Comune di Bienno
[a miniera perduta
Cinque anni di ricerehe areheometallurgiehe
nel territorio di Bienno
A cwra di
Costanza Cucini Tizzoni
Marco Tizzoni
Caprrolo VIII
Ponte di Val fiabbia
I e II:
ibassofuochi di Età longobarda
C o stanz.a C
I siti
I due impianti di riduzione del feno
erano situati rispettivamente sulla
sponda destra e su quella sinistra del
torrente di Val Gabbia, in corrispondenza del cosiddetto "Ponte di
Berto", a quota 13 15 e 1300 m s.l.m.
(fig.46, a). Essi si trovano poco più in basso del complesso siderurgico denominato Ponte di Val Gabbia
III, distante 2I0 m in linea d'aria, e sono posti in
corispondenza dell'unico punto di guado del torrente
lungo il sentiero che da Bienno conduce alle miniere
difeno di Piazzalunga.La distanza che li separa I'uno
dall'altro è brevissima" circa 40 m.
Primadello scavo, entrambi i siti erano segnalati solo
dall'affioramento di pochi scarti di riduzione del ferro
e da terreno carbonioso nerastro, mentre non erano
presenti cumuli di scorie.
Come vedremo, i due impianti siderurgici sono del
tutto analoghi per resti materiali, tecnologia, organizzazione spaziale, scafti prodotti e cronologia. In
assenza completa di materiali ceramici, la datazione
è stata effettuata con il radiocarbonio a Londra, nel
laboratorio del British Museum ed ha fornito le seguenti date calibrate: Ponte di Val Gabbia I è risultato attivo fra iI620 e il 660 d.C. al 68 Vo di probabilità e fra il 590 e il 680 d.C. al 95 Vo di probabilità
(BM-2938), menÍe Ponte di Val Gabbia II è compreso fra il 615 e 11615 d.C. al 68 7o di probabilità e
fta il 560 e il 760 d.C. al 95 Vo di probabitità (BM2988). Le attività di riduzione del feno si svolsero
dunque in piena età longobarda; non è invece possibile stabilire se i due bassofuochi abbiano funzionato
contemporaneamente o se invece I'attività metallur-
ucini Tizzoni
gica si sia spostata dopo qualche tempo dall'una al1'altra sponda del torrente. Per comodità di esposizione, comunque, i due impianti vengono qui di seguito presentati insieme (1).
8.2Lo scavo
Gli interventi archeologici sono stati condotti durante
due campagne estive (2) ed hanno permesso di distinguere diverse fasi di ufllizzo siderurgico delle due
aree, tutte riconducibili all'epoca longobarda. Entrambi i siti, ma soprattutto il secondo, risultano in
gran pafte ingombri da grandi massi di frana, crollati
dall'alto delle montagne soprastanti in almeno tre distinti momenti; la Tocaltzzazione dei saggi di scavo
non ha quindi potuto seguire un ordine geometrico
di campionatura, ma è stata frutto di una scelta obbligata, poiché la superficie disponibile era ridotta
anche da numerosi grandi abeti. Proprio la presenza
dei pietroni franati e degli alberi ha impedito lo scavo
dei resti dei forni di riduzione.
8.2.1 Periodo 1. Fase
I.Impianto
Prima dell'inizio delle attività siderurgiche, la zona
non presentava alcuna precedente fase insediativa; le
uniche attività antropiche che fino ad allora dovevano averla interessata erano collegate al guado del
torrente.
La sponda destra del corso d'acqua (sito I) venne tagliata per creare un tenazzo artificiale sul quale impostare le strutture siderurgiche. La rasatura (US 13)
asporlò parte del terreno steile di base della zona, un
deposito glaciale formato da ghiaia e ciottoli arrotondati misti a sabbia nocciola rosato dell'alterazione
delle arenarie locali (US 11). Nel saggio E, subito al
di sopra di questa spianata venne realizzato un carbonile per depositarvi il combustibile necessario alle
attività di riduzione. A tale scopo si riportarono cao-
i detriti della rasatura del monte - grossi
ciottoli e sabbia, US 22 - contro pareti di legno reahzzafe probabilmente con pali verticali e traversine
lignee onzzontah di rinforzo. Di tali pareti delcarbonile è stata scavata solo quella Sud Ovest - interfaccia US 21 - che aveva come imposta la canaletta
US 20, sede di un tronco dotmiente che costituiva la
base dei pali; la canaletta, rettilinea (lung. documentata cm 120, largh. max cm 20, h max cm 15) era scavata nello sterile (.fig. 46, b e 50, 0. La struttura di
ciottoli e detriti US 22 costituiva quindi una softa di
muro di sostegno del carbonile,realizzato impiegando
materiale di risulta dal taglio del monte.
Sul lato opposto del tor:rente (sito II) l'atea si presentava piuttosto sconvolta e irregolare per la presenza di numerosi blocchi di roccia crollati dal monte
soprastante; tale frana si verificò in un'epoca imprecisabile, ma certo di molti anni precedente all'impianto siderurgico, data la formazione di lembi di paleosuolo fra gli interstizi delle pietre, documentata
nel saggio N, US 17 (vd. 8.2.4).I primi lavori per
I'installazione dell'atelier di riduzione del ferro furono volti dunque anche qui alla regolanzzazione dell'areae allacreazione di una sorta di terrazzamento,
sebbene in pendenza, su cui stabilire le strutture produttive.
Ciò è documentato nel saggio R dal taglio - US 10 operato nel tereno sterile di base (US 3); questo taglio (fig. 47, a), creando una sorta di gradino, incideva il margine settentrionale del tenazzamento fin
quasi alla base del ripido pendìo montano. L'intervento successivo consisté nel riporto del terreno
smosso per livellare eventuali depressioni o irregolarità ancora presenti: I'US 9, ad andamento orrzzontale, formata da sabbia incoerente mista a ciottoli, era ciò che restava del suolo su cui si impostarono
le attività siderurgiche.
ticamente
8.2.2 Periodo 1. Fase II. Uso
Nel sito I, al di sopra del livellamento artificiale IJS
13 o direttamente del terreno sterile si depositarono
alcuni strati a prevalente matrice carboniosa, tutti in
relazione più o meno diretta con l'attività del bassofuoco per la riduzione del ferro.
Nel saggio B l'US 12 erauno spesso deposito di carbone, anche inpezzidi grandi dimensioni, terreno li-
t42
moso, ciottoli, scorie e scarti siderurgici, frammenti
del forno (ftg. 47 , b). Il rinvenimento di pezzi della
struttura di riduzione sembra indicare che nel corso
del suo funzionamento essa fu sottoposta a restauri
o rifacimentiparuiali Ad esso corrispondeva nel saggio G l'US 19, di minor spessore. ma costituito dallo
spargimento degli stessi materiali al margine della
spianata artificiale e in parte lungo la scatpata verso
il sentiero e il torrente sottostanti. Ancora a quota più
bassa, lungo il sentiero attuale, nel saggio F si assisté alla progressiva formazione dell'US 18 sullo sterile di base; tale deposito era costituito da limo carbonioso nerastro contenente sia scafti siderurgici, sia
lenti di teffeno naturale in seconda giacitura, che indicano come la sua deposizione fosse avvenuta durante tutto I'arco di tempo in cui il bassofuoco era in
funzione.
Il deposito siderurgico di maggiore consistenza è
quello individuato nel saggio B, disposto a formare
un notevole accumulo sul lato Nord Est: questa caratteristica indica con buona approssimazione che il
forno per la riduzione del ferro doveva essere locahzzato poco al di sopra di esso, nel punto più ripido
della scarpata.
Nel saggio C, la più a monte delle aree di scavo aperte
nella telr azza artificiale, 1o s trato di limo c arb oni o s o
misto a ciottoli US 15 non conteneva scarti della lavorazione del ferro, dato che era ubicato in posizione
marginale e forse a quota appena superiore rispetto
al forno (fig. 48, a); esso tuttavia ha petmesso di definire I'estensione dell'area siderurgica e dello spargimento dei materiali ad essa connessi, limite che
conispondeva al bordo dellatenazza artifrciale e alI'inizio della ripida scarpata che la delimitava sul lato
orientale.
Nel saggio E il carbonile era riempito da uno spesso
deposito di carbone puro, continuamente prelevato
per il forno, con conseguente nuovo riempimento del
carbonile stesso. Nel corso dell'utilizzo della struttura si formò I'US 23, il riempimento della canaletta
20 costituito dalle infiltrazioni di sabbia e carbone
sotto il trave dotmiente e fra i pali di sostegno delle
pareti.
Nel saggio A gli strati di limo e carbone IJS 9 e 10
contenevano una fofte percentuale di "ammassi" di
scorie spezzettate in piccoli frammenti aggregati in
seconda giacitura da una patina d'idrossidi. E' significativo che tali ammassi si trovassero soprattutto al
di sopra ed intorno ad una grossa pietra infissa nel
terreno di base, superiormente un po' appiattita, che
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doveva servire come piano di percussione per la fran-
tumazione delle scorie (vd. 8.4.2) (fig. 48, b).
Anche nel sito II le strutture produttive si stabilirono
al di sopra del livellamento artificiale; la loro dislocazione topografica è ipotizzabile con buona approssimazione in base alla distribuzione dei materiali
raccolti nei singoli saggi di scavo (tab. XI). In questa fase comincia a funzionare il forno di riduzione
del ferro, che doveva essere ubicato immediatamente
a monte dei saggi P ed U, che hanno restituito la maggiore quantità
di frammenti delle pareti della strut-
tura.
Nel saggio P (fig. 49, a) è stato scavato uno strato
spesso circa 20 cm con andamento in pendenza verso
iltorrente - US 6; esso era costituito da limo sabbioso
misto a carbone e qualche pietra e conteneva soprattutto frammenti di parete di forno oltre a una cospicua quantità
di scorie, "ammassi" e frammenti di
minerale.
U I'US 16, che doveva costituire Ia continuazione dello strato 6; questo deposito, ad andamento irregolare, andava a riempire una depressione (h cm 40, largh. cm 100) verso
Nord Est, cioè presso il vicino saggio P. Anche questo livello, come I'US 6, poggiava direttamente sul
tereno di base. La presenza nei due depositi di frammenti della struttura di riduzione è indice di suoi riDel tutto analoga era nel saggio
facimenti o restauri parztali durante questa fase.
all'attività del forno è la fbrmazione di alricchi di residui siderurgici, individuati nei saggi di scavo Q, R, S e T, tutti poggianti sullo sterile. Nell'area Q I'US 7, un livello di
tena sciolta carboniosa con poche scorie e frammenti
di forno e molti pezzi di minerale, scendeva verso
Nord Est in pendenza piuttosto accentuata. Nel saggio R, ai limiti settentrionali dellatenazza artificiale,
l'US 8 era un modesto deposito di terreno ricco di
lrammenti di carbone di varia pezzaturaframmisti a
minerale frantumato, che insisteva sopra il livellamento US 9. Nella sottostante area di scavo S (fig.
49, b) uno strato di limo sabbioso incoerente contenente moltissimo carbone ma rare scorie - US 12 eraposto al di sopra della spianata artificiale. Infine
Connessa
La massiccia e quasi esclusiva presenza di frammenti
di minerale negli strati 7 e 8 dei settori Q ed R indica
che subito a monte di questi due saggi doveva essere
ubicato il deposito del minerale da ridune.
8.2.3 Periodo 7. Fase III. Uso
Nel sito I lo scavo ha rivelato una scansione in due
fasi distinte del periodo di ufllizzo del bassofuoco.
Nel saggio A, al di sopra dei livelli carboniosi precedenti (US 9 e 10), si depositò I'US 8, un sortile
strato di sabbia sterile. Tale piano probabilmente si
fomò per dilavamento durante un intervallo di tempo
piuttosto ristretto in cui la zona era stata abbandonata, forse stagionalmente. Al di sopra di questo livello si depositò poi I'US 7, uno strato di carbone
frammisto a scorie, pietre e "ammassi", coevo alla
prosecuzione del funzionamento del forno siderurgico.
Contemporaneamente nei saggi B, C, F e G continuò
la progressiva formazione, rispettivamente, delle US
12,75,18 e 19 e nel saggio E il carbonile era ancora
in uso; 1'US 17, uno spesso strato di carbone con qualche rara scheggia di pietra, costituiva il deposito di
combustibile parzialmente utilizzato per le ultime
"andate" del forno, il cui avanzo fu poi abbandonato
all'interno della struttura. L US 17 mostrava nella sua
parte più superficiale - US 17 A - un'infiltrazione di
limo certamente proveniente dal superiore strato di
abbandono (fig. 50).
cuni strati carboniosi,
di scavo posto più in basso lungo la sponda
del tonente, I'area T (fig. 49, c), è stata scavata I'US
14, ad andamento orizzontale, formata da sabbia nerastra con molto carbone e pochissime scorie; ad essa
è connessa anche la lente US 15, costituita da sabbia
grigia chiara; lo strato 14 poggiava direttamente sullo
sterile, contenente grandi pietroni dell'antico crollo.
nel saggio
8.2.4 Periodo 1. Fase
IV Distruzione e abbandono
Alla fine delle attività di riduzione e all'abbandono
del sito I fece seguito la formazione di alcuni strati
naturali. Nel saggio B il disuso del forno soprastante
fu segnato dal deposito dell'US 6, costituita da limo
carbonioso con lenti di sabbia grossolana giallastra,
disposto in pendenza e composto sia da materiali di
distruzione e deperimento della sÍuttura siderurgica
- pezzi di forno, scorie, carbone - sia dal dilavamento
del terreno naturale esposto a quota superiore. Di
fianco al fomo, nel saggio C si formò lo strato 14,
forse per smottamento della sezione artificiale della
terrazza'. si tratta infatti dello sterile in giacitura secondaria. Nel saggio A si depostò I'US 3, costituita
da tereno limoso-sabbioso contenente scorie e carbone.
Infine, a suggellare I'abbandono generale della zona
compresa fra i saggi A, B, C e G si depositò I'US 2,
un suolo limoso-sabbioso giallastro, compatto, misto a ciottoli, formatosi verosimilmente in un lungo
143
16 nel saggio E,
nerale furono spazzativia dal crollo che distrusse anche il forno, per I'analogia e la contemporaneità di
questo impianto siderurgico con quello del sito I è le-
bandono.
cito rpotrzzare che anche qui il carbonile fosse una
semplice struttura in legno; anche il deposito del minerale doveva essere un annesso piuttosto precario.
Sta di fatto che il carbonile crollò verso valle e il carbone andò a riempire la vicina depressione US 17; il
minerale fu disperso lungo la pendenza dellatenazza
arlificiale, in effetti è stato recuperato un po' ovunque, ma soprattutto nei saggi N ed R, quelli cioè in
prossimità della sua ubicazione.
lasso di tempo per i continui dilavamenti del teneno
lungo la pendice del monte. Analoga ad esso era I'US
in cui prevalevano largamente ciottoli e pietre di grandi dimensioni.
