L’Alba della Piana
LUOGHI DI CULTO E DEVOZIONE AL CROCIFISSO
NELLE PARROCCHIE DELLA PIANA
TRA IL XVIII E IL XIX SECOLO
Letterio Festa
I
l culto del Crocifisso è, chiaramente, una caratteristica della
fede cattolica; una memoria viva
del mistero di Redenzione e Salvezza operato da Cristo1. Esso
ebbe inizio con la celebre visione
di Costantino (274-337) alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio:
«IN HOC SIGNO VINCES»2 e il
ritrovamento della vera croce da
parte di Sant’Elena, madre
dell’imperatore. Da quel momento, infatti, la croce passò dal
luogo dei supplizi sulla fronte degli imperatori, secondo la significativa espressione attribuita a
Sant’Agostino.
Nella Chiesa antica non si dipingeva o scolpiva il Crocifisso
ma solo la croce, spesso fiorita o
gemmata, sempre luminosa e sfolgorante come richiamo immediato
alla resurrezione mentre il Cristo
veniva, perlopiù, rappresentato
come un agnello. Nel Concilio di
Costantinopoli, detto Quinisesto o
Trullano, celebrato nell’anno 692, fu finalmente stabilito che il Cristo non si dipingesse o scolpisse più sotto figura di
agnello ma in forma umana3.
Lattanzio (240-320) affermava che
gli antichi cristiani ponevano il Crocifisso all’ingresso delle chiese, secondo
un uso ancora visibile nelle basiliche romane e in moltissimi luoghi di culto,
mentre gli Orientali preferiscono porlo
sull’architrave dell’altare maggiore.
Successivamente, s’introdusse l’uso di
porlo stabilmente sulla sommità degli altari ma bisognerà giungere all’età romanica per trovare una vera diffusione del
tipo iconografico della figura isolata di
Gesù sulla croce, avulsa dalla più complessa scena della Crocifissione4.
Non è possibile, in questa sede, soffermarci sulla prima diffusione di questo essenziale simbolo cristiano nel territorio
dell’attuale Diocesi di Oppido-Palmi, ci limiteremo a trattare solamente il periodo
immediatamente precedente e successivo
al terremoto del 5 febbraio 1783, importante data che segna un’imprescindibile
Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024
Epigrafe di Laureana (sec. XIV)
cesura storica per le vicende della nostra
Piana5.
Chiese e cappelle intitolate al Crocifisso
Secondo quanto diceva il vescovo di
Mileto, mons. Marco Antonio Del Tufo,
nella visita pastorale da lui effettuata
nella Diocesi nel 1586, in quel momento
non esistevano ancora delle cappelle dedicate al Crocifisso nelle numerose Parrocchie della Diocesi6. Una campana
con l’immagine del Crocifisso, datata
1635, è presente ancora oggi nella piccola chiesetta di Gesù e Maria di Maropati, e la stessa verosimilmente proviene
da quella “Cappella di Santa Croce” citata nell’«Apprezzo dello Stato di
Anoja» del 16467. I documenti settecenteschi, invece, per quanto riguarda i
paesi dell’antica Chiesa miletese oggi ricadenti nel territorio della Diocesi di
Oppido-Palmi, parlano di cappelle dedicate specificamente al Crocifisso a Caridà, Cinquefrondi, Laureana, Melicucco, Polistena e Rosarno8.
Mentre di poco più numerose
sono quelle presenti, nello stesso
periodo, nell’antica Diocesi oppidese e che si trovavano a Castellace,
Cosoleto, Molochio (all’epoca soggetta all’Arcidiocesi di Reggio), Paracorio, Pedavoli, Tresilico e Varapodio9. Menzione a parte meritano
quelle che, oggi, sono le uniche due
chiese dedicate a questo titolo.
Innanzitutto, il celebre Santuario di Terranova Sappo Minulio.
Come scrisse mons. Giuseppe Larosa, «noi non sappiamo in quale
epoca il bel volto del Salvatore abbia incominciato a vegliare sulle
vicende ora liete ora tristi del popolo terranovese»10, certamente il
culto e lo stesso simulacro erano
ormai presenti e ben radicati
nell’antica città all’epoca del celebre miracolo della sudorazione del
Crocifisso nero, avvenuto a Palmi
il 20 luglio 1533, durante un pellegrinaggio presso la chiesa di
Maria Santissima del soccorso, secondo quanto riportato dallo storiografo
Paolo Gualtieri11. La tradizione popolare
tramanda le parole che il Cristo avrebbe
detto all’artefice del venerato simulacro
di Terranova:
«Undi mi vidisti
chi tantu piatusu mi facisti?
E se daveru mi vidivi,
ancora cchiù piatusu mi facivi!»12.
Tra la fine del XVI e l’inizio del
XVII si deve collocare, invece, il Crocifisso di Palmi, conservato nell’omonima chiesa annessa al Convento francescano, attivo tra il 1537 e il 1867, abitato prima dai Francescani Osservanti
e, poi, dai Riformati. Circa l’autore del
veneratissimo simulacro in legno e cartapesta «non è dato sapere se fosse un
laico oppure uno dei tanti frati crocifissari che popolavano i Conventi nel
’600 ma era certamente un credente
che, nel modo di plasmare la materia,
seppe consegnare per i secoli la sua
retta devozione sulla Passione del Cristo Redentore»13.
