Alla ricerca dell’iden�tà italiana
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1. Le dimensioni dell’iden�tà
Non da oggi l’iden�tà è messa in discussione. Sia l’iden�tà biologica, qualificata come dirito
fondamentale dalla Corte Cos�tuzionale a conoscere le proprie origini biologiche in quanto fonda�ve
del “sé” di ciascun individuo, sia l’iden�tà colle�va, sono minacciate da una visione globalista del
mondo e delle relazioni umane. Il fine è evidente: la costruzione di un mondo indifferenziato, in vista di
un essere umano “altro” da quello che finora abbiamo conosciuto, in quanto deprivato della sua
iden�tà individuale e colle�va.
Non è un caso che questo atacco all’uomo – uti singulus e uti socius, avrebbero deto i giuris� un
tempo – si estenda alla famiglia e a quella par�colare formazione sociale designata da un sociologo
inglese “comunità etnica”, nella quale egli individua il tessuto conne�vo della Nazione, come si dirà
meglio infra.
Queste due formazioni sociali sono stretamente collegate tra loro ed entrambe concorrono alla
definizione dell’essere umano. Gli antropologi sono unanimi nel sostenere che ogni società umana si è
struturata su una unità domes�ca dalle dimensioni più o meno piccole, centrata su una coppia
eterosessuale e i loro figli. Fin dalle pagine iniziali della Poli�ca di Aristotele, questa cellula, fondata sulla
comunanza di sangue dei suoi componen� e dunque su quel “sostrato biologico e materiale”
individuato quale momento ineludibile dell’iden�tà individuale, ha cos�tuito l’elemento fonda�vo della
persona che vi nasce, e – al tempo stesso - la strutura elementare di base di quei legami di parentela,
su cui – ci avvisano gli antropologi - si sono cos�tuite le organizzazioni sociali con le loro ves� poli�che.
Si coglie, a questo punto, il parallelo intercorrente tra iden�tà individuale ed iden�tà colle�va:
entrambe affondano le loro radici in un passato dal quale gli individui – ancora una volta: uti singuli e uti
socii - non possono prescindere: possono aderirvi e comunque rielaborarlo e svolgerlo nel futuro,
“facendone oggeto della loro volontà”, come è stato deto; oppure se ne possono distanziare; ma –
quale che sia la loro scelta - ne restano comunque condiziona� in un senso o nell’altro. In altre parole, il
passato, le origini rappresentano un retaggio al quale né gli individui, né i gruppi possono sotrarsi.
Per quanto riguarda i gruppi, gli psicologi sociali hanno posto in luce elemen� già a suo tempo col� ed
elabora� da Hegel: ciascun gruppo sociale è atraversato da bisogni iden�tari in grado di creare
coesione tra i componen� del gruppo indicando loro uno scopo comune. Al tempo stesso, il gruppo, i
suoi scopi, con le correlate “narrazioni”, costruiscono e rafforzano l’iden�tà di ciascun componente del
gruppo stesso.
È per l’appunto questo bisogno iden�tario colle�vo che è alla base dell’idea di Nazione. Ne ho già
discusso altrove, vuoi quando ho accennato all’intervenuta cos�tuzionalizzazione dell’idea di Nazione,
vuoi quando ho trato le possibili conseguenze offerte su un piano latamente ideologico dai riferimen�
cos�tuzionali e legisla�vi al “patrimonio storico e artistico”: quest’ul�mo consiste in “res signatae”
(ancora un la�neto!), ossia in durature tes�monianze, materialmente impresse sul territorio geografico
denominato Italia, della esistenza materiale e degli aneliti ideali delle generazioni che nel tempo si sono
alternate su quel territorio.
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2. Iden�tà e Nazione
Il dato norma�vo, cos�tuito da disposizioni cos�tuzionali di ver�ce, è sicuramente importante e
significa�vo, in quanto atesta che l’idea di Nazione innerva l’ordinamento vigente offrendo spun� per
delineare una par�colare forma organizza�va dello Stato e della sua strutura sociale.
Esso peraltro non può essere sufficiente. Più precisamente, malgrado la sua importanza, il dato
norma�vo non esonera dalla necessità di verificare la persistente vitalità dell’idea di Nazione – in
quanto momento colletore di un’iden�tà colle�va - nel XXI secolo, tenuto conto del vivace diba�to
sviluppatosi in materia negli ul�mi decenni.
Al riguardo, nel precedente paragrafo sono emersi taluni aspe� meritevoli di atenzione da parte di chi
indaghi sull’iden�tà colle�va. Mi riferisco a 1) il collegamento tra famiglia e organizzazioni sociali; 2) il
collegamento di entrambe queste ad un territorio; 3) il retaggio culturale, condiviso dalle famiglie, dai
gruppi sociali più ampi e dai popoli, che vivono in un determinato territorio; 4) il formarsi di una
consapevolezza colle�va del senso di tale retaggio.
Ovviamente ques� aspe� non sono affiora� per caso. Essi, infa�, sono al centro degli studi
avvicenda�si sul tema della nazione e delle iden�tà nazionali negli ul�mi decenni.