Diversa la situazione sulla sponda opposta del torrente. Infatti la fine delle attività di riduzione nel sito
II fu determinata da un evento naturale, come indicano le stratigrafie scavate; si trattò di una frana di
grossi blocchi di pietra che distrusse almeno in par-te
le strutture siderurgiche e rese I'area impraticabile
perché ingombra di massi, causandone quindi 1'ab-
Al limite occidentale del saggio P al di sopra dell'US
6 si depositò un blocco di arenaria di grandi dimensioni, tuttavia trascurabile rispetto ai pietroni che si
accumularono subito a monte, cioè nello spazio fra i
saggi Q, S e P, dove doveva trovarsi il forno di riduzione. E'in pafte addosso a questo masso che in seguito si andò formando I'US 5, un deposito piuttosto
consistente di terreno sabbioso-limoso nero per la co-
spicua presenza di carbone, poco coerente, contenente una notevole quantità di scorie; si sottolinea la
presenza, vicino al grosso masso suddetto, di una concentrazione di frammenti di scorie di aspetto peculiare, ben distinguibili dalle rimanenti per le superfici non ossidate, con lucentezzametallica, che sono
poi risultati ricomponibili e facenti parte di un'unica
colata a forma di ventaglio (vd. 8.5.12). Si può pensare che essa sia scivolata da una quota superiore fino
a depositarsi qui, come avvenne probabilmente anche per gli altri materiali del forno che vi si sono recuperati.
La frana dovette causare il crollo subitaneo dei depositi del carbone e del minerale, ubicati al margine
nord-occidentale del livellamento artificiale, citca
10 m a monte dell'ipotizzabile posizione del forno.
Nel saggio N è stato scavato un consistente deposito
- US 4 - di carbone molto concentrato e pressato, sia
in polvere, sia soprattutlo in pezzi anche di notevoli
dimensioni (fino a cm 10 x 10 x 25); rn esso si notava la presenza di poche scorie e, nella parte più a
valle, di lenti sottili di minerale in piccola pezzattxa.
Tale deposito era andato a riempire una depressione
molto inegolare del teneno - US t7 - formata da alcuni grandi blocchi e ciottoli di arenaria deposti
caoticamente nel corso di un precedente crollo di
massi; negli interstizi delle pietre si erano formati
lembi di paleosuolo, ad indicare l'antichità di questo
primo movimento franoso.
Evidentemente sia il carbonile sia il deposito del mi-
144
Infine, subito all'inizio del livellamento artificiale,
nel saggio S il movimento franoso depositò uno strato
di sabbia sterile di colore bruno rosato chiaro - US
11 - disposto in pendenza.
8.2.5 Periodo 2. Età moderna
Alla distruzione e all'abbandono dei bassofuochi seguì un lungo periodo in cui la località non fu sede di
alcuna attività antropica, ad eccezione, come abbiamo
detto, del passaggio in corrispondenzadel guado sul
torrente.
Nel sito I a segnare il definitivo disuso dell'area siderurgica, in un momento successivo, ma non precisabile - probabilmente dopo alcuni secoli - venne
scavata nel saggio A una canaletta - US 5 - della
quale restano i margini irregolari, forse perché in
origine doveva essere foderata di legno. La canaletta (largh. cm 60 h max cm 30, lung. documentata corrispondente alla larghezza del saggio. cm
100), parallela al corso del tonente di Val Gabbia,
doveva avere la funzione di dedurre acqua a monte
del torrente stesso e di addurla ad una vasca o abbeveratoio per gli animali. Pochi ruderi di alcune
vecchie baite affiorano sul tenazzo soprastante 1'area siderurgica, nei pressi del saggio D, che non ha
restituito stratigrafie antropiche. Bisogna ricordare
inoltre che Ponte di Val Gabbia è situato ad un bivio fra tre sentieri, uno dei quali conduce a vari alpeggi presso la Malga Val Bresciana: è probabile
dunque che qui esistesse un abbeveratoio, data l'impossibilità per gli animali transumanti di accedere
alle rocciose sponde del torrente.
Durante i secoli di vuoto insediativo nel sito II si assisté alla fotmazione dell'US 13 nel saggio T; quest'area di scavo, la più a valle, è stata apefia nel terrazzo fluvrale, sottostante il forno, che costituiva il
punto di colluvio dell'area siderurgica a montel qui
si era verificato un fofte accumulo di materiali già
durante la fase
di attività di riduzione del ferro. Lo
di sabbia sciolta matrone,
$rato 13 era un deposito
pietre, che ha restituito un cospicuo quantitativo di materiali, soprattutto scorie colate; la sua
formazione è dovuta al lento e progressivo scivolacon poche
di tena mista a scorie, frammenti delle
pareti del forno e pezzi di minerale.
E'verosimilmente in questa fase che vienerealizzafa
una carbonaia, lungo il sentiero per Ptazzalunga e a
pochi metri di distanza dal ponte. Pur non avendo
elementi cronologici né relativi, né assoluti, essa non
sembra coeva o collegata ail'impianto siderurgico,
ma piuttosto successiva e indipendente; 1'analogia
con le altre numerose carbonaie dislocate lungo la
Val Gabbia e tutti i corsi d'acqua dellazona,due delle
quali sono state oggetto di scavo, fa propendere per
questa ipotesi (vd. 3.8.1).
carbonaia risultava impostata su una radura artiiale pianeggiante e constava di uno spazio circo(diametro m 6.5) con il bordo úalzato mediante
riporto del teneno di base - US 3; al di sopra di esso
mento a valle
i svolgevano le operazioni di carbonificazione del
. Il saggio M è stato aperto immediatamente
'esterno della struttura, dove affioravano in suicie poche scorie di ferro; al di sopra dello sterile
evidenziato uno strato di sabbia nerastra e picpietre, con molto carbone - US 2 - che degra-
stato
leggermente verso Sud. Si traftava di un depoformatosi con il progressivo accumulo di frami di carbone e scarti di lavorazione.
ine, al di sopra di entrambi i siti si deposita uno
di humus - US 1 - di diverso spessore, in parle
ad un ultimo, limitato movimento franoso.
a
Interpretazione
quanto sopra esposto si evince come gli impianti
iPonte di Val Gabbia I e II siano stati in uso durante
unico periodo. La formazione di molti depositi di
, scorie e scarti di forrro continuò senza soiali cesure rilevabili dalle stratigrafie, ad eccedell'US 8 nel saggioA; essa fa tuttavia pensare
al
più ad un'articolazione delle attività in fasi sta-
iprobabilmente contigue, cioè in alcuni anni
tivi, anche se ciò non può essere provato con
sito
II intenuppe bruscamente la sua attività in
se-
ito alla caduta di grossi blocchi di arenaria dalla
gna soprastante. Ciò è indicato non solo dai
ipresenti nelle stratigrafie della fase IV, ma andal crollo improvviso del carbonile e del depo-
sito del mineraie. Non ci sono indizi per precisare in
quale momento ciò avvenne, si può forse pensare al
periodo invernale, quando I'atelier non doveva essere in funzione e quando sono frequenti nella zona
valanghe o cedimenti franosi delle pendici rocciose
per I'escursione termica. E'forse rpotizzablle che in
seguito a questo evento le maestranze operanti nella
lavorazione del ferro abbiano spostato la loro sede
stagionale sulla sponda opposta del torrente - sito
- dove la situazione topografica offriva un sito più
agevole e meno esposto ai crolli;non si può comunque escludere la contemporaneità di funzionamento
dei due siti, né l'anteriorità del forno di Ponte di \hl
Gabbia I.
La stretta analogia nel tipo di impianto, nelle caratteristiche degli scarti di produzione (vd. 8.5) e nella
cronologia fanno propendere per la ripresa o la continuità del lavoro siderurgico da parte delle stesse
genti, oppure di maestranze tecnologicamente e culturalmente affini.
In entrambi i siti, tuttavia, la presenza di molti fram-
I
menti di forno nelle stratigrafie d'uso sembra indicare che le strutture vennero almeno parzialmente ricostruite durante la loro attività. Ciò significa che il
loro funzionarnento si prolungò nel tempo.
Entrambi i siti dovettero comunque avere una vita
piuttosto circoscritta, soprattutto in base aile modeste quantità di materiali di scarto recupetate.
8.3I forni
I bassofuochi veri e propri non sono stati individuati
e scavati, poiché erano obliterati da crolli di grossi
blocchi di pietra e dagli alberi. La loro localizzazione
risulta tuttavia determinabile con sufficiente approssimazione, e quasi obbligata in base alle seguenti considerazioni.
Srro I:
a) la disposizione generale, in pendenza a partire da
un punto circoscritto, dei depositi archeoiogici contenenti carbone e scorie delle aree di scavo B e C (vd.
8.2.2);
b) 1'affioramento della maggiore quantità di frammenti di forno nelllarea delle radici di un grosso abete
- che ne ha impedito lo scavo stratigrafico - ubicato
immediatamente al di sotto di un crollo di pietroni,
presso il saggio B.Ipezzi di forno risultavano qui fir
tamente concentrati e non dispersi come nei restanti
depositi archeologici;
è stata recupelata
rogtiu della':porta" del forno
questo punto'
.
in supeificie al di sotto di
si può dedurre che
osservazioni
queste
su
Basandosi
posto nelia ristretta area
il bassofuoco doveva essere
B e il saggio C' al di sotto del
.iiu
.l-nt.*
;;;"à"
fta il saggio
i resti'
abete che ne ha distrutto
Sno II:
nelle straJttp"ttzione dei materiali recuperati
nei
mentre
;;;;ft. ii ,.uuo (tab' Xi) è indicativa:
quantità di framJ;;t M, i, q' n.o S sono esigue 1eparte
delle pareti'
di fomo presenti, la maggior
menti
'à-"ipJ"iAi
ilìi
argitla concotta
pietre alterate dai
"à"tt"
iuogo dal saggio
;;l;. prouieÀ in primo
;;;;J distanza dal saggio Ú'
P' seguìto
In queste due aree di
notevoli quantitativi
scavo sono stati raccoii"anche
di scorie;
a
;;;;;;ggi P ed u provengono alcune,"placche
vengono discusse nel
ventaglio" fÌammentarie che
par. 8.5.12.
riduzione do-
la struttura di
Da tutto ciò si evince che
a monte del sagl"uu.rr"r" ubicata immediatamente
possibile scavare poiché
sio P, dove però non è stato
i;;;;;t;pau
dal crollo di grossi pietroni'
e ventilazione .
8.3.2 Materiali impiegati
parete dei forni di Ponte di
Uesame dei tiammenii di
le sffutture erano reaVal Gabbia I e II mostra che
f impiego di pichzzate,almeno in parte' mediante
legati da sabbia argilcoli ciottoli di arenaria locale'
dimensioni
anch'ersa pr"tente nella zona'Le
losa
oscrliano da un minimo
medie deile pietre recuperate
cm 10 x 9' ma sono quasl
di cm 8 x 7 a un massimo di
doyevl trattarsi di
sempre frammentarie' oppure
frablocchi più grandi'
zeppe impiegate negli inteistrzi
del tutto assenti rlatertzi'
niiuttu"ó
^i"
paquesti blocchetti mostra la
-"t*f* parte di da
molto
una pellicola di argilla
rete interna ricoperta
di cui re*"óÀOra a sabbia e a inclusi vegetali
pietre sono state
,i"í" f" impronte (vd' 8'3'4)' Alcune it3roies,l3.ji
durante
esposte direttamente al calore
una faccia vetnhanno
riduzione: in questi casi esse
per 1o spessore di
ficata e bollosa di colore nerastro
per circa 0:5 :t e stracotta
circa l-2 cm, arrossata
alcuni ciottoli che moO"t.i*" 2 cm' Vi sono anche alterazione termica e
i runo fenomeni di incipiente
;;i,-" calcinati, ma non vetrificati'
risulta vetrificata o
Si sottolinea che nessuna pietra
mostrano una sola superfusa su due facce, ma tutte
sembra di dover deficie esposta aila combustione:
furono costruiti utilizdune quindi che i forni non
strutture
di reimpiego da precedenti
zanoo Ir
)^"d.materiale
recuperati :
L" *oa"rt" quantità di materiali
l::t:
esistenza
disponibili fanno ipottzzare|
;;-;GÀci
iiì, *r" lorno in ciascun sito'
sito o[-
forno rappresentano in ciascun
raccolti; fra di essi non si setre rr 12 7a deimateriali
g.3.1 posizione dei Jbrni
di nessun frammento di ugello'
di ridu- gnala ra presenza
forni
i
precedenti,
Ponte di Val Gabbia
In base a'e osservazioni
si à verificato nel caso di
come
dovevano
II
e
I
ponte di val Gabbia
si deve forse
zione del fer:ro di
III, un.rr" p"r i o* iTliil: in esame
artrîrctari
ze
tenaz
delle
naturale (3);tutessere situati non ai centro
ipotiz,:are un sistema di ventilazione
u"Jì"ngo
siderurgici,
allabasedeifomi
rearrzzateper i due complessi
wiutffi;:lliy::relaterali
estremitàìirp;;;;;e
nerle pareti non può essere
le ripide scarpate u'"1àro
o di condotti d'aerazione
orientaleenord_orientui",*corrispondenruoiunoi- esclusa a priori. Purtroppo il mancato rinvenimento
i forni impedisce di poter escluslivello nelle pendici montane.
del fondl ài
a
dovuta
fu
ma
casuare,
"nt'u'ul presenza di un sistema di ventiTale rocaliz zazronenon era
che sfrut- dere con certezzala
tecnorogica
e
di stabilire forma del
una precisa scelta.";;;;;"
rurion" inào,,u, ro-L anche
Jou"uuno
fo-i
i
'a
teúeno:
della ventilazione
,uva ia configurazione del
forno ;; J" vorume' Se I'ipotesi
parzialmente
forse
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Anche i forni di epoca tardoantica-altomedievale
Ponte di val Gabbia III erano
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l
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ad
intervalli o continuativamente, per per-
alla scoria liquida che galleggiava sul bagno
i fuoriuscire.
rinvenimento della soglia del forno nel sito I e di
iammassi di scorie del tipo detto "placca a forma
i ventaglio" nel sito II consente di precisare questa
istica tecnologica.
i materiali della struttura siderurgica recuperati
superficie nel sito I si segnala infatti un pezzo quasi
che, per le sue caratteristiche, è stato intercome la soglia della "porta" del bassofuoco
51, a). Si tratta di un ciottolo di arenaria locale
la sola faccia inferiore spianata, di spacco (larcm24, spessore cm 11, h cm 15), di forma
e ad arco di cerchio; ben conservato, mosoltanto alcune abrasioni e rotture superficiali.
risulta ricoperto da scoria aderente o da coladi scoria su tutte le facce ad eccezione di quella
iore, che doveva poggiare su un'altra pietra o
direttamente sulla base del forno; anche il lato
istro è privo di scoria.
bordo inferiore esterno sono visibili tracce di arche doveva sigillare la commessura con il fondo
forno;essa, diversa da quella magra che rivestiva
pareti interne, è molto pura e plastica, priva di dinte sabbioso, ma contenente I'impronta di rari
ivegetali combusti.
scorificazione della soglia non è omogenea su tutti
lati, ma presenta una significativa diversificazione;
lato interno si tratta di una vera e propria incroione di scoria inegolare e spessa alcuni centimei, di color ruggine, con piccole bollosità in corrinza delle quali si nota la vetrificazione della
ia stessa e rare sgocciolature liquide; I'esterno
invece un velo di colatura di scoria molto liida, una sorla di sottile pellicola spessa pochi mili, di colore nerasffo, con numerose colature
evidenti e con sgocciolature tendenti al basso.
sul lato sinistro non c'è scoria se non supente, il lato destro mostra una colatura nerastra
a quella osseruata sulla faccia estelTta, ad ecione di una rottura superficiale della pietra opeidopo la distruzione del forno; tale colatura è
ad una mal eseguita commessura con la padestra del forno, da cui è fuoriuscita parte della
ia
liquida.
si nota sulla scorifical'impronta di uno strumento metallico, appa-
parte superiore destra
spranga appuntita; questa ffaccia può
stata impressa sulla scoria liquefatta dopo aver
te una
infilato I' utensile nella porta nel fare leva per estrane
il massello.