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L’Alba della Piana
La campana di Maropati con il Crocifisso
A Seminara esiste ancora oggi «un
Crocifisso di legno proveniente dall’antica Tauriana e conservato nella chiesa
di San Marco» mentre, nella stessa Città,
un’altra «miracolosa statua del Crocifisso» si venerava nel Convento dei
Cappuccini14 invece a Oppido il vescovo
Giuseppe Maria Perrimezzi (1714-1734)
ogni settimana riuniva i fedeli nella Cattedrale per onorare, con l’esposizione
del Santissimo Sacramento, la Cinque
Piaghe del Crocifisso. Il clero e il popolo
dell’antica Città episcopale, al tramonto
della domenica, ascoltavano la meditazione sulla Passione tenuta dal presule
per poi darsi la disciplina e, finalmente,
tornare a casa con spirito contrito ed
animo purificato15.
Le Confraternite del Crocifisso e le
pratiche confraternali ad esso legate
Nelle Parrocchie della Piana
c’erano, nel periodo in questione, alcune Confraternite intitolate al Crocifisso a Palmi e Iatrinoli, citate nelle Visite pastorali del vescovo di Mileto Domenico Antonio Bernardini e chiaramente a Terranova, la cui attività trova
riscontro nelle Visite dei vescovi di Oppido Vita, Mandarani e Spedaliere e a
Cinquefrondi e Melicucco, a proposito
delle quali esistono significativi testi
archivistici16.
Innanzitutto, a Cinquefrondi troviamo questa significativa Memoria che
ricorda le circostanze che portarono alla
fondazione del pio Sodalizio e che risultano particolarmente interessanti per il
discorso che stiamo svolgendo:
«Nel corso del Quaresimale dell’anno
1717, predicando nella chiesa Arcipretale di questa Città di Cinquefrondi il
padre Francesco da San Giorgio, religioso cappuccino, divotissimo della
Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024
Passione del nostro amantissimo Redentore Gesù Cristo, esortò questo pubblico
a fondare la Confraternita sotto il titolo
del medesimo Crocifisso Signore, come
infatti seguì e pel buon governo della
medesima, consensienti tutti li confratelli, furono stabiliti alcuni Capitoli,
quali poi, a 23 agosto 1719, furono confermati dalla Reverendissima Curia di
Mileto e per primo padre spirituale fu
eletto il quondam reverendo sacerdote
don Giuseppe Argirò che con tutto zelo
ed impegno dell’avanzi della stessa, la
governò mentre visse, cioè fino all’anno
1750. Ma comecche nella cennata
chiesa Arcipretale non si trovava eretta
cappella del Santissimo Crocifisso, titolare della ridetta Confraternita, si fe’ risoluzione di procurarsi una statua del
medesimo ed in effetti fu fatta per mezzo
del mentovato padre spirituale che commise tale incombenza ad un suo amico
in Napoli; la quale statua qui portata,
non trovandosi luogo vacante in detta
chiesa per l’erezione dell’altare, si fe’
ricorso con supplica alla Reverendissima Curia sopracennata per la facoltà
di collocare la replicata statua nell’altare del Santissimo Nome di Gesù ed a
28 agosto del 1722 se ne ottenne il permesso, qualora concorresse il consenso
de’ magnifici del Reggimento a cagion
che questo altare spettava e spetta
all’Università e già essendosi contentati, fu collocata come al presente si
vede dalla parte di dietro del quadro
del Santissimo Nome di Gesù, fandosi
mensione di tutto ciò nel conto de’ procuratori di detta Confraternita
negl’anni 1722 e 1723, registrato
nell’antecedente Libro di significatorie
a foglio 27 e seguenti ed a maggior
cautela si passò istrumento di tal concessione tra gli cennati magnifici del
Reggimento ed il procuratore della
Confraternita, stipulato dal magnifico
notaro Francesco di Guisa seniore a’
27 maggio 1723.
Nell’anno 1765, essendo stata accresciuta e rinnovata la predetta chiesa e
per ciò essendovi luoghi da potersi erigere una nuova cappella, distinta dalla
summentovata del Santissimo Nome di
Gesù, di consenso del reverendo arciprete, fu eretta nel luogo dove al presente si vede, cioè nella parte superiore
dell’ala sinistra della medesima chiesa,
attaccata al muro del campanile, dove fu
trasportata la sopradetta statua del Santissimo Crocifisso»17.
Il 9 marzo 1746, invece, venne fondata a Melicucco una cappellania intitolata al Santissimo Crocifisso da parte dei
fratelli Giuseppe e Bruno Tudesco e
della vedova del fu Francesco Tudesco,
Francesca Italiano18 mentre una documentazione relativa agli anni 1727 1783
ci informa dell’attività di una confraternita del Santissimo Crocifisso nella
stessa città in questo periodo. Tale congregazione gestiva un sacro Monte,
eretto dentro la chiesa Arcipretale ed organizzava ogni anno la festa del titolare
nei primi giorni del mese di maggio19.
Intorno al Crocifisso ruotavano, poi,
alcune particolari pratiche di pietà che i
confratelli delle Congreghe della Piana
erano soliti praticare, soprattutto nel periodo quaresimale, quando, dopo una
predica del padre spirituale, solitamente
«dopo le 24 ore», ovvero alle 8 di sera,
si teneva l’adorazione della Croce seguita dalla disciplina20:
«La funzione, alla quale posson prender parte soltanto gli uomini, comincia
verso le 19. La chiesa, parata a lutto, è
illuminata fiocamente da pochi ceri;
sur un tappeto steso sui gradini dell’altare è adagiato un “Cristo morto”.
Dopo una predica sulla Passione, si
smorzano tutte le candele e, in
quell’oscurità paurosa, la voce piangente dell’organo rompe il silenzio solenne, intonando il Miserere. Poi, riaccese le sole candele ai piedi del Cristo,
mentre si canta lo Stabat, ragazzi ed
adulti, a due a due, muovono dalla
porta, trascinandosi penosamente sulle
ginocchia e battendosi con discipline,
vanno a baciare i piedi e le piaghe del
Cristo morto. La strana funzione si
chiude con il lugubre canto del Libera
me, Domine, de morte aeterna»21.
