«Città e Storia», XVI, 2021, pp. 195-214, doi: 10.17426/C16C09, ©2023 Edizioni CROMA
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ARCHEOLOGIA E TUTELA.
LE INIZIATIVE DI PIO VII PER ROMA E OSTIA ANTICA*
Sonia Gallico
Architetto
Maria Grazia Turco
Sapienza Università di Roma
Abstract: After the eighteenth-century “excavations” of antiquity conducted
with the purpose of enriching the antiques market, the pontificate of Pius VII
Chiaramonti is remembered for the first systematic research and restoration
in the center of Rome but also for archaeological activities in peripheral area
such as Ostia and Porto. These activities were accompanied by articulated
protection Laws: the Chirograph of 1802, the Edict of Cardinal Pacca (1820)
and its subsequent Regulations (1821).
Keywords: Antiquity; Chirograph edict; Cardinal Pacca; Pius VII; Ostia Antica
Premessa
La Francia, dopo le vicende della Rivoluzione della fine del XVIII secolo,
inizia a intraprendere i primi passi verso la conservazione del patrimonio
artistico-architettonico della nazione, anche se sarà solo con la Monarchia
di Luglio, nel quarto decennio del secolo successivo, che riuscirà a mettere
in atto precise modalità di tutela1.
Nello Stato Pontificio, invece, gli iniziali provvedimenti legislativi di controllo delle antichità e dei monumenti possono essere anticipati ai primi
anni dell’Ottocento con le iniziative promosse da papa Pio VII Chiaramonti
(1800-1823)2, il quale nel 1802 emana il noto editto Doria-Pamphilj sulle
*
1
2
ASV = Archivio Segreto Vaticano; PAOAnt, AD = Parco Archeologico di Ostia Antica,
Archivio Disegni; BSR = British School at Rome.
Il lavoro è frutto della collaborazione delle due autrici. Si deve la redazione dei paragrafi
Premessa e La ‘modernità’ di papa Pio VII a Maria Grazia Turco e L’attività di Pio VII nel
territorio ostiense a Sonia Gallico.
M.L. Gazzano, L. Arnello, M. Ghione, A. Rogano, Pio VII primo papa moderno, Savona,
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SONIA GALLICO, MARIA GRAZIA TURCO
Antichità e gli Scavi, base per il successivo editto Pacca del 7 aprile 1820,
primo ed organico provvedimento legislativo di protezione storica e artistica
che assumerà importanza anche al di fuori dello Stato Pontificio, a sua volta
seguito da uno specifico Regolamento, datato 6 agosto 1821.
L’attività del pontefice non si limita, però, all’emanazione di rigide indicazioni normative, ma si rivolge anche a un’intensa attività d’indagine
archeologica sia a Roma sia nelle aree periferiche della città, soprattutto lungo il litorale dove le aree di Ostia Antica e di Porto sono oggetto oltreché di permessi e concessioni di scavo, anche di incontrollate e clandestine azioni di ricerca di reperti e frammenti archeologici.
La ‘modernità’ di papa Pio VII
Pio VII desideroso di ritrovare l’immagine di Roma, offuscata dagli anni
dell’occupazione francese (1798-1799), e motivato da un forte interesse antiquario per il passato classico, già nel primo periodo del suo pontificato si
rende promotore di significativi interventi per impedire la distruzione e la
dispersione delle vestigia storiche e delle ricchezze artistiche; interesse manifestato attraverso l’impostazione di numerose iniziative archeologiche e architettoniche, in questo assistito dall’ispettore per le Antichità, l’abate Carlo
Fea, e dal cardinal segretario di Stato, Ercole Consalvi.
Un totale coinvolgimento del governo pontificio verso il “bene della scienza
archeologica e per la gloria […] [della] metropoli”3 che porterà il papa, in
un’ottica del tutto innovativa, a promuove impegnative campagne di sterro
e di ‘restauro’ sui monumenti antichi (Fig. 1).
A tale proposito, appaiono particolarmente interessanti le indagini archeologiche condotte sugli archi trionfali di Settimio Severo (1802-1803), “scavato e circondato di mura”4, di Costantino (1805) e il progetto per lo sterro
del Foro Romano del 1821-1826, presentato da Luigi Valadier insieme ad
3
4
2019.
C. Bunsen, Scavi Romani. a. Escavazione del Foro Romano e delle sue adjacenze, “Bullettino
degli Annali dell’Instituto di corrispondenza archeologica per l’anno 1829”, Roma, 1829,
pp. 26-32:26.
C. Bunsen, Specchio Cronologico, “Bullettino degli Annali dell’Instituto di corrispondenza archeologica per l’anno 1829”, Roma, 1829, pp. 32-36:32.
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Angelo Uggeri e a Luigi Canina5, tutti interventi realizzati con la supervisione di Carlo Fea, il commissario per le Antichità noto per la “vasta erudizione
[e] […] per il suo nobile entusiasmo”6.
A partire dal 1804, il pontefice porta a compimento anche diversi interventi sul Colosseo, “per sostenerlo e pulirlo”7, impegnando nell’attività circa
duecento uomini per un periodo di due anni; a queste iniziative risalgono
la rimozione degli edifici che occupano il monumento e il progetto per il
grande sperone laterizio di Raffaele Stern (1804-1807), oltreché l’isolamento
dell’Arco di Tito.
