Stefano Borselli
CONGETTURE
SCR IT TI PER IL COVILE
dI
libri del Covilef
I libri del Covile
Una collana dal formato ottimizzato
per la stampa su carta.
13
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I testi che seguono, rivisti per questa pubblicazione, provengono da numeri de Il Covile: 181, ottobre 2012; 283 novembre 2014; 315, giugno 2015; 329, agosto 2015; 397,
dicembre 2016; 453, aprile 2018; 456 e 457, maggio 2018; 527, ottobre 2019; 566,
settembre 2020; 582, gennaio 2021; 642, agosto 2022; 646, settembre 2022; 654,
gennaio 2013; 671, luglio 2023. Ultima revisione 21 agosto 2023.
Stefano Borselli
C ONGET T U R E
SCRITTI PER IL COVILE
Quinta edizione
agosto 2023
INDICE
1. Qualcosa è andato storto................................................9
La Chiesa e la grande ricchezza...............................................9
Donna Prassede come figura agostiniana...............................25
Una vignetta inquietante.........................................................34
Katéchon........................................................................................ 39
2. Domaine de la certitude...............................................43
Una teoria che ha funzionato.................................................43
Marx e gli stalloni dello storpio.............................................49
Merci++ ovvero I feticci non son piú quelli di una volta......57
Della difficoltà a pensare al capitale come ad un essere........65
Parole chiave: «Svalorizzazione», «Equivalente generale»...67
Parole chiave: «Combinatoria»..............................................75
La divaricazione del ’77.........................................................80
3. Miscellanea.....................................................................91
Un lockdown prima del lockdown..........................................91
Due risentimenti....................................................................112
Don Milani sulla linea del sale...............................................117
Galateo spesso tradito............................................................125
Dal mio taccuino...................................................................127
h (9) h
1. Qualcosa è
andato storto
La Chiesa e la grande ricchezza.
Una breve storia concettuale.
Con Armando Ermini.
U
tilizziamo l’eccellente saggio di Massimo Amelio,
Il prestito nella tradizione cristiana: una questione
controversa, Cantagalli 2016 come fonte di gran parte delle citazioni che seguono. Una precisazione:
col termine grande ricchezza intendiamo un concetto di eccesso
rispetto ad una modesta, anche agiata, economia domestica e di
lavoro. È difficile pensare che quando Gesú irrideva lo stolto
che accumulava nei suoi granai (plurale) mettesse i risparmi del
padre falegname sullo stesso piano.
h (10) h
Premesse nell’A. T. sulla relazione tra denaro e
c omun i tà.
· Idee chiare: il problema non è l’interesse, ma il prestito.
el quadro della differenza fondante tra popolo eletto e
altri popoli, verso i quali tutto è ammesso, nell’Antico
Testamento emerge una chiara comprensione della problematicità del denaro e del contratto di prestito rispetto al mantenimento della comunità: nella comunità se l’interesse sul prestito
è semplicemente escluso, il prestito stesso deve essere rimesso,
dall’uomo probo, normalmente in giornata, e comunque, ope legis, non oltre un settennio. Di queste prescrizioni se ne dà anche la motivazione: il prestito è inammissibile all’interno della
comunità perché distrugge ogni relazione d’amore e di fiducia,
essendo dominio sull’altro
N
e tu farai dei prestiti a molte nazioni, e non prenderai
nulla in prestito; dominerai su molte nazioni, ed esse
non domineranno su te [v. infra].
Per questo è proibito sia il dare che il chiedere. Eco di ciò
anche nella celebre raccomandazione di Polonio a Laerte
«Non prestare soldi e non fare debiti, perché ciò che si dà in
prestito spesso si perde assieme all’amico (Amleto, I,3)».
Se tu presti del denaro a qualcuno del mio popolo, al povero che è presso di te, non ti comporterai con lui da
usuraio; non gli imporrai interesse. Se prendi in pegno
il vestito del tuo prossimo, glielo restituirai prima che
tramonti il sole; (Esodo 22,20–26)
Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si
vende a te, non farlo lavorare come schiavo; sia presso
di te come un bracciante, come un inquilino. Ti servirà
fino all’anno del giubileo; allora se ne andrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rientrerà
h (11) h
nella proprietà dei suoi padri. [...] Quanto allo schiavo
e alla schiava, che avrai in proprietà, potrete prenderli
dalle nazioni che vi circondano; da queste potrete comprare lo schiavo e la schiava. Potrete anche comprarne
tra i figli degli stranieri, stabiliti presso di voi e tra le
loro famiglie che sono presso di voi, tra i loro figli nati
nel vostro paese; saranno vostra proprietà. Li potrete lasciare in eredità ai vostri figli dopo di voi, come loro
proprietà; vi potrete servire sempre di loro come di
schiavi; ma quanto ai vostri fratelli, gli Israeliti, ognuno nei riguardi dell’altro, non lo tratterai con asprezza.
(Levitico 25,35–38)
Alla fine d’ogni settennio celebrerete l’anno di remissione. Ed ecco il modo di questa remissione: Ogni creditore sospenderà il suo diritto relativamente al prestito fatto al suo prossimo; non esigerà il pagamento dal suo
prossimo, dal suo fratello, quando si sarà proclamato
l’anno di remissione in onore dell’Eterno. Potrai esigerlo dallo straniero; ma quanto a ciò che il tuo fratello
avrà del tuo, sospenderai il tuo diritto. Nondimeno,
non vi sarà alcun bisognoso tra voi; poiché l’Eterno
senza dubbio ti benedirà nel paese che l’Eterno, il tuo
Dio, ti dà in eredità, perché tu lo possegga, purché però
tu ubbidisca diligentemente alla voce dell’Eterno [...]
Il tuo Dio, l’Eterno, ti benedirà come t’ha promesso, e
tu farai dei prestiti a molte nazioni, e non prenderai nulla in prestito; dominerai su molte nazioni, ed esse non
domineranno su te. (Dt 15,1–11)
Non farai al tuo fratello prestiti a interesse, né di denaro, né di viveri, né di qualunque cosa che si presta a
interesse. Allo straniero potrai prestare a interesse, ma
non al tuo fratello, perché il Signore tuo Dio ti benedica in tutto ciò a cui metterai mano, nel paese di cui stai
per andare a prender possesso. (Dt 23,20–22)
h (12) h
Quando presterai qualsiasi cosa al tuo prossimo, non
entrerai in casa sua per prendere il suo pegno; te ne
starai fuori e l’uomo a cui avrai fatto il prestito ti porterà fuori il pegno. Se quell’uomo è povero, non andrai a
dormire con il suo pegno. Dovrai assolutamente restituirgli il pegno al tramonto del sole, perché egli possa
dormire con il suo mantello e benedirti; questo ti sarà
contato come una cosa giusta agli occhi del Signore tuo
Dio. (Dt 24,10–13)
Il par adigma evangelico sulla grande ricchezza.
· Differenze con l’A. T.
· · L’universal ismo.
opinione comune che, azzerando ogni dist inzione e
affermando l’identica dignità di fronte a Dio di ogni
uomo e degli uomini fra di loro (tutti gli uomini sono fratel li e possibili «prossimo», anche il nemico) la predicazione
di Gesú introduca una netta cesura con l’Antico Testamento. Per Gesú tutti sono potenziali destinatari del dono
disinteressato, come testimonia la parabola del buon Sama ritano. Aggiungiamo che è noto anche come il concetto di
uguaglianza di tutti gli uomini, senza distinzione di sesso,
razza, cultura, condizione sociale, fosse già stato anticipato sia nello stesso dibattito interno al giudaismo sia, nella
filosofia ellenistica, da varie scuole, stoica, cinica e soprat tutto quella di Epicuro. Per i seguaci di Aristotele (e in generale per tutto il mondo classico) «taluni sono per natura liberi, altri schiavi, e [...] per costoro è giusto essere schiavi.
Politica I,5)». Faceva scandalo che al Giardino di Epicuro
fossero ammessi anche schiavi e donne.
È
h (13) h
·· App rofondiment o sull o scambi o e la gr ande ricchezza, incomp ati bilit à col cap it alismo e l ’homo faber.
a il Vangelo approfondisce non di poco, tornando piú
volte anche sulla differenza tra il dono vero e proprio
e il dono-trappola di M. Mauss, il quale contiene l’intrinseca
obbligazione al contraccambio, ed è quindi già nel sistema del
valore. E il discorso sugli uccelli e i gigli di campo (Mt 6,25) è
inequivocabile nell’indicare un modo di vivere incompatibile
con lo spirito del capitalismo, dell’homo æconomicus ma anche
dell’homo faber.
Ecco un piccolo florilegio non di criptiche parabole, ma
di esplicite raccomandazioni-prescrizioni di Gesú stesso le quali, piaccia o no, corrispondono perfettamente alla sintesi del
giovane Marx «Il denaro uccide l’uomo. Se presupponi l’uomo
come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto
umano, potrai scambiare amore soltanto con amore (Mano-
M
scritti economico-filosofici del 1844)»:
[Il dono sia anonimo] Invece, mentre tu fai l’elemosina,
non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché
la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che
vede nel segreto, ti ricompenserà. (Mt 6,3)
[Donate senza aspettare contraccambio] Disse poi a colui
che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una
cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i
tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi,
zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. (Lc 14, 12–14.)
[Date in prestito senza aspettare restituzione] Date in
prestito senza aspettarvi niente in cambio, allora la
vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altis-
h (14) h
simo, poiché egli è buono verso gli ingrati e i malvagi.
Siate generosi come lo è il padre vostro. (Lc 6,35–36.)
[Non ci sia moneta tra voi] Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro, né argento,
né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da
viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché
l’operaio ha diritto al suo nutrimento. (Mt 10,8–10)
[Prendete esempio da chi non lavora] Perciò vi dico: per
la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o
berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale piú del cibo e il corpo
piú del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il
Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse piú
di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del
campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico
che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva
come uno di loro. Ora se Dio veste cosí l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non
farà assai piú per voi, gente di poca fede? (Mt 6,25; Lc
12,25)
[Non affannatevi per il domani] Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?
Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne
avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la
sua pena. (Mt 6,31; Lc 12,29)
h (15) h
[Non accumulate grandi ricchezze] Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un
buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché
non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò cosí:
demolirò i miei magazzini e ne costruirò di piú grandi e
vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me
stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per
molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma
Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta
la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Cosí
è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio». (Lc 12,16)
[Ci basta il pane di oggi] Dacci oggi il nostro pane
quotidiano. (Mt 6,11; Lc 11,3)
[Non siate presi dal fare] Marta si mise subito a preparare per loro, ed era molto affaccendata. Sua sorella invece, che si chiamava Maria, si era seduta ai piedi del
Signore e stava ad ascoltare quel che diceva. Allora
Marta si fece avanti e disse: — Signore, non vedi che
mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille di aiutarmi! Ma il Signore le rispose: — Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di molte cose, ma una sola cosa è necessaria. Maria si è scelta la parte migliore, che non le
sarà tolta (Lc 10,39–41)
[Diventate come i bambini] In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesú dicendo: «Chi dunque è il piú
grande nel regno dei cieli?». Allora Gesú chiamò a sé
un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità
vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i
bambini, non entrerete nel regno dei cieli. (Mt 18,1)
[Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore] Non accumulate per voi tesori sulla terra [...] perché, dov’è il
vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. (Mt 6,21)
h (16) h
[Cancellare il debito] Rimetti a noi i nostri debiti come
anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. (Mt 6,11–12)
[Sul lavoro salariato] Il buon pastore offre la vita per le
pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al
quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo,
abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. (Gv 10,11–12)
· Il paradigma evangelico.
alla serie di indicazioni di Gesú sopra riportate, sembra
emergere con chiarezza una linea di pensiero, un paradigma: 1) Il grande ricco è colui che, pensando di poter cosí assicurare, dominare, il tempo futuro, ha accumulato un tesoro
in beni o in denaro; o i propri ascendenti l’hanno fatto per lui
2) Ma è normalmente uno sfortunato, perché 3) la grande ricchezza (vale a dire il possesso di un tesoro) con tutta probabilità («Difficilmente un ricco… (Mt 19,23)») ti danneggia,
trasformandoti contro il tuo vero interesse (è l’effetto Scrooge-Gollum, per una spiegazione si veda Sohn-Rethel: si tratta di un fenomenicamente rilevabile effetto di dipendenza che
rinsecchisce il cuore e, impedendo una relazione di fiducia e
amore con i fratelli, allontana dalla quotidiana felicità del Regno). 4) Per uscire dalla dipendenza è necessaria una rottura
(«se la tua mano destra ti fa cadere in peccato, tagliala (Mt
5,30)»). Per il suo bene il grande ricco si disfi dunque del tesoro accumulato: «va’, vendi quello che hai, e dallo ai poveri
(Mc 10,21)». Non per il bene dei poveri, o per riparazione (non
si asserisce che il tesoro sia stato necessariamente accumulato
malamente), ma per il proprio bene, la propria felicità quotidiana, cioè terrena innanzitutto.
D
h (17) h
· I primi cristiani provarono sul serio a seguirlo.
econdo gli Atti, le prime comunità cristiane praticavano
una autentica comunione dei beni tentando di creare una
comunità non dispotica nella quale il calcolo fosse escluso.
Chi possedeva grandi ricchezze le donava, spesso per intero,
seguendo le precise istruzioni orali di Gesú, che la tradizione
dice andarono ben oltre quelle trascritte nei Vangeli.
S
Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo
Gesú, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi
siete rivestiti di Cristo. Non c’è piú giudeo né greco; non
c’è piú schiavo né libero; non c’è piú uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesú. (Paolo, Galati
26–28)
Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà
e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo
il bisogno di ciascuno (Atti 2,44–45,)
La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua
proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era
fra loro comune. [...] Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva
distribuito a ciascuno secondo il bisogno. (Atti. 4,32–
35)
Verso il cambiamento.
· Spunti evangelici per l’homo faber (e accumulatore
ad oltranza).
nche se molti autori cristiani hanno interpretato il passo
che segue nel senso di talenti e beni spirituali e non ma-
A
h (18) h
teriali, questa parabola è forse il punto di origine della costruzione di una visione ben diversa.
C’era una volta un uomo di famiglia nobile. Egli doveva andare in un paese lontano per ricevere il titolo di re,
poi sarebbe tornato. Prima di partire chiamò dieci dei
suoi servi; consegnò a ciascuno una medesima somma di
denaro e disse: ‹Cercate di far fruttare questo denaro
fino a quando non sarò tornato›. [...] quell’uomo diventò re e ritornò al suo paese. Fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il suo denaro per sapere quanto guadagno ne avevano ricavato. Si fece avanti il primo servo
e disse: — Signore, con quello che tu mi hai dato io ho
guadagnato dieci volte tanto. ¶ Il padrone gli rispose:
— Bene, sei un servo bravo. Sei stato fedele in cose da
poco: ora io ti faccio governatore di dieci città. ¶ Poi
venne il secondo servo e disse: — Signore, con quello
che tu mi hai dato ho guadagnato cinque volte tanto. ¶
Il padrone rispose: — Anche tu avrai l’amministrazione di cinque città. ¶ Infine si fece avanti un altro
servo e disse: — Signore, ecco il tuo denaro! L’ho nascosto in un fazzoletto. Avevo paura di te, perché sapevo che sei un padrone esigente: tu pretendi anche
quel che non hai depositato e raccogli anche quel che
non hai seminato. ¶ Allora il padrone gli rispose: —
Tu sei stato un servo cattivo e io ti giudico secondo
quel che hai detto. Tu sapevi che sono un padrone esigente, che pretendo anche quel che non ho depositato e
raccolgo anche quel che non ho seminato. Perché allora non hai depositato il mio denaro alla banca? Al
mio ritorno l’avrei ritirato con gli interessi! ¶ Poi il padrone disse ai presenti: — Via, toglietegli il denaro che
ha e datelo a quello che lo ha fatto fruttare di piú. ¶ Gli
fecero osservare: — Signore, ma lui ne ha già fin troppo. ¶ Il padrone allora rispose: — Chi ha molto riceve-
h (19) h
rà ancora di piú; ma a chi ha poco sarà portato via anche quel poco che ha. Ed ora i miei nemici, quelli che
non mi volevano come loro re. Portateli qui e uccideteli alla mia presenza. (Lc 19,23)
· Stornamenti concettuali.
·· Un para logism o: l a ri cchez za è util e du nque non è nemica
de l l ’ a ni m a .
[…] come si potrebbe dar da mangiare agli affamati,
dar da bere agli assetati […] se prima non si possedesse
tutto questo? (Clemente Alessandrino, 150–212)
Nessuno cerchi dunque di distruggere la ricchezza, ma
le passioni dell’anima, che non permettono l’uso migliore dei beni […] Chi ha rinunciato alla ricchezza
mondana può essere ricco di passioni […] nulla gli è
giovato che da ricco si sia fatto povero, perché ricco di
passioni. Si deve dunque rinunciare a ciò che abbiamo
di veramente dannoso e non a ciò che può essere utile,
se si sa rettamente usare. (Idem)
Non voglio che tu sia servo delle ricchezze, ma neppure che le consideri come nemiche, perché ti sono state date da Dio per il tuo servizio. Non dire dunque mai
che le ricchezze sono opera del diavolo. (Cirillo di Gerusalemme, 313/315–387)
·· L’argoment o dell’uomo di pagl ia di Agost in o.
A volte ci si imbatte in poveri (non si può non dirlo)
che sono pieni di superbia, mentre ci sono dei ricchi
umili. Ogni giorno anzi abbiamo a combattere con gente siffatta. [...] Non di rado ti troverai vicino un uomo
che ha la casa piena d’ogni ben di Dio, possiede terreni
fertili, molti campi, molto oro e argento. Egli però sa
che non son queste le cose di cui ci si deve vantare e si
h (20) h
umilia dinanzi a Dio e con quel che possiede compie del
bene. (Agostino, Enarrationes in Psalmos 131,26)
La fallacia dell’argomentazione è evidente, se si ritiene,
come pare, che il bersaglio sia il paradigma evangelico. C’è anche uno slittamento dal tema dell’avidità (piú corrispondente
all’immagine del cuore presso il tesoro) a quello della superbia.
