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Pindaro a Urbino: le Olimpiche, "RFIC" 2015

Volume 143 2015, fascicolo 1 2 01 5 L O E S C H E R E D I TO R E TO R I N O cronache e commenTi Pindaro a Urbino: le olimPiche* Fino a pochi decenni fa non c’erano commenti aggiornati e di ampio respiro ai canti di Pindaro. Poi, con la fine degli anni ‘60 del secolo scorso, cominciarono ad apparirne a gruppi di odi sparse (ch. carey nel 1981, W. J. Verdenius nel 1987 e 1988, S. instone nel 1986, m. m. Willcock nel 1995) o per serie omogenee di carmi (e. Thummer e G. a. Privitera per le Istmiche nel 1968/1969 e nel 1982, m. cannatà Fera per i Threnoi nel 1990, S. lavecchia per i Ditirambi nel 2000, i. rutherford per i Peani nel 2001) o anche per singole odi (d. e. Gerber per la Olimpica 1 nel 1982, b. K. braswell per la Pitica 4 nel 1988, P. J. Finglass per la Pitica 11 nel 2007 ecc.). di questa nuova fase della critica pindarica due picchi luminosi sono indubbiamente segnati dalle Pitiche, edite e tradotte da Gentili con i commentari di e. cingano, P. bernardini, P. Giannini e dello stesso Gentili nel 1995, e queste Olimpiche, apparse nel settembre del 2013, tali dunque da poter dare al vecchio studioso, morto quasi centenario l’8 gennaio del 2014, la soddisfazione di toccare con mano la sua ultima creatura. in esergo è riprodotta un’ampia citazione da Maia in cui d’annunzio correlava atletismo e poesia nel segno di un ritmo solidale («perpetuavasi il ritmo dell’olimpica ode / nei polsi del pugile…»), e al poeta abruzzese Gentili si rifaceva già nell’introduzione alle Pitiche ricordandone l’affermazione, in una lettera al suo traduttore francese (1905), secondo cui «una buona traduzione moderna non deve avvicinare l’opera al lettore, ma sì bene il lettore all’opera, magari malgré lui» e rivendicando la polimetria del verso libero dannunziano come modello ancora valido per restituire almeno un’eco dell’impareggiabile dovizia ritmico-espressiva della poesia pindarica. d’altra parte il d’annunzio recuperato da Gentili non è il vate altisonante e stucchevole di molta produzione, ma l’indefesso sperimentatore linguistico e l’audace ideatore di immagini delle Laudi, e specialmente di Maia, e in effetti i modi perseguiti da Gentili per adeguarsi alla dizione labirintica del poeta tebano sono nel segno di una raffinata semplicità e di uno scrupolo tenace a restituire quanto più è possibile le molteplici sfaccettature del testo greco, legate non solo a specifici schemi linguistici ma anche a peculiari tratti antropologici. di qui la necessità di evitare due opposti * Pindaro, Le Olimpiche. introduzione, testo critico e traduzione di bruno Gentili, commento a cura di carmine catenacci, Pietro Giannini e liana lomiento. Fondazione lorenzo Valla, mondadori, milano 2013, pp. lvi, 663. rFic, 143, 2015, 133-145 134 Franco Ferrari estremismi: quello di un’irrealistica fedeltà alla lettera degli originali tale da pregiudicare ogni possibilità di comunicazione con il lettore contemporaneo violando la natura della lingua d’arrivo, come per Pindaro tentò di fare da noi leone Traverso (sui suoi meriti e limiti Gentili ha scritto in Leone Traverso traduttore di Pindaro1), e quello di un compiaciuto e spregiudicato virtuosismo disposto a violare la natura della lingua di partenza. rispetto alla traduzione delle Pitiche c’è però un’importante, seppur non dichiarata, novità. mentre lì la successione dei versi ‘liberi’ italiani seguiva una linea di personale invenzione sganciata dal modello, questa volta viene recuperato il metodo riga-verso adottato da Privitera per le Istmiche. ogni rigo corrisponde infatti a un colon senza però che venga meno il perseguimento di una linea ritmico-musicale continua e coerente, come si può vedere, per citare un solo esempio, nel racconto del parto di evadne (6, 39 sgg.): lei, deposta la cintura scarlatta e l’idria d’argento, sotto un’oscura fratta generò un bimbo di mente divina; il dio dai capelli d’oro vicino le pose ilizia benigna e le moire. da notare, per toccare anche di un punto di ordine lessicale, la scelta di ‘fratta’ per λόχμας, generalmente reso con ‘rovo’ o ‘cespuglio’ o ‘boscaglia’. Vocabolo semplice ma puntuale che nella nostra lingua ha generato il metaforico (e squalificante) ‘infrattarsi’, ‘fratta’ è in grado di restituire il senso di vergogna e di solitudine della figlia di epito, che per nove mesi ha celato nelle pieghe della veste il seme del dio. a Gentili si devono anche la costituzione del