Tutte le esplorazioni archeologiche vengono, infatti, condotte con una certa
regolarità e con un maggiore impegno sia all’interno della città sia nelle
aree limitrofe; si tratta di attività in cui prevale, come criterio applicativo,
l’isolamento degli antichi edifici, anche se spesso queste operazioni vengono condotte sulla base di conoscenze affrettate e non sempre documentate;
nonostante l’approccio, quindi, ancora sperimentale e in corso di costruzione, l’obiettivo dichiarato dello Stato Pontificio rimane essenzialmente quello
d’interdire gli scempi fatti da gente “la quale, per lo più, altro non aveva in
cuore che il rinvenir cose di valore per farne commercio”8.
L’interesse di Pio VII è rivolto anche al mantenimento degli edifici religiosi
(tempietto di Bramante a S. Pietro in Montorio, S. Giorgio al Velabro9, S.
Lorenzo in Damaso), oltreché a problematiche urbane, come il restauro di
Ponte Milvio, gli scavi nell’area del Pantheon e la riorganizzazione di piazza
del Popolo su progetto di Giuseppe Valadier.
Tra le operazioni più impegnative si annovera, nel 1818, il trasporto della grandiosa tazza di granito, proveniente dal Foro Romano, sulla piazza
del Quirinale “per compiere il gruppo dei colossi”10 e realizzare la fontana
C. Bardeschi, Valadier e i contemporanei ‘alla prova’ del Foro, “’ANAΓKH”, N.S., 87,
maggio 2019, pp. 46-56.
6
C. Bunsen, Scavi Romani, cit., p. 27.
7
C. Bunsen, Specchio Cronologico, cit., p. 32.
8
F.M. Martini, Come Ostia risorge attraverso nuovi scavi e restauri, “La Tribuna”, 6 maggio
1928.
9
Nel 1819 la chiesa di S. Giorgio in Velabro viene concessa da papa Pio VII all’Adunanza
dei Giovani di S. Maria del Pianto e, quindi, viene riaperta al culto; M.C. Pierdominici,
La chiesa e il convento di San Giorgio in Velabro. Note storiche, in La chiesa di San Giorgio
in Velabro a Roma. Storia, documenti, testimonianze del restauro dopo l’attentato del luglio
1993, “Bollettino d’Arte”, volume speciale, 2002, pp. 15-50:38.
10
C. Bunsen, Scavi Romani, cit., p. 28.
5
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dei Dioscuri11; un interesse per queste sculture, attribuite allo scultore greco
Fidia, già delineato dallo stesso Canova nella Conghiettura sopra l’aggruppamento de’ colossi di Monte Cavallo12, un’opera impostata sino dagli anni
novanta del Settecento ma resa pubblica solo nel 1802.
Lo spunto per la nuova composizione del catino granitico, elaborata dallo stesso scultore, trae ispirazione dalle tavole delle Antiquities of Athens di
James Stuart e Nicholas Revett (1790)13 entrambi studiosi dell’architettura
greca14; d’altra parte i ‘frammenti’ del Partenone sono ben noti nell’ambiente romano visto che nel 1820, come riportato nel “Diario di Roma” del 18
novembre15, i gessi dei marmi fidiaci vengono ospitati ed esposti nei Musei
Vaticani. Le tre sale del Museo Chiaramonti, volute proprio da Pio VII,
vengono, infatti, destinate all’allestimento dei calchi che “ornavano il fregio
e il timpano del Partenone d’Atene, donati da Giorgio IV al pontefice grazie
all’opera mediatrice di Canova”16.
Un’intensa attività di ricerca e recupero di opere d’arte, quindi, che ha anche l’obiettivo di ‘ripopolare’ le sale museali lasciate vuote dalle spoliazioni
francesi; a tale scopo, gli scavi e i commerci di frammenti antichi vengono
definitivamente regolati da precise norme legislative, anche per porre un freno alle devastazioni dei mercanti d’antichità e per impedire che “i tesori più
preziosi del patrimonio storico nazionale” possano essere portati all’estero17.
Nel 1589 viene posizionata ai piedi delle statue dei Dioscuri una prima fontana, servita dall’Acquedotto Felice, costituita da un bacino polilobato che presenta al centro un
balaustro su cui poggia un catino circolare. La struttura viene rimossa nel 1783 in previsione di una diversa sistemazione della piazza. Nel 1786, infatti, papa Pio VI Braschi
(1775-1799) colloca tra le sculture, su progetto dell’architetto Giovanni Antinori (17341792), l’obelisco egizio in granito prelevato dal Mausoleo di Augusto in Campo Marzio.
La grande tazza, di provenienza termale, viene rinvenuta nel 1588 in Campo Vaccino,
presso la chiesa dei SS. Luca e Martina, dove rimane fino a quando, il 22 ottobre 1593,
viene destinata alla realizzazione di una fonte nel Foro Romano, vicino al Tempio dei
Castori. Nel 1816, la tazza viene ritrovata e, indi, reimpiegata nella riorganizzazione della
fontana del Quirinale.
12
A. Canova, Conghiettura sopra l’aggruppamento de’ colossi di Monte Cavallo, Roma, 1802.
13
J. Stuart, N. Revett, The Antiquities of Athens, New York, 2008.
14
V. Farinella, Canova «italo» Fidia, in V. Farinella, S. Panichi, L’eco dei Marmi. Il Partenone
a Londra: un nuovo canone della classicità, Roma, 2003, pp. 23-35:28.
15
Roma. Sabato 18 Novembre, “Diario di Roma”, 18 novembre 1820, 93, pp. 8-38:8.
16
Ibidem, p. 38.
17
B. Nogara, Il Card. Ercole Consalvi e le antichità e le belle arti, in Nel I centenario dalla
morte del Card. Ercole Consalvi, XXIV gennaio, MDCCCXXIV-MCMXXIV, p. 86.
