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Luoghi di culto e devozione al Crocifisso nelle Parrocchie della Piana tra XVIII e XIX secolo

2024, L'Alba della Piana

L'articolo tratta della devozione al Crocifisso nelle Parrocchie della Piana di Gioia Tauro tra il XVIII e il XIX secolo, presentando i luoghi di culto, le opere d'arte, gli scritti e le manifestazioni della pietà popolare legate al tema.

L’Alba della Piana LUOGHI DI CULTO E DEVOZIONE AL CROCIFISSO NELLE PARROCCHIE DELLA PIANA TRA IL XVIII E IL XIX SECOLO Letterio Festa I l culto del Crocifisso è, chiaramente, una caratteristica della fede cattolica; una memoria viva del mistero di Redenzione e Salvezza operato da Cristo1. Esso ebbe inizio con la celebre visione di Costantino (274-337) alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio: «IN HOC SIGNO VINCES»2 e il ritrovamento della vera croce da parte di Sant’Elena, madre dell’imperatore. Da quel momento, infatti, la croce passò dal luogo dei supplizi sulla fronte degli imperatori, secondo la significativa espressione attribuita a Sant’Agostino. Nella Chiesa antica non si dipingeva o scolpiva il Crocifisso ma solo la croce, spesso fiorita o gemmata, sempre luminosa e sfolgorante come richiamo immediato alla resurrezione mentre il Cristo veniva, perlopiù, rappresentato come un agnello. Nel Concilio di Costantinopoli, detto Quinisesto o Trullano, celebrato nell’anno 692, fu finalmente stabilito che il Cristo non si dipingesse o scolpisse più sotto figura di agnello ma in forma umana3. Lattanzio (240-320) affermava che gli antichi cristiani ponevano il Crocifisso all’ingresso delle chiese, secondo un uso ancora visibile nelle basiliche romane e in moltissimi luoghi di culto, mentre gli Orientali preferiscono porlo sull’architrave dell’altare maggiore. Successivamente, s’introdusse l’uso di porlo stabilmente sulla sommità degli altari ma bisognerà giungere all’età romanica per trovare una vera diffusione del tipo iconografico della figura isolata di Gesù sulla croce, avulsa dalla più complessa scena della Crocifissione4. Non è possibile, in questa sede, soffermarci sulla prima diffusione di questo essenziale simbolo cristiano nel territorio dell’attuale Diocesi di Oppido-Palmi, ci limiteremo a trattare solamente il periodo immediatamente precedente e successivo al terremoto del 5 febbraio 1783, importante data che segna un’imprescindibile Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024 Epigrafe di Laureana (sec. XIV) cesura storica per le vicende della nostra Piana5. Chiese e cappelle intitolate al Crocifisso Secondo quanto diceva il vescovo di Mileto, mons. Marco Antonio Del Tufo, nella visita pastorale da lui effettuata nella Diocesi nel 1586, in quel momento non esistevano ancora delle cappelle dedicate al Crocifisso nelle numerose Parrocchie della Diocesi6. Una campana con l’immagine del Crocifisso, datata 1635, è presente ancora oggi nella piccola chiesetta di Gesù e Maria di Maropati, e la stessa verosimilmente proviene da quella “Cappella di Santa Croce” citata nell’«Apprezzo dello Stato di Anoja» del 16467. I documenti settecenteschi, invece, per quanto riguarda i paesi dell’antica Chiesa miletese oggi ricadenti nel territorio della Diocesi di Oppido-Palmi, parlano di cappelle dedicate specificamente al Crocifisso a Caridà, Cinquefrondi, Laureana, Melicucco, Polistena e Rosarno8. Mentre di poco più numerose sono quelle presenti, nello stesso periodo, nell’antica Diocesi oppidese e che si trovavano a Castellace, Cosoleto, Molochio (all’epoca soggetta all’Arcidiocesi di Reggio), Paracorio, Pedavoli, Tresilico e Varapodio9. Menzione a parte meritano quelle che, oggi, sono le uniche due chiese dedicate a questo titolo. Innanzitutto, il celebre Santuario di Terranova Sappo Minulio. Come scrisse mons. Giuseppe Larosa, «noi non sappiamo in quale epoca il bel volto del Salvatore abbia incominciato a vegliare sulle vicende ora liete ora tristi del popolo terranovese»10, certamente il culto e lo stesso simulacro erano ormai presenti e ben radicati nell’antica città all’epoca del celebre miracolo della sudorazione del Crocifisso nero, avvenuto a Palmi il 20 luglio 1533, durante un pellegrinaggio presso la chiesa di Maria Santissima del soccorso, secondo quanto riportato dallo storiografo Paolo Gualtieri11. La tradizione popolare tramanda le parole che il Cristo avrebbe detto all’artefice del venerato simulacro di Terranova: «Undi mi vidisti chi tantu piatusu mi facisti? E se daveru mi vidivi, ancora cchiù piatusu mi facivi!»12. Tra la fine del XVI e l’inizio del XVII si deve collocare, invece, il Crocifisso di Palmi, conservato nell’omonima chiesa annessa al Convento francescano, attivo tra il 1537 e il 1867, abitato prima dai Francescani Osservanti e, poi, dai Riformati. Circa l’autore del veneratissimo simulacro in legno e cartapesta «non è dato sapere se fosse un laico oppure uno dei tanti frati crocifissari che popolavano i Conventi nel ’600 ma era