Nothing Special   »   [go: up one dir, main page]

Academia.eduAcademia.edu
MUSEI DEL FERRO IN EUROPA E IN ITALIA La ricerca storica e [e esperienze di conservazione e valorizzanone Ami del Convegno, Brescia - Thvernole sul Mella 24-25 settembre 2004 a cura di Pier Paolo Poggio e Carlo Simoni grafo @ ftbbnio zoo6 MUS II Grafo edizioni, via Maiera z7, 25t2, Brescia uluwgrufr,it ISBN 88 ZISS 69t o Questo libro è pubblicato con il contributo di Fondazione della Comunita Bresciana (or'rlus) IlC,onucgno è sun Promosso da: Mueo dell Indusuia e del Lavoro "Eugenio Battisti" Age-i. Parco Minerario dell'Ala Valle Îompia Comunita Montana di Valle ÎomPia ilpatrucinio di: Pro'incia di Brescia C,on C.omune di Brescia C.omune diThvernole Con il contributo di: Fondazione della C,omunità Bresciana La ricerca storica e [e esperi Ani del Convegno, Brescia - Thve 24-25 seffembre 2004 a cura di Pier Paolo Poggio e C-arlo Simoni COSTANZA CUCINI TI77ONI, MARCO TIZZONI origini de[[altoforno: i siti de[[a Val, Gabbia e detla Val, Grigna a Bienno in Valcamonica Al"Le INTRODUZIONE Se la pianura lombarda è stata ed è oggetto di approfondite indagini archeologiche per quanto concerne il complesso periodo di transizione dall'epoca romana all'alto Medioevo, e più in generale per il Medioevo, non altrettanto si può dire per le valli alpine e per I'area montana. Le difficoltà pratiche e logistiche della ricerca non hanno incoraggiato lo sviluppo di progetti sul terreno, tranne raÍe eccezioni, conseguentemente i pochi ritrovamenti offrono un quadro parziale e lacunoso. Dal 1994Ia cattedra di Preistoria e Protostoria dell'Università degli Studi di Bergamo, unitamente al laboratorio Metallogenesi s.a.s. di Milano, ha intrapreso lo studio del comprensorio minerario e metallurgico di alcune vallate bergamasche e bresciane. Nel territorio di Bienno in Valcamonica sono state indagate la Val Grigna e la Val Gabbia' (fig. 1). Nella prima, in località Campolungo e Baita Cludona, è stata scoperra e parzialmente esplorata una grande area mineraria e un complesso scavo in sotterraneo per la ricerca e I'estrazione di minerali di rame con annessi impianti di frantumazione e di preparazione del minerale la cui ultima fase di attività è stata datata alla prima Età del Ferro. Invece gli scavi in Val Gabbia hanno restituito un'eccezionale sequenza insediativa produttiva dall'epoca tardoantica al XIII secolo, che ha segnaro una svolta nella storia della siderurgia alpina. Sono state infatti documenrare la produzione e la decarbu razione volontaria di ghisa nel V-VI sec. d.C. e, come vedremo, il precoce passaggio a srrurture di riduzione del tipo dell'altoforno nell'XI-XIII secolo. Il minerale che qui veniva ridotto proviene dalla grande miniera di ematite diPiazzalunga (Berzo), distante meno di un'ora di cammino dai siti indagati. e I SITI DELLA VAL GABBIA Lungo il torrente di Val Gabbia sono stati scavati tre siti di lavorazione del mine- I Per le campagne in Val Gabbia e a Campolungo vedasi CucrNr TrzzoNr, TrzzoNr 1999, Cucrxl TrzzctNr et alii 2001. 21. CUCINI - --_ TIZZONI rale di ferro, situati tra le quot to di Bienno (fig. 2).Essi si tr, ra diPiazzalunga (quot" m l3 le per uomini e animali; infatt lo piùr molto incassato, con PÍ che nel passato questo era dt passaggio obbligati per risalir meno ripido e scosceso. Il grande giacimento di P ' per oltre un millennio ed è stat nero estratti oltre 10.000 mc minerale è ricco in mangane come tutti quelli del tiPo'AlP posti uno di fronte all'altro su rente Gabbia, vengono datat (fra il 560 eil760 d.C.); qui, duzione del ferro. Il sito III, a da cui dista 210 min linea d'' quenza più complessa; infat epocÍr tardoantica-altomediev d.C.), collegata a forni di rid dell'attività siderurgica nei se< 1030 eiI1270 d.C.) in un altoforno "arcaico". connr IL SITO DI PONTE DI VAL GABI Il complesso meallurglc stra del torrente; il suo wilup neari, su un dislivello di 18 n l7o/o) (fig. 3). l,lareaè attuah a dominanza di abete rosso e I massi di frana, precipitat montana in vari momenti, al di Figura 1. Localizzazione dei siti citati nel testo. 1) Sesa; 2) Vatte delte Forme; 3) Ponte di Val Gabbia; 4) Miniera di feno di Piazzalunga; 5) Miniera di rame di Campotungo; 6) Miniera di rame di Baita Ctudona; 7) Moia Tonda. 22 chi. Questa situazione ha lin l'intervento archeologico, im vo open Area e soprattutto di cruciali del complesso sideru massi inamovibili hanno con te per la posizione dei sondal 2 MoruN 1999,p.54. \LLE ORIGINI DELL'ALTOFORNO rale di ferro, situati tra le quote 1.300 e 1.375 m s.l.m., a circa 5 km dal centro abitaro di Bienno (fig. 2). Essi si trovano lungo il percorso che da Bienno porta alla miniera di Piazzalunga (quota m 1330- 1635 s.l.m.), in corrispondenza di un guado agevole per uomini e animali; infatti il letto del torrente è per lo più molto incassato, con pareti rocciose verticali: anche nel passato questo era dunque uno dei punti di passaggio obbligati per risalire il monte sul versante Figura 2. I siti detla Vat Gabbia. meno ripido e scosceso. Ì Il grande giaciment o diPiazzalunga fu sfruttato f per oltre un millennio ed è stato calcolato che viven- i nero estratti oltre 10.000 mc di ematite e roccia2; il t minerale è ricco in manganese (da 7,04 a 8,15o/o), f come tutti quelli del tipo "Alpi lombarde". I siti I e II, posti uno di fronte all'altro sulle rive opposte del tor..r,,. Gabbia, vengono datati all'epoca longobarda I (fra il 560 eil760 d.C.); qui erano attivi forni di ri- \ duzione del ferro. Il sito III, a monte dei precedenti, da cui dista 210 m in linea d'aria, ha restituito una se- quenza più complessa; infatti dalla capanna-forgia di epoca tardoantica-altomedievale (datata tra1l410 e il 600 d.C.), collegata a forni di riduzione, si passò alla ripresa dell'attività siderurgica nei secoli XI-XIII (datazione fra il 1030 e rl1270 d.C.) in connessione al funzionamento di un altoforno "arcaico". IL SITO DI PONTE DI VAL GABBIA PONTE DI VAL GABBIA BIENNO BRESCIA III Il complesso metallurgico si trova sulla sponda sinistra del torrente; il suo sviluppo totale è di oltre 60 m lineari, su un dislivello di 18 m (pari a una pendenza del I7o/o) (fig. 3). larea è attualmente a bosco di conifere a dominanzadiabete rosso e risulta ingombra di gran- di massi di frana, precipitati lungo la pendice montana in vari momenti, alcuni molto anti- s'ro l chi. Questa situazione ha limitato fortemente l'intervento archeologico, impedendo uno sca- o %ú vo open area e ropr"i,rr,,o di op.rare in punti cruciali del complesso siderurgico; infatti i molti massi inamovibili hanno condotto a scelte obbligate per la posizione dei sondaggi. 2 MoRrN 1999,p.54. 23 CUCINI - TT,ZZONI Figura 3. Planimetria del sito di Ponte di Val I ITII TTI III Gabbia III. al sito; stessi materiali vennero reim mento di scorie colate pesan di materiali di scarto rinvent 2: Carbonaia; to a un ugello in argilla per A-1, X, Y: Saggi di scavo; .A -1.. 'tlYr-rf{î\ / I | \ \\ 1: Sentiero di accesso 3: Fonte; 4: Torrente; 5: Scivolo per trebbe indicare I'utilizzo di it carbone; 6: Masso riutilizzato come piano d'appoggio per 1o scarico de[[a capanna-forgia e per atloggiarvi un palo ligneo. OF u fetto-camino", basato sul ra1 Lassenza di ugelli è stat' Ponte di Val Gabbia I e II. ( riduzione medievali della c, ugelli in terracotta interi o I fuochi altomedievali di Les di frammenti di ugelli3. l-), I Rec zero fossero in uso bassofuo querez a; si tratta di forni m ridotto, di circa 50 cm. A Ponte di Val Gabbia venute sembra indicare I'esis del resto piìr consono alla do gia coeva eravúlizzato un m ^îjqrv-1---'--; EL-J +N 0 zione della parte interna dei I stituita da laitier verdastro, r di carbone. I blocchetti mosl so, se i forni utilizzavano la I caico", bensì a una precisa sc 10m in due zone funzionali: u stati rinvenuti I'impronta de sa I bassofuochí e la forgia fra tardoontico e alto Medíoevo Il primo insediamento siderurgico nell'area è relativo all'impianto di una forgia e di forni per la riduzione del minerale di ferro. La forgia venne impostata all'interno di una capanna semisotterranea, denorninata edificio A, dove le maestranze lavoravano alla trasform azione dei blumi di ferro e dei blocchi di ghisa prodotti dai bassofuochi in manufatti. La datazione al Cl4 è risultata compresa rrail 430 e 11 540 d.C. al 680/o di probabilità, e fra il 410 e il 600 d.C. al 95o/o di probabilità (BM 3052). Non è staro possibile scavare i resti dei bassofuochi tardoantichi-altomedievali, poiché sepolti dai movimenti franosi che hanno interessato la zona. Ciò nonostante, le loro cararreristiche tecnologiche sono emerse dallo studio degli scarti che producevano e dai resti delle loro strutture. Essi erano addossati alla scarpata montana sovrasrante la capanna-forgia, probabilmente incastrati nel suolo per essere isolati termicamenre. I materiali impiegati per la loro costruzione erano piccoli blocchi di arenaria locale con facce spianate di spacco; molto vetrificati e deformati dall'azione termica. In alcuni esemplari si nota la presenza di argilla magra, usata come legante. La scorifica24 la tempera e una vaschetta o questa piccola vasca scÍlvata. sa bianca. Il mantice era sut cinale non è stato rinvenutc non conservate della capann nito, una punta da minaton carburazione della ghisa, e c fettosa, infatti presenta una La cultura materiale dc ti rinvenuti oggetti d'uso cc della forgia aveva incorporal menti; la maggior parte de1 panna, oltre un grosso masr , CucrNt TtzzoNt, TtzzoNtl99l a QuIqunnnz 1866, EscHrNI-oH ALLE ORIGINI DELL'ALTOFORNO zione della parte interna dei bassofuochi era molto sviluppata, fino a3,7 cm, ed era co- stituita da laitier verdastro, molto vacuolare, con sferule di ferro metallico e impronte di carbone. I blocchetti mostrano la scorificazione su più lati, indicando quindi che gli stessi materiali vennero reimpiegati per varie ricostruzioni dei bassofuochi. Il rinvenimento di scorie colate pesanti indica che