11
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Del resto, è a tutti ben nota l’attività di sottrazione di frammenti e reperti
archeologici a cui Roma e i suoi dintorni sono soggetti ormai da decenni,
a cominciare dalle opere d’arte pontificie cedute alla Francia per onorare il Trattato di Tolentino, stipulato nel 1797 tra la Santa Sede (Pio VI)
e Napoleone Bonaparte; lo stesso matematico e politico Gaspard Monge,
mandato in Italia con il compito di requisire opere d’arte e materiale librario per arricchire i musei della Francia repubblicana, afferma che “quando
avremo portato a termine la nostra missione [di spoliazione], nessuno ci farà
caso e tanto meno sarà in grado di ricordare il numero dei pezzi che avremo
prelevato”18.
Le opere saranno restituite da Parigi il 25 ottobre 1815 in un’azione di recupero che ha rappresentato un avvenimento significativo per la città, che in
tal modo riesce a riprendere il suo ruolo di centro di cultura richiamando
letterati, artisti, eruditi e collezionisti. La requisizione delle opere antiche
oltre ad alimentare sentimenti patriottici, tra cui un senso d’ingiusta privazione avvertito dalla stessa popolazione, determina interessi di possesso e
conservazione nei confronti di un patrimonio fino ad allora oggetto esclusivo di mercanti e antiquari, di eruditi e artisti.
In tale contesto, la maggior parte degli interventi promossi dal pontefice
esprimono un’attenzione preventiva rivolta a scongiurare la dispersione e la
vendita del patrimonio archeologico e artistico. È con il Chirografo di Pio
VII del 1° ottobre 1802 che vengono, infatti, definite le prime regole per la
conservazione dei beni e la definizione di istituzioni preposte al controllo
con l’obiettivo di “procurare che i Monumenti, e le belle opere dell’Antichità […] si conservino quasi i veri Prototipi, ed esemplari del Bello, religiosamente e per istruzione publica, e si aumentino ancora con il discoprimento
di altre rarità”19.
Provvedimento papale, questo, che entra subito in contrasto con gli interessi
Roma, 2 agosto 1796. G. Monge, Dall’Italia (1796-1798), (ed. a cura di S. Cardinali, L.
Pepe), Palermo, 1993, p. 70. Monge, sostenitore delle dottrine della rivoluzione, viene
mandato in Italia nel 1796 con la Commissione per le Scienze e le Arti per dirigere le
requisizioni di opere d’arte; nel febbraio 1798 è ancora in viaggio verso Roma dove viene
proclamata la fine del potere temporale del papa e la nascita della Repubblica; ma già a
giugno Monge a Civitavecchia s’imbarca per accompagnare Napoleone in Egitto.
19
Pio VII, Chirografo sulla conservazione dei monumenti e sulla produzione di belle arti, 1°
ottobre 1802, contenuto nell’Editto del Camerlengo di S.R.C. Cardinal Doria Pamphilj;
A. Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei beni artistici e culturali negli
antichi stati italiani, 1571-1860, Bologna, 1978, pp. 110-125.
18
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privati dei collezionisti, che sostengono il commercio degli oggetti antichi,
e di molte famiglie nobiliari le quali, con la soppressione di molti privilegi, non riescono più a sostenere i dissesti finanziari attraverso l’alienazione
del patrimonio artistico di cui sono proprietari. A tale proposito Pio VII
assegna un fondo annuo di 10.000 scudi finalizzato all’acquisizione di tali
beni20. La politica riformistica di Pio VII, di grande modernità, si preoccupa, quindi, di acquisire con un vincolo fidecommissario le collezioni delle
famiglie aristocratiche romane attraverso l’emanazione di un Motuproprio,
del 6 luglio 1816, sempre su suggerimento di Canova, oltre che con le “nuove provvidenze” pronte a sostenere e “promuovere sempre più le arti liberali
specialmente in Roma, ove sembrano avere la loro propria sede”21.
È stato rilevato dagli studiosi, sulla base del principio d’inalienabilità e
d’inamovibilità dai confini dello Stato dei reperti archeologici e di gran
parte delle opere d’arte, che il documento papale esprime anche un nuovo
e ‘moderno’ concetto legato alla pubblica utilità delle opere per fine
d’istruzione; in conseguenza, si pensa di destinare dei fondi pubblici per
“l’acquisto delle cose interessanti in aumento nei nostri Musei; sicuri che la
spesa diretta al fine di promuovere le Belle Arti, è largamente compensata
dagli immensi vantaggi, che ne ritraggono i Sudditi, e lo Stato”22.
In tale clima di ricerca, gli scavi più noti, come quelli del Foro Romano,
sono oggetto di studi, controlli e pubblicazioni, mentre si riserva ancora
poca attenzione alle aree limitrofe della città, come le rovine ostiensi, all’epoca campo aperto per ‘cavamenti’, soprattutto clandestini, da parte di collezionisti stranieri in cerca d’iscrizioni, sculture, frammenti da inviare nelle
raccolte private in Inghilterra, Francia, Portogallo, Spagna e Russia, opere
ancora oggi conservate in molti musei internazionali. È in questo periodo,
infatti, che si arricchiscono le collezioni inglesi, con una condizione esagerata del mercato antiquario a Roma, quale responsabile della disgregazione
del patrimonio artistico e, in particolare, archeologico della città23.
B. Nogara, Il Card. Ercole Consalvi, cit., p. 87. Antonio Canova acquista a proprie spese
ottanta opere dalla famiglia Giustiniani che aveva già definito la vendita con un architetto francese, beni che dona a Pio VII per la Galleria Lapidaria.