Recentemente è stata messa in evidenza I'importanza
della presenza o meno di una porta per la tipologia
dei forni (5). Quello di Ponte di Val Gabbia I era dotato di una porta posta a 15 cm almeno sopra il fondo
e larga almeno 24 cm; si trattava probabilmente di un
forno a imboccatura stretta, in cui il massello era
estratto per mezzo di uno o più strumenti attraverso
la porta, come dimostra l'impronta di utensile descritta; la soglia elevata aveva la funzione di trattenere prima la massa di carbone di legna alf interno
del forno e poi la massa di ossidi metallici da ridurre
a contatto con le scorie, favorendone la decarburazione (6).Inoltre la presenza di una porta indica che
il forno non doveva essere distrutto aila fine di ogni
processo di riduzione per recuperare il massello e che
quindi era concepito per un impiego ripetuto. La porta
doveva aprirsi in direzione della pendenzanaturale
del temeno.
Le numerose scorie colate recuperate e la presenza
della soglia attestano che il forno evacuava la scoria
liquida non a livello del suolo, ma da una certa altezza'. quando la scoria aveva lentamente riempito
tutto il fondo del bassofuoco e raggiungeva il livello
della soglia vera e propria, allora cominciava a colare all'esterno.
Ciò trova precise conferme nel sito II: nei saggi di
scavo P ed U - US 5 e 16 - sono state ritrovate alcune
"placche a ventaglio" (7); questo indica che il forno
aveva sul davanti una piccola depressione scavata nel
terreno dove si raccoglieva la scoria colata. Si trattava di una sorta di piccola vasca di forma ovale, con
il fondo concavo, poco profonda (h ricostruibile cm
5 circa), a sezione irregolarmente e leggermente semicircolare; la sua lunghezzaera di almeno 17,5 cm.
E' verosimile che tale depressione fosse inclinata
verso I'esterno, per facilitare lo scolo degli scarti di
riduzione.
Le caratterrstiche morfologiche di questa vaschetta
sono desumibili dalla "placca a ventaglio" meglio
conservata (vd. 8.5.12) (figg. 51 b, c,52),che ne reca
nettamente l'impronta; la depressione venne scavata
nel terreno immediatamente antistante alla parete
frontale del bassofuoco, subito al di sotto della sua
bocca inferiore, senza particolari attenzioni: il suo
fondo irregolare di terra, ghiaia e frammenti di scarti
siderurgici ha lasciato un'impronta molto precisa sulla
faccia inferiore dell'ammasso di scorie.
Questo tipo di sistema di evacuazione della scoria dal
r41
forno è già conosciuto in Europa. In Francia, nella
regione lorenese, il bassofuoco 2 di Frouard, datato
al V-VI sec. d.C. e soprattutto i forni di Ludres, delI'V[I-X sec., mostrano sistemazioni simili alla base
della parete frontale (8). Anche i bassofuochi di Boécouft Les Boulies nel Giura svtzzeîo, di epoca merovingia (VI-V[ sec. d.C.) erano dotati di un'analoga vaschetta anteriore per la raccolta della scoria,
come pure i forni XIX e XX di Bellaires III e il XXII
di Bossena I, nel Giura vallesano (9).
8.3.4 Aspetto interno ed esterno
In base ai resti recuperati, possiamo affermare che i
due bassofuochi di Ponte di Val Gabbia I e II erano
del tutto analoghi.
Per quanto concelîe il sito I, la forma schematicamente ad arco di cerchio della soglia (vd. 8.3.3) potrebbe far pensare ad una pianta circolare della base
del fomo; questo dato è puramente ipotetico, giacché la soglia è piuttosto inegolare e non pemette precise considerazioni, non si può quindi escludere che
il fondo fosse invece trapezoidale, o a ferro di cavallo, eccetera. Tuttavia si è calcolato il diametro interno ipotetico, risultante attorno acm36-37;ciò condur:rebbe ad una superficie del fondo di 10,4 dmq, si
tratterebbe dunque di un forno di debole capacitàproduttiva (10).
Più realistica è invece la considerazione dello sviluppo in elevato del forno. Come si è detto, il tipo di
ventilazione adottato sembra essere probabilmente
quello a tiraggio naturale; è stato rilevato che i forni
di questo tipo raggiungono la temperatura necessaria al processo di riduzione solo se molto sviluppati
nell'elevazione, intomo a 2 m dt altezza complessiva, cioè compresa una eventuale parte incastrata nel
suolo. Ricorderemo comunque che recenti dati sperimentali indicano che un piccolo forno di debole diameÍo come quello ipotrzzato e di modesta aTlezza
poteva raggiungere una temperatura tale da produrre
ghisa.
Nel sito II la "placca a ventaglio" (vd. 8.3.3 e 8.5.12),
oltre ad indicare il sistema di evacuazione degli scarti,
consente un' altra considerazione sulle caratteristiche
del fomo. Le diverse colature di scoria che la compongono si diparlono a raggiera da un unico punto o "sorgente" che doveva essere situata adun'altezza superiore di qualche centimetro alla placca stessa; ciò ha
per conseguenzacheil flusso della scoria liquida non
colava dalla base del forno, bensì da un'apefiura praticata nella parete anteriore a circa 12-15 cm di al-
148
tezza dal fondo esterno. La scoria quindi defluiva
nella vaschetta dalla soglia della bocca inferiore del
forno, da un'altezza analoga a quella documentata
nel sito I.
E'plausibile che sia la bocca inferiore del bassofuoco
sia la relativa vaschetta di raccolta degli scarti di riduzione fossero ubicate sul lato della struttura in pendenza verso valle, per favorire il deflusso delle scorie, mentre il caricamento avveniva dall'alto del terîazzo a cui il forno stesso doveva essere addossato.
La posizione della soglia ad una cefia altezza sul
fondo dei bassofuochi indica che essi erano stati realizzatiin modo da permettere un buon isolamento termico della loro parte più bassa, la "zona calda" e
quindi favorire la completa riduzione della massa metallica allo stato semifluido.
I forni erano in parte rivestiti intemamente da uno
strato della stessa sabbia argillosa che legava i ciottoli, contenente uno smagrante costituito da sassolini arrotondati di dimensioni non trascurabili, fino a
cm2x 1,6; questo rivestimento, fotlemente arrossato
dal calore e di spessore variabile da pochi millimetri
a cm 5,2, non interessava però, come si è detto, tutte
le pietre e tutte le parti delle strutture; lo stato frammentario dei reperti non consente tuttavia di stabilire
quali zone ne fossero prive. L analisi chimica di un
frammento di questo rivestimento della parete dal sito
II ha mostrato che essa era costituita essenzialmente
di silice e di alluminio (vd. 8.5.14).
La scorific azione dei ciottoli intonacati e di quelli
esposti direttamente al calore è generalmente molto
modesta, fino ad un massimo di3-4 cm (11).
8.3.5 Classificazione
I pochi dati in nostro possesso non consentono di precisare tutte le caratteristiche dei forni di Ponte di Val
Gabbia I e II, tuttavia si possono esprimere alcune
considerazioni per tentarne una classificazione tipologico-funzionale seguendo lo schema proposto da
Pelet (12).
In entrambi i siti si Íattava probabilmente di un unico
forno, almeno in parle incassato nella pendice della
montagna e quindi isolato tetmicamente, rcalizzato
in pietre locali legate da sabbia argillosa e parzial
mente ricoperto da un rivestimento interno. Ciascun
bassofuoco era dotato di un'apertura inferiore da cui
veniva estratto il blumo e da cui colava la scoria li
quida duranteT'operazione; il sistema di evacuazione
delle scorie comprendeva anche una vaschetta anti
stante la parete frontale del forno, in cui gli scarti si-
de.
Ifr
tar
zia
res
sot
blu
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Nor
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8.4
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<
approsr
derurgici confluivano dalla soprastante apertura.
I fomi si inseriscono dunque nel gruppo di quelli slagtapping (vd. 7.3.3); erano destinati adun'ufthzzazione prolungata e quindi erano costruiti in modo da
resistere alle forli sollecitazioni termiche cui erano
sottoposti e alle continue operazioni di recupero del
blumo e di ripulitura dell'interno. I1 sistema di evacuazione della scoria trova precisi confronti nei bassofuochi altomedievali lorenesi e del Giura svizzero.
Non essendoci evidenze della ventilazione indotta,
sideve forse ipotizzare I'impiego della ventilazione
naturale, anch'essa documentata nell'area del Giura
svizzerc e nella Yonne (Francia) (13). L impossibilità di scavare i resti delle strutture di riduzione e la
necessità di doversi basare per la loro classificazione
solo su alcune
parti costitutive induce tuttavia alla
cautela.
8.4
Gli annessi del forno
di Ponte di Val Gabbia I e II non erano
isoiati. bensì erano affiancati da alcune strutture rudimentali e precarie, sr"rssidiarie al loro funzionamento: i carbonili e i depositi del minerale.
Nel sito I il deposito del combustibile era posto nelle
immediate adiacenze del forno (saggio di scavo E).
Esso è stato rinvenuto ancora riempito per buona parte
di carbone di legna ben conservato, in pezzi anche di
qualche centimetro; questo spesso deposito risultava
compresso da un crollo di pietre, si deve quindi suppone che originariamente il suo volume fosse anche
I bassofuochi
maggiore.
Il carbonile era un riparo rnolto
primitivo
e precario,
è
stata messa in luce
parle di un lato. Davanti, la struttura doveva risultare
apefia, forse priva di muri di contenimento, per farealizzato con poca cura; ne
vorire I'accesso diretto degli operatori al combusti-
riempito il forno. In base a quanto
osservato, il deposito era dotato di pareti di legno sostenute da accumuli di ciottoli, macigni e sabbia di
risulta dai lavori di sbancamento per rT lenazzo artificiale; è probabile che 1'edificio constasse di una
struttura poÍante trpo Stabbar.r con pali verticali infissi in travi dormienti alloggiati in canalette scavate nel terreno e pareti costituite da tavole orizzontali di contenimento. All'esterno, la parete lignea era
nnforzata da ciottoli e sabbia riportati caoticamente
a costituire una sorta di muro di contenimento molto
approssimato (fig. 53, a). Nulla si può dire della co-
bile di cui andava
pertura, forse semplicemente rcahzzata con frasche
e ramaglia.
La tecnica costruttiva in legno trova confronti nel-
l'edificio A di Ponte di Val Gabbia III.
sebbene in
quest'ultimo caso la struttura risultasse seminterrata
(vd.7.9.1) (14).
L ubicazione del carbonile a circa 6-7 m di distanza
dall'rpotrzzata posizione del forno doveva metterlo
al riparo dal pericolo di possibili incendi.
Nel sito II la presenza di uno spesso strato di carbone
molto concentrato all'intetno di una depressione naturale nel saggio N autorizza a collocare il deposito
del combustibile subito a monte di quest'area di scavo,
a circa 10 m di distanza dal bassofuoco.
Ancora piùr in alto sulla pendice montana si trovava
il deposito del minerale. L ematite diPíazzalunga era
forse stivata in una struttura o accumulata in un mucchio al di sopra dei saggi R ed N, dato che lo spargimento interessa soprattutto queste due aree. Nulla
possiamo dire di questo annesso, se non che anch'esso
era probabilmente piuttosto precario, forse addirittura un semplice cumulo a cielo aperto per favorire
la stagionatura del minerale.
Nel complesso,l'organizzazione interna dei due impianti siderurgici segue 1o stesso schema, anche se
adattato alla situazione topografica contingente: i bassofuochi erano ubicati in corrispondenza di un costone ed erano distanti dai carbonili.
Il
trqttumento del minerale
Mentre a Ponte di Val Gabbia I è stato recuperato
poco minerale (tab. X), nel sito II in seguito al crollo
di massi il minerale stivato nel deposito e pronto per
essere uftltzzato nel bassofuoco si sparse su una vasta superficie sottostante; questo evento ha permesso
il rinvenimento di una notevole quantità di minerale,
che costituisce un terzo del totale dei materiali recuperati nel corso dello scavo (tab. XI).
Si tratta di minerale che ha perduto il suo aspetto lucente e cristallino e il suo colore originale, assumendo
una colorazione rossiccia, ossidata, opaca, forse perché alterato dalla lunga giacitura nel teneno o forse
perché proveniente da una zonadi alterazione del giacimento. Esso inoltre era stato preliminarmente frantumato in piccoli pezzi di dimensioni standard - in
media cm 3,5 x 5,5 x 3 - in modo da risultare più permeabile alla conente di monossido di carbonio. un
gas fortemente riducente, del forno.
L'esame del minerale recuperato permette quindi di
stabilire che le maestranze operanti a Ponte di Val
8.4.1
t4.9
I
Gabbia
II
provvedevano preliminarmente alla
frantumazione della vena di Piazzalwga, che era poi
ridotta nel bassofuoco. Non è cerlo dove avesse luogo
questo lavoro: 1o scavo dei due impianti vicini e coevi
di Ponte di Val Gabbia I e II non ha messo in evidenza alcuna area per la pesta del minerale, ciò può
indicare forse che tale operazione era svolta a bocca
di miniera.
L analisi chimica (tab. VIII e XII) ha mostrato che il
minerale ritrovato a Ponte di Val Gabbia I e II non
era arostito. Si deve quindi pensare che i numerosi
forni d'arrostimento rinvenuti presso la miniera di
Piazzallanga appartengano ad un periodo posteriore.
Lo studio dei documenti d'archivio ha mostrato come
in Lombardia, almeno a partire dal XV secolo, il minerale frantumato venisse cotto in appositi forni situati presso le miniere (15). In Val Brembana (Ber-
gamo), nel secolo scorso, per 1'arrostimento si usava
legna dolce, "normalmente" kg 12,4 erano sufficienti
per un quintale di minerale; nel corso di tale operazione il minerale stesso subiva un calo del27 Vo (16).
