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Cosimo Mottolese MASSAFRA SOTTERRANEA LA CITTA’ NASCOSTA Percorsi tra grotte, sotterranei, antichi opifici e necropoli Questo è un estratto dall’ebook pubblicato su Smashwords https://www.smashwords.com/books/view/377989 ed è disponibile in formato cartaceo presso i maggiori rivenditori online. Isbn: 9788880992714. Altri ebook dello stesso Autore: Raccolta di soprannomi massafresi - Isbn: 9781301001675 Chiese rupestri di Massafra - Isbn: 9781310147845 L’elaborazione della copertina, il progetto grafico dell’opera, i disegni, le planimetrie e le foto, ove non diversamente indicato, sono dell’Autore. *** INDICE Presentazione Introduzione Storia geologica del territorio La vicinanza La neviera Gli ipogei piramidali Il quadro normativo degli scavi 1. TUNNEL DALLA CHIESA MADRE A VIA VITTORIO VENETO 2. VICINANZA DI VICO TORELLI 3. PIRAMIDE NELLA VICINANZA DI VICO TORELLI 3’. PIRAMIDE NELLA GRAVINA S. MARCO 4. COMPLESSO IPOGEO SOTTO IL PALAZZO SPADARO 5. SOTTERRANEI DEL CONVENTO DEGLI ANTONIANI 6. VICINANZA SOTTO LARGO CAPREOLI IL MONASTERO E LA CHIESA DI S. BENEDETTO 7. SOTTERRANEI DEL MONASTERO DI S. BENEDETTO 8. POZZO NEL CHIOSTRO DEL MONASTERO DI S. BENEDETTO 9. CRIPTE DELLA CHIESA DI S. TOMA 10. CASTELLO MEDIEVALE 11. CHIESA DEI SS. PIETRO E PAOLO 12. CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA 13. CRIPTA E IPOGEI SOTTO LA CHIESA MADRE 14. SOTTERRANEI DEL CONVENTO DI S. AGOSTINO 15. SOTTERRANEI CONVENTO DEI CAPPUCCINI 16. CHIESA E CONVENTO DI S. ROCCO 17. MOLINO A VAPORE SPADARO 18. SANTUARIO DELLA MADONNA DI TUTTE LE GRAZIE 19. TERMINALE DEL TUNNEL DI PALAZZO GIANNOTTA 20. POZZO S. PIETRO 21. POZZO SALZO 22. MASSERIA DI PATEMISCO E CHIESA DI S. M. DELLA CROCE 23. GROTTA CARSICA DI S. MICHELE 24. GROTTA “MISTERIOSA” O GROTTONE DI S. ORONZO 25. ACQUEDOTTO “PIETRA PIZZUTA” SOTTERRANEO IN LOCALITÀ 26. BUNKER DI CARRINO 27. GROTTA DI MILLARTI 28. GROTTA CARSICA DI LEUCASPIDE SEZIONE 2 - I LUOGHI DELLA PRODUZIONE 29. LA CONCERIA DI VIA NUOVA 30. LA TINTORIA DI MACUBBE 31. TINTORIA DI BELLO 32. I MULINI BARONALI 33. I TRAPPETI 34. GLI APIARI 35. LE COLOMBAIE SEZIONE 3 - LE NECROPOLI 36. SITO ARCHEOLOGICO DI CARRINO-SAN SERGIO 37. SITO ARCHEOLOGICO DI L’AMASTUOLA Conclusione Bibliografia INDICE DELLE FIGURE Presentazione Le competenze tecniche e la passione per la storia e l’archeologia hanno spinto Cosimo Mottolese, ingegnere meccanico e cultore di storia patria, ad allestire questo volume dai contenuti originali e dal titolo intrigante, Massafra sotterranea – La città nascosta. Lo studioso, muovendosi sulla scia di quegli illustri concittadini che allo studio della storia e dell’archeologia massafrese hanno riservato tante ricerche (da Fonseca a Caprara, da Jacovelli a Ladiana, a Mastrangelo ...), è da oltre un ventennio impegnato nell’esplorazione del territorio al fine di portare alla luce quella realtà sommersa che rappresenta, anche in termini quantitativi, gran parte dell’habitat locale. ………. Tuttavia, per qualche parte di esso, l’autore non dispera che si possa operare in maniera intelligente sì da ricostruire quel “mosaico sotterraneo” che, alla luce dei risultati ottenuti, oggi appare abbastanza credibile. E per toccare aspetti di carattere generale, non si pensi che Cosimo Mottolese, indotto da questo interesse primario per la Massafra sotterranea e nascosta, un vero scrigno di tesori e di sorprese, non si occupi di quella sub divo, anzi il rapporto tra ‘il sopra’ ed ‘il sotto’ è così stringente che l’una integra l’altra in un sinolo unico. Allora, quando ad es. l’autore tratta del Monastero di san Benedetto, si sofferma sì sulle caratteristiche architettoniche dell’opera (e i suoi sotterranei) e correda l’analisi con opportune planimetrie ma traccia anche una storia della fondazione, si sofferma sui vari passaggi di mano della proprietà, il suo utilizzo nel tempo sino ai nostri giorni. Fra i nomi che emergono dalla narrazione, c’è quello di don Michele Imperiali, che fu signore di Oria, nominato erede universale dal canonico Francesco Paolo Capreoli, ma anche principe di Francavilla Fontana e signore di Casalnuovo (Manduria), sicché si possono cogliere i nessi di un più vasto quadro d’insieme, che abbraccia i due versanti della provincia jonica, e leggere più compiutamente la vicenda storica subregionale. E lo stesso discorso vale per il Castello, di cui il Mottolese ricostruisce storia e passaggi di mano sino all’acquisto da parte del Comune di Massafra, facendo risaltare i vari feudatari che lo possedettero, tra i quali un giusto rilievo meritano le figure di don Artusio (Arturo) Pappacoda e del figlio Francesco. ……. L’autore analizza le tecniche di lavorazione, la qualità e varietà dei prodotti finiti, gli strumenti di lavoro, i luoghi ancora oggi, per alcuni versi, rinvenibili e visitabili. Davvero carica di suggestione la descrizione della cosiddetta “Tènde de Macubbe”, un personaggio tra il mitico e lo storico, con i suoi epici baffi, la cui tintoria disposta su piani terrazzati sulla dorsale della gravina, doveva avere un forte impatto sul territorio e sulla sua economia, almeno fino al giorno in cui avrebbe, malinconicamente, cessato la sua attività. Inoltre, pagine interessanti sono dedicate all’acquedotto e ai cento canali che solcavano il sottosuolo massafrese, per non dire dei ‘trappeti’, che erano disseminati nel territorio abitato ed extra moenia, in stretta connessione spesso con le masserie. Anche qui le foto danno conto di questa straordinaria rete e illustrano i trappeti più significativi, da quelli a Sud del castello a quelli di Accetta Grande e dell’Amastuola. Gli apiari, le colombaie e le necropoli completano il quadro di una ricerca che, anche se si propone un fine informativo e divulgativo (ma ciò si lega all’atteggiamento di modestia dell’autore), è sorretta da serietà d’intenti e da rigore documentario. Senza dimenticare che Cosimo Mottolese, mosso dalla ‘carità del natio loco’, non manca ora implicitamente ora esplicitamente di richiamare i pubblici poteri a prendersi cura di questi beni con la necessaria sollecitudine, in quanto – mi viene da pensare – chi non si cura del passato non è degno di interpretare né il presente né il futuro della propria comunità. Taranto, 19 Luglio 2012 Alberto Altamura - Società di Storia Patria per la Puglia Ritorna all’indice Introduzione Nonostante i vari scempi che si vanno compiendo sul suo patrimonio storico, culturale, ambientale, paesaggistico, Massafra è ancora un grande scrigno di pietra che custodisce diamanti e perle ideali, che, messi insieme, ci permettono di ricostruire la storia dei secoli passati: basta aprirlo e osservarlo per convincersi che ciò non è un’iperbole. Come tutti i diamanti, di solito sono sepolti sotto la superficie calpestabile e così, per scoprire gli aspetti più interessanti e peculiari di Massafra, bisogna munirsi di casco e lampada ed immergersi nel mondo sotterraneo. Facendo tesoro dell'esperienza speleologica (rimasta, in realtà, isolata) fatta negli anni ’80 del secolo scorso in una scuola di speleologia di Martina Franca, praticando per anni quella che viene indicata come speleologia urbana alla ricerca dell’ennesimo tassello per ampliare la conoscenza del nostro territorio, ho avuto la possibilità di visitare e rilevare cavità naturali ed artificiali come cunicoli, sotterranei, tunnel, trappeti ipogei, vicinanze, pozzi, cisterne, cripte, tombe, necropoli ed altro di cui mi sia capitato di sentire notizia nel territorio di Massafra e in luoghi limitrofi. ……… Le numerosissime presenze nel centro storico di Massafra di cavità artificiali come grotte, pozzi, cisterne, tunnel, grandi ipogei piramidali, sono dovute a diverse esigenze di tipo costruttivo, abitativo, difensivo, di comunicazione. Queste opere cominciarono ad affermarsi nei sec. XIII1 e XIV2, ma conobbero una grande diffusione solo nella seconda metà del sec. XVI, quando la popolazione massafrese, dall’antico centro medievale che si era andato sviluppando intorno al Castello, si espanse nella zona della Serra di Mezzo, a Nord del Castello, oltre la fascia muraria, attraversata dalle porte della Buona Sera e della Cava, dove i Pappacoda possedevano un palazzo con giardino. Si ricavarono le abitazioni e le pertinenze scavando nella tenera roccia tufacea (calcarenite di Gravina) del pianoro, a circa 100 metri sul livello del mare, sul modello della vicinanza. Lo sviluppo delle tecniche e delle maestranze di scavo e di costruzione da una parte e l’affermarsi di nuove, più comode e sicure esigenze abitative dall’altra, portarono nel tempo alla realizzazione di svariate tipologie di ambienti ipogei che danno luogo oggi ad un sistema discontinuo, che si può definire “Massafra sotterranea”. ………. Nel presente lavoro descrivo singolarmente gli ambienti ipogei esplorati, riportandone, ove possibile e disponibile, la cornice storica e una rappresentazione planimetrica o schematica o fotografica. In alcuni casi, per descrivere i siti, ho preferito riportare in corsivo miei articoli pubblicati su quotidiani, lettere, relazioni o schizzi redatti all’epoca delle esplorazioni, giacché, essendo stati i beni alterati, obliterati, sepolti o distrutti, essi sono probabilmente le uniche testimonianze della loro esistenza. Supporto di riferimento per la sezione “Massafra sotterranea” è la planimetria generale che riporta e localizza gli ambienti che verranno illustrati in dettaglio. Ritorna all’indice Fig. 1 - Stemma della Città di Massafra ai piedi dell’Altare della Chiesa di S. Benedetto. 1770 ………. Fig. 2 - Planimetria generale settore occidentale …… Fig. 3 - Planimetria generale settore centrale Fig. 4 - Planimetria generale settore orientale Ritorna all’indice Storia geologica del territorio Le rocce affioranti nel territorio di Massafra si distinguono essenzialmente in Calcare di Altamura (Cretaceo), Calcarenite di Gravina (Plio-Pleistocene) e, localmente, Calcarenite di Monte Castiglione (Pleistocene). Altre unità litologiche presenti a Sud nel sottosuolo sono l’Argilla del Bradano ed i Conglomerati, ghiaie e sabbie (Pleistocene). L’origine del Calcare di Altamura risale al Periodo Cretacico (Turoniano-Senoniano) dell’Era Secondaria o Mesozoica, a circa 90 Milioni di anni fa. Il substrato del Calcare di Altamura è il Calcare di Bari, il quale, formatosi per sedimentazione sui magmi basaltici nel NeocomianoBarremiano superiore (prima parte del periodo Cretacico, 140 Milioni di anni fa) era dapprima emerso dalle acque tropicali del mare nel quale si era formato e poi, non ancora diagenizzato (consolidato e ben indurito), ma ancora tenero e friabile, si era di nuovo immerso per lenta ma continua subsidenza, nelle acque del mare. Sul Calcare di Bari, già eroso dagli agenti atmosferici nella fase di continentalità, per milioni di anni si depositarono i resti organici degli animali marini e delle alghe, i detriti di fanghi, le polveri atmosferiche, i resti di piante e quanto altro poteva capitare nelle acque del Tetide: si formava così il Calcare di Altamura. Tra la fine del Senoniano e l’inizio del Paleocene (Era Terziaria o Cenozoica), questi sedimenti, solo in parte solidificati, emersero lentamente a loro volta dalle acque del mare, venendo a contatto con l’atmosfera. Quasi tutto il massiccio carbonatico apulo fu di nuovo continente come terra emersa fino al Miocene. Fu in questo periodo di continentalità che si formarono i principali rilievi, si modellò il territorio quasi come oggi ci è dato di osservare, con gli alti e bassi strutturali, sotto l’azione degli agenti atmosferici (venti, precipitazioni) e delle immani spinte tettoniche del sottosuolo. Era questo il periodo dell’inizio delle grandi Glaciazioni e della comparsa degli ominidi sulla Terra. A partire dal Miocene (20 Milioni di anni fa) e nel primo Pliocene, parte del territorio emerso fu invasa ancora dalle acque del mare. Dieci Milioni di anni fa (Pliocene iniziale) la Puglia non esisteva ancora come terra emersa: al suo posto c'era mare; da esso cominciavano ad emergere le principali isole italiane (Sicilia, Sardegna, Corsica, isole toscane) e nelle sue acque, granello su granello, cominciarono a depositarsi gli strati che avrebbero poi dato luogo al territorio della Puglia. Nel Pliocene cominciò il sollevamento delle rocce calcaree che, continuando per buona parte del Pleistocene, portò alla formazione della penisola salentina. Sotto l'azione di immense spinte tettoniche, oltre ad aversi il sollevamento e l’emersione del territorio, si originarono anche numerose fratture negli strati di calcare, lungo tutta la regione tarantina. Secondo alcuni studiosi queste fratture nel calcare di base rappresentano l’origine primitiva delle Gravine, che si formeranno molto tempo dopo. Sulle terre immerse, costituite da Calcare di Altamura, già erose nella fase di continentalità (all’incirca le zone attuali a quota inferiore a 250 m sul livello del mare), per tutto il Pliocene (8 Milioni di anni fa) si depositarono nuovi sedimenti i quali, una volta diagenizzati, diedero origine alla Calcarenite di Gravina, che in parte, salvo pochissime zone ancora lacustri, emerse tra la fine del Pliocene ed il Calabriano (2 Milioni di anni fa), rimanendo esposta agli agenti atmosferici, da cui fu erosa superiormente. A cominciare dal Calabriano e fino al Tirreniano, ossia per tutto il Pleistocene o Diluvium, caratterizzato da un raffreddamento del clima (ci furono 4 glaciazioni), si ebbe una serie di cicli di trasgressioniregressioni, nel corso dei quali nelle zone paludose ricoperte dall’acqua del mare (tutto il territorio a Sud di Massafra e zone isolate a Nord) sulla Calcarenite di Gravina, già erosa nella fase continentale, si depositarono fanghi alluvionali, detriti organici e minerali, formando successivamente le Argille del Bradano o Subappennine e la Calcarenite di Monte Castiglione. Ritorna all’indice La vicinanza La vicinanza3 è un tipico complesso ipogeo articolato in più unità abitative (case-grotte) realizzate intorno ad una corte comune. Si scavava nel tufo una trincea a cielo aperto a pianta quadrata o rettangolare profonda dai 3 ai 6 metri, sul cui fondo si accedeva attraverso una scalinata risparmiata dallo scavo, di solito sistemata sul lato a Sud, sul modello dei vici romani. Sulle pareti verticali della trincea venivano scavate le grotte per ricavarvi abitazioni, ricoveri per gli animali, depositi. La trincea diventava così un grande disimpegno, una pertinenza comune, uno spazio in cui si incontravano gli abitanti della vicinanza. Le pareti da scavare (in gergo zoccare) venivano spesso lasciate in eredità dai padri ai figli perché potessero ricavarvi la propria casa nel futuro. Frequenti sono i casi di vicinanze che si sviluppavano tanto in estensione e in profondità, anche su più livelli, da sconfinare in altre proprietà limitrofe. …… Le oltre 300 vicinanze sono state studiate da diversi autori, sotto profili diversi, come E. Jacovelli4, F. Lembo che ne ha pubblicato il rilievo della zona nord-occidentale del centro storico 5, R. Caprara, C. Crescenzi, M. Scalzo6, G. Mastrangelo, che ne ha studiato il regime dominicale7. Ritorna all’indice La neviera Numerose sono le neviere che si incontrano negli ambienti ipogei che si descriveranno nel seguito, per cui sembra opportuno premettere i caratteri e le funzioni comuni di queste strutture. Le neviere sono costruzioni ipogee destinate a deposito di neve per conservarla il più a lungo possibile fino ai mesi caldi. Potevano essere costruite fuori terra in muratura oppure scavate nella calcarenite, come tanti ambienti “scantinati” a livelli profondi. A differenza dei territori settentrionali limitrofi, come Martina Franca, Locorotondo, Alberobello, dove le neviere erano costruite anche fuori terra, sia per le temperature medie più basse, sia perché gli strati rocciosi sono più duri da cavare della calcarenite, a Massafra le neviere erano zoccate nei livelli più bassi degli scantinati. La neve veniva raccolta nei campi e nei boschi, sui monti di Martina Franca, della Calabria o della Lucania, compattata fino a ricavarne dei blocchi di ghiaccio e poi, con opportuni accorgimenti8, veniva trasportata sui carri e stivata nelle neviere. ……. Le neviere furono definitivamente abbandonate verso la fine del XIX secolo, con la diffusione dei sistemi industriali per la produzione del ghiaccio. Ritorna all’indice Gli ipogei piramidali Successivamente o parallelamente allo sviluppo del modello abitativo in grotta con nuclei riuniti in vicinanza, si affermò la tecnica di costruzione fuori terra (sub divo) di edifici in muratura, che venivano realizzati con conci di tufo il più delle volte provenienti da cave9 esterne all’abitato10. Spesso, per ridurre i costi di trasporto, i blocchi venivano ricavati sul posto, nella stessa area di costruzione dell’edificio. La cava ipogea era scavata, naturalmente a mano, prima come un pozzo comune, con bocca di solito quadrata di dimensioni di 100-120 cm, ma anche maggiori, poi veniva allargata man mano che lo scavo procedeva verso il basso, prendendo la forma finale caratteristica di piramide …… I vuoti che rimanevano erano sfruttati in maniera diversa: i più piccoli, previa impermeabilizzazione delle pareti, erano usati come pozzi o cisterne di acqua piovana, mentre nei casi di cave di grandi dimensioni, erano utilizzati come depositi di derrate alimentari deperibili, come latte, vino, formaggi, salumi, carni essiccate, ortaggi, per le basse temperature che vi regnavano (5-7 °C), serviti da scalinate anche imponenti. L’effetto di raffreddamento di questi ambienti era assicurato sia dalla profondità nello strato roccioso (in media 18 metri), sia dalla circolazione dell’aria e del vapore acqueo dal basso verso l’alto (per convezione) grazie alla conformazione tronco-piramidale della sommità, vera e propria cappa aspirante, che assicurava un efficiente ed energico tiraggio naturale, come una cappa di camino e come questa sfociava verticalmente all’esterno, per cui le piramidi erano delle vere e proprie fabbriche del freddo. Oggi, invece, le piramidi non funzionano più come macchine frigorifere, perché ne sono stati otturati gli sfoghi verso l’esterno. Diffuse in tutto il centro storico, le piramidi possono raggiungere le dimensioni ragguardevoli di metri 15x15 in pianta e metri 20 in altezza. Tre esempi di piramidi si trovano in pieno centro storico, intorno a Piazza Garibaldi, una annessa al Monastero di S. Benedetto, una sotto la Torre dell’Orologio ed un’altra tra Via S. Leonardo e la Gravina di S. Marco, che saranno descritte dettagliatamente in seguito. Ritorna all’indice Il quadro normativo degli scavi La pratica di scavare nella roccia per ricavare abitazioni e accessori è antichissima e diffusa, ma appare esercitata intensivamente nel centro storico di Massafra quando, dopo che il barone Francesco Pappacoda concesse la lottizzazione della Serra di Mezzo per la costruzione di un nuovo borgo intorno al Convento di S. Antonio, non fu più permesso costruire al di fuori della zona approvata. Infatti, con le Prammatiche IV del 20 Maggio 1588 e VII del 9 Maggio 1615 del Regno di Napoli “De edificiis prohibitis”, per limitare l’espansione dei borghi voluta dagli angioini, si vietò la costruzione di nuovi edifici in zone non permesse, causando la concentrazione dell’abitato