Tali pratiche sono testimoniate dai
documenti d’Archivio ad Acquaro, Casalnuovo, Galatro, Maropati, San Giorgio, Sant’Eufemia, Scido, Seminara,
Serrata, Sinopoli e Terranova. La Confraternita dei Sette dolori di Maria di Sinopoli annoverava, tra i suoi giorni solenni, quello dell’Invenzione della Santa
Croce (3 maggio), inoltre, al termine
delle riunioni di preghiera della stessa, il
Il reliquiario di Polistena (sec. XV)
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L’Alba della Piana
padre spirituale impartiva la benedizione con il crocifisso mentre la Confraternita dell’Immacolata di Sant’Eufemia
dava grande risalto alla pratica della Via
Crucis, quella della Purità di San Giorgio alla coronella delle cinque piaghe di
Gesù e quella del Rosario di Melicuccà
alla processione del Venerdì santo22.
Per esemplificare l’efficacia di queste
pie pratiche, è bene riportare il testamento
del magnifico Domenico Raso di Casalnuovo, redatto «in campanea dirutae
Terrae Casalisnovi», il 6 agosto 1783:
«Essendosi l’alta misericordia del nostro Onnipotente Signore compiaciuta
sottrarmi dalle fiere rovine dell’infelice
mia Padria, subbissata dal grande ed
esiziale tremuoto del dì 5 febbraro del
corrente anno, intendo impiegare in
buon uso il prezioso dono del tempo che,
ad onta del peso degli anni che aggrava
la mia vita, la divina munificenza si è benignata concedermi, quindi ho risoluto,
pria che la morte venga a chiudermi gli
occhi, disporre dell’anima mia e di
quelle sostanze che Dio mi ha dato.
Signore Onnipotente, Creatore e Redentore mio, l’anima mia, riscossa col vostro
Divino Sangue, sia tutta vostra. Non riguardate le detestabili mie colpe che
l’hanno deformata e resa indegna di voi
ma ricordatevi solo che, per amor mio,
pendendo da un infame patibolo, mi daste
un argomento della vostra inesausta
pietà nel perdono del ladro e degli empi
crocifissori che oggi vale a ravvivare la
mia speranza. Siatemi, Signore mio, propizio sino alla morte e ricevetevi, in quel
momento terribile, l’anima mia che io lascio a voi come cosa vostra, riponendola
nel vostro Cuore trafitto per me»23.
Il Crocifisso di Gioia Tauro marina
(sec. XVI)
Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024
E, sulla stessa linea, un canto diffuso
nei paesi della Piana e risalente al periodo in oggetto, dice:
«O Santissimu Crucifissu,
nui chi simu avanzi a vui?
E lu sangu chi spargistivu,
lu spargistivu vui pe’ nui.
Siti Corpu sacratissimu,
siti figghiu di Maria
e lu sangu chi spargistivu,
lu spargistivu vui pe’ mia»24.
I riti e le processioni della Settimana
Santa
In questo contesto, chiaramente, assumevano un ruolo notevole le funzioni
e le processioni della Settimana Santa:
«Ogni paese ha il suo Calvario, cioè una
collina o un rialto qualunque, a poca distanza dall’abitato, con su piantate tre
grandi croci di legno. Lo vogliono invenzione del gesuita Gaspare Paraninfo
(1554-1624), quindi residuo del bastardo Seicento ma, probabilmente, la
sua origine si perde nel buio del Medioevo. Esso è la meta di processioni durante la Settimana Santa e vi si recano
gli uffizianti. Indossano un lungo camice, mozzetta color avana e buffa
bianca e muovono, preceduti da un fratellone che porta una croce, sulla quale
stanno attaccati gli strumenti del martirio, in piccole proporzioni e seguiti da
una gran folla che, a gruppi, canta le razioni della Passione e lì, sotto il bel
cielo, s’inginocchiano e, con voce nella
quale vibra una fede assoluta, intonano
inni e preghiere col fervore delle anime
semplici, colla commozione di chi si riconosce gran peccatore e anela al perdono»25.
Molto diffusa nei paesi della Piana
era la predica di Passione detta la chiamata della Madonna, «nella quale predica veniva messa a dura prova l’abilità
dell’oratore»26:
«La statua dell’Addolorata è avvolta in
un manto scuro, trapunto di stelle, con
le braccia aperte, con il viso cereo e dolente e sul cuore sette spade scintillanti.
Il prete, dopo aver descritto a vivi colori
la Passione, prende il Crocifisso ch’è
presso il pulpito, lo toglie dalla croce e
ne mostra al popolo commosso le ferite
e le lividure. Quindi si spalanca la porta
principale del tempio, un lugubre rullo
di tamburo si fa sentire ed apparisce
l’Addolorata, portata a spalle da quattro confratelli. Il momento è solenne, la
Vergine si avvicina di corsa al pulpito
per accogliere nelle sue braccia il morto
Figliuolo. È una scena commoventissima: tutti sorgono in piedi, piangendo,
percuotendosi il petto, strappandosi i
Il Crocifisso di San Pietro di Caridà
(sec. XVI)
capelli e protendendo le braccia verso
la Vergine, implorando perdono e
pietà»27.