testo, generalmente equilibrata nonostante qualche eccesso di conservatorismo (compensato però dall’eliminazione di numerose incrostazioni sedimentatesi nel tempo in forma di congetture superflue di dotti bizantini e di studiosi moderni), l’apparato critico (ampio ma non sovrabbondante, puntuale, chiaro, e fornito di una speciale sezione dedicata alla tradizione indiretta) e l’introduzione, che rispetto a quella alle Pitiche ha in più una «Vita di Pindaro» anche se, per contro, manca di una carrellata in ordine cronologico sulle occasioni e i tratti performativi delle singole odi (e alla precedente introduzione si rimanda per la storia della tradizione e per altri aspetti di ordine generale). non risulta invece indicato a chi precisamente si debbano gli schemi metrici e le relative note che comunque ripetono fedelmente le linee elaborate dallo stesso Gentili e da liana lomiento in Metrica e ritimica2 (e 1 2 Gentili 1999. Gentili – lomiento 2003. Pindaro a Urbino: le olimPiche 135 un utilissimo apparato colometrico, collocato in fondo al volume, si deve a Giannini). Gli schemi appaiono attenti e puntuali anche in ambito prosodico e usano, secondo la consuetudine ormai affermatasi nella scuola urbinate, una serie di termini specifici per le sequenze kat’enoplion-epitritiche in luogo del certo più pratico sistema maasiano di schematizzazione per poche sigle (d, e, e ecc. e l’anceps interpositum) di quelli che venivano chiamati (e molti continuano a chiamare) dattilo-epitriti. come per le Pitiche, l’aspetto più innovativo rispetto alle edizioni precedenti è il ripristino di una divisione per cola, non per ‘versi’ in senso boeckhiano, e in effetti c’è una flagrante contraddizione nelle edizioni di Snell, e anche di Snell-maehler, fra la definizione e distribuzione degli stichoi per gli epinici pindarici (secondo ‘versi’ boeckhiani) e quella applicata a bacchilide e ai frammenti dello stesso Pindaro, condotta invece sulla base dei cola alessandrini (ma con occasionali correzioni nei casi in cui essi violassero i criteri stabiliti da boeckh). dei commentatori alle Pitiche ricompare solo Giannini perché a cingano e bernardini subentrano catenacci e lomiento. Un segno, anche questo, della lunga durata di un magistero che si è snodato per più generazioni intorno al centro di studi sulla lirica greca e sulla metrica greca e latina della Facoltà di lettere di Urbino e ai Quaderni Urbinati di cultura classica perpetuando criteri e modalità ormai largamente affermatisi anche grazie al successo del volume più fortunato di Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica3: un’attenzione ai dati concreti del contesto storico e della performance, un’idea della produzione lirica corale del tardo arcaismo e della prima metà del V secolo come legata a un ‘contratto’ fra poeta e committente, un’insistenza sulla dimensione ‘pragmatica’ del testo, una rivalutazione delle testimonianze fornite dalla tradizione scoliastica antica e bizantina, un rifiuto del rigido formalismo promosso dagli Studia Pindarica di elroy bundy4 senza per questo ricadere se non occasionalmente negli eccessi biografistici che erano stati del Pindaros di Wilamowitz5. mentre però alcune introduzioni a singole odi erano state elaborate, nel volume dedicato alle Pitiche, da Gentili (e non senza occasionali divergenze fra introduzioni e commenti), ora tutte le introduzioni sono state redatte dagli stessi studiosi che hanno composto i commenti. Venendo appunto ai commenti e alle introduzioni alle singole odi, sarebbe fin troppo facile, ma almeno in parte arbitrario, comparare pregi e limiti dei singoli commentatori anche perché questo lavoro di équipe si è evidentemente giovato di un intenso e continuo scambio di idee e di informazioni fra i singoli studiosi e perché tutti hanno condiviso un orientamento comu- 3 Gentili 1984. bundy 1962. 5 Wilamowitz 1922. 