Fino dal XIV secolo in Val Brembana e in Valsassina
(17) e cerlamente nel secolo scorso anche nelle valli
bresciane, dopo l'arrostimento il minerale veniva lasciato per un periodo di tempo piuttosto lungo all'aperto, esposto all'umidità ("stagionatura"); ciò allo
scopo di renderlo poroso e fessurato per essere ben
attraversato dal monossido di carbonio e di separare
dal minerale una pafie del manganese sotto forma di
polvere di ossido di ferro ricca di manganese, eliminata durante il lavaggio successivo del minerale stesso
(18). Nell'Ottocento I'eliminazione di parte del manganese con questo metodo ne riduceva l'eccessiva
presenza nella ghisa.
E
Sp.
G
Totali
7o
40,53
1440
t4910
5420
3305
26805
Sc. interne
1670
980
535
1905
2ll0
1t5
6245
9.44
"Laitier"
I
035
t428
3110
4655
0963
16,51
500
1630
135
220
4125
45
700
4350
6.24
4,55
Sc. colate
Blocchi col.
Noduli di Fe
Ammassi
Min.di Fe
Fr. dì fomo
TOTALI
100
100
7695
12025
r50
1220
213
35
520
r
880
608
l
115
301 3
310
5413
0,25
15
115
4
164
30
910
255
1237
1,87
8005
r2,10
66128
99,73
160
35
10333
5719
14948
o
È
X:Ponte di Val Gabbia I, distribuzione dei materiali (espressi in grammi) per area di scavo.
La sigla Sp. indica i materiali di superficie.
Tab.
o
Sc. colate
Sc. inteme
"Laitier"
450
610
640
35
10
t20
5610
300
'740
r
R
125
1510
100
165
425
3910
3175
380
215
260
t294
380
Blocchi col.
Sc. non id.
N"d"ti di F"
15
210
80
290
Min.di Fe
Fr. di forno 500
2530
TOTALI
7r10
150
Totali
%
465
19510
30,60
1
3
235
8775
25
15
825
1110
12610
15
3050
130
4055
3494
40
3s30
I
235
60
120
425
1010
560
480
1495
2130
1640
2135
11810
15589
l90s
3095
r
300
XI: Ponte di Val Gabbia II, distribuzione dei materiali (espressi in grammi) per area di scavo.
La sigta Sp. indica i materiali di superficie.
Tab.
Sp.
535
Sc. col./lait
Ammassi
Z
5'7
L
e
159
1,94
535
0.84
S(
0,55
t€
009
ti
350
60
2955
3280
21160
1990
63899
D
5,13
33,1
1
t2.50
99.95
S(
Ía
lc
II
te
il
I-a "pestú" delle scorie
APonte di Val Gabbia I, ai limiti sud-occidentali delI'area siderurgica (saggio A), aveva luogo la frantumazione delle scorie di riduzione verosimilmente per
ilrecupero del cosiddetto "ferrino". Questa voce lombarda, indicante propriamente la scaglia di ferro prodotta nella fucinatura del metallo e recuperata a fini
di riciclaggio, era usata anche ad indicare le parlicelle di ferro metallico disperso nella scoria (19).
Come viene analizzato nei paragrafi seguenti, quasi
tutti i tipi di scorie di questo sito sono ricchi di metallo, presente sia sotto forma di ferro metallico sia
come grosse gocce di ghisa che potevano facilmente
essere recuperate. Evidentemente questa perdita di
metallo nella scoria era nota agli antichi fonditori,
che cercavano di ovviare a questo inconveniente anche frantumando le scorie stesse in minuti pezzi al
fine di recuperarne il più possibile.
Tale operazione era eseguita a mano al di sopra di un
grosso masso confitto nel teneno di base del saggio
A, che fungeva da incudine (fig. 48,b), verosimilmente tramite pestelli di pietra. Stratigraficamente,
risultato di questa operazione sono alcuni depositi
composti prevalentemente o contenenti notevoli quantità di concrezioni di ossidi di ferro, carbone smintzzato e scorie spezzettate minutamente.
Simili operazioni di frantumazione delle scorie per
il recupero delle sferule di metallo sono attestate ad
Oulches, in Francia (20).
Sembra invece da escludere che la frantumazione
delle scorie avvenisse per il loro completo riciclaggio nel forno: infatti, essendo esse costituite essenzialmente da fayalite, non sarebbero state facilmente
nfusibili all'interno di un bassofuoco.
8.4.2
8.5 Scorie e
scarti di riduzione
nei due siti in
esame, sia in stratigrafia sia in superficie, si inseriscono in diverse categorie: scorie colate e scorie inteme, entrambe costituite da scorie pesanti, e laitiers; alloro interno esse sono riferibili a tipi diversi.
Dalpunro di vista chimico (tabb. VI[, XII, XIII), tali
scorie sono carattertzzate dalla presenza preponderante, dopo il ferro e il silicio, del manganese, ana-
Le scorie recuperate integralmente
logamente a quanto osservato a Ponte di Val Gabbia
III;ciò riflette la composizione del minerale di partenza,l'ematite e la goethite diPtazzahtnga, secondo
il principio dell'eredità chimica del minerale nella
scoria (21). Gli altri elementi risultano ininfluenti, in
particolare il calcio, in netto contrasto con quanto
constatato nel vicino sito tardoantico-altomedievale,
dove questo elemento è presente in percentuale elevata. Solo nell'esemplare dilaitier anahzzafo il manganese è inferiore all'I Va, mentre in questo caso si
registra una non trascurabile presenza di alluminio,
oltre che una preponderanza di silicio; ciò deve essere dovuto alla contaminazione delle pareti sabbiosoargillose del bassofuoco, costituite a Ponte di Val Gabbia II per il71,38 7o daslhcio e con un notevole contenuto diAl'O,, pari al 6,79Vo (vd. 8.5.14). Nelle scorie si nota in effetti che i contenuti di manganese e
silicio appaiono inversamente proporzionali tra loro
(fig. 53, b), come anche quelli di feno e silicio.
La fisionomia chimica peculiare delle scorie di entrambi i siti di epoca longobarda è dunque marcata
dal manganese; di conseguenza il diagramma ternario di fase più adatto a rappresentarle è quello SiOrFeO-MnO, basato sui principali elementi maggiori
costitutivi, che raggiungono oltre l'80 7o del peso totale, con I'eccezione dellaitier (fig. 54, a). Bisogna
ricordare però (22), che tutte le rappresentazioni grafiche dei componenti delle scorie sono frutto di un
compromesso.
La posizione delle scorie nel diagramma risulta coerente rispetto al minerale diPtazzalunga: si tratta di
un ambito ben preciso e definito che si allunga a partire dal polo FeO. Le temperature di cristalhzzazione,
teoriche ed approssimate della reale situazione all'interno del bassofuoco che le ha prodotte, si aggirano
intorno a 1200-1250' C per i tipi E, L e K, salgono a
1290' C per il tipo P, mentre il tipo H si colloca oltre
i 1400" C ell laitier a 1700'. Sembra che le scorie di
tipo H siano connesse alla produzione di ghisa, non
solo per l'alta temperatura a cui si sono cnstallizzate,
ma anche perché all'interno di un esemplare è stata
rinvenuta una grossa goccia di ghisa (vd. 8.5.2).
Nel complesso, comunque, la maggior parte delle
scorie di Ponte di Val Gabbia I e II si colloca nel polo
fayalitico, come molte altre antiche scorie di riduzione; ciò si evince chiaramente dal diagramma SiOrFeO-CaO (ftg.54,b) che, sebbene provochi 1o schiac-
ciamento sull'asse SiO'-FeO della posizione delle
scorie per la scarsa percentuale di calcio in esse contenute, evidenzia come esse si siano per 1o più cristallrzzate attorno a1205" C di temperatura teorica,
a cui il tipo di bassofuoco in uso nei due impianti funzionava. Sebbene in quest'ultimo diagramma il manganese non intervenga, esso può far parte comunque
151
Goethite Goethite
Piazzalunga
Sito
I
B,l2
tipo K
Br6
Br6
tipo E
tipo P
055
8.31
barra
9,08
7,21
0.02
0,01
n.d.
n.d.
Fec
Ca(
Mgl
10,19
1, 04
2.t4
8,61
CuO
0,04
<0,01
Fe:O:
n.d
n.d.
FeO
88.79
1
0,02
1.89
41,26
55 6r)
46,14
38,85
0,21
3,26
0,31
0,04
0,82
<0,01
0,28
0.03
<0,01
0.15
0,02
2.01
0.59
0,52
0,2ó
<0,01
1,50
<0.01
<0.01
<0,01
68.1
Fe met
CaO
Naro
IcO
n. d.
P:O:
<0,01
SO,
8,62
SiO'
0,96
n.d
<0,01
n. d.
8,55
n. d.
tq
10
R18
A,10 Sporadico Sporadico Carbone
tipo H
tipo E
tipo H
Mnl
Cr(
0,01
0,09
0,02
0,01
<0.01
2,11
33,50
3,78
n.d
)05
n.d.
n.d.
54.60
53.31
n.d.
i,30
0.71
0,68
n. d.
n. d.
n. d.
N",,
2.05
0,19
0,20
0.54
n.d.
n.d
n. d.
ool
0,03
<0.01
0,07
0,05
0,08
0,03
n.d
0,45
0.02
B"(
sio
n.d
n.d
n.
0,65
<0,01
0,45
0,58
0,49
1.01
0.66
1,15
0,12
n. d.
0,09
28.90
n. d.
0,06
n. d.
q70
41.Ì0
0,45
32.70
23.10
d.
n.d
<0,01
<0.01
F-
Alr
K,C
P.C
Totr
n.d
T"t"t.
Tab.
Xll:analisi delle scorie di ferro, del carbone
e
di
della barra di ferro di Ponte di val Gabbia I e del minerale
delle olivine come tefroite - MnrSiO+ - e knebelite (Mn, Fe)2 SiO, (23).
Il debole tenore di calcio che, come abbiamo detto,
si rileva in queste scorie è direttamente derivato dalle
caratteristiche del minerale impiegato, ma indica anche che nei forni di età longobarda non venne aggiunto alcun fondente, contrariamente a quanto sembru p..l'epoca precedente a Ponte di Val Gabbia III'
Il rnancato impiego di aggiunte può forse spiegare la
presenza di scorie di tipo H' che risultano prodotte a
una temperatura teorica superiore ai 1400' C e che
invece sono del tutto assenti ne1 sito tardoantico-altomedievale.
Lindice di basicità, dato dal rappofto tra CaO e SiOz
(fig.
54, c) indica una tendenza nettamente silicea'
acida. essendo decisamente inferiore allo 0,1 e nella
maggior parte dei casi inferiore allo 0,025' Si ricorda
che invece le scorie di Ponte di Val Gabbia III denotano una tendenza marcatamente basica' Seguendo il
metodo di calcolo delf indice di viscosità delle scorie
proposto da Bachmann(24'),si ottengono risultati che
i.ouuno in genere conferma nella posizione delle scorie stesse nei diagrammi temari: la scoria di tipo K ha
un indice di viscosità variabile (2,18 - 4,004), seguita
daquelledi tipo L(2,455),8 (2,33 - 1,85) edH(2,65
- 1,3); invece f indice di viscosità minore è quello del
taitier (0,359), che quindi risulta collocato ad alta temperatua nell' ambito della cristobalite'
152
Piazzalunga'
Ciò è connesso strettamente non solo all'assenza di
fondenti aggiunti e al debole tenore di calcio delle
scorie, ma è proporzionale alla percentuale di silicio"
che come abbiamo visto ne aumenta la viscosità' e
soprattutto alla percentuale di ferro; i tenori di wustiie infatti variano molto, con punte del66'80 7o nel
tipo K, fino a scendere al 14,61 Va nel laitier'Ttttto
ciò indica chiaramente che il miglior fondente delle
scorie di ferro - come anche di altri metalli - è il ferro
stesso (25).
Un'altra caratteristica delle scorie di Ponte di Val
Gabbia I e II è il basso tenore di fosforo, anch'esso
dovuto al tipo di minerale impiegato (fig' 55' a)' Disomogenee, ma tendenzialmente basse risultano le
percentuali di AlzO:, mentre nel vicino sito tardoaniico-altomedievale esse sono più elevate; bassi anche i tenori in magnesio, sempre inferiori all'7 7o, e
di bario, piùr variabili quelli di sodio e potassio' Il
CuO è quasi ininfluente, in genere inferiore allo 0'09
raggiunge punte
Ea , merúfe a Ponte di Val Gabbia III
(vd'
7 '6'1), questa
deI10,92 7o: come si è osservato
discrepanza è verosimilmente dovuta alle variazioni
dei filoni di ematite di Ptazzalunga, che come tutti
quelli del tipo "Alpi lombarde" possono contenere
impurità di calcopirite; in epoca longobarda 1'esca,rurion" mineraria dovette interessare una parte del
giacimento libera da solfuri.
Le scorie pesanti sono riferibili per la maggior pane
Tab
ait
eP
rap
iso
Sir
tivi
tec
scc
8.5
Le
tre
40
prc
Ess
sotr
frer
col
del
op
Ne
soÉ
sca
(vc
Sir
ill
vrz
for
P,5 tipo H
lltipoK
6,26
8,81
Fe
met.
CaO
Meo
Al,O,
U, 16laitier
1,56
0,88
<0,01
0,04
0,03
<0,01
48,21
CuO
FeO
L
P,5 tipo
0,54
0,23
0.24
0,44
0,65
0,36
0,94
t,2l
1,89
r,2l
12.43
6,19
t,39
r,t]
2,96
1,65
4.33
<0,01
0,91
0,31
0,44
0,78
0,19
<0.01
BaO
0,16
0.26
0,29
0,30
Si0,
36, 06
15,98
94,22
98,36
tipi H, E
rare sono risultate le scorie di tipo L e C,
rappresentate queste ultime da pochissimi esemplari
0,03
53,73
71.38
93,70
90,71
90,42
evidentemente di una differenza significaIII, dove la diversa
tecnologia impiegataprodusse quasi esclusivamente
scorie di tipo C ed L.
Si tratta
tivarispetto a Ponte di Val Gabbia
Scorie colnte
Le scorie colate prevalgono nettamente su tutte le altre categorie, rappresentando nei due siti fra il 30 e il
40Ta deltotale degli scarti recuperati ed essendo in
8.5,1
I rispetto a quelle
interne.
evidenti strutture di flusso,
poiché si sono rafnella
faccia
superiore,
soprattutto
freddate dopo essere scorse fuori dal bassofuoco; esse
Esse
sono carattenzzate da
sulla faccia inferiore I'impronta
delteneno su cui sono colate inglobandone sassolini
o piccoli scarti siderurgici di operazioni precedenti.