si trattava di forni slag-tappizg. Nella massa di materiali di scarto rinvenuti non si segnala nessun esemplare che possa essere riferito a un ugello in argilla per l'insufflaggio dell'aria. Questa evidenza in negativo potrebbe indicare l'utilizzo di un sistema di ventilazione naturale, cioè del cosiddetto "effetto-camino", basato sul rapporto tra altezzadel forno e diametro interno. Lassenza di ugelli è stata rilevata anche nei vicini impianti di epoca longobarda di Ponte di Val Gabbia I e II. Ciò contrasta con quanto osservato nelle decine di forni di riduzione medievali della costa toscana, dove si rinvengono in superficie numerosi ugelli in terracotta interi o frammentari o, solo per fare un altro esempio, nei bassofuochi altomedievali di Les Boulies in Svizzera dove sono stati raccolti circa un migliaio di frammenti di ugelli 3. Recenti studi hanno dimostrato come nel Giura centrale svizzero fossero in uso bassofuochi a tiraggio naturale del tipo già documentato da Quiquerez a; si tratta di forni molto sviluppati in altezza - fino a 3 m - con un diametro ridotto, di circa 50 cm. A Ponte di Val Gabbia III, tuttavia, I'aspetto vacuolare di tutti i tipi di scorie rinvenute sembra indicare I'esistenza di una soffìeria; un dispositivo di aerazione forzata è del resto pir) consono alla documentata produzione di ghisa. Inoltre, nella capanna-forgia coeva era utilizzato un mantice con un ugello forse in lamina metallica. In ogni caso, se i forni utilizzavano la ventilazione naturale non si deve pensare a un processo "arcaico", bensì a una precisa scelta tecnologica. Al suo interno, la capanna-forgia era divisa in due zone funzionali: una parte era adibita a deposito del carbone; nell'altra sono stati rinvenuti I'impronta della base del mantice, l'alloggio per il bacino dell'acqua per la tempera e una vaschetta ovale dov'erano posti i prodotti in lavorazione; all'interno di questa piccola vasca scavata nel pavimento della forgia si è recuperato un blocco di ghisa bianca. Il mantice era supportato da un bilico in legno con base a doppia elle. Il fucinale non è stato rinvenuto, doveva essere situato in una delle porzioni non scavate o non conservate della capanna. Sul suolo della forgia venne abbandonato un prodotto finito, una punta da minatore in acciaio temperato molto omogeneo, derivato dalla decarburazione della ghisa, e di ottima qualità. Essa non venne mai utilizzara, poiché difettosa, infatti presenta una crepa in corrispondenza dell'estremità appuntita. La cultura materiale doveva essere estremamente modesta, dato che non sono stati rinvenuti oggetti d'uso comune, né ceramica o pietra ollare. Il battuto pavimentale della forgia aveva incorporato poche scorie, battiture di ferro e carbone in piccoli frammenti; la maggior parte degli scarti di lavorazione veniva gettato al di fuori della capanna, oltre un grosso masso di frana utilizzato come base per lo scarico. 3 CucrNt TIZzoNI, TtzzoNt 1992,p.77,fig.49; EscusNLoHR, a SsRNEer-s 1991, p.58. Qurquenez 1866, EscuENr-oHn 2001 , pp.49-51. 25 CUCINI - TIZZONI a indicare che nella forgia di Ponte di Val lavoro post-riduzione: essa riuniva cioè la "fuGabbia III si effettuavano tutte Ie fasi del cina grossa" e la "fucina sotiladord' di epoca rinascimentale t. Innanzitutto va sottolinearo il rinvenimento del grosso blocco di ghisa bianca all'interno di un apposito alloggio situato presso il mantice e il focolare, a portata di mano per lalavorazione; non si tratta quindi di uno scarto, dato che in tal caso sarebbe stato gettato al di fuori del- Tutti gli elementi presenti convergono la capanna con Ie scorie e le battiture. Più in generale la presenza di noduli e piccoli blocchi di ghisa bianca o grigia all'interno delle scorie, cioè la quantità notevole di prodotti ad alto contenuto di carbonio, fa pensare a una produzione volontaria di ghisa, come ha dimosffaro I'analisi archeometrica del blocco sopra descritto, di una scoria a calotta e della punta da minatore 6. Si evidenzia così una straordinaria e precocissima padronanza delle tecniche di decarburazione dalla ghisa bianca all'oggetto, documentata nelle stratigrafie sigillate di V-VI sec. d.C. del saggio C1. Allo stato attuale non esistono confronti con forge di affinazione primaria della ghisa, rantomeno in epoca tardoantica-altomedievale. In Italia del Nord e in Europa sono invece note forge di età romana che trasformavano il semilavorato - barre, lingotti - in manufatti; ricorderemo ad esempio quella scavata in via Puccini a Milano del I-II sec. d.C.7 e quella delle Cave Nord di Calderara di Reno (Bologna) 8 databile al II- IV sec. d.C., con una ripresa dell'attività nei secoli V e M; entrambi questi impianti erano posti in edifici in muratura. Vi sono poi vari esempi europei, fra cui si segnala quello della forgia di Biberist-spitalhof in Svizzera, del II sec. d.C., poiché ubicata in una capanna con tettoia antistante e. Per il periodo tardoantico-altomedievale il confronto piìr vicino geograficamente e cronologicarnente è la forgia scavata al Monte Barro nell'edificio M vano [, in un ambiente porricaro (secoli V-VI d.C.)t essa era dotata di mantice, incudine, vasca dell'acqua per la rempera, fucinale a base quadrata e contiguo deposito del carbone. Questo impianto era uúlizzaro per la forgiatura e la riparazione di piccoli oggetti partendo dal riciclaggio di rottami di ferro; inoltre, sullo stesso fucinale si effettuava anche la fusione in crogiolo di leghe di rame ro. Ancora in Lombardia, scorie di forgia sono state rinvenute a S. Giulia di Brescia nei livelli di vissuto di una capanna della fine del M - inizi VII sec. d.C. 1t. In Piemonre, a Castelvecchio di Peveragno, doveva essere attiva la bottega di un fabbro nel V-VI sec. d.C., come sembrano indicare le scorie e i manufatti metallici recuperati soprarrutto in superficie 12. Anche in Valsesia, nella grotta "Ciota Ciara" pres- il Monfenera sono statl Portat dotata di fucinale in laterizi, strat Infine, un confronto interess Friuli, coevo a quello in esame; si so un vano' con elevati in materiale d' tonaco in argilla; PurtroPPo il cat ratteristiche della lavorazione del Gli scarti detta forgia tardoontica Nel corso del suo funzionar oltre 5,5 mc. Si sono distinte ta Il gruPPo è 8 ORTILLI 1994, pp. 182-183. e Scuucexv 1994,p.143. '0 CucrNr TtzzoNr,TtzzoNt 200l, pp. 273-279. rr Brocrolo 1992, pp. l84,Ig7; MANNoNI, Cuccunnn, RTBBI 1992, pp.2l2-2I4. '2 MrcHELErro er alii 1995, pp. 143-147, l5l-152,158. 26 < Prevalente ") battiture, laitier e scorie colate d cemento di idrossidi di ferro; tal to. Si tratta di aggregati in cui è stabilire la fase della lavorazion' stessa natura tali concrezioni ris co rivelano la Presenza di Piross ferro metallico e sferule di idrol costituite da ghisa bianca a sÚul con questa definizione si è intes dimensioni ridotte, aderenti ai rante la martellatura a caldo ne molto t In b) Percentuale sa, che si formavano sotto il so zioni di affinazione e di elaborz rie sono in genere ben conservz se di affinazione della ghisats' II forno dell'Xl-Xlil secolo Dopo secoli di vuoto inser A, I'area venne di nuovo occu[ Il cosiddetto edificio t CucrNr TtzzoNI 1997, pp. 420-425. 6 FruzrN 1999, p. 192; FluztN 2000, p.29. 7 TtzzoNt s.d. I B era te [a planimetria della Precede ( ne dell'edificio B, fornita dal babilità, e fra il lL70 e il 1280 13 BREccrARor-r TlsoREI-Lt 1995, pp ce, di manufatd in fme di lavorazione t r,r BTERBRAuSR 1987, pp. 110-112, r: FLU2TN 1999, pp. 190-193. 3 ALLE ORIGINI DELL'ALTOFORNO il Monfenera sono stati portati alla luce i resti di un'abitazione con annessa fucina, dotata di fucinale in laterizi, strati di ceneri, carboni, concotto e scorie r3. Infine, un confronto interessante è costituito dall'edifi cio 55 c di Invillino-lbligo in Friuli, coevo a quello in esame; si trattava probabilmente di una longhouse rettangolare a un vano, con elevati in materiale deperibile con basamento in pietra e pareti ricoperte d'in- so ronaco in argilla; purtroppo il cattivo stato di conservazione impedisce di precisare le caratteristiche della lavorazione del ferro, che sembra vi si svolgesse collegata a una forgia ta. G lí sc a rti d e lla fo rgi a ta rd o a nti ca - a lto m edi ev o Ie Nel corso del suo funzionamento, la forgia produsse una quantità di scarti stimata oltre 5,5 mc. Si sono distinte due categorie di scorie di forgia: a) Il gruppo prevalente è costituito da aggregati eterogenei composti da scaglia, battiture, laitier e scorie colate di dimensioni ridotte compattate nella giacitura da un cemenro di idrossidi di ferro; talvolta esse inglobano anche pezzi di legno mineralizzato. Si rratra di aggregati in cui è diffìcile distinguere i singoli costituenti e soprattutto stabilire la fase della lavorazione alla forgia a cui devono essere attribuiti. Per la loro sressa narura tali concrezioni risultano molto eterogenee, al microscopio metallografico rivelano la presenzadi pirosseni, olivina e quarzo ricristallizzato; si notano gocce di ferro metallico e sferule di idrossidi, o wustite. Masse di metallo più consistenti sono costituite da ghisa bianca a struttura ledeburitica, oltre a scorie "spremute dal blumo"; con quesra definizione si è inteso indicare i frammenti di scorie di riduzione, colate, di dimensioni ridotte, aderenti ai blumi usciti dal bassofuoco e da cui si staccarono durante la martellatura a caldo nella forgia. b) In percentuale molto minore sono le scorie a calotta a sezione piano-convessa, che si formavano sotto il soffìo dell'ugello sul focolare di forgia durante le operazioni di affinazione e di elaborazione di oggetti. Per le loro caratteristiche, queste scorie sono in genere ben conservate. Un esemplare ha mostrato di essere relativo alla fase di affinazione della ghisa'5. II forno dell'XI-Xlil secolo Dopo secoli di vuoto insediativo, seguiti all'abbandono della forgia e dell'edificio A, I'area venne di nuovo occupata da maestranze siderurgiche. Il cosiddetto edificio B era una capanna semisotterranea che ricalcava in gran parte la planimetria della precedente, sfruttandone I'escavazione nel terreno. La datazione dell'edificio B, fornita daJ, Cl4, è risultata fra il 1 220 e il 1270 d.C. al 680/o di probabilità, e fra il 1170 e il 1280 d.C. al 95o/o di probabilità (BM 3053). rr BRECCTnRoLT ce, di manufatti '4 It TasoRl,u-t 1995, pp. 77,79-80, 102-103. È però dubbio che si tratti, come ritiene I'Autri- in fase di lavorazione o, in certi casi, usciti dal bassofuoco così come sono. BTERBMUEn 1987, pp. I l0-112,312-313. FLUZIN 1999, pp.190-193. 