Altri momenti solenni erano la Visita ai sepolcri, ovvero alle chiese dove
si conservava l’Eucarestia dentro
l’urna, una specie di tabernacolo che
veniva circondato da ceri, veli e piantine di grano cresciute al buio durante i
giorni della Quaresima28 e la predica
delle Sette parole, pratica devozionale,
risalente al XII secolo, nella quale venivano riunite le parole che, secondo la
tradizione evangelica, sono state pronunciate da Gesù sulla croce. Le più celebri prediche di questo tipo sono
quelle che si tengono a Polistena, Cinquefrondi e San Giorgio, caratterizzate
dai canti dell’abate Pietro Metastasio
(1698-1782), posti in musica, nella seconda metà del XIX secolo, dal compositore polistenese Michele Valensise
(1822-1890)29.
Le rappresentazioni sacre
Un altro momento forte per la contemplazione del mistero della Croce era
costituito dalle rappresentazioni sacre
che, in determinati periodi dell’anno, venivano eseguite soprattutto nei centri più
grandi allo scopo di «intrattenere onestamente il popolo, pascerne lo intelletto e
la immaginazione e dilettarne i sensi»30.
A tale scopo, la Passione di Cristo, in
modo particolare, ben si presentava
come «argomento pietosamente sublime»31.
Questo tipo di rappresentazione veniva chiamata Opera sacra; Mistero;
Mortorio oppure Pigghiata, da una delle
scene principali che la costituivano. In
ogni caso, si trattava di «un’azione che
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L’Alba della Piana
Chiaramente, la scena della Crocifissione era una delle più spettacolari ed attese. In una di esse, vengono poste sulle
labbra dell’Addolorata queste poetiche
ed assai efficaci parole:
«O Cruci tantu altissima,
vasciati nu pocu,
quantu u vasu
li chiaghi i figghiuma,
ca vrusciu di gran focu»35.
Il Crocifisso di Terranova (sec. XVI)
si prefiggeva sempre di mostrare la punizione del vizio e il premio della virtù;
onde persuadere ai cristiani la futilità
delle cose mortali e il gran pregio delle
eterne»32.
A promuovere queste iniziative
erano, soprattutto, le Confraternite e si
rappresentavano nelle domeniche di
Quaresima, nella domenica di Passione
o durante la Settimana Santa.
Nei centri più grandi l’Opera sacra
si rappresentava in una chiesa o in un
teatro, mentre nei paesi più piccoli si
eseguiva nella piazza principale, davanti la chiesa Parrocchiale, sopra un
palco fatto di tavole inchiodate a delle
botti, sul quale si fissavano le quinte e
le scene.
Le parti del dramma sacro venivano
suddivise raramente tra attori di professione, nella maggior parte dei casi si trattava, infatti, di dilettanti, scelti, soprattutto, tra i galantuomini e i mastri mentre il Cristo veniva, spesso, rappresentato da uno dei preti del paese. Anche i
personaggi femminili venivano interpretati da uomini. Ciascun attore doveva
pensare da sé stesso al proprio costume
di scena. Ad assistere allo spettacolo era
tutto il popolo del Comune o dei Comuni
vicini e si era, a volte, costretti a stabilire
delle recite riservate ai paesani ed altre
destinate ai forestieri.
In Calabria esse si diffusero soprattutto
nel Seicento, il padre Girolamo Marafioti
parla, ad esempio, nel 1601, di una Passione di Cristo, «nobilissima nello stile e
nelle parole»33 del dottore in Legge Nicolò
Carbone di Sinopoli e che divennero ben
presto care al popolo, guadagnando sempre strepitosi successi:
«Quelle scene di crocifissione doveano,
tra ‘l pianto degli spettatori, piacere e
piaceano molto e meraviglioso ne era
l’effetto, specialmente nelle anime religiose e devote»34.
Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024
I canti popolari
Nel mesto e solenne clima delle funzioni e delle rappresentazioni della Passione del Crocifisso nella Piana, avevano un ruolo centrale i canti. Attraverso
di essi, «il dolore e la passione del Crocifisso diventavano il dolore e la passione dell’uomo stesso»36.
Molte di queste composizioni, «sono
dei residui “morti”, cioè, fissati sulla
carta, di drammi “vivi”, cioè, recitati e
rappresentati dal popolo nelle chiese»37;
altre sono opera di letterati, come il Melos concinendum, dialogo fra il Crocifisso, la Grazia, il Peccato e Terranova,
composto nel 1754 dal maestro di cappella don Giuseppe Antonio Barba e
cantato nel Santuario del centro aspromontano38; altri ancora sono, infine,
d’origine prettamente popolare.
Molte di queste composizioni riescono ad esprimere, attraverso semplici
parole, concetti altissimi:
«O Santa Cruci, vi vegnu a vidiri,
cu’ ddui tuvagghj vi vegnu a stujari:
una è la carità, l’atra è la fidi»39
Un testo di mons. Giuseppe Maria Perrimezzi, vescovo di Oppido
Sempre a proposito del Crocifisso tra
XVIII e XIX secolo, è opportuno ricordare
un’opera apologetica scritta dal già citato
mons. Giuseppe Maria Perrimezzi, vescovo di Oppido dal 1714 al 1734. In questo testo, edito nel 1727, il presule difese i
Bruzi dalla «calunnia, ingiuria ed insolenza»40 di essere stati i flagellatori e i crocifissori del Cristo, secondo quanto affermato da alcuni scrittori dell’epoca quali il
gesuita Alfonso Salmerón e gli agostiniani
scalzi Giovanni Gregorio di Gesù e Maria
e Donato Calvo.
Per controbattere questa infamante
tesi, mons. Perrimezzi fece riferimento
alla Sacra Scrittura, ai Padri della
Chiesa e ai più importanti teologi,
senza dimenticare la filologia, la storiografia e la letteratura.
Testimonianze artistiche
Oltre gli esempi già citati nel corso
della trattazione, numerose sono le testimonianze artistiche che dimostrano
quanto sia radicato e diffuso il culto del
Crocifisso nelle Comunità della Piana.