In sostanza, scrive Agostino: l’affermazione che tutti i ricchi
siano superbi è falsa perché alcuni non lo sono, ∃ x ¬ P (x) → ¬
(∀ x P (x)). Ma Gesú non afferma che tutti i ricchi siano avidi o
superbi, bensí che è molto probabile che un ricco lo sia: una confutazione non fallace delle sue parole sarebbe quella che ci sono
in percentuale piú avidi o superbi tra i poveri che tra i ricchi, ma
questa controfattualità Agostino non la poteva sostenere, neppure per il sottoinsieme dei cristiani.
· · La spiritualiz zazione: la materi a non conta, cont a lo spir ito .
Eccoti il povero che geme, o finge di gemere, oppresso
dal ricco, e se è veramente molto potente il ricco che lo
opprime, allora lo vedi umile: anche se, a volte, nemmeno allora lo è ma anche nell’oppressione è superbo.
Da cui puoi capire come sarebbe se avesse beni di fortuna. Povero di Dio è dunque colui che lo è nel cuore, non
nella borsa. (Agostino, Enarrationes in Psalmos 131,26)
In una parola, chi non si leva in superbia nell’abbondanza e non si irrita per cupidigia nella necessità ha imparato, ha imparato ad essere nell’abbondanza e a soffrire
l’indigenza. (Gregorio I Magno, in Hiezechihelem 2,
Homilia 7, 16)
· · La grande ricc he zza è un’opp ort uni tà.
er Agostino la ricchezza, in quanto originante nella Misericordia divina non può, per questo motivo, essere in
sé condannabile. Importante è invece il suo uso, il modo con
cui la si è acquisita e la si amministra. I poveri sono voluti da
P
h (21) h
Dio, con la funzione di essere la scala salendo la quale il ricco
si salverà, e con quella di essere i facchini, portavoce verso Dio
della richiesta degli interessi dovuti ai loro benefattori. Al ricco che chiede
Se non trovavo bestie da soma né navi per trasferirmi
dall’occidente all’0riente, dove troverò le scale per recarmi dalla terra in cielo? Dio ti dice: Non angustiarti! Io
che ti ho reso ricco, io che ti ho dato cose da poter distribuire, ho fatto anche i poveri che sono come i tuoi facchini (Sermo 42.2)
Il nuov o paradigma: l’econ omia della salvezza.
na volta completamente obliterato il tema del cuore risecchito e dunque della vanitas e della reale letizia quotidiana, ecco in sintesi il nuovo paradigma, tutto strutturato
nei termini di una contabilità dare-avere: 1) il ricco è certamente un fortunato (e piú la sua ricchezza è grande, piú è fortunato), 2) ma indubbiamente ha maggiori occasioni di peccare e
di andare in deficit rispetto al bilancio estremo, vale a dire alla
sua salvezza, al Paradiso. 3) Può tuttavia utilizzare strumentalmente i poveri per ritornare in attivo, certamente anche
con necessarie confessioni, digiuni ed espiazioni, ma sopratutto 4) tramite continue elargizioni monetarie tali però, ça va
sans dire, da non cambiare il suo stato di ricco.
U
· Il nuovo paradigma all’opera.
rima di arrivare ad un tentativo di bilancio degli effetti
del cambio di paradigma, va sottolineato che i due punti
di vista (evidentemente incompatibili) convivranno nella Chiesa fino ai nostri giorni, non senza crisi e difficoltà.1 Questa
P
1
Segnaliamo i due grandi tentativi del nuovo paradigma di affrancarsi
completamente da quello evangelico: il primo, riuscito, fu la Riforma (non
h (22) h
convivenza degli opposti è uno dei misteri della Chiesa in quanto istituzione storica: è l’et-et cattolico. Va pure detto tuttavia
che la scelta generale dell’istituzione, come, in buona sostanza, della cosiddetta Dottrina Sociale sia stata a favore del nuovo paradigma. Una seconda osservazione: l’invenzione dell’economia della salvezza fu produttiva, non si trattò di pura
ideologia, ma di un idea forza che generò un tipo nuovo di ricco nella Cristianità. E che trasformò effettivamente il modo di
guardare ai poveri dei ricchi e viceversa.
· · Un esempio: Firenz e.
er mostrare gli effetti antropologici dell’assunzione del
nuovo paradigma dell’economia della salvezza, scegliamo Firenze perché è già stata individuata, da Sombart in primis, come tra i principali, forse il principale, cuori pulsanti
della nuova creatura capitalistica (ultima nata nella millenaria
storia del valore e dell’erranza dell’umanità) che muoveva i primi passi in Europa intorno al Mille.
Eccone uno: la storia delle famiglie magnatizie fiorentine,
non pochissime tuttora operanti, è strettamente intrecciata
con quella della Chiesa universale e delle chiese locali, che
hanno rigogliosamente rifornito di papi, santi e sante e magnifiche cappelle, e che verso la Chiesa hanno sempre manifestato una vera sollecitudine proprietaria, non minore di quella
per le proprie vigne. I santi con quei cognomi è indubbio che
fossero mossi da cuore e fede genuini, cosí come è impressionante la straordinaria rete di confraternite e strumenti di aiuto
ai poveri che ha innervato la storia di Firenze e della quale le
famiglie magnatizie sono state valide sostenitrici: esemplare il
caso Monna Tessa-Folco Portinari.
P
è difficile leggere nella weberiana etica protestante non altro che il naturale sviluppo di quella agostiniana), il secondo, in progress, avrà il nome di
Giansenismo.
h (23) h
Ma possiamo dire qualcosa del cuore, non dei singoli ovviamente, ma della grande maggioranza degli uomini che nel
corso del tempo hanno avuto il carico di difendere e trasmettere i beni (il tesoro) di queste famiglie (qualcuno direbbe che
di quei tesori sono stati l’antropomorfosi)?
Intanto notiamo che quelle stesse famiglie hanno contribuito a formare un carattere locale che è universalmente riconosciuto per la faziosità e la litigiosità, la chiusura, la mancanza di accoglienza e la propensione piú al «ridere di» che al sorriso.
Appena la taccagneria della generazione dei Cacciaguida
(che Dante chiama virtú e che è una sottaciuta qualità dei fiorentini, massime con ascendenti), con quelle donne contente
«al fuso e al pennecchio» e delle generazioni successive, fecero
assumere ai tesori di famiglia una dimensione piú consistente,
questi richiesero di essere rinserrati in alte torri di pietra nella
quali tali famiglie andarono anche ad abitare, mentre crescevano rivalità, dissidi e congiure l’una contro l’altra, imparando a vivere nell’inimicizia generalizzata e senza mai potersi
fidare di nessuno (ognuno temuto come possibile o reale attentatore al tesoro medesimo). E ciò, per quanto ne resta, fino ai
nostri giorni. Basti per tutti l’inquietante immagine di Van
Eyck dell’usuraio Arnolfini (forse era lucchese, ma cambia
poco).
Sí, parrebbe proprio che la considerazione fenomenologica di Gesú non sia stata smentita dall’invenzione agostiniana e
che questi grandi ricchi cristiani abbiano avuto anch’essi il
loro cuore prigioniero del tesoro.
Tropi .
A
bbiamo già sottolineato che per Agostino, e di conseguenza storica per la quasi totalità dei benefattori cri-
h (24) h
stiani, come è facile appurare, i poveri sono solo mezzi («bestie
da soma», «navi», «facchini») per raggiungere la salvezza.
Verso di loro non si dà relazione personale, affetto, ma solo
uso strumentale nell’economia salvifica. Ciò ha prodotto interessanti slittamenti semantici.
Jacques Camatte ha accuratamente classificato le tecniche
con le quali gli uomini manipolano, costruiscono, la rappresentazione della realtà: abbiamo la rimozione, l’escamotage, il
détournement e, quello che qui interessa, i tropi.
Quando diciamo della signora anaffettiva, mentre piena di
zelo, senza risparmiarsi, dirige la Caritas parrocchiale, che
«ama i poveri», stiamo usando un tropo. La signora, incapace
di amare marito e figli è tale anche verso chicchessia. Uscendo
di metafora dovremmo dire «ama occuparsi dei poveri» o meglio «ama sentirsi importante per i poveri», cosí come chi fa sterilizzare il suo cane e lo porta ad improfumare dal coiffeur,
non «ama i cani», bensí «ama disporre di cani», o anche «ama
prendersi cura dei cani».
h (25) h
Do n n a P r a s s ed e com e figura a g ost i n i a n a .
F
u Vincenzo Bugliani a propormi la profondità del
personaggio di donna Prassede, dei Promessi sposi.
Alessandro Manzoni, mi spiegava, non vuole introdurre un personaggio buffo2 per alleggerire un
racconto edificante, ma descrivere l’idealtipo del dirigente delle istituzioni caritatevoli o beneficenti (femminili e maschili).
Certo non di tutte, ma senz’altro di una solida maggioranza.
Nel tempo quante volte ho detto tra me «Ti riconosco, donna
Prassede!». Studi piú recenti mi hanno portato a pensare ad
un’altra figura, piú antica, che sta dietro, come in filigrana, a
tutte le Prassedi presenti e passate, ben individuata da Qualcuno ben piú autorevole del Manzoni; si tratta di Marta di Betania. Ebbene, contro ogni logica, questa figura, racconta Piero
Bargellini, è stata indicata «alle donne cristiane come modello
di operosità». Qui si cerca di spiegare perché.
Una curiosa dipendenza.
a premessa è che si era ai primi del secolo e le strade
di Firenze non erano ancora affollate di mendicanti.
Ero capitato, solo quella volta per curiosità, in una riunione informale di una piccolissima e transeunte aggrega zione di cattolici di area lapiriana, e mi colpí lo sfogo di
un’anziana signora (era del giro piú st retto dei collaboratori di La Pira) che si lamentava delle grandi difficoltà
ad educare crist ianamente le sue nipotine, stante che nella
L
2
Si potrebbero citare, come insuperato contrappunto umoristico, le patronesse del Buon soldato Sc’vèik, prodighe di gingilli devozionali, e i cui mirabolanti polli arrosto son causa per i sospetti simulatori di una punitiva lavanda gastrica.
h (26) h
città non se ne trovavano piú, di poveri. Non lo diedi a vede re, ma devo confessare che mi venne da ridere: ma come,
pensavo, se ormai anche da noi «le figlie cavalcano sellini
casuali», come scrive il poeta, non ci sarebbe materia per
scelte e formazione crist iana? E se i poveri da aiutare fosse ro cosí indispe nsabili alla salvezza, com’è che i poveri me desimi possono guadagnarsi il Paradiso, mi chiedevo. E ancora, non sarà che dietro dietro, senza dirselo, non scorgen do piú poveri intorno, la signora tema di esser lei non piú
tra i ricchi? E come fare apprezzare la minest rina alle ni potine senza ricordare loro quanti piccoli sfortunati ne sare b be ro s t at i f e li c i ?
Se non trovavo bestie da soma né navi per trasferirmi
dall’occidente all’oriente, dove troverò le scale per recarmi dalla terra in cielo? Dio ti dice: Non angustiarti!
Io che ti ho reso ricco, io che ti ho dato cose da poter
distribuire, ho fatto anche i poveri che sono come i tuoi
facchini (Sermo 42.2).
Abbiamo citato, con Armando Ermini, questo passo di
Agostino nel breve studio su Chiesa e grande ricchezza, al
quale rimandiamo. L’aneddoto della signora lapiriana ci permette forse di approfondire.
Aut ricchi aut poveri.
olpisce nel ragionamento agostiniano, come in quello
della signora, quella che potremmo chiamare la scomparsa del ceto medio. Non è previsto chi viva senza grandi riserve né grandi privazioni, eppure dovevano essercene anche nella Cartagine e nella Roma dei Padri.
Soltanto ricchi o poveri (a volte nella patristica si allude
ad «affamati» e «assetati», a povertà assoluta, materiale, ma
ben sappiamo che per poveri si intendeva, prima del Covid,
anche i genitori che hanno difficoltà per la gita scolastica a Ma-
C
h (27) h
drid). Perché si ignorano le situazioni di mezzo, che magari
rappresentano la maggioranza della popolazione?3 A chiarire
il mistero, forse ci può aiutare René Girard, con la sua teoria
del desiderio mimetico:
In Jean Santeuil, primo romanzo incompiuto di
Proust, l’autore mette il suo eroe nel palco della signora de Guermantes, «arrivato», felice e trionfante.
In Alla ricerca del tempo perduto, Proust inverte il suo
punto di vista, e mette il narratore nel parterre, che
contempla con avidità l’oggetto inaccessibile del suo
desiderio: il palco della signora de Guermantes. Quest’inversione, rivelatrice della vera natura del desiderio, dà alla scena la profondità e la dimensione letteraria che facevano difetto alla scena corrispondente
di Jean Santeuil. In effetti, l’esperienza vera del desiderio è quella della mancanza, dell’umiliazione e
dell’impoverimento dell’essere [...].4
La droga dell’invidiato.
a qualche parte, ma forse ci ha lavorato meno, Girard
accenna anche al complementare dello sguardo desiderante. Nel caso, lo sguardo della signora de Guermantes: è il
cogliere l’altrui desiderio che valorizza il nostro oggetto e ce
ne fa maggiormente godere. Anzi, piú spesso (ecco l’inversione, l’alienazione) godremo non tanto dell’oggetto (un palco
all’Opéra, magari siamo sordi alla musica)5 quanto proprio degli sguardi invidiosi.
D
3
4
5
Tra pari si tratterebbe di aiuto fraterno, di mutuo soccorso: un ambito
estraneo al tema qui trattato e al sentire della signora.
La frusta letteraria, www.lafrusta.net, riassume cosí un testo dello stesso
Girard.
Della duchessa de Guermantes non so dire, avendo sempre ignorato il capolavoro di Proust.
h (28) h
Nel gioco invidioso-invidiato non si danno figure intermedie: è questa la risposta al nostro interrogativo. L’indifferente,
colui che pur privo non desidera, è fuori dal gioco e visto perciò
come elemento sgradito, perturbante, da rimuovere: se gli invidiosi perdessero il desiderio gli invidiati si sarebbero sacrificati per nulla, disvelamento per loro terrificante, catastrofico. È il silenzio perplesso di Alessandro che non si vede
invidiato da Diogene.6
I buoni ricchi cristiani perciò si sentivano chiamati ad
educare questi non desideranti. Don Milani, che ignorava la
bellezza dello sguazzare nelle pozze dei torrenti appenninici
(ne abbiamo visti bei ricordi in qualcosa di Pupi Avati, ma il
Milani-Comparetti ce lo immaginiamo bambino in giro coi
guanti...), fa costruire ai suoi ragazzi una squallida (e sicuramente antigienica) piscina di cemento per inserirli nei valori antropologici della sua famiglia d’origine, farli accedere ad un
surrogato di ricchezza standard. Con uguale spirito e prassi,
vale a dire distribuendo assaggi di ricchezza, le buone signore
fiorentine della San Vincenzo dei primi anni sessanta si aggiravano tra i loro clientes,7 iscritti al registro dei beneficiari
6
Incidentalmente notiamo che, nel racconto di Plutarco, Alessandro è spinto dalla medesima sollecitudine dei nostri filantropi seriali: «il monarca si
rivolse a lui salutandolo, e gli chiese se volesse qualcosa, Diogene rispose: ‹Sí,
stai un po’ fuori dal mio sole›.» Torna alla mente anche uno dei ragazzini
pestiferi wodehousiani: «Mi sovvenne che questo Edwin era uno di quelli
che non si risparmiano, e, come sua sorella Florence, si impegnava seriamente nella vita, come aveva ampiamente dimostrato da quando era entrato
nei boy scout. Non volendo rifuggire dalle sue responsabilità si era conformato con spirito ardente e risoluto alla regola della buona azione quotidiana, ma, purtroppo, tra una cosa e l’altra, rimaneva sempre indietro e non
riusciva mai a compierla con regolarità, per cui ogni qualvolta intravedeva
l’occasione propizia, si buttava a capofitto, cercando di recuperare con chi
gli capitava a tiro, trasformando rapidamente ogni posto in cui si trovava in
un inferno perfetto per uomini e bestie. (Joy in the Morning)».
h (29) h
(Gabriella Antonini, che giovane quasi proletaria si trovava
inopinatamente tra i volontari benefattori, ricordava il suo
stupore nello scoprire spesso quei «poveri» di mestiere già con
la televisione in casa, mentre nella sua non c’era).
Se ho un Rolex e nessuno me lo invidia non vale niente.
Se, caritatevolmente, regalando loro dieci imitazioni, trasformo altrettanti individui, con scarsi mezzi ma indifferenti agli
idoli orologeschi, in competenti invidiosi, ecco che il mio Rolex autentico si valorizza. Il sistema è, tutto sommato, semplice e funziona. Che sia questa, in un guscio di noce, la sostanza
del paradigma agostiniano?
Ip otesi su Mar ta.
l brano evangelico che racconta la visita di Gesú a Marta e
Maria, in Betania, ci dice abbastanza sulla manipolazione
agostiniana tendente a disinnescare con ogni mezzo il Vangelo
dei suoi contenuti critici. Il testo, che vede le traduzioni abbastanza concordi, narra un episodio reale e credibile:
I
Mentre erano [Gesú con i suoi discepoli, in altre traduzioni (N.d.R.)] in cammino, entrò in un villaggio e
una donna, di nome Marta, lo ospitò [nella sua casa, in
altre trad. (N.d.R.)]. Ella aveva una sorella, di nome
Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la
sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa
nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?
Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose:
«Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose
[troppe cose, in altre trad., orig. greco: πολλά
7
Il termine latino di clientes non è usato qui come boutade ma individua una
figura sociologica importante e senza tempo: persone che gratifichi/retribuisci perché, invidiandoti, ti corroborino nella tua identità.
h (30) h
(N.d.R.)], ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha
scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc
10,38–42; testo CEI 2008).