certamente un credente che, nel modo di plasmare la materia, seppe consegnare per i secoli la sua retta devozione sulla Passione del Cristo Redentore»13. Pagina 57 L’Alba della Piana La campana di Maropati con il Crocifisso A Seminara esiste ancora oggi «un Crocifisso di legno proveniente dall’antica Tauriana e conservato nella chiesa di San Marco» mentre, nella stessa Città, un’altra «miracolosa statua del Crocifisso» si venerava nel Convento dei Cappuccini14 invece a Oppido il vescovo Giuseppe Maria Perrimezzi (1714-1734) ogni settimana riuniva i fedeli nella Cattedrale per onorare, con l’esposizione del Santissimo Sacramento, la Cinque Piaghe del Crocifisso. Il clero e il popolo dell’antica Città episcopale, al tramonto della domenica, ascoltavano la meditazione sulla Passione tenuta dal presule per poi darsi la disciplina e, finalmente, tornare a casa con spirito contrito ed animo purificato15. Le Confraternite del Crocifisso e le pratiche confraternali ad esso legate Nelle Parrocchie della Piana c’erano, nel periodo in questione, alcune Confraternite intitolate al Crocifisso a Palmi e Iatrinoli, citate nelle Visite pastorali del vescovo di Mileto Domenico Antonio Bernardini e chiaramente a Terranova, la cui attività trova riscontro nelle Visite dei vescovi di Oppido Vita, Mandarani e Spedaliere e a Cinquefrondi e Melicucco, a proposito delle quali esistono significativi testi archivistici16. Innanzitutto, a Cinquefrondi troviamo questa significativa Memoria che ricorda le circostanze che portarono alla fondazione del pio Sodalizio e che risultano particolarmente interessanti per il discorso che stiamo svolgendo: «Nel corso del Quaresimale dell’anno 1717, predicando nella chiesa Arcipretale di questa Città di Cinquefrondi il padre Francesco da San Giorgio, religioso cappuccino, divotissimo della Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024 Passione del nostro amantissimo Redentore Gesù Cristo, esortò questo pubblico a fondare la Confraternita sotto il titolo del medesimo Crocifisso Signore, come infatti seguì e pel buon governo della medesima, consensienti tutti li confratelli, furono stabiliti alcuni Capitoli, quali poi, a 23 agosto 1719, furono confermati dalla Reverendissima Curia di Mileto e per primo padre spirituale fu eletto il quondam reverendo sacerdote don Giuseppe Argirò che con tutto zelo ed impegno dell’avanzi della stessa, la governò mentre visse, cioè fino all’anno 1750. Ma comecche nella cennata chiesa Arcipretale non si trovava eretta cappella del Santissimo Crocifisso, titolare della ridetta Confraternita, si fe’ risoluzione di procurarsi una statua del medesimo ed in effetti fu fatta per mezzo del mentovato padre spirituale che commise tale incombenza ad un suo amico in Napoli; la quale statua qui portata, non trovandosi luogo vacante in detta chiesa per l’erezione dell’altare, si fe’ ricorso con supplica alla Reverendissima Curia sopracennata per la facoltà di collocare la replicata statua nell’altare del Santissimo Nome di Gesù ed a 28 agosto del 1722 se ne ottenne il permesso, qualora concorresse il consenso de’ magnifici del Reggimento a cagion che questo altare spettava e spetta all’Università e già essendosi contentati, fu collocata come al presente si vede dalla parte di dietro del quadro del Santissimo Nome di Gesù, fandosi mensione di tutto ciò nel conto de’ procuratori di detta Confraternita negl’anni 1722 e 1723, registrato nell’antecedente Libro di significatorie a foglio 27 e seguenti ed a maggior cautela si passò istrumento di tal concessione tra gli cennati magnifici del Reggimento ed il procuratore della Confraternita, stipulato dal magnifico notaro Francesco di Guisa seniore a’ 27 maggio 1723. Nell’anno 1765, essendo stata accresciuta e rinnovata la predetta chiesa e per ciò essendovi luoghi da potersi erigere una nuova cappella, distinta dalla summentovata del Santissimo Nome di Gesù, di consenso del reverendo arciprete, fu eretta nel luogo dove al presente si vede, cioè nella parte superiore dell’ala sinistra della medesima chiesa, attaccata al muro del campanile, dove fu trasportata la sopradetta statua del Santissimo Crocifisso»17. Il 9 marzo 1746, invece, venne fondata a Melicucco una cappellania intitolata al Santissimo Crocifisso da parte dei fratelli Giuseppe e Bruno Tudesco e della vedova del fu Francesco Tudesco, Francesca Italiano18 mentre una documentazione relativa agli anni 1727 1783 ci informa dell’attività di una confraternita del Santissimo Crocifisso nella stessa città in questo periodo. Tale congregazione gestiva un sacro Monte, eretto dentro la chiesa Arcipretale ed organizzava ogni anno la festa del titolare nei primi giorni del mese di maggio19. Intorno al Crocifisso ruotavano, poi, alcune particolari pratiche di pietà che i confratelli delle Congreghe della Piana erano soliti praticare, soprattutto nel periodo quaresimale, quando, dopo una predica del padre spirituale, solitamente «dopo le 24 ore», ovvero alle 8 di