nelle zone permesse. La proliferazione di scavi abusivi causò in tutto il regno “la poca durata o ruina degli edifizi, per lo più dipesa, e tuttavia dipenderebbe dagli scavi e grotte sotterranee furtive, non regolari, che con la sottrazione di lapillo, pozzolana, e pietre si farebbero, per facilitare la costruzione delle fabbriche, o per la vendita degli anzidetti materiali”. ….. Ritorna all’indice SEZIONE 1 – MASSAFRA SOTTERRANEA 1. TUNNEL DALLA CHIESA MADRE A VIA VITTORIO VENETO E’ il tunnel più lungo e più importante che abbia potuto visitare, è la spina dorsale dell’antica Massafra medievale, percorrendola interamente da Sud a Nord e perciò è l’asse ideale lungo il quale si snoderà il nostro viaggio nella Massafra sotterranea. La notizia di un tombino di fogna crollato e sprofondato aprendo una piccola voragine negli anni ’90 del secolo appena trascorso, in occasione di alcuni lavori di sistemazione stradale nel Largo S. Lorenzo, alle spalle della Chiesa Madre, fu il richiamo irresistibile per avventurarsi nella voragine ed esplorare quello che vi era nascosto. Fig. 5 - Rottura del tunnel per l’alluvione del 2003 Fig. 6 - La data 1953 graffita ai margini del tunnel Apparve subito un tunnel che in direzione Sud Ovest si dirigeva verso il Convento di S. Agostino e in direzione Nord verso il centro abitato. Nel buio dell’ambiente sotterraneo rischiarato dalla luce dei caschi al carburo, appariva nettamente un tunnel scavato nella roccia calcarenitica, con soffitto costruito in conci di tufo con volta ad arco. Due date graffite su conci di tufo ad altezza d’uomo, 1945 e 1953 D.S., rimandavano agli anni in cui furono eseguiti lavori di ripristino di quel tunnel, trasformato in quegli anni in collettore principale della rete di raccolta delle acque piovane dell’abitato di Massafra. Le dimensioni del tunnel con larghezza media di m 1,20 ed altezza di m 2,50 nella chiave di volta, incoraggiavano l’esplorazione verso Nord dello stesso. Superata la Scala Pietro Lupis, si arriva in un lungo e più comodo tunnel rettilineo che, sotto Via La Terra lungo la primitiva Gravina, porta verso il Castello. Qui il tunnel assume forme di manufatto ben costruito, con pareti lisce e copertura realizzata in conci di tufo, con volta a punta di tipo gotico. A dispetto delle aspettative, all’altezza del Castello non è possibile individuare alcuna diramazione in direzione Est verso il maniero, quindi il tunnel non appare una pertinenza di esso. Proseguendo verso Nord, ai piedi della Scala Graviglione, in corrispondenza della prima curva a gomito di Via La Terra, si arriva in un ambiente più largo, su una parete del quale è incisa un’altra data: 1900. Siamo già fuori dell’ambito del Castello, siamo sull’angolo Nord-Est delle mura di cinta dell’antico centro abitato medievale di Massafra, nel punto dove doveva trovarsi la Porta della Cava. Fig. 7 - Interno del tunnel sotto Via La Terra 11 Sulla parete orientale si apre nella roccia una grande porta, chiusa quasi interamente con muratura di tufi, che lascia intravedere un ambiente pieno di macerie fino al soffitto. Da questo punto, il tunnel si separa da Via La Terra la quale, dopo la curva a gomito, continua a Nord, verso Piazza Garibaldi. Superato un salto di più di due metri con l’aiuto di una scala, attraversando un cunicolo alto non più di 1 metro, si arriva in un ambiente largo a forma di grande vasca che presenta un paio di porte chiuse sul lato Ovest che portano negli scantinati di proprietà private e una molto larga presa d’aria e d’acqua sulla parete ad Est; il cunicolo prosegue ad Ovest su un livello più alto, ricollegandosi con la parte terminale a Nord di Via La Terra. ….. Infatti esso, liberato dalla funzione di collettore di acque meteoriche e ristrutturato, potrebbe essere usato come camminamento turistico sotterraneo per collegare da Sud a Nord le più importanti e belle realizzazioni architettoniche del centro storico di Massafra, come il Convento di S. Agostino, la Chiesa Madre, il Castello, Piazza Garibaldi, la Torre dell’Orologio, la Chiesa e il Monastero di S. Benedetto, il Palazzo Capreoli, il Palazzo De Notaristefani, la Chiesa rupestre di S. Antonio Abate. Ritorna all’indice 2. VICINANZA DI VICO TORELLI Si tratta della vicinanza più estesa di Massafra sia come sviluppo planimetrico ed articolazione sia come profondità: essa infatti si estende su un’area complessiva di circa 1000 mq e si approfondisce per circa 20 m dal piano stradale. La notizia dei lavori di ricognizione e rilievo del complesso da parte dell’autore fu pubblicata nel Corriere del Giorno del 7 Febbraio 1995 nell’articolo Grande complesso abitativo sotterraneo nella vicinanza di Vico 2° Torelli a cura di Nino Bellinvia. E’ possibile accedere ad essa da Piazza Garibaldi, attraverso Vico Torelli. Discesi alcuni gradini, si arriva in una prima vicinanza scoperta che, come detto in precedenza nella descrizione generale, comprende come pertinenza comune un pozzo a destra della scalinata scendendo, un capovento quasi al centro dell’area scoperta centrale comune. Sulla parete orientale della vicinanza si trova una serie di grotte (Complesso 1), sulla parete a Nord un’altra serie di grotte (Complesso 2) e a sinistra della scalinata scendendo, la grande vicinanza ipogea (Complesso 3). Fig. 8 - Planimetria di Vico Torelli Complesso 1 E’ composto da alcuni vani attualmente adibiti ad usi diversi per cui il complesso ha perso le caratteristiche abitative originali, ma presenta a sinistra entrando la bocca di un pozzo, con tipica sezione piriforme. Ovviamente, è secco in quanto non vi viene fatta più entrare acqua, ma si vedono le canalizzazioni dal cortile centrale. Il fondo, in corrispondenza del boccapozzo, è dominato da un grande cumulo di rifiuti e macerie di diverso tipo; ai lati si trovano diversi recipienti in ceramica. Complesso 2 – Vicinanza Ripoli Comprende tre ambienti, su tre livelli differenti. …… Fig. 9 - Planimetria della vicinanza Ripoli Complesso 3 Fig. 10 - Ingresso del complesso 3 di Vico Torelli Questo complesso, da solo, è senza dubbio la vicinanza più estesa di Massafra. Per ultimo di proprietà della famiglia massafrese Fonseca, si estende sotto l’abitazione Fonseca, la farmacia Sasso, il palazzo Spadaro e il cortile chiuso dietro la Torre dell’Orologio. E’ articolato in diverse unità e su due piani altimetrici: il primo a quota di circa –4 m dal piano stradale e il secondo a circa – 18 m e vi si accede dalla vicinanza comune di Vico Torelli. …….. Fig. 11 - Planimetria e sezione della vicinanza di Vico Torelli …….. Fig. 12 - Planimetria - Settore Sud ……. Fig. 13 - Planimetria - Settore Nord …….. Fig. 14 – Sezione 1 Fig. 15 – Sezione 2 Al primo livello si trovano diverse unità insediative indipendenti accessoriate con cucina, dormitorio, stalla, depositi, contraddistinte da 5 numeri civici, che si trovano nel primo corridoio che si incontra subito all’ingresso. Alcune sono corredate di pozzo di raccolta di acque piovane con apposite canalizzazioni: PO1 non esplorato e PO2, interamente esplorato, da cui le abitazioni superiori, nei diversi livelli, attingevano l’acqua. Nella parte Sud, i vani comunicano con altri vani cui si accedeva da un’altra vicinanza con ingresso separato da Vico Torelli e si estendono sotto la casa natale di Giovanni Losavio, compositore e direttore d'orchestra, e sotto la farmacia Sasso. …….. Fig. 16 - Sezioni del Pozzo PO2 Ritorna all’indice 3. PIRAMIDE NELLA VICINANZA DI VICO TORELLI Al secondo livello dello stesso complesso si trova un grande vano piramidale cui si accede attraverso una larga scalinata in pietra e, a livello ancora inferiore (quota circa –20 m), una neviera con copertura a botte in conci di tufo. Le pareti del vano piramidale conservano i segni del modulo di scavo e mostrano che l’estrazione dei conci di tufo (ovviamente a mano, con l’uso del pico da zoccata) procedeva per piani orizzontali paralleli. Il vano culmina all’apice e comunica con l’esterno con una botola che si apriva nella superficie del cortile dietro la Torre dell’Orologio come un boccapozzo normale, oggi chiuso. Fig. 17 - Interno della piramide …….. Attraverso una scalinata, si raggiunge la neviera, delle dimensioni di circa 5 x 8 metri, alta circa 3 m, dove ancora si trovano le fascine di rami che costituivano il letto del deposito, per drenare l’acqua di scioglimento della neve e per isolare la neve dall’acqua, in modo da prolungarne la conservazione. Fig. 18 – Neviera Fig. 19 - Particolare di una sella d’appoggio di botti Ritorna all’indice 3’. PIRAMIDE NELLA GRAVINA S. MARCO Località: Via San Leonardo – Gravina San Marco Coordinate geografiche, riferite all’ingresso: Latitudine 40° 35’ 18,8” N Longitudine 17° 06’ 47,0” E Quota 86 m Si tratta di una piramide scoperta recentemente (2010), durante i lavori di pulizia e di sistemazione dei terrazzamenti sotto il Ponte Garibaldi. Subito a Nord del Ponte, sul costone occidentale della Gravina San Marco, a livello dei giardini una volta coltivati ad agrumeto, nella parete calcarenitica si apre una porticina che, ancorché chiusa da detriti fini che letteralmente cadono dall’alto, permette di entrare in un ambiente rimasto chiuso fino alla scoperta. …… La presenza fra le macerie di teschi, di frammenti di ossa e di ossa lunghe intere riferibili a scheletri umani sul fondo della piramide, porta ad attribuire la stessa al periodo in cui era attivo il Convento degli Antoniani, sec. XVI-XIX o al più all’anno in cui fu demolita la Chiesa di S. Maria di Costantinopoli (1929), anno in cui vi potrebbero essere state sversate le ossa, quando ancora il vano ricadeva sotto una pertinenza del convento, forse un giardino. La prosecuzione dei lavori di pulizia potrebbe mettere in luce ulteriori reperti per una datazione più precisa. Fig. 20 - Planimetria della zona …….. Fig. 21 - Porta di ingresso, nella Gravina S. Marco Fig. 22 - Interno della piramide Ritorna all’indice 4. COMPLESSO IPOGEO SOTTO IL PALAZZO SPADARO Vi si accede dai locali a piano terra del Palazzo Spadaro prospiciente a Piazza Garibaldi, sul lato Ovest. Dopo una scalinata, si arriva in un ambiente al primo livello interrato con pareti molto ben lavorate e dall’aspetto molto antiche; a sinistra verso Sud una porta conduce in una stanza a pianta quadrata; sul lato Ovest un’altra porta conduce in un’altra stanza parzialmente occupata da tufi e macerie edilizie, oltre a due pile in pietra calcarea per lavaggi. Sul lato Nord, un corridoio porta a diversi ambienti scavati nella roccia tufacea, posti a livelli inferiori. Un foro nella parete più interna permette il collegamento con i sotterranei del Monastero delle Benedettine. Molto probabilmente, questi locali erano una pertinenza del Convento degli Antoniani, raggiungibile dal chiostro perimetrale che recingeva il giardino del Convento, che si estendeva su tutta l’area attualmente occupata dalla Piazza Garibaldi e dagli edifici che la recingono. …….. Ritorna all’indice 5. SOTTERRANEI DEL CONVENTO DEGLI ANTONIANI Inquadramento storico Nell’area compresa tra Piazza Garibaldi, il Municipio e l’ex Scuola Media, insisteva fino al primo decennio dell’800 il Convento dei frati minori Osservanti dell’Ordine francescano di S. Antonio da Padova, indicati anche come Antoniani, Osservanti o “Zoccolanti”, fondato nel 1568 su un terreno di proprietà del barone Francesco Pappacoda12, con annessa Chiesa dedicata a S. Maria di Costantinopoli (1577), lì trasferita dall’antica sede di Via La Terra, dove esisteva la Chiesa di S. Maria de Platea, nei pressi del Castello, o forse addirittura dentro di esso. …….. Fig. 23 - Planimetria dei sotterranei degli Antoniani Fig. 24 - Ingresso ai sotterranei degli Antoniani Il sito Al complesso sotterraneo si accede da Vico Teatro, attraverso una lunga scalinata al di sotto della mensola sporgente sulla Gravina S. Marco ed annessa ai locali dell’ex Pro Loco, che conduce in un vano aperto su un terrazzamento in terra che ospita una cabina ENEL e, più a Nord, giardini ancora oggi coltivati, sotto il ponte Garibaldi. …….. Fig. 25 - Scala rettilinea verso Vico Piazza Garibaldi Subito all’inizio della scalinata, in alto, si apre una botola di aerazione, chiusa a livello stradale da una piccola grata sul marciapiede di fronte all’ingresso del Municipio, a destra di Vico Lo Pizzo. A sinistra, superato con l’aiuto di una scala un dislivello di circa 3 metri, inizia un percorso che si snoda attraverso diversi ambienti occupati da macerie, masserizie, resti di antichi lampioni e di una carrozza funebre e termina in una vicinanza con ingresso a sinistra di Via Lo Pizzo. All’epoca dell’esplorazione, la sala centrale, assolutamente buia, ospitava una piccola colonia di pipistrelli Myothis Myothis, aggrappati al soffitto (distrutta per mani vandaliche nel 2010). Fig. 26 - Pipistrelli Myothis Myothis …… Fig. 27 - Il mezzo tomolo con la targhetta 28 litri Evidentemente, i locali esplorati sono stati adibiti per ultimo a deposito di vino e di attrezzi e recipienti per la conservazione, il trasporto e la vendita di esso. Dovevano esserci anche botti, carratèdde, lance e lancèdde, capèse e capasoni, anche se di questi recipienti non è stata trovata alcuna traccia. Invece, sono ancora presenti solo alcuni cerchi in ferro di ruote di traino (evidentemente lì traslocati attraverso la scalinata, visto che non sarebbe stato possibile introdurre un carro attraverso il tunnel), accessori da fornello per rosticceria, come graticole e resti di attrezzi provenienti da demolizione di fornelli incassati in muratura. Infatti, di solito alla “cantina” si affiancava il fornello, in cui si arrostivano sulla brace i gustosi “gnummerèdde” 13 e salsicce. All’epoca dell’attività del Convento degli Antoniani, la sala centrale del complesso ipogeo doveva essere una pertinenza sotterranea del Convento adibita a magazzino cui si accedeva dalla grande scalinata inclusa nel chiostro che orlava il giardino che si dispiegava di fronte al Convento e alla Chiesa, nel punto ove attualmente è posta la grata in Vico Piazza Garibaldi. Il giardino si estendeva su tutta la Piazza Garibaldi, comprese le due schiere di costruzioni ai lati di Vico Piazza Garibaldi ed arrivava fino a ridosso del Monastero di San Benedetto, mentre il pozzo si trovava quasi al centro dell’attuale Piazza. ……… Sarebbe, questo, il secondo tunnel “difensivo” individuato. All’epoca della seconda guerra mondiale, il tunnel fu unito con l’ex magazzino del Convento mediante lo scavo del tunnel in curva (si giustifica così il dislivello di 1 metro tra i due vani, superato grazie ad alcuni gradini) per ospitare diverse famiglie di sfollati che arrivavano da Taranto, dopo che nella tragica “notte di Taranto” dell’11 Novembre 1940 la città fu presa di mira dalle incursioni aeree da parte di Sir Winston Leonard Spencer Churchill, primo Lord dell'Ammiragliato. ………. Fig. 28 - Terrazzamento sulla Gravina San Marco Ritorna all’indice 6. VICINANZA SOTTO LARGO CAPREOLI Sul “Corriere del Giorno” del 23 Agosto 1994 fu pubblicata la notizia dell’esplorazione di questo complesso sotterraneo fatta dall’autore l’11 Maggio ‘94, in seguito all’apertura di una piccola botola, nel corso di alcuni lavori di sistemazione del piazzale stradale. …….. Fig. 29 - Stralcio planimetrico della vicinanza Capreoli …….. ……… Fig. 30 - Planimetria della vicinanza Capreoli Fig. 31 - Sezioni della vicinanza Capreoli La stanza A, il cui fondo è a quota di circa 3,0 metri al di sotto del piano stradale, era parzialmente ricoperta di macerie e detriti di materiali vari. Sulle pareti scavate con piccone nella roccia tufacea dell’ambiente A si aprono quattro porte nelle direzioni dei punti cardinali: a Nord si apre una grande porta (b) ad arco tondo in roccia tufacea completamente chiusa da macerie che interessano anche l’ambiente G (non esplorato); ad Est una porta (c) larga m 1,20 che immette in un cunicolo F, limitato ad Est da una parete murata, da cui si può accedere nell’ambiente G, ma che non si è potuto percorrere per la presenza di melma; a Sud si apre una parete murata rettangolare larga m 2,30, oltre la quale è l’ambiente E, che non si è potuto esplorare, in quanto la parete in parola è chiusa con conci di tufo, sui quali grava il peso della massicciata stradale; ad Ovest si apre una porta (a) larga m 1,15 che immette nella stanza B avente dimensioni in pianta di m 3,70 x 3,45, completamente occupata da una colata di macerie e detriti riversati dalla botola H praticata nell’angolo Nord-Ovest del soffitto; la stanza ha pareti tutte scavate nella roccia, compreso il soffitto. Attraverso una porticina (d) larga m 0,75 ed alta m 1,15 sormontata da un piccolo architrave in roccia, si accede nel piccolo vano C, con dimensioni in pianta di m 1,75x1,30 avente una finestra (e) larga m 0,80 che si affaccia sull’ambiente D, pieno di acqua, avente le caratteristiche di una piccola cucina, con camino superiore. ………. La vicinanza era formata da 3 complessi: uno costituito dai vani B, C e D, con accesso dalla porta a; un altro con accesso dalla porta b; il terzo con accesso dalla porta c; quest’ultimo è stato chiuso dalla parete muraria, su cui poggia la massicciata stradale. Il vano D sembra essere una rampa degradante verso il basso e in direzione Sud, da cui molto probabilmente si accedeva in altri ambienti della stessa proprietà Capreoli o in altre vicinanze, posti a livelli inferiori. E’ da tener presente che la proprietà Capreoli comprendeva, oltre l’omonimo palazzo, anche tutta l’area su cui oggi insistono il Monastero benedettino e il palazzo Spadaro, confinando ad Est con il Convento degli Antoniani. L’ipotesi della rampa scaturisce dalla forma del "soffitto" e dalla constatazione che le macerie fatte cadere dalla botola H formano un cumulo degradante verso l’ambiente D e la forma di questo suggerisce che parecchio materiale deve essere caduto nella rampa stessa, scivolando verso il basso, andando ad ostruire il passaggio cui la rampa porta. …….. L’esplorazione della rampa è quanto mai interessante, in quanto potrebbe evidenziare un collegamento tra la vicinanza in oggetto con altre vicinanze ed altre realtà ipogee già esplorate o ancora da esplorare. Ritorna all’indice IL MONASTERO E LA CHIESA DI S. BENEDETTO Inquadramento storico Lunga e tormentata è la storia del Monastero di S. Benedetto, che prende avvio da un legato testamentario di diversi beni di una nobildonna massafrese, donna Maddalena Capreoli, in data 30 Novembre 1679 in favore di suo zio canonico Francesco Paolo Capreoli, per la fondazione di un monastero femminile. ……. Fig. 32 - Stemma Imperiali-Capreoli …….. I lavori furono interrotti per mancanza di fondi, poiché i prezzi aumentarono per la lentezza dei lavori causata dalla scarsità d’acqua, ma in seguito ripresero grazie all’impulso dato da don Michele Imperiali, nipote del primo don Michele e finalmente nel 1735 si ebbe la dedicazione della Chiesa, come è riportato sulla base della croce in ferro battuto posta sulla sommità della facciata14 e nel 1744 i lavori furono definitivamente completati. Nello stesso anno il Monastero fu aperto alle suore benedettine di clausura. Prima badessa fu donna Maria Lucia Idria Caracciolo, nipote del Marchese Caracciolo di Martina, cui si unirono come cofondatrici donna Emilia De Carlo e donna Marietta Amati ambedue di Massafra; in seguito entrarono altre 13 suore e le educande. Nel 