4 136 Franco Ferrari ne. Tutt’al più, dal momento che ancor più oggi che in passato un commentatore – diciamo un commentatore ‘globale’, diverso dal commentatore che si concentra su un singolo aspetto di un testo – è come un decatleta che deve cimentarsi in diverse e impegnative discipline, ognuna delle quali si basa su complessi presupposti e abbraccia una sterminata bibliografia, si possono richiamare i campi o le specialità in cui i singoli commentatori si mostrano più versati. diremo allora che catenacci (che ha curato le odi 1, 2, 3 e 12) rivela uno spiccato interesse per i riferimenti antropologici e ideologici e per le riprese moderne di luoghi pindarici, che Giannini (odi 6, 7, 8 e 9) approfondisce con particolare puntiglio lo sfondo storico e le varianti mitiche e sfrutta sino in fondo i dati della tradizione scoliastica (compresi gli scoli recenziori pubblicati da abel), che liana lomiento (odi 4, 5, 10, 11, 13 e 14) ha una particolare propensione per gli aspetti filologici del testo (compresa la dimensione ritmica), per l’ardua questione della cronologia delle singole odi e per la valorizzazione dei dati archeologici. Passando ora, ode per ode, a qualche punto specifico avvertiremo che le note sparse che seguono, di ordine specialmente testuale, esegetico e metrico, si riferiscono solo sporadicamente a sviste o ad errori: segnalano generalmente dubbi e perplessità che un commentario di tale ampiezza e di tale impegno non può non suscitare qua e là in chiunque abbia sperimentato un non effimero incontro con il testo pindarico. i meriti di Gentili e di tutti i commentatori restano comunque cospicui, e c’è solo da augurarsi che la decadenza degli studi universitari non pregiudichi la fruizione del volume da parte di un pubblico di lettori, se non ampio, almeno discretamente esteso, tale da giustificare anche in chiave economica la futura promozione di analoghi cimenti editoriali. Olimpica i, vv. 27 sgg.: catenacci rifiuta l’ipotesi che Pelope fosse fornito di una spalla eburnea fin dalla nascita e trova singolare che un lebete potesse essere usato per lavare un bambino, ma un λέβης è (anche) un catino per detergere mani o piedi (hom. Od. 1, 137; 19, 386) e una figura come cloto è strettamente connessa alla nascita e al filo del destino. Se, come è chiaramente affermato dal poeta, la versione che comportava un atto di cannibalismo (con il corpo di Pelope imbandito dal padre Tantalo agli dèi) è falsa, e Pelope fu invece rapito da Posidone, non ci poteva essere una ri-nascita del giovane. Certo l’interpretazione di ἐπεί al v. 27 in chiave puramente causale è un escamotage (abbiamo qui una delle rare contraddizioni con la traduzione di Gentili, che rende la congiunzione appunto con ‘poiché’), ma si può pensare che l’avvio del racconto mostri una forte compressione cronologica per la drastica selezione dei tratti di una storia che viene quasi immediatamente abbandonata: il dio si invaghì del giovane in occasione del convito offerto da Tantalo agli dèi dopo che (e insieme poiché) Pelope era nato, anni prima, con una spalla d’avorio. Poi, con ὁπότ᾽ del v. 37, viene riavviato il nastro del racconto e la nebulosità del primo inizio si dissolve perché diventa chiaro in quale contesto (conviviale) scattasse l’innamoramento del dio. Pindaro a Urbino: le olimPiche 137 Olimpica II. V. 32: il riferimento di ἁμέραν alla vita in generale e non alla singola ‘giornata’ (ma «un giorno» traduce Gentili) è in contrasto con ὁπότ᾽: l’idea è quella di riuscire portare a termine una singola giornata senza turbamenti o sofferenze («con illesa fortuna»). V. 45: si accoglie Ἀδραστιδᾶν, ma si imporrebbe, con sch. 80ab e 81bc e con C. O. Pavese6, Ἀδραστίδαν (gen. pl. di Ἀδραστίς), a segnalare la linea femminile della discendenza: Tersandro è infatti figlio di Polinice e argia, a sua volta figlia di adrasto, la cui casata si è già estinta in argo. V. 47: si conserva ἔχοντι (ἔχοντα Aristarco, cfr. sch. 82a, dove a r. 18 ἔχοντι va corretto, con Hartung, in ἔχοντα), ma l’assenza del soggetto è strana e molto brusco risulta lo stacco, già postulato da Didimo, fra ῥίζαν e πρέπει. V. 52: si rifiuta δυσφρονᾶν di Dindorf (1836) per il corrotto δυσφροσύναν della tradizione manoscritta, ma, trattandosi dell’emancipazione da una condizione interiore, ἀφροσύνας di Bowra è preferibile a ἀφροσυνᾶν di T. mommsen (che denoterebbe ‘atti di follia’, come in hom. Od. 24, 457 καταπαύεμεν ἀφροσυνάων). Vv. 56-57: la notazione «la protasi introdotta da εἰ δέ non è conchiusa da una sua apodosi, ma è retta da ciò che precede» dimentica la presenza di δέ. La traduzione «se chi la possiede» legittimamente ignora il δέ, ma è inevitabile postulare alla fine dell’epodo (v. 60) un’aposiopesi che lascia in una voluta indeterminatezza la sorte dei malfattori non redimbili. Vv. 57-60: pur definendo la mia nota ad loc.7 «ricca di spunti e importanti confronti», catenacci immagina, dichiarando di differenziarsi dalla mia esegesi, punizioni che le ἀπάλαμνοι φρένες (giustamente intese come «menti sprovvedute») pagano con l’immediata reimmissione nel ciclo doloroso della vita, senza punizione o premio nell’aldilà. ma