La lettura non sembra difficile. Abbiamo due sorelle delle
quali una, Marta, è evidentemente partecipe di una tipologia
psicologica, un pattern, assai diffuso tra i due sessi: il tipo
anaffettivo il quale maschera la propria incapacità di relazione
affettiva/tenerezza/ascolto con un iperattivismo che mira al
controllo totale su uomini e cose e che si regge sulla continua
proclamazione di stati di emergenza.
È certo che l’arrivo improvviso di Gesú, con altri discepoli, rendeva necessaria un’attività per l’accoglienza e forse la
preparazione di un pasto, dei letti, insomma del lavoro. Ma
quanto lavoro? Che pasti? Che letti? Quanto tempo necessario?
Non ne resterà niente per un affettuoso scambio/ascolto iniziale? No di certo per l’anaffettiva Marta, che alza sempre l’asticella del lavoro da fare, proprio per fuggire quello scambio
relazionale e corporale. Il suo modus operandi prevedeva un
Gesú abbandonato in un angolo e le due sorelle, con Maria al
suo servizio, solo prese dalle faccende.
Ma Maria non ci sta e si intrattiene, a stretto contatto, con
Gesú. Ecco allora Marta, la quale come abbiamo detto aspira al
controllo totale, che comanda imperativamente a Gesú, «Dille
dunque...», di farsi suo portaordini presso Maria. Gesú, che ovviamente ignora il comando, replica con quella finezza, quella
sprezzatura che ha rilevato Cristina Campo: «Marta, Marta...».
Ce lo immaginiamo mentre sorride e scuote la testa; a volte,
come si suol dire, una parola è poca e due sono troppe. E poi,
con affetto, la corregge spiegandole che è lei a sbagliare quando
insiste su un daffare che non c’è, ben oltre il necessario. E quello che non è necessario, lo sappiamo, è vanitas.
h (31) h
Il racconto mette in discussione l’homo faber, ciò è talmente chiaro che gli ordini contemplativi della Chiesa l’hanno sempre letto come una loro approvazione. Veniamo ora al
trattamento che Agostino riserva a questo passo. È nel Discorso 104 che la manipolazione, fatta anche di tagli e aggiunte,
traspare con chiarezza:
1. Per poter, contro ogni evidenza, sostenere che «Il servizio di Marta non fu biasimato dal Signore», Agostino cancella del tutto le parole piú importanti di Gesú: che Marta si preoccupa in modo errato, ben oltre il necessario («μηδὲν ἄγαν»
«ne quid nimis» «niente di troppo» raccomandava il saggio
Chilone). Nella sua argomentazione il servizio preteso da Marta è del tutto trasparente, oggettivo, non è in discussione. Ma
porlo in discussione è proprio quello che fa Gesú.
2. Agostino mette in bocca a Gesú parole da lui inventate
«La parte scelta da te non è cattiva, ma è migliore questa
[scelta da Maria]». Gesú non dice niente della parte, non
certo quella sicuramente buona, che è ἀγαθὴν μερίδα, scelta
da Marta: potrebbe essere solo un po’ meno buona o addirittura nociva, si pensi alla mela di Biancaneve... Non ne sappiamo niente, ma Agostino è creativo.
Sono fortemente tentato dal ritenere che l’opacità del passo evangelico per Agostino sia legata alle probabili corrispondenze tra la figura di Marta e quella di sua madre, Santa
Monica, ma entreremmo in acque troppo profonde. Invece è
certo che il rovesciamento agostiniano ha avuto un successo
impensabile rispetto alla fallacia della sua argomentazione. Ripete pedissequamente, ad esempio, Piero Bargellini nel suo
fortunato I santi del giorno (Vallecchi, 1958):
L’amabile risposta di Gesú può suonare come rimprovero alla fattiva massaia: «Marta, Marta, tu t’inquieti e
ti affanni per molte cose; una sola è necessaria: Maria
h (32) h
invece ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta». Ma rimprovero non è, commenta S. Agostino:
«Marta, tu non hai scelto il male; Maria ha però scelto
meglio di te». Ciononostante Maria, considerata il modello evangelico delle anime contemplative già da S.
Basilio e S. Gregorio Magno, non sembra che figuri nel
calendario liturgico: la santità di questa dolce figura di
donna è fuori discussione, poiché le è stata confermata
dalle stesse parole di Cristo; ma è Marta soltanto, e
non Maria né Lazzaro, a comparire nel calendario universale, quasi a ripagarla delle sollecite attenzioni verso
la persona del Salvatore e per proporla alle donne cristiane come modello di operosità.
In effetti se nel mondo ortodosso le due sorelle di Betania
sono da sempre sante e celebrate assieme, nel mondo cattolico
solo Marta fu canonizzata, nel 1262 da quegli zelanti francescani che in quel tempo realizzavano la legittimazione del credito e dell’usura. Leggiamo ciò come un segnale che il racconto continuava a fare problema e che le parole di Gesú dovevano essere eluse in quanto di impaccio per le magnifiche
sorti e progressive che la diuturna alacrità dell’homo faber/œconomicus stava costruendo. Solo in anni recentissimi (2001) è
stata associata alla sorella tuttofare anche Santa Maria di Betania. Ma è rimasta la proposta di quel «modello di operosità»,
quel capovolgimento: è come se San Pietro fosse proposto a
modello non per il suo martirio, ma per il suo rinnegamento.
Un ultimo appunto. L’amica Gabriella Rouf mi ha fatto
notare che nell’episodio evangelico successivo, la cosiddetta
cena di Betania (Gv 12,1–11), quando Maria, a contatto ancora piú stretto con Gesú cospargerà i suoi piedi di prezioso
nardo, asciugando con i capelli, il ruolo di censore di Maria
passerà dalla solerte Marta, che l’aveva tacciata di neghitto-
h (33) h
sità, al parsimonioso Giuda che la tratta da scialacquatrice.
Non ne faceva una giusta.
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
Da I promessi sposi, cap. xxv.: Donna Pr assed e.
G
iacché, come diceva spesso agli altri e a se stessa, tutto il suo studio era di secondare i voleri
del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch’era
di prender per cielo il suo cervello. [...] Era donna
Prassede una vecchia gentildonna molto inclinata a
far del bene: mestiere certamente il piú degno che
l’uomo possa esercitare; ma che pur troppo può anche
guastare, come tutti gli altri. Per fare il bene, bisogna
conoscerlo; e, al pari d’ogni altra cosa, non possiamo
conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de’ nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene
spesso stanno come possono. Con l’idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve far con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le poche, ce n’era per disgrazia molte
delle storte; e non eran quelle che le fossero men care.
Le accadeva quindi, o di proporsi per bene ciò che
non lo fosse, o di prender per mezzi, cose che potessero piuttosto far riuscire dalla parte opposta, o di crederne leciti di quelli che non lo fossero punto, per una
certa supposizione in confuso, che chi fa piú del suo
dovere possa far piú di quel che avrebbe diritto; le accadeva di non vedere nel fatto ciò che c’era di reale, o
di vederci ciò che non c’era; e molte altre cose simili,
che possono accadere, e che accadono a tutti, senza
eccettuarne i migliori; ma a donna Prassede, troppo
spesso e, non di rado, tutte in una volta.
h (34) h
U n a v ig n e t t a i n qu i e t a n t e .
I
ncontrata in un blog, è questa una vignetta che
ho scoperto essere tradotta in varie lingue (a testimoniarne l’universalità) e circolante in rete da
qualche anno. Ha qualcosa di inquietante e dovrebbe forse suscitare le domande alle quali ho provato a dare
risposta.
1ª domanda.
È esagerata o rappresenta la realtà?
R. Da una primissima indagine è perfettamente corrispondente alla realtà.
h (35) h
2ª dom anda.
Ci possono essere problemi nello sviluppo di mente, corpo
e carattere dei bambini?
R. Parrebbe proprio di sí, ovviamente. Devastanti.
3ª domanda.
C’è chi se ne preoccupa, raccoglie dati, indaga e segnala il
problema?
R. Sí, non molti e senza successo. Vengono chiamati profeti di sventura, misoneisti, laudatores temporis acti, ecc.
4ª domanda.
Ci possono essere problemi di permanenza della democrazia con futuri cittadini deprivati fin dall’infanzia di esperienze corporee e di socialità?
R. Parrebbe proprio di sí, ovviamente. Devastanti. Si pensi
al fenomeno, battezzato dai giapponesi ma internazionale, dei
Hikikomori, giovani che si rifiutano di uscire di casa.
5ª dom anda.
Anche di questo, c’è chi se ne preoccupa, raccoglie dati, indaga e segnala il problema?
R. Sí, non molti e senza successo. Pur essi vengono chiamati profeti di sventura, misoneisti, laudatores temporis acti,
ecc.
6ª domanda.
Di chi è la colpa? Chi c’è dietro? Soros? Putin? Il gruppo
Biedelberg? Il Papa? L’Islam? I comunisti? Il liberalismo?
Bill Gates?
h (36) h
R. Nessuno di questi è colpevole. Telefonino, computer,
Internet, Intelligenza Artificiale ecc. sono logico risultato
dell’impegno appassionato e secolare dei buoni lavoratori della
Scienza e della Tecnica. Alcuni considerati martiri, come la
Curie.
7ª domanda.
Ma c’è una mobilitazione sul problema?
R. Non ci può essere perché le mobilitazioni nascono
combattendo un Nemico, ma qui non c’è il Nemico: i creatori
dello smartphone sono i buoni.
8ª domanda.
Ma se il problema nasce dalla Scienza e dalla Tecnica qualche pensatore ci ha ragionato e ha messo in guardia, anche in anticipo, su questi possibili effetti negativi?
R. Certamente. Pochi ma valenti questi pensatori, eccone
alcuni: Gina Lombroso8 (1872–1944), Amadeo Bordiga
(1889–1970), Martin Heidegger (1889–1976), Lewis Mumford (1895–1990), Günther Anders (1902–1992), Marshall
McLuhan (1911–1980), Jacques Ellul (1912–1994), Ivan Illich (1926–2002), Jean Baudrillard (1929–2007), Neil Postman (1931–2003), Jacques Camatte (1935), Jerry Mander
(1936), Manfred Spitzer (1958). Le opere di questi autori, spesso universalmente tradotte, non sono riuscite a scalfire l’ottimismo progressista e la fede nella tecnologia, neppure tra gli ecologisti, salvo qualche minoranza.
8
Quasi sconosciuta in patria. È nel cono d’ombra in quanto femmina geniale ma non femminista.
h (37) h
9ª domanda.
Quindi, in buona sostanza, non c’è stata riflessione né opposizione. E la Chiesa ha detto qualcosa?
R. Sí, a favore, ignorando sistematicamente ogni critica. Si
pensi che nel 1969, mentre l’anarchico Luis Buñuel faceva
pronunciare ad un personaggio9 de La via lattea queste parole:
«Il mio odio per la scienza, il mio orrore per la tecnologia, finiranno per farmi arrivare all’assurda credenza in Dio», Paolo
VI parlava dell’«incremento accelerato e meraviglioso delle
scienze».10 Quattro anni dopo, entusiasta fino al lirismo, di-
chiarò
noi per primi, tributiamo alla scienza l’onore che le è
dovuto, la promozione, apologia, di cui ancora possa
eventualmente mancare. Viva la scienza, viva lo studio,
che la cerca e la esalta.11
Cosí i bambini del nostro paese sono stati consegnati, senza alcuna difesa, prima alla passività televisiva (anni 50–60),
poi ai giochini Nintendo ecc. (anni 80) per finire con gli
smartphone attuali.
10ª domanda.
Tuttavia nella Chiesa vi era, e c’è tuttora, un’opposizione
all’ottimismo progressista. Questa ha considerato anche la
questione della Scienza e della Tecnica?
R. No. I cattolici conservatori citano spesso questo profetico pensiero di Juan Donoso Cortés (1809–1853):
9
Nel quale molti riconoscono lo stesso Buñuel.
10
Paolo VI, Udienza generale, 28 maggio 1969.
11
Paolo VI, Udienza generale, 10 ottobre 1973.
h (38) h
Il fondamento, signori, di tutti vostri errori consiste nel
non sapere qual è la direzione della civiltà e del mondo.
Voi credete che la civiltà e il mondo vadano avanti, mentre al contrario tornano indietro. Il mondo cammina
alla costituzione di un dispotismo il piú gigantesco e assoluto che sia mai esistito a memoria d’uomo
ma mai l’hanno sviluppato con una riflessione sui fondamenti
materiali e tecnici di quel dispotismo, come fosse solo una boutade. Anzi diciamo che in genere i conservatori sono attivi nel
criticare ogni pensiero ecologista o critico dalla Tecnica, riconducendolo ad un preteso carattere gnostico. Se citano il cattolico Marshall McLuhan di norma lo fanno a fini apologetici,
senza trarne alcuna conseguenza; la stessa cosa, peraltro, avviene tra i cattolici di sinistra con Ivan Illich.
h (39) h
K a té c h on .
Noterella tecnologica.
A
ppartiene alla lettura teologica della storia come
campo di una gigantesca battaglia tra bene e male, che si svolge nel tempo, la figura di un Katéchon (κατέχον, ciò/colui che trattiene, Paolo di
Tarso, 2 Tes. 2:6–7, figura cara a Massimo Cacciari e identificata da Carl Schmitt nella Chiesa Cattolica Romana, da altri, forse lo stesso Paolo, nell’Impero romano) forma storica
funzionalmente avversa al male e preposta non a distruggerlo
ma a «trattenerlo», rallentarlo quando sta avanzando.
Qualcosa come i materassi imbottiti di lana con i quali Michelangelo Buonarroti nel 1529, durante l’assedio di Firenze
da parte delle truppe imperiali di Carlo V, in qualità di Governatore Generale sopra le Fortificazioni, fece rivestire il campanile della basilica di San Miniato al Monte per proteggerlo dai
colpi dell’artiglieria nemica.
Proviamo a leggerla, la storia, invece come un movimento
orientato, il Prozeß der Zivilisation (vale a dire il processo di
crescita, tecnica e mentale, della separazione dell’uomo dalla
natura: valore-denaro-capitale/organizzazione/tecnoscienzavirtualità; un processo che vedrebbe come termine ultimo la distruzione dell’uomo stesso in quanto, inevitabilmente, natura).
In questa lettura il ruolo di una forza frenante cambia. Si tratterebbe non di qualcosa di oppositivo ad una ostilità esterna,
bensí di un componente necessario al proprio processo interno, che lo rende efficace ed armonico, controllandolo ed evitando i rischi, intrinsechi e reali, di blocco, rottura, esplosione.
h (40) h
Lo stesso freno, Katéchon tecnologico primordiale, nella prima
versione un ceppo che preme sulla
ruota, nasce insieme al carro a trazione animale per permettergli di
affrontare, carico, la discesa. Senza
freno il carro sarebbe inutilizzabile, cosí l’automobile. Il freno generalmente ha una variabilità di azione: nessuna frenata, frenata leggera, frenata con maggior forza. Questa variabilità assicura il buon funzionamento
del sistema di cui fa parte.
Dispositivi simili, ma completamente automatici,
sono quelli di smorzamento, gli ammortizzatori, come
il dissipatore viscoso. Questi, con l’attrito, si oppongono al movimento e maggiore è la velocità, maggiore è
la forza oppositiva che esercitano.
Vi sono inoltre apparecchi, forse piú complessi, a
doppia azione, frenante o accelerante secondo il caso.
Tali dispositivi non si oppongono al movimento in quanto
tale, come l’ammortizzatore, ma hanno lo scopo di mantenere
una velocità, o qualsiasi altro parametro, costante: principe di
questi apparecchi è il regolatore centrifugo di Watt, questo
chiude la valvola che dà pressione al motore se la velocità supera quella desiderata e la apre quando si è abbassata troppo.
Tornando al Katéchon di Schmitt, la qualifica di «trattenitore», farebbe pensare ad un freno o meglio, come accennato, ad un ammortizzatore, ma la Chiesa nel processo di cui sopra, se spesso ha frenato, in molti casi ha pure accelerato.
1. Ad esempio quando è stato il momento ha tolto, cambiando teoria e prassi, l’interdetto alla pratica dell’usura.
2. Quando, al tempo dello scontro con il giansenismo, resasi conto che la riforma luterana era piú confacente per ac-
h (41) h
compagnare l’ormai vittorioso capitalismo, ha abbandonato i
gesuiti e la loro via alternativa, per quel rigorismo ottocentesco che altro non fu se non la versione cattolica della weberiana
etica protestante.
3. Infine col Concilio Vaticano II dove in nome di una critica al precedente sposalizio col mondo (i.e. potere, banche,
borghesia) in nome di un ritorno ai principi evangelici, ci si
conformava al nuovo mondo del capitalismo «puro» postborghese in nome delle «magnifiche sorti e progressive» (i documenti conciliari contengono al riguardo prose insieme esilaranti e patetiche), mondo per il quale il rigorismo precedente era ormai d’impaccio.
Viene quindi alla mente piú il regolatore di Watt.
h (43) h
2 . Dom a ine d e
l a c e rti t u d e
Una t e ori a ch e h a funzio n a t o .
Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini
avevano considerato come inalienabile divenne oggetto
di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate — virtú, amore, opinione,
scienza, coscienza, ecc. — tutto divenne commercio. È
il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il
tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore.(Miseria della filosofia, Cap. I
§1, 1847, Marx (1818–1883) ha 29 anni.)
h (44) h
A un primo sguardo la ricchezza borghese appare come
un’immane accumulazione di merci […]. (Per la Critica dell’Economia Politica, Incipit, 1859, 41 anni.)
La ricchezza delle società nelle quali predomina il
modo di produzione capitalistico si presenta come una
«immane accumulazione di merci» […]. (Il Capitale,
Incipit, 1867, 49 anni.)
Una teori a che ha funzionato, cioè predittiva.
· Una definizione e una previsione.
ossiamo leggere i tre brani precedenti, nei quali il
Marx giovane e quello maturo si tengono perfettamente, come una definizione della società capitalistica: è quella dove la merce dilaga e come una
previsione: tutto diventerà merce. Va onestamente preso atto
che la previsione si è avverata e continua a farlo ed è propria di
Marx.