21
Moto Proprio della Santità di Nostro Signore Papa Pio Settimo in data 6 luglio 1816, presso
Vincenzo Poggioli stampatore della Rev. Cam. Apost., Roma, 14 luglio 1816, art. 248, p.
61.
22
A. Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti, cit., pp. 130-145.
23
V. Curzi, Il patrimonio artistico e monumentale nello Stato Pontificio negli anni dell’editto
20
ARCHEOLOGIA E TUTELA. LE INIZIATIVE DI PIO VII PER ROMA E OSTIA ANTICA
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L’attività di Pio VII nel territorio ostiense
Nella seconda metà del Settecento il territorio dell’antica Ostia, con le sue
poche rovine visibili appena affioranti dal terreno, è percorso da viaggiatori,
artisti e curiosi che si avventurano in una campagna desolata e malarica. Si
tratta di pittori, antiquari, collezionisti che, nonostante l’editto Proibizione
della estrazione delle statue di marmo o metallo, pitture, antichità e simili emesso dal cardinal Silvio Valenti Gonzaga nel gennaio del 1750, vanno all’affannosa ricerca di materiare antico da recuperare con il solo scopo di immetterlo nel fiorente mercato antiquario24. Sono queste le cosiddette “escavazioni”
ostiensi, condotte da uomini senza scrupolo in assenza di qualsiasi controllo
sul rispetto dei divieti.
Negli anni precedenti era già giunto dall’Inghilterra il giovane architetto
James Stuart (1741), seguito, l’anno successivo, dal pittore Gavin Hamilton
e da un altro architetto, Nicolas Revett25; tutti personaggi coinvolti nella ricerca, nello studio e nell’acquisizione delle antichità classiche, divenute dopo
le recenti scoperte oggetto d’attenzione di eruditi, visitatori e artisti. Johann
Joachim Winckelmann nelle sue Lettere Familiari (1763) parla di strabilianti
ritrovamenti sul luogo e in particolare di un rilievo “de’ più grandi ch’io
abbia mai veduti, ed in pari tempo dei più rari e belli”26.
Ma è soprattutto Hamilton che inizia ricerche archeologiche precise e su
vasta scala, con la motivazione ufficiale di studiare le rovine ostiensi. Egli,
infatti, opera sulla base di un accordo stipulato con il cardinale Fabrizio
Serbelloni, vescovo di Ostia27, con l’intento di mettere in atto prove di scavo
nel campo delle antichità, come quelli ostiensi. In una sua lettera del 1775
a Lord Townsend, egli ricorda di aver ottenuto “il permesso [di scavo] il più
vicino possibile al mare, giudicandolo il luogo più probabile per trovare oggetti”; Hamilton inizia la sua ricerca in un’area limitrofa alla Porta Marina28,
Pacca, in D. La Monica, F. Nanni (a cura di), Municipalia. Storia della tutela, 2, Pisa,
2010, II, pp. 207-215; J. Scott, The Pleasures of Antiquity. British Collectors of Greece and
Rome, Yale, 2003.
24
S. Cormio, Il Cardinale Silvio Valenti Gonzaga promotore e protettore delle scienze e belle
arti, “Bollettino d’Arte”, s. VI, LXXI, 1986, 35-36, pp. 49-66.
25
S. Panichi, Premessa, in V. Farinella, S. Panichi, L’eco dei marmi, cit., pp. 3-21:9.
26
J.J. Winckelmann, Lettere Familiari dal 1747 al 1768, in Opere complete, 9, per i Fr.
Giachetti, Prato, 1832, IX, pp. 608-618.
27
Il cardinale è vescovo di Ostia e Velletri dall’aprile 1774 al dicembre 1775.
28
R. Meiggs, Roman Ostia, Oxford, 1973, pp. 103-104.
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SONIA GALLICO, MARIA GRAZIA TURCO
in un’attività intensa, su incarico del collezionista inglese, che lo porta a scoprire “un’iscrizione molto elegante del tempo di Traiano”, consegnata allo
scultore Carlo Albagine, e una statua di Antinoo “forse la più bella di quel
soggetto nel mondo”. Importante è l’amicizia e l’intesa tra i due collezionisti,
come testimoniato dalle parole di Gavin:
“Mister Barry mi ha riferito che essa [la statua di Antinoo] è
arrivata integra nella sua casa di Londra, dove io spero che da
questo momento tu possa avere il piacere di prenderla in considerazione. Vicino questa statua ne fu trovata una molto differente di Esculapio e una grande statua di sua figlia Igea, integra
[…] questa statua è stata venduta con altri frammenti di buona
scultura al Langravio di Assia-Kassel”29.
Il pittore inglese esprime grande felicità per questi ritrovamenti che “potranno andare in mani così buone come le vostre, soprattutto perché fanno parte
di quelle selezionate opere d’arte che spero nel tempo possano stabilire un
buon gusto in Inghilterra”30.
Nel 1775, sempre a Ostia, Hamilton riporta alla luce “una piccola Venere”,
scultura successivamente acquistata dal nobile inglese Charles Townley,
membro della Società dei Dilettanti, gruppo di aristocratici che sostengono
lo studio delle antichità classiche31; l’opera entra a far parte della collezione
dei Townley Marbles, ora conservati nel British Museum (Department of
Greek and Roman Antiquities). La difficoltà dei recuperi e dei trafugamenti
è bene rappresentata proprio dalla Venus di Townley che, rinvenuta nella
sua interezza, per poter essere esportata clandestinamente viene ridotta da
Hamilton in due parti.