questo è sostanzialmente ciò che sostenevo salvo postulare un breve soggiorno (o almeno un transito) infero che solo può spiegare l’inclusione anche di questa categoria di individui fra i defunti (θανόντων 57): tutti i mortali senza eccezione vanno all’ade, come mostra anche er alla fine della Repubblica di Platone. l’idea di un transito non meglio precisato si oppone da un lato all’eterna dannazione dei reprobi, dall’altro ai tre soggiorni imposti a coloro che da ultimo sono trasferiti nell’isola dei Beati. Vv. 61 sg.: si legge ἴσα (Bizantini) δ᾽ ἐν ἁμέραις al prezzo di eliminare quell’anafora ἴσαις / ἴσαις su sui s’incardina tutta la frase. A p. 61, nella Nota metrica, si osserva che la soluzione di T. Mommsen ἴσαις δ᾽ {ἐν} ἁμέραις «è inconciliabile con l’interpretazione dello scolio metrico che intende il colon come dimetro ionico catalettico con inizio trocaico», ma lo scoliaste (o la sua fonte) può essersi sbagliato limitandosi a prendere in considerazione le prime tre coppie strofiche. V. 70: τύρσιν viene reso con «torre», ma si tratta comunque di una sineddoche per ‘città turrita’ o sim., cfr. sch. 127b πόλιν. Forse valeva la pena di richiamare il lastrone di 6 7 Pavese 1990, 40 sg. Ferrari 1998, 94 sg. 138 Franco Ferrari copertura della celebre Tomba del Tuffatore di Paestum, coeva a Pindaro, dove le torri oltre le quali l’uomo si lancia verso l’acqua sono state spesso interpretate come limite di accesso a un aldilà edenico quale appare raffigurato sulle lastre laterali. V. 97: la conservazione di τε θέμεν costringe a fare di τὸ λαλαγῆσαι il complemento oggetto di θέλων e non il soggetto dell’infinitiva κρύφιον… κακοῖς, ma l’idea che ad opera di uomini insensati «la sazietà vuole il ciarlare» sembra forzata: la ciarla non è l’obiettivo della sazietà (o, piuttosto, dell’avidità invidiosa); in realtà il κόρος intende cancellare i meriti altrui avvalendosi del ciarlare come del suo strumento privilegiato (lo stesso catenacci osserva che «la sazietà conculca la lode con le parole e con i fatti»). Sia τιθέμεν di G. Hermann che τι θέμεν di C. o. Pavese risolvono il problema. Olimpica iii. Giusta e opportuna la difesa dell’inscriptio ΕΙΣ ΘΕΟΞΕΝΙΑ; si poteva aggiungere che un contesto conviviale, con tanto di trapeza imbandita a cui i dioscuri si avvicinano, è attestato su una hydria attica a figure rosse del Pittore di cadmo del 430 ca. a. c. (LIMC iii [1984], s. v. Dioskuren, nr. 433), come ho segnalato in Representations of cult in epinician poetry8. Schema metrico: la correzione (Pauw) di βαθυζώνου in βαθυζώνοιο al v. 35 (ep 9) è troppo agevole per postulare fungibilità fra coriambo ed epitrito. Un caso inverso è offerto dal tramandato εὐδόξοιο di Ol. 14, 23, variamente corretto in εὐδόξου (Boeckh) o εὐδόξοις (Bergk) ma giustamente difeso postulando correptio interna di -οι- e soluzione del primo longum del secondo giambo. non impossibile, invece, la correptio al v. 30 (ep 9) dell’ultima sillaba di Ὀρθωσίαι davanti a ἔγραψεν, ma il ricorso indifferenziato alla nozione di ‘iato’ sia, come qui, per casi di correptio (e dunque di iato apparente) sia per casi di iato senza correptio come il γλώσσᾳ ἀκόνας (‒ ‒ ‿ ‿ ‒) di Ol. 6, 82 (che pure viene richiamato a confronto) confonde i termini della questione. Olimpica iV, v. 11: la traduzione «per il carro» difficilmente può equivalere al genitivo semplice ὀχέων, né il commento, che discute solo dell’interpretazione ablativale e di quella spaziale («sul carro», con sch. 18a), ne offre una qualche motivazione. Olimpica V. mentre incontriamo una dotta e approfondita discussione sulla cronologia dell’ode la questione della sua autenticità viene liquidata un po’ troppo sbrigativamente in una nota (120 n. 4). nota metrica: si opta per una triade strofica, non per un carme monostrofico, ma la ricostruzione colometrica proposta è molto problematica e non legittima l’accoglimento della lezione, registrata solo supra lineam, di un ristretto gruppo di codici τῶν ἐν Ὀλυμπίᾳ in luogo di τῶν Ὀλυμπίᾳ al v. 2. La presenza della sillaba breve in seconda sede, se si vuol evitare la congettura Οὐλυμπίᾳ di Triclinio, si giustifica nell’ambito 8 Ferrari 2012, 161. Pindaro a Urbino: le olimPiche 139 di un colon di tipo gliconico qual era postulato da Snell, e inoltre l’adozione per str/ant 3/4 di un verso costituito da 2da + hem i richiederebbe paralleli adeguati. entro lo stesso contesto metrico si accoglie al v. 18, con una parte dei codici, ῥέοντ᾽ Ἰδαῖον osservando che la prima sillaba dell’aggettivo «è