Tra i più antichi ricordiamo il pregevole
Crocifisso ligneo del XVI secolo, oggi
conservato nella chiesa parrocchiale di
Maria SS. di Portosalvo in Gioia Tauro
o quello, più o meno coevo, che si trova
nella Matrice di San Pietro di Caridà ma,
soprattutto, la monumentale e imponente pala marmorea della “Deposizione”, custodita nella Matrice di Polistena, dovuta, secondo Francesco
Jerace, allo scalpello dello scultore Giuseppe Merliani da Nola mentre altri l’attribuiscono ad una Scuola michelangiolesca, al Montorsoli o ad una Scuola siciliana41 mentre al XVII secolo vengono
attribuiti i Crocifissi lignei conservati
nella chiesa del Carmine di Laureana42;
nell’aula capitolare della Cattedrale di
Oppido e di San Vito a Molochio.
Al XVIII secolo risalirebbe il Crocifisso ligneo conservato nella Matrice di
Cittanova e quello della chiesa del Carmine di Cinquefrondi43. Sempre allo
stesso periodo sono attribuite le numerose croci processionali d’argento dovute al bulino di argentieri napoletani
come Antonio e Giuseppe Guariniello;
Francesco Russo; Gennaro Pane; Luigi
Capozzi o di argentieri messinesi come
Giuseppe Muscalino; Giuseppe Sicari e
Mattia Condursi44.
Al XIX secolo sono da riferirsi l’ammirevole Crocifisso ligneo di Francesco
De Lorenzo custodito nella Cattedrale di
Oppido; le pregevoli e monumentali Varette di Cittanova, opera dell’illustre
Francesco Biangardi45 o i Misteri di Polistena dovuti all’abile scalpello del sacerdote Luigi Prenestino e dei celebri
scultori polistenesi della famiglia Morani46; oltre ai numerosi Crocifissi, magari di non grandi dimensioni ma di non
minor pregevole fattura, dovuti agli abili
scultori serresi.
Non meno importanti e sempre di
un’epoca a cavallo tra il XVIII e il XIX
secolo, sono le tele rappresentanti la
Crocifissione dovute ad artisti del calibro di Leoluca Santacaterina; Raffaele
Angelo Musitano e Giulio Rubino o le
Via crucis come quelle di Domenico
Mesiani e di Giuseppe Fiorillo, senza dimenticare il bel Gesù Bambino con
croce della chiesa del Carmine di Laureana, attribuito alla Scuola di Mattia
Preti47.
Meritano menzione un Crocifisso
d’avorio risalente al XVIII secolo custodito nella Cattedrale di Oppido48 e una
croce lignea con un Crocifisso e ornamenti in bronzo in stile barocco dello
stesso periodo, conservata nella chiesa
Matrice di San Giorgio Morgeto49 e le
più umili nere croci penitenziali, dovute
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L’Alba della Piana
ad anonimi scultori in legno di ambito
locale e ornate con le riproduzioni in legno e a tuttotondo dipinte a colori vivaci
dei simboli della Passione come i chiodi,
la corona di spine, la lancia, la spugna, il
martello e le tenaglie, le funi e i flagelli,
la scala e il gallo.
In conclusione, è giusto ricordare
una serie di Crocifissi fatti realizzare da
mons. Paolo Albera, vescovo di Mileto50, con il bronzo delle campane rese
inutilizzabili dal terremoto del 28 dicembre 1908, fuse nell’antica fonderia
dei Fratelli Scalamandrè di Vibo Valentia51 e collocate dal presule nei centri più
notevoli ed importanti della vecchia
Diocesi52.
Note:
1
Cfr. GIORGIO JOSSA, Il Cristianesimo antico
dalle origini al Concilio di Nicea, Carocci, Roma
2000; PAUL F. BRADSHAW, Alle origini del culto
Cristiano. Fonti e metodi per lo studio della liturgia dei primi secoli, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 2007; RITA CAPURRO, ENRICA
FASANO, La bellezza del crocifisso, Ancora, Milano 2010.
2
Cfr. ROBIN LANE FOX, Pagani e cristiani, Laterza, Bari 2006; PIERRE CHUVIN, Cronaca degli
ultimi pagani. La scomparsa del Paganesimo
nell’Impero romano tra Costantino e Giustiniano,
Paideia, Torino 2012; JORG RÜPKE, Da Giove a
Cristo. Storia della religione in epoca romana,
Morcelliana, Brescia 2014.
3
Cfr. ISTITUTO “GIOVANNI XXIII” NELLA
PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE, Dizionario dei Concili, Cittanuova Editrice, Roma 1963,
vol. I, p. 338.
4
Cfr. Enciclopedia cattolica, Ente per l’Enciclopedia cattolica e il Libro cattolico, Città del Vaticano 1950, vol. IV, coll. 951-981; GAETANO
MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro sino ai nostri giorni, Tipografia Emiliana, Venezia 1843, vol. XVIII, pp.
268-274.
5
Ci limitiamo soltanto a riproporre, a titolo di
esempio, la croce marmorea, contornata dai simboli della Passione e sovrastante un’iscrizione gotica, incisa su una candidissima lapide marmorea,
oggi murata nella sacrestia della chiesa gentilizia
di Santa Maria della sanità a Laureana di Borrello
ma proveniente dalla chiesa di San Cristoforo
Martire dell’antica Mileto, risalente all’anno 1392
(Cfr. MINISTERO DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE,
Inventario degli oggetti d’Arte d’Italia. Calabria.