1825 nel Monastero risiedevano 14 monache professe di clausura, 1 novizia, 7 educande, 2 oblate e 5 converse. Sul mosaico ad intarsio alla base dell’Altare Maggiore, sullo stemma di Massafra, è riportata la data del 1770. ……. Composto da un grande corpo di fabbrica con ingresso a portale ad arco tondo su via Fanelli, si sviluppa su due livelli intorno ad un giardino con chiostro e pozzo centrale coperto e colonnato e comprende un giardino alberato sul lato Sud. La superficie destinata dai Capreoli al Monastero era originariamente di 5.000 mq. Come raffigurato sul fianco di una spinetta intarsiata, passata misteriosamente in mani private e venduta ad un antiquario 15, il Monastero, fino alla 2a metà del ‘700, si affacciava direttamente sull’antica Piazza S. Antonio, oggi Garibaldi, preceduto da un giardino esterno chiuso con cancello in ferro. In seguito, venduto il giardino esterno a privati, la superficie del Monastero fu ridotta a 3.360 mq, deducendo le strade, i piazzali e l’area degli edifici oggi di proprietà Spadaro, Vinci, Colucci, Zanframundo. Materiali …… Fig. 33 - Pavimentazione del coro …….. Fig. 34 - Tavole di tomba Ritorna all’indice 7. SOTTERRANEI DEL MONASTERO DI S. BENEDETTO Aperta una botola nella porta murata ad Est del locale magazzino del Monastero, negli anni ’90 fu esplorato dall’auto-re il complesso sotterraneo annesso al Monastero, con l’aiuto di lampade al carburo, trovando un collegamento con l’attiguo complesso sotterraneo sotto il palazzo Spadaro, sul lato Ovest di Piazza Garibaldi. Fig. 35 - Ingresso ai sotterranei di S. Benedetto ……… Questa cisterna era in origine la neviera annessa al Monastero, di cui parla E. Jacovelli16. La grande piramide ha le stesse caratteristiche dell’altra limitrofa, sotto la Torre dell’Orologio: stessa forma, stesse dimensioni, stessa finitura delle pareti, probabilmente fu costruita dalle stesse maestranze. Fig. 36 - Resti del coro ligneo della Chiesa di S. Rocco ……… Ritorna all’indice 8. POZZO NEL CHIOSTRO DEL MONASTERO DI S. BENEDETTO Il pozzo centrale del Chiostro fu oggetto di ricognizioni da parte dell’autore nel mese di luglio 1998. Con l’aiuto della scala speleologica fu possibile scendere nel pozzo ed eseguire i rilievi della forma e delle dimensioni. La calata verticale dal boccapozzo fa arrivare direttamente su un cumulo conico di detriti e macerie alto circa 1,5 m e largo alla base più di 2 m, poi, superato questo, si raggiunge il fondo del pozzo a forma quasi rettangolare delle dimensioni di 17,80 x 9,65 m. ……. Fig. 37 - Rilievo del pozzo nel chiostro di S. Benedetto Sul piano di fondo è ricavata centralmente una vasca parallelepipeda di 11,40 x 3,50 m e profonda 1 m, piena d’acqua, che quindi risulta circondata da un camminamento largo circa 3 m. Lungo questo camminamento, asciutto all’epoca dell’esplorazione, si trovano a ridosso delle pareti e frammisti a fango e sabbia, qualche secchio, frammenti di recipienti ceramici per acqua e diversi gavettini e gavette militari in alluminio, testimoni dello stanziamento nel Monastero di guarnigioni militari. ……….. Si gridò al miracolo, ma, molto probabilmente, il secchio, scivolato sul cumulo di detriti, andò a finire nella vasca centrale, ancora piena d’acqua. Ritorna all’indice 9. CRIPTE DELLA CHIESA DI S. TOMA L’antica Chiesa di S. Toma cominciò ad essere oggetto di visite da parte dell’autore da quando, diversi anni fa, furono ripresi i lavori di rifacimento del pavimento per riaprire il luogo al tradizionale culto religioso. Da un piccolo vano dietro all’Altare della Chiesa, che era la sagrestia, attraverso una scaletta, si raggiungeva il terrazzo di copertura, da cui si poteva vedere ciò che sta dietro e di fianco alla Chiesa. Si scorgeva la linea dei fabbricati costruiti sulla cinta muraria dell’antica Massafra medievale, le due torri, in una delle quali fu ricavata, appunto, la sagrestia della Chiesa, il fossato di protezione delle mura, successivamente utilizzato dai Mulini baronali, previa copertura con volta a botte in conci di tufo, attualmente a tratti crollata e, oltre il fossato, verso Nord, il giardino Lamanna. Fig. 38 - Planimetria di S. Toma Quando, in seguito allo svellimento del pavimento della Chiesa, fu scoperta, fra l’altro, la scaletta di accesso al piano sotterraneo e dopo la pulizia e la bonifica delle cripte sotterranee sottostanti all’Altare, fu possibile raggiungere dai sotterranei della Chiesa il fossato retrostante, attraverso uno stretto cunicolo. Fig. 39 - Torre della cinta muraria Il fossato è lungo circa 80 m, collegando Via Muro con Via La Terra, nelle immediate vicinanze del Castello, e largo 4-5 m tra il giardino Lamanna e la fila di case costruite sul tratto di cinta muraria. …….. Data la privilegiata ubicazione della Chiesa in pieno centro storico di Massafra, si potrebbe utilizzare il fossato come galleria per mostre, esposizioni, come sede di Ufficio turistico, come percorso attrezzato per collegare il Castello con l’altro importante nucleo del centro storico ad occidente di Via Muro, previa bonifica dei luoghi, rifacimento delle volte e delle pareti. Ritorna all’indice 10. CASTELLO MEDIEVALE Inquadramento storico La storia del Castello coincide con la storia di Massafra medievale, in quanto esso è stato la sede del potere militare e civile della Città nel periodo medievale. L’origine del Castello medievale di Massafra si perde nella notte dei tempi, molto probabilmente risale ad un imprecisato periodo tra la dominazione longobarda e quella bizantina, ma la sua presenza come sede del governo bizantino è attestata per la prima volta in un documento conservato nell’abbazia di Montecassino risalente al X secolo. Nell’XI sec. il Castello fu tolto ai greci dal saraceno Raica17, aiutato da Saphari di Crito (o Caphare de Crito). Sempre nell’XI sec. Massafra, insieme con Mottola e Castellaneta, apparteneva al feudo di Riccardo Senescalco; successivamente passò ai D’Angiò e da questi ceduta ad Oddone di Soliac. ……. Fig. 40 - Planimetria del Castello Ad Artusio succedettero il figlio Francesco e poi Alfonso. Nel 1600 il feudo di Massafra appartenne al Principe Don Arturo (o Artusio) Pappacoda, che lo aveva comprato per 60.000 ducati. Nel 1633 Celidonia Pappacoda in un codicillo al testamento cede Massafra ai Carmignano. Alessandro Carmignano, figlio di Camillo Carmignano e di Donna Felice Pappacoda, acquista la Terra di Massafra. Nel 1635 Alessandro Carmignano cede il feudo a tale Giuseppe Antonio De Vino. Nel 1636 Don Michelino Imperiali, grande di Spagna, nipote del Cardinale Lorenzo Imperiali, compra la Terra di Massafra con il titolo di Principe di Francavilla. …….. Fig. 41 - Stemma degli Imperiali Oggetto di diversi sopralluoghi conoscitivi, il Castello è stato più volte visitato dall’autore ancor prima dell’inizio dei lavori di restauro, realizzati su progetto del prof. arch. Mauro Civita. Riporto integralmente (in corsivo) una mia relazione redatta sullo stato del Castello medievale negli anni ’90 ed inviata al Sindaco di Massafra ed al Sovrintendente ai Beni AAAS di Bari, per sollecitare gli interventi più urgenti per la salvaguardia e la conservazione di quello che rimaneva del superbo e maestoso Castello di Massafra, pubblicata sul Corriere del Giorno del 24.02.94 in un articolo di Nino Bellinvia. ………. ……….. Fig. 42 - Pianta e sezioni della celletta di preghiera Cripta sotto la Chiesa di S. Lorenzo Sotto la cappella dedicata a S. Lorenzo martire annessa al Castello, esiste una Cripta la cui importanza andrebbe rivalutata alla luce di uno studio sistematico sulle emergenze religiose del tempo. Essa viene indicata tradizionalmente come neviera annessa al Castello, per la presenza di botole sulla copertura e per la sua collocazione sotterranea, ma il confronto con altre neviere porta sicuramente ad escludere che la Cripta potesse essere nata per tale uso. L’esame della Cripta non porta a conclusioni certe circa l’originaria funzione di essa, perché i successivi interventi e riadattamenti della stessa da parte dei Pappacoda, poi degli Imperiali, hanno distrutto quelli che potevano essere indizi preziosi sulla sua destinazione originaria. Ma da un’attenta osservazione delle fattezze accurate delle pareti e delle volte, dall’orientamento della parte più interna della Cripta, dalla presenza di finti pilastri (lesene) sulle pareti, si potrebbe congetturare che essa in origine dovesse essere un luogo sacro. ………. Fig. 43 - Ingresso della Cripta sotto S. Lorenzo Fig. 44 - Interno della Cripta sotto S. Lorenzo …… La bonifica e la messa in sicurezza di questi locali potrebbero permettere la completa esplorazione dei sotterranei del Castello e portare importanti risultati, come, fra l’altro, l’individuazione della galleria che collegherebbe il Castello con la Masseria di Patemisco, secondo la tradizione orale. Pozzo nel piazzale esterno Al centro del piazzale meridionale esterno esisteva un pozzo con copertura sostenuta da quattro colonnine, oggi visibile solo su qualche vecchia fotografia. Scavato nella roccia del piazzale, di pianta rettangolare di dimensioni 10x8 m, riceveva le acque piovane del cortile, delle coperture e della rampa del Castello, previa opportuna filtrazione e decantazione. Da un’ispezione sul fondo fatta dall’autore negli anni ’90, non è emersa alcuna rilevanza né sul fondo né sulle pareti. Attualmente è coperto e sepolto sotto la pavimentazione del piazzale. Prigioni ………. Come tutti i castelli, anche quello di Massafra aveva le sue carceri, per detenere coloro che dovevano scontare la pena per i vari reati nei confronti del feudatario o del barone18 o per motivi militari. La sede più antica delle carceri era nel torrione sud-ovest del castello19, poi dovette essere trasferita a ridosso della cortina settentrionale del castello, da cui era separata da uno stretto camminamento, al di sotto della rampa che immette nel cortile centrale. Attualmente è raggiungibile dalla scalinata che scende direttamente da Via Lo Pizzo20. ……. Fig. 45 - Vista esterna delle antiche prigioni Fig. 46 - Interno delle antiche prigioni …….. Questo edificio è stato adibito a prigione feudale fino alla morte dello Zuccaretti, mentre le carceri pubbliche rimasero annesse al Fig. 47 - Le prigioni su Via La Terra vecchio Municipio in Via La Liscia fino al XIX sec., quando furono trasferite nel Nuovo Borgo, sul lungovalle Niccolò Andria, di fronte alla Chiesa del Carmine. Ne troviamo traccia in un episodio che risale alla prima metà dell’800, quando viveva stabilmente nel Castello Michelangelo Zuccaretti, napoletano, che vi morì il 15 Maggio 1859. A proposito di questo personaggio, del quale ho dato alcuni cenni nel capitolo della Masseria di Patemisco, il prof. R. Grippa racconta nel suo libro 21 con molti curiosi dettagli le vicende legate alla sua morte ed alcuni bozzetti di vita, per delineare il suo carattere di uomo di potere, puntiglioso, severo, arcigno, scontroso, ma anche, in punto di morte, di persona benefica. L’episodio che riguarda le prigioni, in cui erano detenuti anche coloro che venivano condannati per piccoli reati e per insolvenza di piccoli debiti nei confronti dello Zuccaretti, ha per protagonisti, appunto, lo Zuccaretti e un certo Giovanni Satalia, capomastro. Riporto integralmente il passo del Grippa. ………. Ritorna all’indice 11. CHIESA DEI SS. PIETRO E PAOLO Inquadramento storico La Chiesa rupestre di S. Pietro e Paolo è ubicata nel fondo della Gravina S. Marco, ai piedi del Castello medievale. Ormai completamente dimenticata e sconosciuta quasi da tutti, cancellati quasi completamente i caratteri di luogo sacro per essere stata nel ‘500 riusata come trappeto, essa fu una tra le Chiese più importanti del centro medievale di Massafra, stretto intorno al Castello. Infatti, diede nome al Pittagio circostante, ai piedi del Castello, chiamato, appunto, Pittagio di San Pietro e Paolo fino al '700. Fig. 48 - Planimetria SS. Pietro e Paolo ………. I luoghi La Chiesa è stata oggetto di mie visite e ricognizioni in diverse occasioni, ma nel 1998 ho eseguito rilievi metrici e fotografici. Fu anche da me redatta una relazione sullo stato dei luoghi che qui riporto integralmente. Nel mese di luglio 1998 fu eseguita dal sottoscritto una prima visita ricognitiva nel complesso di locali siti in Gravina San Marco che un tempo ospitavano un frantoio oleario, attivo dalla fine del '500 fino a una trentina di anni fa, allo scopo di fare rilievi e di ricostruire l’attività che ivi si svolgeva. Ma, una volta sul posto, abbiamo trovato tanti altri elementi che ci hanno fatto allargare le indagini anche all’aspetto religioso che il luogo doveva rivestire una volta. Fig. 49 - Planimetria schematica del complesso di S. Pietro …….. Pertanto, si potrebbe ricostruire la dinamica evolutiva del complesso ipotizzando che originariamente esisteva la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo composta dalle sole due navate parallele e successivamente ampliata con il vano ad Est, che poteva servire come Sagrestia o come sala per riunioni; nel '500 quando la Chiesa fu trasformata in trappeto, furono apportate modifiche sulle pareti delle due navate ed al vano annesso mediante escavazione delle pareti posteriori. La Chiesa A pianta rettangolare, con le due navate parallele affiancate separate da una parete in roccia tufacea, la Chiesa rupestre presenta sulle pareti ancora diverse nicchie che dovevano probabilmente contenere degli affreschi, ma ormai è priva di qualsiasi elemento iconografico. ………. Ma leggendo più attentamente la volta di copertura e le aree parietali rimaste inalterate, si scopre quello che doveva essere la cripta: un luogo di culto, un’altra navata, coeva con la prima. Sono state distrutte le nicchie sacre e tutti i particolari originali sia sulle pareti, sia sulle volte di copertura, completamente ripulite e parzialmente modificate per l’uso cui il vano fu successivamente destinato. Essa è suddivisa in due locali: uno anteriore con volta a vele e rifiniture accurate, presenta sulle pareti grandi nicchie che dovevano ospitare icone sacre. Proprio su quella che oggi è la porta di accesso alla terza grande grotta è ancora ben visibile un grande arcosolio, che poteva essere la parte superiore di una nicchia contenente una grande icona, oppure l'abside di un altare, rivolto ad Est, secondo i canoni costruttivi delle Chiese bizantine e pertanto destinato ad accogliere l’altare principale. La parete dell’abside risulta tagliata, evidentemente per permettere il passaggio ed il collegamento con la terza grotta, quando il sito fu trasformato in trappeto. Invece, il locale posteriore, rettangolare, non presenta particolari riferibili al culto. ………. A questo proposito, è interessante il particolare che in un affresco rinvenuto nella muratura a Sud del Castello medievale nella celletta di preghiera dell'epoca dei Carmignano (1641), è raffigurata una scena in cui è rappresentato il Castello con le vicinanze dell'epoca e sullo sfondo si vede un fiume (la Gravina S. Marco), sulle cui acque saltellano dei pesci. A tal riguardo, ora è meglio parlare al passato, perché successivamente alla visita effettuata alla celletta (1992), essa risultò irrimediabilmente e gravemente deturpata per mano di vandali incoscienti, come ora è possibile vedere. Di ciò fu data notizia all'Amministrazione comunale di Massafra e al Sovrintendente ai Beni AAAS di Bari, trasmettendo nel 1993 una mia relazione. Il trappeto ………. Testimonianza della presenza e dell’attività del frantoio sono riportate nei libri di storia locale, come in E. Jacovelli, Massafra nel sec. XVII, da cui si estrae il brano che riporta la cronaca di una grande alluvione, ricavata dal "Libro dei Battezzati", vol. 3° (c. 168 v.). Il giorno XXIX del mese di novembre 1603, vigilia di S. Andrea, sabato, la Gravina della Terra di Massafra inondò per grande quantità di acqua verso le undici e invase tutte le case più basse di detta Gravina, con grandissima perdita di beni, case, affogati, e invase i centimuli o trappeti della curia baronale, da cui fu riempita la casa dell’Ospedale sottostante, e da questa il trappeto di Marino Lupoli presso la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo: in questo trappeto perse molto olio il R. Priore Valeriano Riccis. Per altri danni non scritti in questa memoria e per la terribile paura, Francesca, moglie di Angelillo de Sasso partorì Leonardo Antonio e Grazia. Nell’ottavo giorno, poi, che fu il 6 dicembre, festa di S. Nicola, nella stessa ora in cui la Gravina inondò, una parte della stessa Gravina, dove si chiama di S. Biagio, ci fu una frana minacciando rovina; verso le ore 14, precipitò e distrusse dieci case, e perirono quattro uomini; due uscirono illesi, uno dalle pentime che cadevano, ed una donna non uscita dalla casa che minacciava rovina. Tutto questo, perché rimanga memoria, scrisse don Leonardo Scarano. Evidentemente, nel 1600, lì esistevano due trappeti separati, uno nella Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, dei baroni Francesco o Maurizio Milon di Véraillon ed uno nella grotta contigua di Marino Lupoli, probabilmente in seguito uniti in un unico grande trappeto. Il Cimitero Anche in questa occasione, per descrivere il Cimitero, riporto una mia relazione redatta all’epoca dei rilievi. “Rimossi un paio di tufi e aperta una piccola breccia nella parete di chiusura sulla quale è visibile un arcosolio ricavato nella roccia, è stato possibile ispezionare la grotta. ……. Oltre questo muro, è stato ispezionato un vasto ambiente quasi completamente pieno di materiale terroso fine, pezzi di conci di tufo, frammisti a pezzi di ossa umane, tutti all’apparenza provenienti da frane, crolli o simili eventi. Il corridoio porta in fondo ad un piccolo vano; i pavimenti del corridoio e del vano sono ricoperti di resti umani, ormai consumati dal tempo, di pezzi di tavole di legno decomposto, di resti di vestiti, per uno spessore medio di circa 80 cm. Nello spigolo ad Est del soffitto del vano si apre una botola, che immette in un’altra grotta a livello superiore delle dimensioni di circa metri 4,5x3,5 e dell'altezza di circa 2,2 metri, le cui pareti contengono numerosissimi fori e diverse nicchie, tra cui si evidenziano le due più grandi a calotta (o arcosolio, che simboleggia il cielo), una sulla parete a Nord-Est ed una su quella ad Sud-Est, dove è stato trovato un piccolo teschio, evidentemente appartenuto ad un bambino. Sulla parete a Sud si apre nella roccia una porta, chiusa con conci di tufo arrotondati come il muro precedente ma senza malta e come questo serve da contenimento dello stesso materiale terroso fine che è possibile intravedere. Fig. 50 - Rilievo della cripta sotto la Chiesa dell’Annunziata Da questa grotta partono due scalinate: una piccola sullo spigolo a ………. Fig. 51 - Chiesa di S. Pietro e Paolo. Ingresso Ritorna all’indice 12. CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA Inquadramento storico La Chiesa fu costruita (Portararo) nel 1510 sulle case del Signor Nicola Rotondo, comprate dal Sig. Michele Berardi, con autorizzazione del Vescovo di Mottola22, ai tempi del barone Artusio Pappacoda. Era una chiesetta a una sola navata a due campate molto semplice nel disegno e negli ornamenti interni ed esterni, aveva un piccolo campanile senza molte decorazioni e serviva da Statio per le funzioni religiose che si celebravano nella vicina e