27 CUCINI - TIZZONI Limpianto per la riduzione del ferro era situato a monte della capanna forgia in direzione del torrente. Nell'area affìoravano in superficie i resti del crollo della strutrura, costituiti da pietre recanti tracce evidenti di scorificazione e di esposizione a un forte calore. Il forno vero e proprio non è stato scavato; infatti esso si trovava in corrispondenza dell'imposta di una moderna teleferica che lo deve avere distrutto almeno in parte; in effetti, nel corso dello scavo dei livelli superficiali si è avuta la percezione di una stratigrafiainversa o comunque rimaneggiata. larea indagata era tuttavia contigua al forno e si sono potuti scavare i suoli pertinenti ai livelli d'uso dell'impianto. La datazione del forno aJ Cl4 è compresa fra il 1040 e il 1220 d.C. al 680/o di probabilità e fra il 1030 e tI1260 d.C. al 95o/o di probabilità (GU-10621), concordemente all'ultima fase di utilizzo della carbonaia e dell'edificio B. Ciò dimostra che anrche nei secoli XI-KII la siderurgia nel sito di Ponte di Val Gabbia III proseguì intensamente, e che quindi l'edificio B, nei cui livelli di vissuto sono state trovate scorie, era strettamente correlato alle attività metallurgiche. Si è detto che il forno non è stato scavato, poiché è stato distrutto in epoca moderna per fare posto a una teleferica. In ogni caso, dai dati a nostra disposizione, è possibile delinearne le caratteristiche produttive e tecnologiche. Il forno era posto alla base sud-occidentale della spianata dove si trovava la carbonaia, nella ripida scarpata: è probabile che il suo fondo fosse incastrato nel suolo e che la struttura addossata al rilievo venisse caricata dall'alto, direttamente dalla carbonaia. In questo modo veniva assicurato anche il suo isolamento termico. Larea sottosrante è ingombra di un grosso crollo di pietre scorificate e deformate dal calore, spesso vetrificate, provenienti dalla distruzione della struttura fusoria. Il forno era stato costruito con piccoli blocchi di quarzite locale di forma parallelepipeda o tronco-piramidale (dimensioni medie: cm 13,2 x 8,9 x 8,2; cm 1 3,4 x ll,4 x 8,9; cm 14,4 x 10,5 x7,9;cm 1 5,6 x 13,5 x 5,3; cm 14,5 x 10,8 x 10,6; cm 16,6 x I3,9 x 8,5), generalmente con facce spianate di spacco, ma in alcuni casi, come vedremo, accuratamente lavorate. Spesso questi blocchetti di pietra sono arrossati e fessurati dal forte calore a cui furono somoposti e nelle spaccature, fino alla profondità di 10 cm, si nota un velo di vetrificazione verdastra dovuta sia all'infiltrazione della scoria, sia alla fusione della superficie della roccia stessa; talvolta ad essa aderiscono sferule di ferro metallico. Non sono state notate pietre con scorificazione su due o tre lati. Il dato più interessante e significativo è fornito da due blocchi particolari; il primo è a forma di cuneo e il secondo, poco più grande, è ricomposto da due frammenti. Entrambi mostrano la faccia interna quadrata, convessa, accuratamente lavorata a formare un angolo ottuso di circa 145"-150'. La linea dello spigolo costituisce anche la demarcazione tra due diversi tipi di scorificazione: si è formata cioè una linea orizzontale che indica una differenziazione tra alto e basso. La parte superiore è più ossidata, più scorificata con colature di scoria verso il basso e reca tracce di ferro (è fortemente magnetica); la parte sottostante mostra invece una superficie corrosa dalla scoria acida, vacuolare, più scabra al tatto dal basso verso I'alto che non viceversa, e non è 28 magnetica. Siamo evidentementr due zone interne del forno, una sa, il metallo non è liquefatto e la sendo raggiunta la temperatura d densità. A questi due blocchi si aggiu drata, spianata e scorificata. Tutt I modello di struttura siderurgica: tronco di piramide, che si diffuse "altoforno alla bergamasca" 16. In genere, la scorificazione c re i 2,2 cm; si tratta di hitierver carbone; alla scorificazione va sol a 10 cm. In alcuni esemplari si n gilla usata come legante; alcuni f del forno poiché non risultano n tate che hanno adattato l'argilla I na un sottile rivestimento in ar1 piuttosto irregolare (spessore da Anche per il forno in esame ugelli in argilla. Quest'evidenza t lazione della struttura fusoria. C nuti pezzi di forno che facessero gello stesso. Questo dato in negr venimenti, quanto piuttosto all'r pio in lamina metallica come iPr ti numerosi ganci di ferro concen drati pertinente al piano d'uso d nismo o bilico dei mantici che v Inoltre, data la quota a cui il sibilità di sfruttare laforzadel torr siano visibili tracce di canalizzazit sponda sinistra del torrente, Poc Escludendo un canale scavato nel canalizzazione sospesa su pali, di vole interesse, lungo il Vaso Re, nell'abitato. Solo lo scavo della v se meftere in luce i buchi di palo que. In assenza di dati, possiamo zione dell'altoforno. Bisogna con I tG ZoPppîît 1894. ALLE ORIGINI DELL'ALTOFORNO magnetica. Siamo evidentemente di fronte alle pietre che segnavano il passaggio tra due zone interne del forno, una superiore, più ampia, dove la temperatura è più bassa, il metallo non è liquefatto e la scoria ancora pastosa, e una zona più calda dove, essendo raggiunta la temperatura di fusione, i due liquidi si separano per la loro diversa densità. A questi due blocchi si aggiungono altri esemplari di pietre con faccia interna quadrata, spianata e scorificata. Tirtti questi elementi concorrono a restituirci un preciso modello di struttura siderurgica: I'altoforno a base quadrata e sezione interna a doppio tronco di piramide, che si diffuse dal XW secolo in poi in tutta Europa con il nome di "altoforno alla bergamasca" t6. In genere, la scorificazione delle pietre recuperate è modesta, non sembra superarei2,2 cm; si tratta di laitierverde scuro, spesso bolloso, con qualche impressione di carbone; alla scorifi cazione va sommata I'alterazione della roccia fusa e vetrificata, fino a l0 cm. In alcuni esemplari si nota, sulle facce laterali, la presenza d'uno strato di argilla usata come legante; alcuni frammenti di argilla devono provenire dalla parte alta del forno poiché non risultano molto cotti; inoltre essi recano le impressioni delle ditate che hanno adattato I'argilla fra le pietre. Alcuni blocchi rivelano sulla faccia interna un sottile rivestimento in argilla depurata rossiccia; questa camicia del forno era piuttosto irregolare (spessore da cm 0,6 a cm 2). Anche per il forno in esame non è stato rinvenuto alcun frammento pertinente a ugelli in argilla. Quest'evi denza negativa pone il problema della soffìeria e della ventilazione della struttura fusoria. Oltre all'assenza di ugelli, infatti, non sono stati rinvenuri pezzi di forno che facessero pensare al condotto d'aerazione dove era inserito I'ugello stesso. Questo dato in negativo non sembra quindi dovuto alla fortuità dei rinvenimenti, quanto piuttosto all'uso di ugelli in materiale diverso dall'argilla, ad esempio in lamina metallica come ipotizzato per la forgia tardoantica. Sono stati recuperati numerosi ganci di ferro concentrati in una ristretta superficie di pochi decimetri quadrati pertinente al piano d'uso del forno; è probabile che essi appartenessero al meccanismo o bilico dei mantici che verosimilmente alimentavano la fusione. Inoltre, data la quota a cui il forno era situato, non si può escludere a priori la possibilità di sfruttarelaforzadel torrente di Val Gabbia per azionare i mantici; sebbene non siano visibili tracce di canalizzazioni di adduzione dell'acqua, il forno era posto presso la sponda sinistra del torrente, poco a valle di un punto in cui essa è bassa e accessibile. Escludendo un canale scavato nel suolo, di cui non resta traccia, si potrebbe pensare a una canalizzazione sospesa su pali, di cui proprio a Bienno si conserva un esempio di notevole interesse, lungo il Vaso Re, che alimentava le numerose fircine un tempo presenti nell'abitato. Solo lo scavo della vasta area posta fra l'altoforno e il torrente potrebbe forse mettere in luce i buchi di palo relativi a questo peculiare sistema di adduzione delle acque. In assenza di dati, possiamo soltanto ípotizzare l'uso di una soffìeria per I'alimentazione dell'altoforno. Bisogna considerare inoltre che non si notano sul terreno tracce deltG Zoppzrrt lB94. 