sera, si teneva l’adorazione della Croce seguita dalla disciplina20: «La funzione, alla quale posson prender parte soltanto gli uomini, comincia verso le 19. La chiesa, parata a lutto, è illuminata fiocamente da pochi ceri; sur un tappeto steso sui gradini dell’altare è adagiato un “Cristo morto”. Dopo una predica sulla Passione, si smorzano tutte le candele e, in quell’oscurità paurosa, la voce piangente dell’organo rompe il silenzio solenne, intonando il Miserere. Poi, riaccese le sole candele ai piedi del Cristo, mentre si canta lo Stabat, ragazzi ed adulti, a due a due, muovono dalla porta, trascinandosi penosamente sulle ginocchia e battendosi con discipline, vanno a baciare i piedi e le piaghe del Cristo morto. La strana funzione si chiude con il lugubre canto del Libera me, Domine, de morte aeterna»21. Tali pratiche sono testimoniate dai documenti d’Archivio ad Acquaro, Casalnuovo, Galatro, Maropati, San Giorgio, Sant’Eufemia, Scido, Seminara, Serrata, Sinopoli e Terranova. La Confraternita dei Sette dolori di Maria di Sinopoli annoverava, tra i suoi giorni solenni, quello dell’Invenzione della Santa Croce (3 maggio), inoltre, al termine delle riunioni di preghiera della stessa, il Il reliquiario di Polistena (sec. XV) Pagina 58 L’Alba della Piana padre spirituale impartiva la benedizione con il crocifisso mentre la Confraternita dell’Immacolata di Sant’Eufemia dava grande risalto alla pratica della Via Crucis, quella della Purità di San Giorgio alla coronella delle cinque piaghe di Gesù e quella del Rosario di Melicuccà alla processione del Venerdì santo22. Per esemplificare l’efficacia di queste pie pratiche, è bene riportare il testamento del magnifico Domenico Raso di Casalnuovo, redatto «in campanea dirutae Terrae Casalisnovi», il 6 agosto 1783: «Essendosi l’alta misericordia del nostro Onnipotente Signore compiaciuta sottrarmi dalle fiere rovine dell’infelice mia Padria, subbissata dal grande ed esiziale tremuoto del dì 5 febbraro del corrente anno, intendo impiegare in buon uso il prezioso dono del tempo che, ad onta del peso degli anni che aggrava la mia vita, la divina munificenza si è benignata concedermi, quindi ho risoluto, pria che la morte venga a chiudermi gli occhi, disporre dell’anima mia e di quelle sostanze che Dio mi ha dato. Signore Onnipotente, Creatore e Redentore mio, l’anima mia, riscossa col vostro Divino Sangue, sia tutta vostra. Non riguardate le detestabili mie colpe che l’hanno deformata e resa indegna di voi ma ricordatevi solo che, per amor mio, pendendo da un infame patibolo, mi daste un argomento della vostra inesausta pietà nel perdono del ladro e degli empi crocifissori che oggi vale a ravvivare la mia speranza. Siatemi, Signore mio, propizio sino alla morte e ricevetevi, in quel momento terribile, l’anima mia che io lascio a voi come cosa vostra, riponendola nel vostro Cuore trafitto per me»23. Il Crocifisso di Gioia Tauro marina (sec. XVI) Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024 E, sulla stessa linea, un canto diffuso nei paesi della Piana e risalente al periodo in oggetto, dice: «O Santissimu Crucifissu, nui chi simu avanzi a vui? E lu sangu chi spargistivu, lu spargistivu vui pe’ nui. Siti Corpu sacratissimu, siti figghiu di Maria e lu sangu chi spargistivu, lu spargistivu vui pe’ mia»24. I riti e le processioni della Settimana Santa In questo contesto, chiaramente, assumevano un ruolo notevole le funzioni e le processioni della Settimana Santa: «Ogni paese ha il suo Calvario, cioè una collina o un rialto qualunque, a poca distanza dall’abitato, con su piantate tre grandi croci di legno. Lo vogliono invenzione del gesuita Gaspare Paraninfo (1554-1624), quindi residuo del bastardo Seicento ma, probabilmente, la sua origine si perde nel buio del Medioevo. Esso è la meta di processioni durante la Settimana Santa e vi si recano gli uffizianti. Indossano un lungo camice, mozzetta color avana e buffa bianca e muovono, preceduti da un fratellone che porta una croce, sulla quale stanno attaccati gli strumenti del martirio, in piccole proporzioni e seguiti da una gran folla che, a gruppi, canta le razioni della Passione e lì, sotto il bel cielo, s’inginocchiano e, con voce nella quale vibra una fede assoluta, intonano inni e preghiere col fervore delle anime semplici, colla commozione di chi si riconosce gran peccatore e anela al perdono»25. Molto diffusa nei paesi della Piana era la predica di Passione detta la chiamata della Madonna, «nella quale predica veniva messa a dura prova l’abilità dell’oratore»26: «La statua dell’Addolorata è avvolta in un manto scuro, trapunto di stelle, con le braccia aperte, con il viso cereo e dolente e sul cuore sette spade scintillanti. Il prete, dopo aver descritto a vivi colori la Passione, prende il Crocifisso ch’è presso il pulpito, lo toglie dalla croce e ne mostra al popolo commosso le ferite e le lividure. Quindi si spalanca la porta principale del tempio, un lugubre rullo di tamburo si fa