Provincie di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria, Libreria dello Stato, Roma 1933, p. 290;
FRANCESCO NEGRI ARNOLDI, «Scultura trecentesca in Calabria: il maestro di Mileto», in Bollettino
d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione, VI
(1983) 21, pp. 22-30) e la grande e pregevole croce
processionale, in argento sbalzato e dorato, eseguita in Atri, nel 1518 da mastro Giovanni di Rosarno ed oggi custodita nel Museo capitolare. Desta, inoltre, interesse e merita di essere meglio studiato, un reliquiario a medaglione d’argento dorato, rappresentante il Crocifisso tra l’Addolorata
e San Giovanni, posto su una pergamena con minuti caratteri gotici e conservato nella Matrice di
Polistena che l’inventario della Diocesi di OppidoPalmi dice essere di «ambito umbro-assisiate» attribuendolo al XIV secolo, mentre l’inventario
della Soprintendenza lo definisce un’«opera eseguita nel XIX secolo da ignoto pittore meridionale
di gusto bizantineggiante» (Cfr. GIOVANNI RUSSO,
Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024
Polistena. La chiesa Madre (1783-1983), Virgiglio Editore, Rosarno 1995, p. 128).
6
Cfr. ARCHIVIO STORICO DELLA DIOCESI DI
MILETO, NICOTERA E TROPEA (ASDM), Acta pastoralis visitationis 1586, voll. 1-4.
7
GIOVANNI QUARANTA e GIOVANNI MOBILIA, Il
presepe ritrovato. Il mistero delle statue nella
grotta ipogea della chiesa di Gesù e Maria di Maropati, L’Alba, Maropati 2011, pp. 14-16.
8
ARCHIVIO STORICO DELLA DIOCESI DI OPPIDO
MAMERTINA-PALMI (ASDOP), fondo Curia Vescovile, serie Cassa Sacra, sottoserie Piano delle
Parrocchie, busta 296, fascicolo 2, Piano formato
dall’ex visitatore della Calabria, sig. Marchese di
Fuscaldo, per le Diocesi della Provincia di Calabria Ultra, esistente nella Direzione della Registratura e de’ Demanj della Provincia suddetta.
9
Cfr. ibidem.
10
GIUSEPPE LAROSA, Profilo storico dell’antica
Terranova, Stabilimento di arti grafiche, Roma
1983, p. 15.
11
«In quell’anno, à tempo che l’immagine di Maria Vergine, sotto il titolo del soccorso, nella real
terra di Palma, operava molti miracoli, la Confraternita di Terranova condusse ivi il suo Crocifisso,
ancor che per 12 miglia di strada balza e scoscesa,
ma, quando l’immagine del Figlio fu in presenza
di quella della Madre, sudò sangue ad occhi veggenti di tutto il popolo. L’accorti governadori di
detta Confraternita subito fecero stipular un atto
pubblico per mano di notaro e testimoni» nel quale
si affermava che «lo Crocifisso il quale portaro
essi confrati incominciò a sudare sangue e da la
corona che tenea in testa calavano stizzi di sangue
e fino a li pedi tutto sudava» (Leggendario di SS.
Martiri di Calabria, libro primo. Dove anco si
tratta di alcuni huomini illustri, i quali esposero la
vita in servigio di Dio e di più dell’origine de’
Frati Cappuccini e loro progressi in Calabria. Per
don Paolo Gualtieri della Città di Terranova, professore della Filosofia e Sagra Teologia, Per Matteo Nucci, in Napoli 1630, pp. 360-361. Cfr.
ROSARIO CONDÒ, «Terranova e il culto del Santissimo Crocifisso», in Brutium, LXVIII (1989) 2,
pp. 13-14; ROCCO LIBERTI, Fede e società nella
Diocesi di Oppido-Palmi, Virgilio Editore, Rosarno 1996, pp. 102-107).
12
ANTONINO BASILE, Credenze sulla prodigiosa
sensibilità delle immagini sacre in Folklore della
Calabria, Nuove Edizioni Barbaro, Delianuova
1990, vol. I, p. 280.
13
ANTONIO TRIPODI, «I Crocifissi di Palmi e Terranova Sappo Minulio», in L’alba della Piana, II
(2010) 1, pp. 22-30. Cfr. MINISTERO
DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE, Inventario degli
oggetti d’Arte d’Italia, p. 295.
14
DOMENICO TACCONE-GALLUCCI, Monografia
della Città e Diocesi di Mileto, Tipografia degli
Accattoncelli, Napoli 1881, pp. 168-169. Il Frangipane non condivide questa affermazione del
Taccone Gallucci ma data comunque al XV-XVI
secolo il Crocifisso di San Marco (Cfr. MINISTERO
DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE, Inventario degli
oggetti d’Arte d’Italia, p. 311).
15
Cfr. ASDOP, Fondo della Curia Vescovile, Relatio ad Limina del vescovo Perrimezzi per l’anno
1715.
16
Cfr. ROCCO LIBERTI, Le Confraternite nell’area
della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, Quaderni Mamertini, Litografia Diaco, Bovalino 2001,
pp. 24-25.
17
In PIETRO BORZOMATI (a cura di), Calabria Cristiana. Società, religione, cultura nel territorio
della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. 2. Età
moderna e contemporanea. Atti del Convegno di
studi, Palmi-Cittanova 21/25 novembre 1994,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1999, pp. 391-392.
18
Cfr. GIOVANNI RUSSO, Melicucco. Fonti e documenti per una storia civile e religiosa, Associazione
Culturale “L’Alba”, Maropati 2022, pp. 175-176.
19
Cfr. ivi, pp. 176-180.