29 CUCINI - TTZZONI I'impianto della ruora idraulica. l-a storiografia piùr recente hafocalizzato il suo interesse sul problema dell'applicazione dell'energia idraulica ai magli delle fucine e ai mantici dei forni 17; tuttavia il problema aPPare lungi dall'essere chiarito. Altri dati da considerare, indicativi del tipo di forno, sono i prodotti recuPerati: scorie, scarti e meralli, che vengo no analízzati nel paragrafo seguente. È da sottolineare che ffa rurri gli scarti relativi a questo impianto non c'è alcun indizio del processo diretto, ma anzí rutto converge a indicare la presenza di un altoforno. Lanalisi chimica dei laitier recuperari ha indicato che il forno raggiungeva una temperatura di oltre 1600' C, permemeva dunque la produzione di ghisa. Forse una peculiare struttura di sabbia rinvenuta nelle stratigrafie relative al funzionamento dell'altoforno era uúlizza' ta per le forme dei getti di ghisa. Per concludere, il forno funzionante a Ponte di Val Gabbia III nei secoli XI-KII era una strurtura con corpo sagomato internamente, che produceva ghisa e prodotti carburati, quindi un altoforno "primitivo", dando a quest'ultimo termine urt'accezione tecnologica. Non sappiamo se il profilo interno di questo forno fosse gia a doppio tronco di piramide, ma sicuramente esso presentava un restringimento nella parte piùr bassa, nel passaggio dalla'tacca" alla "presura", dove si completava la fusione del minerale. Ijaltoforno di Ponte di Val Gabbia III era realizzato in piccoli blocchi di pietra, aveva un soffile rivestimento interno di argilla (la camicia), veniva caricato dall'alto, era addossato alla scarpata del monte ed evacuava la ghisa su un lemo di sabbia fluviale da urt'apertura anteriore posta in basso. La ventilazione della struttura doveva essere assida mantici; non ci sono evidenze dell'uso di una soffieria idraulica, anche se non può "rrt*"essere esclusa a Le scoie e gli scartí dí produzione dell'altoforno e della forgia del XI-XIil priori. strano grandi e marcare impronte di carbone (fino a 6 cm di lunghezza), così precise e dettagliate da permettere di riconoscere le fibre del legno; sPesso si nota una patina di idrosiidi, talvolta la scoria ha inglobato ghiaieffo e sassolini. Linterno è irregolare, vacuolare, poco verroso, con sferule e gocce di metallo tdvolta ossidato; i vacuoli sono sPesso riempiti da carbone. Non sempre queste scorie sono magnetiche; esse Possono raggiungere anche dimensioni ragguardevoli; un esemplare frammentario pesa 14,551<8. Lanalisi chimica ha rivelato che questi laitier hanno un contenuto di FeO varia- bile dal 13,05 a|32,38o/o e contengono ferro metallico; sono molto ricchi in silice SiO2 è fra il 37,95 eiI59,37o/o; si tratta dunque di scorie molto viscose. Loro caratte- t8 Il tipo 30 è stato definito da PI-oqurN 1994. 23,52o/o. In Percentuale di' base a ciò, il SiO2-FeO-MnO, dove si inser 1500 e oltre 1.600' C di teml hanno rivelato la presenza di sl grigia. Il metallo dei noduli fer: Nel complesso, i materiali feribile al processo indireao; in rie pesanti colate o interne), n prodotti altamente carburati, it "arcaicd'. Anche nella capanna Al all'attivita di tale impianto. perlitica e da ghisa bianca ledel indica che i frammenti non firr La carbonaia [,a preparazione del carbo: situata su una sorta di Piccolo scelta di tale localiz'z.azione nol nella scarpata del terrazzamenl mente; Per quanto concerne Pr li nel terreno della ripida Pendi ca I m e lungo quasi 5 m, asez bonaia alla forgia. In tutta Latnna.sono secolo Le scorie sono costituite esclusivamente da laitier A grenaillzts. Si tratta di una cÍrtegoria di scorie vetrose tipiche degli altoforni 'primitivi" .l lzitier A grmaille drPonte di Val Óabbia III presentano un colore variabile dal beige biancastro d grigio rossiccio, al nero violaceo. A prima vista non sembrano vetrosi, ma hanno aspetto oPaco; in superficie mo- t7 Si veda da ultimo Bu-Hostn 2001, p. 532. ristica è l'elevata osse cheologiche ne sono state sca\ lungo re. Esse mostrano cÍuatt pianta subcircolare (diametro zato nel terreno di base che de priva di asperita, su cui veniv zione è sempre riconoscibile ir Questa di Ponte di Val Gr nata ha pianta semicircolare e di oltre 15 m; inoltre non si n venne scavata nel terreno steri Il saggio di scavo ha interessat dell'alloggio del palo per il l-a daazíone al Cl4 presa fra il sos offe' 1040 e il 1230 d.C. re CucINI TIzzoNt, Ttzzotu 1999, ALLE ORIGINI DELL'ALTOFORNO rc !i ristica è l'elevata percentuale di manganese, infatti I'MnO varia tra il 14,38 e 1l In base a ciò, il diagramma ternario di fase più appropriato è quello SiO2-FeO-MnO, dove si inseriscono nell'ambito della tridimite e della cristobalite tra 1500 e oltre 1.600" C di temperatura teorica di cristallizzazione.I laitier àgrenaille hanno rivelato la presenza di sferule metalliche, sia di ferrite, sia soprattutto di ghisa grigia. Il metallo dei noduli ferrugginosi è risultato ghisa grigia. Nel complesso, i materiali di scarto costituiscono un insieme molto omogeneo riferibile al processo indiretto; in effetti non c'è alcun indizio di bassofuoco (ad es. scorie pesanti colate o interne), ma la presenza esclusiva di laitier A grenaille, associati a prodotti altamente carburati, indica che siamo di fronte a un altoforno preindustriale, "arcaico". Anche nella capanna coeva (edificio B) sono stati recuperati scarti riferibili all'attività di tale impianto. Alcuni frammenti metallici sono costituiti da ghisa grigia perlitica e da ghisa bianca ledeburitica, entrambe prive d'indizi di decarburazione: ciò indica che i frammenti non furono trattati alla forgia forse perché troppo piccoli. 23,52o/o. La corbonaío La preparazione del carbone per le attività siderurgiche aweniva in una carbonaia situata su una sorta di piccolo teîÍazzamento posto a monte della zona produttiva. La scelta di tale localizzazione non fu casuale: gli impianti erano posti subito al di sotto, nella scarpata del Í.efrazzamento, in modo da poter essere riforniti di carbone agevolmente; per quanto concerne poi la capanna-forgia semisotterranea sono ancora visibili nel rerreno della ripida pendice montana le tracce di uno scivolo rettilineo, largo circa I m e lungo quasi 5 m, a sezione concava, che serviva a scaricare il carbone dalla carbonaia alla forgia. In tutta la zona sono osservabili numerose carbonaie; nel corso delle ricerche archeologiche ne sono state scavate tre, una a Ponte di Val Gabbia II e due a Campolungo re. Esse mostrano caratteristiche costanti, potremmo dire standardizzate: stessa pianta subcircolare (diametro medio 7 m), con un bordo rialzato di20-30 cmrealizzato nel terreno di base che delimita un'area interna circolare perfettamente spianata e priva di asperità, su cui veniva accumulata la legna da carbonificare. Tale conformazione è sempre riconoscibile in tutte le carbonaie dell'area. Questa di Ponte di Val Gabbia III è invece diversa. Innanzitutto la superficie spianata ha pianta semicircolare e risulta molto piìr ampia del consueto, con un diametro di oltre 15 m; inoltre non si nota alcun bordo sopraelevato, né delimitazione di sorta; venne scavata nel terreno sterile ed è pavimentata con piccole lastre di quarzite locale. Il saggio di scavo ha interessato la parte centrale dell'area, mettendo così in luce i resti dell'alloggio del palo per il sostegno della catasta di legna. La datazione al C74 offerta dall'analisi di frammenti di carbone è risultata compresafrail 1040e t|1230 d.C. al 680/o diprobabilitàefrail 1030 eil1270 d.C. al 95o/o 'e CucrNI TIzzoNI, TIzzoNt 1999, p.38; fig. 10, a; p. 145; fig. 46, a. 31 CUCINI - TIZZONI di probabilità (GU-l0620), concordemente alla cronologia del forno e dell'edificio B. Per la carbonaia, si trattò evidentemente dell'ultima utllizzazione, dopo di che essa venne abbandonara. Non ci sono invece appigli cronologici per datare I'impianto della struttura, poiché essa veniva ripulita dal carbone dopo ogni preparazione. La fonte Nel punto più basso del complesso siderurgico è stata documentata, ma non scavara, una srrurrura sussidiaria: la fonte. Essa si trova a una quota inferiore di 18 m circa rispetto alla carbonaia, all'estremità Nord-Est del sito, su una sorta di piccolo terÍazzo a strapiombo sul torrente. Oggi la fonte non ha più acqua; la sorgente si è esaurita, o più probabilmente si è interrata e perduta; in effetti, lazona risulta molto umida e vi si osserva un affìoramento d'acqua. Per la captazione e lo sfruttamento della sorgente vennero uúlizzatidue grossi macigni d'arenaria regolarizzati e collegati tra loro da due muretti ortogonali, in modo da formare una srrutrura a pianta quadrata (m 3,50 x 3,52), oggi apparentemente incompleta e mancante dell'angolo Nord-Ovest. Sul lato esterno del pietrone piìr a monte fu praticaro un incavo forse per un incastro funzionale a una saracinesca di legno o a una struttura analoga. I muretti erano realizzaticon pietre di medie dimensioni non squadrate, Íozzamente giustapposte a secco in filari di un solo corso (spessore 40 cm). Addossato all'angolo Nord-Est fu eretto un muretto analogo, ortogonale alla struttura, in direzione del torrente. Con questi lavori di adattamento si creò un sistema di captazione dell'acqua che probabilmente era raccolta entro vasche di legno appoggiate alla struttura in pietra e che servivano a uomini e animali; l'acqua del "troppo pieno" scaricava poi a valle. Parallelamente al lato Est-Ovest della struttura in pietra, è stato messo in luce un awallamenro scavato nel terreno (larghezza 80-90 cm, lunghezza conservata m 5,90). Esso è oggi poco profondo ,iniziagrosso modo in corrispondenza della sffuttura da cui dista in media 70 cm e sembra finire nello strapiombo del torrente. La fonte doveva servire all'approwigionamento idrico delle maestranze che lavoravano all'impianto siderurgico e degli animali da soma che esse utilizzavano. Non abbiamo alcun riferimento cronologico per questa struttura; la sua costruzione in una tecnica muraria essenziale e rudimentale non è indicatrice di un particolare periodo; potrebbe risalire all'epoca tardoantica, per continuare a essere utilizzata anche nei secoli XI-XIII e successivamente. La lovorazíone del rome La campagna di scavo del2002ha riservato una novità: la prima utllizzazione delI'area di Ponte di Val Gabbia III era relativa allalavorazione del rame. Infatti sotto alle stratigrafie relative all'altoforno medievale è stato scoperto un piano d'uso relativo a un primo impianto metallurgico per la produzione di rame, anteriore alle attività siderurgiche; esso venne distrutto quando lazonafu riconvertita alla lavorazione del fer- 32 ro 20. Le scorie rinvenute sono uguali rale cuprifero di Campolungo, della; I SITI I E II DI PONTE DI VAL GABBIA Posti quasi uno di fronte all'altn denza del guado del sentiero che con si trovano due siti analoghi per tecnol nologica. Le attività siderurgiche qui datazioni ottenute con il C14 sono cr bilità e tra il 590 e iI680 d.C. al95o/o elI675 d.C. al 680/o di probabilitàet 2988) per il sito II. La fitta forestazione dell'area ha zazione dei forni di riduzione, tuttav evoluzione. Entrambi gli impianti ve questo scopo ed erano costituiti, oltr siti per il minerale che giungeva qui stito prima del suo utllizzo.In un cas perare le particelle metalliche rimaste forni è determinabile con buona ap1 sposizione delle scorie e dei loro fram so la ricostruzione. I bassofuochi non lizzate per i due complessi siderurgici mità in corrispondenza di un dislivell dossati alle scarpate o forse incastrat mento termico. Inoltre ciò rendeva; venivano dall'alto. Le strutture eranc sabbia argillosa, lo stesso materiale riv forni. La mancanza di ritrovamenti r zione naturale, tuttavia non si può es ne posti alla base dei forni. Nel caso tali forni dovevano essere sviluppati ipoteticamente a partire dai frammer La preponderanza di scorie cola cesso di riduzione esse venivano evac ta scavata appositamente davanti alla forno, di cui si è rinvenuta la soglia, strutte alla fine di ogni processo di ri te quindi per un impiego ripetuto. 