sentire ed apparisce l’Addolorata, portata a spalle da quattro confratelli. Il momento è solenne, la Vergine si avvicina di corsa al pulpito per accogliere nelle sue braccia il morto Figliuolo. È una scena commoventissima: tutti sorgono in piedi, piangendo, percuotendosi il petto, strappandosi i Il Crocifisso di San Pietro di Caridà (sec. XVI) capelli e protendendo le braccia verso la Vergine, implorando perdono e pietà»27. Altri momenti solenni erano la Visita ai sepolcri, ovvero alle chiese dove si conservava l’Eucarestia dentro l’urna, una specie di tabernacolo che veniva circondato da ceri, veli e piantine di grano cresciute al buio durante i giorni della Quaresima28 e la predica delle Sette parole, pratica devozionale, risalente al XII secolo, nella quale venivano riunite le parole che, secondo la tradizione evangelica, sono state pronunciate da Gesù sulla croce. Le più celebri prediche di questo tipo sono quelle che si tengono a Polistena, Cinquefrondi e San Giorgio, caratterizzate dai canti dell’abate Pietro Metastasio (1698-1782), posti in musica, nella seconda metà del XIX secolo, dal compositore polistenese Michele Valensise (1822-1890)29. Le rappresentazioni sacre Un altro momento forte per la contemplazione del mistero della Croce era costituito dalle rappresentazioni sacre che, in determinati periodi dell’anno, venivano eseguite soprattutto nei centri più grandi allo scopo di «intrattenere onestamente il popolo, pascerne lo intelletto e la immaginazione e dilettarne i sensi»30. A tale scopo, la Passione di Cristo, in modo particolare, ben si presentava come «argomento pietosamente sublime»31. Questo tipo di rappresentazione veniva chiamata Opera sacra; Mistero; Mortorio oppure Pigghiata, da una delle scene principali che la costituivano. In ogni caso, si trattava di «un’azione che Pagina 59 L’Alba della Piana Chiaramente, la scena della Crocifissione era una delle più spettacolari ed attese. In una di esse, vengono poste sulle labbra dell’Addolorata queste poetiche ed assai efficaci parole: «O Cruci tantu altissima, vasciati nu pocu, quantu u vasu li chiaghi i figghiuma, ca vrusciu di gran focu»35. Il Crocifisso di Terranova (sec. XVI) si prefiggeva sempre di mostrare la punizione del vizio e il premio della virtù; onde persuadere ai cristiani la futilità delle cose mortali e il gran pregio delle eterne»32. A promuovere queste iniziative erano, soprattutto, le Confraternite e si rappresentavano nelle domeniche di Quaresima, nella domenica di Passione o durante la Settimana Santa. Nei centri più grandi l’Opera sacra si rappresentava in una chiesa o in un teatro, mentre nei paesi più piccoli si eseguiva nella piazza principale, davanti la chiesa Parrocchiale, sopra un palco fatto di tavole inchiodate a delle botti, sul quale si fissavano le quinte e le scene. Le parti del dramma sacro venivano suddivise raramente tra attori di professione, nella maggior parte dei casi si trattava, infatti, di dilettanti, scelti, soprattutto, tra i galantuomini e i mastri mentre il Cristo veniva, spesso, rappresentato da uno dei preti del paese. Anche i personaggi femminili venivano interpretati da uomini. Ciascun attore doveva pensare da sé stesso al proprio costume di scena. Ad assistere allo spettacolo era tutto il popolo del Comune o dei Comuni vicini e si era, a volte, costretti a stabilire delle recite riservate ai paesani ed altre destinate ai forestieri. In Calabria esse si diffusero soprattutto nel Seicento, il padre Girolamo Marafioti parla, ad esempio, nel 1601, di una Passione di Cristo, «nobilissima nello stile e nelle parole»33 del dottore in Legge Nicolò Carbone di Sinopoli e che divennero ben presto care al popolo, guadagnando sempre strepitosi successi: «Quelle scene di crocifissione doveano, tra ‘l pianto degli spettatori, piacere e piaceano molto e meraviglioso ne era l’effetto, specialmente nelle anime religiose e devote»34. Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024 I canti popolari Nel mesto e solenne clima delle funzioni e delle rappresentazioni della Passione del Crocifisso nella Piana, avevano un ruolo centrale i canti. Attraverso di essi, «il dolore e la passione del Crocifisso diventavano il dolore e la passione dell’uomo stesso»36. Molte di queste composizioni, «sono dei residui “morti”, cioè, fissati sulla carta, di drammi “vivi”, cioè, recitati e rappresentati dal popolo nelle chiese»37; altre sono opera di letterati, come il Melos concinendum, dialogo fra il Crocifisso, la Grazia, il Peccato e Terranova, composto nel 1754 dal maestro di cappella don Giuseppe Antonio Barba e cantato nel Santuario del centro aspromontano38; altri ancora sono, infine, d’origine prettamente popolare. Molte di queste composizioni riescono ad esprimere, attraverso semplici parole, concetti altissimi: «O Santa Cruci, vi vegnu a vidiri, cu’ ddui tuvagghj vi vegnu a stujari: una è la carità, l’atra è la fidi»39 Un testo di mons. Giuseppe Maria Perrimezzi, vescovo di Oppido