P
· La merce
C
os’è una merce? Nella sua forma compiuta ed esplicita è
tutto ciò che si può portare liberamente al mercato e liberamente comprare: cose, servizi, animali, uomini ecc. (il portare
al mercato a volte non è fisico, es. gli immobili).
Quello che è merce, spesso è qualcosa che nell’uso precedentemente non lo era, ma che è stato, nel tempo, mercificato.
Esempio: la cena conviviale. Per Epicuro è il primo dei piaceri: «mangiare senza amici è vita da lupi o da leoni», per Cicerone «il piacere dei banchetti non si deve misurare dalle
ghiottonerie della mensa, ma dalla compagnia degli amici e
dai loro discorsi»; si noti che Cicerone ragiona già in termini
di misura del valore. Da tempo in USA si diffonde la chiamata
h (45) h
di convitati a cachet (attori, sportivi, personaggi TV, politici
ecc.); mercificazione della cena:
quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite
ma mai acquistate [...].
· Newton→L egge di gravitazione universale; Marx→legge di mercificazione universale.
uesta previsione di Marx si può vedere come l’enunciazione di una legge, cosí formulata: la mercificazione è de-
Q
stinata a crescere.
Si tratta di una legge di tipo globale, come quella della
conservazione della quantità di moto, che non permette di per
sé di definire cosa succederà all’interno del sistema. Vale a dire
che da questa legge non discende una legge dei modi di produzione e delle relazioni tra le classi, anche se Marx si proverà
(non con altrettanto successo) a scoprire e definire anche leggi
storiche su quel livello.
Se mi accorgo che in un laghetto la temperatura dell’acqua è destinata ad aumentare fino, prima o poi, all’ebollizione,
ne posso dedurre che i pesci a un certo punto saranno tutti morti: ma la temperatura alla quale le varie specie di pesci scompariranno sarà legata a fattori (efficienza del sistema di termoregolazione ecc.) che non dipendono da quella legge globale.
· Miseria del pauperismo.
a lettura pauperistica di Marx è davvero miserevole, nondimeno va rilevato che l’aumento della mercificazione
rende possibile una maggiore polarizzazione della ricchezza, in
quanto estesa ad una infinità di ambiti (salute, procreazione,
bellezze e piaceri naturali, comunicazione sociale ecc.) che
prima erano, per ragioni fisiche, comuni o socialmente indifferenziati: il re di Francia poteva avere vestiti mille volte piú co-
L
h (46) h
stosi di un contadino, ma di fronte ad un mal di denti era pari a
lui (forse messo peggio, sotto le cure di medici moliereschi),
anche la sua velocità di spostamento non era sostanzialmente
diversa ecc. ecc.
Il cenno alla velocità di spostamento mostra la necessaria
dipendenza dell’aumento della mercificazione dallo sviluppo
tecnologico, si pensi alla possibilità attuale di noleggiare un utero. E lo sviluppo della tecnica e degli strumenti di controllo, a
sua volta, rende possibile anche una maggiore polarizzazione
del potere.
Ma questa maggiore polarizzazione sociale è solo una possibile (anzi probabile) conseguenza dell’aumento della mercificazione. Non viceversa!
Una società con aziende gestite in modo partecipativo e
cooperativo e che producono merci, può anche essere preferibile, ma non è assolutamente meno capitalistica di un’altra piú
socialmente differenziata dove la merce ha lo stesso livello di
pervasività.
Se si cominciasse a ideare metriche che consentissero di
misurare (o meglio, grossolanamente stimare) il tasso di pervasività della merce nella società, potremmo addirittura vedere sotto forma di tabelle e grafici quanto una società sia dominata dai processi di capitale e come ciò sia abbastanza indipendente dalla forma politica della società medesima (democrazia, autoritarismo, totalitarismo ecc.).
Non va dimenticato che Marx, insieme a Donoso Cortés,
è stato il piú grande critico di Proudhon e del socialismo ottocentesco. La critica maggiore fu fatta con Per la critica e col
Capitale, ma anche ai meno attenti sarebbero dovuti bastare la
Miseria e la Critica al Programma di Gotha.
h (47) h
Sv iluppi della teoria.
· Il dibattito sulla natura dell’Unione sovietica.
partire dagli anni 30 (mentre intanto cominciavano via
via a circolare gli illuminanti appunti piú personali di
Marx come i Grundrisse) era evidente («come un pollice gonfio» direbbe Wodehouse) che in Russia non si stava certo preparando il comunismo. Gli intellettuali marxisti che non misero del tutto la testa sotto la sabbia e provarono a dare una definizione del modo di produzione che si stava sviluppando in
quei paesi, di norma trattarono la faccenda sociologicamente,
abbandonando cosí Marx e la sua legge della mercificazione.
Per tutti si pensi ai trotskisti, che tuttora parlano di socialismo
burocratico. Solo il gruppo (a base italiana ma internazionale)
guidato da Bordiga, per trovare la definizione del modo di produzione di un paese nel quale la borghesia era stata completamente distrutta e l’economia era strettamente guidata dallo
Stato, e tuttavia la merce persisteva ed anzi si sviluppava, dovette cercare, e trovò, negli stessi scritti marxiani la prefigurazione
di un possibile capitalismo senza borghesia.
A
· Valore d’uso e valore di scambio.
ornando alle citazioni di Marx, dobbiamo ricordare che
quelle frasi sono poste all’inizio di approfondimenti importanti della definizione di merce. Per Marx una merce è qualcosa che ha un duplice aspetto, un valore d’uso, cioè la capacità
di soddisfare un qualsiasi bisogno umano, bisogno, precisa
Marx, vero, trasparente, non necessariamente alienato; e un valore di scambio, quello che presentiamo al mercato.
T
· La critica di Baudrillard...
ra nel 1972 Jean Baudrillard, nel suo Pour une critique
de l’économie politique du signe, sottopose ad una critica
devastante questa separazione marxiana tra valore d’uso e
O
h (48) h
valore di scambio, e soprattutto l’asserita trasparenza del primo:
[…] il valore d’uso, la stessa utilità, proprio come
l’equivalenza astratta delle merci, è un rapporto sociale
feticizzato — un’astrazione, quella del sistema dei bisogni, che assume la falsa evidenza di una destinazione
concreta, di una finalità propria ai beni e ai prodotti —
proprio come l’astrazione del lavoro sociale che fonda
la logica dell’equivalenza (valore di scambio) si nasconde sotto l’illusione del valore «infuso» delle merci. […]
Perché vi sia scambio economico e valore di scambio è
già necessario che il principio dell’utilità sia divenuto il
principio della realtà dell’oggetto, o del prodotto. […]
(trad. it. p. 136)
More solito le osservazioni di Baudrillard passarono quasi inosservate, anche perché i pensatori marxisti piú giovani e attivi
erano allora in piena trasmutazione deleuziana e foucaultiana,
in sostanza stavano abbandonando Marx.
· … e la risistemazione camattiana della teoria.
uttavia non fu cosí per tutti: Jacques Camatte, cresciuto
alla scuola di Bordiga, provò a superare l’impasse segnalato da Baudrillard riconducendo valore d’uso e valore di
scambio alla stessa radice: il valore e avviando, con Emergence
de Homo gemeinwesen, uno studio di vasto respiro sul lunghissimo, millenario, processo di emancipazione del valore. Processo del quale la forma merce è solo un momento. Ma questo è
un altro discorso.
T
h (49) h
Ma r x e gli st a l l on i de l l o st o rpi o .
Bianchi denti ha Lecania, e Taide neri.
Perché? Quelli son finti, e questi veri.
Marziale
C
osí Feticcio nell’enciclopedia Treccani: «Oggetto
inanimato al quale viene attribuito un potere magico o spirituale». L’enciclopedia aggiunge che il
termine fu «adottato nel xvi sec.... per designare
gli idoli e gli amuleti che comparivano nelle pratiche cultuali
di popoli indigeni africani» e in seguito fu esteso «a qualsiasi
oggetto ritenuto immagine, ricettacolo di una forza invisibile
sovrumana».
Freud rimase dunque perfettamente nel significato del termine usandolo, ad esempio, per un guanto che diviene generatore di desiderio, surrogato della donna che ne era proprietaria.
Marx intitola «Il carattere di feticcio della merce e il suo
arcano» un paragrafo, celeberrimo, del primo libro del Capitale. In quello Marx descrive (corsivi miei)
fino a che punto una parte degli economisti sia ingannata dal feticismo inerente al mondo delle merci ossia
dalla parvenza oggettiva delle determinazioni sociali del
lavoro
e prosegue:
Poiché la forma di merce è la forma piú generale e
meno sviluppata della produzione borghese — ragion
per la quale essa si presenta cosí presto, benché non ancora nel medesimo modo dominante, quindi caratteristico, di oggi — il suo carattere di feticcio sembra ancor
h (50) h
relativamente facile da penetrare. Ma in forme piú concrete scompare perfino questa parvenza di semplicità.
Di dove vengono le illusioni del sistema monetario? Questo sistema non ha visto nell’oro e nell’argento che,
come denaro, essi rappresentano un rapporto sociale di
produzione, ma li ha considerati nella forma di cose naturali con strane qualità sociali. E l’economia moderna,
che sorride con molta distinzione guardando dall’alto in
basso il sistema monetario? Non diventa tangibile il suo
feticismo, appena tratta del capitale?
In sostanza Marx dice che nel mondo delle merci i rapporti tra gli uomini appaiono come rapporti tra cose, e viceversa. Vi ritornerà con chiarezza nel VI capitolo inedito: «Nella
sua semplicità, questo rapporto implica già la personificazione
delle cose e la cosificazione delle persone».
La difficoltà è che qui della definizione di feticcio, della
sua semantica, sembra si sia perso qualcosa: il feticcio non è
solo un oggetto inanimato che prende vita, e in ciò arcano, ma
è soprattutto qualcosa dotato di un «potere magico o spirituale», un fascino, una forza attrattiva; mentre nei passi citati l’unico potere al quale si allude è quello dell’illusione.
Eppure nei Manoscritti del 44 Marx aveva ben mostrato,
commentando ampie citazioni da Shakespeare, Goethe ecc. il
carattere di feticcio, nel suo significato completo, del denaro,
che moltiplica in forma astratta il potere magico, trasformativo
e di status symbol, delle protesi e dei surrogati12 con esso acquistabili:
Mondo boia! Di certo mani e piedi, / testa e chiappe sono
tue; / ma tutto ciò che mi godo in allegria / è per questo
meno mio? // Se mi posso pagare sei stalloni, / le loro forze
non sono le mie? / Corro via di galoppo e sono un uomo in
12
Ersatz in tedesco e francese.
h (51) h
gamba, / come se13 avessi ventiquattro zampe. ¶ […] cominciamo dall’interpretazione del passo di Goethe.14 ¶
Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione, ciò che
io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello
sono io stesso, il possessore del denaro medesimo.
Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il
mio potere. Le caratteristiche del denaro sono le mie
stesse caratteristiche e le mie forze essenziali, cioè sono
le caratteristiche e le forze essenziali del suo possessore.
Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso
comprarmi la piú bella tra le donne. E quindi io non
sono brutto, perché l’effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro. Io, considerato
come individuo, sono storpio, ma il denaro mi procura
ventiquattro gambe; quindi non sono storpio. […] Io
sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di
tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi
lo possiede? Inoltre costui potrà sempre comperarsi le
persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti, non è piú intelligente delle persone intelligenti?15
Perché nel Capitale quei commenti non sono stati riportati? Che Marx in qualche modo abbia intuito che avrebbero
13
14
15
Come se è la parola chiave. Sulla «pratica del come se» si veda Jacques Camatte, «Punto d’arrivo attuale dell’erranza» in Emergenza di Homo gemeinwesen Cap. 14–15, ed. Il Covile, Firenze 2021, traduzione di Gabriella Rouf.
Si tratta del discorso di Mefistofele a Faust.
Vedi lo stolido Conte d’Almaviva che con «quel metallo portentoso, onnipossente» può disporre della sagacia di Figaro.
h (52) h
messo in crisi quella trasparenza, quella naturalità del valore
d’uso16 che andava affermando?
La vana fug a dall’incarnazione ovvero il
su rrogato.
D
Io, considerato come individuo, sono storpio,
ma il denaro mi procura ventiquattro gambe;
quindi non sono storpio. Marx
unque il segreto del fascino del denaro (e delle merci) è
che permette di surrogare qualità corporee e mentali, delle quali siamo, o pensiamo di essere, privi nella nostra individuale incarnazione. Bisogna aggiungere che la frase di Marx
potrebbe essere riscritta sostituendo al termine denaro, quello
di potere: «Io sono brutto, ma posso ottenere la piú bella tra le
donne. E quindi io non sono brutto, perché l’effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal potere».
Oppure, invece di denaro, potremmo parlare di sapere.
Dice il critico d’arte: «Io non so tenere un pennello in mano,
ma poiché so parlare benissimo di un dipinto, allora sono piú
pittore io di quel bruto che lo ha realizzato»; Achille Bonito
Oliva ha scritto: «Critici si nasce, artisti si diventa». Il professore di filosofia che non sa distinguere un barolo da una gazzosa, avrà la sua tavola sempre fornita dei vini piú scelti dei
quali saprà con competenza e parole alate descrivere storia e caratteristiche.
Ebbene, anche la tecnica permette la stessa falsificazione e
sostituzione: «Io, considerato come individuo, sono storpio,
ma la tecnica mi procura ventiquattro gambe; quindi non sono
16
Vedi Marxisti antimoderni. Antologia, a cura di S. Borselli & A. Ermini, Il
Covile, Firenze 2018, pp. 27–32, 104–109.
h (53) h
storpio». Io come donna sono sterile, ma posso farmi impiantare un ovulo non mio ed avere la mia gravidanza, quindi
non sono sterile.
Andrebbe sottolineato che quest’ansia di sostituzione non
nasce da una sovrabbondanza ma da una mancanza («io sono
storpio»), da una non accettazione di sé e della natura. E forse
piú che a carenze fisiche e materiali dovremmo pensare a quelle affettive, a mancati riconoscimenti. Un bambino che si sente
amato per quello che è, si accetta e accetta l’altro, mentre nel
caso contrario vive nel disprezzo di sé e degli altri (oppure nel
suo apparente opposto, la sopravvalutazione compensatrice).
Tuttavia, come è noto, la farina del diavolo (padre della
menzogna e maestro degli ingannatori) va tutta in crusca: la sostituzione promessa nei versi di Goethe è illusoria, solo apparente e spesso addirittura controproducente. Lo storpio, con
i suoi sei stalloni, resta storpio; il brutto resta brutto; il sesso a
pagamento ha poco a che vedere con il libero dono reciproco;
la manipolazione dell’embrione per consentire la gravidanza
ad una donna già in menopausa certamente lo danneggia
(come alla fine emerge da ricerche scientifiche osteggiate in
tutti i modi); la sbobba industriale di McDonald e le zuppe
Campbell nemmeno ricordano il mangiare di casa; lo strappare il figlio dalla madre, come succede nelle gravidanze vicarie,
interrompe quel rapporto corporale tra madre e figlio che nessuna adozione potrà mai sostituire.
La natura di contraffazione, di ersatz di queste notturne
realizzazioni della tecnica, in sostanza, non consente a
quest’ultime di reggere alla critica della luce del giorno senza
il sostegno di un’impostura piú ampia, che permetta di celare
la differenza tra reale e posticcio. A tal fine l’espediente canonico diventa lo svilimento, prima di tutto linguistico, di quel
naturale che la tecnica vuol sostituire: non si dirà piú «far l’amore» ma «fare sesso», si inventeranno neologismi come «ge-
h (54) h
nitore biologico», «eterosessuale», «poeta formale», «pittore figurativo» per eliminare dal linguaggio i riferimenti alle reali
sorgenti della gioia (e sí, anche del piacere) naturale. Tutto
ciò ovviamente non bastando, si arriverà, come si sta arrivando, a proibire per legge di dire la verità.
Ma neppure la manipolazione della lingua e della mentalità è sufficiente: per nascondere l’evidente inferiorità del surrogato sarà necessario distruggere l’originale. Il sogno del nostro storpio invidioso (munito di cavalli) è che tutti siano storpiati alla nascita. Nel logico sviluppo delle cose la nascita naturale prima o poi dovrà essere proibita, ed insieme ogni forma
di bellezza e piacere reale o di rapporto umano non mediato da
protesi e dispositivi.
Prec isazione.
a prima parte di quanto sopra è stata occasionata dalla lettura di un denso articolo di Daniele Vazquez: «I primi
cedimenti del feticismo delle merci» pubblicato su L’anatra di
Vaucanson del 4 aprile 2016. In quel testo Vazquez fa seguire
ad una presentazione della questione del feticismo delle merci
davvero incisiva, nella quale cita appropriatamente Marx, Fredy Perlman, Isaak Rubin, Henri Lefebvre, Jacques Camatte,
tre conclusioni che ritengo errate. Eccole, seguite dalle mie osservazioni:
L
[ 1]
Oggi il capitale essendo costretto ad allargare le maglie
della circolazione della popolazione mondiale,
dell’informazione, avendo dovuto abbandonare tre generazioni di precari fuori dal mondo del lavoro indeterminato, tagliando sul welfare [...] ha prodotto una mobilitazione spontanea dal basso [...] spesso legata alla soluzione di bisogni e desideri immediati che hanno reso
molto piú consapevoli le persone. Tutto ciò ha prodot-
h (55) h
to una parziale de-domesticazione rispetto alle tesi di
Camatte.