sempre lunga nelle attestazioni poetiche», ma cfr. Pae. 4, 51 Περιδάιον ||| ‿ ‿ ‒ ‿ ‒ : un’oscillazione nella quantità che non può sorprendere in «un terme indigène préhellénique» (chantraine, DELG, p. 455). V. 13: davvero eccessiva, nell’interpretazione di κολλᾷ, l’incertezza della lomiento fra l’esegesi di aristarco, ripresa anche da Gentili in Le Pitiche9, per cui si allude a formazioni di limo fluviale da cui sarebbero stati ricavati mattoni, e quella di didimo, per cui il fiume forniva un rapido mezzo di trasporto per i legnami da costruzione (un dato che ha ben poco a che fare con κολλᾷ e sminuisce il ruolo del fiume e il suo legame con i camarinesi). Olimpica VI, v. 15: come può τελέω significare ‘raccogliere’ o ‘ammonticchiare’, e a che cosa si lega, e con quale funzione sintattica, il genitivo πυρᾶν? Nessuna soluzione fin qui tentata sembra convincente, come mostra l’equilibrata discussione di G. o. hutchinson10. Vv. 22-25: strano il rifiuto dell’idea che qui si abbia a che fare con la metafora del carro delle muse in quanto queste ultime non sono nominate: si tratta pur sempre, come mostra anche μοι, di un carro che traccia la via del canto. V. 53: εὔχομαι nel senso di ‘dichiarare’ è già omerico (Od. 5, 450) oltre che miceneo. V. 54: l’affermazione «non necessaria la correzione βατίᾳ dei Bizantini per ottenere la sillaba breve e tanto meno βατιᾷ di Wilamowitz» è forse un po’ troppo vaga: in realtà si ha correptio interna, come correttamente segnalato nel testo. Vv. 61-63: un po’ ingenua sembra l’idea che apollo debba trovarsi a olimpia per rispondere alla preghiera di iamo: gli dèi, come Teti dagli abissi del mare nel primo canto dell’Iliade, possono ascoltare anche da lontano. il dio ode da lungi e viene subito in soccorso del figlio. V. 67: la notazione secondo cui «des Herakles einzige μηχανή ist das θράσος» (Wilamowitz) non corrisponde alla (giusta) traduzione «audace»: θρασυμάχανος è propriamente ‘ardito nei mezzi che sa mettere in atto’, ‘bold in contriving’ (LSJ) così come θρασυμήδης (Py. 4, 143) è ‘ardito nei pensieri’ («dagli arditi progetti» lo stesso Giannini in Gentili 1995, 167 sg.). V. 78: in λιταῖς θυσίαις «con sacrifici supplichevoli» (Gentili) λιταῖς sarebbe aggettivo «come in Pyth. 4, 217», dove troviamo λιτάς τ᾽ ἐπαοιδάς (gli incantesimi che Afrodite avrebbe insegnato a Giasone). ivi, nella nota ad loc., Giannini richiamava anche fr. 21 Ἀὼς λιτά, dove però l’aggettivo significa ‘supplicato’ (eustazio, che lo cita, lo spiega come sinonimo di εὐκταῖος) e il lemma di Esichio λιτὴ χθών, dove è ipotizzabile la medesima valenza passiva. Preferibile l’ipotesi, sostenu- 9 Gentili 1995, lxv n. 2. hutchinson 2001, 382 sg. 10 140 Franco Ferrari ta da chantraine11, di una giustapposizione asindetica sul tipo di ἀνδρῶν γυναικῶν (Soph. Ant. 1079). V. 79: se, come lo stesso Giannini ipotizza, ἔχει si lega sia ad ἀγῶνας che a μοῖραν col medesimo senso di ‘presiede a’ («regge» Gentili), non si può più dire che esso «è al centro di uno zeugma». V. 82: si rileva giustamente che ἀκόνας λιγυρᾶς «cote sonora» implica che «la lingua può essere forgiata… o affilata», ma per la metafora si poteva richiamare, oltre a Py. 1, 86, anche Soph. Ai. 584 γλῶσσά σου τεθηγμένη e adesp. 423 TrGF ἄκραν γλῶσσαν ἠκονημένην. V. 97: l’ottativo futuro θραύσοι (ben corretto da Boeckh in θράσσοι) viene giustificato con l’ipotesi che esso annunci un futuro più remoto rispetto a δέξαιτο, ma è indifendibile perché l’ottativo futuro non è in uso in proposizioni indipendenti esprimenti un desiderio o un augurio12. Olimpica VII, v. 8: si sostiene che πέμπων «si riferisce al fatto che Pindaro non si è recato a rodi», ma qui il poeta allude in termini generali alla sua professione di cantore di atleti vittoriosi, mentre la presenza del modulo dell’adventus in κατέβαν del v. 13 segnala proprio la presenza del poeta. Giannini nota la contraddizione ma la risolve dando a κατέβαν (corrispondente a ἦλθον di Ol. 9, 83 e a ἔβαν di Ol. 13 , 97) un valore metaforico (meglio definibile in questo caso come ‘immaginario’ o ‘fittizio’) che sembra smentito anche da Pae. 6, 13 κατέβαν. V. 39: è condivisibile la difesa del tràdito φαυσίμβροτος (perché mai, infatti, l’epiteto epico φαεσίμβροτος, ipotizzato da Schroeder, avrebbe dovuto corrompersi in questo hapax?), ma non occorre passare attraverso il verbo φαύω, presunta forma eolica di φάω: a questo passaggio intermedio, e solo a questo, si riferivano «le perplessità di chantraine, DELG, s.v. φαε, B» (il compilatore