Sempre a proposito del Crocifisso tra XVIII e XIX secolo, è opportuno ricordare un’opera apologetica scritta dal già citato mons. Giuseppe Maria Perrimezzi, vescovo di Oppido dal 1714 al 1734. In questo testo, edito nel 1727, il presule difese i Bruzi dalla «calunnia, ingiuria ed insolenza»40 di essere stati i flagellatori e i crocifissori del Cristo, secondo quanto affermato da alcuni scrittori dell’epoca quali il gesuita Alfonso Salmerón e gli agostiniani scalzi Giovanni Gregorio di Gesù e Maria e Donato Calvo. Per controbattere questa infamante tesi, mons. Perrimezzi fece riferimento alla Sacra Scrittura, ai Padri della Chiesa e ai più importanti teologi, senza dimenticare la filologia, la storiografia e la letteratura. Testimonianze artistiche Oltre gli esempi già citati nel corso della trattazione, numerose sono le testimonianze artistiche che dimostrano quanto sia radicato e diffuso il culto del Crocifisso nelle Comunità della Piana. Tra i più antichi ricordiamo il pregevole Crocifisso ligneo del XVI secolo, oggi conservato nella chiesa parrocchiale di Maria SS. di Portosalvo in Gioia Tauro o quello, più o meno coevo, che si trova nella Matrice di San Pietro di Caridà ma, soprattutto, la monumentale e imponente pala marmorea della “Deposizione”, custodita nella Matrice di Polistena, dovuta, secondo Francesco Jerace, allo scalpello dello scultore Giuseppe Merliani da Nola mentre altri l’attribuiscono ad una Scuola michelangiolesca, al Montorsoli o ad una Scuola siciliana41 mentre al XVII secolo vengono attribuiti i Crocifissi lignei conservati nella chiesa del Carmine di Laureana42; nell’aula capitolare della Cattedrale di Oppido e di San Vito a Molochio. Al XVIII secolo risalirebbe il Crocifisso ligneo conservato nella Matrice di Cittanova e quello della chiesa del Carmine di Cinquefrondi43. Sempre allo stesso periodo sono attribuite le numerose croci processionali d’argento dovute al bulino di argentieri napoletani come Antonio e Giuseppe Guariniello; Francesco Russo; Gennaro Pane; Luigi Capozzi o di argentieri messinesi come Giuseppe Muscalino; Giuseppe Sicari e Mattia Condursi44. Al XIX secolo sono da riferirsi l’ammirevole Crocifisso ligneo di Francesco De Lorenzo custodito nella Cattedrale di Oppido; le pregevoli e monumentali Varette di Cittanova, opera dell’illustre Francesco Biangardi45 o i Misteri di Polistena dovuti all’abile scalpello del sacerdote Luigi Prenestino e dei celebri scultori polistenesi della famiglia Morani46; oltre ai numerosi Crocifissi, magari di non grandi dimensioni ma di non minor pregevole fattura, dovuti agli abili scultori serresi. Non meno importanti e sempre di un’epoca a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, sono le tele rappresentanti la Crocifissione dovute ad artisti del calibro di Leoluca Santacaterina; Raffaele Angelo Musitano e Giulio Rubino o le Via crucis come quelle di Domenico Mesiani e di Giuseppe Fiorillo, senza dimenticare il bel Gesù Bambino con croce della chiesa del Carmine di Laureana, attribuito alla Scuola di Mattia Preti47. Meritano menzione un Crocifisso d’avorio risalente al XVIII secolo custodito nella Cattedrale di Oppido48 e una croce lignea con un Crocifisso e ornamenti in bronzo in stile barocco dello stesso periodo, conservata nella chiesa Matrice di San Giorgio Morgeto49 e le più umili nere croci penitenziali, dovute Pagina 60 L’Alba della Piana ad anonimi scultori in legno di ambito locale e ornate con le riproduzioni in legno e a tuttotondo dipinte a colori vivaci dei simboli della Passione come i chiodi, la corona di spine, la lancia, la spugna, il martello e le tenaglie, le funi e i flagelli, la scala e il gallo. In conclusione, è giusto ricordare una serie di Crocifissi fatti realizzare da mons. Paolo Albera, vescovo di Mileto50, con il bronzo delle campane rese inutilizzabili dal terremoto del 28 dicembre 1908, fuse nell’antica fonderia dei Fratelli Scalamandrè di Vibo Valentia51 e collocate dal presule nei centri più notevoli ed importanti della vecchia Diocesi52. Note: 1 Cfr. GIORGIO JOSSA, Il Cristianesimo antico dalle origini al Concilio di Nicea, Carocci, Roma 2000; PAUL F. BRADSHAW, Alle origini del culto Cristiano. Fonti e metodi per lo studio della liturgia dei primi secoli, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007; RITA CAPURRO, ENRICA FASANO, La bellezza del crocifisso, Ancora, Milano 2010. 2 Cfr. ROBIN LANE FOX, Pagani e cristiani, Laterza, Bari 2006; PIERRE CHUVIN, Cronaca degli ultimi pagani. La scomparsa del Paganesimo nell’Impero romano tra Costantino e Giustiniano, Paideia, Torino 2012; JORG RÜPKE, Da Giove a Cristo. Storia della religione in epoca romana, Morcelliana, Brescia 2014. 3 Cfr. ISTITUTO “GIOVANNI XXIII” NELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE, Dizionario dei Concili, Cittanuova Editrice, Roma 1963, vol. I, p. 338. 