Cosimo Mottolese
MASSAFRA SOTTERRANEA
LA CITTA’ NASCOSTA
Percorsi tra grotte, sotterranei, antichi opifici e necropoli
Questo è un estratto dall’ebook pubblicato su Smashwords
https://www.smashwords.com/books/view/377989
ed
è
disponibile in formato cartaceo presso i maggiori rivenditori
online. Isbn: 9788880992714.
Altri ebook dello stesso Autore:
Raccolta di soprannomi massafresi - Isbn: 9781301001675
Chiese rupestri di Massafra - Isbn: 9781310147845
L’elaborazione della copertina, il progetto grafico dell’opera, i
disegni, le planimetrie e le foto, ove non diversamente indicato,
sono dell’Autore.
***
INDICE
Presentazione
Introduzione
Storia geologica del territorio
La vicinanza
La neviera
Gli ipogei piramidali
Il quadro normativo degli scavi
1. TUNNEL DALLA CHIESA MADRE A VIA VITTORIO
VENETO
2. VICINANZA DI VICO TORELLI
3. PIRAMIDE NELLA VICINANZA DI VICO TORELLI
3’. PIRAMIDE NELLA GRAVINA S. MARCO
4. COMPLESSO IPOGEO SOTTO IL PALAZZO SPADARO
5. SOTTERRANEI DEL CONVENTO DEGLI ANTONIANI
6. VICINANZA SOTTO LARGO CAPREOLI
IL MONASTERO E LA CHIESA DI S. BENEDETTO
7. SOTTERRANEI DEL MONASTERO DI S. BENEDETTO
8. POZZO NEL CHIOSTRO DEL MONASTERO DI S.
BENEDETTO
9. CRIPTE DELLA CHIESA DI S. TOMA
10. CASTELLO MEDIEVALE
11. CHIESA DEI SS. PIETRO E PAOLO
12. CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA
13. CRIPTA E IPOGEI SOTTO LA CHIESA MADRE
14. SOTTERRANEI DEL CONVENTO DI S. AGOSTINO
15. SOTTERRANEI CONVENTO DEI CAPPUCCINI
16. CHIESA E CONVENTO DI S. ROCCO
17. MOLINO A VAPORE SPADARO
18. SANTUARIO DELLA MADONNA DI TUTTE LE GRAZIE
19. TERMINALE DEL TUNNEL DI PALAZZO GIANNOTTA
20. POZZO S. PIETRO
21. POZZO SALZO
22. MASSERIA DI PATEMISCO E CHIESA DI S. M. DELLA
CROCE
23. GROTTA CARSICA DI S. MICHELE
24. GROTTA “MISTERIOSA” O GROTTONE DI S. ORONZO
25. ACQUEDOTTO
“PIETRA PIZZUTA”
SOTTERRANEO
IN
LOCALITÀ
26. BUNKER DI CARRINO
27. GROTTA DI MILLARTI
28. GROTTA CARSICA DI LEUCASPIDE
SEZIONE 2 - I LUOGHI DELLA PRODUZIONE
29. LA CONCERIA DI VIA NUOVA
30. LA TINTORIA DI MACUBBE
31. TINTORIA DI BELLO
32. I MULINI BARONALI
33. I TRAPPETI
34. GLI APIARI
35. LE COLOMBAIE
SEZIONE 3 - LE NECROPOLI
36. SITO ARCHEOLOGICO DI CARRINO-SAN SERGIO
37. SITO ARCHEOLOGICO DI L’AMASTUOLA
Conclusione
Bibliografia
INDICE DELLE FIGURE
Presentazione
Le competenze tecniche e la passione per la storia e l’archeologia
hanno spinto Cosimo Mottolese, ingegnere meccanico e cultore di
storia patria, ad allestire questo volume dai contenuti originali e
dal titolo intrigante, Massafra sotterranea – La città nascosta. Lo
studioso, muovendosi sulla scia di quegli illustri concittadini che
allo studio della storia e dell’archeologia massafrese hanno
riservato tante ricerche (da Fonseca a Caprara, da Jacovelli a
Ladiana, a Mastrangelo ...), è da oltre un ventennio impegnato
nell’esplorazione del territorio al fine di portare alla luce quella
realtà sommersa che rappresenta, anche in termini quantitativi,
gran parte dell’habitat locale.
……….
Tuttavia, per qualche parte di esso, l’autore non dispera che si
possa operare in maniera intelligente sì da ricostruire quel
“mosaico sotterraneo” che, alla luce dei risultati ottenuti, oggi
appare abbastanza credibile. E per toccare aspetti di carattere
generale, non si pensi che Cosimo Mottolese, indotto da questo
interesse primario per la Massafra sotterranea e nascosta, un vero
scrigno di tesori e di sorprese, non si occupi di quella sub divo,
anzi il rapporto tra ‘il sopra’ ed ‘il sotto’ è così stringente che
l’una integra l’altra in un sinolo unico.
Allora, quando ad es. l’autore tratta del Monastero di san
Benedetto, si sofferma sì sulle caratteristiche architettoniche
dell’opera (e i suoi sotterranei) e correda l’analisi con opportune
planimetrie ma traccia anche una storia della fondazione, si
sofferma sui vari passaggi di mano della proprietà, il suo utilizzo
nel tempo sino ai nostri giorni. Fra i nomi che emergono dalla
narrazione, c’è quello di don Michele Imperiali, che fu signore di
Oria, nominato erede universale dal canonico Francesco Paolo
Capreoli, ma anche principe di Francavilla Fontana e signore di
Casalnuovo (Manduria), sicché si possono cogliere i nessi di un
più vasto quadro d’insieme, che abbraccia i due versanti della
provincia jonica, e leggere più compiutamente la vicenda storica
subregionale. E lo stesso discorso vale per il Castello, di cui il
Mottolese ricostruisce storia e passaggi di mano sino all’acquisto
da parte del Comune di Massafra, facendo risaltare i vari feudatari
che lo possedettero, tra i quali un giusto rilievo meritano le figure
di don Artusio (Arturo) Pappacoda e del figlio Francesco.
…….
L’autore analizza le tecniche di lavorazione, la qualità e varietà
dei prodotti finiti, gli strumenti di lavoro, i luoghi ancora oggi,
per alcuni versi, rinvenibili e visitabili. Davvero carica di
suggestione la descrizione della cosiddetta “Tènde de Macubbe”,
un personaggio tra il mitico e lo storico, con i suoi epici baffi, la
cui tintoria disposta su piani terrazzati sulla dorsale della gravina,
doveva avere un forte impatto sul territorio e sulla sua economia,
almeno fino al giorno in cui avrebbe, malinconicamente, cessato
la sua attività. Inoltre, pagine interessanti sono dedicate
all’acquedotto e ai cento canali che solcavano il sottosuolo
massafrese, per non dire dei ‘trappeti’, che erano disseminati nel
territorio abitato ed extra moenia, in stretta connessione spesso
con le masserie. Anche qui le foto danno conto di questa
straordinaria rete e illustrano i trappeti più significativi, da quelli
a Sud del castello a quelli di Accetta Grande e dell’Amastuola.
Gli apiari, le colombaie e le necropoli completano il quadro di
una ricerca che, anche se si propone un fine informativo e
divulgativo (ma ciò si lega all’atteggiamento di modestia
dell’autore), è sorretta da serietà d’intenti e da rigore
documentario. Senza dimenticare che Cosimo Mottolese, mosso
dalla ‘carità del natio loco’, non manca ora implicitamente ora
esplicitamente di richiamare i pubblici poteri a prendersi cura di
questi beni con la necessaria sollecitudine, in quanto – mi viene
da pensare – chi non si cura del passato non è degno di
interpretare né il presente né il futuro della propria comunità.
Taranto, 19 Luglio 2012
Alberto Altamura - Società di Storia Patria per la Puglia
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Introduzione
Nonostante i vari scempi che si vanno compiendo sul suo
patrimonio storico, culturale, ambientale, paesaggistico, Massafra
è ancora un grande scrigno di pietra che custodisce diamanti e
perle ideali, che, messi insieme, ci permettono di ricostruire la
storia dei secoli passati: basta aprirlo e osservarlo per convincersi
che ciò non è un’iperbole. Come tutti i diamanti, di solito sono
sepolti sotto la superficie calpestabile e così, per scoprire gli
aspetti più interessanti e peculiari di Massafra, bisogna munirsi di
casco e lampada ed immergersi nel mondo sotterraneo.
Facendo tesoro dell'esperienza speleologica (rimasta, in realtà,
isolata) fatta negli anni ’80 del secolo scorso in una scuola di
speleologia di Martina Franca, praticando per anni quella che
viene indicata come speleologia urbana alla ricerca dell’ennesimo
tassello per ampliare la conoscenza del nostro territorio, ho avuto
la possibilità di visitare e rilevare cavità naturali ed artificiali
come cunicoli, sotterranei, tunnel, trappeti ipogei, vicinanze,
pozzi, cisterne, cripte, tombe, necropoli ed altro di cui mi sia
capitato di sentire notizia nel territorio di Massafra e in luoghi
limitrofi.
………
Le numerosissime presenze nel centro storico di Massafra di
cavità artificiali come grotte, pozzi, cisterne, tunnel, grandi ipogei
piramidali, sono dovute a diverse esigenze di tipo costruttivo,
abitativo, difensivo, di comunicazione.
Queste opere cominciarono ad affermarsi nei sec. XIII1 e XIV2,
ma conobbero una grande diffusione solo nella seconda metà del
sec. XVI, quando la popolazione massafrese, dall’antico centro
medievale che si era andato sviluppando intorno al Castello, si
espanse nella zona della Serra di Mezzo, a Nord del Castello,
oltre la fascia muraria, attraversata dalle porte della Buona Sera e
della Cava, dove i Pappacoda possedevano un palazzo con
giardino.
Si ricavarono le abitazioni e le pertinenze scavando nella tenera
roccia tufacea (calcarenite di Gravina) del pianoro, a circa 100
metri sul livello del mare, sul modello della vicinanza.
Lo sviluppo delle tecniche e delle maestranze di scavo e di
costruzione da una parte e l’affermarsi di nuove, più comode e
sicure esigenze abitative dall’altra, portarono nel tempo alla
realizzazione di svariate tipologie di ambienti ipogei che danno
luogo oggi ad un sistema discontinuo, che si può definire
“Massafra sotterranea”.
……….
Nel presente lavoro descrivo singolarmente gli ambienti ipogei
esplorati, riportandone, ove possibile e disponibile, la cornice
storica e una rappresentazione planimetrica o schematica o
fotografica. In alcuni casi, per descrivere i siti, ho preferito
riportare in corsivo miei articoli pubblicati su quotidiani, lettere,
relazioni o schizzi redatti all’epoca delle esplorazioni, giacché,
essendo stati i beni alterati, obliterati, sepolti o distrutti, essi sono
probabilmente le uniche testimonianze della loro esistenza.
Supporto di riferimento per la sezione “Massafra sotterranea” è la
planimetria generale che riporta e localizza gli ambienti che
verranno illustrati in dettaglio.
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Fig. 1 - Stemma della Città di Massafra
ai piedi dell’Altare della Chiesa di S. Benedetto. 1770
……….
Fig. 2 - Planimetria generale settore occidentale
……
Fig. 3 - Planimetria generale settore centrale
Fig. 4 - Planimetria generale settore orientale
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Storia geologica del territorio
Le rocce affioranti nel territorio di Massafra si distinguono
essenzialmente in Calcare di Altamura (Cretaceo), Calcarenite di
Gravina (Plio-Pleistocene) e, localmente, Calcarenite di Monte
Castiglione (Pleistocene). Altre unità litologiche presenti a Sud
nel sottosuolo sono l’Argilla del Bradano ed i Conglomerati,
ghiaie e sabbie (Pleistocene). L’origine del Calcare di Altamura
risale al Periodo Cretacico (Turoniano-Senoniano) dell’Era
Secondaria o Mesozoica, a circa 90 Milioni di anni fa. Il substrato
del Calcare di Altamura è il Calcare di Bari, il quale, formatosi
per sedimentazione sui magmi basaltici nel NeocomianoBarremiano superiore (prima parte del periodo Cretacico, 140
Milioni di anni fa) era dapprima emerso dalle acque tropicali del
mare nel quale si era formato e poi, non ancora diagenizzato
(consolidato e ben indurito), ma ancora tenero e friabile, si era di
nuovo immerso per lenta ma continua subsidenza, nelle acque del
mare. Sul Calcare di Bari, già eroso dagli agenti atmosferici nella
fase di continentalità, per milioni di anni si depositarono i resti
organici degli animali marini e delle alghe, i detriti di fanghi, le
polveri atmosferiche, i resti di piante e quanto altro poteva
capitare nelle acque del Tetide: si formava così il Calcare di
Altamura. Tra la fine del Senoniano e l’inizio del Paleocene (Era
Terziaria o Cenozoica), questi sedimenti, solo in parte solidificati,
emersero lentamente a loro volta dalle acque del mare, venendo a
contatto con l’atmosfera. Quasi tutto il massiccio carbonatico
apulo fu di nuovo continente come terra emersa fino al Miocene.
Fu in questo periodo di continentalità che si formarono i
principali rilievi, si modellò il territorio quasi come oggi ci è dato
di osservare, con gli alti e bassi strutturali, sotto l’azione degli
agenti atmosferici (venti, precipitazioni) e delle immani spinte
tettoniche del sottosuolo. Era questo il periodo dell’inizio delle
grandi Glaciazioni e della comparsa degli ominidi sulla Terra. A
partire dal Miocene (20 Milioni di anni fa) e nel primo Pliocene,
parte del territorio emerso fu invasa ancora dalle acque del mare.
Dieci Milioni di anni fa (Pliocene iniziale) la Puglia non esisteva
ancora come terra emersa: al suo posto c'era mare; da esso
cominciavano ad emergere le principali isole italiane (Sicilia,
Sardegna, Corsica, isole toscane) e nelle sue acque, granello su
granello, cominciarono a depositarsi gli strati che avrebbero poi
dato luogo al territorio della Puglia. Nel Pliocene cominciò il
sollevamento delle rocce calcaree che, continuando per buona
parte del Pleistocene, portò alla formazione della penisola
salentina. Sotto l'azione di immense spinte tettoniche, oltre ad
aversi il sollevamento e l’emersione del territorio, si originarono
anche numerose fratture negli strati di calcare, lungo tutta la
regione tarantina. Secondo alcuni studiosi queste fratture nel
calcare di base rappresentano l’origine primitiva delle Gravine,
che si formeranno molto tempo dopo. Sulle terre immerse,
costituite da Calcare di Altamura, già erose nella fase di
continentalità (all’incirca le zone attuali a quota inferiore a 250 m
sul livello del mare), per tutto il Pliocene (8 Milioni di anni fa) si
depositarono nuovi sedimenti i quali, una volta diagenizzati,
diedero origine alla Calcarenite di Gravina, che in parte, salvo
pochissime zone ancora lacustri, emerse tra la fine del Pliocene ed
il Calabriano (2 Milioni di anni fa), rimanendo esposta agli agenti
atmosferici, da cui fu erosa superiormente. A cominciare dal
Calabriano e fino al Tirreniano, ossia per tutto il Pleistocene o
Diluvium, caratterizzato da un raffreddamento del clima (ci
furono 4 glaciazioni), si ebbe una serie di cicli di trasgressioniregressioni, nel corso dei quali nelle zone paludose ricoperte
dall’acqua del mare (tutto il territorio a Sud di Massafra e zone
isolate a Nord) sulla Calcarenite di Gravina, già erosa nella fase
continentale, si depositarono fanghi alluvionali, detriti organici e
minerali, formando successivamente le Argille del Bradano o
Subappennine e la Calcarenite di Monte Castiglione.
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La vicinanza
La vicinanza3 è un tipico complesso ipogeo articolato in più unità
abitative (case-grotte) realizzate intorno ad una corte comune. Si
scavava nel tufo una trincea a cielo aperto a pianta quadrata o
rettangolare profonda dai 3 ai 6 metri, sul cui fondo si accedeva
attraverso una scalinata risparmiata dallo scavo, di solito
sistemata sul lato a Sud, sul modello dei vici romani. Sulle pareti
verticali della trincea venivano scavate le grotte per ricavarvi
abitazioni, ricoveri per gli animali, depositi. La trincea diventava
così un grande disimpegno, una pertinenza comune, uno spazio in
cui si incontravano gli abitanti della vicinanza. Le pareti da
scavare (in gergo zoccare) venivano spesso lasciate in eredità dai
padri ai figli perché potessero ricavarvi la propria casa nel futuro.
Frequenti sono i casi di vicinanze che si sviluppavano tanto in
estensione e in profondità, anche su più livelli, da sconfinare in
altre proprietà limitrofe.
……
Le oltre 300 vicinanze sono state studiate da diversi autori, sotto
profili diversi, come E. Jacovelli4, F. Lembo che ne ha pubblicato
il rilievo della zona nord-occidentale del centro storico 5, R.
Caprara, C. Crescenzi, M. Scalzo6, G. Mastrangelo, che ne ha
studiato il regime dominicale7.
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La neviera
Numerose sono le neviere che si incontrano negli ambienti ipogei
che si descriveranno nel seguito, per cui sembra opportuno
premettere i caratteri e le funzioni comuni di queste strutture. Le
neviere sono costruzioni ipogee destinate a deposito di neve per
conservarla il più a lungo possibile fino ai mesi caldi. Potevano
essere costruite fuori terra in muratura oppure scavate nella
calcarenite, come tanti ambienti “scantinati” a livelli profondi. A
differenza dei territori settentrionali limitrofi, come Martina
Franca, Locorotondo, Alberobello, dove le neviere erano costruite
anche fuori terra, sia per le temperature medie più basse, sia
perché gli strati rocciosi sono più duri da cavare della calcarenite,
a Massafra le neviere erano zoccate nei livelli più bassi degli
scantinati.
La neve veniva raccolta nei campi e nei boschi, sui monti di
Martina Franca, della Calabria o della Lucania, compattata fino a
ricavarne dei blocchi di ghiaccio e poi, con opportuni
accorgimenti8, veniva trasportata sui carri e stivata nelle neviere.
…….
Le neviere furono definitivamente abbandonate verso la fine del
XIX secolo, con la diffusione dei sistemi industriali per la
produzione del ghiaccio.
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Gli ipogei piramidali
Successivamente o parallelamente allo sviluppo del modello
abitativo in grotta con nuclei riuniti in vicinanza, si affermò la
tecnica di costruzione fuori terra (sub divo) di edifici in muratura,
che venivano realizzati con conci di tufo il più delle volte
provenienti da cave9 esterne all’abitato10.
Spesso, per ridurre i costi di trasporto, i blocchi venivano ricavati
sul posto, nella stessa area di costruzione dell’edificio. La cava
ipogea era scavata, naturalmente a mano, prima come un pozzo
comune, con bocca di solito quadrata di dimensioni di 100-120
cm, ma anche maggiori, poi veniva allargata man mano che lo
scavo procedeva verso il basso, prendendo la forma finale
caratteristica di piramide
……
I vuoti che rimanevano erano sfruttati in maniera diversa: i più
piccoli, previa impermeabilizzazione delle pareti, erano usati
come pozzi o cisterne di acqua piovana, mentre nei casi di cave di
grandi dimensioni, erano utilizzati come depositi di derrate
alimentari deperibili, come latte, vino, formaggi, salumi, carni
essiccate, ortaggi, per le basse temperature che vi regnavano (5-7
°C), serviti da scalinate anche imponenti. L’effetto di
raffreddamento di questi ambienti era assicurato sia dalla
profondità nello strato roccioso (in media 18 metri), sia dalla
circolazione dell’aria e del vapore acqueo dal basso verso l’alto
(per convezione) grazie alla conformazione tronco-piramidale
della sommità, vera e propria cappa aspirante, che assicurava un
efficiente ed energico tiraggio naturale, come una cappa di
camino e come questa sfociava verticalmente all’esterno, per cui
le piramidi erano delle vere e proprie fabbriche del freddo. Oggi,
invece, le piramidi non funzionano più come macchine
frigorifere, perché ne sono stati otturati gli sfoghi verso l’esterno.
Diffuse in tutto il centro storico, le piramidi possono raggiungere
le dimensioni ragguardevoli di metri 15x15 in pianta e metri 20 in
altezza. Tre esempi di piramidi si trovano in pieno centro storico,
intorno a Piazza Garibaldi, una annessa al Monastero di S.
Benedetto, una sotto la Torre dell’Orologio ed un’altra tra Via S.
Leonardo e la Gravina di S. Marco, che saranno descritte
dettagliatamente in seguito.
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Il quadro normativo degli scavi
La pratica di scavare nella roccia per ricavare abitazioni e
accessori è antichissima e diffusa, ma appare esercitata
intensivamente nel centro storico di Massafra quando, dopo che il
barone Francesco Pappacoda concesse la lottizzazione della Serra
di Mezzo per la costruzione di un nuovo borgo intorno al
Convento di S. Antonio, non fu più permesso costruire al di fuori
della zona approvata. Infatti, con le Prammatiche IV del 20
Maggio 1588 e VII del 9 Maggio 1615 del Regno di Napoli “De
edificiis prohibitis”, per limitare l’espansione dei borghi voluta
dagli angioini, si vietò la costruzione di nuovi edifici in zone non
permesse, causando la concentrazione dell’abitato nelle zone
permesse. La proliferazione di scavi abusivi causò in tutto il
regno “la poca durata o ruina degli edifizi, per lo più dipesa, e
tuttavia dipenderebbe dagli scavi e grotte sotterranee furtive, non
regolari, che con la sottrazione di lapillo, pozzolana, e pietre si
farebbero, per facilitare la costruzione delle fabbriche, o per la
vendita degli anzidetti materiali”.