Dopo il 1794 gli scavi più importanti sono intrapresi dal pittore inglese
Robert Fagan, poco attento alla stratigrafia del luogo, che porta alla luce numerose opere, tra queste: busti d’imperatori e statue di divinità femminili,
Ibidem. Nella lettera, Hamilton, probabilmente, si riferisce a Federico II (1720-1785) che
commissiona tra il 1769 e 1785, su progetto dell’architetto Simon Louis du Ry, il Museum
Fridericianum a Kassel (1779); fu grande collezionista di opere d’arte. Altrimenti, a
Guglielmo IX, che muore nel 1821.
30
Ibidem.
31
V. Coltman, Classical Sculpture and the culture of collecting in Britain since 1760, Oxford,
2009, p. 86.
29
ARCHEOLOGIA E TUTELA. LE INIZIATIVE DI PIO VII PER ROMA E OSTIA ANTICA
203
più una grande quantità di fregi e colonne. In particolare, a lui si riferisce la
scoperta del cosiddetto Mitreo Fagan (1794-1802) con i ritrovamenti di un
gruppo marmoreo raffigurante l’uccisione del toro da parte di Mitra, attualmente conservato nei Musei Vaticani e una seconda scultura che rappresenta
la divinità di Aion, uomo nudo con la testa di leone avvolto dalle spire di un
serpente, esposta all’ingresso della Biblioteca Vaticana.
L’anno successivo, nel 1800, sono proprio i ritrovamenti di Fagan a indurre
papa Pio VII Chiaramonti, appena eletto, a bloccare finalmente l’opera distruttiva degli scavatori e ordinare l’avvio delle indagini ufficiali che vengono affidate a Carlo Fea, nominato già nel 1801 commissario alle Antichità e
a Carlo Petrini, direttore degli scavi ostiensi fino al 180532. Fea inizia subito
l’attività di ricerca utilizzando, per i lavori più pesanti, gli ergastolani provenienti dalle galere di Civitavecchia.
Scrive all’inizio del nuovo secolo Carlo Fea: “Da vari anni vi si facevano
tumultuariamente qua e là degli scavi di gente, la quale per lo più altro non
aveva in mira, che di rinvenir cose di valore per farne commercio, senza
verun utile per l’antichità, per l’erudizione, e per la storia”33. L’archeologo
fornisce quindi un elenco preciso dei principali “avventurieri”, accompagnato da una lunga lista di statue, iscrizioni e reperti trafugati. Tra i personaggi nominati anche alcuni noti artisti stranieri, come il portoghese Don
Antonio José Norobona, che trasporta a Lisbona “diversi busti”34, l’antiquario inglese Thomas Jenkins, il già citato pittore e antiquario scozzese Gavin
Hamilton, “uno dei più intraprendenti, e de’ più fortunati scavatori”35; sono
ancora citati l’incisore Giovanni Volpato nonché il pittore calabrese Nicola
La Piccola, membro onorario dell’Accademia di San Luca e autore dei dipinti a grottesche del salone Riario nell’episcopio di Ostia. Secondo Carlo
Fea, inoltre, tra il 1793 e il 1801 si aggirava tra i ruderi ostiensi il pittore
anglo-irlandese Robert Fagan. Di lui l’illustre archeologo romano parla in
termini molto duri, affermando che “da otto anni a questa parte ha sconF. Marini, La grande escavazione ostiense di Papa Pio VII. Considerazioni storiche, metodologiche e topografiche, “Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte”, s.
III, 1998, 53, pp. 61-110.
33
C. Fea, Relazione di un viaggio ad Ostia e alla villa di Plinio detta Laurentino fatto dall’avvocato Carlo Fea, presidente alle Antichità romane e al Museo Capitolino, Roma, 1802, pp.
5-6.
34
Ibidem, p. 42.
35
Ibidem, p. 43.
32
204
SONIA GALLICO, MARIA GRAZIA TURCO
quassate quelle campagne, esteriori al grande della città […] e non senza
buona, e lucrosa riuscita per lui nel tutto insieme”36. La veduta del tedesco
Johann Christian Reinhart, incisa verso il 1810, può dare l’idea dello stato
dei luoghi in quel periodo (Fig. 2).
Il primo ottobre dello stesso 1802 viene pubblicato il famoso chirografo
Doria Pamphili Sulle Antichità e Belle Arti in Roma, e nello Stato Ecclesiastico,
alla cui stesura collaborano Antonio Canova e lo stesso Fea. Ricalcando le
norme del Cardinal Gonzaga del 1750, nell’art. 1 si afferma:
“In primo luogo vogliamo, che sia affatto proibita da Roma,
e dallo Stato l’estrazione di qualunque Statua, Bassorilievo, o
altro simile lavoro rappresentante figure Umane, o di Animali,
in Marmo, in Avorio, e in qualunque altra materia, ed altresì
di Pitture antiche, Greche, e Romane […] Questa proibizione vogliamo, che si estenda ancora alle opere asportabili di
Architettura, cioè Colonne, Capitelli, Basi, Architravi, Fregi,
Cornici intagliate, ed altri ornamenti qualsivogliano di antiche
fabbriche”37.
Nel successivo art. 4 sono indicate le pene previste:
“Quelli poi, che estrarranno da Roma, o dallo Stato, o per la
via di Mare, o per quella di Terra gli oggetti anzidetti, come
ancora quelli che scientemente gli avranno a loro venduti, ed
i Sensali, e complici della vendita, oltre la perdita degli oggetti
stessi, saranno ciascuno singolarmente soggetti alla multa pecuniaria di Cinquecento Ducati d’Oro di Camera, e cumulativamente ad altre pene afflittive del Corpo a Vostro arbitrio, da
estendersi fino alla Galera per cinque Anni, secondo la qualità
delle persone, la importanza dell’oggetto, e la malizia che avrà
accompagnata la fraudolenta estrazione”38,
Ibidem, pp. 44-45.