4 Cfr. Enciclopedia cattolica, Ente per l’Enciclopedia cattolica e il Libro cattolico, Città del Vaticano 1950, vol. IV, coll. 951-981; GAETANO MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro sino ai nostri giorni, Tipografia Emiliana, Venezia 1843, vol. XVIII, pp. 268-274. 5 Ci limitiamo soltanto a riproporre, a titolo di esempio, la croce marmorea, contornata dai simboli della Passione e sovrastante un’iscrizione gotica, incisa su una candidissima lapide marmorea, oggi murata nella sacrestia della chiesa gentilizia di Santa Maria della sanità a Laureana di Borrello ma proveniente dalla chiesa di San Cristoforo Martire dell’antica Mileto, risalente all’anno 1392 (Cfr. MINISTERO DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE, Inventario degli oggetti d’Arte d’Italia. Calabria. Provincie di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria, Libreria dello Stato, Roma 1933, p. 290; FRANCESCO NEGRI ARNOLDI, «Scultura trecentesca in Calabria: il maestro di Mileto», in Bollettino d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione, VI (1983) 21, pp. 22-30) e la grande e pregevole croce processionale, in argento sbalzato e dorato, eseguita in Atri, nel 1518 da mastro Giovanni di Rosarno ed oggi custodita nel Museo capitolare. Desta, inoltre, interesse e merita di essere meglio studiato, un reliquiario a medaglione d’argento dorato, rappresentante il Crocifisso tra l’Addolorata e San Giovanni, posto su una pergamena con minuti caratteri gotici e conservato nella Matrice di Polistena che l’inventario della Diocesi di OppidoPalmi dice essere di «ambito umbro-assisiate» attribuendolo al XIV secolo, mentre l’inventario della Soprintendenza lo definisce un’«opera eseguita nel XIX secolo da ignoto pittore meridionale di gusto bizantineggiante» (Cfr. GIOVANNI RUSSO, Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024 Polistena. La chiesa Madre (1783-1983), Virgiglio Editore, Rosarno 1995, p. 128). 6 Cfr. ARCHIVIO STORICO DELLA DIOCESI DI MILETO, NICOTERA E TROPEA (ASDM), Acta pastoralis visitationis 1586, voll. 1-4. 7 GIOVANNI QUARANTA e GIOVANNI MOBILIA, Il presepe ritrovato. Il mistero delle statue nella grotta ipogea della chiesa di Gesù e Maria di Maropati, L’Alba, Maropati 2011, pp. 14-16. 8 ARCHIVIO STORICO DELLA DIOCESI DI OPPIDO MAMERTINA-PALMI (ASDOP), fondo Curia Vescovile, serie Cassa Sacra, sottoserie Piano delle Parrocchie, busta 296, fascicolo 2, Piano formato dall’ex visitatore della Calabria, sig. Marchese di Fuscaldo, per le Diocesi della Provincia di Calabria Ultra, esistente nella Direzione della Registratura e de’ Demanj della Provincia suddetta. 9 Cfr. ibidem. 10 GIUSEPPE LAROSA, Profilo storico dell’antica Terranova, Stabilimento di arti grafiche, Roma 1983, p. 15. 11 «In quell’anno, à tempo che l’immagine di Maria Vergine, sotto il titolo del soccorso, nella real terra di Palma, operava molti miracoli, la Confraternita di Terranova condusse ivi il suo Crocifisso, ancor che per 12 miglia di strada balza e scoscesa, ma, quando l’immagine del Figlio fu in presenza di quella della Madre, sudò sangue ad occhi veggenti di tutto il popolo. L’accorti governadori di detta Confraternita subito fecero stipular un atto pubblico per mano di notaro e testimoni» nel quale si affermava che «lo Crocifisso il quale portaro essi confrati incominciò a sudare sangue e da la corona che tenea in testa calavano stizzi di sangue e fino a li pedi tutto sudava» (Leggendario di SS. Martiri di Calabria, libro primo. Dove anco si tratta di alcuni huomini illustri, i quali esposero la vita in servigio di Dio e di più dell’origine de’ Frati Cappuccini e loro progressi in Calabria. Per don Paolo Gualtieri della Città di Terranova, professore della Filosofia e Sagra Teologia, Per Matteo Nucci, in Napoli 1630, pp. 360-361. Cfr. ROSARIO CONDÒ, «Terranova e il culto del Santissimo Crocifisso», in Brutium, LXVIII (1989) 2, pp. 13-14; ROCCO LIBERTI, Fede e società nella Diocesi di Oppido-Palmi, Virgilio Editore, Rosarno 1996, pp. 102-107). 12 ANTONINO BASILE, Credenze sulla prodigiosa sensibilità delle immagini sacre in Folklore della Calabria, Nuove Edizioni Barbaro, Delianuova 1990, vol. I, p. 280. 13 ANTONIO TRIPODI, «I Crocifissi di Palmi e Terranova Sappo Minulio», in L’alba della Piana, II (2010) 1, pp. 22-30. Cfr. MINISTERO DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE, Inventario degli oggetti d’Arte d’Italia, p. 295. 14 DOMENICO TACCONE-GALLUCCI, Monografia della Città e Diocesi di Mileto, Tipografia degli Accattoncelli, Napoli 1881, pp. 168-169. Il Frangipane non condivide questa affermazione del Taccone Gallucci ma data comunque al XV-XVI secolo il Crocifisso di San Marco (Cfr. MINISTERO DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE, Inventario degli oggetti d’Arte d’Italia, p. 311). 15 Cfr. ASDOP, Fondo della Curia Vescovile, Relatio ad Limina del vescovo Perrimezzi per l’anno 1715. 16 Cfr. ROCCO LIBERTI, Le Confraternite nell’area della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, Quaderni Mamertini, Litografia Diaco, Bovalino 2001, pp. 24-25. 