20 Si rimanda a "Notizie fucheologiche Bergc ALLE ORIGINI DELL'ALTOFORNO )8. 'en- ro 20. Le scorie rinvenute sono uguali a quelle trovate nel sito del trattamento di minerale cuprifero di Campolungo, della prima Età del Ferro. ella I SITI I ica- cirlerau- nina- da in)n- 00 rOfl n). turPa]ca- un o). ;ui ro- bna lo; le- el- il)a si- lr- E II DI PONTE DI VAL GABBIA Posti quasi uno di fronte all'altro sulle opposte sponde del torrente, in corrispondenza del guado del sentiero che conduce alla grande miniera di ferro diPiazzalunga, trovano due siti analoghi per tecnologia, resti materiali, organizzazione spaziale e cronologica. Le attività siderurgiche qui si svolsero in piena epoca longobarda, infatti le datazioni ottenute con il C14 sono comprese trail620 e il 660 d.C. al 680/o di probabilità e tra il 590 e il 680 d.C. al 95o/o di probabilità (BM-2938) per il sito I etrail615 e 11 67 5 d.C. al 680/o di probabilità e tra il 560 e il7 60 d.C. al 95o/o di probabilità (BM2988) per il sito II. La fitta forestazione dell'area ha impedito uno scavo estensivo e la esatta localizzazione dei forni di riduzione, tuttavia è stato possibile studiarne gli annessi e la loro evoluzione. Entrambi gli impianti vennero edificati su terÍazzamenti artificiali creati a questo scopo ed erano costituiti, oltre che da bassofuochi, anche da carbonili e depositi per il minerale che giungeva qui già in pezzatura uniforme, ma che non era arrostito prima del suo utilizzo.In un caso (sito I) le scorie venivano frantumate per recuperare le particelle metalliche rimaste intrappolate al loro interno. La localizzazione dei forni è determinabile con buona approssimazione grazie alla distribuzione e alla disposizione delle scorie e dei loro frammenti, il recupero di questi ultimi ne ha permesso la ricostruzione. I bassofuochi non erano situati al centro delle terrazze artificiali realizzare per i due complessi siderurgici, bensì lungo le ripide scarpate site alle loro estremità in corrispon denzadi un dislivello nelle pendici montane, essi dovevano essere addossati alle scarpate o forse incastrati in esse allo scopo di ottenere un miglior isolamento termico. Inoltre ciò rendeva piir facili le operazioni di carica dei forni, che avvenivano dall'alto. Le strutture erano realizzate in piccoli ciottoli di arenaria legati da sabbia argillosa, lo stesso materiale rivestiva parzialmente anche la superficie interna dei forni. La mancanza di ritrovamenti di ugelli potrebbe indicare un sistema di ventilazione naturale, tuttavia non si può escludere a priori la presenza di condotti d'aerazione posti alla base dei forni. Nel caso in cui avessero fatto uso di un tiraggio naturale, tali forni dovevano essere sviluppati in elevato e il loro diametro interno, ricostruito ipoteticamente a partire dai frammenti, doveva aggirarsi sui 36-37 cm. La preponderanzadi scorie colate all'esterno del forno indica che durante il processo di riduzione esse venivano evacuate dal forno e si accumulavano in una vaschetta scavata appositamente davanti alla bocca della struttura. La presenza di una porta del forno, di cui si è rinvenuta la soglia, indica che tali strutture non dovevano essere distrutte alla fine di ogni processo di riduzione per recuperare il blumo, erano concepite quindi per un impiego ripetuto. si r0 Si rimanda a "Notizie Archeologiche Bergomensi" c.s. per una discussione di tale argomenro. 33 CUCINI - TIZZONI Il carbonile, scavaro nel sito I, fu abbandonato ancora riempito con carbone di legna in pezz firracentimetrica2r. Si trattava di una struttura molto precaria aperta sul d"l -,ip.r favorire I'accesso al combustibile, dotata di pareti di legno sostenute da ammassi diciottoli e sabbia di risulta proveniente dai lavori di sbancamento della pendi- mo dunque delineare solo un qu dificarsi con il prosieguo delle ri ce monrana. Tale costruzione aveva una struttura portante tiPo Stabbau con pali verticali infissi in travi dormienti alloggiate in canalette scavate nel terreno e Pareti costituite da tavole di contenimento orizzontali. Nulla si può dire della copertura, costitui- cenffo urbano della Valcamonicr ta forse da frasche e ramaglie. A differenza della capanna A di Ponte di Val Gabbia III questa struttura non era seminterrata. Le scorie presenri in questi due siti sono raggruppabili nelle seguenti categorie: scorie pesanri colate, scorie pesanti interne e kitier. Le analisi chimiche hanno indicato ch.la loro temperatura teorica di cristallizzazionesi colloca attorno a 1200' C: doveva dunque essere questa la temperatura a cui i bassofuochi di questi due siti funzionavano, e non veniva fatto uso di fondenti. Inoltre tra le scorie pesanti colate sono stati recuperati dei blocchi di scoria "colonnari", intendendo con tale definizione dei bloc- chi piùr o meno articolati, costituiti da un insieme di formazioni cilindriformi di scorie tutte orientate nella stessa direzione di colata, già individuati da chi scrive nei forni del tipo "alla còrsa" della costa toscana. Un esemplare frammentario mosffa al suo interno la presenza di una grossa goccia di ghisa. Degna di nota è la presenza non trascurabile di scorie leggere e veúose, i così detti kitier, che costituiscono rispettivamente il 160/o e iI 5o/o di tutti gli scarti recuPerati. La produzionedi questi bassofuochi è stata sdmata tramite un aPproccio quantirativo per determinare in via teorica il rendimento in metallo e il consumo di minerale. Perll sito I si è stimara una produzion e di 326 kg di ferro a fronte di 874 kg di minerale impiegato, per il sito II il ferro prodotto è stato stimato in 432 kg a fronte di I.159 kg di minerale impiegato. Si tratta quindi di dati produttivi di tutto rispetto per I'epoca longobarda, che testimoniano una notevole vitalità economica dell'area montaÀ" in quesro complesso periodo. Ricorderemo infatti che nel IX secolo il Monastero di S. Giulia di Brescia percepiva annualmente dallaValcamonicaí}libbre di ferro, pari a circa 19,6-19,8kg". OSSERVAZIONI CONCLUSIVE È forse prematuro tracciare delle linee conclusive sulla siderurgia in Val Gabbia, poiché in realtà conosciamo solo le evidenze di alcune epoche, mentre abbiamo il vuoio p.t altre. È probabile che quest'area possa riservare ancora delle sorPrese e che esisrano altri impianti siderurgici. Infatti si può pensare che i forni si spostassero seguendo la foresta: dopo un intenso periodo di attività e di conseguente disboscamento era necessario sposrare I'impianto per rifornirsi piir agevolmente di combustibile. Possia2t CesrElLrrrt 1997. 22 CRSTAGNETTI 34 et elii 1979, pp. 54-72. Dopo il secolare e massiccic lo stato attuale non abbiamo dat corso verso la Valtellina. Si Può tutela del circostante distretto m anche, sull'altro versante orogral tenrione, la zonamineraria di l re il ferro a Sud e per via fluviale di fabricae d' armi d'età imperial È .ott I'epoca tardoantica-: botanica ha evidenziato un peri< legato a incendi e con un declin, sa alle attività siderurgiche è co nell'impianto di Ponte di Val ( abete bianco, abete rosso e altre Labilità tecnologica delle n dava le sue radici nella siderurg sperimentazioni di nuovi Proces siamo comunque affermare che sta scala come quella d'epoca n parabile a quello delle compagn la distribuzione, né la richiesta d stretto minerario-metallurgico sieme a quelli della Val di Scalv r derurgico non trascurabile. Dal 500 d.C. sino al 1300, ha toccato le punte massime att facile e immediato riferire quest Gabbia III, il cui fabbisogno di è invece I'intensa deforestazion, nora emersi siti di quest'ePoca, Ponte di Val Gabbia I e II; ques tarsi ad altre attività antropiche Non dimentichiamo inoltre ch subcircolare appiattito con un '3 Su quest'ultima area si veda per I'ep' 2a Notitia Digniurump. occ.W,29. 