Chirografo della Santità di Nostro Signore papa Pio Settimo in data del primo Ottobre 1802.
Sulle Antichità, e belle arti in Roma, e nello Stato Ecclesiastico con editto dell’Em̃o, e Rm̃o
Signor Cardinale Giuseppe Doria Pamphilj Pro-Camerlengo di Santa Chiesa, Lazzarini,
Stampatore della Rev.ma Camera Apostolica, Roma, 1802, art. 1.
38
Ibidem, art. 4.
36
37
ARCHEOLOGIA E TUTELA. LE INIZIATIVE DI PIO VII PER ROMA E OSTIA ANTICA
205
secondo il “prudente arbitrio” del papa: si trattava di pene non certo leggere,
colpisce la stessa entità della condanna pecuniaria poiché con tale somma si
sarebbero potuti acquistare due quintali circa di farina, la cifra corrisponde
a circa 50.000 euro attuali39.
L’art. 5 attutisce però le precedenti norme: le sanzioni non saranno applicate se le stesse opere, previa licenza, verranno trasportate o vendute, dentro
Roma o altro luogo dello Stato. Anche per l’uso improprio dei reperti si stabiliscono norme e pene. Nell’art. 7 infatti è scritto: “proibiamo a chiunque di
mutilare, spezzare o in altra guisa alterare, e guastare le Statue, Bassirilievi,
Cippi, Lapidi o altri antichi Monumenti”40 con le stesse punizioni, secondo
il “prudente” arbitrio del papa. E ancora nell’art. 8 si legge: “proibiamo sotto
le stesse pene a chiunque di demolire in tutto o in parte, qualunque avanzo
di antichi Edifici, o dentro, o fuori di Roma”41, invitando le autorità, i prelati
e i vescovi a vigilarne l’osservanza. Il comma 14 afferma infine che chiunque
avesse intrapreso scavi senza licenza, avrebbe avuto come pena la perdita
della refurtiva e la stessa multa di cinquecento ducati d’oro, anche se non
avesse trovato nulla.
Gli scavi papali ad Ostia sono molto estesi. Affidati allo stesso Fea, con la
collaborazione di Petrini, si concentrano nell’area verso il fiume, attorno a
Porta Marina, al cosiddetto Tempio rotondo con la sua area antistante, nei
dintorni del Teatro e sul grande Tempio del Capitolium affiorante dal terreno
(Fig. 3). I lavori sono effettuati da ergastolani provenienti da Civitavecchia
che alloggiano in precarie condizioni igieniche nella vicina rocca diruta del
borgo ostiense. Alle ricerche sul campo seguono le pubblicazioni di piante
del territorio, tutte datate tra il 1802 e il 1805. La prima è quella di Giuseppe
Verani (1804), corredata da immagini delle rovine riportate alla luce nelle
quali è difficile distinguere quanto fatto da Hamilton, da Fagan o da Petrini.
Segue la pianta di Pietro Holl (1804), caratterizzata da un ‘cartiglio’ in alto
a sinistra in cui si elenca minuziosamente la cronologia di tutte le fabbriche
oggetto di scavo, mettendone in evidenza il tipo di pavimentazione, se a
mosaico o terra battuta, la qualità dei marmi ed anche individuando porticati, edifici con nicchie, edifici rettangolari e rotondi (Fig. 4). Questa carta
Si ringrazia il signor Flavio De Maria della Numismatica Varesina s.r.l. che ha operato la
conversione della somma indicata nel testo in moneta attuale.
40
Chirografo della Santità di Nostro Signore papa Pio Settimo in data del primo Ottobre 1802,
cit., art. 7.
41
Ibidem, art. 8.
39
206
SONIA GALLICO, MARIA GRAZIA TURCO
fornisce inoltre informazioni precise sul territorio e sul paesaggio prima delle
grandi escavazioni, individuando percorsi formatisi nel tempo, tumuli che
ancora nascondono i reperti, lo stato del letto del Tevere divenuto in gran
parte acquitrinoso. Anche la carta di Tommaso Zappati (1804), pubblicata
da Guattani nel 1805, è caratterizzata da un rilievo attento e preciso in cui
le “fabbriche” riportate alla luce sono ancora prive di funzioni, che saranno
attribuite soltanto successivamente.
Ma gravi eventi politici travolgono il papato: l’esercito napoleonico occupa
Roma nel 1808 e il papa viene fatto prigioniero insieme al cardinal Pacca. I
due vengono imbarcati dall’esercito napoleonico sulla stessa carrozza e viaggiano insieme fino a Viterbo, poi sono separati: il papa è inviato a Savona, il
secondo al forte di Fenestrelle, non lontano da Torino42.
Nella città occupata dai francesi (1808-1814) scavi e restauri hanno come
conseguenza la partenza verso la Francia di carri interi colmi di statue,
dipinti e reperti d’ogni genere. Ad Ostia però non sembrano esserci stati
gravi danni al patrimonio. Vengono pubblicate alcune carte del territorio
in lingua francese che dimostrano come le condizioni ambientali non fossero molto mutate rispetto al passato. Occorrerà attendere il 1819 per la
nuova carta di Antonio Nibby.