più grande Chiesa Madre. Costeggiava l’antica Via Lo Pizzo, che aveva inizio sulla prima curva di Via La Terra e, lungo il fianco orientale del Castello medievale, inerpicandosi sul fianco della Gravina, conduceva sul borgo nuovo, l’attuale Piazza Garibaldi. Vi era un solo altare dedicato alla Vergine ed una "sepoltura"23. Alla Cappella erano annesse due camere, di cui una con copertura “a cannizzo” posta sulla Sagrestia, per abitazione del sagrestano, dove abitarono dal 1656 i Frati Gian Pietro Lazzàro da Conza (Lombardia) e Giovanni Sisto da Noci (Bari), che avevano scelto la vita eremitica e che ebbero in cura la Cappella. Questi si interessarono, successivamente, anche della costruzione della Chiesa di San Rocco e del Convento dei Rocchettini neri o Frati Minori conventuali, in una zona fuori le mura civiche, vicino al "Pozzo vivo". …… Nell’occasione furono rinvenuti nel muro a Nord, l’unico relitto della Chiesa, su pitture precedenti (palinsesto), due affreschi riferiti al sec. XVI: una Madonna con Bambino e un San Leonardo alle catene. I dipinti furono racchiusi in una nicchia in muratura a cura della Soprintendenza delle Opere di Antichità e d’Arte della Puglia, ma oggi distrutti. I luoghi I vani esplorati oltre alla porta murata del frantoio di cui alla scheda precedente dovevano appartenere alla Cappella dell’Annunziata; infatti essi costituivano un luogo per la sepoltura dei morti, con accesso unicamente dalla scalinata grande sopra descritta con ingresso dalla Chiesa dell’Annunziata, mentre l’altra scalinata, ripida, molto stretta e poco praticabile, doveva condurre ad una "luce", ad un lucernario, che si doveva affacciare all’esterno sulla Gravina, fuori del perimetro della Chiesa, per assicurare il minimo di areazione ai locali sottostanti. Evidentemente, quello che il Ladiana definiva "sepoltura" altro non era che la botola terragna, il passaggio da cui si poteva accedere nei "sotterranei" della Chiesa (come aveva descritto Jacovelli dopo aver osservato i luoghi), che sono i vani da noi esplorati e prima descritti, articolati nei due livelli. Nella stanzetta al primo livello venivano deposti i defunti (deposizione primaria), i cui resti poi, una volta consumati, venivano riversati, attraverso la seconda botola, nel sottostante vano e nel corridoio, al secondo livello, che funzionavano quindi da fossa comune, da carnara (deposizione secondaria). …….. Da allora, chiuso l’accesso alla grotta, i figli l'hanno tenuta in consegna morale e continuano a tenerla in custodia con grande venerazione, proprio come un grande tesoro. Sarebbe opportuno che tutte queste "Opere", tutti questi reperti che fanno parte della vita di Massafra antica, vengano acquisiti al patrimonio collettivo, per poter essere meglio studiati, bonificati, restaurati e posti nelle condizioni di essere usufruiti da tutti, opportunamente tutelati e protetti. Ritorna all’indice 13. CRIPTA E IPOGEI SOTTO LA CHIESA MADRE Costruita su un’antica Chiesa rupestre dedicata a S. Lorenzo 24 risalente al sec. X, rilevata e studiata dal prof. R. Caprara nel 199425, residuata nel solo bema con un’abside e due nicchiette laterali, la Chiesa Madre o Collegiata di S. Lorenzo è stata per secoli la Chiesa più importante nella Massafra medievale e prerinascimentale, sviluppatasi intorno e ai piedi del Castello medievale. Controversa è la datazione della sua origine: secondo alcuni autori26 essa sarebbe sorta nel sec. XVI, quando Alfonso Pappacoda donò al clero un fortino annesso al Castello costruito o ristrutturato da Francesco Pappacoda nel 1533, perché l’antica Chiesa di S. Maria de Platea (ancora non localizzata) sede del Capitolo collegiale, era fatiscente ed ormai “assai meschina”. Secondo R. Caprara, invece, la Chiesa è molto più antica, risalirebbe al XII o XIII sec. e comunque esisteva come Parrocchia almeno dal 1359, quando diventò sede dell’Insigne Collegiata27. ………. Fig. 52 - Planimetria Chiesa Madre Quando, negli anni ’80, fui chiamato dall’imprenditore che doveva eseguire i lavori di ripristino della pavimentazione del presbiterio e che per caso scoprì nell’angolo Nord-Ovest un foro che faceva affacciare in un grande locale sotterraneo che non si riusciva ad illuminare completamente con le lampade, ebbi l’occasione di visitare gli ipogei sottostanti al presbiterio della Chiesa subdiale. ………. Dopo che sono stati scoperti gli affreschi rinascimentali sulle pareti interne della Chiesa nella parte subdiale, ancora molto rimane da scoprire e studiare di questo sacro luogo, sia all’interno, sotto l’invaso della Chiesa, sia all’esterno, sotto i piazzali esterni, sotto Via La Liscia, prospiciente all’entrata principale e nei siti viciniori. Ritorna all’indice 14. SOTTERRANEI DEL CONVENTO DI S. AGOSTINO Per iniziativa di Francesco Pappacoda, Signore del feudo di Massafra, su un suo lotto di terreno denominato “Pozzo Nuovo”, il 17 Agosto 1560 iniziarono i lavori di costruzione di una Chiesetta, di un Convento e di alcuni vani destinati a ricoverare gli ammalati poveri, sotto il titolo di S. Stefano28. Fig. 53 - Planimetria S. Agostino ……. Nel refettorio al piano terra è ancora possibile ammirare un affresco dell’ultima cena di modesta fattura. Sull’architrave della porta d’ingresso si legge a malapena la frase latina: QUISQVIS AMAT DICTIS ABSENTVM RODERE VITAM HANC MENSAM INDIGNAM NOVERIT ESSE SVAM CHI SI DILETTA A RODERE CON LE PAROLE LA VITA DEGLI ALTRI ASSENTI, SI ACCORGERÀ DI ESSERE INDEGNO DI QUESTA MENSA. Fig. 54 - Pittura murale dell’Ultima Cena Successivamente alla soppressione, dal 1896 il Convento ospitò uno stabilimento industriale per la produzione di energia elettrica. ……… ……….. Fig. 55 – Il Convento e la Chiesa in una cartolina d’epoca Risalgono agli anni ‘90 le prime ricognizioni all’immenso complesso monastico che ho potuto effettuare, quando era alla completa mercé di vandali accaniti distruttori perfino dell’Altare maggiore della Chiesa. ………… ----- Fig. 56 - Graffiti nel torrino campanario Particolare attenzione fu riservata alla ricerca del collegamento con il cunicolo che si dipartiva dal Mulino Spadaro dirigendosi, sotto la S.S. Appia, verso Nord, appunto, verso il Convento. ……. Sarebbe quanto meno auspicabile oltre che necessario trovare un uso dignitoso per questo pregevole, ampio ed articolato complesso monastico, fra l’altro in ottime condizioni statiche, per salvarlo dal degrado e dall’abbandono. Ritorna all’indice 15. SOTTERRANEI CONVENTO DEI CAPPUCCINI Inquadramento storico La storia del Convento dei Cappuccini e dell’annessa Chiesa intitolata alla Madonna degli Angeli parte da una felice convergenza di intenti di diverse persone che vollero tutte in Massafra un Convento dei frati Cappuccini. La domanda del 158029 del Generale dell’Ordine dei Frati Cappuccini al Vescovo di Mottola Mons. Jacopo Micheli di fondare in Massafra un convento dell’ordine che presiedeva fu subito accolta, anche perché “sponsorizzata” da Alfonso Pappacoda30, Barone di Massafra. …….. Fig. 57 - Planimetria Cappuccini Fu scelto come sito di impianto un appezzamento di terreno in località “Colomba”, parte della proprietà del canonico D. Michele Curti, Primicerio del Capitolo di Massafra, dove esisteva una cappella dedicata a S. Felice, che lo cedette in cambio di un compenso annuo di 35 carlini e del diritto di sepoltura per sé e per i suoi familiari fino alla terza generazione. Nello stesso anno furono iniziati i lavori e terminati nel 1585, completi del Convento in cui si insediarono i Cappuccini nel 1584 e della Chiesa. La Chiesa, dedicata alla Madonna degli Angeli, presentava una facciata sobria priva di ornamenti e decori secondo lo stile cappuccino, un ingresso con portale segnato da una lunetta semicircolare. In origine era a navata unica con un solo altare centrale e un coretto (Coro di Notte) con un organo a parete su un transetto sopraelevato sull’ingresso. …… La Chiesa invece continuò a essere officiata dal clero secolare anche dopo la soppressione del Convento, continuò ad essere sede della Confraternita di S. Filomena, ma fu chiusa nel 1941. I locali del Convento prima destinati ad Ospedale Civile, poi occupati dai militari, furono usati come posto di isolamento; negli anni del colera 1910-11 furono adibiti a Lazzaretto, incendiati e rovinati nel corso di una sommossa popolare. Dalle macerie fu salvata una semplice Croce di legno che, collocata su un torrino in muratura in prossimità dell’incrocio della Statale Appia, diede il nome alla zona compresa tra l’Appia, il Convento e Via La Liscia. ……. I luoghi Dal crollo della Chiesa, il Convento e la Chiesa sono rimasti in miserabile stato di abbandono, fino agli anni ’90, quando è stato attuato un lodevole progetto di restauro conservativo e migliorativo, che ha restituito alla comunità un complesso di ambienti che possono essere destinati ad attività sociali, culturali, didattiche, ricettive, turistiche. Intanto, sono ancora lì, il Convento e la Chiesa restaurata ed aspettano di essere ancora utili per Massafra, come lo sono stati per 300 anni, ma per ora non hanno visto che incuria ed abbandono, tranne qualche sparuto gruppo di curiosi visitatori che in quelle antiche fabbriche cercano di conoscere le loro radici. Dei sotterranei esistenti sotto tutta l’area del Convento e della Chiesa sono ancora aperti due ipogei destinati a sepolture: uno nella restaurata navata laterale della Chiesa ed un altro nella sagrestia. ……. Ritorna all’indice 16. CHIESA E CONVENTO DI S. ROCCO …… Fig. 58 - Planimetria S. Rocco Quando ancora esisteva il giardino dell’antico Convento di S. Rocco, al lato della strada per Palagiano, furono da me eseguiti nel 1994 alcuni sopralluoghi, avendo sentito che nello stesso si stavano eseguendo lavori di sbancamento per l’insediamento di un’attività di tipo industriale o di un deposito. Qui di seguito, riporto uno stralcio di una mia lettera inviata al Comune nel 1994 per segnalare i lavori che si stavano intraprendendo e che avrebbero cancellato per sempre quello che rimaneva dell’antico Convento. Attualmente, acquistato dalla società CTS di Ariccia, è oggetto di ………. Fig. 59 - Noria di S. Rocco ----- Fig. 60 - Noria – Particolari Il fabbricato è costruito in muratura su due livelli: il piano superiore è composto di una stanza centrale più antica con copertura a vele ornate con archetti in rilievo, affiancata da altre due stanze più recenti, adibite ad abitazione; al livello inferiore si trovano stanze adibite a stalla, magazzino e abitazione. …….. Infine, sono state prelevate dal banco tufaceo perimetrale risparmiato dallo scavo diverse conchiglie fossili del periodo pleistocenico. Massafra, 24 Maggio 1994. Inquadramento storico Nell’occasione stesi anche una relazione per ricostruire la storia del Convento, che riporto integralmente. In occasione dell’ennesimo e forse definitivo colpo "di piccone", ma oggi è più attuale dire "di ruspa", inferto dall’"uomo moderno" alla memoria storica, costituita dai segni del passato, si ritiene quanto meno doveroso riassumere ciò che è dato sapere circa il Convento e la Chiesa di S. Rocco in Massafra. ………… ……… Fig. 61 - Bassorilievo del Pappacoda. 1564 Francesco Pappacoda morì nel 1576 o 1577, quando già la tomba di famiglia si trovava nella Chiesa di S. Maria di Costantinopoli; secondo la sua volontà, lì fu sepolto nella tomba terragna di famiglia, chiusa dalla pietra tombale che egli aveva fatto realizzare. In seguito alla demolizione della Chiesa (1929), la lastra tombale fu murata nella facciata esterna della “Chiesa Nuova”, sul lato di ingresso verso Nord del colonnato, dove ancora oggi si trova. Con Regio Decreto del 7 Agosto 1809, Giuseppe Napoleone Bonaparte soppresse gli Ordini religiosi dotati di possedimenti e ricchezze. In forza del Decreto, a Massafra furono soppressi gli Ordini dei Frati Minori Conventuali e degli Agostiniani, mentre vi rimasero i Frati Minori di S. Francesco, i Cappuccini e le Monache Benedettine. Dopo la soppressione, i beni del Convento di S. Rocco furono incamerati dal Demanio e poi venduti ai privati, rimanendo in stato di abbandono. …….. Il Gallo31 trovò l’epigrafe su lastre di marmo in pezzi nella Chiesa di S. Maria di Costantinopoli e così la riportò lacunosa, componendola secondo una sua interpretazione: CONDITUR HOC TUMULO FRANCISCUS FAPPACODA QUEM NOBIS GENEROSA DEDIT FER SAECULA PROLES PAPPACUDA R. TERRAE, REGIBUS OLIM COELOEUMQUE IOVI GRATISSIMA ALMA HOC PIETATE SACRUM VIVENS VICTURUS IN OEVO EXTRUXIT TEMPLUM SUB NOMINE ROCCHI La ricostruzione interpretativa del Gallo non è convincente, almeno per due motivi, primo perché con lo stesso nome Francesco Pappacoda indica il defunto sepolto e il committente del sarcofago, secondo perché commemora insieme la costruzione di due realtà diverse, la tomba e il tempio di S. Rocco (costruita nel 1537). ……… Secondo la storiografia disponibile, le spoglie dell’eroe furono trasportate con i massimi onori da Otranto a Napoli, insieme con quelle di moltissimi altri eroi napoletani32. Qui i Pappacoda avevano dal 1415 la loro Cappella gentilizia di S. Giovanni, fatta costruire da Artusio I su progetto del famoso abate pittore e scultore Antonio Baboccio da Piperno, che ne realizzò anche il portale sulla facciata. Ma la persero nel 1496, quando il re Ferrante II, duca di Calabria, per vendicarsi del tradimento di Troiano Pappacoda che aveva partecipato alla Congiura dei Baroni, confiscò alla famiglia Pappacoda sia il Palazzo di famiglia che la Cappella gentilizia, donandoli a Fabrizio Corona. Molto probabilmente, nel 1564 Francesco Pappacoda fece costruire nella Chiesa di San Rocco la tomba di famiglia, traslandovi da Napoli le ossa e le ceneri dei suoi antenati, chiudendola con una nuova pietra tombale con bassorilievo. Ritorna all’indice 17. MOLINO A VAPORE SPADARO Dalle notizie riportate dal Grippa si sa che questo opificio fu costruito nel 1898 e fu alimentato con cavo sotterraneo dallo stabilimento elettrico di S. Agostino, ma non è possibile desumere se dopo l’incendio della Chiesa del 1899 sia rimasto connesso con la centrale elettrica del convento o se sia stato alimentato da impianto autonomo. Anche per questo sito, che ormai è stato stravolto per l’esecuzione di recenti lavori che ne hanno cancellato i caratteri originari di opificio, riporto quanto ebbi a scrivere in occasione dei sopralluoghi effettuati nel 1997. Fig. 62 - Planimetria del Molino Spadaro Miracolosamente scampato alla furia distruttiva dell’uomo moderno che si scatena sugli ormai pochi e miseri segni della storia (antica e contemporanea) di Massafra, è ancora possibile vedere a Sud della strada statale n. 7 "Appia", in corrispondenza dell’incrocio per Chiatona, un vecchio edificio, che per diversi decenni ha rappresentato per Massafra un solido punto di riferimento e che sembra con la sua imponente ed importante mole voler raccontare cose che forse anche ai ricercatori ed agli studiosi di storia locale sono sembrate di poco conto. Si tratta del "Molino a vapore Spadaro"33. …….. Dal testo del Grippa, si ricava che “dopo qualche tempo” rispetto al 1898 l’azienda fu rilevata da Spadaro (socio con i fratelli Margherita), il quale continuò le attività di farinificio e di centrale elettrica (con alimentazione autonoma) nello stabilimento a Sud della strada statale. Ritorna all’indice 18. SANTUARIO DELLA MADONNA DI TUTTE LE GRAZIE Il Santuario della Madonna di Tutte le Grazie è ubicato in Massafra sullo spalto orientale della Gravina di Calitro (oggi della Madonna della Scala), nella parte terminale a Sud di questa, in località Capo di Gravina o La Maddalena. Vi si accede da Via Muro, attraverso Via delle Forche, poco a Nord del Convento di S. Agostino, oppure dal centro storico, da Via Andria, poi da Via Santa Guida, attraverso una lunga scalinata. ……. Fig. 63 - Facciata del Santuario Madonna di Tutte le Grazie La Chiesa La Chiesa propriamente detta, ad unica navata rettangolare, delle dimensioni di circa metri 24 x 7, con asse in direzione Nord-Sud, è suddivisa da un grande arco a tutto sesto nell’aula e nel presbiterio, in corrispondenza del quale sono aperte due porte, delle quali una dà accesso alla sagrestia ed una alla Cripta di S. Eustachio. …… Non si hanno notizie precise sulla data della costruzione della Chiesa, sul progettista, sulle maestranze impiegate, né sul costo, ma si sa che di certo essa fu costruita tra il 1649 ed il 1655, regnante a Massafra la famiglia Carmignano34. La prima data si riferisce ad un avvenimento miracoloso, riportato in un manoscritto del Canonico Ignazio Maria de Sanguine del 1792, consegnato alla Curia Diocesana di Mottola. Una graziosa fanciulla, di cui non è dato di conoscere il nome, si trovava in una capanna di Bovi, in località "La Maddalena", quando sentì dall’interno della grotta una Voce che la chiamava. Inoltratasi nella grotta, trovò sotto un grandissimo masso di pietra, un’immagine a pittura di Maria col suo Bambino Gesù. La Voce allora parlò alla fanciulla, dicendole di riferire al Vescovo che quel luogo era sotto la tutela della Madonna effigiata, che voleva che lì fosse edificata una Chiesa e che se egli non le avesse prestato ascolto, i cittadini di Massafra avrebbero passato un gran pericolo. Sentito il racconto dell’accaduto, il Vescovo, Monsignor Tommaso d'Aquino, non diede ad esso grande peso né si curò di dare subito corso a quanto gli era stato richiesto. Si avverò allora quanto la Divina Madre aveva predetto; il 5 (prima Domenica) di Settembre del 1649 si abbatterono su Massafra orribili tempeste, grandini, folgori, tuoni, terremoti ed altre avversità, talché i Massafresi capirono di essere veramente in pericolo. In seguito a tutto ciò, il Vescovo volle ricevere la donzella e con una grande processione con tutto il Clero, si recò sul luogo indicato dalla giovane, dove trovò l’Effige della Madonna; ordinò allora la costruzione della Chiesa in Suo onore, che fu subito iniziata nello stesso luogo in cui sorgeva l’antica Cripta di S. Eustachio, che fu perciò quasi interamente demolita. …… Lo stesso Vescovo, protagonista e testimone del ritrovamento dell'Effige della Madonna, espresse il desiderio di essere seppellito in detta Cappella, dopo la sua morte, che avvenne il 21 Agosto 1651. Egli fu seppellito nella Chiesa cornu Epistolae (sul lato della Lettura, a destra) dell’Altare Maggiore; successivamente, nel 1669, a cura di Mons. Luigi La Quadra, Vescovo di Mottola dal 1664 al 1695, fu fatto costruire un mausoleo sormontato dallo stemma episcopale, con un distichon: SARCHOPHAGO HOC PARVO THOMAS REQUIESCIT AQUINAS QUEM LA QUADRA PIUS PONERE MOVIT AMOR - 1669.. _____ IN QUESTO PICCOLO SARCOFAGO RIPOSA TOMMASO AQUINO, CHE (IL VESCOVO) LA QUADRA FECE COSTRUIRE, MOSSO DA PIO AMORE. 