17 In PIETRO BORZOMATI (a cura di), Calabria Cristiana. Società, religione, cultura nel territorio della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. 2. Età moderna e contemporanea. Atti del Convegno di studi, Palmi-Cittanova 21/25 novembre 1994, Rubbettino, Soveria Mannelli 1999, pp. 391-392. 18 Cfr. GIOVANNI RUSSO, Melicucco. Fonti e documenti per una storia civile e religiosa, Associazione Culturale “L’Alba”, Maropati 2022, pp. 175-176. 19 Cfr. ivi, pp. 176-180. 20 «Doppo la predica, quando si fa ella di sera, suole immediatamente succedere la disciplina che, comunemente, riserbasi come ad hora, più commoda à farsi di notte. È la disciplina quasi una confermatione pratica di ciò che, speculativamente, insegnasi nelle prediche. Si sceglie un qualche luogo atto e capace il più che si può e, mancando ogni altro, supplisce la chiesa stessa, ove si predica, esclusene prima con diligenza tutte le donne e accioche riesca più fervorosa, si eccita nel principio con alquante parole compuntive vivamente l’affetto e dolor de’ peccati e poi, di quando in quando, intermesso il battere, si replicano di nuovo altre simili e, con pietose esclamationi e atti raddoppiati di contritione, s’infiammano sempre più i cuori» (Missioni de’ Padri della Compagnia di Giesù nel Regno di Napoli scritte dal padre Scipione Paolucci della medesima Compagnia, Stampa Secondino Roncagliolo, Napoli 1651, pp. 24-25). 21 LUIGI BORRELLO, Reliquie del Dramma sacro in Calabria, Tipografo editore Luigi Pierro, Napoli 1899, p. 26. 22 Cfr. ASDOP, fondo Confraternite. 23 SEZIONE ARCHIVIO DI STATO PALMI (SASP), Notaio Michelangelo Avati di Casalnuovo, Prot. 1796, f. 20v-21r. Il magnifico Domenico Raso morì il 19 aprile 1796, all’età di 98 anni (Cfr. ARCHIVIO PARROCCHIA SAN GIROLAMO CITTANOVA, Registro defunti, vol. III (17821801), p. 470), mentre «sotto le rovine del tremuoto» morì il figlio Giuseppe Antonio. 24 BORRELLO, Reliquie del Dramma sacro in Calabria, pp. 87-88. 25 BORRELLO, Reliquie del Dramma sacro in Calabria, pp. 31-32. 26 Ivi, p. 35. 27 GIOVANNI BATTISTA MARZANO, Scritti volume III, Stabilimento Tipografico “Il Progresso”, Laureana di Borrello 1930, p. 56-57. 28 Cfr. ivi, pp. 58-59. 29 Cfr. PARROCCHIA “MARIA SS. ASSUNTA” - SAN GIORGIO MORGETO, Passio Christi. Via Crucis, Via Matris, Ultime Sette parole di Cristo in Croce e canti tradizionali, Tipografia Varamo, Polistena 2022, pp. 41-52. «In Radicena, un giovane, adempiendo un voto, rappresentava il Cristo. Si caricava una pesante croce e, a piè scalzi e la testa coronata di spine, si avviava con la processione al Calvario. Lungo il cammino doveva sopportare con la più grande rassegnazione gli oltraggi e più le percosse dei giudei, doveva cadere per tre volte sotto il peso della croce e fra il pianto delle Veroniche e delle Marie che, con le trecce sparse, l’accompagnavano» (BORRELLO, Reliquie del Dramma sacro in Calabria, p. 53). Una rappresentazione simile, detta popolarmente Caduta, si svolge, ancora oggi, a Laureana dove «giunta la processione al Calvario, ha luogo la rituale predica, finita la quale, si toglie dalla croce il Cristo morto, si depone nella varetta portata a spalla da quattro confratelli del Carmine e la processione s’incammina verso la chiesa Matrice, dove finalmente si scioglie» (MARZANO, Scritti volume III, p. 64). 30 Spettacoli e feste popolari siciliane descritte da Giuseppe Pitrè, Luigi Pedone Lauriel editore, Palermo 1881, p. 1. 31 Ibidem. 32 PAOLO EMILIANI GIUDICI, Storia del Teatro in Italia, Le Monnier, Firenze 1869, p. 160. 33 Croniche et antichità di Calabria raccolte dal R.P.F. Girolamo Marafioti da Polistina. Tra i testi editi di questo tipo di rappresentazioni particolarmente importanti per il territorio della Piana ricordiamo: La schiodazione di Nostro Signore Giesù Christo. Rappresentazione sacra del signor don Cesare Bisogni, dottore delle Leggi e patrizio della Città di Monteleone, Tipografia Domenico Antonio Parrino, Napoli 1715; L’ingiustizia dei Tribunali nel condannare l’innocenza del nostro Redentore Gesù. Sacra tragedia di Antonio Faccioli di Monteleone, dottore in ambedue le mediche Facoltà, Stamperia Pagina 61 L’Alba della Piana Amato Consiglio, Napoli 1774. Secondo quest’autore, lo scopo di tali rappresentazioni era quello di «addotrinare gli uditori e purgarli dai malvagi costumi per accenderli nell’amor della virtù e per moverli a compassione negli altrui affanni e miserie» (Ivi, p. 6). 34 Spettacoli e feste popolari siciliane descritte da Giuseppe Pitrè, p. 18. 