativo alla costruzione di navi o aeromobili, così come è prevista la forma scritta ad substantiam per gli appalti pubblici (come per tutti i contratti in cui sia parte al P.A.). Parimenti è necessaria la forma scritta ad substantiam per gli appalti tra privati in cui l’operazione complessiva voluta dalle parti contempli anche il trasferimento della titolarità di diritti reali su beni immobili (art. 1325 cod. civ.). L’appalto può quindi concludersi anche oralmente o, addirittura, per facta concludentia. In questa sede giova accennare al problema della determinazione del corrispettivo. Infatti per il contratto di appalto vige una specifica disposizione del codice, la previsione dell’art. 1657 cod. civ. Secondo questa norma se le parti non hanno stabilito la misura del corrispettivo né hanno stabilito come determinarla, questa debba essere calcolata con riferimento alle tariffe esistenti, agli usi o, in mancanza, stabilita dal giudice. Tale disposizione si applica anche nell’ipotesi che le parti abbiano stabilito il corrispettivo ma non concordino sul quantum né nessuna parte riesca a fornire la relativa prova. Ordinariamente si è soliti distinguere tra corrispettivo fissato a corpo (o à forfait) o a misura (detto a prezzi unitari): nel primo caso il corrispettivo è stabilito unitariamente per tutta l’opera o servizio, mentre nel secondo caso il prezzo è stabilito in base a prezzi unitari relativi alle “unità” di misura della prestazione appaltata (un tanto al mq, un tanto al km). Questa distinzione comporta importanti differenze sul piano della disciplina: ai sensi dell’art. 1659, 3° comma, cod. civ., se l’appalto e a corpo, salvo diverso accordo tra le parti, non spettano ulteriori compensi in caso di varianti. Allo stesso modo solo negli appalti a misura il prezzo complessivo tiene conto delle eventuali differenze quantitative dell’opera effettivamente realizzate. Ovviamente il vero problema, spesso, è quello di stabilire se un appalto sia a corpo o a misura, dovendosi provvedere ad interpretare accuratamente il regolamento contrattuale in caso di ambiguità. Il pagamento del corrispettivo può avvenire sia in un’unica soluzione una volta che sia stata realizzata la prestazione nella sua interezza, sia in proporzione all’opera eseguita (art. 1666 cod. civ.), attraverso la verifica dello stato di avanzamento dei lavori (c.d. “SAL”). 3) Le parti del contratto di appalto. Come si è già evidenziato, la definizione dell’appalto che fornisce l’art. 1655 cod. civ. indica chiaramente come l’appaltatore debba necessariamente avere un’organizzazione dei mezzi necessari per effettuare l’opera o il servizio e che lo faccia a proprio rischio. L’appaltatore deve quindi avere una struttura di tipo imprenditoriale, con conseguente organizzazione di fattori della produzione (organizzazione del lavoro, aziendale) e dei relativi rischi connessi finalizzata (almeno) alla esecuzione della prestazione contrattualmente dedotta. Parti del contratto di appalto sono il committente (o appaltatore) e l’appaltatore: il primo è il soggetto che affida l’esecuzione dell’opera o del servizio all’appaltatore, il soggetto che assume tale obbligo. L’appaltatore può essere sia una persona fisica che una persona giuridica. Non deve essere necessariamente un imprenditore (anche se nella stragrande maggioranza dei casi lo è): in base alla previsione dell’art. 1655 cod. civ., è necessario ma anche sufficiente che l’appaltatore abbia un’organizzazione di mezzi e di gestione del rischio per eseguire l’opera o il servizio, ancorché occasionale. È discusso in dottrina ed in giurisprudenza se il contratto di appalto sia intuitus personae. In senso positivo viene letta la disposizione dell’art. 1656 cod. civ. che vieta il subappalto se non autorizzato dal committente; in senso contrario depongono le norme dell’art. 1674 cod. civ. (per cui il contratto di appalto non si scioglie in caso di morte dell’appaltatore salvo che la considerazione della sua persona sia stata motivo determinante del contratto) e l’art. 81, 