Con la Restaurazione Pio VII riprende la sua sistematica attività di scavi
e di protezione dei reperti. Il pontefice nomina il cardinal Bartolomeo
Pacca suo Camerlengo, cardinale cioè destinato ad assumerne il potere in
caso di morte. È in tale veste che il nuovo incaricato pubblica il 7 ottobre
1820 l’Editto sopra le Antichità e gli Scavi, cui segue, nell’agosto del 1821, il
Regolamento per le Commissioni ausiliarie di Belle Arti. Questi documenti
sono destinati a condizionare fortemente la politica dei beni culturali dello
Stato Pontificio prima della nascente Repubblica italiana e dopo, fino agli
inizi del Novecento.
L’editto riprende ancora una volta il concetto già espresso nel testo del
1750, secondo il quale le rovine e i monumenti della Roma antica potranno sempre attrarre forestieri provenienti da tutto il mondo per ammirarle e studiarle; quindi ribadisce e approfondisce quanto già affermato nel
Chirografo di diciotto anni prima: per estrarre marmi e reperti dovranno
aversi specifici consensi da parte dell’amministrazione centrale dello Stato
Pontificio. Lo stesso per le opere di pittura e scultura. Nell’articolo 33,
42
A. Gabrielli, I due Cardinali di Pio VII: Consalvi e Pacca, “L’Urbe. Rivista Romana”, VI,
1941, 2, pp. 10-14.
ARCHEOLOGIA E TUTELA. LE INIZIATIVE DI PIO VII PER ROMA E OSTIA ANTICA
207
in particolare, si ribadisce che quanto scavato nell’arco di una settimana
dovrà essere sottoposto al controllo della Commissione apposita. E ancora nell’art. 34 si afferma che “Innanzi che gli Oggetti ritrovati negli
Scavamenti siano stati visitati dalla Commissione di Belle Arti in Roma
[…] non ardisca nessuno a metterli in Commercio, o farvi minimo ritocco
o ristauro sia in Marmo che in Stucco”43. L’ammenda in caso di infrazione
sarà di scudi cinquanta (art. 39).
Nel comma 41 è infine scritto che “è vietato rimuovere dal luogo, ove si
trovano, le iscrizioni esistenti negli antichi Ruderi”44. Si intende quindi
impedire il trasporto di qualsiasi reperto antico fuori di Roma e dello
Stato ecclesiastico e si invita alla conservazione in loco. La pena sembra
però essere meno severa che in precedenza: consiste nella perdita degli oggetti e nella refezione, ossia il ristabilimento dei danni (art. 43).
Dall’agosto 1820 al luglio 1830 il cardinal Bartolomeo Pacca è vescovo
di Porto. Il 6 agosto del 1821 viene emanato il Regolamento in cui si
specificano i permessi che debbono essere chiesti per effettuare gli scavi
archeologici nel litorale romano: “Ogni petizione che si farà per escavare
antichità o tesori dovrà dirigersi a Noi solamente. Sarà Nostra cura di fare
esaminare l’istanza dalle rispettive Commissioni Ausiliarie, che diligentemente osserveranno il luogo ove si chiede lo scavamento, per tutti gli
effetti contemplati dalla Legge”45.
Il Regolamento è volto soprattutto alla conservazione delle opere d’arte
nelle chiese, in particolare pitture e sculture e oggetti d’arte. Tutti i restauri dei manufatti, sia quelli eseguiti dai rettori dei luoghi di culto che dai
proprietari delle cappelle gentilizie, dovranno essere approvati dall’Autorità centrale. Quanto agli oggetti e alle iscrizioni dei reperti archeologici
si specifica che “quando non sia possibile lasciarle con sicurezza nel luogo,
ove sono state scavate, si trasportino, lasciando al sito i necessarj notamenti nel modo più permanente che si possa eseguire”46.
43
Chirografo della Santità di Nostro Signore papa Pio Settimo in data del primo Ottobre 1802,
cit., art. 34.
44
Ibidem, art. 41.
45
Regolamento del Camerlengato di Santa Chiesa per le Commissioni ausiliarie di belle Arti
instituite nelle Legazioni, e Delegazioni dello Stato Pontificio del 6 agosto 1821, in Raccolta
delle leggi e regolamenti dell’amministrazione generale, II, Roma, 1833, pp. 156-160:158159.
46
Ibidem, p. 159.
208
SONIA GALLICO, MARIA GRAZIA TURCO
È forse applicando questa norma che il cardinal Pacca fa murare sulle
pareti del cortile interno dell’Episcopio di Porto una serie di iscrizioni,
teste, simboli ritrovati negli scavi da lui promossi e accosta ai lati più
lunghi sarcofagi e lastre scolpite (Figg. 5a, b; 6a, b). Tale intervento è
stato rimosso da un restauro del cortile nel 1953. Nel 1831 il cardinal
Bartolomeo Pacca, vescovo di Ostia dal luglio 1830 all’aprile 1844, anno
della sua morte, incarica il marchese Pietro Campana, presidente dell’Accademia di Archeologia e direttore del Monte di Pietà, di avviare altri scavi
archeologici: alcuni reperti saranno ugualmente murati sulle pareti esterne
ed interne del nuovo episcopio.
L’eredità di Pio VII è raccolta a metà Ottocento da Pio IX (1846-1878)
che, al fine di proseguire gli scavi dell’area ostiense, nomina Pietro Ercole
Visconti (1855-1870) alla carica di Commissario alle antichità romane e
presidente dei Musei Capitolini: prende avvio nello Stato Pontificio una
nuova fase degli scavi scientifici impegnando personalità come Pietro
Rosa, Rodolfo Lanciani e Roberto Gatti.