1669. Il mausoleo fu demolito e distrutto durante i lavori di restauro della Cappella del 1954. Di esso alcuni frammenti sono conservati nei resti della antica Cripta di S. Eustachio. Riferisce D.P. Ladiana che “nel pavimento della Chiesa era una sepoltura per i fedeli”. ……. Grande dovette essere l’importanza e la fama della Madonna di Massafra in tutta la Puglia, tanto che il Santuario fu meta di continui pellegrinaggi, che giungevano anche dai paesi più lontani, in virtù dei tantissimi miracoli e grazie che continuamente la Madonna dispensava ai fedeli. La Madonna meritò allora dal popolo il nome di "Madonna di Tutte le Grazie", che derivò da un evento miracoloso che si verificò per molti anni: da una piccola fonte35 sotto l’Effige della Madonna scaturiva un'acqua miracolosa che guariva da ogni sorta di infermità e malanno chiunque la bevesse o se ne cospargesse con fede la parte malata. I forestieri, prima di ripartire per i loro paesi, se ne rifornivano, in modo che anche altri potessero avere la Grazia. Notizie di Grazie ricevute dalla Madonna da massafresi e da forestieri sono documentate nell’Archivio del Reverendo Capitolo di Massafra, con sede nella Chiesa Matrice, giacché all’epoca la Chiesa della Madonna di Tutte le Grazie era una filiale di detta Chiesa Matrice. La posizione del Santuario nella Gravina di Calitro o della Maddalena suggerisce una funzione ed un’importanza legate ad altre presenze nella zona. …… Il Santuario doveva rappresentare per i condannati a morte l’estrema occasione per chiedere alla Madonna l’inter-cessione per la salvezza dell’anima; la medesima funzione doveva essere stata assolta prima dalle Cripte di S. Eustachio e della Maddalena, questa oggi di proprietà privata ed adibita a magazzino-deposito di legna ed attrezzi. Qui si radunava la gente per assistere all’esecuzione delle sentenze capitali: dopo il rito religioso nella Chiesa per l’intercessione della Grazia, il popolo seguiva il condannato, che veniva condotto prima presso la "Pila del Boia", un masso di roccia calcarea affiorante dal fondo della Gravina di Calitro e contenente una conca sempre piena di acqua, dove, secondo la leggenda, il reo veniva dissetato e dove il boia si lavava le mani e poi sulla sommità della collina delle "Forche", dove veniva compiuta l’esecuzione capitale, sotto gli occhi di tutti. Fig. 64 - Il masso roccioso della Pila del Boia ……. Fig. 65 - La collina delle Forche Numerose dovettero essere tali esecuzioni, a giudicare dalle croci incise sulla stessa Pila (secondo alcuni testimoni) e dalle notizie documentate di impiccagioni, eseguite a Massafra negli anni 1623, 1637, 1647, 1648. A conferma di ciò si riporta la dichiarazione di D. R. Colucci, il quale, in un suo manoscritto inedito36, riferisce di aver raccolto dal sig. Cosimo Chiefa, che abitava nella zona delle Forche sotto le Colonne, la testimonianza che in occasione dello scavo delle fondamenta di una sua costruzione, “mise alla luce una fossa contenente molte ossa umane”. Molto probabilmente, i condannati a morte, giustiziati sulla forca, venivano seppelliti nella suddetta fossa comune. La lapide Nel presbiterio, in prossimità dell’Altare Maggiore, sulla parete a sinistra, si trova affissa una lapide in pietra dura bianca su cui è scolpito il seguente testo in latino: KALENDIS OCTOBRIS MDCCL. AD HONOREM DEI CUNCTA BONA MOVENTIS, VIRGINISQUE MATRIS LAUDEM IUSSU SACRATI VIRI DONATI COLAMIA MEDICINAE DOCTORIS EXIMII, VI. IDUS DECEMBRIS MDCCXLIX. DEFUNCTI IN RELIGIONE ET PIETATE FIDELIS ET HUIUS SACRAE AEDIS BENEFACTORIS PERPETUI, QUI INTER CAETERA PIE LEGAVIT ETIAM EIUS TRIUM PRAEDIORUM SITORUM IN LOCIS VULGO DICTIS DEL PENNINELLO DELLA LAMA, ET DEMUM DI PATEMISCO INTEGROS FRUCTUS, MUNDO DURANTE, QUOLIBET PRIMO DIE DOMINICO CUIUSLIBET SEPTEMBRIS, IN QUO FESTUS B.M.V. OMNIUM GRATIARUM RECOLITUR, NECESSARIO APPLICANDOS PRO CELEBRATIONE DECEM MISSARUM PLANARUM IN EIUSDEM VIRGINIS ALTARI PRO ANIMA IPSIUS TESTATORIS, CUIUS HIC OSSA REQUIESCUNT, AC PRO EMPTIONE XII. LIBRARUM CERAE ALBAE, ET RELIQUUM PRO SACRA SUPPELLETTILI; ALIAS PRO ORNAMENTO ALTARIS, PROUT OMNIA EX TESTAMENTO XVI KALEH. NOVEMB. MDCCXLIX MANU NOTARII MAURI ORONTII DESANGUINE LIQUENT NOTARIUS IOSEPH BRUNETTI HAERES, OBSEQUENDO, MONIMENTUM HOC POSUIT __________ 1° OTTOBRE 1750 AD ONORE DI DIO CHE MUOVE OGNI BENE ED IN LODE DELLA VERGINE MADRE PER VOLERE DEL SACERDOTE DONATO COLAMIA, ESIMIO DOTTORE IN MEDICINA MORTO L’8 DICEMBRE 1749 FEDELE NELLA RELIGIONE E NELLA PIETA' E PERPETUO BENEFATTORE DI QUESTO SACRO TEMPIO, CHE TRA L’ALTRO PIAMENTE LASCIO' PER TESTAMENTO, ANCHE L'USUFRUTTO PERPETUO DEI SUOI TRE PODERI SITI NELLE LOCALITA' DETTE VOLGARMENTE "DEL PENNINELLO", "DELLA LAMA" ED INFINE "DI PATEMISCO", DA DEVOLVERE ESCLUSIVAMENTE PER LA CELEBRAZIONE DI DIECI MESSE SOLENNI SULL’ALTARE DELLA VERGINE OGNI PRIMA DOMENICA DI SETTEMBRE, IN CUI VIENE RISTABILITA LA FESTA DELLA B.M.V. DI TUTTE LE GRAZIE PER L’ANIMA DELLO STESSO TESTATORE, LE CUI OSSA QUI RIPOSANO, E PER L’ACQUISTO DI 12 LIBBRE DI CERA BIANCA, ED IL RESTO PER LE SACRE SUPPELLETTILI; ALTRO PER L’ORNAMENTO DELL’ALTARE, TUTTO COME E' CHIARITO NEL TESTAMENTO DEL 17 OTTOBRE 1749 PER MANO DEL NOTAIO MAURO ORONZO DESANGUINE IL NOTAIO GIUSEPPE BRUNETTI, EREDE, OSSERVANDO, QUESTO MUNUMENTO POSE. Dal testo si evince che esiste il lascito della rendita proveniente da tre poderi, in località "Penninello", "Lama" e "Patemisco", da impiegare esclusivamente per le messe in occasione della Festa della Madonna, per l’ornamento dell’Altare e per l’acquisto delle suppellettili varie. …… La Cripta di S. Eustachio L’antica Cripta di S. Eustachio, scavata nella roccia tufacea della Gravina di Calitro, era orientata secondo i canoni delle chiese orientali: l’asse principale aveva direzione Est-Ovest; l’Altare doveva essere situato ad Est, in modo che l’Officiante ed i Fedeli fossero rivolti verso l’Oriente, verso la Luce. Infatti, l’Oriente ha sempre rappresentato la Luce, il Principio illuminante, la Vita, mentre l’Occidente era la Morte, la fine del giorno e quindi della Vita, la fine del Mondo. ……… Fig. 66 - Ingresso della Cripta di S. Eustachio E' possibile osservarne i resti in un piccolo vano cui si accede dalla porta a destra dell’Altare Maggiore della Chiesa (guardando lo stesso), una volta murata e chiusa dal mausoleo del Vescovo Tommaso D’Aquino; vi sono conservati alcuni frammenti lapidei che facevano parte dell’ornamento della tomba del Vescovo, ritrovati tra le macerie in fondo al pozzo. La scalinata L’attuale scalinata, che ha inizio da Via Santa Guida e mena al Santuario dal lato Sud, fu sistemata alla fine del secolo scorso (1898), come testimoniato da una lapide affissa sulla facciata principale della Chiesa che, staccatasi, caduta al suolo e frantumatasi, in seguito fu ritrovata tra le macerie, ricomposta nella sua quasi totale integrità e conservata all’interno della Chiesa. In detta lapide si legge: LA PIETA' DEI FEDELI ANIMATA DALLA RELIGIOSA CURA DEI SIGNORI ARCANGELO SPADARO ORAZIO LUIGI ZANFRAMUNDO LUIGI TINELLA E NICOLA D'AGOSTINO CHE DIRESSE L’OPERA RINNOVO' QUESTA GRADINATA RESA DA PIU' TEMPO INUTILE E PERICOLOSA ESEMPIO IMITABILE E MEMORIA AI POSTERI 1898 ….. Il Cimitero Sul retro della Chiesa, al lato Nord, sono state trovate due tombe, scavate nella roccia tufacea del costone della Gravina, in un terrazzo quasi pianeggiante, prive di lastre di chiusura. …… La Confraternita dell’Annunziata Alla stessa epoca della costruzione del Santuario risale la costituzione della Confraternita della Madonna d’Ogni Grazia, poi divenuta Confraternita dell’Annunziata. …… Ritorna all’indice 19. TERMINALE DEL TUNNEL DI PALAZZO GIANNOTTA Un esempio di tunnel “difensivo” è stato individuato anni fa nel costone orientale della Gravina di Calitro37, a circa cinquanta metri a Nord del Santuario della Madonna di Tutte le Grazie. Fig. 67 - Planimetria del tunnel Si entra nel tunnel dalla Gravina attraverso un passaggio rettangolare disagevole e molto stretto, in quanto doveva essere sicuro e ben nascosto tra la vegetazione, delle dimensioni frontali di circa 50x35 cm, prima strisciando, ma, appena entrati, dopo circa 5 metri, si prosegue comodamente in piedi, scoprendo un tunnel con le pareti accuratamente scavate, largo circa 1,5 metri ed alto più di 2 metri. …….. Ritorna all’indice 20. POZZO S. PIETRO Località: Pozzo S. Pietro Coordinate geografiche, riferite all’ingresso: Latitudine 40° 33’ 56,6” N Longitudine 17° 06’ 34,2” E Quota 33 m ……. Fig. 68 - Planimetria del Pozzo S. Pietro Per me, nato e vissuto in Massafra con genitori e nonni massafresi, il Pozzo S. Pietro non fu una novità, quando, negli anni ’90, ne feci oggetto di ricognizione e di rilievo. Una forte curiosità mi spingeva ad esplorare da vicino quel Pozzo che avevo visto sempre percorrendo la Strada S. Pietro-Palata, che avevo sempre sentito indicare da mio padre come l’unica fonte per tutti i contadini di acqua per la giornata e per abbeverare i cavalli prima di recarsi in campagna e per i pastori per dissetare le mandrie di pecore e di capre dopo il pascolo. Mia madre ricorda che mio nonno, quando vi si fermava per riempire l’acqua, sentiva suoni e rumori del paese salire dal fondo del Pozzo. Si diceva che, nonostante si emungesse acqua in continuazione, non si seccasse mai, c’era sempre acqua fresca per tutti. Era un pozzo perenne molto antico, alimentato da una falda o da un condotto sotterraneo. …… Fig. 69 - I resti del Pozzo S. Pietro oggi ……. ……. Fig. 70 - Sezione schematica del Pozzo S.Pietro Ritorna all’indice 21. POZZO SALZO Località: Gravina San Marco Coordinate geografiche, riferite all’ingresso: Latitudine 40° 35’ 11,4” N Lungitudine 17° 06’ 41,4” E Quota 57 m Nel fondo valle della Gravina di S. Marco, ai piedi del Castello Medievale, esiste, o meglio, esisteva, un pozzo indicato come “Pozzo Salzo” o “Pozzo Salso”. …….. A questo punto, non si può non richiamare il passo del “De Antiquitate et varia tarentinorum fortuna” di G. Giovine38 che nel lib. 2, cap. V “De AgroTarentino”, scrive: “...& inde ad montem divi Heliae, tandem ad Potamiscum alterum fluvium, qui occidentem respicit, & quo transitus est per saxa & cuniculorum scopulos, per puteum, qui ab aque salsedine salsu dicitur, & per Massafram oppidum ...” “E di lì al Monte S. Elia, fino all’altro fiume Patemisco, che guarda verso occidente, e che defluisce attraverso rocce e condotti rocciosi sotterranei, attraverso un pozzo che per la salsedine dell’acqua è detto “Pozzo Salso”, attraverso la città di Massafra ” Da questo passo si evince che nel ‘500 era noto un collegamento idrico sotterraneo tra la zona di S. Elia ed il fiume Patemisco, attraversando la zona di Vallenza e la città di Massafra. Vallenza è sede di una delle sorgenti più lontane dell’acquedotto sotterraneo del Triglio, utilizzato fin dall’epoca greca e romana ed ancora oggi attivo. …….. L’acqua del Pozzo Salzo era nota per le sue proprietà organolettiche (era leggermente effervescente) e terapeutiche. In proposito, E. Jacovelli scrive: “L’acqua aveva proprietà terapeutica per le malattie del fegato e della vescica”. La denominazione di “Pozzo Salzo” derivò dal nome con cui venivano indicate le acque termali che contengono, in quantità variabile ma preminente rispetto ad altri elementi, sali disciolti che conferiscono loro le proprietà, per cui venivano dette acque salse”39. In occasione dell’alluvione del 2003, quando il fondo della Gravina ai piedi del Castello fu invaso dal fango e dai detriti, anche a causa dell’occlusione del sottopasso del Ponte La Liscia (o Ponte della Zingara), durante i lavori di pulizia e di ripristino del fondo valle, fu distrutto quello che rimaneva in superficie del Pozzo. La ruspa adoperata per liberare il fondo della Gravina dal fango e dai detriti trasportati dall’alluvione dell’8 Settembre 2003, cancellando il Pozzo, lasciò al suo posto una spianata. Fig. 71 - Pozzo Salzo, cancellato dalla ruspa nel 2003 Fig. 72 - La Signora Maria Attorre Ritorna all’indice 22. MASSERIA DI PATEMISCO E CHIESA DI S. M. DELLA CROCE La Masseria di Patemisco, una volta pertinenza del Castello medievale, sorge in prossimità delle sorgenti dell’omonimo Fiume40, sede di un’antica Piscaria ed oggetto di una donazione che Riccardo Senescalco, nipote di Roberto il Guiscardo, Signore di Massafra, fece nel Gennaio 1081 insieme con la Chiesa di S. Lucia, all’Abbazia di Cava dei Tirreni, come attestato dal documento “de Donatione tertiae partis piscium Piscariae Patemisci” 41. ……. Tomba di Michelangelo Zuccaretti La lapide indicava la presenza di un’altra realtà ipogea nella Chiesa: la tomba di Michelangelo Zuccaretti. Infatti, subito all’ingresso della Cappella, una lastra di pietra calcarea parzialmente rotta in un angolo individuava l’ingresso nel sepolcro che, rimossa delicatamente la lastra perché non si rompesse ulteriormente, fu possibile visitare. ……… …….. Fig. 73 Pianta della Chiesa di S.M. della Croce _______ Fig. 74 - Sezioni Chiesa di S.M. della Croce Ritorna all’indice 23. GROTTA CARSICA DI S. MICHELE Località: Masseria Varcaturo Coordinate geografiche, riferite all’ingresso: Latitudine 40° 38’ 04,23” N Longitudine 17° 07’ 46,68” E Quota 282 m Fig. 75 - Planimetria di S. Michele A poche centinaia di metri a Nord della Masseria Varcaturo, dove cominciano ad evidenziarsi i primi affioramenti del calcare di Altamura, nascosta tra la bassa macchia a rosmarino, cisto e stinco, a livello di campagna, si apre l’ingresso della grotta indicata come Chiesa ipogea di S. Michele. ……… Fig. 76 - Ingresso della grotta di S. Michele Fig. 77 - Interno della grotta di S. Michele ______ …….. Fig. 78 - Stalattiti e stalagmiti nella grotta di S. Michele Fig. 79 - Resti di un probabile altare Trattasi di una grotta carsica di dimensioni molto modeste cui si accede da una rampa (dromos) ricavata nel calcare; superato il dislivello di 3-4 metri si arriva in un ambiente dal fondo molto impervio pieno di blocchi di pietra calcarea, di cui alcuni grandi, squadrati ed allineati a formare un muretto basso -probabile altare- e con le pareti ricoperte di concrezioni. Oltre il muretto si presenta una traccia di voragine con l’imboccatura ostruita da massi e detriti calcarei. Da questo primo ambiente, verso Sud, si passa in un altro ambiente più interno, anch’esso impervio, maggiormente concrezionato, che ospita gruppi di pipistrelli Myotis Myotis. …….. Ritorna all’indice 24. GROTTA “MISTERIOSA” O GROTTONE DI S. ORONZO Località: Masseria S. Oronzo Latitudine 40° 34’ 45,6” N Longitudine 17° 07’ 07,9” E Quota 63 m Fig. 80 - Planimetria S. Oronzo Ad un centinaio di metri dalla Masseria S. Oronzo, verso Ovest, sul primo gradone roccioso, nascosto da alte piante, si apre l’ingresso di una grande grotta indicata come “Grotta misteriosa”. Alcuni frammenti d’intonaco affrescato tra le macerie che coprono la scalinata indicano la presenza di affreschi. Infatti, osservando attentamente gli stipiti e l’arco della porta d’ingresso, si notano tracce di cornici affrescate: sicuramente si tratta di un luogo sacro, di un’antica Chiesa. ………. Fig. 81 - Rilievo della Grotta Misteriosa per g.c. Gruppo Speleo Statte …….. Anche in questa grotta sacra bisogna intervenire con opere di bonifica, bisognerebbe pianificare un adeguato studio approfondito del fondo e delle pareti, per rilevare e decifrare i tanti graffiti, per capire la sua vera destinazione. Fig. 82 - Ingresso della “Grotta misteriosa” nascosto tra la vegetazione Ritorna all’indice 25. ACQUEDOTTO SOTTERRANEO IN LOCALITÀ “PIETRA PIZZUTA” Località: Pietra Pizzuta, Mazzarelle Latitudine 40° 34’ 44,2” N Longitudine 17° 06’ 37,3” E Quota 43 m Sulla strada per Ferrara, subito dopo il passaggio a livello, in località “Pietra Pizzuta”, sulla sinistra scendendo verso il mare, all’epoca della costruzione della condotta idrica dal Sinni verso Brindisi con asse Est-Ovest, fu intercettato e tagliato un condotto sotterraneo scavato nella roccia, a profondità di circa 8 metri dal livello di campagna, con asse Nord-Sud. Furono costruiti due pozzetti in cemento con relativo chiusino, da cui era possibile accedere ai due rami del condotto. ……. 26. BUNKER DI CARRINO Località: Masseria Carrino Coordinate geografiche, riferite all’ingresso ad Ovest: Latitudine 40° 34’ 10,99” N Longitudine 17° 07’ 46,93” E Quota 51,5 m Fig. 83 - Planimetria di Carrino - S. Sergio La zona di Carrino, contigua a S. Sergio, contiene numerosissimi e importanti testimoni preistorici e storici, come antiche carraie, una necropoli greca, oltre a grotte e cripte riferite ad epoche diverse. Sotto l’aspetto che qui interessa, è singolare l’insediamento militare cosiddetto di Carrino, ormai dismesso e sgombrato dalla Marina Militare. Fig. 84 - Ingresso del Bunker L’insediamento comprende un Bunker interamente scavato nel primo gradone murgiano, protetto superiormente da uno strato roccioso dello spessore di una ventina di metri, usato dalla Marina Militare durante la seconda guerra mondiale come centro di trasmissioni, deposito e centro di manutenzione di armi e mezzi militari ed attivo fino agli anni ‘70. Si può raggiungere da Sud, dalla Strada statale Appia oppure da Nord, dalla stradina che costeggia la Masseria Masonghia. Si arriva nei pressi di un grande insediamento, in parte fuori terra e in parte rupestre, chiuso dalla Strada Statale da una sbarra. Una volta entrati attraverso uno dei due ingressi, sotto i fasci di luce delle torce elettriche appaiono immensi locali interamente scavati nella roccia. Fig. 85 - Tunnel principale del Bunker ……… Fig. 86 - Resti di un carro postale americano Ritorna all’indice 27. GROTTA DI MILLARTI Località: Casino Millarti Coordinate geografiche, riferite all’ingresso: Latitudine 40° 35’ 42,8” N Longitudine 17° 05’ 47,5” E Quota 82,8 m ……. Fig. 87 - Planimetria della zona Millarti A circa 150 metri verso Nord-Ovest dalla Masseria Millarti (nota localmente come Colombato di Sotto), sul costone orientale della Gravina di Colombato, nascosta tra la vegetazione a macchia mediterranea, si apre nella roccia calcarenitica un piccolo passaggio triangolare dell’altezza di circa 1 metro: è l’ingresso della grotta di Millarti. Fig. 88 - Ingresso della grotta di Millarti Si tratta di una grotta carsica, originata dall’allargamento di una faglia verticale con direzione Nord-Sud, a sua volta generata dal distacco e dislocazione di un grosso volume di roccia verso Ovest, ossia verso la Gravina di Colombato. Superiormente, la faglia, dello spessore medio di 50 cm, è riempita e sigillata con terra rossa e ciottoli calcarei, per cui è perfettamente impermeabilizzata. ……. Fig. 89 - Apertura superiore di aerazione della grotta La presenza, in corrispondenza dell’ingresso della grotta, di alcuni frammenti di ceramica d’impasto grossolano di colore bruno ricoperto con bolo rosso potrebbe riferire la grotta alla Civiltà eneolitica di Laterza (III-II Millennio a.C.). Fig. 90 - Frammento di ceramica di impasto grossolano ……. Fig. 91 - Interno della grotta di Millarti Fig. 92 - La faglia verticale riempita con terra rossa Ritorna all’indice 28. GROTTA CARSICA DI LEUCASPIDE Località: Masseria di Leucaspide Coordinate geografiche, riferite all’ingresso: Latitudine 40° 32’ 35,5” N Longitudine 17° 11’ 25,5” E Quota 132 m La Masseria di Leucaspide, oggi catastalmente in territorio di Statte, è delimitata ad Est dalla omonima Gravina di Leucaspide, in cui affiora il calcare di Altamura, la cui formazione risale al Cretaceo superiore (circa 90 milioni di anni fa). …… Fig. 93 - Panoramica della Masseria di Leucaspide Fig. 94 - Ingresso della grotta di Leucaspide Lo sviluppo complessivo di tutti i rami, principale e secondari, tutto in orizzontale, è di circa 350 metri, per cui la visita completa della grotta richiede almeno un paio d’ore. ……… In tutto il suo sviluppo la grotta si caratterizza per le bianchissime pareti, cui deve il nome (dal greco leukos= bianco), dovute a formazione e deposito di gesso, che, fino ad alcuni anni fa, era presente sotto forma del caratteristico moonmilk o “latte