Nel caso dei forni in esame, le scorie colavano dalla
soglia della bocca inferiore in un'apposita vaschetta
scavata dinanzi alla parete frontale del bassofuoco
conservano spesso
(vd.8.3.3).
Sideveribadire tuttavia quanto già scritto, e cioè che
il loro aspetto con colature
cordiformi, spesso
so-
dovuto allo scorrimento al di fuori del
fomo e al modo in cui si sono raffreddate, ma non
wapposte, è
II.
alla loro genesi tecnologica all'interno della struttura
di riduzione, che ne ha determinato la composizione,
la viscosità e quindi la
stessa struttura./tessitura;
livello
quello
microscopico, è indice della
macroscopico a
formazione dei composti o fasi che le costituiscono
e quindi del sistema di equilibrio in cui si sono cristalhzzate.
Le scorie colate sono ascrivibili in larga maggiotaîza
al tipo K, cui seguono I'H e l'E; pochissimi esemplari sono pertinenti al tipo C.
quest' ultima caratteristica, che corrisponde dal
isolati.
proporzione di 4 a
0,10
57
XIII: analisi delle scorie di ferro e di un frammento di parete di forno di Ponte di Val Gabbia
P; molto
1.91
0,13
)5
altipo K, a cui seguono quantitativamente i
e
5,18
n.d.
1,88
PtOt
-Tab.
t,25
<0,01
0,22
KO
Totale
6 fr. di parete
14,61
66,80
0,19
0,20
0,40
t,19
0,90
B
5.2 " Blo c c hi c olo nnari"
Con questa definizione si intende indicare una categoria peculiare di scorie colate e pesanti, già individuate da chi scrive nei forni del tipo "alla còrsa" della
costa toscana (26).In essi si era notata la frequente
presenza di blocchi, più o meno articolati, costituiti
da un insieme di formazioni cilindriformi di scoria,
tutte orientate nella stessa direzione di colata.
A Ponte di Val Gabbia I soprattutto, e in misura minore nel sito II, non sono stati rinvenuti interi blocchi di questo tipo, bensì una certa quantità dr pezzi
cilindriformi, molto frantumati, concentrati in parlicolare nel saggio A.
Si tratta di lunghi cilindri di scoria a sezione subcircolare o irregolarmente ellittica, che mostrano la parte
inferiore scabra e granulosa con qualche frammento
8.
153
di ghiaietto aderente, mentre quella superiore, più liscia, ha spesso molte bolle di piccole dimensioni. Tali
caratteristiche confermano che si tratta di scorie che
scoffevano all'esterno del forno. La struttura di que-
formazioni cilindriche è spesso costituita da cristalli giallastri o scuri di fayalite tendenzialmente
raggiati, talvolta osservabili ad occhio nudo; dal
punto di vista tipologico essi sono riferibili al tipo
H (vd. 8.5.6). Frequentemente si può osservare la
struttura stessa di colata "a ondate" sovrapposte, di
forma circolare; tutto sembra indicare dunque che i
"blocchi colonnati" siano formati da scoria liquida
che colava all'esterno del forno sul terreno sottostante in pendenza, scotrendo in rivoli e raffreddandosi mantenendo la forma cilindrica (figg. 55, b,
c e 58, c). Sono frequenti i casi in cui, nel tratto inferiore cioè quello a diarnetro più ridotto, le ondate
di scoria, scotrendo, hanno formato un canale centrale vuoto a sezione circolare (diametro medio cm
0,7), una sorta di tubo interno molto liscio e regoste
lare.
lJn esemplare frammentario mostra alf interno di questo canale una grossa goccia di ghisa irregolarmente
cilindriforme (diametro cm 1 - 1,1) (fig. 55, c); la
composizione di questa goccia non è omogenea, ma
il tenore medio di carbonio è del2,17 Vo; la parte
estema risultava a maggior carburazione. Al microscopio si nota la disposizione dei cristalli di fayalite
rispetto al canale centrale riempito di ghisa (fig. 56,
a, b); quest'ultima mostra una struttura caratteristica
con perlite e fiocchi di grafite (fig. 56, c).
Alcuni frammenti di blocchi colonnari sono stati ricomposti, ma non è stato possibile ricostruire integralmente nessun "cilindro". La misurazione dei diametri maggiore e minore (max cm 4,9, minimo cm
2,3) relativamente alle lunghezze consetvate consente
di stabilire un notevole sviluppo in lunghezza, quasi
due metri.
I1 grado di frammentazione di queste scorie fa dedurre che fossero rotte in antico, per recuperare le
gocce di ghisa che potevano esservi disperse. Evidentemente gli antichi metallurgisti avevano notato
che gocce di metallo fuso potevano scoffere alf interno del canale centrale di queste scorie liquide e
dunque le spezzettavano a fini di riciclaggio.
Nei sito I tali scorie rappresentano tL6,25 Vo del totale degli scarti recuperati, mentre nel sito II sono
solo 1o 0.55 Vo. Si rileva così un'ulteriore differenza
fra i due impianti di epoca longobarda e quello tardoantico-altomedievale, dove non sono presenti.
t54
8.5.3 Scorie ínterne
Nei due impianti in esame esse rappresentano solo il
9,46 elll ,57 7o degli scarti siderurgici. Se la loro genesi tecnologica è la stessa delle scorie colate, del
tutto diverse sono invece le modalità di raffreddamento che le hanno interessate: si tratta infatti delle
scorie rimaste intrappolate all'interno del bassofuoco
alla fine dell'operazione e che non sono fuoriuscite,
come quelle colate, dall'alto della soglia della bocca
inferiore del forno. Evidentemente, la maggior parte
della scoria del bagno di riduzione arrivava all'altezza de[la soglia per es sere evacuata all' estemo, mentre una porzione di scoria liquida rimaneva nella"zona
calda",in cui era immerso anche il blumo; al termine
del processo di riduzione, una volta raffreddate tali
scorie venivano estratte per ripulire il fomo in vista
di una nuova operazione.
Il loro aspetto esterno contrasta decisamente con
quello delle scorie colate: esse sono più tozze e
informi, in genere sono massicce, hanno superfici
ossidate e irregolari di color ruggine, senza segni di
scorrimento evidenti; la faccia inferiore mostra i segni dello strato di carbone sminuzzato e cenere su cui
si erano depositate, che sono inglobati in una spessa
patina di idrossidi. Tipologicamente sono ascrivibili
ai tipi K, H, L e P.
8.5.4 Scorie di tipo C
Si tratta di un tipo ampiamente segnalato dagli scriventi nelle scorie di riduzione di ematite elbana della
costa toscana e negli scavi di Via Moneta in Milano,
prevalente a Ponte di Val Gabbia III (vd. 7 .6.4), ma
pochissimo presente a Ponte di Val Gabbia II e del
tutto assente nel sito I.
Ne fanno parte solo scorie colate. La superficie superiore è copefta da una sottile patina di ossidazione,
il colore è nerastro lucido; segni di flusso la caratte-
îtzzano, mentre alla superficie inferiore aderiscono
ghiaietto e piccoli frammenti di scorie, retaggio del
terreno dove sono scorse al di fuori del forno.
La struttura è macroscopicamente vacuolate, anche
al microscopio essa rivela una diffusa microvacuolarità; la tessitura è microcristallina, aciculare, la frattura è inegolare. Striscia: Munsell i0 YR 5/1; il peso
specifico è 3,61;è magnetica.
Al microscopio metallografico la wustite è ben formata, in strutture dendritiche e dominante sulla fayalite. Non si nota ferro metallico.
Le scorie di tipo C, come quelle di tipo E, si formano
nella cosiddeÍÍa"pozzadelle scorie", cioè nella "zona
calda" del forno (27), da cui sono poi evacuate tramite l'apefiura inferiore del bassofuoco.
di tipo E
documentata fra le scorie della costa toscana e a Milano nelle stratigrafie medievali e
modeme di Via Moneta, mentre a Ponte di Val GabbiaIII è attestato un esemplare isolato (vd. 7.6.5). Nei
due impianti di epoca longobarda ne fanno parte alcune scorie colate, fra cui la "placca a ventaglio" rinvenuta nel sito II e descritta più avanti (vd. 8.5.12).
In questa colata le superfici sono lucide, metalliche,
nella superiore si vedono marcate strutture di flusso;
ivacuoli sono numerosi, anche di grandi dimensioni,
schiacciati nel senso di scor'rimento della massa scorificata, che tendb a sfaldarsi lungo questi piani sovrapposti. Su frattura fresca la scoria mostra una tessifura aciculare ed ha un colore grigio metallico; la
frattura è netta. I1 peso specifico è 4,3I,la striscia
Munsell 5Y 5lI, è magnetica.
Al microscopio metallografico si rileva la presenza
di wustite e un intreccio di cristalli di fayalite tozzi e
malformati; raramente la wustite forna dendriti consistenti. Si nota inoltre un netto stacco fra due zone,
l'una in cui la wustite è dendritica e meglio sviluppata,e I'altra con scheletri di cristalli di piccole dimensioni: si tratta della cesura fra due momenti della
stessa colata, cioè fra due strati sovrapposti della cosiddetta "plac,ca a ventaglio" (fig. 56, d).
Lanalisi chimica di due esemplari dal sito I mostra
una preponderanza di FeO, con percentuali attorno
aI55 Va, seguito dall' Sio' fua1128,9 e r132,7 7o e Il
MnO intomo all'8-9 Vo.Le scorie di tipo E si collocano nei diagrammi nell'ambito dellafayalite a1205"
C di temperatura teorica di cristallizzazione.
8.5.5 Scorie
La loro presenza è
8,5.6 Scorie
di tipo
H
sporadicamente in Toscana (28), significativamente assente a Ponte di Val GaLrbia III, nei due
siti in esame questo tipo carattenzzala totalità dei
blocchi colonnari, ma è attestato anche in altre scorie colate. Le superfici sono ricoperte da una spessa
patina di idrossidi, di color ruggine; sulla faccia inferiore si trovano talvolta inclusioni di ghiaietto, men-
Presente
tre
sulla superiore sono evidenti
i caratteristici segni
diflusso. La struttura interna è prevalentemente com-
non mancano esemplari che mostrafine vacuolarità. La tessitura è costituita da
cristalli di fayalite anche di grandi dimensioni, di colore giallastro (fig. 57, a, b).
patta, anche se
n0 una
Anche al microscopio metallografico la strutturadella
scoria risulta composta da sola fayalite e rivela talvolta una microvacuolarità diffusa. La striscia è Munpeso specifico è 3,06 sell 10 YR 412 e 5 Y
3,35, è poco o niente affatto magnetica. L'indice di
viscosità è basso - fra 2,65 e 1,3 - quindi si tratta di
una scoria piuttosto viscosa; ciò è dovuto alla non
lll,ll
trascurabile percentuale di SiO' - fino al4l,I 7o mentre l'FeO è fra il 38,85 e il 53,31 7o; il MnO è
compreso ftarl6,26 e rI10,19 Va.
Nei diagrammi ternari due esemplari su tre di scorie
di tipo H si pongono fra 1400' e oltre 1600' C di temperatura teorica di formazione nell'ambito della tridimite. Questo fatto, unitamente all'esemplare contenente una goccia di ghisa, induce a ritenere che i
bassofuochi di epoca longobarda potessero raggiungere temperature tali da consentire la produzione di
ghisa; non sappiamo però se ciò fosse occasionale.
8.5.7 Scorie dí tipo
K
Si tratta del tipo di gran lunga più attestato nei due
impianti in esame, presente in scorie colate e in scorie interne. Risulta del tutto assente sulla costa toscana e a Ponte di Val Gabbia III.
Negli esemplari colati si notano marcate strutture di
flusso sulla faccia superiore, su quella inferiore si osservano inclusioni di ghiaietto aderente in seguito
allo scorrimento sul terreno. Le superfici sono coperte da idrossidi, ma risultano spesso lucide, nerastre, metalliche; in altri casi si notano sulla superficie superiore fitti e piccolissimi vacuoli. Gli esemplari interni al forno recano sulla faccia inferiore impronte di carbone rnpezzi minuti e sassolini, inglobati da una spessa alterazione di idrossidi.
La frattura è imegolare; la tessitura è composta da cristalli tabulari di fayalite nerastri lucenti, più o meno
grandi, disposti in modo disordinato e di grandezza
variabile, che le conferiscono un aspetto saccaroide;
la loro lucentezzaè vetrosa. In alcuni casi, grandi cristalli di fayalite (cm 0,5) sono visibili nei vacuoli. Le
scorie di questo tipo hanno una vacuolarità diffusa,
in genere fine; la striscia è Munsell 5 Y I 11 e 10 YR
5ll,ll peso specifico è 3,16, I'indice di viscosità varia fra 2,18 e 4,004, sono dunque poco viscose; anche il magnetismo è debole.
Al microscopio metallografico si rileva la presenza
di grandi cristalli di fayalite dominante e poca wustite in dendriti di piccole dimensioni, visibili negli
interstizi fra i grandi cristalli di fayalite; si notano
inoltre rari scheletri di magnetite (fig. 57, c).
155
L analisi chimica ha rivelato un tenore di FeO fra il
e
28,18 e ll66,807a,di SiO: fra il 15,98 et'|35'3l7o
di
di MnO superiore alI'8 7o; nei diagrammi ternari
wustite
della
e
fase si pone nell'ambito dell'olivina
a
oltre iZOO' C di temperatura teorica di formazione'
8.5.8 Scorie di tiPo L
Il tipo era già stato segnalato da chi scrive fra le sco-
rie interneài riduzione dell'ematite delf isola d'Elba
(Toscana), nelle stratigrafie di Via Moneta in Miiano'
(vd' 7 '6'6)'
ed è attestato a Ponte di Val Gabbia III
esempochissimi
Per 1'epoca longobarda è attestato in
plari solo nel sito II, anche qui esclusivamente in sco-
rie interne.
La superficie estema è irregolare, scabra, con vacuoli
d'idrossidi
e sporgenze, coperta da una spessa patina
frechà gfconferisce un colore rugginoso' In frattura
e
sca si osserva una tessitura più marcatamente
finemente vacuolare, cristallina, con piccole particelle di carbone di legna in alcuni alveoli; i cristalli'
I1
di piccole dimensioni, hanno \ucentezzametallica'
strila
peso specifico è 3,14,1a frattura è irregolare;
magnescia è Munsell 10 YR 5l2.La scoria è molto
tica per la presenza di ferro metallico'
Al microscopio metallografico le scorie di tipo L risultano composte da wustite in globuli raramente
fayalite
ammassati e concentrati, in genere diffusi, e
Uno
in cristalli di grandi dimensioni' spesso tabulari'
degli esempiari analizzati mosffa un fenomeno di
assurio*ssidazione delmetallo, che sta tornando ad
mere la fase di wustite, come era già stato ossetvato
ooliin Lorena, in scorie della riduzione di minerale
viabbiamo
(29)'
Come
tico, e nella Montagne Noire
scoria
sto. lo stesso fenomeno è presente anche nella
'7
di tipo O di Ponte di Val Gabbia III (vd' '6"7)'
un
Per ie scorie di tipo L I'analisi chimica ha rivelato
di
quello
55,65Vo,
contenuto di FeO fta tl 42,14 e tl
MnO fra il
SiOu fra 1124,46 e rI25,57 Va e quello di
scoria di
la
ternari
7.56 e rl10,!8Vo; nei diagrammi
C
tipo L si colloca nell'ambito della fayalite a 1205'
indice
L
di temperatura teodca di cristallizzazione'
di viscosità è 2,455.