della voce era in realtà Jean Taillardat, che considerava φαύω «une formation régressive tirée de fut. -φαύσω, aor. -φαυσα»), mentre nella stessa voce, alla sezione D (p. 1169), φαυσίμβροτος viene considerato, al pari dell’omerico Φαυσιάδης, come un composto in φαυσι- su base φαϝ-. V. 52/53: per le statue semoventi degli artisti rodiesi si potevano richiamare i Theoroi di eschilo e d. T. Steiner, Images in Mind13. Olimpica VIII. Nota metrica: al v. 16 (ep 3) si conserva πρόφαντον dei codici rifiutando la correzione bizantina πρόφατον (che è sì un hapax, ma per φατός ‘dicibile’, cfr. Ol. 6, 37 e, proprio nel senso che qui si richiede di ‘illustre’, hes. Op. 3 ἄνδρες ὁμῶς ἄφατοί τε φατοί τε, e cfr. anche ὑπέρφατος in Ol. 9, 65 e Pae. 9, 15) osservando che l’aristofanio che ne consegue è attestato fra i kat’enoplion-epitriti in Stesich. fr. 223 davies. ma il punto è che occorreva richiamare casi di responsione hemiepes i / aristofanio. Vv. 2-3: si dice che τεκμαιρόμενοι conferisce all’attività oracolare «un aspetto intellettuale non attestato altrove», ma un forte accento 11 chantraine 1953.v Goodwin 1889, §§ 128, 129. 13 Steiner 2001, 156-184. 12 Pindaro a Urbino: le olimPiche 141 intellettuale nell’ambito della pratica divinatoria (rinuncia alla divinazione basata sulla ‘possessione’ a favore di un esame dei σημεῖα ricavabili dal fuoco e dall’acqua) emerge nella col. i del Papiro di derveni, per cui rimando al mio Frustoli erranti14, e più in generale, per una discussione della complessa problematica cognitiva connessa alla mantica vedi S. i. Johnston, Ancient Greek divination15. V. 23: secondo Giannini ὅ τι si riferisce all’insieme degli stranieri che affluivano a Egina e ῥέπῃ denota un’influenza politica (una valenza che sarebbe attestata in Xenoph. Lac. 4, 1, dove però ῥέπειν si connette a ἐπἰ τὸ ἀγαθόν τῇ πόλει nel senso di ‘contribuire al benessere della città’), ma subito prima non si parla di stranieri (se non indirettamente attraverso il richiamo a Διὀς ξενίου), bensì dell’onore speciale reso dagli egineti a Themis, accresciuto dal fatto che è difficile discernere e decidere (διακρῖναι) senza violare la giusta misura ciò che possa far inclinare con un peso eccessivo (πολύ) il piatto della bilancia: forse un’allusione, come ipotizzava l. lehnus16, all’istituzione di un tribunale commerciale per stranieri, certo un riferimento a un tipo di attività che concerneva la giurisdizione esercitata dagli Egineti. ὅ τι… ῥέπῃ deve perciò riferirsi a ciò che possa far abbassare un piatto della bilancia con atti disonesti (in special modo, transazioni commerciali). nulla per altro nella traduzione di Gentili («ciò che è molto e in molti modi nella pesa oscilla / è arduo giudicare / con mente retta e a tempo giusto») presuppone l’interpretazione di Giannini. V. 36: λάβρον (in nesso con καπνόν) non può significare «immenso» quanto piuttosto ‘violento’, ‘aggressivo’ o, ancor meglio, ‘avido’ (di distruzione), come in Py. 3, 39 sg. σέλας… λάβρον (dove Gentili traduceva «vampa rapace»). Olimpica iX. Viene ripristinata dappertutto la colometria dei codici, anche in str/ant 15, dove si postula legittimamente correptio ai vv. 65/66 (καὶ ἔργοισι) e 93/94 (βοᾷ ὡραῖος) ma senza giustificare la fungibilità (onestamente dichiarata «notevole» nella nota metrica) fra ionici a minore di forma pura ( ‿ ‿ ‒ ‒) e di forma ‿ ‒ ‒ ‒, e inoltre lascia perplessi l’accoglimento, al v. 75/76 , dove si conserva γό-|νος, di uno ionico a minore di forma ‿ ‿ ‒ ‿ in sinafia con il colon seguente e in responsione con ‿ ‿ ‒ ‒. Il primo punto (ri)mette in crisi la colometria dei codici, il secondo mostra che si deve intervenire, come tradizionalmente si è fatto, su γόνος (io suggerivo, postulando un errore da aplografia e la soluzione del primo longum del cretico, <γ᾽ ὁ> γόνος). V. 2: era forse il caso di spiegare che la relazione di κεχλαδώς «con lo scorrere rumoroso dell’acqua» è stata ipotizzata sulla base della sua connessione con καχλάζω (cfr. Ol. 7, 2). V. 18: tanto più in concomitanza con fine di verso occorre scrivere πάρα (anastrofe rispetto al precedente σόν), non παρά. V. 111: Gentili rende 14 Ferrari 2011, 42-46. Johnston 2008. 16 lehnus 1981, 137. 