…..
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SEZIONE 1 – MASSAFRA SOTTERRANEA
1. TUNNEL DALLA CHIESA MADRE A VIA VITTORIO
VENETO
E’ il tunnel più lungo e più importante che abbia potuto visitare, è
la spina dorsale dell’antica Massafra medievale, percorrendola
interamente da Sud a Nord e perciò è l’asse ideale lungo il quale
si snoderà il nostro viaggio nella Massafra sotterranea. La notizia
di un tombino di fogna crollato e sprofondato aprendo una piccola
voragine negli anni ’90 del secolo appena trascorso, in occasione
di alcuni lavori di sistemazione stradale nel Largo S. Lorenzo,
alle spalle della Chiesa Madre, fu il richiamo irresistibile per
avventurarsi nella voragine ed esplorare quello che vi era
nascosto.
Fig. 5 - Rottura del tunnel per l’alluvione del 2003
Fig. 6 - La data 1953 graffita ai margini del tunnel
Apparve subito un tunnel che in direzione Sud Ovest si dirigeva
verso il Convento di S. Agostino e in direzione Nord verso il
centro abitato. Nel buio dell’ambiente sotterraneo rischiarato
dalla luce dei caschi al carburo, appariva nettamente un tunnel
scavato nella roccia calcarenitica, con soffitto costruito in conci di
tufo con volta ad arco. Due date graffite su conci di tufo ad
altezza d’uomo, 1945 e 1953 D.S., rimandavano agli anni in cui
furono eseguiti lavori di ripristino di quel tunnel, trasformato in
quegli anni in collettore principale della rete di raccolta delle
acque piovane dell’abitato di Massafra. Le dimensioni del tunnel
con larghezza media di m 1,20 ed altezza di m 2,50 nella chiave
di volta, incoraggiavano l’esplorazione verso Nord dello stesso.
Superata la Scala Pietro Lupis, si arriva in un lungo e più comodo
tunnel rettilineo che, sotto Via La Terra lungo la primitiva
Gravina, porta verso il Castello. Qui il tunnel assume forme di
manufatto ben costruito, con pareti lisce e copertura realizzata in
conci di tufo, con volta a punta di tipo gotico. A dispetto delle
aspettative, all’altezza del Castello non è possibile individuare
alcuna diramazione in direzione Est verso il maniero, quindi il
tunnel non appare una pertinenza di esso. Proseguendo verso
Nord, ai piedi della Scala Graviglione, in corrispondenza della
prima curva a gomito di Via La Terra, si arriva in un ambiente più
largo, su una parete del quale è incisa un’altra data: 1900. Siamo
già fuori dell’ambito del Castello, siamo sull’angolo Nord-Est
delle mura di cinta dell’antico centro abitato medievale di
Massafra, nel punto dove doveva trovarsi la Porta della Cava.
Fig. 7 - Interno del tunnel sotto Via La Terra
11
Sulla parete orientale si apre nella roccia una grande porta, chiusa
quasi interamente con muratura di tufi, che lascia intravedere un
ambiente pieno di macerie fino al soffitto. Da questo punto, il
tunnel si separa da Via La Terra la quale, dopo la curva a gomito,
continua a Nord, verso Piazza Garibaldi. Superato un salto di più
di due metri con l’aiuto di una scala, attraversando un cunicolo
alto non più di 1 metro, si arriva in un ambiente largo a forma di
grande vasca che presenta un paio di porte chiuse sul lato Ovest
che portano negli scantinati di proprietà private e una molto larga
presa d’aria e d’acqua sulla parete ad Est; il cunicolo prosegue ad
Ovest su un livello più alto, ricollegandosi con la parte terminale
a Nord di Via La Terra.
…..
Infatti esso, liberato dalla funzione di collettore di acque
meteoriche e ristrutturato, potrebbe essere usato come
camminamento turistico sotterraneo per collegare da Sud a Nord
le più importanti e belle realizzazioni architettoniche del centro
storico di Massafra, come il Convento di S. Agostino, la Chiesa
Madre, il Castello, Piazza Garibaldi, la Torre dell’Orologio, la
Chiesa e il Monastero di S. Benedetto, il Palazzo Capreoli, il
Palazzo De Notaristefani, la Chiesa rupestre di S. Antonio Abate.
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2. VICINANZA DI VICO TORELLI
Si tratta della vicinanza più estesa di Massafra sia come sviluppo
planimetrico ed articolazione sia come profondità: essa infatti si
estende su un’area complessiva di circa 1000 mq e si
approfondisce per circa 20 m dal piano stradale. La notizia dei
lavori di ricognizione e rilievo del complesso da parte dell’autore
fu pubblicata nel Corriere del Giorno del 7 Febbraio 1995
nell’articolo Grande complesso abitativo sotterraneo nella
vicinanza di Vico 2° Torelli a cura di Nino Bellinvia. E’ possibile
accedere ad essa da Piazza Garibaldi, attraverso Vico Torelli.
Discesi alcuni gradini, si arriva in una prima vicinanza scoperta
che, come detto in precedenza nella descrizione generale,
comprende come pertinenza comune un pozzo a destra della
scalinata scendendo, un capovento quasi al centro dell’area
scoperta centrale comune. Sulla parete orientale della vicinanza si
trova una serie di grotte (Complesso 1), sulla parete a Nord
un’altra serie di grotte (Complesso 2) e a sinistra della scalinata
scendendo, la grande vicinanza ipogea (Complesso 3).
Fig. 8 - Planimetria di Vico Torelli
Complesso 1
E’ composto da alcuni vani attualmente adibiti ad usi diversi per
cui il complesso ha perso le caratteristiche abitative originali, ma
presenta a sinistra entrando la bocca di un pozzo, con tipica
sezione piriforme. Ovviamente, è secco in quanto non vi viene
fatta più entrare acqua, ma si vedono le canalizzazioni dal cortile
centrale. Il fondo, in corrispondenza del boccapozzo, è dominato
da un grande cumulo di rifiuti e macerie di diverso tipo; ai lati si
trovano diversi recipienti in ceramica.
Complesso 2 – Vicinanza Ripoli
Comprende tre ambienti, su tre livelli differenti.
……
Fig. 9 - Planimetria della vicinanza Ripoli
Complesso 3
Fig. 10 - Ingresso del complesso 3 di Vico Torelli
Questo complesso, da solo, è senza dubbio la vicinanza più estesa
di Massafra. Per ultimo di proprietà della famiglia massafrese
Fonseca, si estende sotto l’abitazione Fonseca, la farmacia Sasso,
il palazzo Spadaro e il cortile chiuso dietro la Torre dell’Orologio.
E’ articolato in diverse unità e su due piani altimetrici: il primo a
quota di circa –4 m dal piano stradale e il secondo a circa – 18 m
e vi si accede dalla vicinanza comune di Vico Torelli.
……..
Fig. 11 - Planimetria e sezione della vicinanza di Vico Torelli
……..
Fig. 12 - Planimetria - Settore Sud
…….
Fig. 13 - Planimetria - Settore Nord
……..
Fig. 14 – Sezione 1
Fig. 15 – Sezione 2
Al primo livello si trovano diverse unità insediative indipendenti
accessoriate con cucina, dormitorio, stalla, depositi,
contraddistinte da 5 numeri civici, che si trovano nel primo
corridoio che si incontra subito all’ingresso. Alcune sono
corredate di pozzo di raccolta di acque piovane con apposite
canalizzazioni: PO1 non esplorato e PO2, interamente esplorato,
da cui le abitazioni superiori, nei diversi livelli, attingevano
l’acqua.
Nella parte Sud, i vani comunicano con altri vani cui si accedeva
da un’altra vicinanza con ingresso separato da Vico Torelli e si
estendono sotto la casa natale di Giovanni Losavio, compositore e
direttore d'orchestra, e sotto la farmacia Sasso.
……..
Fig. 16 - Sezioni del Pozzo PO2
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3. PIRAMIDE NELLA VICINANZA DI VICO TORELLI
Al secondo livello dello stesso complesso si trova un grande vano
piramidale cui si accede attraverso una larga scalinata in pietra e,
a livello ancora inferiore (quota circa –20 m), una neviera con
copertura a botte in conci di tufo.
Le pareti del vano piramidale conservano i segni del modulo di
scavo e mostrano che l’estrazione dei conci di tufo (ovviamente a
mano, con l’uso del pico da zoccata) procedeva per piani
orizzontali paralleli. Il vano culmina all’apice e comunica con
l’esterno con una botola che si apriva nella superficie del cortile
dietro la Torre dell’Orologio come un boccapozzo normale, oggi
chiuso.
Fig. 17 - Interno della piramide
……..
Attraverso una scalinata, si raggiunge la neviera, delle dimensioni
di circa 5 x 8 metri, alta circa 3 m, dove ancora si trovano le
fascine di rami che costituivano il letto del deposito, per drenare
l’acqua di scioglimento della neve e per isolare la neve
dall’acqua, in modo da prolungarne la conservazione.
Fig. 18 – Neviera
Fig. 19 - Particolare di una sella d’appoggio di botti
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3’. PIRAMIDE NELLA GRAVINA S. MARCO
Località: Via San Leonardo – Gravina San Marco
Coordinate geografiche, riferite all’ingresso:
Latitudine 40° 35’ 18,8” N
Longitudine 17° 06’ 47,0” E
Quota 86 m
Si tratta di una piramide scoperta recentemente (2010), durante i
lavori di pulizia e di sistemazione dei terrazzamenti sotto il Ponte
Garibaldi. Subito a Nord del Ponte, sul costone occidentale della
Gravina San Marco, a livello dei giardini una volta coltivati ad
agrumeto, nella parete calcarenitica si apre una porticina che,
ancorché chiusa da detriti fini che letteralmente cadono dall’alto,
permette di entrare in un ambiente rimasto chiuso fino alla
scoperta.
……
La presenza fra le macerie di teschi, di frammenti di ossa e di
ossa lunghe intere riferibili a scheletri umani sul fondo della
piramide, porta ad attribuire la stessa al periodo in cui era attivo il
Convento degli Antoniani, sec. XVI-XIX o al più all’anno in cui
fu demolita la Chiesa di S. Maria di Costantinopoli (1929), anno
in cui vi potrebbero essere state sversate le ossa, quando ancora il
vano ricadeva sotto una pertinenza del convento, forse un
giardino. La prosecuzione dei lavori di pulizia potrebbe mettere in
luce ulteriori reperti per una datazione più precisa.
Fig. 20 - Planimetria della zona
……..
Fig. 21 - Porta di ingresso, nella Gravina S. Marco
Fig. 22 - Interno della piramide
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4. COMPLESSO IPOGEO SOTTO IL PALAZZO SPADARO
Vi si accede dai locali a piano terra del Palazzo Spadaro
prospiciente a Piazza Garibaldi, sul lato Ovest. Dopo una
scalinata, si arriva in un ambiente al primo livello interrato con
pareti molto ben lavorate e dall’aspetto molto antiche; a sinistra
verso Sud una porta conduce in una stanza a pianta quadrata; sul
lato Ovest un’altra porta conduce in un’altra stanza parzialmente
occupata da tufi e macerie edilizie, oltre a due pile in pietra
calcarea per lavaggi. Sul lato Nord, un corridoio porta a diversi
ambienti scavati nella roccia tufacea, posti a livelli inferiori. Un
foro nella parete più interna permette il collegamento con i
sotterranei del Monastero delle Benedettine. Molto
probabilmente, questi locali erano una pertinenza del Convento
degli Antoniani, raggiungibile dal chiostro perimetrale che
recingeva il giardino del Convento, che si estendeva su tutta
l’area attualmente occupata dalla Piazza Garibaldi e dagli edifici
che la recingono.
……..
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5. SOTTERRANEI DEL CONVENTO DEGLI ANTONIANI
Inquadramento storico
Nell’area compresa tra Piazza Garibaldi, il Municipio e l’ex
Scuola Media, insisteva fino al primo decennio dell’800 il
Convento dei frati minori Osservanti dell’Ordine francescano di
S. Antonio da Padova, indicati anche come Antoniani, Osservanti
o “Zoccolanti”, fondato nel 1568 su un terreno di proprietà del
barone Francesco Pappacoda12, con annessa Chiesa dedicata a S.
Maria di Costantinopoli (1577), lì trasferita dall’antica sede di
Via La Terra, dove esisteva la Chiesa di S. Maria de Platea, nei
pressi del Castello, o forse addirittura dentro di esso.
……..
Fig. 23 - Planimetria dei sotterranei degli Antoniani
Fig. 24 - Ingresso ai sotterranei degli Antoniani
Il sito
Al complesso sotterraneo si accede da Vico Teatro, attraverso una
lunga scalinata al di sotto della mensola sporgente sulla Gravina
S. Marco ed annessa ai locali dell’ex Pro Loco, che conduce in un
vano aperto su un terrazzamento in terra che ospita una cabina
ENEL e, più a Nord, giardini ancora oggi coltivati, sotto il ponte
Garibaldi. ……..
Fig. 25 - Scala rettilinea verso Vico Piazza Garibaldi
Subito all’inizio della scalinata, in alto, si apre una botola di
aerazione, chiusa a livello stradale da una piccola grata sul
marciapiede di fronte all’ingresso del Municipio, a destra di Vico
Lo Pizzo.
A sinistra, superato con l’aiuto di una scala un dislivello di circa 3
metri, inizia un percorso che si snoda attraverso diversi ambienti
occupati da macerie, masserizie, resti di antichi lampioni e di una
carrozza funebre e termina in una vicinanza con ingresso a
sinistra di Via Lo Pizzo. All’epoca dell’esplorazione, la sala
centrale, assolutamente buia, ospitava una piccola colonia di
pipistrelli Myothis Myothis, aggrappati al soffitto (distrutta per
mani vandaliche nel 2010).
Fig. 26 - Pipistrelli Myothis Myothis
……
Fig. 27 - Il mezzo tomolo con la targhetta 28 litri
Evidentemente, i locali esplorati sono stati adibiti per ultimo a
deposito di vino e di attrezzi e recipienti per la conservazione, il
trasporto e la vendita di esso. Dovevano esserci anche botti,
carratèdde, lance e lancèdde, capèse e capasoni, anche se di
questi recipienti non è stata trovata alcuna traccia.
Invece, sono ancora presenti solo alcuni cerchi in ferro di ruote di
traino (evidentemente lì traslocati attraverso la scalinata, visto che
non sarebbe stato possibile introdurre un carro attraverso il
tunnel), accessori da fornello per rosticceria, come graticole e
resti di attrezzi provenienti da demolizione di fornelli incassati in
muratura. Infatti, di solito alla “cantina” si affiancava il fornello,
in cui si arrostivano sulla brace i gustosi “gnummerèdde” 13 e
salsicce.
All’epoca dell’attività del Convento degli Antoniani, la sala
centrale del complesso ipogeo doveva essere una pertinenza
sotterranea del Convento adibita a magazzino cui si accedeva
dalla grande scalinata inclusa nel chiostro che orlava il giardino
che si dispiegava di fronte al Convento e alla Chiesa, nel punto
ove attualmente è posta la grata in Vico Piazza Garibaldi.
Il giardino si estendeva su tutta la Piazza Garibaldi, comprese le
due schiere di costruzioni ai lati di Vico Piazza Garibaldi ed
arrivava fino a ridosso del Monastero di San Benedetto, mentre il
pozzo si trovava quasi al centro dell’attuale Piazza.
………
Sarebbe, questo, il secondo tunnel “difensivo” individuato.
All’epoca della seconda guerra mondiale, il tunnel fu unito con
l’ex magazzino del Convento mediante lo scavo del tunnel in
curva (si giustifica così il dislivello di 1 metro tra i due vani,
superato grazie ad alcuni gradini) per ospitare diverse famiglie di
sfollati che arrivavano da Taranto, dopo che nella tragica “notte di
Taranto” dell’11 Novembre 1940 la città fu presa di mira dalle
incursioni aeree da parte di Sir Winston Leonard Spencer
Churchill, primo Lord dell'Ammiragliato.
……….
Fig. 28 - Terrazzamento sulla Gravina San Marco
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6. VICINANZA SOTTO LARGO CAPREOLI
Sul “Corriere del Giorno” del 23 Agosto 1994 fu pubblicata la
notizia dell’esplorazione di questo complesso sotterraneo fatta
dall’autore l’11 Maggio ‘94, in seguito all’apertura di una piccola
botola, nel corso di alcuni lavori di sistemazione del piazzale
stradale.
……..
Fig. 29 - Stralcio planimetrico della vicinanza Capreoli
……..
………
Fig. 30 - Planimetria della vicinanza Capreoli
Fig. 31 - Sezioni della vicinanza Capreoli
La stanza A, il cui fondo è a quota di circa 3,0 metri al di sotto del
piano stradale, era parzialmente ricoperta di macerie e detriti di
materiali vari. Sulle pareti scavate con piccone nella roccia
tufacea dell’ambiente A si aprono quattro porte nelle direzioni dei
punti cardinali: a Nord si apre una grande porta (b) ad arco tondo
in roccia tufacea completamente chiusa da macerie che
interessano anche l’ambiente G (non esplorato); ad Est una porta
(c) larga m 1,20 che immette in un cunicolo F, limitato ad Est da
una parete murata, da cui si può accedere nell’ambiente G, ma
che non si è potuto percorrere per la presenza di melma; a Sud si
apre una parete murata rettangolare larga m 2,30, oltre la quale è
l’ambiente E, che non si è potuto esplorare, in quanto la parete in
parola è chiusa con conci di tufo, sui quali grava il peso della
massicciata stradale; ad Ovest si apre una porta (a) larga m 1,15
che immette nella stanza B avente dimensioni in pianta di m 3,70
x 3,45, completamente occupata da una colata di macerie e detriti
riversati dalla botola H praticata nell’angolo Nord-Ovest del
soffitto; la stanza ha pareti tutte scavate nella roccia, compreso il
soffitto. Attraverso una porticina (d) larga m 0,75 ed alta m 1,15
sormontata da un piccolo architrave in roccia, si accede nel
piccolo vano C, con dimensioni in pianta di m 1,75x1,30 avente
una finestra (e) larga m 0,80 che si affaccia sull’ambiente D,
pieno di acqua, avente le caratteristiche di una piccola cucina, con
camino superiore.
……….
La vicinanza era formata da 3 complessi: uno costituito dai vani
B, C e D, con accesso dalla porta a; un altro con accesso dalla
porta b; il terzo con accesso dalla porta c; quest’ultimo è stato
chiuso dalla parete muraria, su cui poggia la massicciata stradale.
Il vano D sembra essere una rampa degradante verso il basso e in
direzione Sud, da cui molto probabilmente si accedeva in altri
ambienti della stessa proprietà Capreoli o in altre vicinanze, posti
a livelli inferiori.
E’ da tener presente che la proprietà Capreoli comprendeva, oltre
l’omonimo palazzo, anche tutta l’area su cui oggi insistono il
Monastero benedettino e il palazzo Spadaro, confinando ad Est
con il Convento degli Antoniani.
L’ipotesi della rampa scaturisce dalla forma del "soffitto" e dalla
constatazione che le macerie fatte cadere dalla botola H formano
un cumulo degradante verso l’ambiente D e la forma di questo
suggerisce che parecchio materiale deve essere caduto nella
rampa stessa, scivolando verso il basso, andando ad ostruire il
passaggio cui la rampa porta.
……..
L’esplorazione della rampa è quanto mai interessante, in quanto
potrebbe evidenziare un collegamento tra la vicinanza in oggetto
con altre vicinanze ed altre realtà ipogee già esplorate o ancora da
esplorare.
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IL MONASTERO E LA CHIESA DI S. BENEDETTO
Inquadramento storico
Lunga e tormentata è la storia del Monastero di S. Benedetto, che
prende avvio da un legato testamentario di diversi beni di una
nobildonna massafrese, donna Maddalena Capreoli, in data 30
Novembre 1679 in favore di suo zio canonico Francesco Paolo
Capreoli, per la fondazione di un monastero femminile.
…….
Fig. 32 - Stemma Imperiali-Capreoli
……..
I lavori furono interrotti per mancanza di fondi, poiché i prezzi
aumentarono per la lentezza dei lavori causata dalla scarsità
d’acqua, ma in seguito ripresero grazie all’impulso dato da don
Michele Imperiali, nipote del primo don Michele e finalmente nel
1735 si ebbe la dedicazione della Chiesa, come è riportato sulla
base della croce in ferro battuto posta sulla sommità della
facciata14 e nel 1744 i lavori furono definitivamente completati.
Nello stesso anno il Monastero fu aperto alle suore benedettine di
clausura. Prima badessa fu donna Maria Lucia Idria Caracciolo,
nipote del Marchese Caracciolo di Martina, cui si unirono come
cofondatrici donna Emilia De Carlo e donna Marietta Amati
ambedue di Massafra; in seguito entrarono altre 13 suore e le
educande.