Vi è stato, ad esempio, chi ha fato leva su un momento latamente biologico per argomentare che “la
famiglia, il luogo e la propria gente generano, trasmetono e proteggono la vita” e su questa ispirazione
“primordiale” ha costruito l’idea di nazione. Gli esponen� di questo orientamento sotolineano come
ques� “elemen� di primordialità” non siano circoscri� agli sta� di nuova cos�tuzione, nei quali –
l’esempio nordafricano è soto gli occhi di tu� - non sembra agevolmente risolvibile il conflito tra la
“esigenza di un ordine razionale”, da un lato, e vincoli e retaggi di matrice tribale dall’altro lato. Nei loro
studi, ques� ricercatori sostengono che elemen� di “primordialità” con�nuano a manifestarsi anche
nelle società più complesse ed è irragionevole e fuorviante non tenerne conto.
Ed ancora negli aspe� prima evidenzia� affiora l’idea di chi ha ritenuto di costruire la “nazione” sulla
“comunità etnica”, ossia su quella “popolazione umana che ha un nome proprio colle�vo, mi� di
ascendenza comune, memorie storiche e simboli condivisi, elemen� di una cultura comune,
un’associazione con un par�colare territorio e un certo grado di solidarietà”.
Come si vede, sono numerose le sugges�oni che si delineano nel diba�to recente sull’idea di nazione.
Tali sugges�oni sono des�nate a mol�plicarsi quando si pres� atenzione alla riflessione plurale, che
negli ul�mi quarant’anni ha rinnovato l’atenzione sui due interroga�vi, tra loro stretamente collega�:
“che cosa è nazione” e “quando nasce la nazione”.
Visioni diverse si sono confrontate su ques� aspe�, i quali a tuta evidenza appaiono decisivi per
stabilire I) “se” sia ancora u�le porsi il problema di una “iden�tà italiana”; II) se una tale iden�tà sia
effe�vamente configurabile; III) atraverso quali criteri si possa pervenire all’iden�ficazione di una
“individualità italiana”; IV) in quali termini si possa parlare e dunque in cosa consista tale “iden�tà
italiana”.
L’importanza di ques� pun� è evidente.
Ad esempio, è evidente che for� dubbi sarebbero gius�fica� circa l’u�lità di “lavorare” oggi sull’iden�tà
italiana qualora si aderisse all’opinione, secondo la quale la “nazione” sarebbe sopratuto un
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“prodoto” elaborato dalle élite culturali maggiormente funzionali agli interessi del capitalismo
industriale del secondo Otocento, onde alimentare le egemonie in quella che è stata indicata come
“l’età degli imperi”. Ad avviso di quan� aderiscono a questo orientamento “furono i nazionalis� a creare
la nazione e non viceversa”.
Scenari completamente diversi si aprono quando si seguano prospetazioni di altro �po, le quali
traggono conforto da esperienze recen� e recen�ssime per sostenere che la “Nazione” risponde a
quegli impera�vi iden�tari cui si è accennato in apertura, e che il suo recupero è - spesso occasionato
da mo�vi poli�ci con�ngen�: l’esempio dei “Discorsi alla Nazione tedesca” non è certamente isolato – è
des�nato a segnare un’epoca.
Sennonché, gli approfondimen� maggiormente accor� divergono, talora in modo sensibile, a proposito
dei criteri u�li all’iden�ficazione delle “iden�tà nazionali”. Così, se si ri�ene che passo decisivo per la
costruzione dell’iden�tà di un gruppo sociale sia l’adozione di una lingua comune, con conseguente
sviluppo di una leteratura in cui il gruppo possa riconoscersi nella sua integrità (da ul�mo in questo
senso Adrian Has�ngs), le tracce di una “iden�tà italiana” dovranno essere seguite in una direzione ben
precisa, di cui evidentemente Dante cos�tuisce una stazione imprescindibile.
Conseguenze diverse si avranno qualora si decida di adotare un diverso criterio iden�tario. Di
par�colare importanza è la tesi secondo la quale un’effe�va iden�tà nazionale è configurabile solo
quando una consapevolezza iden�taria si afferma quale percezione di massa e non sia più appannaggio
di circoli ristre�. Su queste premesse, potrebbe affermarsi che una “iden�tà italiana” sorga con la
Grande Guerra? Ed anche in questo caso, quale sarebbe la specificità di tale iden�tà? E, a ben vedere,
sempre su questa linea, che ruolo riservare all’unificazione poli�ca, ossia alla composizione di uno Stato
nazionale, che è generalmente ritenuto un fatore cruciale per più versi, sia nel suo rapporto con la
Nazione, sia per la formazione di una iden�tà colle�va nazionale?
3. Ricerca dell’“iden�tà italiana” e velleitarismo.
Non avrebbe grande u�lità con�nuare ad accennare alla rinfusa a tesi ed orientamen�. Obie�vo di
queste note è segnalare la difficoltà del tema dell’iden�tà italiana. Ricercare l’iden�tà italiana, infa�,
significa intraprendere la ricostruzione di fenomeni sociopoli�ci e socioculturali assai complessi e
ar�cola�, che non possono essere affronta� con serietà senza porsi il problema del “metodo”.