15 142 Franco Ferrari la sequenza Αἰάντειόν τ᾽… βωμόν con «e vincitore coronò al convito / l’altare di aiace figlio di ileo», mentre Giannini, sulla scia di Gildersleeve, ventila la possibilità di connettere il genitivo Ἰλιάδα a δαιτί «con una semplice enallage», e in effetti è imprudente spezzare il nesso ἐν δαιτὶ Ἰλιάδα (per il quale cfr. Py. 5, 79 sg. τεᾷ… ἐν δαιτί, Is. 2, 39 θεῶν δαῖτας); d’altra parte non sembra esserci alcuna enallage: Ἰλιάδα precisa che il banchetto non è un banchetto indeterminato, ma un convito a cui l’eroe locrese partecipa nell’ambito di un theoxenion che doveva far parte integrante della festa in suo onore come fanno i dioscuri nell’Olimpica 3 e apollo nel Peana 6. Olimpica X. la lomiento si dichiara incerta se accogliere l’idea degli scoliasti secondo cui il poeta avrebbe sciolto il debito da tempo contratto con Agesidamo consegnando a mo’ d’interesse (τόκος 9), in aggiunta a questa ode, anche l’undecima Olimpica oppure intendere τόκος in chiave esclusivamente metaforica, ma il suggerimento scoliastico appare decisamente inattendibile se si considera che tutto l’esordio è giocato su una metafora commerciale e che il νῦν di v. 9 mostra che il ‘debito’ viene saldato per mezzo del canto in via di esecuzione. l’accenno all’‘interesse’ viene così a prospettarsi come un’allusione al pregio speciale di questo epinicio (la stessa lomiento osserva che «la maestria di Pindaro è in grado di trasformare un ‘difetto’ in occasione di esaltazione della propria arte»). nella nota metrica appare ben motivato il riconoscimento di una forte presenza per tutto il disegno metrico dell’ode di una componente docmiaca (il docmio era un tabù per Snell nell’ambito della lirica corale), ma il simultaneo accoglimento, per str/ant 7, dello iato χερὶ ἐρύκετον al v. 4/5 (ma χερί per un refuso nel testo) e delle sinecfonesi ἐκτίσσατο ἐπεί al v. 25/26 e ποιμένα ἐπακτόν al v. 88/89 (la sinecfonesi interna in Ὀπόεντος di Ol. 9, 58 è evidentemente altra cosa) sembra un prezzo troppo alto da pagare quando basta aggregare, con Snell, i primi quattro elementi al colon precedente e postulare elementum indifferens alla fine del giambo. Per lo stesso colon c’è una svista nello schema metrico: bisognava scrivere non ‒ ‿ ‒ ( ‿) ‒ ma ( ‿) ‒ ‿ ‒ ‒. Per str/ant 4 si accetta la mia difesa di θνατῶν al v. 9 (seguito da crux in Snell-maehler), ma viene rifiutata un’interpretazione del colon come docmio (con il secondo elemento soluto) seguito da hemiepes i: in realtà troviamo l’abbinamento do + hem i proprio in questa ode, e proprio secondo lo schema seguito dalla lomiento, anche in ep 2 ‿ ‿ ‿ ‒ ‿ ‒ ‒ ‿ ‿ ‒ ‿ ‿ ‒ || (il fatto che la sequenza sia interpretata come cr ba do non cambia la sostanza della questione). V. 1: penso anch’io, con altri e (dubitativamente) con la stessa lomiento, che l’apostrofe iniziale sia rivolta al pubblico, non al coro o alla musa; importante in questo senso il parallelo, non menzionato, con l’ἀκούσατε iniziale di Py. 6. V. 25/26: con un improvviso scarto da un orientamento critico-testuale fin troppo conservativo si adotta πόνων di Christ per βωμῶν o βωμῷ o βωμὸν dei codici, ma un nesso βωμῶν ἑξάριθμον «sestuplice di altari» in apposizione ad ἀγῶνα (nel senso di ‘campo’ delle prove atletiche, non di ‘gara’) Pindaro a Urbino: le olimPiche 143 rimanda plausibilmente a quelle sei coppie di altari di Ol. 5, 5 che eracle aveva eretto per le dodici divinità olimpie intorno al tumulo di Pelope (ne parla erodoro, FGrHist 31 F 34 a-b), e poiché la sequenza che si ha con βωμῶν appare metricamente difendibile, come la stessa Lomiento riconosce (con la responsione ‿ / ‒ nel primo elemento del docmio), la spiegazione di sch. 29d ἀγῶνα πλησίον τοῦ ἀρχαίου σήματος καὶ τάφου ἓξ βωμῶν ἀριθμὸν ἔχοντα ἱδρύσατο καὶ κατεστήσατο Ἡρακλῆς suona ineccepibile. l’ipotesi di G. hermann, giudicata «ingegnosa», secondo cui la varietà di desinenze registrate nei codici potrebbe dipendere da una glossa marginale βωμῷ apposta a σάματι del v. 24 (con successivi rabberciamenti) non è convincente: come glossa di σάματι ci aspetteremmo τάφωι o sim., non βωμῷ. V. 46/47: ἔθηκε dei codici bizantini restituisce la correttezza metrica, ma non è agevole immaginare una corruzione θῆκε < ἔθηκε. V. 63: la resa «ponendo nella fama il trionfo agonale che raggiunse con la sua prestazione» non è affatto perspicua (l’εὖχος è già ‘nella fama’!), né la situazione migliora con la congettura di Thomas Magister ἐν δόξαν… θέμενος (‘ponendo/instillando gloria al vanto agonale’). Si ottiene invece un senso plausibile riferendo δόξαν alla sfera del pensiero o del presentimento: gli atleti ‘pongono nel pensiero’ (si prefiggono, sognano) il vanto agonale e poi lo conseguono di fatto, come sottolineato dall’antitesi ἐν δόξᾳ / ἔργῳ. Olimpica XI, v. 10: sch. 10c ὁμοίως ὥσπερ καὶ σὺ νενίκηκας