Nel 1825 nel Monastero risiedevano 14 monache professe di
clausura, 1 novizia, 7 educande, 2 oblate e 5 converse.
Sul mosaico ad intarsio alla base dell’Altare Maggiore, sullo
stemma di Massafra, è riportata la data del 1770.
…….
Composto da un grande corpo di fabbrica con ingresso a portale
ad arco tondo su via Fanelli, si sviluppa su due livelli intorno ad
un giardino con chiostro e pozzo centrale coperto e colonnato e
comprende un giardino alberato sul lato Sud. La superficie
destinata dai Capreoli al Monastero era originariamente di 5.000
mq.
Come raffigurato sul fianco di una spinetta intarsiata, passata
misteriosamente in mani private e venduta ad un antiquario 15, il
Monastero, fino alla 2a metà del ‘700, si affacciava direttamente
sull’antica Piazza S. Antonio, oggi Garibaldi, preceduto da un
giardino esterno chiuso con cancello in ferro. In seguito, venduto
il giardino esterno a privati, la superficie del Monastero fu ridotta
a 3.360 mq, deducendo le strade, i piazzali e l’area degli edifici
oggi di proprietà Spadaro, Vinci, Colucci, Zanframundo.
Materiali
……
Fig. 33 - Pavimentazione del coro
……..
Fig. 34 - Tavole di tomba
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7. SOTTERRANEI DEL MONASTERO DI S. BENEDETTO
Aperta una botola nella porta murata ad Est del locale magazzino
del Monastero, negli anni ’90 fu esplorato dall’auto-re il
complesso sotterraneo annesso al Monastero, con l’aiuto di
lampade al carburo, trovando un collegamento con l’attiguo
complesso sotterraneo sotto il palazzo Spadaro, sul lato Ovest di
Piazza Garibaldi.
Fig. 35 - Ingresso ai sotterranei di S. Benedetto
………
Questa cisterna era in origine la neviera annessa al Monastero, di
cui parla E. Jacovelli16.
La grande piramide ha le stesse caratteristiche dell’altra limitrofa,
sotto la Torre dell’Orologio: stessa forma, stesse dimensioni,
stessa finitura delle pareti, probabilmente fu costruita dalle stesse
maestranze.
Fig. 36 - Resti del coro ligneo della Chiesa di S. Rocco
………
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8. POZZO NEL CHIOSTRO DEL MONASTERO DI S.
BENEDETTO
Il pozzo centrale del Chiostro fu oggetto di ricognizioni da parte
dell’autore nel mese di luglio 1998. Con l’aiuto della scala
speleologica fu possibile scendere nel pozzo ed eseguire i rilievi
della forma e delle dimensioni. La calata verticale dal boccapozzo
fa arrivare direttamente su un cumulo conico di detriti e macerie
alto circa 1,5 m e largo alla base più di 2 m, poi, superato questo,
si raggiunge il fondo del pozzo a forma quasi rettangolare delle
dimensioni di 17,80 x 9,65 m.
…….
Fig. 37 - Rilievo del pozzo nel chiostro di S. Benedetto
Sul piano di fondo è ricavata centralmente una vasca
parallelepipeda di 11,40 x 3,50 m e profonda 1 m, piena d’acqua,
che quindi risulta circondata da un camminamento largo circa 3
m.
Lungo questo camminamento, asciutto all’epoca dell’esplorazione, si trovano a ridosso delle pareti e frammisti a fango e
sabbia, qualche secchio, frammenti di recipienti ceramici per
acqua e diversi gavettini e gavette militari in alluminio, testimoni
dello stanziamento nel Monastero di guarnigioni militari.
………..
Si gridò al miracolo, ma, molto probabilmente, il secchio,
scivolato sul cumulo di detriti, andò a finire nella vasca centrale,
ancora piena d’acqua.
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9. CRIPTE DELLA CHIESA DI S. TOMA
L’antica Chiesa di S. Toma cominciò ad essere oggetto di visite
da parte dell’autore da quando, diversi anni fa, furono ripresi i
lavori di rifacimento del pavimento per riaprire il luogo al
tradizionale culto religioso.
Da un piccolo vano dietro all’Altare della Chiesa, che era la
sagrestia, attraverso una scaletta, si raggiungeva il terrazzo di
copertura, da cui si poteva vedere ciò che sta dietro e di fianco
alla Chiesa.
Si scorgeva la linea dei fabbricati costruiti sulla cinta muraria
dell’antica Massafra medievale, le due torri, in una delle quali fu
ricavata, appunto, la sagrestia della Chiesa, il fossato di
protezione delle mura, successivamente utilizzato dai Mulini
baronali, previa copertura con volta a botte in conci di tufo,
attualmente a tratti crollata e, oltre il fossato, verso Nord, il
giardino Lamanna.
Fig. 38 - Planimetria di S. Toma
Quando, in seguito allo svellimento del pavimento della Chiesa,
fu scoperta, fra l’altro, la scaletta di accesso al piano sotterraneo e
dopo la pulizia e la bonifica delle cripte sotterranee sottostanti
all’Altare, fu possibile raggiungere dai sotterranei della Chiesa il
fossato retrostante, attraverso uno stretto cunicolo.
Fig. 39 - Torre della cinta muraria
Il fossato è lungo circa 80 m, collegando Via Muro con Via La
Terra, nelle immediate vicinanze del Castello, e largo 4-5 m tra il
giardino Lamanna e la fila di case costruite sul tratto di cinta
muraria.
……..
Data la privilegiata ubicazione della Chiesa in pieno centro
storico di Massafra, si potrebbe utilizzare il fossato come galleria
per mostre, esposizioni, come sede di Ufficio turistico, come
percorso attrezzato per collegare il Castello con l’altro importante
nucleo del centro storico ad occidente di Via Muro, previa
bonifica dei luoghi, rifacimento delle volte e delle pareti.
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10. CASTELLO MEDIEVALE
Inquadramento storico
La storia del Castello coincide con la storia di Massafra
medievale, in quanto esso è stato la sede del potere militare e
civile della Città nel periodo medievale. L’origine del Castello
medievale di Massafra si perde nella notte dei tempi, molto
probabilmente risale ad un imprecisato periodo tra la
dominazione longobarda e quella bizantina, ma la sua presenza
come sede del governo bizantino è attestata per la prima volta in
un documento conservato nell’abbazia di Montecassino risalente
al X secolo. Nell’XI sec. il Castello fu tolto ai greci dal saraceno
Raica17, aiutato da Saphari di Crito (o Caphare de Crito). Sempre
nell’XI sec. Massafra, insieme con Mottola e Castellaneta,
apparteneva al feudo di Riccardo Senescalco; successivamente
passò ai D’Angiò e da questi ceduta ad Oddone di Soliac.
…….
Fig. 40 - Planimetria del Castello
Ad Artusio succedettero il figlio Francesco e poi Alfonso. Nel
1600 il feudo di Massafra appartenne al Principe Don Arturo (o
Artusio) Pappacoda, che lo aveva comprato per 60.000 ducati.
Nel 1633 Celidonia Pappacoda in un codicillo al testamento cede
Massafra ai Carmignano. Alessandro Carmignano, figlio di
Camillo Carmignano e di Donna Felice Pappacoda, acquista la
Terra di Massafra. Nel 1635 Alessandro Carmignano cede il
feudo a tale Giuseppe Antonio De Vino.
Nel 1636 Don Michelino Imperiali, grande di Spagna, nipote del
Cardinale Lorenzo Imperiali, compra la Terra di Massafra con il
titolo di Principe di Francavilla.
……..
Fig. 41 - Stemma degli Imperiali
Oggetto di diversi sopralluoghi conoscitivi, il Castello è stato più
volte visitato dall’autore ancor prima dell’inizio dei lavori di
restauro, realizzati su progetto del prof. arch. Mauro Civita.
Riporto integralmente (in corsivo) una mia relazione redatta sullo
stato del Castello medievale negli anni ’90 ed inviata al Sindaco
di Massafra ed al Sovrintendente ai Beni AAAS di Bari, per
sollecitare gli interventi più urgenti per la salvaguardia e la
conservazione di quello che rimaneva del superbo e maestoso
Castello di Massafra, pubblicata sul Corriere del Giorno del
24.02.94 in un articolo di Nino Bellinvia.
……….
………..
Fig. 42 - Pianta e sezioni della celletta di preghiera
Cripta sotto la Chiesa di S. Lorenzo
Sotto la cappella dedicata a S. Lorenzo martire annessa al
Castello, esiste una Cripta la cui importanza andrebbe rivalutata
alla luce di uno studio sistematico sulle emergenze religiose del
tempo.
Essa viene indicata tradizionalmente come neviera annessa al
Castello, per la presenza di botole sulla copertura e per la sua
collocazione sotterranea, ma il confronto con altre neviere porta
sicuramente ad escludere che la Cripta potesse essere nata per tale
uso.
L’esame della Cripta non porta a conclusioni certe circa
l’originaria funzione di essa, perché i successivi interventi e
riadattamenti della stessa da parte dei Pappacoda, poi degli
Imperiali, hanno distrutto quelli che potevano essere indizi
preziosi sulla sua destinazione originaria.
Ma da un’attenta osservazione delle fattezze accurate delle pareti
e delle volte, dall’orientamento della parte più interna della
Cripta, dalla presenza di finti pilastri (lesene) sulle pareti, si
potrebbe congetturare che essa in origine dovesse essere un luogo
sacro.
……….
Fig. 43 - Ingresso della Cripta sotto S. Lorenzo
Fig. 44 - Interno della Cripta sotto S. Lorenzo
……
La bonifica e la messa in sicurezza di questi locali potrebbero
permettere la completa esplorazione dei sotterranei del Castello e
portare importanti risultati, come, fra l’altro, l’individuazione
della galleria che collegherebbe il Castello con la Masseria di
Patemisco, secondo la tradizione orale.
Pozzo nel piazzale esterno
Al centro del piazzale meridionale esterno esisteva un pozzo con
copertura sostenuta da quattro colonnine, oggi visibile solo su
qualche vecchia fotografia. Scavato nella roccia del piazzale, di
pianta rettangolare di dimensioni 10x8 m, riceveva le acque
piovane del cortile, delle coperture e della rampa del Castello,
previa opportuna filtrazione e decantazione. Da un’ispezione sul
fondo fatta dall’autore negli anni ’90, non è emersa alcuna
rilevanza né sul fondo né sulle pareti. Attualmente è coperto e
sepolto sotto la pavimentazione del piazzale.
Prigioni
……….
Come tutti i castelli, anche quello di Massafra aveva le sue
carceri, per detenere coloro che dovevano scontare la pena per i
vari reati nei confronti del feudatario o del barone18 o per motivi
militari. La sede più antica delle carceri era nel torrione sud-ovest
del castello19, poi dovette essere trasferita a ridosso della cortina
settentrionale del castello, da cui era separata da uno stretto
camminamento, al di sotto della rampa che immette nel cortile
centrale. Attualmente è raggiungibile dalla scalinata che scende
direttamente da Via Lo Pizzo20.
…….
Fig. 45 - Vista esterna delle antiche prigioni
Fig. 46 - Interno delle antiche prigioni
……..
Questo edificio è stato adibito a prigione feudale fino alla morte
dello Zuccaretti, mentre le carceri pubbliche rimasero annesse al
Fig. 47 - Le prigioni su Via La Terra
vecchio Municipio in Via La Liscia fino al XIX sec., quando
furono trasferite nel Nuovo Borgo, sul lungovalle Niccolò Andria,
di fronte alla Chiesa del Carmine. Ne troviamo traccia in un
episodio che risale alla prima metà dell’800, quando viveva
stabilmente nel Castello Michelangelo Zuccaretti, napoletano, che
vi morì il 15 Maggio 1859. A proposito di questo personaggio,
del quale ho dato alcuni cenni nel capitolo della Masseria di
Patemisco, il prof. R. Grippa racconta nel suo libro 21 con molti
curiosi dettagli le vicende legate alla sua morte ed alcuni bozzetti
di vita, per delineare il suo carattere di uomo di potere,
puntiglioso, severo, arcigno, scontroso, ma anche, in punto di
morte, di persona benefica. L’episodio che riguarda le prigioni, in
cui erano detenuti anche coloro che venivano condannati per
piccoli reati e per insolvenza di piccoli debiti nei confronti dello
Zuccaretti, ha per protagonisti, appunto, lo Zuccaretti e un certo
Giovanni Satalia, capomastro. Riporto integralmente il passo del
Grippa.
……….
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11. CHIESA DEI SS. PIETRO E PAOLO
Inquadramento storico
La Chiesa rupestre di S. Pietro e Paolo è ubicata nel fondo della
Gravina S. Marco, ai piedi del Castello medievale.
Ormai completamente dimenticata e sconosciuta quasi da tutti,
cancellati quasi completamente i caratteri di luogo sacro per
essere stata nel ‘500 riusata come trappeto, essa fu una tra le
Chiese più importanti del centro medievale di Massafra, stretto
intorno al Castello. Infatti, diede nome al Pittagio circostante, ai
piedi del Castello, chiamato, appunto, Pittagio di San Pietro e
Paolo fino al '700.
Fig. 48 - Planimetria SS. Pietro e Paolo
……….
I luoghi
La Chiesa è stata oggetto di mie visite e ricognizioni in diverse
occasioni, ma nel 1998 ho eseguito rilievi metrici e fotografici. Fu
anche da me redatta una relazione sullo stato dei luoghi che qui
riporto integralmente.
Nel mese di luglio 1998 fu eseguita dal sottoscritto una prima
visita ricognitiva nel complesso di locali siti in Gravina San
Marco che un tempo ospitavano un frantoio oleario, attivo dalla
fine del '500 fino a una trentina di anni fa, allo scopo di fare
rilievi e di ricostruire l’attività che ivi si svolgeva. Ma, una volta
sul posto, abbiamo trovato tanti altri elementi che ci hanno fatto
allargare le indagini anche all’aspetto religioso che il luogo
doveva rivestire una volta.
Fig. 49 - Planimetria schematica del complesso di S. Pietro
……..
Pertanto, si potrebbe ricostruire la dinamica evolutiva del
complesso ipotizzando che originariamente esisteva la Chiesa dei
SS. Pietro e Paolo composta dalle sole due navate parallele e
successivamente ampliata con il vano ad Est, che poteva servire
come Sagrestia o come sala per riunioni; nel '500 quando la
Chiesa fu trasformata in trappeto, furono apportate modifiche
sulle pareti delle due navate ed al vano annesso mediante
escavazione delle pareti posteriori.
La Chiesa
A pianta rettangolare, con le due navate parallele affiancate
separate da una parete in roccia tufacea, la Chiesa rupestre
presenta sulle pareti ancora diverse nicchie che dovevano
probabilmente contenere degli affreschi, ma ormai è priva di
qualsiasi elemento iconografico.
……….
Ma leggendo più attentamente la volta di copertura e le aree
parietali rimaste inalterate, si scopre quello che doveva essere la
cripta: un luogo di culto, un’altra navata, coeva con la prima.
Sono state distrutte le nicchie sacre e tutti i particolari originali sia
sulle pareti, sia sulle volte di copertura, completamente ripulite e
parzialmente modificate per l’uso cui il vano fu successivamente
destinato. Essa è suddivisa in due locali: uno anteriore con volta a
vele e rifiniture accurate, presenta sulle pareti grandi nicchie che
dovevano ospitare icone sacre.
Proprio su quella che oggi è la porta di accesso alla terza grande
grotta è ancora ben visibile un grande arcosolio, che poteva essere
la parte superiore di una nicchia contenente una grande icona,
oppure l'abside di un altare, rivolto ad Est, secondo i canoni
costruttivi delle Chiese bizantine e pertanto destinato ad
accogliere l’altare principale. La parete dell’abside risulta tagliata,
evidentemente per permettere il passaggio ed il collegamento con
la terza grotta, quando il sito fu trasformato in trappeto.
Invece, il locale posteriore, rettangolare, non presenta particolari
riferibili al culto.
……….
A questo proposito, è interessante il particolare che in un affresco
rinvenuto nella muratura a Sud del Castello medievale nella
celletta di preghiera dell'epoca dei Carmignano (1641), è
raffigurata una scena in cui è rappresentato il Castello con le
vicinanze dell'epoca e sullo sfondo si vede un fiume (la Gravina
S. Marco), sulle cui acque saltellano dei pesci. A tal riguardo, ora
è meglio parlare al passato, perché successivamente alla visita
effettuata alla celletta (1992), essa risultò irrimediabilmente e
gravemente deturpata per mano di vandali incoscienti, come ora è
possibile vedere.
Di ciò fu data notizia all'Amministrazione comunale di Massafra
e al Sovrintendente ai Beni AAAS di Bari, trasmettendo nel 1993
una mia relazione.
Il trappeto
……….
Testimonianza della presenza e dell’attività del frantoio sono
riportate nei libri di storia locale, come in E. Jacovelli, Massafra
nel sec. XVII, da cui si estrae il brano che riporta la cronaca di una
grande alluvione, ricavata dal "Libro dei Battezzati", vol. 3° (c.
168 v.).
Il giorno XXIX del mese di novembre 1603, vigilia di S. Andrea,
sabato, la Gravina della Terra di Massafra inondò per grande
quantità di acqua verso le undici e invase tutte le case più basse di
detta Gravina, con grandissima perdita di beni, case, affogati, e
invase i centimuli o trappeti della curia baronale, da cui fu
riempita la casa dell’Ospedale sottostante, e da questa il trappeto
di Marino Lupoli presso la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo: in
questo trappeto perse molto olio il R. Priore Valeriano Riccis. Per
altri danni non scritti in questa memoria e per la terribile paura,
Francesca, moglie di Angelillo de Sasso partorì Leonardo
Antonio e Grazia. Nell’ottavo giorno, poi, che fu il 6 dicembre,
festa di S. Nicola, nella stessa ora in cui la Gravina inondò, una
parte della stessa Gravina, dove si chiama di S. Biagio, ci fu una
frana minacciando rovina; verso le ore 14, precipitò e distrusse
dieci case, e perirono quattro uomini; due uscirono illesi, uno
dalle pentime che cadevano, ed una donna non uscita dalla casa
che minacciava rovina. Tutto questo, perché rimanga memoria,
scrisse don Leonardo Scarano.
Evidentemente, nel 1600, lì esistevano due trappeti separati, uno
nella Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, dei baroni Francesco o
Maurizio Milon di Véraillon ed uno nella grotta contigua di
Marino Lupoli, probabilmente in seguito uniti in un unico grande
trappeto.
Il Cimitero
Anche in questa occasione, per descrivere il Cimitero, riporto una
mia relazione redatta all’epoca dei rilievi.
“Rimossi un paio di tufi e aperta una piccola breccia nella parete
di chiusura sulla quale è visibile un arcosolio ricavato nella
roccia, è stato possibile ispezionare la grotta.
…….
Oltre questo muro, è stato ispezionato un vasto ambiente quasi
completamente pieno di materiale terroso fine, pezzi di conci di
tufo, frammisti a pezzi di ossa umane, tutti all’apparenza
provenienti da frane, crolli o simili eventi.
Il corridoio porta in fondo ad un piccolo vano; i pavimenti del
corridoio e del vano sono ricoperti di resti umani, ormai
consumati dal tempo, di pezzi di tavole di legno decomposto, di
resti di vestiti, per uno spessore medio di circa 80 cm. Nello
spigolo ad Est del soffitto del vano si apre una botola, che
immette in un’altra grotta a livello superiore delle dimensioni di
circa metri 4,5x3,5 e dell'altezza di circa 2,2 metri, le cui pareti
contengono numerosissimi fori e diverse nicchie, tra cui si
evidenziano le due più grandi a calotta (o arcosolio, che
simboleggia il cielo), una sulla parete a Nord-Est ed una su quella
ad Sud-Est, dove è stato trovato un piccolo teschio,
evidentemente appartenuto ad un bambino. Sulla parete a Sud si
apre nella roccia una porta, chiusa con conci di tufo arrotondati
come il muro precedente ma senza malta e come questo serve da
contenimento dello stesso materiale terroso fine che è possibile
intravedere.
Fig. 50 - Rilievo della cripta sotto la Chiesa dell’Annunziata
Da questa grotta partono due scalinate: una piccola sullo spigolo a
……….
Fig. 51 - Chiesa di S. Pietro e Paolo. Ingresso
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12. CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA
Inquadramento storico
La Chiesa fu costruita (Portararo) nel 1510 sulle case del Signor
Nicola Rotondo, comprate dal Sig. Michele Berardi, con
autorizzazione del Vescovo di Mottola22, ai tempi del barone
Artusio Pappacoda.
Era una chiesetta a una sola navata a due campate molto semplice
nel disegno e negli ornamenti interni ed esterni, aveva un piccolo
campanile senza molte decorazioni e serviva da Statio per le
funzioni religiose che si celebravano nella vicina e più grande
Chiesa Madre. Costeggiava l’antica Via Lo Pizzo, che aveva
inizio sulla prima curva di Via La Terra e, lungo il fianco
orientale del Castello medievale, inerpicandosi sul fianco della
Gravina, conduceva sul borgo nuovo, l’attuale Piazza Garibaldi.
Vi era un solo altare dedicato alla Vergine ed una "sepoltura"23.