35 In APOLLO LUMINI, Studi calabresi. Le sacre rappresentazioni. Il Natale nei canti popolari calabresi. Le reputatrici, Luigi Aprea editore, Cosenza 1890, p. 59. Delle sacre rappresentazioni s’interessarono, per la loro importanza, anche i Sinodi diocesani del periodo. Ad esempio, nel 1634, il Sinodo indetto dal vescovo di Mileto Maurizio Centini, dopo aver assolutamente proibito gli spettacoli osceni e consentito i pubblici spettacoli profani solo dopo debita autorizzazione della Curia, vietava ai chierici, anche coniugati, di farsi autori e promotori di simili iniziative. Allo stesso modo, affermava che tale permesso era necessario anche per scrivere ed eseguire Opere sacre, vietandone la rappresentazione nei giorni della Settimana Santa (Cfr. Constitutiones et decreta edita ab illustrissimus et reverendissimo domino, don Mauritio Centino, patritio asculano, Dei et Apostolicae Sedis gratia episcopo Miletensis, baro Galatri, in Prima Synodo Dioecesana habita in Cathedrali, idibus octobris, 17 e 16 kalenda novembris, anno 1634, Apud Erasmus De Simone, Panormi 1634, pp. 7-8). Invece, mons. Gregorio Panzani, nel 1642, ne vietava la rappresentazione nelle chiese e l’esecuzione nella Settimana Santa; allo stesso tempo vietava ai chierici di prendervi parte in qualità di attori (Cfr. Synodus Miletensis habita in Cathedrali Ecclesia a Gregorio Panzano eiusdem Miletensis Ecclesiae episcopo, baro Galatri etc. die 28, 29 et 30 aprilis anno 1642, Apud Erasmus De Simone, Panormi 1642, p. 4). Infine, anche il Sinodo indetto, per la Diocesi di Oppido, da mons. Paolo Diano Parisio, nel 1671, vietava le rappresentazioni, anche sacre, eseguite senza il permesso vescovile, minacciando scomuniche e interdetti (Costitutiones Synodales illustrissimi et reverendissimi Domini Don Pauli Diano Parisio, Patritii reginii, Episcopi oppiden. in prima diaeces. Synodo promulgatae die 20 mensis maii anni 1670, Typis Pauli Monetae, Romae 1671, p. 9). 36 SALVATORE BRUGNANO, Espressione di religiosità popolare in Calabria. La Pasqua: canti, riti, usanze, credenze, Valsele Tipografica, Napoli 1987, p. 9. 37 GIOVANNI DE GIACOMO, «I canti sacri in Calabria e le laudi», in Calabria letteraria, XXI (1966) 1-2, p. 14. 38 Cfr. Melos concinendum in venerabilis ecclesia SS. Crucifixi Civitatis Terranovae Ulterioris Calabria recurrente festivitate Inventionis Sancta Crucis, Tipografia Giuseppe Lopresti, Palmi 1872. 39 In VINCENZO BARBIERI, Un popolo canta la sua fede, Arti Grafiche 2G, Simbario 2012, p. 94. 40 De natione tortorum Christi adversus nuperum scriptorem gallum dissertatio, Ex Typographia Komarek, Romae 1727, p. 79. 41 Cfr. RUSSO, Polistena. La chiesa Madre (17831983), p. 67-76. 42 Cfr. MINISTERO DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE, Inventario degli oggetti d’Arte d’Italia. Calabria. Provincie di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria, Libreria dello Stato, Roma 1933, p. 290. 43 Cfr. ivi, p. 278. 44 Cfr. ANTONIO TRIPODI, Sulle Arti in Calabria. Dizionario biografico e documentario su artisti e opere d’Arte, Adhoc Edizioni, Vibo Valentia 2016. 45 Cfr. FELICE DELL’UTRI, I Biangardi: la vita, l’epoca, le opere, Edizioni Lussografica, Caltanissetta 1992; ARTURO ZITO DE LEONARDIS, I Biangardi: maestri scultori del legno nell’Arte e nella Storia con le “Varette” dei Sacri Misteri del Venerdì santo di Cittanova (RC), Accademia Libera “Novi Albori”, Cittanova 2001. 46 Cfr. GIOVANNI RUSSO, I Domenicani a Polistena. Il convento, la chiesa e la confraternita del SS. Rosario, Arti Poligrafiche Varamo, Polistena 2018, p. 209-212. 47 Cfr. MINISTERO DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE, Inventario degli oggetti d’Arte d’Italia, p. 290. 48 Cfr. ivi, p. 294. 49 Cfr. ivi, p. 302. 50 Cfr. Ut aedifices et plantes. Nel Giubileo episcopale di S. E. Mons. Paolo Albera, vescovo di Mileto, 1915-1940, Tipografia Quintily, Roma 1940. 51 Cfr. ROCCO LIBERTI, Arte nelle Comunità della Piana di Terranova, Quaderni Mamertini, Litografia Diaco, Bovalino 2005, pp. 5-17. 52 Cittanova, Francica, Mileto, Palmi, Pizzo, Polistena, Seminara, Sinopoli, Soriano, Vallelonga, Vibo Valentia. IL NOVANTESIMO COMPLEANNO DELLO STORICO ROCCO LIBERTI La Calabria ha di recente festeggiato il novantesimo compleanno di uno degli studiosi più prolifici e rispettati della nostra epoca, il prof. Rocco Liberti. La sua vita è stata dedicata all’acquisizione e alla condivisione della conoscenza, contribuendo in modo significativo al progresso degli studi sulla storia della nostra regione. Il novantesimo compleanno di Rocco Liberti è stata un’occasione per riflettere sulla straordinaria vita di un appassionato che ha dedicato la sua esistenza alla ricerca storica presso gli archivi pubblici e privati, pubblicando centinaia di monografie e articoli, divenendo il punto di riferimento per generazioni di studiosi. Il 9 dicembre 2023 è stato omaggiato in una manifestazione tenutasi presso i locali del Seminario vescovile della sua Oppido Mamertina, alla presenza di numerose autorità, di una fitta schiera di amici e di vari colleghi della Deputazione di Storia Patria per la Calabria. La Redazione formula i più cari auguri al nostro collaboratore Rocco Liberti, ringraziandolo per quanto ha fatto e continuerà a fare per la cultura calabrese. Mons. Francesco Milito, prof. Giuseppe Caridi, prof. Rocco Liberti, don Letterio Festa Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024 Pagina 62