☞ Senza riferirsi all’opera di Shoshana Zuboff sul Capitalismo della sorveglianza, successiva all’articolo in questione (è
del 2019), si consideri solo questo dato: per esperienza personale ho stimato in piú di tre ore al giorno, a metà degli anni ‘50,
il tempo medio di completa autonomia, vale a dire libertà di
muoversi fuori casa, soli e in gruppo, liberamente per strade,
cortili e natura senza controllo diretto di autorità adulta (parentale, scolastica, sportiva, psicologica, scoutistica, animatoria ecc.) della maggioranza dei bambini italiani tra i sei e i dodici anni (peraltro allora già scolarizzati), maggioranza che viveva in campagna, piccoli paesi, periferie «incontrollate». Nei
decenni successivi questa misura, spannometrica, l’abbiamo vista gradualmente ma senza interruzioni scendere fino ai valori
attuali: una manciata di minuti.17 No, direi che non ci sono segnali percepibili di «una parziale de-domesticazione»
[2]
Oggi le merci sono piú trasparenti, si può demistificare
lo sfruttamento del lavoro incorporato, i materiali con
cui sono prodotte, dove sono state prodotte, le imprese
che le producono e con abbastanza abilità sapere nomi
e cognomi degli stessi imprenditori. Nessuno può piú
nascondersi e le merci non sono piú un «geroglifico sociale», sono decifrabili e decodificabili.
☞ Ma per Marx il carattere misterioso e complesso della
merce («una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici») non consiste nel segreto degli ingredienti o della fabbricazione, bensí, come abbiamo visto, nel
17
Successivamente alla pubblicazione di questo testo (Il Covile № 646, settembre 2022) ho cercato di verificare queste asserzioni con un questionario. I risultati le hanno confermate ampiamente (vedi infra p. 91).
h (56) h
far apparire come naturale, semplice e oggettivo ciò che è invece storico, complesso e rapporto sociale: 1) l’acquisto, col denaro, di una merce che si è presentata al mercato e 2) il possesso
degli oggetti-feticcio acquistati (con i suoi risultati relazionali
e psicologici).
[3]
Il feticismo degli oggetti anche qualora non si presentino come merci, anche qualora non si presentino con le
sottigliezze del lavoro oggettivato astratto, non è eliminabile. E questo per una questione antropologica evidente: il feticismo non ha che fare solo con la reificazione del lavoro e la sua autonomizzazione come potenza estranea personificata dal capitalista, non è un’invenzione del capitale anche se è il segreto involontario della sua lunga vittoria, ma una relazione che gli uomini e
le donne hanno con gli oggetti per le emozioni, i sentimenti, i ricordi, i sogni, il gusto, i sensi, il piacere, in
una parola la soggettività che richiamano e costruiscono. [...] Non si tratta di un requisito della classe agiata,
è una condizione della specie umana. E forse una società senza feticismo non è neanche desiderabile.
☞ Giustissimo. Non vi sono dubbi che il feticismo sia un prodotto della specie (e, sembra, pure il valore e il capitale). Sono
le affermazioni che «non è eliminabile» e che «una società senza feticismo non è neanche desiderabile» che lasciano perplessi: i lavori di Camatte, naturali sviluppi del phylum teorico
marxiano, approdano alla constatazione realistica che la specie
si trova ormai di fronte a un bivio: o l’abbandono dell’immensa
rappresentazione che in millenni si è costruita (della quale,
come rileva Vazquez, il feticismo degli oggetti è uno dei motori primi) o l’estinzione.
h (57) h
M e rc i + + o v v e r o I f e tic c i no n s o n p i ú
quel l i d i u na vo l t a 1 8
J
acques Camatte, nella sua opera Emergenza di
Homo gemeinwesen, separa concettualmente quello che chiama il movimento del valore, da quello,
successivo, del capitale. Ciò, insieme ad altre importanti implicazioni che non tratteremo qui, gli permette di
non fraintendere il celebre incipit del Capitale di Marx:
La ricchezza delle società nelle quali predomina il
modo di produzione capitalistico si presenta come una
«immane raccolta di merci» e la merce singola si presenta come sua forma elementare. Perciò la nostra indagine comincia con l’analisi della merce.
Il passo ha infatti dato luogo all’idea che la mercificazione
sia caratteristica nuova e propria della società capitalistica.
Idea peregrina perché scambio, mercato, merci, equivalente generale, denaro, conio ecc. precedono di gran lunga l’affermazione del capitale. In effetti, a pensarci, quello che si presentava nelle agorà greche o nei fòri romani non era già una
«immane raccolta di merci», dove venivano «mercificati» alimenti, animali, uomini? Il capitale, imponendosi, ha trasformato in modo a lui confacente non solo il lavoro19 (dalla ricca
complessità di quello artigiano sussunto inizialmente nella ma18
19
Successivamente alla pubblicazione del testo precedente, sulla scorta delle forse ora meglio comprese chiarificazioni, anche terminologiche, di Jacques Camatte, mi sono reso conto di alcune lacune. Con questo provo a
colmarle.
Vedi: Gianfranco La Grassa, «Lavoro ‹astratto› ed espropriazione ‹reale›
dei produttori» Il Covile, № 664, aprile 2023.
h (58) h
nifattura, all’astrazione parcellizzata del lavoro meccanizzato
della fabbrica moderna) ma pure la natura della merce, come
vedremo. Scrive Camatte:
Torniamo al Capitale. La prima sezione ha per titolo
«Merce e denaro». Nel quadro di uno studio sul capitale, il fatto di non segnalare il carattere della merce e
del denaro poteva portare a confusioni Tuttavia Marx
in un altro testo afferma: «Partiamo dalla merce, da
questa forma specificamente sociale del prodotto, come
base e presupposto della produzione capitalistica. [...]
Ma d’altra parte la merce è il prodotto, il risultato, di
questa produzione: ciò che appare all’inizio come uno
dei suoi elementi, rappresenta poi il suo prodotto piú
specifico. Infatti, è solo sulla base della produzione capitalistica che il prodotto assume la forma generale della
merce, e piú la produzione capitalistica si sviluppa, piú
tutte le componenti di questo processo diventano merci».20 ¶ Il modo di produzione capitalistico generalizza
la forma merce, il che è pienamente riconosciuto e oggi
di moda sotto il nome di mercificazione. Da ciò, il capitale si assicura un solido presupposto per la crescita del
proprio processo. Tale mercificazione è d’altra parte ormai un fenomeno arcaico, concluso; ciò di cui a questo
punto si tratta è una capitalizzazione. ¶ Di conseguenza sarebbe stato bene formulare il titolo del primo capitolo: «La merce e il denaro come presupposti del capitale», per poi spiegare come non solo la moneta (il denaro) ma le merci (la forza lavoro come i mezzi di produzione) sono trasformate in capitale nel corso di un processo di produzione immediato, unità di un processo di
lavoro e di un processo di valorizzazione. Se non avve20
K. Marx, Risultati del processo di produzione immediato (chiamato anche
VI capitolo inedito del Capitale).
h (59) h
nisse cosí, il binomio, la dualità denaro-merce, persisterebbe e la discontinuità che normalmente s’impone
sarebbe escamotata: «La produzione capitalistica è produzione di plusvalore». Questa conferisce alla forma
moneta e alla forma merce un contenuto nuovo. Non si
deve dimenticare che, se il movimento del capitale è
possibile solo a seguito della separazione degli uomini,
delle donne, dalle loro comunità, dalla terra e dai mezzi di produzione, esso s’instaura e s’impone in quanto fenomeno di unione, di fusione della moneta e della merce, della forza-lavoro e dei mezzi di produzione. In seguito si sviluppa un fenomeno di sostituzione: tutti i
presupposti del capitale vengono riprodotti in forma capitalizzata.21
Ancora Camatte:
Nella prima parte del Sesto capitolo, dove è chiaramente
affermato che la produzione capitalistica è produzione
di plusvalore, Marx indica che le merci prodotte dal capitale devono essere studiate dopo quella del processo
di produzione immediato, perché ciò costituisce il «passaggio al secondo libro, la circolazione del capitale», là
dove si tratta delle metamorfosi del capitale e il loro ciclo. È l’altro risultato di questo processo. Tale studio è
contenuto in «Le merci come prodotti del capitale, della produzione capitalistica». ¶ «Sulla base del modo di
produzione capitalistico come modo predominante,
ogni merce è necessariamente, per colui che la vende,
merce-capitale».22
21
22
J. Camatte, «Il movimento del capitale» cap. 12 di Emergenza di Homo
gemeinwesen. Il capitolo e in corso di traduzione per la cura di Gabriella
Rouf. Le note sono state omesse. Enfasi nostre.
Ivi.
h (60) h
Per riassumere e, spero, aiutare a comprendere, propongo
questa tabella che mostra le variazioni della presentazione, del
«carico», degli oggetti nei successivi contesti:
Periodo
Oggetto come
Fascino da
Inizi
Feticcio
Mana
Movimento del valore
(dal neolitico fino
all’epoca moderna)
Merce tipo 1
Valore
Movimento del capitale
(epoca moderna e
contemporanea)
Merce tipo 2
(Merce-capitale,
quantum di capitale
circolante)
Logo, Puro
acquisto, Modernità, Astratta
disponibilità di
potenza
Dobbiamo tuttavia notare che mentre il passaggio dello
statuto degli oggetti da feticcio a merce del primo tipo è generalmente ben compreso non cosí si può dire della successiva metamorfosi.23 Il citato Vazquez dunque titolava bene il
suo testo «I primi cedimenti del feticismo delle merci», solo
che prendeva per un tramonto quello che era il meriggio, il
pieno dispiegamento del capitalismo.
23
Un esempio dalla voce Feticcio della Treccani, già citata nel №646: «Cosí il valore delle merci, che ha la sua origine in un rapporto sociale ed è il
risultato di un’attività economica (il lavoro), viene attribuito agli oggetti
materiali, i quali possono essere scambiati fra di loro come se il valore fosse una proprietà intrinseca agli oggetti stessi. Se si prescinde dal valore
d’uso delle merci — afferma Marx —, si prescinde anche dalle loro forme
corporee; la merce perde le qualità sensibili a favore del valore di scambio,
l’equivalente del mana che i primitivi attribuivano agli oggetti e agli animali cancellando la loro natura» (parte del lemma a cura di Enrico Comba).
h (61) h
Caveat.
P
rima di passare ad alcune esemplificazioni è necessario
puntualizzare che la serie storica presentata in tabella
non è da vedere in senso riduttivo e meccanico: innanzitutto i
processi di capitale D-M-D+ iniziano millenni prima dell’epoca moderna,24 solo che allora il capitale, non ancora in grado di dominare il processo produttivo su larga scala, era allo
stadio di fenomeno marginale e non percepibile, come l’Alzheimer decenni prima della diagnosticabilità. Di contro, forme
economiche e mentalità ‹passate› rimangono vive e attive ben
oltre la perdita storica della dominanza. Cosí le tre modalità
degli oggetti sono ancora oggi, con differenze per aree sociali
e geografiche, tutte presenti. La storia ci narra infatti di insospettate anticipazioni, di resistenze fiere e protratte nonché di
veri e propri arretramenti (si pensi al crollo dell’impero romano), come spiega Eugenio Montale:
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C’è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto piú può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e piú di un pesce sfugge.
24
Camatte ricorda che Marx in questo caso usa il termine «formel Capital»,
capitale formale.
h (62) h
Qualche volta s’incontra l’ectoplasma
d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
piú liberi di lui.25
Illustrazion i dell’uso della tabella.
i pensi ai mobili che, offerti al desiderio mimetico delle
amiche, si avvicendavano nell’arredamento del salotto di
Madame de Pompadour: li possiamo facilmente identificare
come merci del primo tipo; quelli che stabilmente, in una ricerca durata una vita, riuscí ad ospitare nella sua casa Mario Praz
erano invece per lui palpabili feticci, carichi di un mana fatto
di storia, memoria e bellezza. E che dire del totalmente apraziano Veltroni che quale primo segretario del PD, ostenta la
sede rifatta tutta IKEA?: merci del secondo tipo.
Cosí il durevole dipinto manierista dell’Allori, commissionato nel cinquecento da un magnate fiorentino, che per secoli
ha fatto mostra di sé nel palazzo di famiglia per esser poi
vantaggiosamente venduto nel difficile ultimo dopoguerra, nonostante le vestigia di feticcio lo collochiamo tra le merci del
primo tipo, a differenza dei centinaia di effimeri schermi da
computer che adornano (?) le stanze della villa di Bill Gates
con riproduzioni on demand (con un clic si apre il menu)
dell’immagine di migliaia di dipinti; schermi che identifichiamo senza difficoltà, né invidia, come merci-capitale.
Gli esempi potrebbero continuare, si pensi alle auto Euro4, merci-capitale nate già con rottamazione programmata,
mentre i cultori delle auto d’epoca provano a far risalire allo
S
25
Da: «La storia», in Satura, 1971.
h (63) h
stadio di feticcio gli amati veicoli vintage, come l’Anglista. Ma
ci fermiamo qui.
Merci non piú tesaur izzabili.
Sempre Camatte:
Marx termina il primo libro con la settima sezione:
«L’accumulazione del capitale», che si trova in corrispondenza, concordanza, con la terza parte del capitolo I risultati, vale a dire: «La produzione capitalistica
è produzione e riproduzione del rapporto di produzione specificamente capitalistico». ¶ Aggiungiamo che
nella settima sezione si trova una certa confusione di
termini tra accumulazione e riproduzione. Il capitale
non accumula, né si accumula, ma si riproduce su scala
costantemente allargata. È il denaro, in quanto numerario, in quanto moneta, che fu accumulato sotto forma
di tesoro, tesaurizzato, il che costituiva ostacolo al movimento del valore. Se il capitale accumulasse, non
avrebbe invaso tutti gli ambiti della vita umana, come si
è effettivamente realizzato in seguito alla sua riproduzione sempre allargata. L’accumulazione evoca qualcosa di statico; si potrebbe dire una staticità. Al contrario
la riproduzione implica la fluidità, come è spiegato in
Risultati.26
Questa osservazione è fondamentale per comprendere le
successive metamorfosi del feticismo: le merci del primo tipo,
soprattutto quelle di lusso, gioielli, tappeti, dipinti, ecc., venivano anch’esse accumulate e conservate in quanto condividevano col denaro l’aspirazione alla perennità, ma con l’avvento
del capitale tutto deve cambiare:
26
J. Camatte, «Il movimento del capitale», op. cit.
h (64) h
L’imperiturità [Unvergänglichkeit], alla quale aspira
il denaro mentre si rapporta negativamente di fronte
alla circolazione (sottraendosi a essa), la raggiunge il
capitale, proprio per il fatto che esso si abbandona alla
circolazione.27
27
Karl Marx, Urtext, ed. Il Covile, 2023, p. 142.
h (65) h
D e l l a dif f i co l tà a pens a r e a l c a pit a l e
c om e a d un e s s e r e .
G
ianni Collu mi elencava, tra le divergenze che lo
avevano allontanato da Jacques Camatte, quel
suo, di Jacques, voler vedere il capitale come una
cosa, un essere. Obiezione che ho poi sentito an-
che altrove.28
Qualche giorno fa ho visto, in un Arno in quiete ma con
un bel flusso, dei piccoli mulinelli che procedevano insieme a
foglie, ramoscelli ecc. Anche se il mulinello, lo sappiamo, non
è che un movimento dell’acqua medesima, lo si vedeva passare
come una cosa tra le altre. E in effetti di questi fenomeni se ne
studiano le leggi: una tromba d’aria, l’onda che si rifrange, ma
anche un’azienda, una classe sociale, vengono comunemente, e
non potremmo fare diversamente, rappresentate, viste, studiate come entità con vita propria, come un ente «duro». Cosí
uno storico, ad esempio, potrà pensare all’Impero romano
come ad un soggetto attivo e in qualche modo dotato di scopo,
volontà, ratio, ecc. Negli anni settanta gli operaisti lo facevano per «la classe». Avviene anche il contrario: una massa può essere concepita come una curvatura del cronotopo, un uomo
come un processo organizzato di ricambio chimico ecc. ecc.
Proibirsi di, o non riuscire a, vedere il capitale (una cosa
cosí pervasiva e cruciale) come un essere costituisce perciò un limite cognitivo.
Da Jacques Camatte, Questo mondo che bisogna abbandonare, ed. Il Covile 2019, pp. 80–81:
28
Del resto anche Joseph De Maistre la vedeva come Marx. È ben noto quello che scrive nelle sue Considerazioni sulla Francia: «Non sono gli uomini
che guidano la rivoluzione, è la rivoluzione che guida gli uomini».
h (66) h
Il capitale ha dunque assoggettata a sé stesso la circolazione; lo stesso dovrà fare, simultaneamente, col movimento sociale. Marx fornisce un’altra determinazione dell’antropomorfosi del capitale. Lo considera
come un essere [«a human being»] che sarebbe un
enorme lavoratore. ¶ «Il capitale in processo — che effettua una rotazione (zurücklegend) — viene considerato come capitale che lavora, e i frutti che si suppone
esso dia, devono essere calcolati in base al suo tempo di
lavoro — ossia al tempo di circolazione complessivo
di una rotazione. La mistificazione che ne risulta è nella natura del capitale». (Grundrisse, tr. it. La Nuova
Italia, p. 319)
Per questa immagine vedi l’istruttivo:
https://www.youtube.com/watch? v=eqROBTVgL6A
h (67) h
Parole chi a v e : «S v a loriz z a z i o ne»,
«Equ i val e nt e g e n e r a l e ».
En passant par la Lorraine.
XVI sec., tradizionale,
musica attribuita a Orlando di Lasso.
En passant par la Lorraine,
Rit.1
Avec mes sabots,
Rencontrai trois capitaines,
Avec mes sabots, / Dondaine, oh! Oh! Oh!
Rit.2
/ Avec mes sabots.
Ils m’ont appelée: Vilaine!
Je ne suis pas si vilaine,
Puisque le fils du roi m’aime,
Il m’a donné pour étrenne,
Un bouquet de marjolaine,
Je l’ai planté sur la plaine,
S’il fleurit, je serai reine,
Mais s’il y meurt, je perds ma peine.
2 vv.
3 vv.
1 con Rit. 2,
2 con Rit.1.
Idem.
Idem.
Idem.
Idem.
Idem.
Idem.
Idem.
1 volta
con Rit. 1.
Les sabots d’Hélène.
1954, parole e musica di Georges Brassens.