Alla Cappella erano annesse due camere, di cui una con copertura
“a cannizzo” posta sulla Sagrestia, per abitazione del sagrestano,
dove abitarono dal 1656 i Frati Gian Pietro Lazzàro da Conza
(Lombardia) e Giovanni Sisto da Noci (Bari), che avevano scelto
la vita eremitica e che ebbero in cura la Cappella. Questi si
interessarono, successivamente, anche della costruzione della
Chiesa di San Rocco e del Convento dei Rocchettini neri o Frati
Minori conventuali, in una zona fuori le mura civiche, vicino al
"Pozzo vivo".
……
Nell’occasione furono rinvenuti nel muro a Nord, l’unico relitto
della Chiesa, su pitture precedenti (palinsesto), due affreschi
riferiti al sec. XVI: una Madonna con Bambino e un San
Leonardo alle catene. I dipinti furono racchiusi in una nicchia in
muratura a cura della Soprintendenza delle Opere di Antichità e
d’Arte della Puglia, ma oggi distrutti.
I luoghi
I vani esplorati oltre alla porta murata del frantoio di cui alla
scheda precedente dovevano appartenere alla Cappella
dell’Annunziata; infatti essi costituivano un luogo per la sepoltura
dei morti, con accesso unicamente dalla scalinata grande sopra
descritta con ingresso dalla Chiesa dell’Annunziata, mentre l’altra
scalinata, ripida, molto stretta e poco praticabile, doveva condurre
ad una "luce", ad un lucernario, che si doveva affacciare
all’esterno sulla Gravina, fuori del perimetro della Chiesa, per
assicurare il minimo di areazione ai locali sottostanti.
Evidentemente, quello che il Ladiana definiva "sepoltura" altro
non era che la botola terragna, il passaggio da cui si poteva
accedere nei "sotterranei" della Chiesa (come aveva descritto
Jacovelli dopo aver osservato i luoghi), che sono i vani da noi
esplorati e prima descritti, articolati nei due livelli.
Nella stanzetta al primo livello venivano deposti i defunti
(deposizione primaria), i cui resti poi, una volta consumati,
venivano riversati, attraverso la seconda botola, nel sottostante
vano e nel corridoio, al secondo livello, che funzionavano quindi
da fossa comune, da carnara (deposizione secondaria).
……..
Da allora, chiuso l’accesso alla grotta, i figli l'hanno tenuta in
consegna morale e continuano a tenerla in custodia con grande
venerazione, proprio come un grande tesoro.
Sarebbe opportuno che tutte queste "Opere", tutti questi reperti
che fanno parte della vita di Massafra antica, vengano acquisiti al
patrimonio collettivo, per poter essere meglio studiati, bonificati,
restaurati e posti nelle condizioni di essere usufruiti da tutti,
opportunamente tutelati e protetti.
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13. CRIPTA E IPOGEI SOTTO LA CHIESA MADRE
Costruita su un’antica Chiesa rupestre dedicata a S. Lorenzo 24
risalente al sec. X, rilevata e studiata dal prof. R. Caprara nel
199425, residuata nel solo bema con un’abside e due nicchiette
laterali, la Chiesa Madre o Collegiata di S. Lorenzo è stata per
secoli la Chiesa più importante nella Massafra medievale e prerinascimentale, sviluppatasi intorno e ai piedi del Castello
medievale. Controversa è la datazione della sua origine: secondo
alcuni autori26 essa sarebbe sorta nel sec. XVI, quando Alfonso
Pappacoda donò al clero un fortino annesso al Castello costruito o
ristrutturato da Francesco Pappacoda nel 1533, perché l’antica
Chiesa di S. Maria de Platea (ancora non localizzata) sede del
Capitolo collegiale, era fatiscente ed ormai “assai meschina”.
Secondo R. Caprara, invece, la Chiesa è molto più antica,
risalirebbe al XII o XIII sec. e comunque esisteva come
Parrocchia almeno dal 1359, quando diventò sede dell’Insigne
Collegiata27.
……….
Fig. 52 - Planimetria Chiesa Madre
Quando, negli anni ’80, fui chiamato dall’imprenditore che
doveva eseguire i lavori di ripristino della pavimentazione del
presbiterio e che per caso scoprì nell’angolo Nord-Ovest un foro
che faceva affacciare in un grande locale sotterraneo che non si
riusciva ad illuminare completamente con le lampade, ebbi
l’occasione di visitare gli ipogei sottostanti al presbiterio della
Chiesa subdiale.
……….
Dopo che sono stati scoperti gli affreschi rinascimentali sulle
pareti interne della Chiesa nella parte subdiale, ancora molto
rimane da scoprire e studiare di questo sacro luogo, sia
all’interno, sotto l’invaso della Chiesa, sia all’esterno, sotto i
piazzali esterni, sotto Via La Liscia, prospiciente all’entrata
principale e nei siti viciniori.
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14. SOTTERRANEI DEL CONVENTO DI S. AGOSTINO
Per iniziativa di Francesco Pappacoda, Signore del feudo di
Massafra, su un suo lotto di terreno denominato “Pozzo Nuovo”,
il 17 Agosto 1560 iniziarono i lavori di costruzione di una
Chiesetta, di un Convento e di alcuni vani destinati a ricoverare
gli ammalati poveri, sotto il titolo di S. Stefano28.
Fig. 53 - Planimetria S. Agostino
…….
Nel refettorio al piano terra è ancora possibile ammirare un
affresco dell’ultima cena di modesta fattura. Sull’architrave della
porta d’ingresso si legge a malapena la frase latina:
QUISQVIS AMAT DICTIS ABSENTVM RODERE VITAM
HANC MENSAM INDIGNAM NOVERIT ESSE SVAM
CHI SI DILETTA A RODERE CON LE PAROLE LA VITA DEGLI ALTRI
ASSENTI,
SI ACCORGERÀ DI ESSERE INDEGNO
DI QUESTA MENSA.
Fig. 54 - Pittura murale dell’Ultima Cena
Successivamente alla soppressione, dal 1896 il Convento ospitò
uno stabilimento industriale per la produzione di energia elettrica.
………
………..
Fig. 55 – Il Convento e la Chiesa in una cartolina d’epoca
Risalgono agli anni ‘90 le prime ricognizioni all’immenso
complesso monastico che ho potuto effettuare, quando era alla
completa mercé di vandali accaniti distruttori perfino dell’Altare
maggiore della Chiesa.
…………
-----
Fig. 56 - Graffiti nel torrino campanario
Particolare attenzione fu riservata alla ricerca del collegamento
con il cunicolo che si dipartiva dal Mulino Spadaro dirigendosi,
sotto la S.S. Appia, verso Nord, appunto, verso il Convento.
…….
Sarebbe quanto meno auspicabile oltre che necessario trovare un
uso dignitoso per questo pregevole, ampio ed articolato
complesso monastico, fra l’altro in ottime condizioni statiche, per
salvarlo dal degrado e dall’abbandono.
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15. SOTTERRANEI CONVENTO DEI CAPPUCCINI
Inquadramento storico
La storia del Convento dei Cappuccini e dell’annessa Chiesa
intitolata alla Madonna degli Angeli parte da una felice
convergenza di intenti di diverse persone che vollero tutte in
Massafra un Convento dei frati Cappuccini. La domanda del
158029 del Generale dell’Ordine dei Frati Cappuccini al Vescovo
di Mottola Mons. Jacopo Micheli di fondare in Massafra un
convento dell’ordine che presiedeva fu subito accolta, anche
perché “sponsorizzata” da Alfonso Pappacoda30, Barone di
Massafra.
……..
Fig. 57 - Planimetria Cappuccini
Fu scelto come sito di impianto un appezzamento di terreno in
località “Colomba”, parte della proprietà del canonico D. Michele
Curti, Primicerio del Capitolo di Massafra, dove esisteva una
cappella dedicata a S. Felice, che lo cedette in cambio di un
compenso annuo di 35 carlini e del diritto di sepoltura per sé e per
i suoi familiari fino alla terza generazione. Nello stesso anno
furono iniziati i lavori e terminati nel 1585, completi del
Convento in cui si insediarono i Cappuccini nel 1584 e della
Chiesa. La Chiesa, dedicata alla Madonna degli Angeli,
presentava una facciata sobria priva di ornamenti e decori
secondo lo stile cappuccino, un ingresso con portale segnato da
una lunetta semicircolare. In origine era a navata unica con un
solo altare centrale e un coretto (Coro di Notte) con un organo a
parete su un transetto sopraelevato sull’ingresso. ……
La Chiesa invece continuò a essere officiata dal clero secolare
anche dopo la soppressione del Convento, continuò ad essere sede
della Confraternita di S. Filomena, ma fu chiusa nel 1941. I locali
del Convento prima destinati ad Ospedale Civile, poi occupati dai
militari, furono usati come posto di isolamento; negli anni del
colera 1910-11 furono adibiti a Lazzaretto, incendiati e rovinati
nel corso di una sommossa popolare. Dalle macerie fu salvata una
semplice Croce di legno che, collocata su un torrino in muratura
in prossimità dell’incrocio della Statale Appia, diede il nome alla
zona compresa tra l’Appia, il Convento e Via La Liscia.
…….
I luoghi
Dal crollo della Chiesa, il Convento e la Chiesa sono rimasti in
miserabile stato di abbandono, fino agli anni ’90, quando è stato
attuato un lodevole progetto di restauro conservativo e
migliorativo, che ha restituito alla comunità un complesso di
ambienti che possono essere destinati ad attività sociali, culturali,
didattiche, ricettive, turistiche. Intanto, sono ancora lì, il
Convento e la Chiesa restaurata ed aspettano di essere ancora utili
per Massafra, come lo sono stati per 300 anni, ma per ora non
hanno visto che incuria ed abbandono, tranne qualche sparuto
gruppo di curiosi visitatori che in quelle antiche fabbriche cercano
di conoscere le loro radici. Dei sotterranei esistenti sotto tutta
l’area del Convento e della Chiesa sono ancora aperti due ipogei
destinati a sepolture: uno nella restaurata navata laterale della
Chiesa ed un altro nella sagrestia.
…….
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16. CHIESA E CONVENTO DI S. ROCCO
……
Fig. 58 - Planimetria S. Rocco
Quando ancora esisteva il giardino dell’antico Convento di S.
Rocco, al lato della strada per Palagiano, furono da me eseguiti
nel 1994 alcuni sopralluoghi, avendo sentito che nello stesso si
stavano eseguendo lavori di sbancamento per l’insediamento di
un’attività di tipo industriale o di un deposito.
Qui di seguito, riporto uno stralcio di una mia lettera inviata al
Comune nel 1994 per segnalare i lavori che si stavano
intraprendendo e che avrebbero cancellato per sempre quello che
rimaneva dell’antico Convento.
Attualmente, acquistato dalla società CTS di Ariccia, è oggetto di
……….
Fig. 59 - Noria di S. Rocco
-----
Fig. 60 - Noria – Particolari
Il fabbricato è costruito in muratura su due livelli: il piano
superiore è composto di una stanza centrale più antica con
copertura a vele ornate con archetti in rilievo, affiancata da altre
due stanze più recenti, adibite ad abitazione; al livello inferiore si
trovano stanze adibite a stalla, magazzino e abitazione.
……..
Infine, sono state prelevate dal banco tufaceo perimetrale
risparmiato dallo scavo diverse conchiglie fossili del periodo
pleistocenico. Massafra, 24 Maggio 1994.
Inquadramento storico
Nell’occasione stesi anche una relazione per ricostruire la storia
del Convento, che riporto integralmente.
In occasione dell’ennesimo e forse definitivo colpo "di piccone",
ma oggi è più attuale dire "di ruspa", inferto dall’"uomo
moderno" alla memoria storica, costituita dai segni del passato, si
ritiene quanto meno doveroso riassumere ciò che è dato sapere
circa il Convento e la Chiesa di S. Rocco in Massafra.
…………
………
Fig. 61 - Bassorilievo del Pappacoda. 1564
Francesco Pappacoda morì nel 1576 o 1577, quando già la tomba
di famiglia si trovava nella Chiesa di S. Maria di Costantinopoli;
secondo la sua volontà, lì fu sepolto nella tomba terragna di
famiglia, chiusa dalla pietra tombale che egli aveva fatto
realizzare. In seguito alla demolizione della Chiesa (1929), la
lastra tombale fu murata nella facciata esterna della “Chiesa
Nuova”, sul lato di ingresso verso Nord del colonnato, dove
ancora oggi si trova. Con Regio Decreto del 7 Agosto 1809,
Giuseppe Napoleone Bonaparte soppresse gli Ordini religiosi
dotati di possedimenti e ricchezze. In forza del Decreto, a
Massafra furono soppressi gli Ordini dei Frati Minori Conventuali
e degli Agostiniani, mentre vi rimasero i Frati Minori di S.
Francesco, i Cappuccini e le Monache Benedettine. Dopo la
soppressione, i beni del Convento di S. Rocco furono incamerati
dal Demanio e poi venduti ai privati, rimanendo in stato di
abbandono. ……..
Il Gallo31 trovò l’epigrafe su lastre di marmo in pezzi nella Chiesa
di S. Maria di Costantinopoli e così la riportò lacunosa,
componendola secondo una sua interpretazione:
CONDITUR HOC TUMULO FRANCISCUS FAPPACODA
QUEM NOBIS GENEROSA DEDIT FER SAECULA
PROLES PAPPACUDA
R. TERRAE, REGIBUS
OLIM COELOEUMQUE IOVI
GRATISSIMA ALMA HOC
PIETATE SACRUM VIVENS VICTURUS IN OEVO EXTRUXIT
TEMPLUM SUB NOMINE ROCCHI
La ricostruzione interpretativa del Gallo non è convincente,
almeno per due motivi, primo perché con lo stesso nome
Francesco Pappacoda indica il defunto sepolto e il committente
del sarcofago, secondo perché commemora insieme la costruzione
di due realtà diverse, la tomba e il tempio di S. Rocco (costruita
nel 1537).
………
Secondo la storiografia disponibile, le spoglie dell’eroe furono
trasportate con i massimi onori da Otranto a Napoli, insieme con
quelle di moltissimi altri eroi napoletani32. Qui i Pappacoda
avevano dal 1415 la loro Cappella gentilizia di S. Giovanni, fatta
costruire da Artusio I su progetto del famoso abate pittore e
scultore Antonio Baboccio da Piperno, che ne realizzò anche il
portale sulla facciata.
Ma la persero nel 1496, quando il re Ferrante II, duca di Calabria,
per vendicarsi del tradimento di Troiano Pappacoda che aveva
partecipato alla Congiura dei Baroni, confiscò alla famiglia
Pappacoda sia il Palazzo di famiglia che la Cappella gentilizia,
donandoli a Fabrizio Corona.
Molto probabilmente, nel 1564 Francesco Pappacoda fece
costruire nella Chiesa di San Rocco la tomba di famiglia,
traslandovi da Napoli le ossa e le ceneri dei suoi antenati,
chiudendola con una nuova pietra tombale con bassorilievo.
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17. MOLINO A VAPORE SPADARO
Dalle notizie riportate dal Grippa si sa che questo opificio fu
costruito nel 1898 e fu alimentato con cavo sotterraneo dallo
stabilimento elettrico di S. Agostino, ma non è possibile desumere
se dopo l’incendio della Chiesa del 1899 sia rimasto connesso con
la centrale elettrica del convento o se sia stato alimentato da
impianto autonomo. Anche per questo sito, che ormai è stato
stravolto per l’esecuzione di recenti lavori che ne hanno
cancellato i caratteri originari di opificio, riporto quanto ebbi a
scrivere in occasione dei sopralluoghi effettuati nel 1997.
Fig. 62 - Planimetria del Molino Spadaro
Miracolosamente scampato alla furia distruttiva dell’uomo
moderno che si scatena sugli ormai pochi e miseri segni della
storia (antica e contemporanea) di Massafra, è ancora possibile
vedere a Sud della strada statale n. 7 "Appia", in corrispondenza
dell’incrocio per Chiatona, un vecchio edificio, che per diversi
decenni ha rappresentato per Massafra un solido punto di
riferimento e che sembra con la sua imponente ed importante
mole voler raccontare cose che forse anche ai ricercatori ed agli
studiosi di storia locale sono sembrate di poco conto.
Si tratta del "Molino a vapore Spadaro"33.
……..
Dal testo del Grippa, si ricava che “dopo qualche tempo” rispetto
al 1898 l’azienda fu rilevata da Spadaro (socio con i fratelli
Margherita), il quale continuò le attività di farinificio e di centrale
elettrica (con alimentazione autonoma) nello stabilimento a Sud
della strada statale.
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18. SANTUARIO DELLA MADONNA DI TUTTE LE GRAZIE
Il Santuario della Madonna di Tutte le Grazie è ubicato in
Massafra sullo spalto orientale della Gravina di Calitro (oggi della
Madonna della Scala), nella parte terminale a Sud di questa, in
località Capo di Gravina o La Maddalena. Vi si accede da Via
Muro, attraverso Via delle Forche, poco a Nord del Convento di
S. Agostino, oppure dal centro storico, da Via Andria, poi da Via
Santa Guida, attraverso una lunga scalinata.
…….
Fig. 63 - Facciata del Santuario Madonna di Tutte le Grazie
La Chiesa
La Chiesa propriamente detta, ad unica navata rettangolare, delle
dimensioni di circa metri 24 x 7, con asse in direzione Nord-Sud,
è suddivisa da un grande arco a tutto sesto nell’aula e nel
presbiterio, in corrispondenza del quale sono aperte due porte,
delle quali una dà accesso alla sagrestia ed una alla Cripta di S.
Eustachio.
……
Non si hanno notizie precise sulla data della costruzione della
Chiesa, sul progettista, sulle maestranze impiegate, né sul costo,
ma si sa che di certo essa fu costruita tra il 1649 ed il 1655,
regnante a Massafra la famiglia Carmignano34.
La prima data si riferisce ad un avvenimento miracoloso, riportato
in un manoscritto del Canonico Ignazio Maria de Sanguine del
1792, consegnato alla Curia Diocesana di Mottola.
Una graziosa fanciulla, di cui non è dato di conoscere il nome, si
trovava in una capanna di Bovi, in località "La Maddalena",
quando sentì dall’interno della grotta una Voce che la chiamava.
Inoltratasi nella grotta, trovò sotto un grandissimo masso di
pietra, un’immagine a pittura di Maria col suo Bambino Gesù.
La Voce allora parlò alla fanciulla, dicendole di riferire al
Vescovo che quel luogo era sotto la tutela della Madonna
effigiata, che voleva che lì fosse edificata una Chiesa e che se egli
non le avesse prestato ascolto, i cittadini di Massafra avrebbero
passato un gran pericolo.
Sentito il racconto dell’accaduto, il Vescovo, Monsignor
Tommaso d'Aquino, non diede ad esso grande peso né si curò di
dare subito corso a quanto gli era stato richiesto.
Si avverò allora quanto la Divina Madre aveva predetto; il 5
(prima Domenica) di Settembre del 1649 si abbatterono su
Massafra orribili tempeste, grandini, folgori, tuoni, terremoti ed
altre avversità, talché i Massafresi capirono di essere veramente
in pericolo.
In seguito a tutto ciò, il Vescovo volle ricevere la donzella e con
una grande processione con tutto il Clero, si recò sul luogo
indicato dalla giovane, dove trovò l’Effige della Madonna; ordinò
allora la costruzione della Chiesa in Suo onore, che fu subito
iniziata nello stesso luogo in cui sorgeva l’antica Cripta di S.
Eustachio, che fu perciò quasi interamente demolita.
……
Lo stesso Vescovo, protagonista e testimone del ritrovamento
dell'Effige della Madonna, espresse il desiderio di essere
seppellito in detta Cappella, dopo la sua morte, che avvenne il 21
Agosto 1651. Egli fu seppellito nella Chiesa cornu Epistolae (sul
lato della Lettura, a destra) dell’Altare Maggiore;
successivamente, nel 1669, a cura di Mons. Luigi La Quadra,
Vescovo di Mottola dal 1664 al 1695, fu fatto costruire un
mausoleo sormontato dallo stemma episcopale, con un distichon:
SARCHOPHAGO HOC PARVO THOMAS REQUIESCIT AQUINAS
QUEM LA QUADRA PIUS PONERE MOVIT AMOR - 1669..
_____
IN QUESTO PICCOLO SARCOFAGO RIPOSA TOMMASO AQUINO,
CHE (IL VESCOVO) LA QUADRA FECE COSTRUIRE, MOSSO DA PIO
AMORE. 1669.
Il mausoleo fu demolito e distrutto durante i lavori di restauro
della Cappella del 1954. Di esso alcuni frammenti sono
conservati nei resti della antica Cripta di S. Eustachio. Riferisce
D.P. Ladiana che “nel pavimento della Chiesa era una sepoltura
per i fedeli”.
…….
Grande dovette essere l’importanza e la fama della Madonna di
Massafra in tutta la Puglia, tanto che il Santuario fu meta di
continui pellegrinaggi, che giungevano anche dai paesi più
lontani, in virtù dei tantissimi miracoli e grazie che
continuamente la Madonna dispensava ai fedeli. La Madonna
meritò allora dal popolo il nome di "Madonna di Tutte le Grazie",
che derivò da un evento miracoloso che si verificò per molti anni:
da una piccola fonte35 sotto l’Effige della Madonna scaturiva
un'acqua miracolosa che guariva da ogni sorta di infermità e
malanno chiunque la bevesse o se ne cospargesse con fede la
parte malata.