di monte”, una crema pastosa bianca simile alla calce. La grotta si articola in tre corridoi, aperti in tre diaclasi che evidenziano giunti di strato. ……… Sicuramente deve essere stato un luogo di culto primitivo. Proseguendo nello stesso corridoio si notano sulle volte piccole stalattiti simili a sigarette con stillicidio ancora in atto, su concrezioni molto più antiche ed ormai opacizzate; le pareti sono spesso ricoperte di cortine a lenzuolo o seghettate. La roccia comincia ad essere fratturata, si comincia a trovare terra rossa che, per la presenza di acqua stillata dal soffitto, diventa fango. Nella terra rossa che forma le pareti di una grotta più interna, sono inglobate grosse e bianche ossa di animali preistorici, lì trasportati dall’acqua che defluiva nel condotto, già studiate dal Gruppo Archeo Speleologico di Taranto nel 1978, ritenuti appartenere a Bos primigenius Boj. Fig. 95 - Stalattiti e stalagmiti nella grotta di Leucaspide Superato un basso cunicolo, si arriva in un ambiente ricco di concrezioni sulle pareti, di piccole ma numerosissime stalattiti e stalagmiti. Arrivati in fondo, si palesa un vero spettacolo: ad altezza d’uomo, una grotta completamente ricoperta di tubicini di stalattiti sulla copertura e di stalagmiti sul fondo, non grande ma di inaspettata bellezza. Ritornati al bivio, si percorre il corridoio a destra che conduce in un pozzo sul cui fondo c’è un cumulo di pietre, terra, ossa di animali, riversati dalla bocca che si apre sul piano di campagna, quindi si arriva nella “grotta d’argento”: le goccioline di condensa, formatesi sul soffitto a causa del perturbato equilibrio igrotermico per l’aria infiltratasi dal pozzo, illuminate dalla luce del casco o delle lampade, la riflettono dando l’impressione di tante perline o gocce d’argento. Fig. 96 - Grotta d’argento ……. ______ Fig. 97 - Fauna cavernicola nella grotta Fig. 98 - Fauna cavernicola nella grotta Fig. 99 - Pittura rupestre La grotta è stata frequentata dall’uomo da tempi immemorabili, per ultimo nell’età bizantina, come è testimoniato dalla pittura rupestre all’ingresso della grotta, in ocra rossa, ancora da studiare e decifrare, dai graffiti di frasi dedicatorie e dai molti dipinti su fresco, di cui rimangono solo le tracce nelle poche figure di santi nei grandi riquadri. Fig. 100 - Tracce di figure di Santi Ritorna all’indice SEZIONE 2 - I LUOGHI DELLA PRODUZIONE Strettamente connesso con la Massafra sotterranea e nascosta è il tema degli antichi luoghi in cui per secoli si sono esercitate le attività produttive nel territorio, che richiedevano l’esercizio di un mestiere e un’arte specifica. Questi luoghi furono abbandonati e del tutto dimenticati -e in buona parte oggi distrutti-, o perché rimasero tagliati fuori rispetto alle zone di nuova espansione urbanistica o perché venivano a mancare i principali motori delle attività che erano gli artigiani, gli imprenditori, gli operai, gli apprendisti o perché non erano più rispondenti alle norme igienico-sanitarie o perché diventarono obsolete le tecniche produttive. ….. Le indagini sui mestieri e le attività economiche di una volta come la produzione figula dalla creta, la produzione del sapone dagli scarti frantoiani, la produzione della calce e sugli antichi opifici, come i frantoi, le concerie, le tintorie, le calcare, le cave, gli apiari, le colombaie, la peceria nei sotterranei del Castello, potrebbero costituire materiali di studio per giovani ricercatori delle Scuole e delle Università, per esempio nell’ambito dell’archeologia industriale. In questa sezione intendo proporre alcuni cenni sulle arti della tessitura, della tintura dei tessuti e della concia delle pelli, come esempi di mestieri scomparsi e testimonianze fotografiche di alcuni dei numerosi antichi luoghi produttivi che insistono sul territorio di Massafra. La tessitura L’arte della tessitura è sicuramente molto antica, ma più recente rispetto alla filatura che risalirebbe al Paleolitico, epoca in cui l’uomo, instancabile cacciatore delle prede in continuo movimento, per coprirsi e per costruire le lance e i vari utensili, imparò prima ad usare legacci naturali, poi a contorcere fibre vegetali per ricavare corde più forti e infine ad usare la conocchia e il fuso per ricavare fili per cucire le pelli di animali da indossare. Nel nostro territorio, le poche tracce della presenza umana riferibili al Paleolitico possono rinvenirsi nelle zone “alte”, per lo più nelle Gravine, come in quella di S. Elia, di Colombato, del Vuolo, di Leucaspide, dove affiora il calcare di Altamura, nelle quali le ampie caverne naturali e i numerosi ripari sottoroccia indicano una probabile e continua frequentazione dell’uomo primitivo. La tessitura, invece, richiedendo strumenti sofisticati come il telaio e soprattutto lavoro sedentario, è riferibile al periodo in cui l’uomo diventa agricoltore ed allevatore stanziale, cioè al Neolitico. ……… Mentre sono andati distrutti i telai in legno, materiale deperibile, numerosi sono invece i pesi di telaio in terracotta (in latino oscilla) dalla caratteristica forma tronco piramidale con foro di sospensione nella base minore, dell’altezza di 3-5 cm trovati nel territorio di Massafra. Ogni telaio ne richiedeva dai 50 ai 7042. Fig. 101 - Pesi di telaio Tali reperti provengono da zone di antichi insediamenti japigi, messapi, peuceti e greci, come nell’altopiano a Nord-Ovest della Masseria L’Amastuola, ad Ovest della Masseria Citignano, nella Gravina di San Sergio, del tutto analoghi agli oscilla riferiti a cultura greca per esempio di Metaponto e di siti messapici come Manduria, usati anche come corredo funebre. Questi reperti, riferibili come gli insediamenti, al VII-VI secolo a.C. ma anche ad epoche precedenti, documentano la vetustà della tessitura su telaio nel territorio. ……. Dai tessitori, la felpa, confezionata in pezze lunghe 22 canne43, pari a circa 58 metri, passava ai felpaioli, che erano per lo più commercianti, mediatori che sfruttavano il lavoro dei tessitori e dei tintori per costruire fortune personali, ma anche abili artefici dell’esportazione delle stoffe verso altri paesi, come, per ultimo, il signor Bonaventura Jurlaro. Dai felpaioli o dai singoli tessitori, i tessuti passavano alle tintorie (in gergo tènde) per essere colorate, successivamente venivano confezionate in pezze e commercializzate. Una stima della dimensione che l’industria tessile aveva raggiunto in Massafra nel primo decennio del ‘900, viene data del Gallo, secondo il quale c’erano oltre 2000 famiglie di operai tra felpaioli, tessitori, tintori, manovali addetti a tale manifattura. La tintura La tinta delle stoffe veniva estratta da sostanze naturali, come per esempio, qui a Massafra, da bucce di melograno, che, a memoria di mio padre (classe 1914) venivano raccolte per le strade o porta a porta e conferite alla tintoria di Giannotta, in fondo a Via Canali, dietro un compenso di due soldi a panierino. Il melograno dava una tinta verde dall’intensità variabile e regolabile sia con la diluizione che con il tempo di bagno. Le bucce venivano cotte in caldaie di latta, meglio se di stagno, dove i colori riuscivano più rilucenti, per l’estrazione del colore. Il concentrato veniva diluito con acqua in grandi vasche in pietra, simili a quelle usate per “curare” la calce. Qui venivano messe in bagno le pezze di felpa o altro tessuto, per la presa del colore, per tempi diversi a seconda dell’intensità del colore che si voleva ottenere. Seguivano le fasi di lavaggio e di fissaggio in altre vasche con acqua chiara e infine l’asciugatura che si faceva al sole, stendendo le lunghe pezze di stoffa sui muri. Anticamente, i tessuti si coloravano nelle fabbriche di Taranto con il succo ricavato dalle conchiglie Porpore e dai Murici marini; altrove con estratti ricavati da piante come il Fuco, la Cerusa ed Ancusa, dall’uva nera pigiata, dal Balaustio, cioè il fiore del melograno agreste, dalle Elci del Monte Carmelo, dal Croco. Si usava anche il succo del Vaccinio stemperato nel latte, che dava una porpora assai gentile e vaga; la Cocciniglia per colorare le vesti di bisso. …….. Diplomi normanno-svevi parlano di tincta e di chelandra o celandra, cioè della tintura e della “manganatura dei panni”, esercitate a Taranto da ebrei. Nel successivo periodo angioino, all’epoca di Maria d’En-ghien, è documentato per Lecce e Nardò l’esercizio da parte di ebrei della tintoria, insieme alle altre industrie della creta, delle pelli, della macellazione44. ……. A Massafra sono state localizzate almeno quattro antichissime tintorie o concerie in zone distinte: una conceria a Sud dell’attuale abitato, di fronte all’antico Convento di S. Agostino, la cui arteria principale è, infatti, Via delle Concerie, una conceria nella zona di Via Nuova, a Sud del Santuario di Gesù Bambino, una antica tintoria nella Gravina di San Marco, nota come Tènde de Macubbe ed una più recente tintoria nel Lungovalle Nicolò Andria. La concia delle pelli Molto antica doveva essere l’arte della concia delle pelli in Massafra, a giudicare dalle presenze di concerie disseminate in tutto il nucleo abitato antico di Massafra, tutte ricavate in rupe. ……. Dovevano essere numerose le concerie sparse nell’intera città, anche quando, a partire dal XVI secolo, il tessuto urbano si espanse a Nord, oltre la Porta della Cava, che segnava il confine settentrionale della città medievale. Scrive il Gallo45 (1916): “...Esistono anche le basse concerie con fabbriche di correggioli (in gergo crisciùle) intrecciati per scudisci e per fruste (in gergo šcrujèle). Se ne fabbricano in discreta quantità, con buona richiesta delle provincie limitrofe ed anche lontane sin dall’Abruzzo...” Per questa attività era indispensabile in grande quantità l’acqua, che veniva approvvigionata sul posto, utilizzando uno o più pozzi di acqua piovana. …….. La concia vegetale era eseguita immergendo le pelli in vasche di acqua in cui erano state fatte macerare parti di vegetali che possedevano potere conciante, come il tannino46. La concia minerale, detta “all’alluda”, si serviva dell’allume, un minerale naturale disponibile nelle zone vulcaniche. Nell’XI secolo, quando si scoprì il potere depilante della calce viva, la tecnica conciaria conobbe un notevole miglioramento, ma solo nel XIX secolo si ebbe la svolta moderna nella trasformazione delle antiche maleodoranti botteghe in vere e proprie industrie conciarie, nelle quali le pelli venivano trattate non più con sostanze naturali marcescibili, ma con i sali di cromo, con alto e più rapido potere conciante. Nella lavorazione artigianale che si eseguiva nelle nostre più antiche concerie, le pelli derivanti dalla macellazione venivano prima trattate con calce per la completa depilazione, venivano raschiate e poi passate nelle vasche per la concia, dove, immerse in bagno estratto da essenze vegetali contenenti tannino, venivano neutralizzate. In epoche recenti, è stata utilizzata anche la soda caustica. La successiva operazione di calandratura, che si eseguiva facendo rotolare sul cuoio la grande ruota di pietra nel frantoio azionato da animali, conferiva alle pelli e al cuoio la necessaria duttilità, morbidità e lucidità finali. Ritorna all’indice 29. LA CONCERIA DI VIA NUOVA …….. Fig. 102 - Conceria di Via Nuova Internamente, presenta ancora intatte le varie parti in cui era strutturato l’antico opificio. Un lungo e largo corridoio, in parte lastricato con basole calcaree e in parte selciato con ciottoli di fiume, separa l’insediamento in due parti: una parte interna in rupe, con vari vani che dovevano servire da magazzini per le materie prime e per i prodotti finiti, una stalla e un piccolo forno e una parte esterna, sul lato della strada, dove sono alloggiati due pozzetti circolari intonacati internamente, cinque vasche rettangolari, di cui due per la “cura” della calce, un frantoio con mola in pietra calcarea ed asse ligneo ed una abitazione con una cucina alla “monacale”. Il corridoio lastricato e l’articolazione dei vani lasciano supporre che l’antico opificio fosse in origine a cielo aperto e successivamente sia stato chiuso con muratura e coperto con volte a botte. …… Fig. 103 - Interno della conceria di Via Nuova Vi si producevano articoli per la bardatura degli animali da tiro e per cavalcatura, come finimenti, selle, collari, cavezze, corregge da tiro, correggioli, fruste. Da ultimo, l’opificio è stato usato per la fabbricazione di corde e fiscoli. Ritorna all’indice 30. LA TINTORIA DI MACUBBE …….. Fig. 104 - Planimetria della zona della tintoria I luoghi Alcuni anni fa (Giugno 2006) ho ripercorso nella Gravina S. Marco il cammino che dovette fare Janet Ross nel 1888 quando, alla ricerca delle fabbriche dei tintori, scoprì la Chiesa della Candelora. Nel suo libro47, però, a parte la descrizione pur sommaria della Chiesa, non ci sono riferimenti alle antiche tintorie che ella si proponeva di scoprire. Lasciata alle spalle la Chiesa della Candelora e dirigendosi verso meridione sullo stesso terrazzamento, protetto sul lato della Gravina da un alto muro costruito in conci di tufo, attraversando giardini corredati di pozzi di acqua piovana, di camminamenti, pergolati, abitazioni rupestri, grotte, vasche, superati in discesa altri due terrazzamenti comunicanti tramite lunghe gradinate, anch’essi protetti da alti muri a strapiombo sulla Gravina, che servivano da asciugatoi delle stoffe dopo la tintura, è possibile percorrere in lunghezza la zona interessata dalla antica Tènde de Macubbe. Fig. 105 - Veduta generale della Tintoria di Macubbe. Tutta la zona è articolata su 3 livelli terrazzati: il primo terrazzamento è a circa 100 metri sul l.d.m., il secondo a circa 90 metri, il più basso a circa 85 metri. …….. Il terzo terrazzamento, invece, posto a livello più basso dei primi due, è delimitato verso Sud da un torrino alto e profondo chiuso in muratura con due porte ad arco, con terrazza praticabile e protetta da parapetto, anch’esso servito come “asciugatoio”, costruito su un largo pozzo (indicato con P1), che arriva al fondo della Gravina, per captare l’acqua che scorreva in un condotto sotterraneo, come detto in precedenza. Il toponimo Tènde de Macubbe, noto in verità a pochi dei nostri vecchi e a pochi conoscitori del territorio, deriva dai termini tènde, con cui si indicava la tintura (vedi tènde du diàvele) ma anche la tintoria e Macub o Macubbe48, misterioso personaggio e imprenditore, che avrebbe avviato l’industria tintoria a Massafra. Da fonti testimoniali si apprende che l’ultimo Macubbe è stato tal Vincenzo Maglio, tintore di mestiere, che ereditò tale soprannome probabilmente dagli avi. Era di statura grande, vestiva con un pastrano e largo cappello neri, di carattere allegro e gioviale, aveva un paio di grandi baffi, non ebbe figli. A proposito dei baffi, si racconta che ci teneva tanto alla loro foggia e al loro mantenimento, che prima di andare a letto, li proteggeva con cannucce coniche. L’attività tintoria e gli affari andarono sicuramente di male in peggio, se intorno agli anni venti del sec. XX, oberato dai debiti, fu costretto a vendere quel poco che gli rimaneva e ad abbandonare definitivamente Massafra. L’antica Tintoria di Macubbe era localizzata sullo spalto occidentale della Gravina di S. Marco, tra il ponte Garibaldi e il ponte S. Marco. Non si hanno né documenti né notizie storiche di questo sito come sede di attività tintoria, ma solo ricordi di antichi racconti tradizionali riferiti ad epoche remote, indicate come “I tìempe de Macubbe”. ……. L’acqua L’acqua piovana, raccolta nei piani alti a livello stradale di abitato a quota media di 110 metri sul livello del mare, attraverso appositi canali e condotti ricavati nella roccia, veniva convogliata nei pozzi (indicati con P nella planimetria allegata) e nelle vasche a livello di opificio, a quota media di 100 metri s.l.m. Si utilizzavano anche canaletti orizzontali a vista scavati sul fianco delle pareti rocciose con la necessaria pendenza per raccogliere l’acqua che scivolava su di esse. Sotto la sede stradale di Via Dalmazia esisterebbe un condotto sotterraneo scavato nella roccia, che, passando per Via Canali, arriva al trappeto Palanga. Molto probabilmente, dal sistema di canali esistenti nella zona, provengono i nomi delle strade Via Canali e Vico Canali e il toponimo della zona I Canalicchi. In proposito, anche il pozzo esterno alla Cripta della Candelora (XII sec.) è alimentato da un analogo sistema di canali e canaletti superficiali, ricavati sul fianco roccioso della Gravina; per un breve tratto un canaletto corre parallelo alla scalinata di accesso alla Cripta. ……. L’acquedotto Oltre che dai pozzi, l’acqua veniva prelevata da un condotto sotterraneo (acquedotto) molto profondo (profondità 28 metri rispetto al livello del terzo terrazzamento), in cui ancora oggi scorre acqua limpida e fresca. L’acquedotto è intercettato da un pozzo verticale (indicato con P1) di sezione 6x5 metri e coperto da un torrino con copertura a livello del secondo terrazzamento, su cui si apre il boccapozzo da cui l’acqua veniva prelevata. Coordinate del luogo: Latitudine 40° 35’ 22.7” N Longitudine 17° 06’ 53.9” E Quota 93 m Fig. 106 - L’esplorazione del Pozzo Grazie alla collaborazione del Gruppo Speleologico di Statte sono state effettuate nel 2010 operazioni preliminari di perlustrazione dell’acquedotto, che hanno permesso di accertare le dimensioni del pozzo e la qualità delle acque. Ulteriori esplorazioni saranno svolte per indagare sulla natura della scaturigine dell’acqua. ……. Fig. 107 - Dipinto murale in prossimità del pozzo ……… Fig. 108 - Interno della tintoria (a destra, la grande cucina) Fig. 109 - Particolare di condotto incavato nella parete ……. Fig. 110 - Sezione generale schematica della zona della tintoria Fig. 111- Foto giovanile di Vincenzo Maglio Ritorna all’indice 31. TINTORIA DI BELLO L’impulso espansivo urbanistico della Città che si ebbe nel 1864 con la costruzione del Ponte S. Marco sulla Gravina omonima, che interessò parte della vasta contrada di S. Caterina, portò alla realizzazione nel Nuovo Borgo non solo di nuove e più comode abitazioni strutturate secondo criteri più moderni, ma anche di nuovi insediamenti funzionali come la Chiesa del Carmine, il nuovo carcere, una tintoria. ….. …….. Fig. 112 - Interno della tintoria Di Bello Fig. 113 - Vasche in pietra Fig. 114 – Tinozza Ritorna all’indice 32. I MULINI BARONALI Non è ancora stato fatto un censimento completo e tanto meno un rilievo degli innumerevoli antichi mulini esistenti in Massafra. Tralasciando i mulini rupestri, i più antichi erano proprietà dei baroni, ai quali era dovuta la gabella sulla molitura del grano. Fig. 115 - Mulino a mano I Mulini vecchi o Mulini baronali si estendono lungo tutto il lato settentrionale della fascia muraria a difesa del Castello Medievale, a ridosso della Chiesa di San Toma. Coprendo con volte in muratura il fossato protettivo delle mura, quando queste avevano perso la funzione difensiva della città medievale, furono ricavati nove mulini, quattro pagliere e una cisterna d’acqua, con unico accesso da Via Fanelli, presidiato dalla gabella, dove trovava posto il pesatore del grano e della farina e un secondo sorvegliante per l’esazione del dazio. I mulini erano dotati di sedici mule, per azionare le macine49. …… Fig. 116 - Ingresso dei mulini baronali, da Via Fanelli Il