Les sabots d’Hélène
Étaient tout crottés,
Les trois capitaines
L’auraient appelé vilaine,
h (68) h
Et la pauvre Hélène
Était comme une âme en peine…
Ne cherche plus longtemps de fontaine,
Toi qui as besoin d’eau,
Ne cherche plus: aux larmes d’Hélène
Va-t’en remplir ton seau.
Moi j’ai pris la peine
De les déchausser,
Les sabots d’Hélène,
Moi qui ne suis pas capitaine,
Et j’ai vu ma peine
Bien récompensée...
Dans les sabots de la pauvre Hélène,
Dans ses sabots crottés,
Moi j’ai trouvé les pieds d’une reine
Et je les ai gardés.
Son jupon de laine
Était tout mité,
Les trois capitaines etc...
Moi j’ai pris la peine
De le retrousser,
Le jupon d’Hélène,
Moi qui ne suis etc...
Sous le jupon de la pauvre Hélène,
Sous son jupon mité,
Moi j’ai trouvé des jambes de reine
Et je les ai gardées.
Et le cœur d’Hélène
Savait pas chanter,
h (69) h
Les trois capitaines etc...
Moi j’ai pris la peine
De m’y arrêter,
Dans le cœur d’Hélène
Moi qui ne suis etc...
Et, dans le cœur de la pauvre Hélène,
Qui avait jamais chanté,
Moi j’ai trouvé l’amour d’une reine
Et moi je l’ai gardé.
In italiano.
Passando per la Lorena / coi miei zoccoli / incontrai tre capitani. / M’han chiamato: brutta contadina! / Non son cosí
brutta, / se il figlio del re mi ama, / lui mi ha dato in dono / un
mazzo di maggiorana, / l’ho piantata nella piana, / se fiorisce,
sarò regina, / ma se muore, pena inutile, / resterò contadina.
§§§
Gli zoccoli di Elena / erano tutti sporchi, / i tre capitani /
l’avrebbero chiamata contadinaccia / e la povera Elena / era
come un’anima in pena... / Non cercar piú fontane, / tu che hai
bisogno d’acqua. / Non cercar piú: alle lacrime di Elena / vai a
riempire il secchio. / Mi son dato la pena / di toglierli dai piedi, / gli zoccoli di Elena. / Io che non sono capitano, / e ho visto la mia pena / ben ricompensata… Negli zoccoli della povera Elena, / nei suoi zoccoli sporchi / ho trovato i piedi di una
regina / e li ho tenuti per me./ La sua gonna di lana / era tutta
tarmata… / Io mi son preso la pena / di tirarla su / la gonna di
Elena… / Sotto la gonna della povera Elena, / sotto la sua gonna tarmata, / ho trovato gambe da regina / e le ho tenute per
me. / E il cuore di Elena / non sapeva cantare… / Io mi son preso la pena / di fermarmi, / nel cuore di Elena… / E, nel cuore
h (70) h
della povera Elena, / che non aveva mai cantato, / ho trovato
l’amore di una regina / e l’ho tenuto per me.29
Senza Lor ena.
o raccolto questi appunti come omaggio alla Lorena (mia patria mancata che ora come regione
non esiste piú) e alle sue bellezze, che conservo
nella sede dei ricordi. Le due canzoni, (vanno
prima ascoltate) sono qui occasione di una lezioncina che speriamo non annoi. I lettori perdoneranno perché si tratta di un
H
gioco.
Le disavventure della merce e l’equivalente
gen erale.
n noto passo dei Grundrisse descrive la momentanea
svalorizzazione che càpita alla merce quando, già
perfetta, cioè finita, pronta, sta per essere presentata al mercato. In quel momento il valore che racchiude è come annullato, perché per varie ragioni la sua vendita potrebbe avvenire in
rimessa o addirittura non avvenire. Orbene, En passant par la
Lorraine intanto ci parla proprio di quello: racconta una disputa sul valore della bella zoccolante. I tre capitani, brutalmente, la svalorizzano con la sentenza: vilaine (contadina) dunque vilaine (brutta). Ma, fornendoci materiale per un approfondimento dei rudimenti marxiani, la ragazza tira fuori
l’equivalente generale della giustizia, il re. Il figlio del re ne è
innamorato, certificando cosí che lei non è per niente vilaine,
ma vale e vale molto. Ora, attenzione, è il re che l’ama, non
viceversa. La bella lorenese non parla di affetti ma di opport-
U
29
Le traduzioni delle canzoni sono di Gabriella Rouf.
h (71) h
unità: si stratta di puro calcolo. Si prenderà la pena, la fatica di
piantare il bouquet che il principe le ha donato e se l’ordalia
avrà successo (la maggiorana può riprodursi per talea) sarà regina. Altrimenti l’investimento (la pena) andrà perduto.
Le lacrime d’Hé lèn e.
eorges Brassens, da par suo, ritorna sulla vicenda conservandone tutte le parole chiave: Sabots, Vilaine, Peine, Roi-Reine, ma con importanti modifiche. La bella perde la
certezza dell’origine geografica (la Lorena non è menzionata,
forse è sottintesa), ma acquista concretezza, piedi, gambe,
cuore, e un nome: Hélène. Il tema della svalorizzazione dei tre
capitani permane ma l’umanissima ragazza ora è capace di
piangere, eccome. Sebbene quel secchio non deve essere confuso con la langella (brocca) di Fenesta vascia, ricolma di «lacreme d’ammore»: quelle di Hélène sono lacrime di disappunto
da svalorizzazione. Brassens ha compiuto tuttavia un passo decisivo abolendo il re e facendo assegnare individualmente il valore alle cose. È aperto un percorso che può condurre fino alla
perdita dell’idea stessa di valore. E il valore non è una cosa, è
G
un’idea…
Rimane un punto sospeso: ma la bella Hélène sarà poi
davvero capace di affetto? Qui si resta perplessi perché lo
chansonnier ci informa che quello di Hélène è «l’amour d’une
reine» (riecco l’equivalente generale: la regina lo è della bellezza), e Brassens, che ha cantato Villon, non poteva non avere
presente che le regine, le dames du temps jadis, (e pure la bella
«padrona crudele» del postulante di Fenesta vascia) sono in genere sans merci, anaffettive, algide come les neiges d’antan.
h (72) h
Je les ai gardés.
on si rende giustizia a Brassens però se non si sottolinea la parola chiave che aggiunge: Garder, tener per sé,
custodire, proteggere. Per opposizione salta alla mente Pongo
Twistlelon in Uncle Dynamite, una delle vette wodehousiane,
che alla vista del sorriso di Sally (che «ti lampeggiava come le
luci di una taverna di paese scorte attraverso la nebbia e
l’oscurità alla fine di una marcia di dieci miglia e ti trasportava in un mondo di intimità, gioia e risate») si trova a provare
«una momentanea fitta di nostalgia, un rapido spasimo di
quell’autorimprovero che arriva a un uomo consapevole di essersi imbattuto in una cosa buona e di aver omesso di portarla
avanti».
N
I testi.
L
Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica [Grundrisse], III,
Il Capitale. Seconda Sezione,
(1) Il processo di circolazione del Capitale.
a svalutazione di cui qui si tratta è quella che riguarda il capitale che dalla forma di denaro è passato a quella di una merce, di un prodotto che ha un determinato prezzo che deve essere realizzato. In quanto
denaro, esso esisteva come valore. Ora esso esiste come
prodotto, e solo idealmente come prezzo; ma non come
valore in quanto tale. [...] Ora il capitalista non entra
piú nel processo di circolazione in veste di soggetto dello scambio, ma di produttore di fronte agli altri soggetti dello scambio che hanno la veste di consumatori.
Costoro debbono scambiare denaro per ricevere la sua
merce che serve al loro consumo, mentre egli scambia il
suo prodotto per ricevere il loro denaro. Se per ipotesi
questo processo non si compie — e la possibilità che
h (73) h
non si compia è data in ciascun singolo caso semplicemente dalla loro separazione —, ecco che il denaro del
capitalista si è trasformato in un prodotto privo di valore, e non solo non ha acquistato nessun valore nuovo,
ma ha anche perduto quello originario. ¶ Che ciò accada oppure no, la svalutazione costituisce in ogni caso
un momento del processo di valorizzazione; il che è già
implicito nel semplice fatto che il prodotto del processo nella sua forma immediata non è un valore, ma deve
previamente rientrare in circolazione per essere realizzato in quanto tale. Se è vero dunque che attraverso
il processo di produzione il capitale è riprodotto come
valore e come nuovo valore, è al tempo stesso vero che
esso è posto come non-valore, come qualcosa che deve
essere previamente valorizzato attraverso lo scambio.
Jacques Camatte, Glossario, vedi
Il Covile №480, novembre 2018.
Equivalente generale. È il risultato di un fenomeno
di esclusione di un elemento da un insieme, elemento
che, da allora in poi, potrà rappresentare qualsiasi elemento dell’insieme stesso. K. Marx ha messo in evidenza ciò per quanto riguarda il denaro (valore), ma è
valido per tutti i valori. L’esclusione è accompagnata
da un’elezione. In altre parole, ciò che viene escluso diventa eletto, elevato al grado di unità superiore che
fonda e rappresenta. I concetti sono in generale degli
equivalenti generali. Cosí l’Uomo è un equivalente generale. Esso presuppone l’esclusione di un dato tipo di
uomo — quello determinato dal sorgere del modo di
produzione capitalistico — che tenderà a rappresentare tutti i tipi di uomini possibili (esistiti e che esistono
ancora). Ciò appare nettamente quando si tratta di diritti dell’Uomo.
h (74) h
Valore. «È il fenomeno della rappresentazione del discontinuo che opera nella comunità che si disintegra; il
che pone la necessità di una quantificazione che renda
idonea la rappresentazione del posizionamento dei suoi
membri al suo interno». ¶ «Il valore è un operatore
dell’attività umano-femminina, a partire dal momento
in cui c’è scissione con la comunità. È un concetto che
include misura, quantificazione, giudizio di esistenza.
Esso si purifica nel corso della sua autonomizzazione,
vale a dire che si distacca dalle rappresentazioni mitiche
e si carica di nuove determinazioni a seguito della sua
operatività in vari ambiti — al di fuori di quello strettamente economico da cui è sorto nella sua determinazione che lo rese operativo — che possono conoscere dei divenire piú o meno divergenti». ¶ Ogni valore è un equivalente generale, che sia il valore economico, la giustizia, l’onore, l’amore, la bontà, ecc…
h (75) h
Parol e c hi a v e : «Comb i n a t o r i a ».
P
roprio perché era su Campari & de Maistre, una dinamica testata di area cattolica conservatrice e di
conseguenza impegnata nella battaglia contro l’ideologia del Gender, mi ha colpito un articolo, di
Lorenzo Zuppini, per il suo far positivamente riferimento alla
«genitorialità»; il termine compare anche nel titolo, normalmente di responsabilità redazionale: «Lo scandalo delle adozioni etiopi e la genitorialità».30
Genitorialità è vocabolo ormai diffuso, tanto da comparire
nella Treccani; sarebbe un attributo che le persone possiedono
(o meno, come la madre snaturata di Balocchi e profumi) indipendentemente dal proprio essere genitori in senso naturale. I
giovani redattori della rivista non si rendono tuttavia conto che
30
In Campari & de Maistre, 29 marzo 2018. Un estratto (corsivi nostri):
«Parla Marta, madre adottiva di Rediet e Meles, rispettivamente otto e dieci anni, arrivati dall’Etiopia. Una donna il cui ventre non sarebbe stato in
grado di accoglierli, ma la cui bontà e voglia di maternità la avevano resa paziente e disponibile. Lei e il marito aspettano sei anni e pagano trentamila
euro, accolgono Rediet sebbene non sia sana come era stato invece raccontato. Il dono della genitorialità è presente in questa coppia. Il problema sorge
allorquando vengono a galla le vere storie di questi due bambini. Non
sono orfani, Rediet ha detto alla madre che sarebbe tornata dopo aver studiato in Italia presso la famiglia adottiva, Meles ha addirittura già vissuto
l’esperienza di questa tipologia forzata di adozione: portò di peso il fratellino sul pulmino bianco per essere «spedito» altrove, applaudito per questo
dal padre, sebbene adesso Meles sogni i pugnetti del fratello che battono
sul vetro dell’autobus che si allontana. Marta ha raccontato a Valentina
Furnaletto di correre la notte dal figlio che piange disperato, consolandolo al meglio che può, ma invano. Una gioia si è trasformata in un incubo, e
questa storia viene confermata da molte altre famiglie adottive. L’ente accreditato che ha seguito l’adozione nega qualsiasi tipo di stortura nella pra-
h (76) h
l'uso di quel termine condivide, come direbbe Jean Baudrillard, «una medesima logica astratta», «un medesimo codice»
«di combinatoria e di calcolo virtuale»31 coi da loro (e da noi)
deprecati Gender studies. La genitorialità produce la frammentazione di quelle realtà totali (materiali, biologiche, psicologiche, spirituali) che sono la maternità32 e la paternità, mentre i
Gender studies
propongono [...] una suddivisione, sul piano teoricoconcettuale, tra questi due aspetti dell'identità: [1] il sesso (sex) [che] costituisce un corredo genetico, un insieme di caratteri biologici, fisici e anatomici [… 2] il genere (gender) [che] rappresenta una costruzione culturale
(Wikipedia, voce «Studi di genere»).
Riassumendo. In natura e nella tradizione abbiamo queste
polarità:
Maschi
Coppie con figli
Femmine
Coppie senza figli
Applicando Gender (in ridottissima versione binaria) alla
prima polarità e genitorialità alla seconda arriviamo, intanto, a
quattro combinazioni per ciascuna:
31
32
tica adottiva, affermando che i bambini inventano problemi senza alcun valido motivo. La realtà è che tutti i bambini adottati da altre coppie raccontano la solita storia: un pulmino bianco che gira per i villaggi poveri
dell’Etiopia e va letteralmente a caccia di bambini».
Cfr. Jean Baudrillard, Per una critica dell’economia politica del segno, Mazzotta, Milano, 1974, orig. 1972, p. 135.
Non si tratta di questioni terminologiche: il concetto di maternità quando
viene separato dalla sua materialità biologica ha la stessa operatività dissolutrice e produttiva di capitale di genitorialità.
h (77) h
Maschi-maschili
Femmine-maschili
Maschi-femminili
Femmine-femminili
Coppie con figli
e genitorialità
Coppie senza figli
e genitorialità
Coppie con figli
senza genitorialità
Coppie senza figli
senza genitorialità
Ovviamente le cose non si fermano qui. Nel caso dei ses si, timidamente Wikipedia parla di suddivisione in due attri buti, ma si è già ben oltre:
Per comprendere meglio il concetto possiamo dire che
l’identità sessuale è un costrutto multidimensionale che
possiamo operativamente scomporre in 4 dimensioni:
[1] Sesso biologico: questa è la parte fisiologica
dell’espressione cromosomica che ci fa essere donne con
cromosomi XX e uomini con cromosomi XY. [2]
Identità di genere: rappresenta la sensazione soggettiva
di appartenenza alle categorie psichiche di maschio e
femmina. [3] Ruolo di genere: questa è l’espressione esteriore culturalmente e socialmente determinata dell’identità di genere. È composto dall’insieme di aspettative e ruoli su come gli uomini e le donne si debbano
comportare in una data cultura e periodo storico. [4]
Orientamento sessuale: ovvero l’attrazione erotica ed
affettiva per una altra persona che può essere del sesso
opposto, dello steso sesso oppure di entrambe i sessi
[...].33
33
Laura Nardecchia, «Cosa è l’identità sessuale», in Sessoeluna, 26 ottobre
2011. Corsivi nostri.
h (78) h
Vi risparmio la tabella con le ventiquattro combinazioni,34
che prenderebbe un'intera pagina, ma l'obbiettivo era invitare a
letture e riflessioni sul senso profondo di queste scomposizioni
operative. Viene alla mente Jacques Camatte, per il quale la
combinatoria è un concetto chiave per la comprensione della nostra società:
Il dominio totale sia formale che reale del capitale sugli uomini, sulle donne e sulla natura avviene attraverso
un immensa combinatoria, simile a un meccanismo infernale in cui gli individui e le loro rappresentazioni
sono i resti di un lontano passato.35
Se la prosa del pensatore francese appare come astratta si
faccia uno sforzo, ne vale la pena perché ci aiuta a comprendere aspetti della realtà odierna, evidenze. Come quella che la genitorialità ha aperto, come testimonia l'articolo ma è noto ormai da gran tempo, un vasto e fiorente mercato internazionale
di noleggio di uteri e compravendita di bambini.
Jacques Camatte, Glossario, vedi
Il Covile №480, novembre 2018.
Combinator ia e Combinismo [combinatoire et combi-
nisme]. Combinismo: teoria e comportamento — teoria e pratica non sono separate — la cui base è la combinatoria. Ciò implica che il reale risulta
dall’instaurarsi di questa, e che il presentarsi di quello, la sua manifestazione, implica una combinatoria
di epistemi, anche molto antichi, e una combinatoria
di pratiche. Queste si presentano come manipolazio34
Minime, l'insieme dei casi del Ruolo di genere non è ben definito.
35
Jacques Camatte, «Plan de la seconde partie» [di «Le mouvement du capital»], http://revueinvariance.pagesperso-orange.fr.
h (79) h
ni, nel senso piú generale, che include tanto la sperimentazione scientifica quanto il bricolage, quindi
l’intero arsenale tecnico prodotto in migliaia di anni.