I forestieri, prima di ripartire per i loro paesi, se ne rifornivano, in
modo che anche altri potessero avere la Grazia.
Notizie di Grazie ricevute dalla Madonna da massafresi e da
forestieri sono documentate nell’Archivio del Reverendo Capitolo
di Massafra, con sede nella Chiesa Matrice, giacché all’epoca la
Chiesa della Madonna di Tutte le Grazie era una filiale di detta
Chiesa Matrice.
La posizione del Santuario nella Gravina di Calitro o della
Maddalena suggerisce una funzione ed un’importanza legate ad
altre presenze nella zona.
……
Il Santuario doveva rappresentare per i condannati a morte
l’estrema occasione per chiedere alla Madonna l’inter-cessione
per la salvezza dell’anima; la medesima funzione doveva essere
stata assolta prima dalle Cripte di S. Eustachio e della Maddalena,
questa oggi di proprietà privata ed adibita a magazzino-deposito
di legna ed attrezzi.
Qui si radunava la gente per assistere all’esecuzione delle
sentenze capitali: dopo il rito religioso nella Chiesa per
l’intercessione della Grazia, il popolo seguiva il condannato, che
veniva condotto prima presso la "Pila del Boia", un masso di
roccia calcarea affiorante dal fondo della Gravina di Calitro e
contenente una conca sempre piena di acqua, dove, secondo la
leggenda, il reo veniva dissetato e dove il boia si lavava le mani e
poi sulla sommità della collina delle "Forche", dove veniva
compiuta l’esecuzione capitale, sotto gli occhi di tutti.
Fig. 64 - Il masso roccioso della Pila del Boia
…….
Fig. 65 - La collina delle Forche
Numerose dovettero essere tali esecuzioni, a giudicare dalle croci
incise sulla stessa Pila (secondo alcuni testimoni) e dalle notizie
documentate di impiccagioni, eseguite a Massafra negli anni
1623, 1637, 1647, 1648.
A conferma di ciò si riporta la dichiarazione di D. R. Colucci, il
quale, in un suo manoscritto inedito36, riferisce di aver raccolto
dal sig. Cosimo Chiefa, che abitava nella zona delle Forche sotto
le Colonne, la testimonianza che in occasione dello scavo delle
fondamenta di una sua costruzione, “mise alla luce una fossa
contenente molte ossa umane”. Molto probabilmente, i
condannati a morte, giustiziati sulla forca, venivano seppelliti
nella suddetta fossa comune.
La lapide
Nel presbiterio, in prossimità dell’Altare Maggiore, sulla parete a
sinistra, si trova affissa una lapide in pietra dura bianca su cui è
scolpito il seguente testo in latino:
KALENDIS OCTOBRIS MDCCL.
AD HONOREM DEI CUNCTA BONA MOVENTIS, VIRGINISQUE
MATRIS LAUDEM IUSSU SACRATI VIRI DONATI COLAMIA
MEDICINAE DOCTORIS EXIMII, VI. IDUS DECEMBRIS MDCCXLIX.
DEFUNCTI IN RELIGIONE ET PIETATE FIDELIS ET HUIUS SACRAE
AEDIS BENEFACTORIS PERPETUI, QUI INTER CAETERA PIE
LEGAVIT ETIAM EIUS TRIUM PRAEDIORUM SITORUM IN LOCIS
VULGO
DICTIS DEL PENNINELLO DELLA LAMA, ET DEMUM DI PATEMISCO
INTEGROS FRUCTUS, MUNDO DURANTE, QUOLIBET PRIMO DIE
DOMINICO CUIUSLIBET SEPTEMBRIS, IN QUO FESTUS B.M.V.
OMNIUM GRATIARUM RECOLITUR, NECESSARIO APPLICANDOS
PRO CELEBRATIONE
DECEM MISSARUM PLANARUM
IN EIUSDEM VIRGINIS ALTARI PRO ANIMA IPSIUS TESTATORIS,
CUIUS HIC OSSA REQUIESCUNT, AC PRO EMPTIONE XII. LIBRARUM
CERAE ALBAE, ET RELIQUUM PRO SACRA SUPPELLETTILI; ALIAS
PRO
ORNAMENTO ALTARIS, PROUT OMNIA EX TESTAMENTO XVI
KALEH. NOVEMB. MDCCXLIX MANU NOTARII MAURI ORONTII
DESANGUINE LIQUENT NOTARIUS IOSEPH BRUNETTI HAERES,
OBSEQUENDO, MONIMENTUM HOC POSUIT
__________
1° OTTOBRE 1750
AD ONORE DI DIO CHE MUOVE OGNI BENE
ED IN LODE DELLA VERGINE MADRE
PER VOLERE DEL SACERDOTE DONATO COLAMIA, ESIMIO
DOTTORE IN MEDICINA MORTO L’8 DICEMBRE 1749 FEDELE
NELLA RELIGIONE E NELLA PIETA' E PERPETUO BENEFATTORE DI
QUESTO SACRO TEMPIO, CHE TRA L’ALTRO PIAMENTE LASCIO'
PER TESTAMENTO, ANCHE L'USUFRUTTO PERPETUO DEI SUOI TRE
PODERI SITI NELLE LOCALITA' DETTE VOLGARMENTE "DEL
PENNINELLO", "DELLA LAMA" ED INFINE "DI PATEMISCO", DA
DEVOLVERE ESCLUSIVAMENTE PER LA CELEBRAZIONE DI DIECI
MESSE SOLENNI SULL’ALTARE DELLA VERGINE OGNI PRIMA
DOMENICA DI SETTEMBRE, IN CUI VIENE RISTABILITA
LA FESTA DELLA
B.M.V. DI TUTTE LE GRAZIE
PER L’ANIMA DELLO STESSO TESTATORE,
LE CUI OSSA QUI RIPOSANO,
E PER L’ACQUISTO DI 12 LIBBRE DI CERA BIANCA,
ED IL RESTO PER LE SACRE SUPPELLETTILI;
ALTRO PER L’ORNAMENTO DELL’ALTARE,
TUTTO COME E' CHIARITO NEL TESTAMENTO
DEL 17 OTTOBRE 1749
PER MANO DEL NOTAIO MAURO ORONZO DESANGUINE
IL NOTAIO GIUSEPPE BRUNETTI, EREDE, OSSERVANDO,
QUESTO MUNUMENTO POSE.
Dal testo si evince che esiste il lascito della rendita proveniente da
tre poderi, in località "Penninello", "Lama" e "Patemisco", da
impiegare esclusivamente per le messe in occasione della Festa
della Madonna, per l’ornamento dell’Altare e per l’acquisto delle
suppellettili varie.
……
La Cripta di S. Eustachio
L’antica Cripta di S. Eustachio, scavata nella roccia tufacea della
Gravina di Calitro, era orientata secondo i canoni delle chiese
orientali: l’asse principale aveva direzione Est-Ovest; l’Altare
doveva essere situato ad Est, in modo che l’Officiante ed i Fedeli
fossero rivolti verso l’Oriente, verso la Luce. Infatti, l’Oriente ha
sempre rappresentato la Luce, il Principio illuminante, la Vita,
mentre l’Occidente era la Morte, la fine del giorno e quindi della
Vita, la fine del Mondo.
………
Fig. 66 - Ingresso della Cripta di S. Eustachio
E' possibile osservarne i resti in un piccolo vano cui si accede
dalla porta a destra dell’Altare Maggiore della Chiesa (guardando
lo stesso), una volta murata e chiusa dal mausoleo del Vescovo
Tommaso D’Aquino; vi sono conservati alcuni frammenti lapidei
che facevano parte dell’ornamento della tomba del Vescovo,
ritrovati tra le macerie in fondo al pozzo.
La scalinata
L’attuale scalinata, che ha inizio da Via Santa Guida e mena al
Santuario dal lato Sud, fu sistemata alla fine del secolo scorso
(1898), come testimoniato da una lapide affissa sulla facciata
principale della Chiesa che, staccatasi, caduta al suolo e
frantumatasi, in seguito fu ritrovata tra le macerie, ricomposta
nella sua quasi totale integrità e conservata all’interno della
Chiesa. In detta lapide si legge:
LA PIETA' DEI FEDELI
ANIMATA DALLA RELIGIOSA CURA
DEI SIGNORI
ARCANGELO SPADARO
ORAZIO LUIGI ZANFRAMUNDO
LUIGI TINELLA
E NICOLA D'AGOSTINO
CHE DIRESSE L’OPERA
RINNOVO' QUESTA GRADINATA
RESA DA PIU' TEMPO
INUTILE E PERICOLOSA
ESEMPIO IMITABILE
E MEMORIA AI POSTERI
1898
…..
Il Cimitero
Sul retro della Chiesa, al lato Nord, sono state trovate due tombe,
scavate nella roccia tufacea del costone della Gravina, in un
terrazzo quasi pianeggiante, prive di lastre di chiusura.
……
La Confraternita dell’Annunziata
Alla stessa epoca della costruzione del Santuario risale la
costituzione della Confraternita della Madonna d’Ogni Grazia,
poi divenuta Confraternita dell’Annunziata.
……
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19. TERMINALE DEL TUNNEL DI PALAZZO GIANNOTTA
Un esempio di tunnel “difensivo” è stato individuato anni fa nel
costone orientale della Gravina di Calitro37, a circa cinquanta
metri a Nord del Santuario della Madonna di Tutte le Grazie.
Fig. 67 - Planimetria del tunnel
Si entra nel tunnel dalla Gravina attraverso un passaggio
rettangolare disagevole e molto stretto, in quanto doveva essere
sicuro e ben nascosto tra la vegetazione, delle dimensioni frontali
di circa 50x35 cm, prima strisciando, ma, appena entrati, dopo
circa 5 metri, si prosegue comodamente in piedi, scoprendo un
tunnel con le pareti accuratamente scavate, largo circa 1,5 metri
ed alto più di 2 metri.
……..
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20. POZZO S. PIETRO
Località: Pozzo S. Pietro
Coordinate geografiche, riferite all’ingresso:
Latitudine 40° 33’ 56,6” N
Longitudine 17° 06’ 34,2” E
Quota 33 m
…….
Fig. 68 - Planimetria del Pozzo S. Pietro
Per me, nato e vissuto in Massafra con genitori e nonni
massafresi, il Pozzo S. Pietro non fu una novità, quando, negli
anni ’90, ne feci oggetto di ricognizione e di rilievo.
Una forte curiosità mi spingeva ad esplorare da vicino quel Pozzo
che avevo visto sempre percorrendo la Strada S. Pietro-Palata,
che avevo sempre sentito indicare da mio padre come l’unica
fonte per tutti i contadini di acqua per la giornata e per abbeverare
i cavalli prima di recarsi in campagna e per i pastori per dissetare
le mandrie di pecore e di capre dopo il pascolo. Mia madre
ricorda che mio nonno, quando vi si fermava per riempire
l’acqua, sentiva suoni e rumori del paese salire dal fondo del
Pozzo.
Si diceva che, nonostante si emungesse acqua in continuazione,
non si seccasse mai, c’era sempre acqua fresca per tutti. Era un
pozzo perenne molto antico, alimentato da una falda o da un
condotto sotterraneo.
……
Fig. 69 - I resti del Pozzo S. Pietro oggi
…….
…….
Fig. 70 - Sezione schematica del Pozzo S.Pietro
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21. POZZO SALZO
Località: Gravina San Marco
Coordinate geografiche, riferite all’ingresso:
Latitudine 40° 35’ 11,4” N
Lungitudine 17° 06’ 41,4” E
Quota 57 m
Nel fondo valle della Gravina di S. Marco, ai piedi del Castello
Medievale, esiste, o meglio, esisteva, un pozzo indicato come
“Pozzo Salzo” o “Pozzo Salso”.
……..
A questo punto, non si può non richiamare il passo del “De
Antiquitate et varia tarentinorum fortuna” di G. Giovine38 che nel
lib. 2, cap. V “De AgroTarentino”, scrive:
“...& inde ad montem divi Heliae, tandem ad Potamiscum alterum
fluvium, qui occidentem respicit, & quo transitus est per saxa &
cuniculorum scopulos, per puteum, qui ab aque salsedine salsu
dicitur, & per Massafram oppidum ...”
“E di lì al Monte S. Elia, fino all’altro fiume Patemisco, che
guarda verso occidente, e che defluisce attraverso rocce e condotti
rocciosi sotterranei, attraverso un pozzo che per la salsedine
dell’acqua è detto “Pozzo Salso”, attraverso la città di Massafra ”
Da questo passo si evince che nel ‘500 era noto un collegamento
idrico sotterraneo tra la zona di S. Elia ed il fiume Patemisco,
attraversando la zona di Vallenza e la città di Massafra. Vallenza
è sede di una delle sorgenti più lontane dell’acquedotto
sotterraneo del Triglio, utilizzato fin dall’epoca greca e romana ed
ancora oggi attivo.
……..
L’acqua del Pozzo Salzo era nota per le sue proprietà
organolettiche (era leggermente effervescente) e terapeutiche. In
proposito, E. Jacovelli scrive:
“L’acqua aveva proprietà terapeutica per le malattie del fegato e
della vescica”.
La denominazione di “Pozzo Salzo” derivò dal nome con cui
venivano indicate le acque termali che contengono, in quantità
variabile ma preminente rispetto ad altri elementi, sali disciolti
che conferiscono loro le proprietà, per cui venivano dette acque
salse”39.
In occasione dell’alluvione del 2003, quando il fondo della
Gravina ai piedi del Castello fu invaso dal fango e dai detriti,
anche a causa dell’occlusione del sottopasso del Ponte La Liscia
(o Ponte della Zingara), durante i lavori di pulizia e di ripristino
del fondo valle, fu distrutto quello che rimaneva in superficie del
Pozzo. La ruspa adoperata per liberare il fondo della Gravina dal
fango e dai detriti trasportati dall’alluvione dell’8 Settembre
2003, cancellando il Pozzo, lasciò al suo posto una spianata.
Fig. 71 - Pozzo Salzo, cancellato dalla ruspa nel 2003
Fig. 72 - La Signora Maria Attorre
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22. MASSERIA DI PATEMISCO E CHIESA DI S. M. DELLA
CROCE
La Masseria di Patemisco, una volta pertinenza del Castello
medievale, sorge in prossimità delle sorgenti dell’omonimo
Fiume40, sede di un’antica Piscaria ed oggetto di una donazione
che Riccardo Senescalco, nipote di Roberto il Guiscardo, Signore
di Massafra, fece nel Gennaio 1081 insieme con la Chiesa di S.
Lucia, all’Abbazia di Cava dei Tirreni, come attestato dal
documento “de Donatione tertiae partis piscium Piscariae
Patemisci” 41.
…….
Tomba di Michelangelo Zuccaretti
La lapide indicava la presenza di un’altra realtà ipogea nella
Chiesa: la tomba di Michelangelo Zuccaretti. Infatti, subito
all’ingresso della Cappella, una lastra di pietra calcarea
parzialmente rotta in un angolo individuava l’ingresso nel
sepolcro che, rimossa delicatamente la lastra perché non si
rompesse ulteriormente, fu possibile visitare.
………
……..
Fig. 73 Pianta della Chiesa di S.M. della Croce
_______
Fig. 74 - Sezioni Chiesa di S.M. della Croce
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23. GROTTA CARSICA DI S. MICHELE
Località: Masseria Varcaturo
Coordinate geografiche, riferite all’ingresso:
Latitudine 40° 38’ 04,23” N
Longitudine 17° 07’ 46,68” E
Quota 282 m
Fig. 75 - Planimetria di S. Michele
A poche centinaia di metri a Nord della Masseria Varcaturo, dove
cominciano ad evidenziarsi i primi affioramenti del calcare di
Altamura, nascosta tra la bassa macchia a rosmarino, cisto e
stinco, a livello di campagna, si apre l’ingresso della grotta
indicata come Chiesa ipogea di S. Michele.
………
Fig. 76 - Ingresso della grotta di S. Michele
Fig. 77 - Interno della grotta di S. Michele
______
……..
Fig. 78 - Stalattiti e stalagmiti nella grotta di S. Michele
Fig. 79 - Resti di un probabile altare
Trattasi di una grotta carsica di dimensioni molto modeste cui si
accede da una rampa (dromos) ricavata nel calcare; superato il
dislivello di 3-4 metri si arriva in un ambiente dal fondo molto
impervio pieno di blocchi di pietra calcarea, di cui alcuni grandi,
squadrati ed allineati a formare un muretto basso -probabile
altare- e con le pareti ricoperte di concrezioni. Oltre il muretto si
presenta una traccia di voragine con l’imboccatura ostruita da
massi e detriti calcarei. Da questo primo ambiente, verso Sud, si
passa in un altro ambiente più interno, anch’esso impervio,
maggiormente concrezionato, che ospita gruppi di pipistrelli
Myotis Myotis.
……..
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24. GROTTA “MISTERIOSA” O GROTTONE DI S. ORONZO
Località: Masseria S. Oronzo
Latitudine 40° 34’ 45,6” N
Longitudine 17° 07’ 07,9” E
Quota 63 m
Fig. 80 - Planimetria S. Oronzo
Ad un centinaio di metri dalla Masseria S. Oronzo, verso Ovest,
sul primo gradone roccioso, nascosto da alte piante, si apre
l’ingresso di una grande grotta indicata come “Grotta
misteriosa”. Alcuni frammenti d’intonaco affrescato tra le
macerie che coprono la scalinata indicano la presenza di affreschi.
Infatti, osservando attentamente gli stipiti e l’arco della porta
d’ingresso, si notano tracce di cornici affrescate: sicuramente si
tratta di un luogo sacro, di un’antica Chiesa.
……….
Fig. 81 - Rilievo della Grotta Misteriosa
per g.c. Gruppo Speleo Statte
……..
Anche in questa grotta sacra bisogna intervenire con opere di
bonifica, bisognerebbe pianificare un adeguato studio
approfondito del fondo e delle pareti, per rilevare e decifrare i
tanti graffiti, per capire la sua vera destinazione.
Fig. 82 - Ingresso della “Grotta misteriosa”
nascosto tra la vegetazione
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25. ACQUEDOTTO SOTTERRANEO IN LOCALITÀ “PIETRA
PIZZUTA”
Località: Pietra Pizzuta, Mazzarelle
Latitudine 40° 34’ 44,2” N
Longitudine 17° 06’ 37,3” E
Quota 43 m
Sulla strada per Ferrara, subito dopo il passaggio a livello, in
località “Pietra Pizzuta”, sulla sinistra scendendo verso il mare,
all’epoca della costruzione della condotta idrica dal Sinni verso
Brindisi con asse Est-Ovest, fu intercettato e tagliato un condotto
sotterraneo scavato nella roccia, a profondità di circa 8 metri dal
livello di campagna, con asse Nord-Sud. Furono costruiti due
pozzetti in cemento con relativo chiusino, da cui era possibile
accedere ai due rami del condotto. …….
26. BUNKER DI CARRINO
Località: Masseria Carrino
Coordinate geografiche, riferite all’ingresso ad Ovest:
Latitudine 40° 34’ 10,99” N
Longitudine 17° 07’ 46,93” E
Quota 51,5 m
Fig. 83 - Planimetria di Carrino - S. Sergio
La zona di Carrino, contigua a S. Sergio, contiene numerosissimi
e importanti testimoni preistorici e storici, come antiche carraie,
una necropoli greca, oltre a grotte e cripte riferite ad epoche
diverse.
Sotto l’aspetto che qui interessa, è singolare l’insediamento
militare cosiddetto di Carrino, ormai dismesso e sgombrato dalla
Marina Militare.
Fig. 84 - Ingresso del Bunker
L’insediamento comprende un Bunker interamente scavato nel
primo gradone murgiano, protetto superiormente da uno strato
roccioso dello spessore di una ventina di metri, usato dalla Marina
Militare durante la seconda guerra mondiale come centro di
trasmissioni, deposito e centro di manutenzione di armi e mezzi
militari ed attivo fino agli anni ‘70. Si può raggiungere da Sud,
dalla Strada statale Appia oppure da Nord, dalla stradina che
costeggia la Masseria Masonghia. Si arriva nei pressi di un grande
insediamento, in parte fuori terra e in parte rupestre, chiuso dalla
Strada Statale da una sbarra.
Una volta entrati attraverso uno dei due ingressi, sotto i fasci di
luce delle torce elettriche appaiono immensi locali interamente
scavati nella roccia.
Fig. 85 - Tunnel principale del Bunker
………
Fig. 86 - Resti di un carro postale americano
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27. GROTTA DI MILLARTI
Località: Casino Millarti
Coordinate geografiche, riferite all’ingresso:
Latitudine 40° 35’ 42,8” N
Longitudine 17° 05’ 47,5” E
Quota 82,8 m
…….
Fig. 87 - Planimetria della zona Millarti
A circa 150 metri verso Nord-Ovest dalla Masseria Millarti (nota
localmente come Colombato di Sotto), sul costone orientale della
Gravina di Colombato, nascosta tra la vegetazione a macchia
mediterranea, si apre nella roccia calcarenitica un piccolo
passaggio triangolare dell’altezza di circa 1 metro: è l’ingresso
della grotta di Millarti.