Mulino di Via Muro. ……. Fig. 117 - Ingresso su Via Muro Fig. 118 - Mola in pietra con la data 1789 Fig. 119 - Interno del mulino Ritorna all’indice 33. I TRAPPETI Anche degli antichi trappeti rimangono ancora resti significativi sia in quello che era il centro abitato medievale, sia nelle campagne, di solito accorpati alle Masserie. Gli antichi trappeti erano ipogei, scavati nella calcarenite ed articolati in diverse unità funzionali alla lavorazione delle olive e alla raffinazione dell’olio. Alle vasche di ammasso, nelle quali le olive venivano fatte cadere dall’alto, era direttamente collegato il frantoio vero e proprio, contenente le vasche con le macine in pietra, azionate da animali. Per facilitare l’estrazione dell’olio, i locali dovevano essere riscaldati tramite diversi focolari, alimentati con legna, pigne di pino, scarti vegetali. ….. Fig. 120 - Torchio romano Il torchio romano a leve fu sostituito con quello alla calabrese, costituito da due viti in legno su cui venivano fatte girare tramite pali due madreviti collegate ad una piastra, che premeva la pasta. ……. Fig. 121 - Trappeto alla genovese Il trappeto con torchio alla calabrese fu vietato verso l’inizio del XIX sec. per motivi igienico-sanitari e sostituito dal torchio alla genovese. Questo, incassato in una nicchia sulla parete del trappeto, era costruito con una grande vite centrale in legno su cui veniva avvitata con leve la madrevite che tramite una piastra spremeva la pasta di olive, depositata sui fiscoli. I frantoi alla genovese erano più igienici e non producevano più le esalazioni emanate nei vecchi trappeti dalle vasche per la lunga permanenza delle olive. La lavorazione era più veloce e il rendimento era alquanto maggiore, ma richiedeva grande manutenzione per le deformazioni e le rotture del meccanismo in legno. Nel secolo XIX i trappeti furono dotati di presse meccaniche con componenti interamente in ferro azionati da motore elettrico ed infine di presse idrauliche. Trappeto di Via La Liscia Fig. 122 - Veduta esterna del trappeto di Via La Liscia Fig. 123 - Fori sulla volta nei torchi alla calabrese Fig. 124 - Trappeto di Via La Liscia. Ingresso Fig. 125 - Trappeto di Via La Liscia. Interno Fig. 126 - Trappeto di Via La Liscia. Graffiti Fig. 127 - Trappeto di Via Canali Fig. 128 - Trappeto Vecchio di L’Amastuola …… Fig. 129 - Trappeto Vecchio di L’Amastuola. Interno Fig. 130 - Trappeto sotto il Santuario Santi Medici …….. Fig. 131 – Trappeto ipogeo di Masseria Accetta. Ingresso Fig. 132 – Trappeto ipogeo di Masseria Accetta. Interno Fig. 133 - Trappeto moderno di Masseria Accetta. Interno ……. Fig. 134 - Trappeto moderno di Masseria Accetta. Torchi Fig. 135 - Trappeto di Masseria L'Amastuola Ritorna all’indice 34. GLI APIARI Il grandissimo numero di apiari rupestri50 che si possono trovare in Massafra testimonia la diffusa ed intensa pratica dell’allevamento apistico nell’intero territorio.51 Se ne trovano nelle Gravine52 e nelle lame, nelle vicinanze di insediamenti grottali abitativi o dovunque ci fosse una parete verticale ben riparata e ben difesa. A volte si configurano come veri e propri insediamenti autonomi, protetti da muri di difesa, a volte possenti, che racchiudevano anche il giardino, la grotta del proprietario o del guardiano e il laboratorio per l’estrazione del miele e della cera, corredato di un torchietto a muro. E’ naturale chiedersi quali fossero le ragioni della grande diffusione di questa attività soprattutto nel mondo antico. L’indagine su alcune fonti bibliografiche ha fornito molti elementi interessanti riferiti sia al mondo antico che a quello più vicino a noi, che giustificano la grande diffusione dell’allevamento delle api nel nostro territorio, condotto secondo i metodi degli antichi romani. …….. L’allevamento delle api è antico quanto il Mondo, come antica è la consuetudine dell’uomo di ricavare da questi laboriosi e mirabili insetti quel prelibato e prezioso alimento che è il miele, riservato agli Dei, ma usato anche nelle libagioni umane e passato anche sulle tavole degli uomini più ricchi. Nel mondo antico sia il miele che la cera erano tanto preziosi, così come il sale, da essere usati come merce di scambio. Le stesse api erano usate come mezzo di difesa dall’attacco di nemici, scagliando contro di loro interi alveari. Nella civiltà egizia l’Ape era un animale venerato e rispettato per la sua operosità e la sua utilità, come tramandato da alcuni geroglifici ritrovati, che rappresentano l’Ape insieme al sacro scarabeo. In diversi siti sparsi per tutto il Mondo sono stati ritrovati reperti riconducibili all’allevamento delle api, pur con metodi diversi: a Malta, in Spagna, nel Nord Africa. A Malta nel sito di Imgiebah, presso un’antica villa romana e una più antica tomba punica del VI secolo a.C., sono stati ritrovati apiari rupestri con cellette ricavate nella pietra, alloggiate in ripari sotto roccia. Le cellette sono costruite con conci disposti verticalmente e orizzontalmente e in esse trovavano posto dei cilindri di terracotta in cui erano sistemati gli alveari, come ancora oggi si usa in certe località del Nord Africa e in Spagna. A Göreme, in Cappadocia (Turchia), esiste un apiario rupestre con cellette che contenevano tubi in terracotta per ospitare gli alveari. …….. Alla fine del ‘700 dunque la cera prodotta a Massafra si era affermata sui mercati nazionali ed europei per la sua superiorità: ciò vuol dire che la produzione di miele e di cera a Massafra era radicata su una antichissima tradizione ed esperienza e ne venivano prodotte così grandi quantità, da esportarne anche all’estero. Richiesto Democrito di un mezzo, per potersi l’Uomo rendere più lunga la vita, rispose: “exteriora oleo, interiora melle”.53 Scrive Ateneo54 che i Popoli Circensi vivevano lungo tempo, perché cibavansi di miele. Il cibo dei Pitagorici non era, che pane, e miele.55 …….. Gli antichi Greci e Latini traevano dalle Api gran parte della loro economia. I ricavi che si traevano dalle Api erano addirittura maggiori di quelli che si potevano ricavare dalle pecore! L’economia dei Pugliesi basata sull’allevamento delle Api era la stessa di quella degli antichi Greci e Latini, così come i metodi di allevamento e la scelta dei siti. Gli antichi nostri Italiani, e prima di questi anche i Greci, se ritraevano grosso guadagno dalle Api, erano essi debitori all’industria, e a quel metodo tutto ammirabile, che avevasi in governarle. Oltre l’essere stati esenti dal barbaro costume di soffocarle, vindemmiandosi il miele, mettevano uno studio particolare in eleggere il sito, e collocarle. Si facevano carichi della loro nutritura, e della qualità de’ pascoli, togliendo d’intorno all’alveare tutte quelle erbe, che non facevano buon prò alle Pecchie. Non essendo sufficiente la pastura, supplivano a quella con le piantagioni del timo, della viola, del ramerino, e simili: o mancandoci l’acqua di qualche rivolo, o fonte, non mancavano supplire coi beveratoi di pietra, o legno. Inoltre, gli Antichi erano attenti a dare alle Api tutte quelle cure necessarie alla loro salute, per prevenire le varie infermità e malori, per difenderle dagli attacchi dei nemici naturali, come tignuole e altri vermi che nascono, e sono nocivi. Non vi è Autore Greco o Latino che non formi una spezieria per le Api. Virgilio, che fiorì anni 18 prima dell’Era, disserta nelle Georgiche 56 sull’allevamento delle Api. …….. La Puglia ha conservato non solo l’economia, ma ne conserva ancora la denominazione. In Puglia si chiama vendemmia la raccolta del miele e vendemmia si chiamava presso i Greci e i Romani: Mellatio sive vindemia, in Plinio57; in Columella: Mox vere transacto, sequitur mellis vindemia58. Didimo tra i Greci la denomina trufa meli59 Gli antichi chiamavano così qualunque raccolta. Plinio chiama vendemmia la raccolta dell’incenso e delle olive, Eustachio quella delle rose. Tra la fine del IV secolo e l’inizio del V, le popolazioni barbare infettarono le contrade Greche e Latine. Queste portarono il desolamento con ferro e col fuoco, devastando poderi, e saccheggiando le Provincie; con la loro ignoranza e barbarie bandirono tutte le scienze e cancellarono le consuetudini degli Antichi per le Arti e l’Agricoltura, compresa la cura per le Api. L’allevamento delle Api continuava ad essere praticato laddove persistevano popolazioni legate alla antica cultura dei Greci (come la Puglia), ma qui erano tante e tali le razzie che i barbari perpetravano sulle arnie, che erano un vero flagello per le popolazioni locali. I sovrani furono costretti ad emanare editti e leggi contro i furti di miele e di arnie di Api. Il Re Rotari settimo tra i Longobardi, eletto nel 636, morto nel 652, condanna alla multa di dodici soldi60 chiunque abbia rubato una cassa di Api. …….. Mancando il zucchero, avvalevansi del mele i nostri maggiori, per rendersi gustosi i loro manicaretti. Insipida stimavasi quella cena, ove il mele mancasse; e n’erano così golosi, che mancar non doveva sul principio, ed in fine del convito. Gli antichi, come si sa, dividevano la cena in tre parti, cioè principio, mezzo e fine. Chiamavano ante cenam la prima parte, che Varrone individua col principia convivii. Solevano sulle prime bere la mulsa, bevanda composta di acqua piovana, e mele, anche chiamata aqua mulsa, o opomeli. Fanno parola di questa mulsa Celio Rodigino, e Plinio. Galeno, ove parla di conservarsi la sanità, anche l’encomia. Avevasi questa bevanda attenuante, aperitiva, purgante, e stimolante. Oltre di questa mulsa, altra vi era composta di vino, e mele nomata idromele. Così rattemperavano l’asprezza del vino; vina asperrima, scrive Plinio, dulcedine temperabant. Seguono i vari e tantissimi impieghi del miele e della cera nei campi più disparati tra gli antichi. Appio, celebre cuoco tra gli Antichi, col mele conservava fresche le carni. Anche il legno, e le piante conservansi vegete poste nel mele. I Babilonesi61 imbalsamavano col mele i corpi de’ defunti, volendoli preservare dal putredine. ……. Con l’introduzione dello zucchero ad opera degli Arabi, la produzione del miele e prodotti collaterali ebbe un duro colpo di arresto. Non meno del mele ha la cera le sue virtù medicinali. Olio, poco volatile, e molta flemma è tutto il suo composto. E’ emolliente, e risolutiva. La Farmacopea se ne avvale in mille bisogni. Cerotto non vi è, o cataplasma, ove non vi entri la cera. Preso per bocca, scrive Mr. Lemery, è diuretico, sfarina i calcoli, giova per la dissenteria, per la colica nefritica, per le ulcere di reni, della vescica, e per la retenzione dell’urina. Lancellotti aggiunge, esser valevole per i tumori freddi, per la paralisia, e per i dolori delle giunture. Il secondo olio estratto da questo istesso, è chiaro come acqua; e sì l’uno, come l’altro sono ottimi per gli pedignoni. Colle lucerne ad olio, avvalevasi gli Antichi anche dei cerei, e delle candele. Mancando la carta presso gli antichi, servivansi delle tavolette incerate, per scrivere le loro memorie. Incerata la tavoletta, avvalevasi come scrive Simbozio 62 di un raffio di ferro, o di altro materiale, acuto in una punta, e schiacciato nell’altra: colla prima si scriveva, e con l’altra, occorrendo, si cassavano le lettere, e di nuovo la cera mettevasi in piano. Antichissimo è l’uso de’ cerei nelle cerimonie sagre. Anche i Gentili usavano le turce ne’ loro sagrificj, e l’abbiamo specialmente ne’ misteri di Cerere, e porre solevansi i cerei avanti le statue degli Dei. Anche tra i primi Cristiani erano in uso le candele accese in onore dei nostri eroi. Memoria ne fanno i Padri de’ primi secoli. S. Paolino anch’esso ne parla nel Natale di S. Felice. …….. Colla cera gli antichi formavano delle statue, rappresentanti dei loro antenati. Queste vedevansi nelle proprie gallerie: expressi cera vultus, abbiamo in Plinio63, singulis disponebantur armariis... Anche le donne in quei tempi, servivansene per togliersi dalla fronte ciocchè contrar si può, avanzandosi l’età, e che ad altri sembra dispiacevole... Noi l’abbiamo in uso per opere meravigliose. Colla cera s’imita la natura, formandosi fiori, e frutta. Così colla cera si rilevano al naturale tante rappresentanze di Eroi... Non mancano descrizioni dettagliate dei vari tipi di mieli, cere, propoli che si producevano in tutta Europa, delle loro proprietà ed usi negli svariati campi, dalla cucina alla medicina, alla cura di bellezza, alle arti. …….. L’uso del fumo, attraverso il fumacchio, era essenziale per la raccolta del miele e della cera, ma anche per altre operazioni, per le quali era necessario l’allontanamento temporaneo delle Api dall’arnia. Si pensi alle operazioni di pulizia delle arnie e ai “maritaggi” degli sciami. La raccolta poteva avvenire anche tre volte l’anno, secondo l’andamento dell’annata, delle condizioni meteorologiche, dell’abbondanza delle fioriture. Abbiamo da Didimo, tra i libri Geoponici, che anche presso i Greci castravansi le arnie in tre tempi diversi; cioè al nascere delle Plejadi, nel Principio dell’Autunno, e tramontando le medesime circa il mese di Ottobre. Virgilio vuole per l’opposto, che non si castrino le arnie se non due volte; cioè nella Primavera, e nell’Autunno. Fiorentino64, tra i Greci, traducendo in latino: latitudo sit cubitalis, longitudo duorum cubitorum... l’arnia era circa palmi due di altezza, e un palmo e quarto in quadro, com’è per appunto l’arnia in Puglia... Palmi due, e mezzo in alto ho io fissato la cassetta per le Api, presupponendo l’alveare in luogo, ove, come in Puglia, vi sia abbondanza di pascolo. Se i fiori scarseggiano, come in Terra di Lavoro, perché la campagna è tutta coltivata, non si oltrepassino i palmi due in altezza, al più due, e quarto, restando sempre in larghezza un palmo, e quarto. …….. Plinio chiama gli alvearj la corona degli orti: coronamentisque maxime alvearia, et apes conveniunt65. Ortis I cavoli, le rape, il senape, la lattuga, la borragine, i ravanelli, le pastinache, la cicoera, le carote, e mille di queste, che sono la dote dell’orto, giovano, alle Api, ed utili sono al Proprietario. Datemi piori qualunque sieno, ed io vi do cera, e mele.... I legumi, siccome giovano alle Api, così sono utili al Proprietario. Il lenticchio, il pisello, la cicerchia, il cece, i fagioli e soprattutto le fave, di grande rinforzo sono alle Pecchie, e di doppio guadagno al Proprietario... Le piante però, che più danno mele e cere, sono le fave, ed il grano nero, o sia il frumento saraceno. Volendosi, si possono seminare fave primitive, e tardive; e primitivo e tardivo anche il grano: cosicché terminando i fiori delle favi, succedono quelli del grano. Non vi è fiore, scrive M. Schiomel, che lor sia più piacevole di questo, dopo il timo, il serpillo, e la majorana... Columella66 col citiso vuole giovevole la cassia, il timo, e ‘l ramerino: Sunt rimedia, etiam languentibus cytisus, tum deinde cassia, pini, et rosmarinus. Quel pini però non mi piace; ed è di certo errore del copista: meglio Thimi.” ……… Tra tutte le piante bensì, sopra tutto vi sia il ramerino, ma quello che fiorisce più volte nell’anno. Si metta nella siepe, ne’ viali, e ne’ luoghi incolti. Questa pianta, è di sommo profitto per le Api. Similmente, la salvia, il nardo, la canfora, e simili. Tipologie di apiari A me pare potersi individuare due tipologie di apiari rupestri, riferite a periodi storici diversi: a cellette a cassone La prima tipologia è da riferirsi agli apiari più antichi, che venivano ricavati sulle pareti di grotte scavate sui fianchi delle Gravine. Sono caratterizzati da schiere di cellette sovrapposte di dimensioni paragonabili con quelle indicate da Varrone, naturalista latino, sembrano riferirsi al periodo greco-romano ed in uso fino al periodo medievale. Le cellette erano chiuse anteriormente da tavolette con piccoli fori per la fuoriuscita delle api, ma comunque l’estrazione del miele e della cera richiedeva la distruzione degli alveari e lo sterminio delle api. …….. Gli apiari rupestri La tipologia di apiario rupestre più diffusa nel territorio è quella a cassone. I cassoni sono grandi nicchie parallelepipede alte 80-100 cm, profonde 100-120 cm e lunghe fino a 20 metri, scavate sui costoni rocciosi verticali delle Gravine e delle lame, che ospitavano le cassette. ……. Fig. 136 - Arnie di avucchiaro Fig. 137 - Cassone di apiario …….. Fig. 138 - Avucchiaro di Madonna della Scala Fig. 139 - Avucchiaro Grotta delle Navi. Vista esterna Fig. 140 - Avucchiaro Grotta delle Navi …….. Fig. 141 - Avucchiaro nei pressi della Grotta delle Navi Fig. 142 - Avucchiaro Masseria S. Angelo Ritorna all’indice 35. LE COLOMBAIE Funzioni di colombaie, con molta probabilità, potrebbero essere state svolte da quegli insediamenti rupestri che comunemente vengono indicati come “Farmacie67”: la “Farmacia del Mago Greguro” sita nella Gravina della Madonna della Scala, quella di Trovanza, sita nella Gravina omonima, di fronte alla Cripta di Mater Domini, quella di Torella, quella di Masonghia. Per la “Farmacia del Mago Greguro” è stata indicata da vari studiosi una destinazione a colombaia per l’addomesticamento e l’allevamento di colombi selvatici, del tipo columba livia. Per esse è stata avanzata anche l’ipotesi di una funzione funeraria come contenitori di urne cinerarie, per la presenza sulle pareti di numerose e a volte numerosissime cellette, di alcune croci graffite sulla tenera calcarenite, di nicchie con archi e arcosoli68. L’allevamento dei colombi costituiva, come quello delle api, una risorsa importante dell’economia dei nostri predecessori, facile da realizzare e mantenere, soprattutto perché i volatili sono autosufficienti per la pastura69. Si poteva fare a livello di singola abitazione o masseria, come in quella di Masonghia, ma anche a livello massivo, nelle colombaie. …….. Fig. 143 - La "Farmacia del Mago Greguro" Fig. 144 - Colombaia di Masonghia ______ Fig. 145 - Colombaia di Trovanza Fig. 146 - Torre colombaia di Scardino Fig. 147 - Torre colombaia di Scardino. Interno …. ______ Fig. 148 - Graffiti sulla Torre colombaia di Scardino Ritorna all’indice SEZIONE 3 - LE NECROPOLI 36. SITO ARCHEOLOGICO DI CARRINO-SAN SERGIO Il sito è ubicato nel Comune di Massafra, tra le Masserie di Carrino e di San Sergio, a Nord della SS. N. 7 “Appia” ed è delimitato dalle due Gravine omonime con andamento Sud-Ovest Nord-Est. Coordinate geografiche della necropoli: Latitudine 40° 33’ 55.8” N Longitudine 17° 07’ 51.5” E Quota 54 m s.l.m. ……. Fig. 149 - Planimetria della zona archeologica di Carrino Noto agli studiosi locali, nonché ai tombaroli che per anni hanno depredato tombe e villaggi, il sito è stato studiato sistematicamente dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia di Taranto negli anni 1980 e 1981 (De Juliis 1981 e 1982). Le presenze più antiche sono testimoniate dalle numerose grotte naturali e artificiali nei costoni delle due Gravine, da un ipogeo funerario attribuito alla Civiltà eneolitica di Laterza (Biancofiore 1979) del II Millennio a.C., da antiche cave di tufo, diventate sede degli insediamenti e da antiche carrarecce. I reperti di epoca greca si riferiscono al periodo tra la fine del VI e il III sec. a.C. Le successive frequentazioni medievale e bizantina, attestate da monete romane, oboli tarantini e minimi bizantini, preservando le necropoli e le aree cultuali, riusarono le grotte più grandi, come l’ampia tomba a camera e l’intera