Può esserci combinatoria solo se c’è coesistenza, tolleranza, permissività, gioco, messa in gioco o messa in
scena; solo se ogni elemento ha un certo gioco;
d’altro canto sono necessarie trasparenza, adattabilità
e il suo complemento, la selezione, il che implica anche l’obsolescenza perché la combinatoria si rinnovi,
e l’illusione del progresso, cosí come l’immaginazione, l’innovazione. Il tutto è possibile, e soprattutto
probabile, s’impone grazie alle reti e alla comunicazione, agenti essenziali dell’avvio della combinatoria
e della sua realizzazione. ¶ La combinatoria è in un
certo senso dispotica: essa ingloba tutto, recupera tutto, persino i valori. È il gioco del capitale divenuto
completamente autonomo, privato di sostanza, di interiorità (antropomorfizzazione autonomizzata), che
si presta a tutto grazie all’espansione della comunicazione che uomini e donne percepiscono come valore,
al fine di poter ancora situarsi nel loro mondo. Tuttavia, la combinatoria può essere effettiva solo se gli
agenti si affidano alla dinamica che, in definitiva, è
epifanizzazione del meccanismo infernale. Un imperativo morale domina il tutto, anche se non lo si dice:
si deve combinare per adattarsi e, per questo, occorre
spogliarsi di tutto ciò che, in noi, può inibire la comunicazione, motore della combinatoria. ¶ I fenomeni vitali sono interpretati, vissuti, attraverso la combinatoria. Es.: la sessualità. Si combina per esistere.
h (80) h
La d i v a r i c a z i one d e l ’7 7 .
Baudrillard-Camatte-Collu vs Negri-Mieli-Foucault.
uella che viene comunemente chiamata «la profezia» di Del Noce sulla inevitabile trasformazione in movimento radicalborghese, è spesso intesa
come attribuita a tutto il marxismo. Per esemplificare, ecco come Vittorio Messori riassume una sua intervista
col filosofo, i corsivi sono nostri:
Q
«Era prevedibilissimo», rispondeva Del Noce a chi gli
chiedeva conto di queste sue virtú «profetiche». «Non
occorreva davvero essere indovini: persa per strada
l’utopia rivoluzionaria, l’essenza di surrogato religioso,
è restato al marxismo soltanto il suo aspetto fondamentale, di prodotto dell’illuminismo scientista, del razionalismo che esclude Dio per una scelta previa e obbligata. Anche il comunismo «all’europea», dunque, si è
rovesciato nel suo contrario: voleva affossare la borghesia e ne è divenuto una delle componenti piú salde ed essenziali».36
La lettura dei testi delnociani mostra tuttavia che il filosofo, ben consapevole della molteplicità delle interpretazioni
di Marx, accortamente non parlava del marxismo in toto, ma si
riferiva ad alcune sue aggettivazioni e segnatamente a quella
cosiddetta gramsciana, in sostanza al PCI:
L’esito del gramscismo e dell’eurocomunismo non può essere che quello di trasformare il comunismo in una componente della società borghese ormai completamente
36
Vittorio Messori, «Augusto Del Noce: la ‹catastrofe› della modernità» in
Pensare la storia, San Paolo, Milano 1992, p. 667.
h (81) h
sconsacrata, o di agire per la sua definitiva dissacrazione corrispondente a quella che è l’intenzione
profonda dello spirito borghese. Non stupisce perciò se
il comunismo italiano appare oggi come la forza piú
adeguata a mantenere l’ordine in un mondo in cui qualsiasi religione è scomparsa; non soltanto la religione
cattolica, ma ogni sua forma anche immanentistica e secolare; anche la fede nel comunismo. L’insoddisfazione
sincera dei rivoluzionari autentici trova giustificazione.
Certo, il comunismo gramsciano può riuscire, ma realizzando l’esatto opposto di quel che si proponeva.37
Notiamo inoltre come nel brano Del Noce accenni a un
resto di «rivoluzionari autentici» insoddisfatti di una deriva
che porta all’abbandono della lotta di classe in nome della
realizzazione dell’antico progetto dei surrealisti: le nozze alchemiche (via Nietszche, e contronatura) tra Marx e Sade.
L’avanguardia [i surrealisti] prendeva coscienza di
quella che doveva essere la sua vera posizione […] e
neppure giudicava errata la proposta comunista, ma soltanto inadeguata; il marxismo doveva essere completato moralmente con Sade38 e con Freud […].39
E questi «insoddisfatti» «rivoluzionari autentici» non erano un’astratta possibilità, esistevano realmente. Del Noce li conosceva e li ascoltava con attenzione:
37
38
39
Augusto Del Noce, Il Suicidio della Rivoluzione, Rusconi, 1978, p. 321, pp.
333–334. Note omesse. Corsivi nostri.
Sul tema: Riccardo De Benedetti, La chiesa di Sade. Una devozione moderna, Medusa, Milano 2008.
Augusto Del Noce, «L’Erotismo alla Conquista della Società», in Rivoluzione, Risorgimento, tradizione, ed. Giuffrè, Milano 1993, p. 79.
h (82) h
Possiamo tradurre queste tesi [del marxista Riechers] in
termini diversi ma equivalenti. Che nella realtà effettuale, il comunismo gramsciano esegue le intenzioni
della borghesia. Che ha la funzione storica di coprire la
transizione da uno stadio all’altro della borghesia, segnato da un piú oppressivo dominio.40 ¶ Ascoltiamo
anzitutto il suo avversario Bordiga. Egli ha piú volte portato l’attenzione sull’errore fondamentale di aver sostituito all’opposizione capitalismo-proletariato quella
fascismo-antifascismo; nell’aver creato il mito del fascismo come male in sé elevandolo, come altri han detto, a
categoria metastorica. Nell’ultima sua intervista disse
che l’antifascismo aveva dato «vita storica al velenoso
mostro del grande blocco comprendente tutte le gradazioni dello sfruttamento capitalistico e dei suoi beneficiari, dai grandi plutocrati giú giú fino alle schiere
ridicole dei mezzi-borghesi, intellettuali e laici [...]».41
La divaricazione del 1977.
ntorno al 1977 nel marxismo arrivarono a maturazione
sia le tendenze ben individuate da Del Noce sia la riflessione sulla loro natura capitalistica. Si venne perciò a creare una
vera e propria linea di faglia, una frattura che nel tempo avrebbe diviso la Pangea marxista in due continenti sempre piú
lontani.
I
Tutti foucaultiani.
rendiamo come anno di riferimento il 1977 perché è
quello nel quale Toni Negri esule a Parigi, in una eu-
P
40
Augusto Del Noce, Il Suicidio…, cit., p. 321.
41
Ibidem, p. 322.
h (83) h
foria che ricorda l’esaltazione provinciale di Madame Bovary,42 dimentico del giovanile operaismo si installava nei salotti
bobo, all’epoca tutti foucaultiani:
Sto spostando sempre piú il centro dei miei interessi a
Parigi. ¶ Comincio ad approfondire il mio lavoro studiando, questa volta in maniera continua, sia Deleuze
(che comincio a incontrare) sia Foucault (sono in contatto con molti dei suoi allievi piú diretti, da Ewald a
Fontana).43
Saranno quegli incontri a dare origine a quell’«amalgama
di idee»44 che Barbara Carnevali ha di recente definito «la
Theory»:
Un simulacro di filosofia, la Theory, si aggira per i dipartimenti del mondo intero. Non stiamo parlando
dell’opera di un autore particolare, dal momento che
molti acclamati theorist sono pensatori a tutti gli effetti,
e nemmeno dell’autorevole scuola filosofica che ha rivendicato l’appellativo di Teoria Critica; ma di quella
specie di scolastica postmoderna nota a chiunque insegni una materia umanistica all’università: un amalgama
di idee e formule di varia provenienza disciplinare (prevalentemente filosofia, psicanalisi e sociologia), estratte da un canone di autori disparati ma accomunabili in una generica postura radicale (Marx, Nietzsche,
Lacan, Foucault, Deleuze, Bourdieu, Agamben, Said,
Spivak, Butler, Žižek, l’onnipresente Benjamin, l’uscente Derrida, la new entry Latour…), fuse in un solo
crogiolo e ridotte a un’agenda tematica angusta: il po42
43
Ne abbiamo già parlato nel Covile n° 886, febbraio 2016.
Toni Negri, Storia di un comunista, a cura di Girolamo De Michele,
Ponte alle Grazie, Milano 2015, p. 587.
44
Ma diremmo anche di persone, carriere e interessi.
h (84) h
tere, il bios, il genere, il desiderio e il godimento, il soggetto e le moltitudini, la coppia dominanti-dominati, il
capitale e lo spettacolo, etc.45
I tre moschettieri: Jean Baudrillard, Gianni
Collu, Jacques Camatte.
embrava allora un destino comune, che tutto il marxismo
prendesse quella direzione profetizzata da Del Noce, ma
i piú acuti e intuitivi tra i detti «rivoluzionari autentici» avevano già compresa con sufficiente chiarezza la situazione.
A nostra conoscenza il primo a tirare le conclusioni, già
nel 1976, fu Jean Baudrilllard con le succinte46 e dense pagine
S
di Oublier Foucault:
Liberazione delle forze produttive, liberazione delle
energie e della parola sessuale: stesso combattimento,
stessa avanzata di una socializzazione sempre piú potente e differenziata [...] La trafila della produzione
porta dal lavoro al sesso, ma cambiando di binario: dall’economia politica al libidinale (ultima acquisizione
del ’68) vi è la sostituzione di un modello di socializzazione violento e arcaico (il lavoro) con un modello di socializzazione piú sottile, piú fluido, ad un tempo piú psichico e piú vicino al corpo (il sessuale e il libidinale).
Metamorfosi e svolta dalla forza lavoro alla pulsione.47
45
Barbara Carnevali, «Contro la Theory. Una provocazione», in Le parole e
le cose, 19 settembre 2016.
46
Riprendiamo da Debord: «Musil, ne L’uomo senza qualità, osserva che ‹vi
sono attività intellettuali in cui non i grossi volumi, ma i piccoli trattati
possono fare l’orgoglio di un uomo. Se qualcuno, per esempio, scoprisse
che le pietre, in certe circostanza finora mai osservate, sono capaci di
parlare, gli basterebbero poche pagine per descrivere e spiegare un fenomeno cosí rivoluzionario».
47
Jean Baudrillard, Dimenticare Foucault, Cappelli, 1977, pp. 73–74
h (85) h
[…] ¶ Ormai non si dice neppur piú: «tu hai un’anima e
bisogna salvarla», ma «tu hai un sesso e devi trovarne il
buon uso», «tu hai un inconscio e bisogna saperne godere», «tu hai un corpo e bisogna saperne godere», «tu
hai una libido e bisogna saperla spendere», ecc. ecc.
Questa costrizione di liquidità, di flusso, di circolazione
accelerata dello psichico, del sessuale e dei corpi è la
replica esatta di quella che gestisce il valore mercantile:
bisogna che il capitale circoli, che non abbia piú gravità, punto fisso, che la catena degli investimenti e reinvestimenti sia ininterrotta, che il valore si irradi senza sosta ed in tutte le direzioni. E questa è la forma stessa
della realizzazione attuale del valore. È la forma del capitale; e la sessualità, la parola d’ordine sessuale, il modello sessuale, è il modo della sua epifania al livello dei
corpi.48
Vent’anni piú tardi il pensatore francese scandalizzerà la
gauche caviar (che da allora lo isolò come un appestato)49 con
queste intrepide parole:
Chi vive con lo stesso perirà dello stesso. L’impossibilità
di scambio, di reciprocità, di alterità, secerne quest’altra
alterità invisibile, diabolica, sfuggente, questo Altro assoluto che è il virus, lui stesso fatto di elementi semplici
e di una ricorrenza infinita. Noi siamo in una società incestuosa. E il fatto che l’AIDS ha toccato prima gli am48
Ibidem, p. 77.
49
Come vediamo piú avanti, Franco Berardi (Bifo), che prudentemente ne
aspettò la morte per fare outing sulle sue nascoste simpatie, stendeva sulla
vicenda come un velo di pudicizia parlando di «una sorta di interdetto»,
ma si trattò di una linciaggio vigliacco e violento che accompagnò Baudrillard fino alla fine. In Italia, all’epoca, solo il nostro Covile informò del
suo funerale e del fatto che l’orazione funebre fu tenuta da Alain Finkielkraut.
h (86) h
bienti omosessuali o drogati attiene a questa incestuosità
dei gruppi che funzionano in circuiti chiusi.50
Ma a sinistra della linea di faglia non ci fu solo Baudrillard. Toni Negri racconta di una certa opposizione da parte di
Cacciari e degli operaisti trontiani di fronte suoi amoreggiamenti parigini:
Di Foucault circolavano già in Italia le traduzioni dei
grandi scritti storici sulle prigioni e sulla follia: ma il
passaggio a una riflessione filosofica sul metodo di
quelle ricerche e l’assunzione di Focault come filosofo
politico erano assai lontane. Vi fu, in quel periodo, un
attacco pesantissimo e penoso da parte di Cacciari,
Asor Rosa & Co., che rifiutavano ogni riferimento al
pensiero foucaultiano.51
Altro non è dato di sapere.52 Certo una opposizione piuttosto silenziosa, un timido malpancismo.53
Molto piú esplicito (e in forte sintonia con Baudrillard)
invece Gianni Collu, il quale dopo aver preso le distanze da
50
51
52
53
Jean Baudrillard, «Le Sida: virulence ou prophylaxie?», in Écran total,
1997, Galilee, trad. nostra.
Toni Negri, Storia…, cit. p. 522.
Massimo Cacciari, al quale abbiamo chiesto un’intervista per una sua versione di quello scontro ci ha gentilmente risposto «capisco male l’argomento che vorrebbe affrontare». Andrebbe indagato anche il percorso degli all’epoca althusseriani Costanzo Preve e Gianfranco La Grassa.
Bisognerà arrivare al 2015 per leggere parole piú esplicite di Mario Tronti: «Il movimento operaio ha sbagliato strada quando ha seguito il Marx
apologeta della borghesia, e ha indovinato la strada quando ha seguito il
Marx critico dell’economia politica. [...] Marx, che ha visto come nessun
altro la terribile potenza del capitale, non ha visto che il destino del Moderno si era ormai indissolubilmente identificato con la storia del capitale.» Dello spirito libero. Frammenti di vita e di pensiero, Il Saggiatore,
2015, pp. 18–20.
h (87) h
Giorgio Cesarano e il suo approdo bataillano, nel 1977 suggerisce l’operazione situazionista delle Lettere agli Eretici.54 Il
libro è davvero spassoso. Riportiamo un brano nel quale Collu
immagina Berlinguer, agente del Capitale, che scrive a «Angelo Pezzana, libraio, radicale, membro fondatore del FUORI,
[...] specialista in autocoscienza, presa di coscienza e trapasso
dall’individuale al collettivo»:
Voglio riferirmi alla cosiddetta liberazione sessuale di
cui tanto si blatera sulla stampa di ogni bandiera, senza mai tenere conto che essa progredisce non già in ragione dello schiamazzo e della problematizzazione
che se ne fa al riguardo, ma come effetto inevitabile
dello sviluppo del capitale. [...] Tutto ciò premesso,
non posso che valutare con favore la vostra lotta per
la diversità sessuale, la quale asseconda l’ordinato movimento di antropomorfizzazione del capitale. Esso,
come ben sai, ha avuto bisogno di mercanzie sempre
diverse e sempre rinnovate. E la sua voracità continua, richiedendo ora una merce umana à la page, ciò
che significa, nell’ambito che abbiamo indagato,
l’immissione di nuovi modelli di mercanzia sessuale
nel mercato dei comportamenti. ¶ Sí alla valorizzazione della devianza, di ogni devianza. Sí alla creazione
indefessa di nuove devianze. ¶ Continuate compagni,
ma con rigore.
Pochi mesi dopo (febbraio 1978) Jacques Camatte scriverà
Amour ou combinatoire sexuelle rompendo decisamente con Mario Mieli e quella che oggi chiamiamo teoria del gender:
54
Enrico Berlinguer (Falso autore), Lettere agli Eretici, Epistolario con i dirigenti della nuova sinistra italiana, (falso) Einaudi, 1977. Il testo fu poi attribuito a Pierfranco Ghisleni. La tesi, che ci convince, dell’intervento decisivo di Collu nell’operazione è stata avanzata dai suoi amici e collaboratori piú stretti.
h (88) h
Allo stesso modo, ciò che mi mette a disagio non è tanto
l’apertura al di là della coppia uomo-donna e, attraverso di ciò, la sua distruzione. Quello che io temo e che
mi turba è il fatto che la teorizzazione di M. Mieli possa
essere un elemento per fondare l’indifferenziazione che
il capitale ci riserva, rendendola attuale fin d’ora, cosa
che porterebbe alla negazione della specie umana. [...] I
sessi sono al di fuori degli esseri, come pure le modalità
di unirli. Del resto non si tratta unicamente di quelli degli esseri umani, ma di quelli degli animali. Sessi e modi
d’impiego con le loro molteplici variazioni sono a disposizione delle donne e degli uomini nel supermercato
dell’amore realizzato dal capitale. A questo punto
l’acquirente, maschio o femmina, non ha piú che da
programmare la propria combinatoria [...] Ora, il piú
grande produttore di possibili è il capitale stesso, il cui
motto distintivo potrebbe essere: tutto è possibile! [...]
Ma in che cosa il non procreare, partorire, allattare,
potrebbe essere una manifestazione positiva? Questa liberazione-emancipazione è una spoliazione, una riduzione dell’essere umano a semplice supporto di diverse
funzioni che gli si possono innestare e che egli potrebbe
manipolare al di fuori di lui...55
Il tempo comincia a fare giust izia:
la testimonianza di bifo.
Negli anni lontani in cui abitavo a Parigi ci aveva separato l’appartenenza ad ambienti culturali differenti. Fra le persone che allora frequentavo, per
esempio nell’ambito del Centre initiatives nouveaux
55
«Amore o combinatoria sessuale» in Il Disvelamento, trad. Giovanni Dettori, edizione elettronica sulla base di quella La Pietra del 1978, disponibile nel sito di Joe Fallisi: www.nelvento.net.
h (89) h
espaces de liberté creato e animato da Felix Guattari e
da Giselle Donnard, Baudrillard era oggetto di una
sorta di interdetto56 che aveva natura politica e filosofica. ¶ Basta sfogliare quel suo libretto dal titolo
Oublier Foucault, uscito a metà degli anni ’70 per capire il senso di quella separazione. La ricerca foucaultiana aveva portato ad emergenza il carattere intimamente disciplinare delle istituzioni sociali moderne. D’altra parte il gesto filosofico proposto da
Deleuze e Guattari nell’Antiedipo affermava che il
desiderio è la forza motrice del movimento reale che
attraversa la società non meno che il percorso della
singolarità. ¶ Con un gesto altrettanto radicale, ma
di segno opposto, nelle sue opere di quegli anni (Il sistema degli oggetti, La società dei consumi, Requiem
per i media, e infine Oublier Foucault) Baudrillard
aveva sostenuto che il desiderio è la forza motrice
dello sviluppo del capitale, e aveva aperto un discorso
sulla consistenza immaginaria del reale, sul rapporto
tra il reale e la sua immaginazione.57
56
V. nota 33.
57
Bifo (Franco Berardi), In memoria di Jean Baudrillard, 19 marzo 2007,
http://permalink.gmane.org/gmane.culture.internet.rekombinant/1964.
h (91) h
3 . M i sc e l l an e a
U n l ockd o w n prima d el l ock d o wn.