25 Per Ponte di Val Gabbia ca. III è stata c 4 t di minerale, CuctNt TIzzot{t 199 ALLE ORIGINI DELL'ALTOFORNO lr.. Ful mo dunque delineare solo un quadro parzialee lacunoso, destinato ad arricchirsi e modificarsi con il prosieguo delle ricerche. lr- Dopo il secolare e massiccio sfruttamento protostorico dei giacimenti di rame, al- pi- lo stato attuale non abbiamo dati per I'età romana. Eppure Cividate Camuno, I'unico centro urbano della Valcamonica, era ricco e importante, situato com'era lungo il percorso verso la Valtellina. Si può ipotizzaÍe che I'abitato fosse sorto anche a controllo e F:. Ftr- Fi- FI I tutela del circostante distretto minerario, che comprendeva non solo la Val Grigna, ma i bacini ferriferi della Valle delDezzo e, piùr a sertentrione, la zona mineraria di Malon no23. Attraverso il lago d'Iseo si poteva smercia- anche, sull'altro versante orografico, |'r' re il ferro P. di fabricae d'armi d'età imperiale dell'Italia settentrio t'roIa- È a Sud e per via fluviale arrivare ai centri della Pianura Padana e poi alle granna\e2a. .ot I'epoca tardoantica-altomedievale che la situazione muta. Lanalisi paleobotanica ha evidenziato un periodo di disturbo nella foresta a partire dal 500 d.C. collegato a incendi e con un declino dell'abete; che si tratti di una deforestazione connessa alle attività siderurgiche è confermato dalle analisi dei carboni di legna recuperati nell'impianto di Ponte di Val Gabbia III: il combustibile era costituito aI 97,5o/o da abete bianco, abete rosso e altre conifere. Labilità tecnologica delle maestranze specializzate di Ponte di Val Gabbia III fondava le sue radici nella siderurgia alpina di epoca romana? Oppure siamo di fronte a sperimentazioni di nuovi processi effettuate proprio a partire dalla tarda antichità? Possiamo comunque affermare che non si trattava più di una produzione intensiva su vasta scala come quella d'epoca romana: infatti il volume produttivo non è certo comparabile a quello delle compagnie romanetr; del resto, non c'erano più le strutture per la distribuzione, né la richiesta doveva essere così massiccia e organizzata. Tirttavia il distretto minerario-metallurgico della Val Gabbia era di tutto rispetto per I'epoca e assieme a quelli della Val di Scalve e dell'alta Valcamonica doveva costituire un polo siderurgico non trascurabile. Dal 500 d.C. sino al 1300 circa è stata registrata una continua deforestazione, che ha toccato le punte massime attorno all'800-880 e sopratturro tra il 1150 e il 1250. È facile e immediato riferire quest'ultimo picco all'attività dell'altoforno di Ponte di Val Gabbia III, il cui fabbisogno di combustibile doveva essere imponente. Problematica è invece I'intensa deforestazione del IX secolo: in tutta la zona indagata non sono sinora emersi siti di quest'epoca, mentre in età longobarda firnzionavano gl'impianti di Ponte di Val Gabbia I e II; questo disboscamento in epoca carolingia è forse da imputarsi ad altre attività antropiche quali un incremento delle attività pastorali o agricole. Non dimentichiamo inoltre che dalla Val Gabbia proviene un pane di ghisa di forma subcircolare appiamito con un foro centrale effettuato a caldo (peso circa l5 kg, di23 Su quesr'ultima area si veda per I'epoca moderna 2a FMNZoNI, Scesussr 1999. Notitia Dignitatum p. occ.IX, 29. 2t Per Ponte di Val Gabbia III è stata calcolata una produzione di quasi 2,5 t di ferro con un consumo di circa4 r di minerale, Cucrr.rr TrzzoNl 1999, p. l19. 35 CUCINI - ITZZONI mensioni 35 x28x 4 cm); il foro doveva servire alla sospensione durante il trasporto26. Esso è un ulteriore euesto manufatto venne rinvenuto parecchi anni fa in superficie. frammentarie. ancora sono indizio che le nostre conoscenze sugli impianti della valle re la prese nza di una ruota e del nia, nello Schwabische Alb, è st pianta a ferro di cavallo datati a caso la ventilazione forzata è att' cano indicazioni sugli imPianti LA VALLE DELLE FORME La Valle delle Forme è una vallecola sita sulla destra orografica della Val Grigna. È solcata da acque superficiali di ruscellamento, ma non è percorsa da acque perenni. La tradizione locale lrtrrebbe questo toponimo collegato alle forme e ai pani di ghisa che qui sarebbero stati colati. il si,o siderurgico è posto su un ampio terrazzo fluviale aquota 1.200 m s.l.m., che da Bienno conduil sentiero poco lontano d" r,tn g,r"dà sul torrente Grigna lungo miniera di ferro diPiazzalunga. Questo sito è stato scavato solo in piccola par.. "lla interpretazione è pertanto ancora dubbia. Lo scavo ha interessato so- te e la sua corretta lo I'area di scarico degù scarti della lavorazione del ferro e un edificio abitativo forse coevo all'ultima f"se ,id.r,rrgica di frequentazione dell'area. Tale edificio era formato da due ambienti contigui e forse serviva in origine quale ricovero delle maestranze metallurgiche, menrre'v..r. utilizzato in seguito da pastori e/o carbonai che vi lasciaro- ceramici databili al XVII-XVIII secolo. Lareaproduttiva non è stata scavata, poiché ingombra di massi di frana che richiedevano I'impiego di macchinari per ,ro I'impianto per muoverli, soltantr fr"-*enri la loro rimozione. esistenri erano del tipo che evacuava Ia scoria durante la fase di funzionamento ed erano muniti di un impianto di ventilazione forzata, come mostrato dai grandi vacui presenti nelle scorie colate. Tia gli scarti recuperati vi sono scorie Pesanti Iol"t., scorie pesanti inter ne e kitier, oltre a frammenti di ghisa bianca a struttura ledeburitica e di ghisa grigia con fiocchi di grafite. La datazio". foÀit" dal, Cl4 è compresa ua Ll 1320-1340 e tl 1390-1430 d.C. al (BM68o/odi probabilità e tra il 1310-1360 e il 1380- 1440 d.C. al 95o/o di probabilità I forni qui 3t07). emergere resti del Processo indi. 2e. azío natí dalla forza idraulica Queste attestazioni sono s1 state interpretate come resti d'in do con il postulato che accomut temPeratura t rebbe possibile solo con una sofi zíonedi ghisa se la no viene visto come il Prodotto inaccettabile, poiché Privo di al' condo il quale I'altoforno derive da parte dei Germani e diffirsa r buisce a Pleiner32 un modello d verso il "classico forno a caminr Pleiner non fa alcun accenno a pit furnace ha come caratteristi' 1 scorie e risulta quindi "monoust Vengono poi formulate, di fluenze esterne, extraeuroPee, ad Sull'altro fronte, quello d< Infatti i documenti d'archivio c soprattutto riferimento all'uso 27 r Daultimi AsotNcHoPr, OwnBtcl 28 KEMpA, Yar-crN 1995, pp.155-156 LE ORIGINI DELLîLTOFORNO: UN CONTRIBUTO AL DIBATTITO IN 2e TAUBER, SPnNrEn 1997. CORSO Per quanto concerne le origini dell'altoforno in Europa, ci sono varie regioni a cui si attribuisce un precoce passaggio dal metodo diretto a quello indiretto di produzione del ferro. Sia lÌncertezzadelle evidenze archeologiche, sia l'ambiguità dei documenti d'archivio lasciano però un ampio margine di dubbi. Le recenti scoperte archeologiche in Germania sembrano documentare una precoce evoluzionedell'altoforno: nel Marckische Sauerland/Bergisches Land sono state scavate srrurrure databili al XIII-KV sec.; non sono stati trovati resti di mantici, né del- 26 Bienno, 36 coll. privata. m Ad es. si vedano le considerazioni d il lq $ALVIA 1998, p. 12. A questo Pr buzione a differenti gruppi etnici di Ce popolo e che i Germani siano una sorta culturale, del Reno sarebbe stata la gius che "la definitiva diffirsione di tali forn: germanico", firnzionale alla dimostrazit una forzatura senza alcun fondamento' 52 PLEINEn 1993, pp' 543, 545' 33 Più in generale, La Snrvn 1998 at sue personali che nulla hanno a che ved 3{ JocKENHovEL, WILLMS 1997. ALLE ORIGINI DELL'ALTOFORNO )rto 26. leriore rtarie. I'impianto Per muoverli, soltanto tracce di terreno di colore diverso sembrano indicadi una ruota e della relativa condotta per I'acqua 27. Sempre in Germania, nello Schwabische AIb, è stata scavata una serie di forni .o. ,trol" in mattoni e pianta a ferro di cavallo datati al XII-XIII secolo che producevano ghisa 28. In quesro caso la ventilazio ne forzata è attestata dalla presenza dì ugelli in argilla, tuttavia manre la prese nza cano indicazioni sugli llgna. renni. ghisa impianti di soffìeria. Anche in Svizzer" sembrano "búrrrel XIII-XIV secolo, in collegamenro a mantici emergere resti del Processo indiretto nel azionati dalla fo rza idraulica 2e. Queste attestazioni sono spesso collegate a evidenze di difficile lettura che sono d'impianti idraulici per muovere i mantici; ciò è in accordo con il postulato che accomuna un po' tutro ii dibattito sull'altoforno: si ha produzione di ghisa se la temperatura sale fino a permerrere la liquefazione del ferro, e ciò sarebbe possibile solo con una soffìe ria azionata da energia idraulica 30. Inoltre I'altoforno viene visto come il prodotto di un'evoluzione lo."É. Sotto quesro profilo è invece inaccettabile, poiché privo di alcun fondamento, il modello proposto da La Salvia secondo il quale I'altoforno deriverebbe dalla skg-pitfurnacediorigine celtica, assorbita da parte dei Germani e diffusa nelle zone d'Euiop" .ron romanizzate3r. LAutore state interpretate come resti .1.m., rnduI par- !o so- forse lnato :meiaroI SCa- i per funI dai nnri a le- l. al buisce a Pleiner32 un modello di evoluzion. progr.rriva da quesro verso il "classico forno a camino", e poi il forno a manica fino attritipo di forno, arrra- all'alìoforno. In realtà, Pleiner non fa alcun accenno a tale passaggio, per altro del tutto privo di senso: la skg- pit furnace ha come caratteristica di che fr"g. da recipie.r,. p., T. ",,.* vn-pozzetto scorie e risulta quindi "monouso", inconciliabile con il ciclo conìinuo delfaltoforno 33. Vengono poi formulate, di quando in quando, teorie allogene che ipotizzano - in- fluenze esterne, extraeuropee, addirittura da pàr,. delle imm igr.o":ronidell'Orda d'Oro3a. Sull'altro fronte, quello documentario, la situazio.r. J d,r.rtanro problematica. Infatti i documenti d'archivio che vengono solitamente presi in conside ruzionefanno soprattutto riferimento all'uso dell'acqua e del bosco, ]M27 Da ultimi AsorxcHorr, 28 KEMpA, OvERBECK 2000 e KNAU, BETER, .h. potrebbe implicare I'esisten- soNNecrcN 2000. YalcrN 1995, pp. 155-156. 2e TAUBER, SrnNsEr_s 1992. es. si vedano le considerazioni di JocxrNuovEl, \wrllvs 1997, p.56 e di Bsr-uosre 2001, p. 532. LA Snwl 1998' p' 12' A questo proposito è chiaro che I'A. non conosce la problematica relativa all'attri. . buzio.ne a differenti gruppi etnici di Celti e Germani; infatti sembra sempre più evidente rratrarsi dello stesso popolo e che i Germani siano una sorta d'invenzione romana: la fronriera-fisiia, a cui così si aggiungeva quella culturale, del Reno sarebbe stata la giustificazione per non andare oltre. Di conseguenza, l'osservazione dell,A. che "la definitiva diffusione di tali fornaci nell'Euràpa già romana 30 r CUI ztoBnd i )relate lel- Ad 3r possa configurarsi come un diretto importo germanico", funzionale alla dimostrazione della suateoria sull'impo rtanzadeìia siderurgia longobard", ,irult" una forzatura senza a.lcun fondamento. 32 PLETNER 1993, pp. j43,545. 33 Più in generale, L,c Snl\an l99B attribuisce agli autori che cira e spesso in modo inesatto sue personali che nulla hanno a che vedere .on quà.,,o scritto dagli autori stessi. 