20
«Doppo la predica, quando si fa ella di sera,
suole immediatamente succedere la disciplina che,
comunemente, riserbasi come ad hora, più commoda à farsi di notte. È la disciplina quasi una confermatione pratica di ciò che, speculativamente, insegnasi nelle prediche. Si sceglie un qualche luogo
atto e capace il più che si può e, mancando ogni altro, supplisce la chiesa stessa, ove si predica, esclusene prima con diligenza tutte le donne e accioche
riesca più fervorosa, si eccita nel principio con alquante parole compuntive vivamente l’affetto e dolor de’ peccati e poi, di quando in quando, intermesso il battere, si replicano di nuovo altre simili e,
con pietose esclamationi e atti raddoppiati di contritione, s’infiammano sempre più i cuori» (Missioni
de’ Padri della Compagnia di Giesù nel Regno di
Napoli scritte dal padre Scipione Paolucci della medesima Compagnia, Stampa Secondino Roncagliolo, Napoli 1651, pp. 24-25).
21
LUIGI BORRELLO, Reliquie del Dramma sacro in
Calabria, Tipografo editore Luigi Pierro, Napoli
1899, p. 26.
22
Cfr. ASDOP, fondo Confraternite.
23
SEZIONE ARCHIVIO DI STATO PALMI (SASP),
Notaio Michelangelo Avati di Casalnuovo, Prot.
1796, f. 20v-21r. Il magnifico Domenico Raso
morì il 19 aprile 1796, all’età di 98 anni (Cfr.
ARCHIVIO PARROCCHIA SAN GIROLAMO
CITTANOVA, Registro defunti, vol. III (17821801), p. 470), mentre «sotto le rovine del tremuoto» morì il figlio Giuseppe Antonio.
24
BORRELLO, Reliquie del Dramma sacro in Calabria, pp. 87-88.
25
BORRELLO, Reliquie del Dramma sacro in Calabria, pp. 31-32.
26
Ivi, p. 35.
27
GIOVANNI BATTISTA MARZANO, Scritti volume
III, Stabilimento Tipografico “Il Progresso”, Laureana di Borrello 1930, p. 56-57.
28
Cfr. ivi, pp. 58-59.
29
Cfr. PARROCCHIA “MARIA SS. ASSUNTA” - SAN
GIORGIO MORGETO, Passio Christi. Via Crucis,
Via Matris, Ultime Sette parole di Cristo in Croce
e canti tradizionali, Tipografia Varamo, Polistena
2022, pp. 41-52. «In Radicena, un giovane, adempiendo un voto, rappresentava il Cristo. Si caricava
una pesante croce e, a piè scalzi e la testa coronata
di spine, si avviava con la processione al Calvario.
Lungo il cammino doveva sopportare con la più
grande rassegnazione gli oltraggi e più le percosse
dei giudei, doveva cadere per tre volte sotto il peso
della croce e fra il pianto delle Veroniche e delle
Marie che, con le trecce sparse, l’accompagnavano» (BORRELLO, Reliquie del Dramma sacro in
Calabria, p. 53). Una rappresentazione simile,
detta popolarmente Caduta, si svolge, ancora oggi,
a Laureana dove «giunta la processione al Calvario, ha luogo la rituale predica, finita la quale, si
toglie dalla croce il Cristo morto, si depone nella
varetta portata a spalla da quattro confratelli del
Carmine e la processione s’incammina verso la
chiesa Matrice, dove finalmente si scioglie»
(MARZANO, Scritti volume III, p. 64).
30
Spettacoli e feste popolari siciliane descritte da
Giuseppe Pitrè, Luigi Pedone Lauriel editore, Palermo 1881, p. 1.
31
Ibidem.
32
PAOLO EMILIANI GIUDICI, Storia del Teatro in
Italia, Le Monnier, Firenze 1869, p. 160.
33
Croniche et antichità di Calabria raccolte dal
R.P.F. Girolamo Marafioti da Polistina. Tra i testi
editi di questo tipo di rappresentazioni particolarmente importanti per il territorio della Piana ricordiamo: La schiodazione di Nostro Signore Giesù
Christo. Rappresentazione sacra del signor don Cesare Bisogni, dottore delle Leggi e patrizio della
Città di Monteleone, Tipografia Domenico Antonio
Parrino, Napoli 1715; L’ingiustizia dei Tribunali nel
condannare l’innocenza del nostro Redentore Gesù.
Sacra tragedia di Antonio Faccioli di Monteleone,
dottore in ambedue le mediche Facoltà, Stamperia
Pagina 61
L’Alba della Piana
Amato Consiglio, Napoli 1774. Secondo quest’autore, lo scopo di tali rappresentazioni era quello di
«addotrinare gli uditori e purgarli dai malvagi costumi per accenderli nell’amor della virtù e per moverli a compassione negli altrui affanni e miserie»
(Ivi, p. 6).
34
Spettacoli e feste popolari siciliane descritte da
Giuseppe Pitrè, p. 18.
35
In APOLLO LUMINI, Studi calabresi. Le sacre
rappresentazioni. Il Natale nei canti popolari calabresi. Le reputatrici, Luigi Aprea editore, Cosenza 1890, p. 59. Delle sacre rappresentazioni
s’interessarono, per la loro importanza, anche i Sinodi diocesani del periodo. Ad esempio, nel 1634,
il Sinodo indetto dal vescovo di Mileto Maurizio
Centini, dopo aver assolutamente proibito gli spettacoli osceni e consentito i pubblici spettacoli profani solo dopo debita autorizzazione della Curia,
vietava ai chierici, anche coniugati, di farsi autori e
promotori di simili iniziative. Allo stesso modo, affermava che tale permesso era necessario anche per
scrivere ed eseguire Opere sacre, vietandone la rappresentazione nei giorni della Settimana Santa (Cfr.