Come si è detto per il sito tardoantico-altomedievale'
la scoria di tipo L rappresenta un passo avanti nel
che
corso della riduzione rispetto a quella di tipo P'
non è
si forma nella parte più alta del forno, ma essa
bassofuoco'
ancora arivata nella "zona calda" del
dove tutta la scoria è liquefatta a formare la cosid1e
detÍa"pozza delle scorie"; è ora che si formano
particeile di feno metallico, che non si sono ancora
156
aggregate per sinterizzazione a formare
ii blumo'
Le scorie di tipo L costituiscono dunque una tappa
miintermedia nel processo di riduzione del minerale
scelato a carboìe di legna che discende nel forno:
carbone è ormai quasi del tutto combusto' mentre
il
il
di
ferro metallico è in formazione' La produzione
all'indovuta
questo tipo di scorie è probabilmente
temrzione del processo, per motivi che ci sfuggono'
ma che hanno fatto sì che la scoria non giungesse
innella "pozza delle scorie" e rimanesse dunque
trappolata all' intetno del bassofuoco'
8.5.9 Scorie di tiPo P
Anche in questo caso si tratta di un tipo già indiviIII (vd'
duato, presente inoltre a Ponte di Val Gabbia
solo
7.6.8). Per I'epoca longobarda esse sono attestate
nel sito I.
Le scorie di tipo P rappresentano la prima trasformazione subìta dalla miscela di minerale frantumato
forno' per il
e carbone, cioè delia carica immessa nel
riscaldamento e l'esposizione all'atmosfera forteIn esse
mente riducente delf interno del bassofuoco'
parzialla riduzione del minerale è avvenuta solo
ma non
mente e ia combustione del carbone è iniziata
sufficompletata, dato che la temperatura non era
percienàmente elevata; ciò può essersi verificato
fomo
chélascoria faceva parte dell'uitima carica del
e il processo è stato inteffotto prima del completaè rimasta mar-"nio, o perché per qualche motivo
al
ginale rispetto aila zona di combustione interna
io-o - enori degli operatori, incidenti, eccetera'
Le scorie di tipo P si presentano come un ammasso
di ossidi'
a struttura spugnosa, fortemente vacuolare'
bruciato
non
ferro metallico e frammenti di carbone
di dimensioni centimetriche, spesso ben conservato;
patina
in superficie la scoria è coperta da una spessa
di idrossidi. La striscia è Munsell7'5 YR 5l2'IafraI"è 3'3'
tura è inegolare. E' magnetica; il peso specifico
La scarsa scorificazione della gaîga è mostrata dal
7o" an'
basso contenuto di silice, poco superiore al 9
perché non
che il manganese è in debole proporzione
scorie'
proprie
e
ancota concentrato come nelle vere
con
Nel complesso, questo tipo mostra analogie più
collocani1 minerale che con gli altri tipi di scorie'
vicino
dosi ne1 diagramma ternario SiO:-FeO-MnO
almineraleana|tzzato.Anchenelgraficodelrappotlo
P
tra silice e manganese, minerale e scorie di tipo
differenziati
sono ravvicinati fra loro e nettamente
dalle altre scorie (fig' 53' b)'
Al microscopio metallografico, il tipo Privelalapre-
wustite globulare, fayalite e ferro
metallico; essa ingloba frammenti di carbone di cosenzadi dominante
nifera.
8.5.10
Per
Initiers
le considerazioni generali già espresse su questo
tipo di scorie si rimanda
A Ponte di Val Gabbia
al cap.7 .6.9.
I e II
esse rappresentano ricircadel totale degli scarti
recuperati. Si tratta, come si è detto, di vere e proprie
scorie carattenzzate da un basso peso specifi co - 2,39
- e da un aspetto simile alla pasta vitrea; i colori variano dal verde oliva al nero, con numerose attestazionisull'azzurro intenso o chiaro. Le superfici sono
spettivamente
il
16 e 115 7a
color bruno ruggine, talvolta con
impressioni di carbone, anche di grandi di-
spesso ossidate,
molte
mensioni.
concoide, la struttura in genere è fine-
La frattura è
mente
vacuolare. Si tratta di scorie molto viscose, per
silicio - indice di viscosità 0,359;
talvolta trattengono particelle di ferro metalli-
l'alto contenuto di
in effetti
c0.
rivelato una notevole percen- mentre più bassa, rispetro
alle scorie dense, è quella di FeO - I4,6lVo; scarso
I'MnO - 0,88Vo - e piuttosto elevato il contenuto di
Al'0, - 12,437o, ciò deve essere dovuto alla contaminazione delle pareti del fomo, che hanno un tenore
di alluminio del6,79Vo e un elevato tenore di silicio
(vd. 8.5.14). Queste caratteristiche dei componenti
differenziano notevolmente 1l laitier dal resto delle
scorie presenti sul sito. Per I'alta percentuale di SiO,
la scoria si colloca nei diagrammi ternari di fase nelI'ambito della cristobalite, a oltre 1700' C di temperatura teorica di cnstallizzazione.
Al microscopio metallografico ll taitier rivela una
matrice vetrosa di silicati di ferro e alluminio con piccole sferule e filamenti di ossidi di ferro; talvolta, alI'interno delle sferule l'ossido è parzialmente trasfomato in fero metallico, la cui presenza gli conferisce un certo grado di magnetismo. La striscia è
Munsell 10 YR 6/1.
L analisi chimica ha
tuale
8.5.11
di SiO,
-
53,73Vo
laitier e scoria densa
US 1 del sito II provengono due esem-
Scoríe tra
Dal saggio
I
colate che mostrano una caratteristica
tecnologica peculiare: esse sono infatti costituite da
una mescolanza di scoria densa, pesante, riferibile al
tipo H e di laitier, cioè di scoria leggera, vetrosa.
Ilfenomeno era già stato osservato da chi scrive nelle
plari di scorie
scorie dallaúduzione del minerale di ferro di Kouri
nell'isola di Kythnos (Cicladi, Grecia) e sulla costa
toscana (30). Anche a Ponte di Val Gabbia II non si
tratta della sovrapposizione di colate diverse, avvenute in momenti diversificati e successivi: tali scorie
si sono formate nel corso della medesima colata, e
dunque della stessa operazione, durante la quale la
frazione pesante degli scarti metallurgici si è venuta
a separare da quella leggera. La giustapposizione dei
due
tipi diversi si evidenzia nel disegno della sezione
(fig. 58 a, b).
Ciò può essere dovuto a una diversità di peso specifico e di densità - una scoria è molto più leggera e vacuolare dell'altra - alla diversa viscosità - iL laitier è
molto più viscoso della scoria pesante - e quindi alla
differente temperatura di cristallizzazione. Tutto ciò
può essere utile a spiegare la dinamica di formazione
degli esemplari in esame, ma non risolve il problema
della produzione di scarti a composizione così diversa nel corso della medesima operazione.
Il problema è dunque destinato per il momento a rimanere senza soluzione, tuttavia 7' atfestazione può
essere molto significativa per comprendere il funzionamento delia struttura di riduzione.
8.5.12 Le "placche a ventaglio"
Fra le scorie recuperate nel sito II è stato possibile
enucleare due colate frammentarie che sono riferibili
al tipo detto "placche a forma di ventaglio" (vd. 8.3.3);
si presenta in questa sede la descrizione di quella me-
glio conservata.
Si tratta di una scoria di tipo E (cm 18,5 x 18; spessore massimo cm 5;peso kg 3,55) ricomposta da 45
frammenti, recuperati in giacitura secondaria nell'US
5 del saggio P; pochi altri frammenti, per un totale di
k93,94, non sono contigui e non risultano accorpabili. La "pTacca" risulta quindi incompleta, rotta alle
estremità laterali e dal lato della cosiddetta "sorgente"
(figg. 5 1 b, c, 52). La sua sezione non è regolare, bensì
è più spessa sul lato della sorgente e si va assotti-
gliando sul lato opposto, dove amivano gli ultimi rivoletti delle colate.
La superficie superiore è caratteizzata dalla presenza
di colature cordiformi che si sovrappongono le une
alle altre, tutte irradiantesi a ventaglio aparlire da una
comune origine o sorgente, sul lato più spesso; si
tatta di colature irregoiari allungate, piuttosto schiacciafe, a superficie rugosa e increspata, oppure liscia.
La loro progressiva sovrapposizione si nota agevolmente in sezione ed è stata ricalcata anche dalle frat-
t51
in seguito
ture che la placca ha subìto probabiimente
a dilaalla giacitura in ambiente freddo, sottoposta
i
framtaziJni e contrazioni durante i periodi di gelo;
i difmenti risultano infatti spesso sfaldati secondo
ferenti piani di colata,le sagome dei cordoni inferiori
la supersi notano ancora in qualche caso' sebbene
coficie sia leggermente conosa dal contatto con la
e frattumente trasformati in idrossidi deformandosi
identificarandosi, tanto da non consentire una loro
lata successiva.
da
La faccia inferiore risulta piÌr irregolare, costituita
fra le
fitte piccolissime colature che si sono insinuate
depresvarie asperità che costituivano il fondo della
framsione in cui la scoria colava dal fomo' Si vedono
vi adementi di ghiaietto e di altre piccole scorie che
riscono o vi sono incorPorate'
sorAnche se non si conserva il bordo dal lato della
ispesdi
avvio
gente, la scoria mostra comunque un
iimento e di innalzamento, ad indicare chiaramente
colava da un punto situato poco più in alto
che essa
sulla parete del forno.
coLa struttura interna mostra il sovrapporsi di varie
non tralate, separate da grosse bolle di dimensioni
senso
in
scurabili (fino a cm 2,6 x 0,6) schiacciate
onzzontale. Nonostante questa sffuttura stratificata
o
orizzontalmente, non si osservano cesure nette
inprofondamente marcate tra uno strato e I'altro; ciò
comài.a che la colata proseguì fino alla formazione
pleta della placca, dopo di che essa venne rimossa
foràala vaschetta che aveva occupato, ma che la sua
mazione avvenne comunque nel corso della stessa
si
operazione. Anche ai microscopio metallografico
marrileva questa sovrapposizione di colate diverse'
scansione
cata da zone con wustite e fayalite a diversa
i cristalli di
separate nettamente da un margine in cui
(vd' 8'5'5)'
wustite sono molto concentrati (fig' 56, d)
Altri tipi di scurti: ammassi e noduli difewo
Nei due siti in esame queste due categorie di scarti
8.5.13
della lavorazione siderurgica ammontano sommati
del tofra loro rispettivamente al 12 e al lO 7o citca
tale dei materiali recuPerati'
Non si tratta di vere e proprie scorie, bensì di conin modi dicrezioni ferrugginose che si sono formate
versi. Nel caso degli ammassi si tratta di materiali
che si
eterogenei come scorie, carbone e sassolini
-"onrolidati
insieme in giacitura secondaria al,ono
patina di
I'estemo dei forno, a causa di una spessa
idrossidi. I noduli di ferro, invece, sono probabilprodotti o sfemente frammenti deipezzidi metallo
scorule di ghisa originariamente intrappolate nella
totalria, chelnel .or* d"i secoli si sono pressoché
158
zione morfologica.
8.5.14 Le Pareti delforno
I e II' il
Fra gli scarti presenti a Ponte di Val Gabbia
della strut12 Vo circaè rappresentato da frammenti
(vd'
8'3'2)'
tura di riduzione; si tratta, come si è detto
delle padi pietre e dipezzidel rivestimento interno
reti del forno.
anaUn frammento di questi ultimi dal sito II è stato
dehzzato (tab. XI[); esso era costituito da sabbia
argillosa di provenienza locale di colore
bolmente
rigrigiastro e spessore intorno a2 cm' La parete era
ioi"au da un sottile strato nerastro vetrificato sulla
velo di scofaccia esposta al calore, costituito da un
alle
ria che vi aderiva. Il frammento è simile dunque
cosiddette "croste scorificate" (3 1)'
esDal punto di vista chimico esso risulta composto
tras"nriu1-"ttte di silice (71,38 7o) e da una non
e di wuscurabile percentuale di alluminio (6'79 7o)
proveniente
stite (5,18 7o), quest'ultima cefiamente
interna
faccia
la
dalla pellicola di scoria che copriva
(
1 %)' il sodel frammento stesso. Anche il calcio 1 '9
magnesio
lI
e
(1,25
7o)
dio (1,65 7o), rl manganese
(1,2I Va) sono in proporzioni apptezzabili'
indicano che vi è stata
Queste caratteristiche chimiche
parte
contaminazione delle pareti del forno da
uìa
dellascoria,ciòdeveaverinfluitosoprattuttoperla
fotmazione dei laitiers, a cui le pareti si avvicinano
per composizione.
8.6 Calcolo della resa dei bassofuochi
giàper
Anche per i due siti di epocalongobarda, come
un apPonte di Val Gabbia III (vd' 1 '7), sipuò tentare
proccio quantitativo pel avere un'idea del rendimento
i"ori.o in metallo dei foini e dei consumi di minerale'
l'agIn questo caso, però' sembra di poter escludere
sconelle
giunta Oi fondenti, poiché ii tenore di calcio
ii" è inf.riore a quello del minerale' Quanto alle painterareti sabbiose dei forno, esse sembrano avere
gito iimitatamente ai solilaitiers (vd' tab' XIII' 8'5'10
e 8.5.14).
per il sito
Seguendo 1o stesso procedimento applicato
algiunge
Oi eta hrdoantica-altomediev ale (32), si
1'equazione:
minerale + carbone = scorie + ferro
Peril calcolo si sono prese in considerazione 4 anaiisi del minerale diPiazzalunga (ematite e goethite,
di cui 2 di minerale trovato nel sito e2 grà,úlhzzafe
per Ponte di Val Gabbia III') e 12 scorie inteme ed
esterne, 6 da Ponte di Val Gabbia I e 6 da Ponte di
Val Gabbia II; come si è più volte sottolineato in que-
infatti, i due bassofuochi sono coevi e del
tutto analoghi per caratteristiche e funzionamento,
dunque I'approccio quantitativo può essere tentato in
sta sede,
discreta percentuale di metallo riducendo
il minerale
di Piazzahtnga. Il diverso risultato era dovuto probabilmente al mancato impiego di fondenti e alla diversa tecnologra lutrhzzata. La differenza di pesi fra
i due termini dell'equazione, anche se meno marcata
che nel calcolo per il periodo precedente, è in parte
dovuta probabilmente alla perdita di ossigeno nel
corso della riduzione e forse in parte agli errori dei
metallurgisti - minerale mal ridotto, scarli, ecc. (33).
comune.
le composizioni dei campioni in base anidra,
siè provveduto a esprimere i tenori in ossidi di ferro
come FeO totale. Si è quindi calcolato la media aritmetica delle composizioni di otto ossidi maggiori relativamente alle scorie e al minerale, facendo poi il
Prese
rapporto fra
il
tenore medio del minerale e quello
delle scorie (tab.