14 JocxeNHovel, Wtlv - conclusioni s 1997. 37 CUCINI - TIZZONI d'impianti siderurgici azionati dalla forza idraulica; si tratta però a nostro awiso di attesrazioni non probanti. Anche l'apparizione di termini comefusina, spesso associata afurnus nelle Alpi italiane e come martinetus in Delfinato e in Savoia non risolve il za problema, poiché non è mai indicato con chiarezzaper che cosa sarebbe stata uúlizzaalaforza idraulica35: l'ipotesi che ilfurnus fosse dotato di una soffìeria idraulica intorno alla metà del XIII secolo, quando apparve lafusina, interpretata come impianto per il rratramento della ghisa, è interessante, ma non dimostrata né automaticamente risolutiva. Mancano dunque, allo stato attuale, le "prove provate", sia archeologiche sia storico-documentarie. Il quadro generale, benché indiziario, conferma una diffusa tendenzaverso la "nuova" tecnologia nel XIII secolo. Tuttavia per questo dibattito è necessario prendere in considerazione anche una caratteristica di alcuni minerali ferriferi e cioè il loro elevato contenuto in manganese. Minerali di questo tipo si trovano ad esempio, oltre che nelle Alpi lombarde, anche in Austria e in Galles. Esperimenti condotti su tali minerali hanno mostrato che essi si riducono a temperature inferiori di quelli non manganesiferi 36, dando luogo alla formazione di ghise bianche. Thle caratteristica dei minerali manganesiferi è già nota in letteratura da molto tempo 37. È d" rottolineare che le analisi chimiche del minerale di PiazzaJunsa proveniente dai siti dei forni e preparato per la riduzione hanno indicato un tenore di manganese particolarmente elevato. Recentemente è stata fatta un analisi puntuale di tutti i piir antichi ritrovamenti di ghisa in Europa3s: si tratta sia di oggetti, come calderoni, sia di pezzi amorfi. A parte i già citati calderoni che si collocano in epoca antica (IV-III sec. a.C.), i ritrovamenti di ghisa sembrano diventare piir frequenti a partire dall'epoca romana. Tuttavia non è chiaro se in questi ultimi casi la ghisa venisse prodotta intenzionalmente o fosse frutto di errori o di sperimentazioni mal condott.. È stato notato che in epoca altomedievale, per lo meno nei forni della costa toscana, vi è una tendenza a incrementare le temperature di riduzione del minerale rispetto a quelle del periodo romano, il che spesso conduceva a una sua minore resa con il passaggio di notevoli quantità di wustite nella scoria3e. Non sappiamo se tale variazione tecnologica fosse uno sviluppo per così dire indipendenre, oppure un maldestro tentativo di produrre ghisa facendo uso di minerali inadatti poiché non manganesiferi. Thle aumento di temperatura si osserva anche a Ponte di Val Gabbia I e II e infatti abbiamo Laformazione di gocce di ghisa nella scoria che veniva frantumata per recuperare il metallo. Anche in altri siti europei coevi a Ponte di Val Gabbia III si registra la presenza di 35 Per 2004, pp. l-2. 37 Si vedano ad esempio: Dr Vnrrwne I 866, pp. 49-50' Savoin 1923, pp. 304, 3l P. 38. riuscì a produrre né scorie colate n scosa per colare, aderiva alla estren pareti del forno. Nell'ultima sperir te del calcare magnesifero in perct riduzione o sulla fluidità della sc quantità di sfere e masse filament particelle metalliche riossidatesi ve La ventilazione del forno era data nanzeper fornire un soffìo quasi c rature piìr elevate alla bocca dell't vennero superati i 1.400'C, mentl prese mediamente tra i 600'C e i tura dell'ugello fu sempre il punto però rimase compresa grosso mod ture registrate furono molto più b Per quanto riguarda il Medic I'XI-XIII secolo, un altoforno "arc del successivo altoforno alla bergar ne di questa struttura fosse azionar All' eviden za ar cheologica, ne cumentarie. I documenti scritti ci la presenza di forni costruiti in ele ti e strutture sussidiarie permanen quote tra diversi proprietari che si nomica di carattere "societario" be I; LeLoNc, Mrunv I 928, 40 Fr-uzrN 1999. 4l Cnrv 42 ANDRIEUX, CUCINI TIZZONI 2OOO. 43 CucrNr Trzzovt 1994 e2001. PmrNrn 2001. 3e CucrNr 38 A Bienno nel 1998 vennero ( durante le quali fu fatto uso di er miniera di Valbondione in Val Ser Il forno usato per tali esperimenti nuto in un analoga sperimentazior tutto ciò da ultimo BpLuosrp,2001, pp. 532-540, con riferimenti bibliografici. 36 CRew 38 ghisa, ma solo in quest'ultima locr ciaio ottenuto dalla decarburazion il fatto che il pezzo di ghisa non la in un contenitore di legno, un pal bri avevano intenzione di scartare. la forgia non siano stati rinvenuti TtzzoNt,TtzzoNI 1992, p. 73. 2004. ALLE ORIGINI DELL'ALTOFORNO di so ocialve il inaa in- anto rente te sia ten- una nese. te in si ri- forta in ente nese tenri parnen- non frut,dielemrcsso nella dire úne- tche sco- ndi in quest'ultima località è stato rinvenuto un oggerro interamente in acciaio ottenuto dalla decarburazione della ghisa stessaa0. Inoltre è necessario sottolineare ghisa, ma solo il fatto che il pezzo di ghisa non lavorato rinvenuto nella capanna-forgia era conservaro in un contenitore di legno, un particolare che mal si accorda con un oggerro che i fabbri avevano intenzione di scartare. Infine è opportuno ricordare come nello scarico della forgia non siano stati rinvenuti frammenti di ghisa di una qualche consistenza. A Bienno nel 1998 vennero effettuate da Ph. Andrieux tre riduzioni sperimentali durante le quali fu fatto uso di ematite manganesifera provenienre, nella prima, dalla miniera di Valbondione in Val Seriana e da quell a di Piazzalunga nelle due rimanenti. Il forno usato per tali esperimenti era una ricostruzione del tipo Bellaires. Come avvenuto in un'analoga sperimentazione effettuata in Galles4r, anche in questo caso non si riuscì a produrre né scorie colate né un blumo di ferro; infatti la scoria risultò troppo viscosa per colare, aderiva alla estremità dell'ugello e alla sua formazione parteciparono le Pareti del forno. Nell'ultima sperimentazione alla carica venne aggiunto come fondente del calcare magnesifero in percentuale del l0%, ma non ebbe alcuna influenza sulla riduzione o sulla fluidità della scoria. Infine il metallo prodotto risultò una piccola quantità di sfere e masse filamentose di ghisa inglobate nella scoria, mentre parecchie particelle metalliche riossidatesi venivano espulse dal camino del forno assieme ai fumi. La ventilazione del forno era data da due mantici azionati a mano e operanri in alternanzaper fornire un soffìo quasi continuo. Le otto termocoppie registrarono le temperature più elevate alla bocca dell'ugello, nella prima sperimentazione in questo punro vennero suPerati i 1.400'C, mentre le altre termocoppie registrarono temperarure comprese mediamente tra i 600"C e i 1.000'C. Nei rimanenti due esperimenti I'imboccatura dell'ugello fu sempre il punto in cui venne registrata la temperarura più elevata, che però rimase compresa grosso modo tra i 1.200"C e i 1.400"C, menrre le altre remperature registrate furono molto più basse, essendo mediamente tra i 400"C e gli 800"Ca2. Per quanto riguarda il Medioevo, ancora a Ponte di Val Gabbia III troviamo, nelI'XI-XIII secolo, un altoforno "arcaico" la cui forma interna sagomata fa presagire quella del successivo altoforno alla bergamasca. Non ci sono prove che I'apparato di ventilazione di questa struttura fosse azionato dall'energia idraulica, ma non lo si può escludere. All'evidenza archeologica, nelle Alpi lombarde vanno sommare le attestazioni documentarie. I documenti scritti ci mostrano in Val Brembana, agli inizi del XIII secolo, la presenza di forni costruiti in elevato, dotati di atloggi per le maestranze, di acquedotti e strutture sussidiarie permanenti. Si trattava d'impianti stabili e consistenti, divisi in quote tra diversi proprietari che si ripartivano i costi e i rendimenti. Tale srrurrura economica di carattere "societario" ben diffìcilmente può far riferimento a un bassofuocoa3. 1o Fr-uzrN 1999. 1' CnEw 2004. 42 ANDRTEUx, CucrNr Tlz-z-oNr 2000. 4r CucrNr TrzzoNr 1994 e 2001. 39 CUCINI - TIZZONI epoca, i documenti della Val Brembana parlano anche della produzione difenum coctu.rn e di semilavorati - taglioli e vergella - che alla meta del Duecenro erano messi in commercio in grossi quantitativi (varie tonnellate) dalla societa del teloneo del ferro di Bergamoe. Alla fine del XIII secolo la stessa societa vendeva anche ferntm crudum: è qui, in questa conffapposizione tra ferro "cotto" e "crudo", che risiede forse la chiave documentaria per comprendere come, agli inizi del Duecento, il ferro processo indiretto fosse gia generalizzato nelle valli lombarde. Infatti la ghisa crudo - prodotta dall'altoforno necessitava di una "ricottura" nella fotgt" per essere trasformata in ferro malleabile e come tale immessa sul mercato. Ma quando compare nei documenti, I'altoforno era già maturo e operante da tempo; il processo indiretto era sperimentato e collaudato ormai da secoli: a Ponte di Val Gabbia dal V-VI secolo d.C. Nella - s e lecchese, sressa in M. TtzzaNl,llconpn Auerara dal )U'al )ffII secolo,Ber2 CuctNI TzzoNt C. 1999, Ponn diVal t diono; Ponte di Val Gabbia I e II: que anni di ricerche archeometallu4 zoNI, Breno, pp. 93-182. CuctNl TlzzoNt C. 2001, Dieci anni a rurgre alpine m halie (XIIe-)UIIr t CucrNr TrzzoNI C.,TtzzoNt M. 1992 di tipolngia, in "Rassegna di I to Numismatico di Milano", supp CucrNr Ttzzoul C., TtzzoNI M. 1999 cheometallurgiche nel tenitoio di I CucnrI TIzzoNI C., Tlzzottl M. 2000 posta miniere e rnetallargia dall'dntichiù 1998, Breno. CucrNI TIzzoNt C., TIzzoNI M. 2001, ro, II. Gli scaui 1990-97 e h ricml CucrNr TtzzoNt 1994, MenoNt 1997, pp.68-79. CucrNr TtzzoNtC., FeRneRlo A, MoR Campo lungo (Bienno-Collio, Bresci BIBLIOGRAFIA AnowcHorr T., OvrRsncr M. 2000, Archaeological Inuestigations on early blzstfarnaces in Central dall'antichità Breno, pp. 128TIzzoNl,M.TlzzoNI, cura di C. CuctNI a Atti del Convegno, alXW secolo, r32. ANcrr B., CortBt M., KRuuENTHALER E., MomN D., Ovptzzl