Gravina di San Sergio, costellata di grotte abitative, con un ampio apiario, una cripta con numerose croci alla latina. ……. Necropoli di Carrino-San Sergio Oltre a numerose tombe a cassone sparse nell’intero sito, si individuano due settori con maggiore concentrazione di tombe: uno a settentrione in cui furono scavate 72 tombe a fossa, una trentina di tombe piccole destinate ad inumazione di infanti, e due tombe a camera con cella singola con dromos a gradini, testimoni della presenza di un ceto emergente. Le tombe a fossa o a cassone, scavate nella calcarenite, sono tutte rettangolari con dimensioni diverse, con fossa spesso molto profonda e controfossa in superficie, coperte con due lastroni ben levigati, ricavati da cave limitrofe. Reperti Nella cava settentrionale è stato individuato uno scarico di terrecotte votive del V-IV sec. a.C. raffiguranti personaggi adagiati su kline (identificati con Dionysos-Hades) spesso in compagnia di Persephone-Kore; è stata trovata una testa di Artemis Bendis ed elementi riconducibili al culto di Demetra. Sono stati recuperati frammenti di ceramica di produzione attica a figure nere e a figure rosse, lekythoi a fondo bianco, ceramica apula in stile di “Gnatia”. Sono stati ritrovati oboli tarantini, monete romane, minimi bizantini. Nell’area si individuano cave di tufo, alcune preesistenti all’insediamento greco cui hanno costituito un’ottima opportunità di ricavare aggregati abitativi riparati, altre coeve con i villaggi e le necropoli, altre ancora moderne, che hanno distrutto parte della necropoli meridionale. Nella zona sono presenti tre pozzi, due a campana intonacati, con vera litica ed uno voltato a botte con conci di tufo con vera superiore, costituivano patrimonio comune. Tra le due necropoli, una grotta ipogea ricavata nella calcarenite a livello di campagna con ampio accesso a dromos e con pilastro centrale, probabile tomba a camera o luogo di culto, presenta parte del soffitto crollato verso l’ingresso ostruendolo quasi del tutto, su una parete a Sud presenta una nicchia rettangolare che si configura nettamente come alloggio di un torchietto, testimone del riuso della grotta o comunque dell’uso di essa per la produzione di olio o di miele. …….. Fig. 150 - Tombe della Necropoli di Carrino-S. Sergio Ritorna all’indice 37. SITO ARCHEOLOGICO DI L’AMASTUOLA ……. Fig. 151 - Planimetria del sito archeologico di L'Amastuola Il sito di L’Amastuola70 è ubicato nel Comune di Crispiano (TA), è raggiungibile dalla S.P. n. 40 per Parco di Guerra oppure anche dalla S.P. n. 42 Massafra-Crispiano, è delimitato ad Est dalla Gravina di L’Amastuola, che, dopo la confluenza della Gravina di Triglio, nel versante meridionale diventa prima Gravina di Leucaspide e poi di Gennarini, a Nord dalla S.P. n. 42 e a Sud dalla S.P. n. 40. ……… La Masseria si erge su un colle, da cui domina strategicamente tutto il territorio da Mottola a Taranto (la chora tarantina) e tutto il Golfo di Taranto, isole comprese, fino al Capo Lacinio e comprende terreni agricoli della superficie complessiva di circa 170 ettari. Notizie archeologiche del sito La continua frequentazione del sito da parte di antiche popolazioni pre e protostoriche è attestata da numerose presenze ancora rinvenibili. Ne sono testimonianza il villaggio preistorico inserito nel costone occidentale della Gravina di Leucaspide, con ampie caverne collegate da camminamenti difesi da poderosi muri a secco, con una caratteristica rampa di accesso dal pianoro superiore; il grande tratturo di transumanza che costeggia la Gravina di L’Amastuola dal lato Ovest, probabile relitto del percorso utilizzato dai primitivi preistorici per inseguire le loro prede; i limitrofi Dolmen “di Leucaspide” o “di San Giovanni” in Accetta Grande e “di Accetta Piccola”; le diverse tombe a camera del Periodo del Bronzo o del Ferro. ……. I più antichi materiali di interesse archeologico del sito provengono dagli scavi delle tombe integre effettuati nel corso delle ricognizioni archeologiche, facevano parte del corredo funebre sepolto con il defunto e consistono in ceramica paleo e mesocorinzia: essi, insieme con la tipologia del rito dell’inumazione, collocano le necropoli tra il secondo quarto del VII e i primi decenni del VI sec. a.C. Reperti importantissimi in oro di fine manifattura locale provengono dalla zona a Nord della Masseria e fanno parte degli “Ori di Taranto”. Gli insediamenti in rupe nelle Gravine sono attribuite alla Civiltà eneolitica di Laterza (Biancofiore 1979) del II Millennio a.C., i villaggi preellenici e i dolmen sono riferibili agli Japigi, antichi abitatori del territorio; il villaggio fortificato, le abitazioni e le necropoli sono riferibili al periodo magno-greco dalla fine dell’VIII fino ai primi decenni del VI sec. a.C. Sono due i settori di maggiore concentrazione di tombe, per un totale di circa un migliaio di tombe 71. Dal sito negli anni ‘50 fu recuperata una lastra in carparo con l’iscrizione sinistrorsa FILONIDA che doveva riferirsi non all’ubriacone (soprannominato kotyla o boccale) che offese in teatro gli ambasciatori romani con a capo Postumio, ma piuttosto al famoso matematico consigliere di Archita, che fu tra i pitagorici tarantini inseriti nel catalogo di Giamblico, che elenca gli adepti alla setta pitagorica dalla seconda metà del VI sec. a.C. fino agli inizi del III sec. d.C. La presenza di questa lastra testimonia che le necropoli del territorio accoglievano i cittadini della polis Taranto. La Necropoli L’Amastuola 1 Il sito è situato a Sud della Masseria e comprende numerose tombe a cassone rettangolari con controfossa, orientate mediamente Nord-Sud, coperte in genere da due lastroni ben lavorati provenienti da cave limitrofe e diverse tombe di piccole dimensioni, destinate ad inumazione di infanti. Ne sono state esplorate 154, di cui 54 di piccole dimensioni. Diverse carrarecce con direzione Nord-Sud di epoca successiva solcano i luoghi, intersecando anche le tombe. Posizione geografica: Latitudine 40° 34’ 12,38” N Longitudine 17° 10’ 16,54” E Quota 145 m La Necropoli L’Amastuola 2 Il sito è situato ad Ovest della Masseria, custodisce numerose tombe a cassone, di cui alcune parzialmente violate e sembra non essere stato ancora studiato in maniera sistematica dalla Soprintendenza. Posizione geografica: Latitudine 40° 34’ 50,77” N Longitudine 17° 09’ 54,64” E Fig. 152 - Tomba della Necropoli L’Amastuola 2. La Necropoli L’Amastuola 3 In una zona a Nord-Est rispetto alla Masseria, in una pineta, a ridosso di una antica strada che costeggia la Gravina di L’Amastuola, si trovano tombe sparse, di cui alcune accoppiate, già aperte e depredate. Insediamento fortificato Il sito è stato oggetto di indagini archeologiche da parte della Soprintendenza Archeologica di Taranto nel 1991, che ha portato alla luce strutture di fondazione di abitazioni e un muro di recinzione con aggere con funzioni difensive. Le abitazioni sono a pianta rettangolare, con superficie di circa 10 mq, del periodo magno greco di fine VIII inizio VII sec. a.C., vi abitavano famiglie di agricoltori e di allevatori. L’insediamento sorse su un precedente sito japigio, rimasto sepolto sotto le strutture di epoche successive, testimoniato da buche di pali disposte in cerchio, resti di una capanna e da rinvenimenti di ceramica japigia. Zona degli “Ori di Taranto A Nord della Masseria, dovevano esistere altri insediamenti, da cui provengono alcuni degli “Ori di Taranto”, custoditi nel Museo Archeologico di Taranto. Nella stessa zona sono stati ritrovati frammenti di piombo appartenenti probabilmente alle forme in cui veniva colato l’oro per fabbricare i gioielli72. Trappeto vecchio Il sito è raggiungibile dalla strada sterrata che lambisce la Necropoli 2, ad Ovest della Masseria e mostra ancora l’antica struttura del grande Trappeto ipogeo, che doveva appartenere alla Masseria. Una testimonianza orale riferisce che sarebbe collegato con la Masseria con un tunnel. *** Ritorna all’indice Conclusione Sono convinto che quello che ho potuto visitare e che qui ho potuto descrivere sia solo una minima parte di ciò che realmente esisterebbe, a dare voce ai racconti di diversi testimoni del posto, che parlano – il più delle volte riportando il “sentito dire” - di gallerie “lunghe ed oscure” mai potute esplorare completamente e di ambienti sotterranei che essi avrebbero percorso, come: la famosa galleria carrozzabile che dal Castello condurrebbe alla Masseria di Patemisco e al mare, la galleria che dallo stesso Castello porterebbe a Taranto, il tunnel che dalla Chiesa Nuova porterebbe a Sud, il tunnel che dalla Chiesa di S. Maria di Costantinopoli (oggi Bar Tazza d’Oro) porterebbe al Castello, il tunnel carrozzabile che da Palazzo De Carlo porterebbe nella zona di S. Sergio, il tunnel che dallo stesso Palazzo De Carlo condurrebbe verso Mottola, il tunnel che dalla zona della Candelora porta in Via Vittorio Veneto, le vie di fuga che dai palazzi nobiliari conducevano nelle Gravine, altri. Sarei grato a quanti, sollecitati dal mio lavoro, volessero darmi ulteriori indicazioni su luoghi di Massafra sotterranea a me non noti, oppure indicarmi eventuali inesattezze nella stesura di queste note. ****** Ritorna all’indice Bibliografia Archeogruppo, Ricerche Archeologiche negl’insediamenti Rupestri Medioevali, Stampasud, Mottola 1974. M. Camera, Annali delle Due Sicilie Dall’origine alla fondazione della Monarchia, Vol. I, Stamperia E Cartiere Del Fibreno, Napoli 1841. R. Caprara, Società Ed Economia nei villaggi rupestri, Schena, Fasano 2001. Id, La Chiesa rupestre di S. Lorenzo a Massafra, in Bollettino Archeo-gruppo 4, La Tecnografica, Massafra 1997. Id., Il Duomo di Massafra, Tipografia Piccolo, Crispiano 2011. R. Caprara, C. Crescenzi, M. 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Id., Brevi note storiche sul Castello, il fossato, le mura medievali, i molini baronali e la Chiesa di S. Toma in Massafra, In “Bollettino Archeogruppo 5”, La Tecnografica, Massafra 2002. C. Minieri Riccio, Studi storici sui fascicoli Angioini, Priggiobba, Napoli 1863. C. Mottolese, Massafra sotterranea: appunti di speleologia urbana con note descrittive delle cavità artificiali, in “Cultura Ipogea 2006”, StampaSud, Mottola 2007. Id., Massafra sotterranea, in “L’habitat rupestre nell’area mediterranea”, International Seminars in “Terra Jonica”, Tipografia Piccolo, Crispiano 2012, ISBN 9788889220924. Id., Orogenesi e storia del www.74zero16.it/Approfondimenti, 2008. territorio, in P. Palumbo, Gli Aragonesi alla Guerra d’Otranto, in “Riv. Sal. III”, 1906. Piccola Enciclopedia Tarantina (P.E.T.), Coop. 19 Luglio, Taranto 1994. J. Ross, La Puglia nell’Ottocento (La Terra di Manfredi), Capone, Lecce 1997. F. Sanchez, La Campania sotterranea, T.1 e T.2, Tip. Trani, Napoli 1833. D. 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XIV, a causa della devastante diffusione della peste nera in tutta Italia (1347-1351) e di crolli di abitazioni nel centro medievale, i villaggi rupestri e le abitazioni grottali furono definitivamente abbandonati dalla popolazione, che si riversò sui pianori alti. 3 La tecnica di ricavare abitazioni rupestri del tipo vicinanza scavando nella roccia tufacea è antichissima e sarebbe stata importata nel V sec. d.C. da gente africana sfuggita alle persecuzioni vandale, al seguito di S. Possidonio, vescovo di Calama. Per metonimia la parola “vicinanza” indicava la comunità di persone o di famiglie che abitavano in una stessa vicinanza. 4 E. Jacovelli, Massafra la città e il territorio, p. 65 e p. 105. 5 C.D. Fonseca-F. Lembo, Il centro storico di Massafra. Tav. 6. 6 R. Caprara-C. Crescenzi-M. Scalzo, Il territorio Nord del Comune di Massafra, p. 126. 7 G. Mastrangelo, Contributo sull’origine e sul regime dominicale delle vicinanze ipogeiche di Massafra, Boll. Archeogr. 2, p. 32. 8 Per limitarne lo scioglimento, i blocchi di ghiaccio erano separati con strati di paglia e tutto il carico protetto con panni di lana. 9 Le cave costituivano una cospicua risorsa economica per i proprietari, gli addetti ai lavori di scavo e di trasporto. Sono numerosissime le cave disseminate nel territorio: se ne trovano p.e. nelle contrade Corvo, Masonghia, Carrino, Console, Torretta, Trovanza, S. Oronzo. Oggi sono quasi tutte chiuse, molte distrutte, alcune adibite ad usi dissennati; quelle ancora aperte potrebbero, opportunamente sistemate ed attrezzate, essere salvate dalla distruzione, anzi costituire luoghi per nuove attività. 10 La necessità di ricorrere a cave esterne fu imposta con la Prammatica IX del 1776, che vietò l’estrazione dei tufi da cave in situ. Di fatto, questa normativa rese più onerose le costruzioni per l’aumento del costo di trasporto della materia prima, i tufi, dalle cave. E’ qui il caso di ricordare che la nuova zona di espansione della città nella Serra di Mezzo rimase isolata dal resto del territorio, per essere chiusa tra le due Gravine di Madonna della Scala e di San Marco e quindi per l’assenza di vie di comunicazione e di trasporto, fino al 1864, anno di costruzione del Ponte vecchio. In questo periodo i tufi furono estratti in maniera più intensiva soprattutto dal fianco occidentale della Gravina S. Marco, nel quale, indebolito e sforacchiato, si intensificarono i crolli e le frane. 11 Da G. Termite, La Massafra sotterranea, Grafiche MAX, Massafra 1999. 12 E. Jacovelli, Massafra nel sec. XVI, p 39. In questo lotto i Pappacoda possedevano un palazzo nobiliare con annesso giardino, che probabilmente fu demolito per far posto al convento, se non proprio inglobato nella nuova struttura, che ne incorporò anche i sotterranei. 13 I “gnummerèdde” sono involtini di frattaglie di agnello, come fegato, polmoni, animelle, avvolti in zeppe di grasso e legati con budello d’agnello. 14 Probabilmente i fondi per l’ultimazione dell’opera derivarono dalla vendita a privati del giardino ad Est a confine con il Convento degli Antoniani, che rimase separato dal Monastero in seguito all’apertura di Via Fanelli. 15 E. Jacovelli, La Chiesa e il Monastero delle Benedettine di Massafra. 16 E. Jacovelli, op. cit., p. 482. 17 M. Camera, Annali delle Due Sicilie dall’origine alla fondazione della monarchia,Vol. I, Sec. XI, p. 4. 18 Il sistema giuridico feudale era gestito dalla Corte Baronale, era indipendente da quello pubblico ed aveva le sue carceri nel castello. 19 E. Jacovelli, Massafra nel sec. XVI, p. 24. A.V. Greco, Masserie e Massafresi, p. 150, riporta : “Nel 1748 il dottore Antonio Elena fu messo in carcere in una orrida torre sotterranea del castello baronale di Massafra, ove prima vi morirono alcune streghe.” 20 Via Lo Pizzo trae il suo nome dall’antica denominazione dello sperone roccioso su cui si erge il Castello, Lo Pizzo. 21 R. Grippa, Cinquant’anni di vita massafrese, p. 94. 22 E. Jacovelli, Massafra nel sec. XVI, p. 51. 23 P. Ladiana, Uomini, fatti e cose della vecchia Massafra, p.141. 24 P. Catucci, Origine del culto di S. Lorenzo a Massafra. 25 R. Caprara, La Chiesa rupestre di S. Lorenzo a Massafra. 26 V. Gallo, Origine e vicende della Città di Massafra, pp. 78,79 e E. Jacovelli, La Città e il territorio, p. 71. 27 R. Caprara, Il Duomo di Massafra, p. 5. 28 E. Jacovelli, Massafra, La Città e il territorio, p. 69. 29 E. Jacovelli, Massafra nel sec. XVI, p. 47. 30 Secondo G. Portararo il barone sarebbe Francesco Pappacoda, ma evidentemente il dato era erroneo perché questi era morto nel 1576 o 1577, quindi prima del 1580; molto più verosimilmente si trattò di Alfonso, come riportato da P. Coco. 31 Id., ibid., p. 74. 32 A. De Sariis, Dell’Istoria del Regno di Napoli, p. 359. 33 Questa dicitura, stampigliata a grandi caratteri sulla facciata principale prospiciente alla Via Appia, è ora scomparsa. 34 Le notizie su questo Santuario sono riportate in E. Jacovelli, Massafra nel sec. XVII, pp. 78-83. 35 E’ ancora conservata dietro l’Altare la nicchia che contiene la conchetta dell’acqua miracolosa. 36 D. R. Colucci, Storia di anime. Origine del nome “Madonna della Scala” (Racconto inedito). 37 La Gravina di Calitro è la parte terminale a Sud della Gravina della Madonna della Scala. 38 Joannes Juvenis, De Antiquitate et Varia Fortuna Tarentinorum, Lib. 2, Cap.V, p. 20. 39 A. Kircher, Mundus subterraneus, Tomo I, p. 269. 40 Il nome del fiume derivava dal greco potamos e trasformato in latino in potamiscus. 41 Il Diploma originale è conservato nell’Abazia della S.S. Trinità di Cava dei Tirreni, pubblicato da M. Perrone in “Storia documentata della città di Castellaneta”, 1896. 42 Per notizie dettagliate sulla tessitura in epoca antica, si veda l’articolo La tessitura in epoca antica nell’area interna della Murgia di Chiara Ivone, Umanesimo della Pietra – Riflessioni, Luglio 1989. 43 La canna napoletana era l’unità di misura per le lunghezze. Dal 1408 al 1480 valeva 2,109 m, dal 1840 era pari a 2,646 m. 44 45 L. Carducci, Storia del Salento. V. Gallo, Origini e vicende della Città di Massafra. 46 La concia vegetale era conosciuta in epoche remote e si basava sul potere conciante del tannino estratto dalla corteccia di alcune piante, come il pino, la quercia e il terebinto (pistacchio), piante particolarmente diffuse nei nostri boschi. Le calle prodotte sul terebinto dagli afidi pemphigus carnicularius e p. semilunarius sono fonte di tannini e venivano usate per conciare le pelli. 47 J. Ross, La Puglia nell’800, p. 71. 48 Al momento, non sono disponibili notizie di questo antico personaggio, tanto importante e noto da dare origine al toponimo della tintoria. 49 Notizie dettagliate, riferite al 1746, anno del contratto di affitto dei mulini tra Francesco Paolo Colafato, proerario di Michele Imperiali, Principe di Francavilla e utile Signore della Terra di Massafra e i signori Pizziferro, si possono trovare in G. Mastrangelo, Brevi note storiche sul Castello, il fossato, le mura medievali, i molini baronali e la Chiesa di San Toma in Massafra. 50 In gergo dialettale e negli atti notarili gli apiari erano chiamati avucchiari. 51 Di essi non esiste un censimento completo e pochi possono vantare di conoscerli tutti. 52 Come è noto, le nostre Gravine ospitano innumerevoli specie di alberi, arbusti e piante, fra cui abbondano quelle aromatiche, come per esempio il rosmarino, il timo, la salvia, il serpillo, la menta, i ginepri, la cui abbondante fioritura copre tutto l’anno. 53 Athen. Lib. II C. III 54 Coel. Lib. XXVII, C. XVII 55 Tannoja, Parte Prima, Cap. XXXII, p. 192 56 Lib. IV v. 231 57 L. XI, C. XVI 58 L. IX, C. XV 59 Geop. L. XV C. 5 60 Tit. De furtis Apum 61 Alex. Ab Alex. Lib. 3 C. 2 62 Enigm. De stilo 63 Lib. XXXV 64 Geoponicorum, Lib. XV Cap. II 65 Lib. XX Cap. XII 66 Lib. IX, Cap. III 67 Farmacie erano i laboratori e gli scaffali di essenze medicamentose ricavate dalle piante. 68 Questa ipotesi mi sembra poco probabile, dal momento che l’incinerazione dei defunti era praticata dai pagani ma non dai cristiani. 69 L’importanza dell’allevamento dei colombi presso gli antichi è stata ampiamente trattata da Roberto Caprara nel libro Società ed economia nei villaggi rupestri. 70 L’indicazione topografica della Masseria è incerta, infatti è indicata spesso anche come “Amastuola”, “La Mastuola” o “Mastuola” , ”Mastuolo”. 71 E. Jacovelli, Massafra. La città e il territorio. 72 In zona era attivo un importante laboratorio di oreficeria, noto come bottega di Crispiano. ######