XIV).
nelle scorie risulta quello
inMnO (.x2,39'1, SiO, (x 2,78) e P:Os (x 4).
Ai fini del nostro calcolo si prendono però in considerazione solo gli elementi maggiori, FeO, SiOz, MnO
e Al'O,, che in tutte le scorie raggiungono insieme
oltre il95 7o delpeso totale. Il rapporto medio fra minerale e scoria relativamente a questi quattro elemen-
L arricchimento maggiore
ti maggiori
risulta 1,84.
L equazione suddetta si
184 gr
gr
minerale +
può dunque formulare così:
X gr carbone =
100 gr scorie +
X
feno
il coefficiente agli elementi si ottengono
idati riportati in tab. XIV per 100 gr di minerale. Si
può notare quindi che dei 115,18 gr di ferro contenuti in 184 gr di minera7,e,46,49 gr passano in 100
gr di scorie, con una differenza di 68,69 gr, pari al
Applicando
59,63V0,
Dunque:
184
gr
gr minerale +
X gr carbone = 100 gr scorie + 69
feno
Siottiene quindi che:
gr di ferro si devono ridune circa
268 gr di minerale, scartando ctca 145 gr di scorie.
Per
ottenere 100
bassofuochi di epoca longobarda era dunlontani dalla resa teorica dell'epoca immediatamente precedente, i fonditori del
VII secolo d.C. riuscivano comunque ad ottenere una
Laresa dei
que
del 37Vo. Anche se
8.6.1 Bilanci chimici
Come si è notato nel paragrafo precedente, il tenore
medio di silicio presente nelle scorie è circa tre volte
quello contenuto mediamente nel minerale. Ciò non
può essere dovuto ad una aggiunta intenzionale di
sabbia alla carica di minerale e carbone immessa nel
forno, poiché non avrebbe molto senso; si può anche
escludere una reazione della carica con la parete del
forno (34), perché in tal caso il tenore di alluminio
sarebbe aumentato in modo notevole. Solo nel caso
del campione dilaitier anahzzafo (vd. 8.5.10 e 8.5.14)
(tab. XII| si può pensare ad una interazione della parete, proprio per la non trascurabile percentuale di
alluminio presente in questo tipo di scoria.
Anche il manganese risulta concentrato nella scoria
più di due volte rispetto al minerale; è probabile che
questo elemento non passi dunque nel metallo prodotto se non in minima percentuale, come sembra il
caso della barra di acciaio rinvenuta a Ponte di Val
Gabbia I e forse prodotta con il ferro locale (vd.
8.7,a). Maggiore risulta la concentrazione di fosforo
- quatÍo volte che nel minerale - per la quale valgono le considerazioni già espresse per Ponte di Val
Gabbia III (vd. 7,1.2).
8.6.2 Stima della produzione dei bassofuochi
A Ponte di Val Gabbia I e II si è recuperato tutto il
materiale siderurgico reperito, sia in superficie che
nelle stratigrafie scavate. In base a ciò, si può tentare un calcolo approssimativo del volume di scarti
prodotti da ciascun impianto e quindi della sua pro-
duzione, applicando la proporzione fra scorie prodotte, ferro ottenuto e minerale ttlhzzato stabilita con
il calcolo della resa.
PONTE DI VAL GABBIA I
Superficie totale di spargimento: 200 mq
Superficie scavata: 26 mq/13 Vo)
Volume scavato di terra con materiali di scarto:
4,5 mc
159
mente cc
Normal. base 100
Ematite
Goethite
Goethite sito
Scoria
B,
90,10
19.59
1,
0 ,02
<0,01
2.50
t ,34
<0,01
3,80
0.04
<0,01
0,09
0,05
0,16
<0.01
66.43
8.61
0,61
0,03
0,r1
0,02
0,53
0,67
0,04
r?<
G
57,01
59,11
8.48
42.65
<0,01
44,t3
10,57
r0,29
<0,01
87,18
0,62
32,91
2,06
54,96
8.13
0,29
0,45
H
26,56
0,62
63,42
8,29
o
,H
38.25
,K
t7,44
E
L
Scoria P, 6 t
16,
0,00
<0.01
<0,01
ScoriaA, 10 t rH
ScoriaB, 6 ti rP
E
Scoria sP., t
U,
86.11
0.02
0,58
<0.01
0,02
10,56
8.75
1, 52
<0,01
)o 5'
K
Scoria B. 6
Scoria
FeO tot.
8,97
12
Scoria sp, t
Scoria P, 5, ti
Al'O,
0,64
II
ti
Scona P. 6,
Media minerale
Media scorie
CaO
CuO
SiO'
9.99
Goethite sito I
Mgo
MnO
P'f)s
lo 5l
/-+.
t+
35,45
25.39
?l
E'proba
forgiati
stesso, f(
comunq
gettare
0,01
0,15
<0,01
0,06
0,02
Barra fra
cm 2; sp
tangolar
tina piut
pleta su
profondr
a)
1,30
0,05
0.01
0,22
0.21
0,52
0,20
0,0t)
<0,01
0.24
<0,01
0,04
0,25
0,31
1,26
5
1,48
6,64
)o6
68.17
9,6\
0,42
0,70
60,1
8,06
0,39
t0.29
9.70
9,42
0,42
oì5
0,41
0,45
0.11
0,59
0,6'7
0.19
<0,01
0,61
0;71
0,33
0,04
0.16
4,00
0,01
o.41
0,96
0,32
0,36
0.66
0,68
0,01
0,00
t.25
0,01
0.00
0,22
0,06
0.01
1,03
0,05
0,01
1
l,20
6t,10
)
49,48
17
60,12
10,19
0,14
28,4t
r,09
0,04
<0,01
E'stata
8,23
L
0,02
minerale
4,16
0,39
184
mineraie
scone
8,75
0.71
13,28
n57
4,53
-0.14
in 100
Differenza
62,60
)65
15.18
4,81
46.49
6.3'l
r
-68,69
0,28
-0,38
l,50
p_esanti
di ponte di var Gabbia I
piazzarunga e dene_scorie
xlV:composizioni del minerale di
da Ml rcroy 1997 , p. !79, tab'
tenori medi tra minerale . ,*rl" i.i"aaftato
Tab.
-
e
esame
della str
(ferro al
Tali scor
2,00
Mn
100
Bara
lucidatu
80,57
59,84
Ir e confronto dei
xxvl)'
trice vetr
sono più
larghezz
colpi di
zona pf€
sono pre
aghi, co
strutture
tenore tc
Le
materiali rli scarto:
Stima del volume totaie di tena con
34.6mc
Peso dei materiali raccolti:
72kg
553'6 kg
Stima del peso totale dei materiali:
Peso delle scorie raccolte: 61'5 kg
472'8kg
Stima del totale di scorie prodotte:
Stima del feno Prodotto: 326 kg
kg
Stima del minerale consumato: 874
PONTE DI VAL GABBIA II
mq
Superficie totale di spargimento: 352
(5,54
7o)
Superficie scavata: 19,5 mq
di scarto:
Voiume scavato di terra con materiali
8,75 mc
materiali di scarto:
Stima del volume totale di terra con
158 mc
kg
Peso dei materiali raccolti: 63,9
1153 kg
Stima del peso totale dei materiali:
kg
Peso delle scorie raccolte: 34,7 5
160
L
tallo.
627 kg
Stima del totale di scorie prodotte:
Stima del feno Prodotto: 432kg
kg
Stima del minerale consumato: 1159
sultano i
di silice
avrebbe dunque avuto
Il sito di Ponte di Val Gabbia II
del coevo imuna produzione maggiore di quella
ad un
ó; scavato net t9g+;ciò può essere dovuto
iunzionamento più prolungato nel tempo'
Val Camonica
Ricorderemo che nel IX secolo dalla
di Brescia 60
giungevano al monastero di S' Giulia
iioué di feno (35), pari a circa kg 19'6-19'8'
menti di
cano ch(
scoria er
Tutto cir
toide, a
dolce e
impuritè
fragile. I
bilmentr
durante
I
In assen
8.7I materiali
non ha
Lo scavo dei due siti di epoca longobarda
anali
dello 0,(
re-
manufatti
stituito alcun repefio ceramico' Gli unici
alcuni
sono
I'
recuperati, tutti à Ponte di Val Gabbia
quali diretta'
ogg"tti frammentari di ferro, parte dei
stabilire
pertinen
bile peri
forno pe
Labalri
mente connessi come
vedremo al lavoro di riduzione.
E'probabile, ma non dimostrabile, che essi siano stati
forgiati utthzzando il ferro prodotto nell'impianto
stesso, forse in forge localizzate a Bienno; quasi tutti,
comunque, sono manufatti coevi al sito, che possono
gettare luce sulle tecniche della lavorazione del metallo.
a)Bana in feno (fig. 58, g)
Bana frammentaria (lungh. conservata cm 14,8; largh.
cm2;spessore cm 1,1;peso gr 115,5) a sezione rettangolare. E,ssa mostrava superficialmente una pa-
tinapiuttosto spessa di idrossidi; la corrosione, completa su tutte le superfici, è penetrata su di un lato più
profondamente, fino a metà circa dello spessore.
E'stata praticata una sezione trasversale e, dopo la
lucidatura, è stato effettuato un attacco al Nital.
L'esame al microscopio mostra che la maggior parle
della struttura è costituita da grossi grani di ferrite
(feno alpha) con inclusioni di scorie di varia forma.
costituite da dendriti di wustite in matrice vetrosa e, soprattutto verso il margine della bana,
sono più grandi e di forma allungata nel senso della
Iarghezza dell' oggetto, indicando così la direzione dei
colpi di martello durante la forgiatura a caldo. Nella
zona presso il bordo si nota una carburazione locale,
sono presenti infatti formazioni a denti di sega e ad
aghi, corrispondenti alle placche laterali di ferrite strutture di Widmanstàtten - entro perlite (fig. 59). Il
tenore totale di carbonio è fra lo 0,8 el'l Va.
Tali scorie sono
chimiche hanno evidenziato la presenza
dello 0,013 7o drmanganese; il fosforo e 1o zolfo risultano in percentuali ininfluenti (tab. XID. Letracce
di silice sono dovute alla presenza dei piccoli frammenti di scorie osservabili al microscopio; essi indicano che nel corso della battitura a caldo non tutta la
scoria era stata spremuta fuori dal blumo.
Tutto ciò indica che la barra era di acciaio ipoeutectoide, a basso contenuto di carbonio, cioè un acciaio
dolce e malleabile di buona qualità, quasi privo di
impurità di zolfo e di fosforo che lo avrebbero reso
fiagile. La carburazione notata sul margine è probabilmente casuale, dovuta al riscaldamento operato
durante le operazioni di forgiatura.
In assenza delle estremità della barra è impossibile
stabilire a quale tipo di oggetto o di strumento fosse
pertinente; date le dimensioni e la sezione, è possibile però che si trattasse di una verga, impiegata nel
forno per vari usi.
Labanaproviene dal saggio F, US 18.
Le analisi
b) Punta in ferro (fig. 58, d)
Punta frammentaria (lungh. conservata cm 5,2; largh.
e spessore cm 1,1; peso gr 3I,04) a sezione quadrata.
Si conserva l'estremità appuntita. Il manufatto presentava una sottile patina di corrosione su tutte le superfici. Lo strumento doveva essere stato rotto in antico, in seguito alle sollecitaztoni subìte nel corso del
suo impiego nel fomo. E' probabile che una punta di
questo tipo fosse utrhzzata infatti alla fine di ogni
processo di riduzione per fare leva ed estrarre il massello di ferro dalla "porta" del bassofuoco, come anche per scoprire il massello stesso e ripulirlo dalle incrostazioni di carbone e scoria.
Il manufatto proviene dal saggio B, US 6, cioè dal livello di abbandono del bassofuoco.
c) Gavaina in feno (fig. 58, e)
Frammento di tenaglia (lungh. conservata cm 4,9;
largh. cml,4; spessore max cm 0,45;peso gr 13,93),
in cattivo stato di conservazione, con avanzati fenomeni di corrosione e ossidazione. Il frammento è pertinente a metà della bocca di una gavaina di piccole
dimensioni, cioè di un peculiare tipo di tenaglia a
bocche curve, in epoca moderna impiegata quasi
esclusivamente nelle forge per afferrare e rivoltare i
ferri roventi, specialmente di forma arrotondata, durante la battitura al maglio (36). Molti esempi moderni di questo tipo di strumento, di dimensioni molto
variabili, sono conservati nel Museo del Ferro di
Bienno.
A Ponte di Val Gabbia I la gavaina poteva avere impiego nell'afferrare saldamente e recuperare il massello, sollevato nel forno per mezzo della punta precedentemente descritta.
La gavaina è stata rinvenuta nel saggio B, US 6 relatla all'abbandono del forno.
d) Chiodo in feno (fig. 58, f)
Chiodo per ferro da cavallo (lungh. cm 3,95; largh.
della testa cm 0,7) a sezione e testa quadrate. Presenta estesi fenomeni di corrosione.
Il manufatto proviene dal saggio G, US 2rc7atlaad
un'epoca successiva all'abbandono dell'area siderurgica ed è databile probabilmente a molti secoli
dopo la cessazione delle attività metallurgiche.
Nel complesso, se si esclude il chiodo, che non è contestuale alf impianto di epoca longobarda, siamo di
fronte a tre manufatti certamente connessi con la lavorazione del ferro.
161
fuori dubbio che la punta fosse impiegata in
varie fasi del processo - ripulitura del massello da
scorie e carbone e soprattutto estrazione del blumo
stesso. Per quanto concerne invece la gavaina e la
barra, entrambe possono rimandare sia alla prima riduzione del ferro e quindi al lavoro nel bassofuoco,
sia alla successiva forgiatura.
Lo scavo dell'impianto di Ponte di Val Gabbia I, come
anche dell'altro sito coevo, non ha pofiato alla luce
nessun resto che possa far presagire la presenza di
Sembra
una forgia. Una tenaglia come la gavaina poteva del
resto trovare impiego proprio nell'estrazione del mas-
sello di feno dal bassofuoco.
S.S
Inquadramento storico dei siti
della Val Gabbia
Non è questa la sede per affrontare il problema deiI'insediamento nella bassa Val Camonica nel confuso
periodo di transizione fra tardoantico e alto Medioevo. Senza nessuna pretesa di completezza, nelle rt'ghe che seguono si è cercato semplicemente di riassumere i pochi elementi a disposizione.
Sia i dati archeologici, sia le notizie storiche sono
estremamente scarsi e frammentari. Ricorderemo che
in epoca romana la Val Camonica costituiva una via
di comunicazione naturale fra la pianura padana e la
Raetia, ed era percorsa da una strada militare (37).