Fig. 88 - Ingresso della grotta di Millarti
Si tratta di una grotta carsica, originata dall’allargamento di una
faglia verticale con direzione Nord-Sud, a sua volta generata dal
distacco e dislocazione di un grosso volume di roccia verso
Ovest, ossia verso la Gravina di Colombato. Superiormente, la
faglia, dello spessore medio di 50 cm, è riempita e sigillata con
terra rossa e ciottoli calcarei, per cui è perfettamente
impermeabilizzata.
…….
Fig. 89 - Apertura superiore di aerazione della grotta
La presenza, in corrispondenza dell’ingresso della grotta, di
alcuni frammenti di ceramica d’impasto grossolano di colore
bruno ricoperto con bolo rosso potrebbe riferire la grotta alla
Civiltà eneolitica di Laterza (III-II Millennio a.C.).
Fig. 90 - Frammento di ceramica di impasto grossolano
…….
Fig. 91 - Interno della grotta di Millarti
Fig. 92 - La faglia verticale riempita con terra rossa
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28. GROTTA CARSICA DI LEUCASPIDE
Località: Masseria di Leucaspide
Coordinate geografiche, riferite all’ingresso:
Latitudine 40° 32’ 35,5” N
Longitudine 17° 11’ 25,5” E
Quota 132 m
La Masseria di Leucaspide, oggi catastalmente in territorio di
Statte, è delimitata ad Est dalla omonima Gravina di Leucaspide,
in cui affiora il calcare di Altamura, la cui formazione risale al
Cretaceo superiore (circa 90 milioni di anni fa).
……
Fig. 93 - Panoramica della Masseria di Leucaspide
Fig. 94 - Ingresso della grotta di Leucaspide
Lo sviluppo complessivo di tutti i rami, principale e secondari,
tutto in orizzontale, è di circa 350 metri, per cui la visita completa
della grotta richiede almeno un paio d’ore.
………
In tutto il suo sviluppo la grotta si caratterizza per le bianchissime
pareti, cui deve il nome (dal greco leukos= bianco), dovute a
formazione e deposito di gesso, che, fino ad alcuni anni fa, era
presente sotto forma del caratteristico moonmilk o “latte di
monte”, una crema pastosa bianca simile alla calce.
La grotta si articola in tre corridoi, aperti in tre diaclasi che
evidenziano giunti di strato.
………
Sicuramente deve essere stato un luogo di culto primitivo.
Proseguendo nello stesso corridoio si notano sulle volte piccole
stalattiti simili a sigarette con stillicidio ancora in atto, su
concrezioni molto più antiche ed ormai opacizzate; le pareti sono
spesso ricoperte di cortine a lenzuolo o seghettate. La roccia
comincia ad essere fratturata, si comincia a trovare terra rossa
che, per la presenza di acqua stillata dal soffitto, diventa fango.
Nella terra rossa che forma le pareti di una grotta più interna,
sono inglobate grosse e bianche ossa di animali preistorici, lì
trasportati dall’acqua che defluiva nel condotto, già studiate dal
Gruppo Archeo Speleologico di Taranto nel 1978, ritenuti
appartenere a Bos primigenius Boj.
Fig. 95 - Stalattiti e stalagmiti nella grotta di Leucaspide
Superato un basso cunicolo, si arriva in un ambiente ricco di
concrezioni sulle pareti, di piccole ma numerosissime stalattiti e
stalagmiti. Arrivati in fondo, si palesa un vero spettacolo: ad
altezza d’uomo, una grotta completamente ricoperta di tubicini di
stalattiti sulla copertura e di stalagmiti sul fondo, non grande ma
di inaspettata bellezza.
Ritornati al bivio, si percorre il corridoio a destra che conduce in
un pozzo sul cui fondo c’è un cumulo di pietre, terra, ossa di
animali, riversati dalla bocca che si apre sul piano di campagna,
quindi si arriva nella “grotta d’argento”: le goccioline di
condensa, formatesi sul soffitto a causa del perturbato equilibrio
igrotermico per l’aria infiltratasi dal pozzo, illuminate dalla luce
del casco o delle lampade, la riflettono dando l’impressione di
tante perline o gocce d’argento.
Fig. 96 - Grotta d’argento
…….
______
Fig. 97 - Fauna cavernicola nella grotta
Fig. 98 - Fauna cavernicola nella grotta
Fig. 99 - Pittura rupestre
La grotta è stata frequentata dall’uomo da tempi immemorabili,
per ultimo nell’età bizantina, come è testimoniato dalla pittura
rupestre all’ingresso della grotta, in ocra rossa, ancora da studiare
e decifrare, dai graffiti di frasi dedicatorie e dai molti dipinti su
fresco, di cui rimangono solo le tracce nelle poche figure di santi
nei grandi riquadri.
Fig. 100 - Tracce di figure di Santi
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SEZIONE 2 - I LUOGHI DELLA PRODUZIONE
Strettamente connesso con la Massafra sotterranea e nascosta è il
tema degli antichi luoghi in cui per secoli si sono esercitate le
attività produttive nel territorio, che richiedevano l’esercizio di un
mestiere e un’arte specifica.
Questi luoghi furono abbandonati e del tutto dimenticati -e in
buona parte oggi distrutti-, o perché rimasero tagliati fuori
rispetto alle zone di nuova espansione urbanistica o perché
venivano a mancare i principali motori delle attività che erano gli
artigiani, gli imprenditori, gli operai, gli apprendisti o perché non
erano più rispondenti alle norme igienico-sanitarie o perché
diventarono obsolete le tecniche produttive.
…..
Le indagini sui mestieri e le attività economiche di una volta
come la produzione figula dalla creta, la produzione del sapone
dagli scarti frantoiani, la produzione della calce e sugli antichi
opifici, come i frantoi, le concerie, le tintorie, le calcare, le cave,
gli apiari, le colombaie, la peceria nei sotterranei del Castello,
potrebbero costituire materiali di studio per giovani ricercatori
delle Scuole e delle Università, per esempio nell’ambito
dell’archeologia industriale.
In questa sezione intendo proporre alcuni cenni sulle arti della
tessitura, della tintura dei tessuti e della concia delle pelli, come
esempi di mestieri scomparsi e testimonianze fotografiche di
alcuni dei numerosi antichi luoghi produttivi che insistono sul
territorio di Massafra.
La tessitura
L’arte della tessitura è sicuramente molto antica, ma più recente
rispetto alla filatura che risalirebbe al Paleolitico, epoca in cui
l’uomo, instancabile cacciatore delle prede in continuo
movimento, per coprirsi e per costruire le lance e i vari utensili,
imparò prima ad usare legacci naturali, poi a contorcere fibre
vegetali per ricavare corde più forti e infine ad usare la conocchia
e il fuso per ricavare fili per cucire le pelli di animali da
indossare. Nel nostro territorio, le poche tracce della presenza
umana riferibili al Paleolitico possono rinvenirsi nelle zone “alte”,
per lo più nelle Gravine, come in quella di S. Elia, di Colombato,
del Vuolo, di Leucaspide, dove affiora il calcare di Altamura,
nelle quali le ampie caverne naturali e i numerosi ripari
sottoroccia indicano una probabile e continua frequentazione
dell’uomo primitivo.
La tessitura, invece, richiedendo strumenti sofisticati come il
telaio e soprattutto lavoro sedentario, è riferibile al periodo in cui
l’uomo diventa agricoltore ed allevatore stanziale, cioè al
Neolitico.
………
Mentre sono andati distrutti i telai in legno, materiale deperibile,
numerosi sono invece i pesi di telaio in terracotta (in latino
oscilla) dalla caratteristica forma tronco piramidale con foro di
sospensione nella base minore, dell’altezza di 3-5 cm trovati nel
territorio di Massafra.
Ogni telaio ne richiedeva dai 50 ai 7042.
Fig. 101 - Pesi di telaio
Tali reperti provengono da zone di antichi insediamenti japigi,
messapi, peuceti e greci, come nell’altopiano a Nord-Ovest della
Masseria L’Amastuola, ad Ovest della Masseria Citignano, nella
Gravina di San Sergio, del tutto analoghi agli oscilla riferiti a
cultura greca per esempio di Metaponto e di siti messapici come
Manduria, usati anche come corredo funebre.
Questi reperti, riferibili come gli insediamenti, al VII-VI secolo
a.C. ma anche ad epoche precedenti, documentano la vetustà della
tessitura su telaio nel territorio.
…….
Dai tessitori, la felpa, confezionata in pezze lunghe 22 canne43,
pari a circa 58 metri, passava ai felpaioli, che erano per lo più
commercianti, mediatori che sfruttavano il lavoro dei tessitori e
dei tintori per costruire fortune personali, ma anche abili artefici
dell’esportazione delle stoffe verso altri paesi, come, per ultimo,
il signor Bonaventura Jurlaro.
Dai felpaioli o dai singoli tessitori, i tessuti passavano alle tintorie
(in gergo tènde) per essere colorate, successivamente venivano
confezionate in pezze e commercializzate.
Una stima della dimensione che l’industria tessile aveva
raggiunto in Massafra nel primo decennio del ‘900, viene data del
Gallo, secondo il quale c’erano oltre 2000 famiglie di operai tra
felpaioli, tessitori, tintori, manovali addetti a tale manifattura.
La tintura
La tinta delle stoffe veniva estratta da sostanze naturali, come per
esempio, qui a Massafra, da bucce di melograno, che, a memoria
di mio padre (classe 1914) venivano raccolte per le strade o porta
a porta e conferite alla tintoria di Giannotta, in fondo a Via
Canali, dietro un compenso di due soldi a panierino.
Il melograno dava una tinta verde dall’intensità variabile e
regolabile sia con la diluizione che con il tempo di bagno. Le
bucce venivano cotte in caldaie di latta, meglio se di stagno, dove
i colori riuscivano più rilucenti, per l’estrazione del colore. Il
concentrato veniva diluito con acqua in grandi vasche in pietra,
simili a quelle usate per “curare” la calce.
Qui venivano messe in bagno le pezze di felpa o altro tessuto, per
la presa del colore, per tempi diversi a seconda dell’intensità del
colore che si voleva ottenere. Seguivano le fasi di lavaggio e di
fissaggio in altre vasche con acqua chiara e infine l’asciugatura
che si faceva al sole, stendendo le lunghe pezze di stoffa sui muri.
Anticamente, i tessuti si coloravano nelle fabbriche di Taranto
con il succo ricavato dalle conchiglie Porpore e dai Murici
marini; altrove con estratti ricavati da piante come il Fuco, la
Cerusa ed Ancusa, dall’uva nera pigiata, dal Balaustio, cioè il
fiore del melograno agreste, dalle Elci del Monte Carmelo, dal
Croco. Si usava anche il succo del Vaccinio stemperato nel latte,
che dava una porpora assai gentile e vaga; la Cocciniglia per
colorare le vesti di bisso.
……..
Diplomi normanno-svevi parlano di tincta e di chelandra o
celandra, cioè della tintura e della “manganatura dei panni”,
esercitate a Taranto da ebrei.
Nel successivo periodo angioino, all’epoca di Maria d’En-ghien,
è documentato per Lecce e Nardò l’esercizio da parte di ebrei
della tintoria, insieme alle altre industrie della creta, delle pelli,
della macellazione44.
…….
A Massafra sono state localizzate almeno quattro antichissime
tintorie o concerie in zone distinte: una conceria a Sud dell’attuale
abitato, di fronte all’antico Convento di S. Agostino, la cui arteria
principale è, infatti, Via delle Concerie, una conceria nella zona di
Via Nuova, a Sud del Santuario di Gesù Bambino, una antica
tintoria nella Gravina di San Marco, nota come Tènde de
Macubbe ed una più recente tintoria nel Lungovalle Nicolò
Andria.
La concia delle pelli
Molto antica doveva essere l’arte della concia delle pelli in
Massafra, a giudicare dalle presenze di concerie disseminate in
tutto il nucleo abitato antico di Massafra, tutte ricavate in rupe.
…….
Dovevano essere numerose le concerie sparse nell’intera città,
anche quando, a partire dal XVI secolo, il tessuto urbano si
espanse a Nord, oltre la Porta della Cava, che segnava il confine
settentrionale della città medievale.
Scrive il Gallo45 (1916):
“...Esistono anche le basse concerie con fabbriche di correggioli
(in gergo crisciùle) intrecciati per scudisci e per fruste (in gergo
šcrujèle). Se ne fabbricano in discreta quantità, con buona
richiesta delle provincie limitrofe ed anche lontane sin
dall’Abruzzo...”
Per questa attività era indispensabile in grande quantità l’acqua,
che veniva approvvigionata sul posto, utilizzando uno o più pozzi
di acqua piovana.
……..
La concia vegetale era eseguita immergendo le pelli in vasche di
acqua in cui erano state fatte macerare parti di vegetali che
possedevano potere conciante, come il tannino46.
La concia minerale, detta “all’alluda”, si serviva dell’allume, un
minerale naturale disponibile nelle zone vulcaniche.
Nell’XI secolo, quando si scoprì il potere depilante della calce
viva, la tecnica conciaria conobbe un notevole miglioramento, ma
solo nel XIX secolo si ebbe la svolta moderna nella
trasformazione delle antiche maleodoranti botteghe in vere e
proprie industrie conciarie, nelle quali le pelli venivano trattate
non più con sostanze naturali marcescibili, ma con i sali di cromo,
con alto e più rapido potere conciante.
Nella lavorazione artigianale che si eseguiva nelle nostre più
antiche concerie, le pelli derivanti dalla macellazione venivano
prima trattate con calce per la completa depilazione, venivano
raschiate e poi passate nelle vasche per la concia, dove, immerse
in bagno estratto da essenze vegetali contenenti tannino, venivano
neutralizzate.
In epoche recenti, è stata utilizzata anche la soda caustica.
La successiva operazione di calandratura, che si eseguiva facendo
rotolare sul cuoio la grande ruota di pietra nel frantoio azionato da
animali, conferiva alle pelli e al cuoio la necessaria duttilità,
morbidità e lucidità finali.
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29. LA CONCERIA DI VIA NUOVA
……..
Fig. 102 - Conceria di Via Nuova
Internamente, presenta ancora intatte le varie parti in cui era
strutturato l’antico opificio. Un lungo e largo corridoio, in parte
lastricato con basole calcaree e in parte selciato con ciottoli di
fiume, separa l’insediamento in due parti: una parte interna in
rupe, con vari vani che dovevano servire da magazzini per le
materie prime e per i prodotti finiti, una stalla e un piccolo forno e
una parte esterna, sul lato della strada, dove sono alloggiati due
pozzetti circolari intonacati internamente, cinque vasche
rettangolari, di cui due per la “cura” della calce, un frantoio con
mola in pietra calcarea ed asse ligneo ed una abitazione con una
cucina alla “monacale”. Il corridoio lastricato e l’articolazione dei
vani lasciano supporre che l’antico opificio fosse in origine a
cielo aperto e successivamente sia stato chiuso con muratura e
coperto con volte a botte.
……
Fig. 103 - Interno della conceria di Via Nuova
Vi si producevano articoli per la bardatura degli animali da tiro e
per cavalcatura, come finimenti, selle, collari, cavezze, corregge
da tiro, correggioli, fruste. Da ultimo, l’opificio è stato usato per
la fabbricazione di corde e fiscoli.
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30. LA TINTORIA DI MACUBBE
……..
Fig. 104 - Planimetria della zona della tintoria
I luoghi
Alcuni anni fa (Giugno 2006) ho ripercorso nella Gravina S.
Marco il cammino che dovette fare Janet Ross nel 1888 quando,
alla ricerca delle fabbriche dei tintori, scoprì la Chiesa della
Candelora. Nel suo libro47, però, a parte la descrizione pur
sommaria della Chiesa, non ci sono riferimenti alle antiche
tintorie che ella si proponeva di scoprire. Lasciata alle spalle la
Chiesa della Candelora e dirigendosi verso meridione sullo stesso
terrazzamento, protetto sul lato della Gravina da un alto muro
costruito in conci di tufo, attraversando giardini corredati di pozzi
di acqua piovana, di camminamenti, pergolati, abitazioni rupestri,
grotte, vasche, superati in discesa altri due terrazzamenti
comunicanti tramite lunghe gradinate, anch’essi protetti da alti
muri a strapiombo sulla Gravina, che servivano da asciugatoi
delle stoffe dopo la tintura, è possibile percorrere in lunghezza la
zona interessata dalla antica Tènde de Macubbe.
Fig. 105 - Veduta generale della Tintoria di Macubbe.
Tutta la zona è articolata su 3 livelli terrazzati: il primo
terrazzamento è a circa 100 metri sul l.d.m., il secondo a circa 90
metri, il più basso a circa 85 metri.
……..
Il terzo terrazzamento, invece, posto a livello più basso dei primi
due, è delimitato verso Sud da un torrino alto e profondo chiuso
in muratura con due porte ad arco, con terrazza praticabile e
protetta da parapetto, anch’esso servito come “asciugatoio”,
costruito su un largo pozzo (indicato con P1), che arriva al fondo
della Gravina, per captare l’acqua che scorreva in un condotto
sotterraneo, come detto in precedenza. Il toponimo Tènde de
Macubbe, noto in verità a pochi dei nostri vecchi e a pochi
conoscitori del territorio, deriva dai termini tènde, con cui si
indicava la tintura (vedi tènde du diàvele) ma anche la tintoria e
Macub o Macubbe48, misterioso personaggio e imprenditore, che
avrebbe avviato l’industria tintoria a Massafra. Da fonti
testimoniali si apprende che l’ultimo Macubbe è stato tal
Vincenzo Maglio, tintore di mestiere, che ereditò tale soprannome
probabilmente dagli avi. Era di statura grande, vestiva con un
pastrano e largo cappello neri, di carattere allegro e gioviale,
aveva un paio di grandi baffi, non ebbe figli. A proposito dei
baffi, si racconta che ci teneva tanto alla loro foggia e al loro
mantenimento, che prima di andare a letto, li proteggeva con
cannucce coniche. L’attività tintoria e gli affari andarono
sicuramente di male in peggio, se intorno agli anni venti del sec.
XX, oberato dai debiti, fu costretto a vendere quel poco che gli
rimaneva e ad abbandonare definitivamente Massafra. L’antica
Tintoria di Macubbe era localizzata sullo spalto occidentale della
Gravina di S. Marco, tra il ponte Garibaldi e il ponte S. Marco.
Non si hanno né documenti né notizie storiche di questo sito
come sede di attività tintoria, ma solo ricordi di antichi racconti
tradizionali riferiti ad epoche remote, indicate come “I tìempe de
Macubbe”.
…….
L’acqua
L’acqua piovana, raccolta nei piani alti a livello stradale di abitato
a quota media di 110 metri sul livello del mare, attraverso
appositi canali e condotti ricavati nella roccia, veniva convogliata
nei pozzi (indicati con P nella planimetria allegata) e nelle vasche
a livello di opificio, a quota media di 100 metri s.l.m. Si
utilizzavano anche canaletti orizzontali a vista scavati sul fianco
delle pareti rocciose con la necessaria pendenza per raccogliere
l’acqua che scivolava su di esse.
Sotto la sede stradale di Via Dalmazia esisterebbe un condotto
sotterraneo scavato nella roccia, che, passando per Via Canali,
arriva al trappeto Palanga.
Molto probabilmente, dal sistema di canali esistenti nella zona,
provengono i nomi delle strade Via Canali e Vico Canali e il
toponimo della zona I Canalicchi.
In proposito, anche il pozzo esterno alla Cripta della Candelora
(XII sec.) è alimentato da un analogo sistema di canali e canaletti
superficiali, ricavati sul fianco roccioso della Gravina; per un
breve tratto un canaletto corre parallelo alla scalinata di accesso
alla Cripta.
…….
L’acquedotto
Oltre che dai pozzi, l’acqua veniva prelevata da un condotto
sotterraneo (acquedotto) molto profondo (profondità 28 metri
rispetto al livello del terzo terrazzamento), in cui ancora oggi
scorre acqua limpida e fresca. L’acquedotto è intercettato da un
pozzo verticale (indicato con P1) di sezione 6x5 metri e coperto
da un torrino con copertura a livello del secondo terrazzamento,
su cui si apre il boccapozzo da cui l’acqua veniva prelevata.
Coordinate del luogo:
Latitudine 40° 35’ 22.7” N
Longitudine 17° 06’ 53.9” E
Quota 93 m
Fig. 106 - L’esplorazione del Pozzo
Grazie alla collaborazione del Gruppo Speleologico di Statte sono
state effettuate nel 2010 operazioni preliminari di perlustrazione
dell’acquedotto, che hanno permesso di accertare le dimensioni
del pozzo e la qualità delle acque.
Ulteriori esplorazioni saranno svolte per indagare sulla natura
della scaturigine dell’acqua.
…….
Fig. 107 - Dipinto murale in prossimità del pozzo
………
Fig. 108 - Interno della tintoria (a destra, la grande cucina)
Fig. 109 - Particolare di condotto incavato nella parete
…….
Fig. 110 - Sezione generale schematica della zona della tintoria
Fig. 111- Foto giovanile di Vincenzo Maglio
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31. TINTORIA DI BELLO
L’impulso espansivo urbanistico della Città che si ebbe nel 1864
con la costruzione del Ponte S. Marco sulla Gravina omonima,
che interessò parte della vasta contrada di S. Caterina, portò alla
realizzazione nel Nuovo Borgo non solo di nuove e più comode
abitazioni strutturate secondo criteri più moderni, ma anche di
nuovi insediamenti funzionali come la Chiesa del Carmine, il
nuovo carcere, una tintoria.