2° comma, l. fall. (“Nel caso di fallimento dell'appaltatore, il rapporto contrattuale si scioglie se la considerazione della qualità soggettiva è stata un motivo determinante del contratto, salvo che il committente non consenta, comunque, la prosecuzione del rapporto”). In realtà, ai nostri giorni, nella scelta dell’appaltatore non è tanto rilevante l’intuitus nei confronti della persona dell’appaltatore, quanto, piuttosto, la considerazione nei confronti dell’impresa chiamata a realizzare l’opera o il servizio. È ben possibile – e frequente nella prassi – che per la realizzazione di opere di una certa complessità un imprenditore intenda associarsi ad altri per poter eseguire le prestazioni contrattuali. L’eventualità di una pluralità di appaltatori è quindi possibile e può assumere diverse forme. Merita segnalare la possibilità per più imprenditori di costituire una società ad hoc (con i relativi oneri) o quella, frequentissima, di dare vita ad una contractual joint venture, un vincolo contrattuale atipico e temporaneo tra più imprese che non dà luogo alla costituzione di un nuovo soggetto giuridico ma ad un’associazione temporanea di imprese. 3.1) Subappalto. L’appaltatore può dare in subappalto l’esecuzione dell’opera o del servizio solo se autorizzato dal committente (art. 1656 cod. civ.); il subappalto rientra nella categoria dei subcontratti, può essere totale o parziale ed è regolato in linea di massima dalle stesse disposizioni normative che disciplinano l’appalto. L’autorizzazione non deve essere necessariamente espressa, può risultare anche per facta concludentia, può essere anche sia preventiva che generica. Il difetto di autorizzazione non rende il contratto di subappalto nullo né annullabile (nonostante alcuni Autori abbiano sostenuto questa tesi), ma il committente può solamente agire contro l’appaltatore per la risoluzione del contratto. Anche in presenza di autorizzazione da parte del committente i rispettivi rapporti contrattuali rimangono distinti: il subappalto instaura un rapporto obbligatorio solo tra appaltatore e subappaltatore mentre il committente rimane estraneo. Ne consegue che in capo al committente non sorgono né diritti né obblighi verso il subappaltatore. Da questa autonomia tra i due contratti discende che anche l’accettazione dell’opera in sede di verifica rimane autonoma nelle due relazioni contrattuali. Sempre da questa autonomia consegue che l’appaltante non ha azione diretta nei confronti del subappaltatore; per far valere le garanzie previste dagli artt. 1667 – 1677 cod. civ. egli dovrà agire contro l’appaltatore, che poi agirà in regresso contro il subappaltatore. 4) Caratteristiche del contratto di appalto in relazione ad altre fattispecie. Il contratto di appalto, per le sue caratteristiche di elasticità e duttilità e per l’ampia gamma di situazioni in cui è utilizzato, presenta numerosi punti di contatto con altri tipi contrattuali. Il dato che distingue il contratto di appalto rispetto al contratto d’opera (art. 2222 cod. civ.) è rappresentato dall’entità dei mezzi impiegati: ricorre un appalto quando il soggetto che si assume l’obbligo si avvale di una struttura organizzativa di dimensioni apprezzabili. La differenza tra i due contratti è, infatti, data non dal tipo di prestazione dedotta in contratto, ma unicamente dal profilo organizzativo del soggetto che si assume l’obbligo. Teoricamente chiara è la distinzione tra appalto e lavoro subordinato. Nelle due ipotesi è diverso il contenuto dell’impegno contrattuale assunto, visto che con il lavoro subordinato il lavoratore si assume il semplice obbligo alla prestazione di un’attività lavorativa, nonché l’autonomia dell’appaltatore nell’esecuzione della prestazione, che mai può essere completamente eliminata. Nella realtà sono numerose le situazioni in cui la qualificazione della situazione è problematica. Particolarmente importante nella prassi è la distinzione tra appalto e compravendita di cosa futura; infatti in entrambi gli schemi negoziali possono convivere tanto l’obbligazione tipica