Mete conto, infa�, ribadire che l’iden�tà nazionale è fenomeno par�colarmente complesso. Assai
opportunamente si è osservato che “la fisionomia delle nazioni è generalmente determinata
dall’interazione di un complesso variabile di fatori eterogenei di un complesso variabile di fatori
eterogenei quali la razza, l'etnia, il territorio, la lingua, le tradizioni, la cultura, un'eredità di memorie
condivise, un sistema di is�tuzioni poli�che comuni”. Orbene, ciascuna iden�tà nazionale “cos�tuisce
sempre il prodoto di circostanze uniche e irripe�bili, di uno sviluppo storico specifico in cui i diversi
elemen� sopra indica� - o solo alcuni di essi - operano in modi e con esi� di volta in volta differen�”.
Ne segue che – anche a voler mantenere un profilo “basico” – l’iden�tà italiana dovrebbe essere
indagata nelle sue manifestazioni ar�s�che, leterarie, musicali, sociopoli�che, belliche, in uno sforzo di
comprensione e superamento dei dramma�ci momen� di divisione. Occorre inves�gare e comprendere
i valori, i simboli, le memorie colle�ve, le tradizioni, che innervano un’iden�tà italiana finalmente
ricomposta, onde stabilire se e come la stessa possa esprimersi nella costruzione di un futuro colle�vo,
dal momento che, senza una proiezione di questo �po, si sarebbe fata solo una ricognizione museale
dalla dubbia u�lità.
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Non basta, dunque, la pur sugges�va idea manzoniana espressa in “Marzo 1821”; non basta una
colle�vità che sia o si percepisca finalmente come “Una d’arme, di lingua, d’altare, Di memorie, di
sangue e di cor”. Occorre, anche, che tale unità si concre�zzi in un consapevole progeto futuro. La
Nazione – ha scrito di recente un sociologo inglese, curiosamente riecheggiando un filosofo italiano
della prima metà del Novecento - è “una comunità percepita e voluta”. In altre parole, una iden�tà
nazionale, la rinnovata consapevolezza di una Nazione, non può non avere riflessi su un progeto
poli�co colle�vo, che ovviamente può implicare adatamen� del quadro complessivo dell’ordinamento
cos�tuzionale vigente, nel rispeto ovviamente dei crismi non negoziabili dell’unità, della democra�cità
e della rappresenta�vità. Nazione, infa�, è (anche) categoria poli�ca che muove da determina�
presuppos� e so�ntende una specifica visione della società.
Come si vede, rifletere sull’iden�tà italiana impone un percorso concetuale tanto sfidante ed
impegna�vo, quanto foriero di rischi per chi vi si incammini.
Primo tra tu�, il rischio di esporsi ad un imbarazzante velleitarismo, di cui purtroppo non mancano
rinnova� esempi. Più chiaramente, un inefficace impianto della ricerca, innanzi tuto, non
risponderebbe in modo adeguato all’esigenza primaria, ribadita da più par� anche recentemente, di
aggregare il popolo italiano su una soglia quanto più possibile condivisa, res�tuendogli consapevolezza.
Una ricerca condota da un noto sociologo anni or sono denunciava come gli italiani ascrivessero il
senso di “italianità” a fatori non sempre coeren� tra loro, con una conclusione che il ricercatore allora
definiva come “polisemia” e che altri meno benevoli avrebbero potuto chiamare “confusione”. E la
confusione non sembra essersi nel fratempo ridota, visto che talora si affaccia anche tra presun�
“do�”.
Le conseguenze di tuto ciò sono palesi: velleitarismo e confusione danno inevitabilmente credito alle
voci tenden� a getare ombre sul tema dell’iden�tà italiana. in questo senso, a chi preferisce rifugiarsi
nell’anodina, neutra “patria”, si affianca chi, con pari alterigia intelletuale, afferma che rifletere ancora
sulla iden�tà italiana si risolverebbe in un inu�le ritorno all’Otocento, in un ingenuo “volgere
all’indietro delle lancete della Storia”.
È inu�le interrogarsi sulla matrice poli�ca di queste “voci”. Esse premono per un’idea destruturante
della Nazione, in quanto mirano sostanzialmente a negare le differenze tra le comunità umane, tra le
culture, in funzione di una visione globalista del mondo e delle relazioni umane. Al contrario, il diba�to
dotrinale degli ul�mi quarant’anni res�tuisce credito al dato cos�tuzionale ricordato in apertura, che
pone la Nazione tra gli assi portan� dello Stato e della strutura sociale prefigura� in Cos�tuzione. In
altre parole, “la nazione è ancora oggi l’unità poli�co-simbolica e la forma aggrega�vo-affe�va intorno
alla quale con�nuano a struturarsi – come è spesso accaduto nel corso del Novecento in mol� passaggi
storicamente cruciali – lo spazio poli�co pubblico, le iden�tà e le appartenenze di gruppo, le relazioni
internazionali”.
Ne segue che il rigore della ricerca di un’iden�tà italiana, prima di essere prerequisito di caratere
scien�fico, è sopratuto un’esigenza poli�ca.
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