…..
……..
Fig. 112 - Interno della tintoria Di Bello
Fig. 113 - Vasche in pietra
Fig. 114 – Tinozza
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32. I MULINI BARONALI
Non è ancora stato fatto un censimento completo e tanto meno un
rilievo degli innumerevoli antichi mulini esistenti in Massafra.
Tralasciando i mulini rupestri, i più antichi erano proprietà dei
baroni, ai quali era dovuta la gabella sulla molitura del grano.
Fig. 115 - Mulino a mano
I Mulini vecchi o Mulini baronali si estendono lungo tutto il lato
settentrionale della fascia muraria a difesa del Castello
Medievale, a ridosso della Chiesa di San Toma. Coprendo con
volte in muratura il fossato protettivo delle mura, quando queste
avevano perso la funzione difensiva della città medievale, furono
ricavati nove mulini, quattro pagliere e una cisterna d’acqua, con
unico accesso da Via Fanelli, presidiato dalla gabella, dove
trovava posto il pesatore del grano e della farina e un secondo
sorvegliante per l’esazione del dazio. I mulini erano dotati di
sedici mule, per azionare le macine49.
……
Fig. 116 - Ingresso dei mulini baronali, da Via Fanelli
Il Mulino di Via Muro.
…….
Fig. 117 - Ingresso su Via Muro
Fig. 118 - Mola in pietra con la data 1789
Fig. 119 - Interno del mulino
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33. I TRAPPETI
Anche degli antichi trappeti rimangono ancora resti significativi
sia in quello che era il centro abitato medievale, sia nelle
campagne, di solito accorpati alle Masserie. Gli antichi trappeti
erano ipogei, scavati nella calcarenite ed articolati in diverse unità
funzionali alla lavorazione delle olive e alla raffinazione dell’olio.
Alle vasche di ammasso, nelle quali le olive venivano fatte cadere
dall’alto, era direttamente collegato il frantoio vero e proprio,
contenente le vasche con le macine in pietra, azionate da animali.
Per facilitare l’estrazione dell’olio, i locali dovevano essere
riscaldati tramite diversi focolari, alimentati con legna, pigne di
pino, scarti vegetali.
…..
Fig. 120 - Torchio romano
Il torchio romano a leve fu sostituito con quello alla calabrese,
costituito da due viti in legno su cui venivano fatte girare tramite
pali due madreviti collegate ad una piastra, che premeva la pasta.
…….
Fig. 121 - Trappeto alla genovese
Il trappeto con torchio alla calabrese fu vietato verso l’inizio del
XIX sec. per motivi igienico-sanitari e sostituito dal torchio alla
genovese. Questo, incassato in una nicchia sulla parete del
trappeto, era costruito con una grande vite centrale in legno su cui
veniva avvitata con leve la madrevite che tramite una piastra
spremeva la pasta di olive, depositata sui fiscoli.
I frantoi alla genovese erano più igienici e non producevano più
le esalazioni emanate nei vecchi trappeti dalle vasche per la lunga
permanenza delle olive.
La lavorazione era più veloce e il rendimento era alquanto
maggiore, ma richiedeva grande manutenzione per le
deformazioni e le rotture del meccanismo in legno.
Nel secolo XIX i trappeti furono dotati di presse meccaniche con
componenti interamente in ferro azionati da motore elettrico ed
infine di presse idrauliche.
Trappeto di Via La Liscia
Fig. 122 - Veduta esterna del trappeto di Via La Liscia
Fig. 123 - Fori sulla volta nei torchi alla calabrese
Fig. 124 - Trappeto di Via La Liscia. Ingresso
Fig. 125 - Trappeto di Via La Liscia. Interno
Fig. 126 - Trappeto di Via La Liscia. Graffiti
Fig. 127 - Trappeto di Via Canali
Fig. 128 - Trappeto Vecchio di L’Amastuola
……
Fig. 129 - Trappeto Vecchio di L’Amastuola. Interno
Fig. 130 - Trappeto sotto il Santuario Santi Medici
……..
Fig. 131 – Trappeto ipogeo di Masseria Accetta. Ingresso
Fig. 132 – Trappeto ipogeo di Masseria Accetta. Interno
Fig. 133 - Trappeto moderno di Masseria Accetta. Interno
…….
Fig. 134 - Trappeto moderno di Masseria Accetta. Torchi
Fig. 135 - Trappeto di Masseria L'Amastuola
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34. GLI APIARI
Il grandissimo numero di apiari rupestri50 che si possono trovare
in Massafra testimonia la diffusa ed intensa pratica
dell’allevamento apistico nell’intero territorio.51
Se ne trovano nelle Gravine52 e nelle lame, nelle vicinanze di
insediamenti grottali abitativi o dovunque ci fosse una parete
verticale ben riparata e ben difesa. A volte si configurano come
veri e propri insediamenti autonomi, protetti da muri di difesa, a
volte possenti, che racchiudevano anche il giardino, la grotta del
proprietario o del guardiano e il laboratorio per l’estrazione del
miele e della cera, corredato di un torchietto a muro.
E’ naturale chiedersi quali fossero le ragioni della grande
diffusione di questa attività soprattutto nel mondo antico.
L’indagine su alcune fonti bibliografiche ha fornito molti
elementi interessanti riferiti sia al mondo antico che a quello più
vicino a noi, che giustificano la grande diffusione
dell’allevamento delle api nel nostro territorio, condotto secondo i
metodi degli antichi romani.
……..
L’allevamento delle api è antico quanto il Mondo, come antica è
la consuetudine dell’uomo di ricavare da questi laboriosi e
mirabili insetti quel prelibato e prezioso alimento che è il miele,
riservato agli Dei, ma usato anche nelle libagioni umane e passato
anche sulle tavole degli uomini più ricchi. Nel mondo antico sia il
miele che la cera erano tanto preziosi, così come il sale, da essere
usati come merce di scambio. Le stesse api erano usate come
mezzo di difesa dall’attacco di nemici, scagliando contro di loro
interi alveari. Nella civiltà egizia l’Ape era un animale venerato e
rispettato per la sua operosità e la sua utilità, come tramandato da
alcuni geroglifici ritrovati, che rappresentano l’Ape insieme al
sacro scarabeo. In diversi siti sparsi per tutto il Mondo sono stati
ritrovati reperti riconducibili all’allevamento delle api, pur con
metodi diversi: a Malta, in Spagna, nel Nord Africa. A Malta nel
sito di Imgiebah, presso un’antica villa romana e una più antica
tomba punica del VI secolo a.C., sono stati ritrovati apiari rupestri
con cellette ricavate nella pietra, alloggiate in ripari sotto roccia.
Le cellette sono costruite con conci disposti verticalmente e
orizzontalmente e in esse trovavano posto dei cilindri di terracotta
in cui erano sistemati gli alveari, come ancora oggi si usa in certe
località del Nord Africa e in Spagna.
A Göreme, in Cappadocia (Turchia), esiste un apiario rupestre
con cellette che contenevano tubi in terracotta per ospitare gli
alveari.
……..
Alla fine del ‘700 dunque la cera prodotta a Massafra si era
affermata sui mercati nazionali ed europei per la sua superiorità:
ciò vuol dire che la produzione di miele e di cera a Massafra era
radicata su una antichissima tradizione ed esperienza e ne
venivano prodotte così grandi quantità, da esportarne anche
all’estero.
Richiesto Democrito di un mezzo, per potersi l’Uomo rendere più
lunga la vita, rispose: “exteriora oleo, interiora melle”.53
Scrive Ateneo54 che i Popoli Circensi vivevano lungo tempo,
perché cibavansi di miele.
Il cibo dei Pitagorici non era, che pane, e miele.55
……..
Gli antichi Greci e Latini traevano dalle Api gran parte della loro
economia. I ricavi che si traevano dalle Api erano addirittura
maggiori di quelli che si potevano ricavare dalle pecore!
L’economia dei Pugliesi basata sull’allevamento delle Api era la
stessa di quella degli antichi Greci e Latini, così come i metodi di
allevamento e la scelta dei siti.
Gli antichi nostri Italiani, e prima di questi anche i Greci, se
ritraevano grosso guadagno dalle Api, erano essi debitori
all’industria, e a quel metodo tutto ammirabile, che avevasi in
governarle.
Oltre l’essere stati esenti dal barbaro costume di soffocarle,
vindemmiandosi il miele, mettevano uno studio particolare in
eleggere il sito, e collocarle. Si facevano carichi della loro
nutritura, e della qualità de’ pascoli, togliendo d’intorno
all’alveare tutte quelle erbe, che non facevano buon prò alle
Pecchie. Non essendo sufficiente la pastura, supplivano a quella
con le piantagioni del timo, della viola, del ramerino, e simili: o
mancandoci l’acqua di qualche rivolo, o fonte, non mancavano
supplire coi beveratoi di pietra, o legno.
Inoltre, gli Antichi erano attenti a dare alle Api tutte quelle cure
necessarie alla loro salute, per prevenire le varie infermità e
malori, per difenderle dagli attacchi dei nemici naturali, come
tignuole e altri vermi che nascono, e sono nocivi. Non vi è Autore
Greco o Latino che non formi una spezieria per le Api. Virgilio,
che fiorì anni 18 prima dell’Era, disserta nelle Georgiche 56
sull’allevamento delle Api.
……..
La Puglia ha conservato non solo l’economia, ma ne conserva
ancora la denominazione. In Puglia si chiama vendemmia la
raccolta del miele e vendemmia si chiamava presso i Greci e i
Romani: Mellatio sive vindemia, in Plinio57; in Columella: Mox
vere transacto, sequitur mellis vindemia58.
Didimo tra i Greci la denomina trufa meli59
Gli antichi chiamavano così qualunque raccolta.
Plinio chiama vendemmia la raccolta dell’incenso e delle olive,
Eustachio quella delle rose.
Tra la fine del IV secolo e l’inizio del V, le popolazioni barbare
infettarono le contrade Greche e Latine. Queste portarono il
desolamento con ferro e col fuoco, devastando poderi, e
saccheggiando le Provincie; con la loro ignoranza e barbarie
bandirono tutte le scienze e cancellarono le consuetudini degli
Antichi per le Arti e l’Agricoltura, compresa la cura per le Api.
L’allevamento delle Api continuava ad essere praticato laddove
persistevano popolazioni legate alla antica cultura dei Greci
(come la Puglia), ma qui erano tante e tali le razzie che i barbari
perpetravano sulle arnie, che erano un vero flagello per le
popolazioni locali.
I sovrani furono costretti ad emanare editti e leggi contro i furti di
miele e di arnie di Api.
Il Re Rotari settimo tra i Longobardi, eletto nel 636, morto nel
652, condanna alla multa di dodici soldi60 chiunque abbia rubato
una cassa di Api.
……..
Mancando il zucchero, avvalevansi del mele i nostri maggiori, per
rendersi gustosi i loro manicaretti. Insipida stimavasi quella cena,
ove il mele mancasse; e n’erano così golosi, che mancar non
doveva sul principio, ed in fine del convito.
Gli antichi, come si sa, dividevano la cena in tre parti, cioè
principio, mezzo e fine. Chiamavano ante cenam la prima parte,
che Varrone individua col principia convivii. Solevano sulle
prime bere la mulsa, bevanda composta di acqua piovana, e
mele, anche chiamata aqua mulsa, o opomeli. Fanno parola di
questa mulsa Celio Rodigino, e Plinio. Galeno, ove parla di
conservarsi la sanità, anche l’encomia. Avevasi questa bevanda
attenuante, aperitiva, purgante, e stimolante.
Oltre di questa mulsa, altra vi era composta di vino, e mele
nomata idromele. Così rattemperavano l’asprezza del vino; vina
asperrima, scrive Plinio, dulcedine temperabant.
Seguono i vari e tantissimi impieghi del miele e della cera nei
campi più disparati tra gli antichi.
Appio, celebre cuoco tra gli Antichi, col mele conservava fresche
le carni.
Anche il legno, e le piante conservansi vegete poste nel mele.
I Babilonesi61 imbalsamavano col mele i corpi de’ defunti,
volendoli preservare dal putredine.
…….
Con l’introduzione dello zucchero ad opera degli Arabi, la
produzione del miele e prodotti collaterali ebbe un duro colpo di
arresto.
Non meno del mele ha la cera le sue virtù medicinali.
Olio, poco volatile, e molta flemma è tutto il suo composto. E’
emolliente, e risolutiva. La Farmacopea se ne avvale in mille
bisogni. Cerotto non vi è, o cataplasma, ove non vi entri la cera.
Preso per bocca, scrive Mr. Lemery, è diuretico, sfarina i calcoli,
giova per la dissenteria, per la colica nefritica, per le ulcere di
reni, della vescica, e per la retenzione dell’urina. Lancellotti
aggiunge, esser valevole per i tumori freddi, per la paralisia, e per
i dolori delle giunture. Il secondo olio estratto da questo istesso, è
chiaro come acqua; e sì l’uno, come l’altro sono ottimi per gli
pedignoni.
Colle lucerne ad olio, avvalevasi gli Antichi anche dei cerei, e
delle candele.
Mancando la carta presso gli antichi, servivansi delle tavolette
incerate, per scrivere le loro memorie.
Incerata la tavoletta, avvalevasi come scrive Simbozio 62 di un
raffio di ferro, o di altro materiale, acuto in una punta, e
schiacciato nell’altra: colla prima si scriveva, e con l’altra,
occorrendo, si cassavano le lettere, e di nuovo la cera mettevasi in
piano.
Antichissimo è l’uso de’ cerei nelle cerimonie sagre. Anche i
Gentili usavano le turce ne’ loro sagrificj, e l’abbiamo
specialmente ne’ misteri di Cerere, e porre solevansi i cerei avanti
le statue degli Dei.
Anche tra i primi Cristiani erano in uso le candele accese in onore
dei nostri eroi. Memoria ne fanno i Padri de’ primi secoli. S.
Paolino anch’esso ne parla nel Natale di S. Felice.
……..
Colla cera gli antichi formavano delle statue, rappresentanti dei
loro antenati. Queste vedevansi nelle proprie gallerie: expressi
cera vultus, abbiamo in Plinio63, singulis disponebantur armariis...
Anche le donne in quei tempi, servivansene per togliersi dalla
fronte ciocchè contrar si può, avanzandosi l’età, e che ad altri
sembra dispiacevole...
Noi l’abbiamo in uso per opere meravigliose. Colla cera s’imita
la natura, formandosi fiori, e frutta. Così colla cera si rilevano al
naturale tante rappresentanze di Eroi...
Non mancano descrizioni dettagliate dei vari tipi di mieli, cere,
propoli che si producevano in tutta Europa, delle loro proprietà ed
usi negli svariati campi, dalla cucina alla medicina, alla cura di
bellezza, alle arti.
……..
L’uso del fumo, attraverso il fumacchio, era essenziale per la
raccolta del miele e della cera, ma anche per altre operazioni, per
le quali era necessario l’allontanamento temporaneo delle Api
dall’arnia. Si pensi alle operazioni di pulizia delle arnie e ai
“maritaggi” degli sciami. La raccolta poteva avvenire anche tre
volte l’anno, secondo l’andamento dell’annata, delle condizioni
meteorologiche, dell’abbondanza delle fioriture.
Abbiamo da Didimo, tra i libri Geoponici, che anche presso i
Greci castravansi le arnie in tre tempi diversi; cioè al nascere
delle Plejadi, nel Principio dell’Autunno, e tramontando le
medesime circa il mese di Ottobre. Virgilio vuole per l’opposto,
che non si castrino le arnie se non due volte; cioè nella Primavera,
e nell’Autunno.
Fiorentino64, tra i Greci, traducendo in latino: latitudo sit cubitalis,
longitudo duorum cubitorum... l’arnia era circa palmi due di
altezza, e un palmo e quarto in quadro, com’è per appunto l’arnia
in Puglia...
Palmi due, e mezzo in alto ho io fissato la cassetta per le Api,
presupponendo l’alveare in luogo, ove, come in Puglia, vi sia
abbondanza di pascolo. Se i fiori scarseggiano, come in Terra di
Lavoro, perché la campagna è tutta coltivata, non si oltrepassino i
palmi due in altezza, al più due, e quarto, restando sempre in
larghezza un palmo, e quarto.
……..
Plinio chiama gli alvearj la corona degli orti:
coronamentisque maxime alvearia, et apes conveniunt65.
Ortis
I cavoli, le rape, il senape, la lattuga, la borragine, i ravanelli, le
pastinache, la cicoera, le carote, e mille di queste, che sono la
dote dell’orto, giovano, alle Api, ed utili sono al Proprietario.
Datemi piori qualunque sieno, ed io vi do cera, e mele....
I legumi, siccome giovano alle Api, così sono utili al Proprietario.
Il lenticchio, il pisello, la cicerchia, il cece, i fagioli e soprattutto
le fave, di grande rinforzo sono alle Pecchie, e di doppio
guadagno al Proprietario...
Le piante però, che più danno mele e cere, sono le fave, ed il
grano nero, o sia il frumento saraceno. Volendosi, si possono
seminare fave primitive, e tardive; e primitivo e tardivo anche il
grano: cosicché terminando i fiori delle favi, succedono quelli del
grano.
Non vi è fiore, scrive M. Schiomel, che lor sia più piacevole di
questo, dopo il timo, il serpillo, e la majorana...
Columella66 col citiso vuole giovevole la cassia, il timo, e ‘l
ramerino: Sunt rimedia, etiam languentibus cytisus, tum deinde
cassia, pini, et rosmarinus. Quel pini però non mi piace; ed è di
certo errore del copista: meglio Thimi.”
………
Tra tutte le piante bensì, sopra tutto vi sia il ramerino, ma quello
che fiorisce più volte nell’anno. Si metta nella siepe, ne’ viali, e
ne’ luoghi incolti. Questa pianta, è di sommo profitto per le Api.
Similmente, la salvia, il nardo, la canfora, e simili.
Tipologie di apiari
A me pare potersi individuare due tipologie di apiari rupestri,
riferite a periodi storici diversi:
a cellette
a cassone
La prima tipologia è da riferirsi agli apiari più antichi, che
venivano ricavati sulle pareti di grotte scavate sui fianchi delle
Gravine. Sono caratterizzati da schiere di cellette sovrapposte di
dimensioni paragonabili con quelle indicate da Varrone,
naturalista latino, sembrano riferirsi al periodo greco-romano ed
in uso fino al periodo medievale. Le cellette erano chiuse
anteriormente da tavolette con piccoli fori per la fuoriuscita delle
api, ma comunque l’estrazione del miele e della cera richiedeva la
distruzione degli alveari e lo sterminio delle api.
……..
Gli apiari rupestri
La tipologia di apiario rupestre più diffusa nel territorio è quella a
cassone. I cassoni sono grandi nicchie parallelepipede alte 80-100
cm, profonde 100-120 cm e lunghe fino a 20 metri, scavate sui
costoni rocciosi verticali delle Gravine e delle lame, che
ospitavano le cassette.
…….
Fig. 136 - Arnie di avucchiaro
Fig. 137 - Cassone di apiario
……..
Fig. 138 - Avucchiaro di Madonna della Scala
Fig. 139 - Avucchiaro Grotta delle Navi. Vista esterna
Fig. 140 - Avucchiaro Grotta delle Navi
……..
Fig. 141 - Avucchiaro nei pressi della Grotta delle Navi
Fig. 142 - Avucchiaro Masseria S. Angelo
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35. LE COLOMBAIE
Funzioni di colombaie, con molta probabilità, potrebbero essere
state svolte da quegli insediamenti rupestri che comunemente
vengono indicati come “Farmacie67”: la “Farmacia del Mago
Greguro” sita nella Gravina della Madonna della Scala, quella di
Trovanza, sita nella Gravina omonima, di fronte alla Cripta di
Mater Domini, quella di Torella, quella di Masonghia. Per la
“Farmacia del Mago Greguro” è stata indicata da vari studiosi una
destinazione a colombaia per l’addomesticamento e l’allevamento
di colombi selvatici, del tipo columba livia. Per esse è stata
avanzata anche l’ipotesi di una funzione funeraria come
contenitori di urne cinerarie, per la presenza sulle pareti di
numerose e a volte numerosissime cellette, di alcune croci graffite
sulla tenera calcarenite, di nicchie con archi e arcosoli68.
L’allevamento dei colombi costituiva, come quello delle api, una
risorsa importante dell’economia dei nostri predecessori, facile da
realizzare e mantenere, soprattutto perché i volatili sono
autosufficienti per la pastura69. Si poteva fare a livello di singola
abitazione o masseria, come in quella di Masonghia, ma anche a
livello massivo, nelle colombaie. ……..
Fig. 143 - La "Farmacia del Mago Greguro"
Fig. 144 - Colombaia di Masonghia
______
Fig. 145 - Colombaia di Trovanza
Fig. 146 - Torre colombaia di Scardino
Fig. 147 - Torre colombaia di Scardino. Interno
….