dell’appalto (il facere avente ad oggetto il compimento dell’opus), quanto della vendita (il dare che presuppone il trasferimento della titolarità del diritto dominicale). La differente qualificazione comporta conseguenze significative, soprattutto per quanto concerne i vizi e le difformità, la revisione del prezzo e i rischi connessi al perimento della cosa. Criterio principale per distinguere tra appalto e compravendita è quello della prevalenza: l’interprete dovrà investigare per comprendere quale fosse la comune intenzione delle parti, se cioè fosse prevalente l’elemento dell’attività lavorativa prestata dall’assuntore o all’elemento materiale del conseguimento dell’utilità (cioè del bene futuro). Considerazioni analoghe si possono fare circa il rapporto tra appalto e somministrazione. Infatti i due contratto presentano indubbiamente notevoli punti di somiglianza; anche qui il vero tratto distintivo è dato proprio dalle differenti caratteristiche della prestazione dovuta dall’esecutore. Nella somministrazione l’elemento qualificante il contratto è la consegna delle cose oggetto di somministrazione (che il dare proprio di questo contratto), che è differente, in ipotesi, dall’organizzazione di un servizio di distribuzione (che caratterizzerebbe un appalto con profili di somministrazione): in questa prospettiva il catering, ad esempio, è senza dubbio riconducibile alla figura dell’appalto. In ogni caso l’art. 1677 cod. civ. fa salva l’applicazione delle norme relative alla somministrazione in quanto compatibili. Giova infine segnalare come il contratto di appalto possa avere profili di vicinanza e sovrapposizione con il mandato e con la subfornitura. 5) La prestazione dell’appaltatore. L’appaltatore è tenuto ad eseguire l’opera o il servizio secondo quanto stabilito dal contratto e a regola d’arte (art. 1662, 2° comma, cod. civ.); il committente ha quindi il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne lo stato (art. 1662, 1° comma, cod. civ.). Peraltro, come è agevole intuire, è estremamente difficile che un’elaborazione progettuale relativa ad un appalto sia completamente esaustiva; questo sia perché spesso la progettazione non è definita in tutti gli aspetti sia perché, essendo l’appalto un contratto ad esecuzione prolungata, è per definizione sottoposto ad un numero più o meno ampio di varianti ed incognite. Proprio in questa prospettiva gli artt. 1659 – 1661 cod. civ. dettano la disciplina delle “varianti”. In questo senso si è quindi soliti distinguere tra variazioni concordate (art. 1659 cod. civ.), variazioni necessarie (art. 1660 cod. civ.) e variazioni ordinate dal committente (art. 1661 cod. civ.). Variazioni concordate: ai sensi dell’art. 1659 cod. civ. l’appaltatore non può procedere a variazioni se non con l’autorizzazione del committente. Tale autorizzazione (che in realtà integra una normale ipotesi di modifica consensuale del contratto) deve risultare da atto scritto richiesto ad probationem (art. 1659, 2° comma, cod. civ.), anche quando il contratto di appalto risulti concluso oralmente. Il terzo comma della disposizione specifica che se il prezzo dell’opera o del servizio è stato determinato globalmente non viene variato in queste ipotesi, salvo diverso accordo tra le parti. Variazioni necessarie: l’art. 1660 cod. civ. prevede quelle varianti necessarie da un punto di vista tecnico per garantire l’esecuzione dell’opera a regola d’arte (o per garantire i diritti assoluti altrui, o per rispettare norme tecniche non derogabili). Queste variazioni – che devono essere veramente necessarie, altrimenti si rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 1664 cod. civ. – sono da ritenersi una sopravvenienza contrattuale in grado di incidere sulle caratteristiche dell’opera e sull’importo del corrispettivo, sempre che non siano imputabili a nessuna delle parti. In queste ipotesi è ben possibile che le parti si accordino tra di loro, nel qual caso nulla quaestio. In caso contrario la disciplina dettata dal legislatore è previsto che l’appaltatore possa