P, TzzoNI M. 1999, La miniera Europe, in Il Feno nellz Alpi - Iron in the Alps. Giacimenti, miniere e metallurgia di rame di Campolungo: una cobiuazione "riuoluzionaria" della pima Età dtl Feno, in La Mi- niera Perduta. Cinque anni di ricerclte archeometallurgiche nel tenitorio di Bienno, a cura di CucrNI TIzzoNI, TzzoNI, Breno, pp.29-46. Ar.roRrsux PH., Cucnr TrzzoNt C. 2000, Experimental Archaeologr at Bienno (Brescia, haly), in Feno nelle Alpi - Iron in the Alps. Giacimenti, rniniere e rnetallurgia dallhntichita al WI secolo, Il di C. CuctNt TIzzoNt,M.TtzzoNI, Breno, pp.15-23. h sidlrurgie alpine entre le XIIIe et lz ){VIe sièclc, in La sidérurgie alpine en halie (XIb-X/IIr sièclz), a cura di Pu. BRluNstnIN, Atti del Convegno, a cura BrruosrrJ.F. 2001, Mutations techniques etflières marchandzs dans Roma, pp.515-592. BrrRnraunn V. 1987, Inuillino-Ibhgo i" FRraur I., Die Romische Siedlung und das Spatantih-Fruhmitte laterliche Castntm, Munchen. BRnccrnnouTesoREI-rtL.1995, (Jn insediamento temporaneo delknrdaantichitànellagrotta "Ciota Ciara" (Monfenera, Vabesia), in 'Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte", 13, pp.73-135. BRoclolo G.P, CIsTELLETTI L. 2001 (a cura di),Archeologia a Monte Barro, I. Gli sanne. EscuBNr-oHR L., SSRNBnH V., 1991, Ir sa), Porrentruy. FI-uzlN Prt.1999, Ponte diVal Gabbia metallografico, in La Miniera Perdt di Bienno, a cura di C. CucImTr: FI-uzrN Pu. 2000, Ponte diVal Gabbia I' in Il Feno nellz Alpi - Iron in the.,4.' colo, Attidel Convegno, a cura di FnaNzoNr O., Scesusst G.C. tg99 (e Breno. Kxeu H.-L., BEIrn T., SoNNscIcN M, direct to the indirect process in lron ' miniere e metallurgia dall'dntichitì, zoNI, M. TtzzoNI, Breno, PP. 13 Jocrrxuovrt A., lùTlLtvs C. 1997, At Tèchnolog in Central EurEe, rn & di P. e S. CRtw, Plas Tan y Bw scaai 1990-97 e lz ricnche al S. Martino di Lecco, Oggiono. C,qsrrrrnrn L. 1997, Ponte di Val Gabbia I. Analisi antracologiche. Rekzione preliminare, in "Rassegna di Studi del Civico Museo Archeologico e del Civico Gabinetto Numismatico di Milano", fasc. LIX-IX, pp.207-208. CnB'w P.2004, Cast lronfrom a Blnomery Fomace, in "HMS News", 57, pp. l-2. Cucnr TzzoNt C. 1994, Miniere e metallurgia in alta Val Brernbana - Bergarno (secoli XII-WI), in "Bergomum", 2, pp. 47 -98. CucrNr TIzzoNl C. 1997, Lefucine dafeno e i magli da rame delh AlPi lornbardz. Il caso bngamasco 40 Bergomensi",9, pp. I l3-150. Dn VarHrunr A. 1866, Endes sur lts Ht EscnrNroHR L. 2001, Recherches archét ra Keupe M., Yercn U. 1995, Medinal in I"t l The Importance of lron Mohtot cNUSSoN, Stockholm, pp. 154'l( Servra V. 1 998, L'artigianato netdllil ticohre ifeirnmto allz kuoraziont le)OOl', pp.7-26. LEr-oNc A., MerRv 8.1928, Tiaité h4t ALLE ORIGINI DELL'ALTOFORNO e lecc/tese, in M. TtzzoNt, Il comprensorio minerario e metallurgico delle Auerara dnl XV al WII secolo, Bergamo, pp. 415-514. CuclNI TtzzoNI C. 1999, Ponte di Val Gabbia III: kforgia dioeuo; Ponte di Val Gabbia e i bassofuochi ualli Brembana, Torta e tra Thrdoantico e alto Me- I e II: i bassofuochi di età longobarda, in La Miniera Perduta. Cin- di ricerche arclteometallurgiche nel territorio di Bienno, a cura di CucrNr TzzoNl,TlzzoNI, Breno, pp. 93-182. CuctNr TIzzoNt C. 2001 , Dieci anni di ricerche sulla siderurgia lombarda: un bilancio, in La sidérurgie alpine en Imlie (XIIe-WIIe siècle), a cura di Pn. BneuNstelN, Roma, pp.3l-48. CuctNt TtzzoNt C., TIzzoNt M. 1992, Le antiche scorie del Golfo di Follonica (Tbscana). Una proposta di tipologia, in "Rassegna di Studi del Civico Museo Archeologico e del Civico Gabinetto Numismatico di Milano", suppl. IX, Milano. CuctNI TIzzoNt C., TIzzoNr M. 1999 (a cura dr), La miniera perduta. Cinque anni di ricerche archeometallurgiche nel territorio di Bienno, Breno. CuctNt TtzzctNt C., TlzzoNr M. 2000 (a cura dí), Ilferro nelle Alpi - Iron in the Alps. Giacimenti, miniere e metallurgia dall'antichità aIXVI secolo, Atti del Convegno, Bienno (BS), 2-4 ottobre que anni 1998, Breno. Ttzzoll M. 2001 , Studio degli scarti metallurgici, in Archeologia a Monte BarGli scaui 1990-97 e le ricerclte al S. Martino di Lecco, Oggiono, pp.273-279. CucrNr TrzzoNr C., FpnRqRro A., MoRrN D., IxEn R.A., RurrAM.,TrzzoNI M., Zesove.A. 2001, Campolungo (Bienno-Collio, Brescia): campagna di scaui anno 2000, in "Notizie Archeologiche Bergomensi", 9, pp. 113-150. DE V,qruntRn A. 1 866, Etudes sur les Hauts Fourneaux et la Métallurgie de la Fonte, Paris. EscHeNloHn L. 200 l, Recherc/tes archéologiques sur le disnict sídérurgique du Jura central suisse, LauCuclt tt TtzzcrNt C., ro, ntrLl thrtà t28viera MiCuin Il coLo, AIIe TIN, II. sanne. Esc:ue NI-ctuR L., SERNtEt.s V., 1991 , Les bas fourneAux mérouingens de Boécourt, Les Boulies (Ju/Suis- sr), Porrentruy. Ft.uztN Pu. 1999, Ponte di Val Gabbia III: i reperti metallici dallaforgia. Primi risultati dello studio metallografco, in La Miniera Perduta. Cinque anni di ricerche archeometallurgiche nel territorio di Bienno, a cura di C. Cuc;lNI TIZZoNI,M.TtzzoNI, Breno, pp. 189-194. FI-uztN Pu. 2000, Ponte di Val Gabbia III (Bienno). Les premiers résuhats des études métallographiques, in Il Ferro nelle Alpi - Iron in the Alps. Giacimenti, miniere e metallurgia dall'antichità al WI secolo, Atti del Convegno, a cura di C. CucrNI TIZZoNI , M.TtzzoNI, Breno, pp. 24-31. FnaNz-oNI O., Sc;Rsusst G.C. t999 (a cura di), Le miniere della Valle Camonica. Fonti e territorio, Breno. trun- 'Cionon- :97 e Krunu H.-L., BEtt.R T., SoNNI.cKEN M. 2000, Iron and Steel in Siegerland and Sauerland. From the direct to the indirect process in lron Production, in Il Ferro nelle Alpi - Iron in the Alps. Giacimenti, miniere e metallurgia dall'antichità al XVI secolo, Arti del Convegno, a cura di C. CuctNI TIZzoNI, M. TtzzoNI, Breno, pp. 133-137. '!í'llt.vs C. 1997, Archaeological Inuestigations on the Beginning of Blast FurnaceJocrcuuovEt. A., Tèchnologt in Cennal Europe, in Early ironworking in Europe. Archaeology and Experiments, a cu- Iila- di P. e S. CRErv, Plas Tàn y Bwlch, pp. 56-58. KEvpa M., YRI-crN U. 1995, Medieual lron Smebing in Southern Germany; Early Euidence of Pig lron, rn The Importance of lron Making. Tèchnical Innouation and Social Change, a cura di G. Mn- l), in GNUSSoN, Stockholm, pp. 154-164. Le Selvra V. 1998, L'artigianato metallurgico dei Longobardi alk luce delle fonti archeologiclte, con particokre riferimento alla lauorazione delferro. Sugerimenti e problemi, in 'Archeologia Medieva- EASCO Ll,l-oNc A., MetRv E. 1928, Traité Pratique de Fonderíe, Paris et Liège. ra Ras- le )O(V", pp.7-26. CUCINI - TIZZONI e Wsecolo,MiMerNoNr p. 1997, Le radici dzlla discordia. Ncerche sutkf.scalitA a Bergamo traXIII lano. Medioe' MeNNonr T., CuccurAm A., Ressr F. 1992, Scorie efomi di S. Giutia e k menllurgia.nel al Bar' Longobardi dai regio rnonastero un di storia uo, in S. Gulid di Brescia. Archeohgia, arte, L'215. 2l barossa, Brescia, PP. Il MrcHerrrro E., Gucmu'TETTI A., V.e,SCHrrn L., Cer,rnnnsE, V., MOTETIA Dr Cenro S. L995, "Quaderni della (1993'94), in Careluecchio di Pneragno (CN). Rnppora preliminare di scauo Soprintendenza Archeologica del Piemonte" , 13, pp' 137'219' di ricer' MoruN D. 1999, La rniniera dl ftoo di Piazzalunga, in La Miniera Perduta. Cinque anni pp. Breno, CuquTrzzaNr,TtzzoNl, di cura Bienno,a di nelteffitoio che archeornetallurgiche GABRIELE ARCHETTI Ferro e miniere ne[[e I[ "Centro di documentazi e [a storiografia recente 49-60. Onrru,r J. 1994, Il territoio bohgnese. .Assetto insediatiuo efondiario delh carnpdgnlemilianlfa.PriEmilia, a rna e nrda romanita, in Il lesoro nel poz,m. Pozzi deposin e tesaurizzazioni nell'antica pp.169-210' Modena, GloRpeNI, N. cura di S. GrucHl, prnwnn R. 1993, The tichnohg of iron making ii ihe bloomery period..A briefsuntey of the archaeo- hgical nidence,inArcheoTogia delle attiuitA. estrattiae e meullurgiche, a cura di R FnaNCovIcH, Firenze, pp.533'560. pr-ErNrR. R. 2001, Cast lron in the EurEean Blnomery Period, in 'Acta Metallurgica Slovaca", 7, PP. 97-10t. proqun A- lgg4, Landlyse chirnique m pallosidlrargie, in La Sidlrargie Ancienne dz I Bt dz k Fran- ce,acuÍe.di M. M,eNGtN, Paris, pp. 16'23. 1866, De lAge du Fer.- Rechnches sur lzs anciennesforges duJura Bemois, Porrentruy. TJ.1923, Mentlurgia Gentab e Sidnurgia' Milano' Snvorn Lesfirga dz h aitla rustica-de Biberist-Spitdlhof Suisse,in La Sidlrurgie Ancimlgg4, C. ScHucerw ne de I Est de k Francc,a cura di M. MANGIN, Paris, pp' 143'157' sièclz a Liesul-RaSBnNrr15 V.lggÍ., Du rninhai A tbbjeo: un aillage de sidlrargistes du Oxe auXIIe Museum, 33, semul BL,in fuchaologie und Pp.35'42' ThurrnJ., SnnpJ.rEEH V. OíZ,en early btzstfurnace)t D*rsnl (LangenbrucHBaselkndlcH),in furly Ironworhing in EurEe. Archanlog anl acpeiments, ecura di P. e S. Clev, Plas Tan y Bwlch, eurqurnnz A. o.48. I Tzzó1n M. s.d., Lbffcinafusoria, inCrnesa Moru A. di uia Puccini a Mikno, Milano, scheda n' 5' Tntpsrrrv. 1894, Manualz di siderurgia, Milano. (a \ cura dù, Dal cantiere alla storia. Lo scaao "stabiliamo e ordiniamo gti sia consentito di awiarla I d' e se il ProPrietari "ni"nte; a sua tutela, colui d Io.l le garanzie gti;td'r. Si stabilisce inolue cinque anni continui c.hr senza o1 dowanno anche risarcire i du: bera e tornerà in Possesso del l crede"2. Così recitano i Primi r centesca - edita a fine Ottoce: tudinarie e a una codificazion ti cinquecenteschi di Pezzazn' Si traaa sen/dtro di una testazioni normadve antiche' Iglesias in Sardegna (secoli X I Suwrt di Bwegno ddlhnno MCC naoui),a cura di B. Nocene, R Crsst 2 Snnti di Boaegno,P' 104 m'274t nos continuos. I B. Nocenil, Suuti dd comunc d uenis, ripubblicati successivamente ru nota l). 1 Cfr. svsi suuudel comune di P I529, tcura di C. S^rsATn, Pez'zezsl tolino, in Pezzaze nelk snria c wll'm collaborazione di C. Slglrn, Pwan lio di Val Tiompia riccopiate lbnno-Ii va valligiana del 157 6, invece, v' Std : C. Bruot ot Vrsvs - E Mercn N. Rooouco, Ordinanmusnp nti e l4islazionc aencut ùlh &nùt Nr - 42