______
Fig. 148 - Graffiti sulla Torre colombaia di Scardino
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SEZIONE 3 - LE NECROPOLI
36. SITO ARCHEOLOGICO DI CARRINO-SAN SERGIO
Il sito è ubicato nel Comune di Massafra, tra le Masserie di
Carrino e di San Sergio, a Nord della SS. N. 7 “Appia” ed è
delimitato dalle due Gravine omonime con andamento Sud-Ovest
Nord-Est.
Coordinate geografiche della necropoli:
Latitudine 40° 33’ 55.8” N
Longitudine 17° 07’ 51.5” E
Quota 54 m s.l.m.
…….
Fig. 149 - Planimetria della zona archeologica di Carrino
Noto agli studiosi locali, nonché ai tombaroli che per anni hanno
depredato tombe e villaggi, il sito è stato studiato
sistematicamente dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia
di Taranto negli anni 1980 e 1981 (De Juliis 1981 e 1982). Le
presenze più antiche sono testimoniate dalle numerose grotte
naturali e artificiali nei costoni delle due Gravine, da un ipogeo
funerario attribuito alla Civiltà eneolitica di Laterza (Biancofiore
1979) del II Millennio a.C., da antiche cave di tufo, diventate sede
degli insediamenti e da antiche carrarecce. I reperti di epoca greca
si riferiscono al periodo tra la fine del VI e il III sec. a.C. Le
successive frequentazioni medievale e bizantina, attestate da
monete romane, oboli tarantini e minimi bizantini, preservando le
necropoli e le aree cultuali, riusarono le grotte più grandi, come
l’ampia tomba a camera e l’intera Gravina di San Sergio,
costellata di grotte abitative, con un ampio apiario, una cripta con
numerose croci alla latina.
…….
Necropoli di Carrino-San Sergio
Oltre a numerose tombe a cassone sparse nell’intero sito, si
individuano due settori con maggiore concentrazione di tombe:
uno a settentrione in cui furono scavate 72 tombe a fossa, una
trentina di tombe piccole destinate ad inumazione di infanti, e due
tombe a camera con cella singola con dromos a gradini, testimoni
della presenza di un ceto emergente. Le tombe a fossa o a
cassone, scavate nella calcarenite, sono tutte rettangolari con
dimensioni diverse, con fossa spesso molto profonda e
controfossa in superficie, coperte con due lastroni ben levigati,
ricavati da cave limitrofe.
Reperti
Nella cava settentrionale è stato individuato uno scarico di
terrecotte votive del V-IV sec. a.C. raffiguranti personaggi
adagiati su kline (identificati con Dionysos-Hades) spesso in
compagnia di Persephone-Kore; è stata trovata una testa di
Artemis Bendis ed elementi riconducibili al culto di Demetra.
Sono stati recuperati frammenti di ceramica di produzione attica a
figure nere e a figure rosse, lekythoi a fondo bianco, ceramica
apula in stile di “Gnatia”. Sono stati ritrovati oboli tarantini,
monete romane, minimi bizantini.
Nell’area si individuano cave di tufo, alcune preesistenti
all’insediamento greco cui hanno costituito un’ottima opportunità
di ricavare aggregati abitativi riparati, altre coeve con i villaggi e
le necropoli, altre ancora moderne, che hanno distrutto parte della
necropoli meridionale.
Nella zona sono presenti tre pozzi, due a campana intonacati, con
vera litica ed uno voltato a botte con conci di tufo con vera
superiore, costituivano patrimonio comune.
Tra le due necropoli, una grotta ipogea ricavata nella calcarenite a
livello di campagna con ampio accesso a dromos e con pilastro
centrale, probabile tomba a camera o luogo di culto, presenta
parte del soffitto crollato verso l’ingresso ostruendolo quasi del
tutto, su una parete a Sud presenta una nicchia rettangolare che si
configura nettamente come alloggio di un torchietto, testimone
del riuso della grotta o comunque dell’uso di essa per la
produzione di olio o di miele.
……..
Fig. 150 - Tombe della Necropoli di Carrino-S. Sergio
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37. SITO ARCHEOLOGICO DI L’AMASTUOLA
…….
Fig. 151 - Planimetria del sito archeologico di L'Amastuola
Il sito di L’Amastuola70 è ubicato nel Comune di Crispiano (TA),
è raggiungibile dalla S.P. n. 40 per Parco di Guerra oppure anche
dalla S.P. n. 42 Massafra-Crispiano, è delimitato ad Est dalla
Gravina di L’Amastuola, che, dopo la confluenza della Gravina di
Triglio, nel versante meridionale diventa prima Gravina di
Leucaspide e poi di Gennarini, a Nord dalla S.P. n. 42 e a Sud
dalla S.P. n. 40.
………
La Masseria si erge su un colle, da cui domina strategicamente
tutto il territorio da Mottola a Taranto (la chora tarantina) e tutto
il Golfo di Taranto, isole comprese, fino al Capo Lacinio e
comprende terreni agricoli della superficie complessiva di circa
170 ettari.
Notizie archeologiche del sito
La continua frequentazione del sito da parte di antiche
popolazioni pre e protostoriche è attestata da numerose presenze
ancora rinvenibili. Ne sono testimonianza il villaggio preistorico
inserito nel costone occidentale della Gravina di Leucaspide, con
ampie caverne collegate da camminamenti difesi da poderosi
muri a secco, con una caratteristica rampa di accesso dal pianoro
superiore; il grande tratturo di transumanza che costeggia la
Gravina di L’Amastuola dal lato Ovest, probabile relitto del
percorso utilizzato dai primitivi preistorici per inseguire le loro
prede; i limitrofi Dolmen “di Leucaspide” o “di San Giovanni” in
Accetta Grande e “di Accetta Piccola”; le diverse tombe a camera
del Periodo del Bronzo o del Ferro.
…….
I più antichi materiali di interesse archeologico del sito
provengono dagli scavi delle tombe integre effettuati nel corso
delle ricognizioni archeologiche, facevano parte del corredo
funebre sepolto con il defunto e consistono in ceramica paleo e
mesocorinzia: essi, insieme con la tipologia del rito
dell’inumazione, collocano le necropoli tra il secondo quarto del
VII e i primi decenni del VI sec. a.C. Reperti importantissimi in
oro di fine manifattura locale provengono dalla zona a Nord della
Masseria e fanno parte degli “Ori di Taranto”. Gli insediamenti in
rupe nelle Gravine sono attribuite alla Civiltà eneolitica di Laterza
(Biancofiore 1979) del II Millennio a.C., i villaggi preellenici e i
dolmen sono riferibili agli Japigi, antichi abitatori del territorio; il
villaggio fortificato, le abitazioni e le necropoli sono riferibili al
periodo magno-greco dalla fine dell’VIII fino ai primi decenni del
VI sec. a.C. Sono due i settori di maggiore concentrazione di
tombe, per un totale di circa un migliaio di tombe 71. Dal sito negli
anni ‘50 fu recuperata una lastra in carparo con l’iscrizione
sinistrorsa FILONIDA che doveva riferirsi non all’ubriacone
(soprannominato kotyla o boccale) che offese in teatro gli
ambasciatori romani con a capo Postumio, ma piuttosto al famoso
matematico consigliere di Archita, che fu tra i pitagorici tarantini
inseriti nel catalogo di Giamblico, che elenca gli adepti alla setta
pitagorica dalla seconda metà del VI sec. a.C. fino agli inizi del
III sec. d.C. La presenza di questa lastra testimonia che le
necropoli del territorio accoglievano i cittadini della polis
Taranto.
La Necropoli L’Amastuola 1
Il sito è situato a Sud della Masseria e comprende numerose
tombe a cassone rettangolari con controfossa, orientate
mediamente Nord-Sud, coperte in genere da due lastroni ben
lavorati provenienti da cave limitrofe e diverse tombe di piccole
dimensioni, destinate ad inumazione di infanti. Ne sono state
esplorate 154, di cui 54 di piccole dimensioni. Diverse carrarecce
con direzione Nord-Sud di epoca successiva solcano i luoghi,
intersecando anche le tombe.
Posizione geografica:
Latitudine 40° 34’ 12,38” N
Longitudine 17° 10’ 16,54” E
Quota 145 m
La Necropoli L’Amastuola 2
Il sito è situato ad Ovest della Masseria, custodisce numerose
tombe a cassone, di cui alcune parzialmente violate e sembra non
essere stato ancora studiato in maniera sistematica dalla
Soprintendenza.
Posizione geografica:
Latitudine 40° 34’ 50,77” N
Longitudine 17° 09’ 54,64” E
Fig. 152 - Tomba della Necropoli L’Amastuola 2.
La Necropoli L’Amastuola 3
In una zona a Nord-Est rispetto alla Masseria, in una pineta, a
ridosso di una antica strada che costeggia la Gravina di
L’Amastuola, si trovano tombe sparse, di cui alcune accoppiate,
già aperte e depredate.
Insediamento fortificato
Il sito è stato oggetto di indagini archeologiche da parte della
Soprintendenza Archeologica di Taranto nel 1991, che ha portato
alla luce strutture di fondazione di abitazioni e un muro di
recinzione con aggere con funzioni difensive. Le abitazioni sono
a pianta rettangolare, con superficie di circa 10 mq, del periodo
magno greco di fine VIII inizio VII sec. a.C., vi abitavano
famiglie di agricoltori e di allevatori. L’insediamento sorse su un
precedente sito japigio, rimasto sepolto sotto le strutture di
epoche successive, testimoniato da buche di pali disposte in
cerchio, resti di una capanna e da rinvenimenti di ceramica
japigia.
Zona degli “Ori di Taranto
A Nord della Masseria, dovevano esistere altri insediamenti, da
cui provengono alcuni degli “Ori di Taranto”, custoditi nel Museo
Archeologico di Taranto. Nella stessa zona sono stati ritrovati
frammenti di piombo appartenenti probabilmente alle forme in
cui veniva colato l’oro per fabbricare i gioielli72.
Trappeto vecchio
Il sito è raggiungibile dalla strada sterrata che lambisce la
Necropoli 2, ad Ovest della Masseria e mostra ancora l’antica
struttura del grande Trappeto ipogeo, che doveva appartenere alla
Masseria. Una testimonianza orale riferisce che sarebbe collegato
con la Masseria con un tunnel.
***
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Conclusione
Sono convinto che quello che ho potuto visitare e che qui ho
potuto descrivere sia solo una minima parte di ciò che realmente
esisterebbe, a dare voce ai racconti di diversi testimoni del posto,
che parlano – il più delle volte riportando il “sentito dire” - di
gallerie “lunghe ed oscure” mai potute esplorare completamente
e di ambienti sotterranei che essi avrebbero percorso, come:
la famosa galleria carrozzabile che dal Castello condurrebbe alla
Masseria di Patemisco e al mare,
la galleria che dallo stesso Castello porterebbe a Taranto,
il tunnel che dalla Chiesa Nuova porterebbe a Sud,
il tunnel che dalla Chiesa di S. Maria di Costantinopoli (oggi Bar
Tazza d’Oro) porterebbe al Castello,
il tunnel carrozzabile che da Palazzo De Carlo porterebbe nella
zona di S. Sergio,
il tunnel che dallo stesso Palazzo De Carlo condurrebbe verso
Mottola,
il tunnel che dalla zona della Candelora porta in Via Vittorio
Veneto,
le vie di fuga che dai palazzi nobiliari conducevano nelle Gravine,
altri.
Sarei grato a quanti, sollecitati dal mio lavoro, volessero darmi
ulteriori indicazioni su luoghi di Massafra sotterranea a me non
noti, oppure indicarmi eventuali inesattezze nella stesura di queste
note.
******
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Bibliografia
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Note
1
Nel 1266, le città conobbero una grande espansione urbanistica, con incremento di estrazione di
tufi dal sottosuolo.
2
Nel sec. XIV, a causa della devastante diffusione della peste nera in tutta Italia (1347-1351) e di
crolli di abitazioni nel centro medievale, i villaggi rupestri e le abitazioni grottali furono
definitivamente abbandonati dalla popolazione, che si riversò sui pianori alti.
3
La tecnica di ricavare abitazioni rupestri del tipo vicinanza scavando nella roccia tufacea è
antichissima e sarebbe stata importata nel V sec. d.C. da gente africana sfuggita alle persecuzioni
vandale, al seguito di S. Possidonio, vescovo di Calama. Per metonimia la parola “vicinanza”
indicava la comunità di persone o di famiglie che abitavano in una stessa vicinanza.
4
E. Jacovelli, Massafra la città e il territorio, p. 65 e p. 105.
5
C.D. Fonseca-F. Lembo, Il centro storico di Massafra. Tav. 6.
6
R. Caprara-C. Crescenzi-M. Scalzo, Il territorio Nord del Comune di Massafra, p. 126.
7
G. Mastrangelo, Contributo sull’origine e sul regime dominicale delle vicinanze ipogeiche di
Massafra, Boll. Archeogr. 2, p. 32.
8
Per limitarne lo scioglimento, i blocchi di ghiaccio erano separati con strati di paglia e tutto il
carico protetto con panni di lana.
9
Le cave costituivano una cospicua risorsa economica per i proprietari, gli addetti ai lavori di scavo
e di trasporto. Sono numerosissime le cave disseminate nel territorio: se ne trovano p.e. nelle
contrade Corvo, Masonghia, Carrino, Console, Torretta, Trovanza, S. Oronzo. Oggi sono quasi tutte
chiuse, molte distrutte, alcune adibite ad usi dissennati; quelle ancora aperte potrebbero,
opportunamente sistemate ed attrezzate, essere salvate dalla distruzione, anzi costituire luoghi per
nuove attività.
10
La necessità di ricorrere a cave esterne fu imposta con la Prammatica IX del 1776, che vietò
l’estrazione dei tufi da cave in situ. Di fatto, questa normativa rese più onerose le costruzioni per
l’aumento del costo di trasporto della materia prima, i tufi, dalle cave. E’ qui il caso di ricordare che
la nuova zona di espansione della città nella Serra di Mezzo rimase isolata dal resto del territorio,
per essere chiusa tra le due Gravine di Madonna della Scala e di San Marco e quindi per l’assenza
di vie di comunicazione e di trasporto, fino al 1864, anno di costruzione del Ponte vecchio. In
questo periodo i tufi furono estratti in maniera più intensiva soprattutto dal fianco occidentale della
Gravina S. Marco, nel quale, indebolito e sforacchiato, si intensificarono i crolli e le frane.
11
Da G. Termite, La Massafra sotterranea, Grafiche MAX, Massafra 1999.
12
E. Jacovelli, Massafra nel sec. XVI, p 39. In questo lotto i Pappacoda possedevano un palazzo
nobiliare con annesso giardino, che probabilmente fu demolito per far posto al convento, se non
proprio inglobato nella nuova struttura, che ne incorporò anche i sotterranei.
13
I “gnummerèdde” sono involtini di frattaglie di agnello, come fegato, polmoni, animelle, avvolti
in zeppe di grasso e legati con budello d’agnello.
14
Probabilmente i fondi per l’ultimazione dell’opera derivarono dalla vendita a privati del giardino
ad Est a confine con il Convento degli Antoniani, che rimase separato dal Monastero in seguito
all’apertura di Via Fanelli.
15
E. Jacovelli, La Chiesa e il Monastero delle Benedettine di Massafra.
16
E. Jacovelli, op. cit., p. 482.
17
M. Camera, Annali delle Due Sicilie dall’origine alla fondazione della monarchia,Vol. I, Sec. XI,
p. 4.
18
Il sistema giuridico feudale era gestito dalla Corte Baronale, era indipendente da quello pubblico
ed aveva le sue carceri nel castello.
19
E. Jacovelli, Massafra nel sec. XVI, p. 24.
A.V. Greco, Masserie e Massafresi, p. 150, riporta : “Nel 1748 il dottore Antonio Elena fu messo
in carcere in una orrida torre sotterranea del castello baronale di Massafra, ove prima vi morirono
alcune streghe.”
20
Via Lo Pizzo trae il suo nome dall’antica denominazione dello sperone roccioso su cui si erge il
Castello, Lo Pizzo.
21
R. Grippa, Cinquant’anni di vita massafrese, p. 94.
22
E. Jacovelli, Massafra nel sec. XVI, p. 51.
23
P. Ladiana, Uomini, fatti e cose della vecchia Massafra, p.141.
24
P. Catucci, Origine del culto di S. Lorenzo a Massafra.
25
R. Caprara, La Chiesa rupestre di S. Lorenzo a Massafra.
26
V. Gallo, Origine e vicende della Città di Massafra, pp. 78,79 e E. Jacovelli, La Città e il
territorio, p. 71.
27
R. Caprara, Il Duomo di Massafra, p. 5.
28
E. Jacovelli, Massafra, La Città e il territorio, p. 69.
29
E. Jacovelli, Massafra nel sec. XVI, p. 47.
30
Secondo G. Portararo il barone sarebbe Francesco Pappacoda, ma evidentemente il dato era
erroneo perché questi era morto nel 1576 o 1577, quindi prima del 1580; molto più verosimilmente
si trattò di Alfonso, come riportato da P. Coco.
31
Id., ibid., p. 74.
32
A. De Sariis, Dell’Istoria del Regno di Napoli, p. 359.
33
Questa dicitura, stampigliata a grandi caratteri sulla facciata principale prospiciente alla Via
Appia, è ora scomparsa.
34
Le notizie su questo Santuario sono riportate in E. Jacovelli, Massafra nel sec. XVII, pp. 78-83.
35
E’ ancora conservata dietro l’Altare la nicchia che contiene la conchetta dell’acqua miracolosa.
36
D. R. Colucci, Storia di anime. Origine del nome “Madonna della Scala” (Racconto inedito).
37
La Gravina di Calitro è la parte terminale a Sud della Gravina della Madonna della Scala.
38
Joannes Juvenis, De Antiquitate et Varia Fortuna Tarentinorum, Lib. 2, Cap.V, p. 20.
39
A. Kircher, Mundus subterraneus, Tomo I, p. 269.
40
Il nome del fiume derivava dal greco potamos e trasformato in latino in potamiscus.
41
Il Diploma originale è conservato nell’Abazia della S.S. Trinità di Cava dei Tirreni, pubblicato da
M. Perrone in “Storia documentata della città di Castellaneta”, 1896.
42
Per notizie dettagliate sulla tessitura in epoca antica, si veda l’articolo La tessitura in epoca
antica nell’area interna della Murgia di Chiara Ivone, Umanesimo della Pietra – Riflessioni, Luglio
1989.
43
La canna napoletana era l’unità di misura per le lunghezze. Dal 1408 al 1480 valeva 2,109 m, dal
1840 era pari a 2,646 m.
44
45
L. Carducci, Storia del Salento.
V. Gallo, Origini e vicende della Città di Massafra.
46
La concia vegetale era conosciuta in epoche remote e si basava sul potere conciante del tannino
estratto dalla corteccia di alcune piante, come il pino, la quercia e il terebinto (pistacchio), piante
particolarmente diffuse nei nostri boschi. Le calle prodotte sul terebinto dagli afidi pemphigus
carnicularius e p. semilunarius sono fonte di tannini e venivano usate per conciare le pelli.
47
J. Ross, La Puglia nell’800, p. 71.
48
Al momento, non sono disponibili notizie di questo antico personaggio, tanto importante e noto
da dare origine al toponimo della tintoria.
49
Notizie dettagliate, riferite al 1746, anno del contratto di affitto dei mulini tra Francesco Paolo
Colafato, proerario di Michele Imperiali, Principe di Francavilla e utile Signore della Terra di
Massafra e i signori Pizziferro, si possono trovare in G. Mastrangelo, Brevi note storiche sul
Castello, il fossato, le mura medievali, i molini baronali e la Chiesa di San Toma in Massafra.
50
In gergo dialettale e negli atti notarili gli apiari erano chiamati avucchiari.
51
Di essi non esiste un censimento completo e pochi possono vantare di conoscerli tutti.
52
Come è noto, le nostre Gravine ospitano innumerevoli specie di alberi, arbusti e piante, fra cui
abbondano quelle aromatiche, come per esempio il rosmarino, il timo, la salvia, il serpillo, la menta,
i ginepri, la cui abbondante fioritura copre tutto l’anno.
53
Athen. Lib. II C. III
54
Coel. Lib. XXVII, C. XVII
55
Tannoja, Parte Prima, Cap. XXXII, p. 192
56
Lib. IV v. 231
57
L. XI, C. XVI
58
L. IX, C. XV
59
Geop. L. XV C. 5
60
Tit. De furtis Apum
61
Alex. Ab Alex. Lib. 3 C. 2
62
Enigm. De stilo
63
Lib. XXXV
64
Geoponicorum, Lib. XV Cap. II
65
Lib. XX Cap. XII
66
Lib. IX, Cap. III
67
Farmacie erano i laboratori e gli scaffali di essenze medicamentose ricavate dalle piante.
68
Questa ipotesi mi sembra poco probabile, dal momento che l’incinerazione dei defunti era
praticata dai pagani ma non dai cristiani.
69
L’importanza dell’allevamento dei colombi presso gli antichi è stata ampiamente trattata da
Roberto Caprara nel libro Società ed economia nei villaggi rupestri.
70
L’indicazione topografica della Masseria è incerta, infatti è indicata spesso anche come
“Amastuola”, “La Mastuola” o “Mastuola” , ”Mastuolo”.
71
E. Jacovelli, Massafra. La città e il territorio.
72
In zona era attivo un importante laboratorio di oreficeria, noto come bottega di Crispiano.
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