recedere dal contratto se l’importo delle variazioni supera di un sesto l’importo complessivo stabilito, con possibilità di ottenere, secondo le circostanze un’equa indennità; parimenti anche il committente può recedere, se le variazioni sono di notevole entità, corrispondendo equo indennizzo all’appaltatore. Variazioni ordinate dal committente: il committente, ai sensi dell’art. 1661 cod. civ., ha la facoltà di ordinare o autorizzare modifiche non necessarie, con una vera e propria deroga alla disposizione dell’art. 1372 cod. civ. che consente, quindi, delle modifiche unilaterali al contenuto del contratto, ancorché non illimitate. In tale prospettiva si deve in primo luogo distinguere tra varianti che eccedono o meno il sesto del prezzo: quelle che superano tale soglia non sono ammesse, mentre le altre sono possibili ma il committente deve versare il corrispettivo, anche se il prezzo era stato determinato globalmente. Allo stesso tempo non sono comunque possibili variazioni che comportino “notevoli modificazioni alla natura dell’opera o dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previste nel contratto per l’esecuzione dell’opera medesima”; in questo caso l’esecutore può opporsi, salva la facoltà del committente di recedere ex art. 1671 cod. civ. In questa sede è possibile affrontare anche il problema di un’ulteriore sopravvenienza contrattuale costituita dall’onerosità o difficoltà dell’esecuzione (art. 1664 cod. civ.), che rappresenta una previsione speciale rispetto alla norma dell’art. 1467 cod. civ. La norma dell’art. 1664 cod. civ. (che è liberamente derogabile dalle parti), nei suoi due commi, si riferisce da un lato all’eccessiva onerosità sopravvenuta (“qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo”), e, dall’altro, alla difficoltà di esecuzione (difficoltà che derivino, ai sensi dell’art. 1664, 2° comma, cod. civ., da cause geologiche, idriche e simili). Nel primo caso la legge prevede, in caso di variazioni imprevedibili, la possibilità di una revisione del prezzo convenuto, se la variazione supera il decimo del prezzo pattuito e solo per la parte superiore al minimo di un decimo (che è una sorta di quota di alea contrattuale stabilita presuntivamente dal legislatore). Nell’ipotesi disciplinata al secondo comma è invece previsto un equo compenso per il rischio geologico che abbia comportato una notevole maggiore onerosità della prestazione dell’appaltatore. 6) Garanzie e responsabilità dell’appaltatore. Una volta che l’opera sia terminata ed accettata da parte del committente (art. 1665 cod. civ.) sorge il diritto dell’appaltatore al pagamento del corrispettivo. In ogni caso in capo all’appaltatore permangono obblighi anche dopo la consegna dell’opera. Infatti l’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera (artt. 1667 e 1668 cod. civ.); in prospettiva solo parzialmente analoga l’art. 1669 cod. civ. prevede una peculiare forma di responsabilità in capo all’appaltatore in caso di rovina e difetti di cose immobili destinate a durare nel tempo. Per quanto concerne la garanzia per difformità e vizi dell’opera punto di partenza è ovviamente la previsione dell’art. 1667 cod. civ., che detta una disciplina speciale per le ipotesi di inesatto adempimento costituite da difformità e vizi dell’opera. La norma non è applicabile in caso di vizi palesi, se il committente ha accettato l’opera e i vizi erano conosciuti o riconoscibili, salvo che fossero stati taciuti in mala fede dall’appaltatore (art. 1667, 1° comma, cod. civ.), mentre il committente conserva la garanzia in caso di vizi occulti anche in caso di accettazione incondizionata dell’opera. Sempre secondo l’art. 1667 cod. civ. l’azione si prescrive in due anni che decorrono dal momento della consegna, e il committente deve, a pena di decadenza, denunziare entro sessanta giorni dalla scoperta le difformità o i vizi; la denuncia non è necessaria “se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi e se li ha occultati”. L’art. 1668 cod. civ. disciplina gli strumenti di tutela che sono