è solo una parafrasi e di per sé non attesta l’esistenza di una ‘lezione’ ὁμοίως (congetturata da leutsch): l’unica lezione attestata, sia pure solo dai codici C e O (gli altri hanno πραπίδεσσιν· ἴσθι senza soluzione di continuità), è ὅμως (da correggere in ὁμῶς, per cui cfr. Ol. 8, 56) ὦν (= οὖν), che in effetti offre un senso convincente: «dunque allo stesso modo sappi ora…». Olimpica Xii, v. 8: la resa di Gentili («ha scoperto da parte d’un dio») presuppone il collegamento di θεόθεν all’immediatamente precedente εὗρεν, mentre Catenacci si dichiara incerto, e comunque contro l’ordine delle parole, fra il nesso con σύμβολον e quello con ἀμφὶ πράξιος ἐσσομένας. V. 19: che qui βαστάζεις significhi ‘dai lustro a’ piuttosto che ‘tocchi’ (‘godi di’) sembra assicurato dal confronto con Is. 3, 8 κωμάζοντ᾽… βαστάσαι. Olimpica Xiii (introdotta e commentata dalla lomiento in modo davvero capillare specialmente per quanto riguarda, a partire dal programmatico γνώσομαι del v. 3, l’incontro di Pindaro con la società e la cultura corinzia). V. 19/20: si sottolinea la possibilità di una connessione etimologica, effettivamente ventilata da Chantraine, fra μέτρον e μῆτις, ma la parentela fra i due vocaboli affonderebbe in un passato troppo remoto per attivare una qualche risonanza nella coscienza linguistica di Pindaro o del suo uditorio. V. 88/89: viene accolta la correzione ψυχρᾶν del corrotto ψυχρᾶς dei codici, ma κόλπων, a cui l’aggettivo deve riferirsi e di fatto viene riferito anche dalla lomiento, è esclusivamente maschile, cosicché si impone il ritorno alla correzione ψυχρῶν. La Lomiento non tocca del 144 Franco Ferrari problema posto dal genere grammaticale, né si esprimeva in proposito colui cui ella rimanda per aver ‘segnalato’ ψυχρᾶν, e cioè F. H. Bothe17: «ψυχρῶν, oder ψυχρᾶν, ἀπὸ κόλπων, die Vermuthung des göttingischen Veteranen, wird Gewissheit» (con il «veterano di Gottinga» si doveva alludere a c. G. heyne, allora quasi ottantenne). V. 108: la lomiento congettura in fine di verso βωμὸς <Διός> {ἄναξ}, ma resta irrisolto il problema posto dal precedente Ἀρκάσιν ἀνάσσων: un nesso che è difficile intendere come «prevalendo sugli arcadi» nonostante il conforto di sch. 152, che è poi l’unico elemento addotto a sostegno di ἀνάσσων (di per sé il nesso verrebbe in realtà a significare ‘regnando sugli arcadi’, cfr. hes. Th. 837: un senso naturalmente improponibile in questo contesto). Una soluzione promettente sarebbe l’abbinamento della proposta della lomiento alla correzione di T. Mommsen Ἀρκάσιν ἆσσον. V. 114: si adotta (legittimamente) il testo dei codici, e cioè ἀλλὰ (ἀνὰ Mingarelli) κούφοισιν ἐκνεῦσαι (ἔκνευσον Maas) ποσίν, reso da Gentili con «su via, con piede leggerο approdiamo» evidentemente intendendo ἐκνεῦσαι, come si faceva prima di maas, quale infinito con funzione d’imperativo. ma allora non si capisce la nota di commento della lomiento «per la costruzione di ἀλλά con l’imperativo con valore esortativo vedi Lomiento, Archil., p. 40 [= Archil. fr. 128, 2 W. (= 105, 2 Tard.), «QUcc» n.s. 64, 2000, 39-41»] (un articolo in cui si proponeva di leggere nel passo archilocheo ἀλλὰ δυσμενέων ἀλέξεο, il che esclude che a proposito del nostro passo «con l’imperativo» sia un lapsus per «con l’infinito»). e se davvero si postulava un imperativo aoristo medio bisognava scrivere ἔκνευσαι, non ἐκνεῦσαι (una soluzione per altro inefficace visto che la diatesi media non appare in uso, a parte il futuro, con (ἐκ)νέω). Olimpica XiV. dal momento che, come si riconosce, le due stanze del carme sono metricamente del tutto simili, e compatibili fra loro, una colometria eterostrofica è assai improbabile né può trovare un parallelo nei resti troppo lacunosi di Pae. 21. V. 20: se, come la Lomiento riconosce, σεῦ ἕκατι si riferisce ad Asopico, non alle Cariti, allora, come suggeriva B. a. Van Groningen18, Ἀσώπιχον ἐν va probabilmente corretto in Ἀσώπιχ᾽, ἐν. La proposta di Van Groningen non viene neppure ricordata in apparato o nel commento, né si ricorda che il problema di connettere σεῦ alle tre dee era comunque già avvertito da aristarco, come si ricava da sch. 27c, e che sch. 27f riferiva σεῦ al vincitore (σοῦ ἕκατι, ὦ νικηφόρε). Franco Ferrari 17 18 bothe 1808, 68. Van Groningen 1942. Pindaro a Urbino: le olimPiche 145 bibliografia Bothe 1808 = F. H. Bothe, Bemerkungen über Pindars Werke, berlin 1808. Bundy 1962 = E. L. Bundy, Studia Pindarica, berkeley-los angeles 1962. Chantraine 1953 = P. 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