In una Relazione dell’accesso fatto in Ostia il 19 ottobre 1854 l’illustre archeologo scrive:
“All’oggetto di predisporre la continuazione degli scavi d’Ostia, coll’opera dei forzati, come si eseguirono già nel principio di questo secolo d’ordine di Pio VII di g. m. si sono recate
sul luogo LL. EE. Reme Mons. Martel, Ministro dell’Interno
e Monsignor Melisi, Ministro dei Lavori Pubblici”47.
Nella Rocca di Ostia diruta continuano purtroppo ad essere alloggiati i
reclusi. Scrive ancora Visconti in un’epistola datata 1854: “[la rocca] venne accuratamente osservata in tutte le sue parti onde conoscere se potesse
nuovamente destinarsi ad un tal uso, avuto riguardo alla sicurezza e a
tutte le altre distribuzioni e cautele che sono da considerarsi”48.
Un’altra lettera priva di data e di firma, ma forse attribuibile allo stesso
Visconti, dal titolo Relazione alla Santità di Nostro Signore, Papa Pio IX,
che ricalca ancora nei toni la nota lettera di Raffaello a Leone X, ricorda
al nuovo Pontefice le norme di Pio VII, per qualche decennio obliterate.
ASV, Archivio particolare di Pio IX, Oggetti vari, n. 1094, “Ostia. Relazione sui lavori da
eseguirsi, fatta dal Visconti”.
48
Ibidem.
47
ARCHEOLOGIA E TUTELA. LE INIZIATIVE DI PIO VII PER ROMA E OSTIA ANTICA
209
La si riporta integralmente:
“Beatissimo Padre, […] cosicché seguendo l’ordinamento delle Leggi Romane e Pontificie, le ruine esistenti di Ostia non
dovrebbero rimanere nell’arbitrio o per utile di qualsivoglia
privato, ma stando sotto la sfera delle Leggi, essere garantite
dai provvedimenti di queste […] Ed invero non sa comprendersi come [tanti terreni] siano stati abbandonati all’affittuario e serviti in uso dell’Agricoltura tanti monumenti, che
forma dovevano lo splendore delle arti, e i documenti della
storia e della civiltà di quei luoghi a meno che non si creda essere ciò derivato delle rovinose enfiteusi concesse a negligenti
e avidi speculatori fino dal 1797. Anzi spesse volte accade che
gli agricoltori guastino le vestigia antiche al fine di cancellarle come ingombri del suolo, e vi facciano andare attorno
mandrie di bestiame, acciocché si tengano lontano coloro che
bramassero visitarle. La espropriazione […] dovrebbe contenersi nei limiti segnati dall’antica Porta della Città, compresa
la via che da essa conduce, sino alle Terme marittime. Area
non grande, nella quale però è incluso il Tempio di Giove, il
Teatro, il Foro, l’Iseo, il Serapeo, il Circo e forse il Tempio
di Vulcano, l’altro di Marte e quello del Sole, oltre una parte
dello scalo del Fiume e molte nobili case […]”49.
La lettera conclude affermando che in questo modo il papa passerà alla
storia come il salvatore delle memorie ostiensi, salvando l’antica città
dall’oblio e dall’abbandono in cui era caduta.
In sintesi, si può affermare che le attività di scavo a Roma, come a Ostia
e a Porto, furono accompagnate da stringenti leggi di tutela volute da Pio
VII e dal cardinal Bartolomeo Pacca. Con queste norme si è tentato di
arginare la pratica degli scavi clandestini, si è stabilita per legge l’appartenenza del suolo ricco di reperti archeologici allo Stato ed il suo diritto alla
loro acquisizione ai fini del restauro e della conservazione.
49
ASV, Archivio particolare di Pio IX, Oggetti vari, n. 1936, “Ostia. Relazione per le espropriazioni per gli Scavi”. La relazione cita “provvedimenti in corso nel corrente anno
1864”.
210
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Fig. 1
Giovanni Acquaroni, Vestigie di Roma antica: Alla Santità di Nostro Signore Papa Pio VII,
Roma, 1819, BSR, Library & Archive Special Collections, inv. 609.2.81.2.
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211
Fig. 2
Johann Christian Reinhart, Ostia von der Meeres Seitel, C.R., Roma, 1810,
Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte - BiASA,
Collezione Lanciani, Roma XI, 32.25, inv. 39291.
Fig. 3
Anonimo, Tempel des Jupiter Portulejus in Ostia, C.R., Roma, 1810,
Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte - BiASA,
Collezione Lanciani, Roma XI, 32.25, inv. 39290.
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SONIA GALLICO, MARIA GRAZIA TURCO
ARCHEOLOGIA E TUTELA. LE INIZIATIVE DI PIO VII PER ROMA E OSTIA ANTICA
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Fig. 4
Pietro Holl, Pianta topografica di tutti gli edifici ostiensi rinvenuti nelle Pontificie
escavazioni di antichità, Roma, 1804, PAOAnt, AD, inv. 284.
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SONIA GALLICO, MARIA GRAZIA TURCO
Figg. 5a - 5b
Il cortile dell’Episcopio di Porto, prospetto principale:
a) prospetto con l’intervento del Pacca rimosso nel 1953
(Archivio Storico Fotografico Aldo, Vecchio Fiumicino, Episcopio di Porto);
b) prospetto prima dell’intervento di restauro dell’anno 2000 (foto dell’autore).
Figg. 6a - 6b
Il cortile dell’Episcopio di Porto, prospetto principale:
a) prospetto con l’intervento del Pacca rimosso nel 1953
(Archivio Storico Fotografico Aldo, Vecchio Fiumicino, Episcopio di Porto);
b) prospetto prima dell’intervento di restauro dell’anno 2000 (foto dell’autore).