Constitutiones et decreta edita ab illustrissimus et
reverendissimo domino, don Mauritio Centino, patritio asculano, Dei et Apostolicae Sedis gratia episcopo Miletensis, baro Galatri, in Prima Synodo
Dioecesana habita in Cathedrali, idibus octobris,
17 e 16 kalenda novembris, anno 1634, Apud Erasmus De Simone, Panormi 1634, pp. 7-8). Invece,
mons. Gregorio Panzani, nel 1642, ne vietava la rappresentazione nelle chiese e l’esecuzione nella Settimana Santa; allo stesso tempo vietava ai
chierici di prendervi parte in qualità di attori (Cfr.
Synodus Miletensis habita in Cathedrali Ecclesia
a Gregorio Panzano eiusdem Miletensis Ecclesiae
episcopo, baro Galatri etc. die 28, 29 et 30 aprilis
anno 1642, Apud Erasmus De Simone, Panormi
1642, p. 4). Infine, anche il Sinodo indetto, per la
Diocesi di Oppido, da mons. Paolo Diano Parisio,
nel 1671, vietava le rappresentazioni, anche sacre,
eseguite senza il permesso vescovile, minacciando
scomuniche e interdetti (Costitutiones Synodales
illustrissimi et reverendissimi Domini Don Pauli
Diano Parisio, Patritii reginii, Episcopi oppiden.
in prima diaeces. Synodo promulgatae die 20 mensis maii anni 1670, Typis Pauli Monetae, Romae
1671, p. 9).
36
SALVATORE BRUGNANO, Espressione di religiosità popolare in Calabria. La Pasqua: canti, riti,
usanze, credenze, Valsele Tipografica, Napoli
1987, p. 9.
37
GIOVANNI DE GIACOMO, «I canti sacri in Calabria e le laudi», in Calabria letteraria, XXI (1966)
1-2, p. 14.
38
Cfr. Melos concinendum in venerabilis ecclesia
SS. Crucifixi Civitatis Terranovae Ulterioris Calabria recurrente festivitate Inventionis Sancta Crucis, Tipografia Giuseppe Lopresti, Palmi 1872.
39
In VINCENZO BARBIERI, Un popolo canta la sua
fede, Arti Grafiche 2G, Simbario 2012, p. 94.
40
De natione tortorum Christi adversus nuperum
scriptorem gallum dissertatio, Ex Typographia
Komarek, Romae 1727, p. 79.
41
Cfr. RUSSO, Polistena. La chiesa Madre (17831983), p. 67-76.
42
Cfr. MINISTERO DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE,
Inventario degli oggetti d’Arte d’Italia. Calabria.
Provincie di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria,
Libreria dello Stato, Roma 1933, p. 290.
43
Cfr. ivi, p. 278.
44
Cfr. ANTONIO TRIPODI, Sulle Arti in Calabria.
Dizionario biografico e documentario su artisti e
opere d’Arte, Adhoc Edizioni, Vibo Valentia
2016.
45
Cfr. FELICE DELL’UTRI, I Biangardi: la vita,
l’epoca, le opere, Edizioni Lussografica, Caltanissetta 1992; ARTURO ZITO DE LEONARDIS, I Biangardi: maestri scultori del legno nell’Arte e nella
Storia con le “Varette” dei Sacri Misteri del Venerdì santo di Cittanova (RC), Accademia Libera
“Novi Albori”, Cittanova 2001.
46
Cfr. GIOVANNI RUSSO, I Domenicani a Polistena. Il convento, la chiesa e la confraternita del
SS. Rosario, Arti Poligrafiche Varamo, Polistena
2018, p. 209-212.
47
Cfr. MINISTERO DELL’EDUCAZIONE NAZIONALE,
Inventario degli oggetti d’Arte d’Italia, p. 290.
48
Cfr. ivi, p. 294.
49
Cfr. ivi, p. 302.
50
Cfr. Ut aedifices et plantes. Nel Giubileo episcopale di S. E. Mons. Paolo Albera, vescovo di Mileto, 1915-1940, Tipografia Quintily, Roma 1940.
51
Cfr. ROCCO LIBERTI, Arte nelle Comunità della
Piana di Terranova, Quaderni Mamertini, Litografia Diaco, Bovalino 2005, pp. 5-17.
52
Cittanova, Francica, Mileto, Palmi, Pizzo, Polistena, Seminara, Sinopoli, Soriano, Vallelonga,
Vibo Valentia.
IL NOVANTESIMO COMPLEANNO DELLO STORICO ROCCO LIBERTI
La Calabria ha di recente festeggiato il novantesimo compleanno di uno degli studiosi più prolifici e rispettati della nostra
epoca, il prof. Rocco Liberti.
La sua vita è stata dedicata all’acquisizione e alla condivisione della conoscenza, contribuendo in modo significativo al
progresso degli studi sulla storia della nostra regione.
Il novantesimo compleanno di Rocco Liberti è stata un’occasione per riflettere sulla straordinaria vita di un appassionato
che ha dedicato la sua esistenza alla ricerca storica presso gli archivi pubblici e privati, pubblicando centinaia di monografie
e articoli, divenendo il punto di riferimento per generazioni di studiosi.
Il 9 dicembre 2023 è stato omaggiato in una manifestazione tenutasi presso i locali del Seminario vescovile della sua
Oppido Mamertina, alla presenza di numerose autorità, di una fitta schiera di amici e di vari colleghi della Deputazione di
Storia Patria per la Calabria.
La Redazione formula i più cari auguri al nostro collaboratore Rocco Liberti, ringraziandolo per quanto ha fatto e continuerà a fare per la cultura calabrese.
Mons. Francesco Milito, prof. Giuseppe Caridi, prof. Rocco Liberti, don Letterio Festa
Anno XV – N. 1 – Gennaio 2024
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