Uabitato più importante era Cividate Camuno che,
con i suoi edifici pubblici e privati di lusso, assurgeva alla dignità di centro urbano vero e proprio (38);
anche Bienno doveva essere un sito di una cefia consistenza (39).
Lanotiztadei cronisti, secondo la quale al momento
dell'invasione longobarda i Goti rimasti in Italia si
sarebbero ritirati nella zona delle Alpi, sembrerebbe
confetmata secondo alcuni autori in Val Camonica
dai ritrovamenti archeologici. Si tratta di un gruppo
di fibule di notevole interesse, sebbene piuttosto modeste per reahzzazione, che sono state ritenute di varia origine - tridentine, autoctone, di tipo arcaico osffogoto; esse furono rinvenute neila zona da Darfo ed
Erbanno fino a Vione (40).
Varie tombe a inumazione quasi sempre prive di corredo, isolate o raggruppate in piccole necropoli e distriLruite nella media e bassa valle, sono databili genericamente all' epoca tardoromana o barbaric a (41).
Sappiamo che i Longobardi giunsero a Brescia e nel
suo teritorio nel569 (42,).Utnvasione dovette pro-
t62
voc are un certo sconvol gimento nell' or ganizzaztone
ratr
sociale ed economica anche dellaVal Camonica (43)'
In età longobarda Brescia fu sede di uno dei più importanti ducati, la città stessa era una delle maggiori
del regno (44).Lasituazione nell'area urbana in questo periodo è ben conos cittta grazie a recenti scavi archeologici nel centro storico (45).
Fra la fine del VI e i primi decenni dell'V[I secolo
i resti archeologici, sebbene sporadici e frammentari,
testimoniano I'occupazione da parte dei Longobardi
del territorio bresciano (46). Nella zona montana si
segnala una necropoli altomedievale a Gardone Val
Trompia, mentre a Darfo-Boario Terme fu rinvenuta
ster
sco
Le
vor
mel
ziot
una
Atr
una tomba forse longobarda databile al VII secolo
(41).
Una penetrazione longobarda nella bassa valle dovette verificarsi, dato che a Berzo aveva sede una
corte domoculta con masse distribuite nella valle,
attestata nel7l4 dal testamento di Tuidone, gasindo
del re Desiderio (48). In epoca altomedievale' nell'abitato di Bienno avevano luogo attività artigianali
di lavorazione del ferco (49);1a prima nottzia scritta
sul sito risale invece ad epoca franca: nell'841, fra i
beni donati dal vescovo di Brescia Ramperto al monastero benedettino cittadino dei SS. Faustino e Giovita. è citata la "casa di S. Eusebio" sul monte di
Bienno con tutte le sue spettanze (50).
Nol
8.9 Osservazioni tecnologiche conclusive
In base ai dati ottenuti dagli scavi, possiamo pensare
che gli impianti siderurgici della Val Gabbia fossero
dotati di bassofuochi a ventilazione naturale. Tuttavia il procedimento impiegato era marcato da una significativa differenza: mentre nei forni di età tardoantica la resa teorica era ottimale, in epoca longobarda invece si favorì un aumento della temperatura'
Ciò è mostrato dagli indicatori a nostra disposizione,
le scorie. che risultano nettamente diversificate: molto
omogenee per tipi e temperature raggiunte al sito III,
molto eterogenee nei siti di epoca longobarda; i lal-
tiers à grenaille sono attestati nelf impianto più antico, mentre risultano assenti in quelli più tardi, al
contrario dei "blocchi colonnari", ecc.
L aumento della temperatura è un errore tecnologico,
che portò ad una resa minore e forse ad un maggior
consumo di combustibile. Si può osservare che un
analogo emore è stato rilevato nei forni altomedievali della costa toscana, che utihzzavano una tempe-
1)
SCAV-
Tizzt
anch
base
2)
gno Í
dal2
3)
11-1,
4)
al ra1
dotto
{t
6)
1)
p.14
ratura più elevata
stessa
rispetto ai bassofuochi romani deila
zona, con conseguente perdita di ferro nella
scoria (51).
ci sono ignote e deftadizione
metallurgica, a meno che non si tratti di un'evoluzione della siderurgia locale; certamente denotano
Le cause di tale comportamento
vono essere imputate forse ad una diversa
comprensione del processo siderurgico.
Atutt'oggi sono ancora troppo pochi i siti siderurgici
una scarsa
scavati sul versante meridionale delle Alpi per comprendere se quanto osservato in Val Gabbia sia un fenomeno locale o generaltzzafo.
Un'ultima notazione riguarda infine i dati quantitativi della produzione siderurgica, di tutto rispetto per
le epoche considerate e nel complesso insospettabile.
Essa mostra una notevole vitalità economica dell'area montana della Valcamonica in questo complesso
periodo di transizione.
Note
1) Questo contributo riprende in larga parte le edizioni degli
scavi in Cucini Tizzoni, Tizzoni 1996
Cuciní Tizzoní,
e
Tlzzon 1998. Tuttavia certe interpretazioni sono cambiate e
anche
base
il calcolo della resa dei forni è stato riformulato sulla
di nuove analisi chimiche.
Lo scavo di Ponte di Val Gabbia I si è svolto dù 27 gi:ugno al 9luglio 1994, mentre lo scavo del sito II ha avuto luogo
dal26 giugno al 7 luglio 1995.
8) Leroy 1997, pp. 146-148.
9) Eschenlohr, Serneels 1991, p. 64fig.46,p.66. Pelet 1993,
pp. 54-55,57.
10) Pelet 1993,p.69.
2)
3) Si vedano
11-14, con
al
le considerazioni espresse sopra, cap. I .3.1, nt.
a ventilazione naturale.
i confronti per i fomi
4)Oltre all'apertura inferiore, tale funzionamento è connesso
rapporlo fra il diametro intemo, che deve essere piuttosto ri-
dotto, e
l'elevata altezza del fomo, Pleiner 1993, p. 548.
5) Pelet 1993,
pp. 70-71
I 1) Si confronti ai Clérimois, dove la scorificazione dei forni
di tipo II e IV è in media di 3 cm, quella dei forni di tipo III da
7 a4 cm, Dunikowski, Cabboi 1995, pp. 89, 93. ABoécourt la
scorificazione giunge sino a 5-6 cm, Eschenlohr, Serneels 1991,
p.10.
12) Pelet 1993, pp. 66-67
.
13) Per questo tipo di ventilazione si veda sopra, nt. 3.
14) Confronti ben conservati a Ferrara per
.
i secoli
centrali
del Medioevo, Guarnieri 1997.
6) Eschenlohr,
Serneels 1991, p. 66; Pelet 1993,
p.71.
15) Curioni 1860, p.54.
7) Per questa
p.146.
definizione
e
le loro caratteristiche Leroy 1997,
l6) Cesa Bianchi
1874.
r63
-!rF
l7) Tizzani
1997 ,
pp. 43-44.
pareti era molto variabile, Serneels I 993, pp. I 05- 106, 1 35- 136.
Per i Clérimois Dunikowski, Cabboi 1995,p.152.
18) Curioni 1860, pp.56-57.
32)IJn primo tentativo
l9)Zoppetti 1873, p. 113. Nell'alrofomo della famiglia d'Adda
a Locamo Valsesia (Vercelli) il ferrino era costituito da quei
frammenti di fer:ro non isolati dalla massa delle scorie. Ttzzoni
1991 ,
è già stato
fatto da chi scrive per i siti
I e II in Cucini Tizzonr,Tizzoni 1998, pp. 201-204. In
sede si è aggiunto al computo
tite e quello di quau.ro scorie.
questa
l'analisi di due campioni di ema-
p. 213 .
33) Come notano per Les Boulies Eschenlohr, Serneels 199i,
20) Sul sito Dieudonné-GIad 1997,
p. 102. Per i Clérimois, Dunikowski, Cabboi 1995,p.124.
34) Come notaLeroy 1997,p. 179,per il caso lorenese.
21) Ploquin 1994,p. 17.
35) La libbra romana equivaleva a gr 327,45.
22)Bachmann 1982, p. 11.
23) Bachmann1982, p. 14; Serneels 1993, p.25.
36) Cucini Tizzoni,Tizzoni 1997, s.v. "cavada".
37) Yiazzi 1979 , pp. 27 -30.
24) Bachmann 1982, p. 18.
38) Garzetti 1987 , p. 13.
25)
Il feno
era usato come fondente anche per
il trattamento
di minerali di piombo argentifero, Cucini Tizzoní 1997a.
26) Cucini Tizzoni, Tizzoni 1992, fi1. 4.
27) Questa dinamica è illustrata in Cucini Tizzoni, Ttzzoni
1992 p. 37 ; per la "pozza delle scorie" si veda Rostoker, Bronson 1990, pp. 89-90.
28) Cucini Tizzon|Tizzoni 1992, p. 42, fig.20.
39)Abelli Condina 1986, pp. 31-33; Rossi 1992-1993,p.133.
40) P anazza 1 97 8, pp. 125 - 126: Lorenzi 197 9, p. 23.
41) Abelli Condina 1986: Bovegno p. 89, Marmentino p. 92,
Gardone Val Trompia p. 1 0 l, Darfo-B oario Terme p. 122, Onere
p.128.
42) B iemmi l1 48 - l1 49, tomo I, p. 323
;P
anazza 197 8, p.
l2l.
43) Cottinelli 1982, p. 161;Lorenzi 1979, p. 19.
44) Biemmi 1148-1149, tomo I, p.323;Panazza 1988, p.23.
29) In un primo momento si era pensato ad un fenorieno di
melal\izzazione della wustite, Leroy 1991 , pp. 166-168; Ploquin, Mahé, Leroy, Dieudonné-Glad, Janier 1996, p. 110. Cucini Tizzoni, Tizzoni 1 998, pp. 19 6, 199 -200, figg. 22-24.
45) Brogiolo 1992, con bibliografia precedente.
46) Panazza 1988, p. 21. Per un'interpretazione diversa
veda De Marchi 1995, pp. 63 nt. 21, 67,
30) I1 sito metallurgico di Kouri si trova nelle immediate vicinanze di alcune miniere di ferro. Per il sito sulla costa toscana
Cucini Tizzoni,Tizzoni 1992, p. 120, sito 836. Podere Val del-
I'Acqua.
Eschenlohq Serneels I 99 1 , p. 70. Sempre in Svizzera, nei
distretti del Mormont e di Montcherand. la scorificazione delle
3
1
164
7
l.
47) Abelli Condina 1986, pp. 102,123.
48) CDL, 51, a.774, maggio; Lorenzi 1979, pp.20, 33.
49) Rossi 1992-1993.
)
50) CDL, 140, a.841,31 maggio.
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b)
Ponte di Vat Gabbia I e II, pianta dei saggi di scavo: A, B, C, E,4 G sito I; M, N, R Q, R, S,l U sito
II; H Ponte di Berto, I sentiero, J torrente di Val Gabbia, 0 carbonaia. Il saggio D, all'estremità S'E
del sito I, non è figurato poichè esterno alloarea siderurgica.
Ponte di Val Gabbia I, saggio E, pianta; periodo 1, fase I.
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Fig.47: a) Ponte di Val Gabbia IIo saggio R, sezione. b) Ponte di Val Gabbia
50cm
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B, sezione.
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Fig. 4l:Ponte di Val Gabbia I: a) saggio
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SaggioT-sez.N-S
Fig. 49: Ponte di Val Gabbia
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II:
a) saggio P, sezione; b) saggio S, sezionel c) saggio T, sezione.
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Fig. I
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SaggioE-sez.S-E
Fig. 50: Ponte di Val Gabbia
t72
I:
a) saggio E, pianta, periodo 1, fase
III;
b) saggio E, sezione.
r\-lil
22i
I
50cm
Fig.
5l:
a)Ponte di Val Gabbia
la soglia della porta
del bassofuoco.
I:
Si nota l'impronta di uno
strumento impressa
nella scoria.
Ponte di Val Gabbia
II:
ventaglio",
faccia superiorel
b) la "placca a
saggio P US 5;
c) faccia
inferiore.
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Fig. 52: Ponte di Val Gabbia
114
5cm
II:
la "placca a ventaglio", saggio R US 5'
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Mn%
Fig.53:
a) Ponte di Val Gabbia I, ricostruzione ipotetica del carbonile.
b) Ponte di Val Gabbia I e II, diagramma del rapporto tra manganese e silicio nelle scorie di
riduzione (punto) e nel minerale diPiazzalunga (cerchietto).
t75
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sio,
MnO
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CaO
CaO %
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Fig. 54: Ponte di Val Gabbia I e II:
b) diagrammi ternari di fase; I'asterisco indica la parete di forno, il quadrato il minerale di Piazzalunga, il
cerchietto il laitier, il triangolo le scorie del sito I, il punto le scorie del sito II;
c) tenori in calcio e silicio e indice di basicità del minerale diPiazzalunga (asterisco) e delle scorie dei siti I
(cerchio) e II (punto) (diagramma tratto da Leroy 1997, p. 53, fig. 22).Il triangolo indica il minerale.
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o
P2O5o^
Laitier
FeO tot%
Fig. 55:
a) Ponte di Val Gabbia
e II, tenori in ossido
I
o
di ferro e fosforo
del minerale di
Piazzalunga
(triangolo) e delle
scorie dei siti I
(cerchio) e II (punto)
(diagramma tratto
daLeroy 1997,
p. 53, fig.23).
Ponte di Val Gabbia I:
b) il canale interno di un
ttblocco colonnarett;
c) frammento di "blocco
colonnare" inglobante
una goccia di ghisa.
o
t7l
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o
Fig. 56: Ponte di Val Gabbia I:
a) macrofotografia della goccia di ghisa all'interno del canale di un blocco colonnarel
b, c) particolari al microscopio della goccia di ghisa (x 200 e x 500).
Ponte di Val Gabbia II:
"placca a ventaglio", scoria di tipo E (x 200), si nota la cesura
d)
tra due distinti momenti della colata.
Fig. 57:
Ponte di Val Gabbia
I:
a) macrofotografia di
scoria di tipo H;
b) microfotografia
della stessa (x 200);
c) microfotografia
di scoria di tipo
K
(x 200).
o
@
Fig. 58: Ponte di Val Gabbia II:
laitier e scoria densa;
a, b) scorie tra
Ponte di Val Gabbia
c)
d)
fl)
g)
180
I
(pagina a fianco):
frammento di "blocco colonnare" inglobante una goccia di ghisa;
punta in ferro; e) probabile frammento di tenaglia;
chiodo;
frammento di sbarra di ferro.
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Fig. 59:
Ponte di Val Gabbia I:
a) struttura della barra
o
in acciaio dopo attacco
al Nital (x 100);
b) particolare della stessa
(x 100), si notano
le strutture
di
Widmanstàtten;
c) particolare delle
inclusioni di scoria nella
barra in acciaio (x 500).
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