accordati al committente. Questi può chiedere l’eliminazione delle difformità o dei vizi a spese dell’appaltatore (ma, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, non può far svolgere i lavori ad un terzo e pretendere dall’appaltatore il rimborso delle spese sostenute) o, in alternativa, può ottenere una riduzione del prezzo pattuito che sia proporzionale al minor valore del bene. In ogni caso, come prevede l’ultimo inciso del primo comma della norma in esame, il committente ha diritto al risarcimento del danno. L’art. 1668, 2° comma, cod. civ. prevede anche la possibilità della risoluzione giudiziale del contratto se le difformità o i vizi sono tali da rendere l’opera “del tutto inadatta alla sua destinazione”, risoluzione che ha effetto retroattivo e che, di conseguenza, fa venir meno per il committente l’obbligo di pagare il corrispettivo. L’art. 1669 cod. civ., invece, detta una speciale ed eccezionale ipotesi di responsabilità dell’appaltatore in caso di realizzazione di edifici o di altri beni immobili destinati per loro natura a lunga durata; se l’immobile, nel corso dei dieci anni dal compimento dell’opera, rovina in tutto o in parte o presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti l’appaltatore è responsabile, sia che tale rovina o pericolo dipendano dal vizio del suolo che da difetto di costruzione. Questa forma peculiare di responsabilità (che la dottrina prevalente ritiene di natura contrattuale, mentre la giurisprudenza la ascrive a quella extracontrattuale) sorge in caso di rovina totale o parziale (non è comunque necessario il crollo dell’immobile), in caso di pericolo evidente di rovina e in caso di gravi difetti dell’opera e si fonda sulla colpa (presunta iuris tantum) dell’appaltatore. La disposizione in esame, attraverso un’interpretazione estensiva da parte della giurisprudenza, è applicabile non solo nei confronti dell’appaltatore, ma anche verso il progettista e il direttore dei lavori, nei confronti del costruttore-venditore e addirittura contro lo stesso committente in caso di danni recati ai terzi. Il contenuto della garanzia è tradizionalmente stato inteso come limitato al solo risarcimento del danno; recentemente la giurisprudenza ammette la possibilità per il committente di chiedere, in alternativa, la reintegrazione in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 cod. civ. La responsabilità ha durata decennale: la rovina o il pericolo o i gravi difetti devono concretizzarsi, dunque, entro dieci anni dalla consegna dell’opera. L’azione può essere esercitata se viene denunciata entro un anno dal momento in cui si ha la scoperta effettiva del vizio dell’immobile; il legittimato è poi tenuto ad agire entro un anno dalla denuncia per evitare che l’azione si prescriva 7) Il recesso del committente ex art. 1671 cod. civ. L’art. 1671 cod. civ., con una disposizione che va tenuta ben distinta rispetto alla previsione dell’art. 1373 cod. civ. (recesso unilaterale dal contratto di una delle parti), concede al committente un eccezionale diritto potestativo di recedere unilateralmente dal contratto anche se l’esecuzione della prestazione è già iniziata e purché la stessa non sia interamente eseguita. Il committente – per le ragioni più varie che possono andare dalla perdita di fiducia nell’appaltatore al venir meno dell’interesse alla realizzazione di quell’opera – può quindi recedere senza dover fornire alcuna adeguata giustificazione né dare un congruo preavviso. Nondimeno la norma tutela adeguatamente la posizione dell’appaltatore, pur non avendo questi alcun interesse giuridicamente protetto alla prosecuzione della prestazione. Tale tutela si concretizza con l’obbligo, per il committente che receda ex art. 1671 cod. civ., di pagare all’appaltatore il corrispettivo in proporzione alle opere o ai servizi già eseguiti, di tenere lo stesso indenne da eventuali spese sostenute che non siano ricomprese nel corrispettivo versato e, infine, di corrispondere all’appaltatore l’utile che gli sarebbe derivato dall’esecuzione del contratto.