Studio sulla variazione del TAEg8 nel tempo.
Definizione.
TAEgn (Tempo Autonomo Esterno giornaliero all’età di n
anni). Per i minorenni è il tempo (medio annuale) di agire e
muoversi fuori casa (propria o altrui), soli e in gruppo, liberamente per strade, cortili e natura senza controllo diretto di autorità adulta (parentale, tatesca, scolastica, sportiva, psicologica
ecc.) o equiparata (scoutistica, animatoria ecc.).58
58
Dal questionario. Vedi la prima formulazione, e la spinta all’indagine, in
«Marx e gli stalloni dello storpio».
h (92) h
Contributi.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi / fossi
dove in pozzanghere / mezzo seccate agguantano i ragazzi / qualche sparuta anguilla (Eugenio Montale, I
limoni)
Cortile, strada in costruzione, con cumuli di terra,
scuola, ore in strada senza la minima preoccupazione
mia o dei miei genitori (Davide, 1974 BA, Commento a
margine dell’invio del questionario)
E mi dico: se soltanto ci si guardasse intorno per prendere il meglio ovvero il piú sensato delle cose... (Marisa Fadoni Strik)
Di progresso in progresso, hanno perduto il poco che
avevano, e guadagnato ciò che nessuno voleva (Guy Debord, in girum imus nocte et consumimur igni)
Il godimento si afferma nella gioia di vivere l’invarianza in seno al divenire. ¶ Cosa impedisce agli uomini e
alle donne di vivere questo godimento e li consegna alla
dipendenza? ¶ Il rinchiudersi in un divenire fuori natura fondato a partire da una rottura di continuità con
essa, con il cosmo, per sfuggire ad una minaccia la cui
ragione, i fondamenti sono stati da lungo tempo perduti, dimenticati, scotomizzati, rimossi. ¶ Il rinchiudersi
in una domesticazione legata all’abbandono di ogni naturalità, a uno stornamento nell’artificiale, fondamenti
della repressione genitoriale. (Jacques Camatte)
Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due piú
due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare
che le foglie sono verdi in estate. (G.K. Chesterton,
Eretici)
h (93) h
P
resentiamo i primi risultati di un questionario da
noi elaborato, distribuito e raccolto dal novembre
2022 al gennaio 2023 con 113 risposte. Il questionario, vedi infra, consisteva in dieci item. Generali: 1. Nome (anche fittizio), 2. Sesso, 3. Anno di compimento 8
anni, 4. Provincia, 5. Area; nel periodo scolastico: 6. Giorni settimanali di scuola, 7. TAEg tragitto casa scuola e ritorno,
8. TAEg medio pomeridiano giorni di scuola, 9. TAEg medio
domenicale o fine settimana; nelle vacanze estive: 10. TAEg
medio giornaliero vacanze.
Il TAEg medio annuale è calcolato. Questa la, grossolana, formula utilizzata che trascura vacanze invernali e festività
aggiuntive:
MediaPeriodoScolastico = (g×(t+p)+(7-g)×d)/7
TAEg = (MPS×8,5+v×3,5)/12.
L’indagine non ha pretese di scientificità: il campione è certamente sbilanciato (molti questionari provengono da lettori
del Covile), i dati forniti dai compilatori (da considerare veri e
propri testimoni e che ringraziamo), amici e amici di amici,
sono presi per buoni ecc.: è garantita solo la serietà della raccolta e l’assenza di manipolazione. Tuttavia riteniamo i risultati
già piú che attendibili: si tratta in effetti solo della riemersione
di fatti rimossi, escamotati, ma che in fondo erano lí, nella memoria di genitori e nonni, a disposizione di tutti. In buona sostanza i dati confermano che l’acqua bagna. Questo vuole perciò essere soprattutto un invito ad indagini piú larghe e approfondite e soprattutto, guardando avanti, un contributo alla costruzione di indicatori dei tassi di rinchiudimento e di sorveglianza in impetuosa crescita.
h (94) h
Grafici riassuntivi.
Linee di tendenza ( polinomiali grado 2). La banda rossa segnala
la sentenza CC.
• TAEg8.
• Tragitto casa-scuola e ritorno in autonomia.
h (95) h
Riep ilogh i.
Conteggi e valori medi. Si mostrano i dati solo per aggregati di almeno 3 questionari. La media del tragitto casa-scuola-casa si riferisce solo ai non accompagnati.
h (96) h
Contes ti.
Contesto legislativo. Norme in vigore e sentenze interpretative.
Fonte e © (per gentile concessione): Avv. Cristina Mensi, «Lasciare un minore da solo. Quando è reato?», in www.prontoprofessionista.it.
Il reato di abbandono di minore è disciplinato dall’art.
591 c.p. che stabilisce: «Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia,
o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale
abbia la custodia o debba avere la cura, è punito con la
reclusione da sei mesi a cinque anni. [...] ¶ La pena è
della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una
lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la
morte. [...]» ¶ Come espresso nel titolo, in questo caso
ci occupiamo di quelle circostanze nelle quali l’eventuale abbandonato sia un minore, tralasciando quindi gli incapaci per malattia o corpo, per vecchiaia o qualsiasi altra ipotesi. Secondo la legge, un ragazzino o una ragazzina di meno di quattordici anni [...] deve essere costantemente tenuto in custodia da almeno un soggetto maggiorenne responsabile. Gli elementi per far sí che si abbia il reato, quindi, sono:
✗
✗
✗
✗
un soggetto maggiorenne responsabile (genitore, parente, insegnante, babysitter etc.);
un soggetto minore di anni 14;
qualsiasi fatto od omissione compiuto da maggiorenne
che comporti che il minore resti da solo o abbandonato a
sé stesso;
la consapevolezza da parte del soggetto maggiorenne
che il minore resterà da solo.
h (97) h
Vediamo dei casi specifici.
Ipotesi A. Il minore torna a casa da scuola da solo, perché la scuola lo ha fatto uscire anche se non era presente alcun soggetto idoneo al ritiro.
Ipotesi B. Il minore è già a casa, ma il soggetto responsabile esce di casa, anche per poco tempo.
Ipotesi C. Il minore viene fatto uscire di casa, da solo.
Ipotesi D. Il minore è in compagnia del maggiorenne, il
quale tuttavia non presta diligentemente attenzione,
non curandosi dei pericoli dell’incolumità fisica del minore.
Ipotesi E. Il minore è fuori casa in compagnia del maggiorenne, il quale però si allontana perdendolo di vista.
In tutte queste ipotesi può configurarsi il reato di abbandono.
Ad esempio nel caso A, una recente sentenza della
Corte di Cassazione ha ritenuto colpevoli della morte
di un bambino, accidentalmente investito da un autobus
dopo essere uscito da solo da scuola (una scuola media),
il Miur e l’istituto frequentato che avrebbero dovuto
adempiere all’obbligo di vigilanza. ¶ Nell’ipotesi non
rileva che il tempo trascorso da solo in casa sia un certo
quantitativo, ma solo che vi sia coscienza da parte del
maggiorenne di lasciare a sé stesso il minore, che la legge ritiene presuntivamente incapace di badare a sé stesso, essendo del tutto irrilevante sia la «buonafede» (anche solo sottovalutando il rischio) del maggiorenne che
abbandona, sia che il minore in questione sia stato abituato, sia particolarmente giudizioso, o che non abbia
subito alcun nocumento, essendo questo un reato che si
compia anche solo con il «pericolo» di un danno. […]
¶ La norma, dunque, si apre con una presunzione di in-
h (98) h
capacità assoluta ad autodeterminarsi valevole per tutti
i minori di età inferiore agli anni quattordici. ¶ Essendo quello in esame un reato c.d. di pericolo, è sufficiente a integrarlo il dolo generico consistente nella
coscienza di abbandonare a se stesso il soggetto passivo,
che non abbia la capacità di provvedere alle sue esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica di cui si abbia l’esatta percezione (cfr. Cass. №
10994/2013). ¶ Pertanto, (cfr. Cass., sent
№ 9276/2009) rilevando ai fini della sussistenza
dell’elemento soggettivo del delitto d’abbandono di
persone minori esclusivamente la volontà dell’abbandono, la configurabilità del reato non è esclusa dalla
convinzione del genitore che il figlio infraquattordicenne sia in grado di badare a sé stesso [...]. ¶ Ciò anche laddove l’abbandono di protragga per un lasso
temporale breve (Cass. № 19327/2013) e senza che in
concreto si verifichi un evento dannoso, essendo di
norma sufficiente per la giurisprudenza che sussista un
pericolo potenziale. […]
Il contesto europeo. Leggi a protezione dei giovani in
Svizzera
di Marisa Fadoni Strik
Non esiste una vera e propria legge concernente la protezione dei bambini e dei giovani, in quanto le norme
che disciplinano la materia sono il risultato di diverse
leggi federali e cantonali che coinvolgono vari dipartimenti quali quello della Sicurezza e dell’Ambiente, della Formazione, della Gioventú e della Cultura, della Salute e dell’Interno. Nella Svizzera romanda, (capoluogo Losanna) che conta 1.750.000 abitanti, i minori
sotto 16 anni possono stare fuori soli fino alle 22.00 e
se i genitori lo consentono anche piú tardi (per frequentare ad esempio cinema o associazioni di vario
h (99) h
tipo). Non accompagnati, questi minori non possono
frequentare bar, ristoranti, discoteche ma necessitano
di un’autorizzazione scritta. Sale da gioco sono vietate.
¶ Viene fissato il limite di età (16 anni) al di sotto del
quale sono vietati ad esempio la vendita e il consumo di
alcool e sostanze come il tabacco. In alcuni cantoni
peraltro, birra, spumante e vino sono permessi ai sedicenni, in Ticino invece solo al raggiungimento della
maggiore età. Esistono inoltre disposizioni che regolano la frequentazione di determinati locali pubblici.
¶ Riguardo alla mobilità dei bambini e ragazzi vengono
fissati per legge criteri di ragionevolezza dei percorsi da
casa a scuola che si basano sulla valutazione della tipologia di questi ovvero della loro sicurezza o pericolosità.
Questa tiene in conto diversi aspetti concreti, quali lo
stato di marciapiedi e vie pedonali, traffico, adeguata
segnaletica e limiti di velocità, strisce pedonali, illuminazione e visibilità ad altezza d’occhio dei bambini, cantieri e impedimenti temporanei ecc. I comuni
hanno l’obbligo di garantire la ragionevolezza dei percorsi verso la scuola. Se questi ne hanno le caratteristiche i genitori sono a loro volta responsabili dei percorsi
a piedi, in bicicletta o in bus. ¶ Il percorso a piedi da
casa a scuola è considerato un luogo formativo che non
deve essere continuamente monitorato da genitori o insegnanti. Qui si fanno esperienze preziose per lo sviluppo personale, si stringono legami con i compagni, trova
spazio il divertimento, l’esplorazione, in modo autonomo, dell’ambiente, tutti elementi che rafforzano la coscienza di sé e la propria responsabilità. Il movimento è
anche salute. Inizialmente sono i genitori che esercitano con i figli i percorsi piú sicuri fino alla scuola, educandoli al contempo a tenere comportamenti corretti e
rispettosi delle regole. Questo vale anche per i bambini
che frequentano i Kindergarten (scuola materna obbli-
h (100) h
gatoria da 4 a 6 anni). I genitori sono invitati a esercitare i percorsi con l’obbiettivo che i bambini possano andarci poi autonomamente. A Berna c’è un’associazione
che organizza annualmente, con successo, la settimana
«Walk to school». ¶ Il giudizio generale sul percorso da
casa a scuola è basato sull’età e si parte dal presupposto
che:
✗
✗
✗
✗
a 6 anni i bambini sono in grado di realizzare che
cos’è un pericolo;
a 8 anni sono consapevoli che una determinata condotta può sfociare in un pericolo;
a 9–10 anni i bambini sviluppano la comprensione
per le misure preventive da mettere in atto onde
schivare pericoli. Una certa criticità si ravvisa nel
comportamento concernente il traffico (come
l’attraversamento delle strisce pedonali ad esempio)
che si può esercitare con dei training, pur tuttavia
rimangono sempre i rischi dovuti al fatto che i bambini si lasciano facilmente distrarre. Per questo è importante fissare criteri di ragionevolezza di un determinato percorso fino alla scuola a seconda
dell’età, ma che tenga anche conto delle capacità fisiche, psichiche e intellettuali di un bambino cosí
come il suo sviluppo cognitivo.
A 13–14 anni i ragazzini hanno maggiori capacità di
concentrarsi e valutare meglio i rischi relativi al
percorso da casa a scuola.
La lunghezza e lo stato del percorso sono fattori importanti al fine di giudicarne la natura. Percorsi fino a 30
minuti, effettuati quattro volte al giorno sono ritenuti
ragionevoli. La permanenza a casa per il pranzo deve essere di almeno 45 minuti, nel caso contrario sono le
autorità scolastiche a dover organizzare trasporto, vit-
h (101) h
to e assistenza. 1,5 km sono anche considerati fattibili.
¶ Sono vivamente sconsigliati gli accompagnamenti
con vetture proprie e si fanno regolarmente campagne
di informazione sull’utilità di mandare i bambini a
scuola a piedi, là dove questo è possibile, sia dal punto
di vista della salute fisica che mentale.
Il contesto emozionale
Da L’Arrache-cœur (1953) lungimirante romanzo di Boris Vian. Traduzione
di Gabriella Rouf. Personaggi dei brani citati: Jacquemort, psicanalista; Clémentine, madre apprensiva; André, undicenne, tiranneggiato apprendista del
fabbro del paese; Noël, Joël e Citroën, figli di Clémentine.
• An sie g eni torial i parossi st iche
Cap. XII. [...] Jacquemort stava per uscire, quando incontrò Clémentine nel corridoio. Non la vedeva quasi
piú. Da mesi. I giorni passavano in modo cosí continuo
e furtivo che egli perdeva la nozione del loro numero.
[...] — E il morale è buono? — chiese piattamente. —
Non posso dirlo. Sí e no. — Cosa c’è che non va? —
La verità — spiegò — è che ho paura. — Paura di
cosa? — Ho paura per i miei figli. Sempre. A loro può
succedere di tutto. E lo immagino. Oh, le cose piú semplici; non mi tormento per cose impossibili o idee folli;
no, ma la stretta lista di ciò che potrebbe accadere è sufficiente per terrorizzarmi. E non posso impedirmi di
pensarci. Naturalmente, nemmeno conto quello che
rischiano fuori dal giardino; per fortuna non hanno
avuto, finora, l’idea di lasciarlo. Ma per il momento evito di spingermi fin là perché mi dà le vertigini. — Ma
non rischiano niente — disse Jacquemort — I bambini
sanno piú o meno coscientemente cosa è bene per loro e
non si mettono spesso in brutte situazioni. — Credete?
— Ne sono certo — disse Jacquemort — Altrimenti
non saremmo qui, né lei né io. — È un po’ vero — dis-
h (102) h
se Clémentine. Ma sono bambini cosí diversi dagli altri.
— Sí, sí — disse Jacquemort. — E io li amo tanto.
Credo di amarli talmente che ho pensato a tutto ciò che
potrebbe accadere loro in questa casa e in questo giardino e non ne dormo piú. Non potete immaginare di quanti incidenti si tratti. Capite quale sia il calvario per una
madre che ama i figli come me. Ma ci sono tante cose
da fare in una casa e non posso stare sempre alle loro
spalle a controllarli. — E la cameriera? — È stupida
— disse Clémentine — Con lei sono piú in pericolo
che da soli. Non ha alcuna sensibilità e preferisco tenerli lontani da lei il piú possibile. Ed è incapace della minima iniziativa. Fate che bambini scavino un po’ in profondità nel giardino con le loro palette, e si imbattano
in un pozzo di petrolio, che il petrolio sgorghi e li anneghi tutti, e lei non saprà cosa fare. Le paure che posso
avere! Ah! È che li adoro! — Effettivamente — disse
Jacquemort — Vedo che non tralasciate nulla nelle vostre previsioni. — E c’è un’altra cosa che mi tormenta
— disse Clémentine — La loro educazione. Tremo al
pensiero di mandarli alla scuola del villaggio. Ovviamente, che ci vadano da soli, non se ne parla nemmeno.
Ma non posso farli accompagnare da quella ragazza.
Avranno un incidente. Andrò io stessa; lei mi sostituirà
di tanto in tanto, se promette di stare molto attento.
Ma no, credo che dovrò andarci io stessa. Badate, non
si deve per il momento preoccuparsi troppo della loro
educazione, dopo tutto sono ancora molto giovani; il
pensiero di vederli uscire dal giardino mi spaventa talmente che non sono ancora riuscita a realizzare tutto
ciò che comporta di rischi [...] — Ma infine— disse
Jacquemort — se ci pensate, non passa mai un’auto su
questa strada. O cosí poche. — Appunto. — disse Clémentine — Ne passa cosí poche che non si sta piú attenti, e quando per caso ne passa una è ancor piú perico-
h (103) h
loso. Tremo al solo pensiero.— [...] Questa sí che è
un’ossessione — si disse Jacquemort riprendendo il cammino. Avrebbe voluto provarla. Ma, in mancanza di ciò,
poteva sempre osservarla. Un vago pensiero che non
riusciva a formulare, tuttavia, lo stuzzicava. Un vago
pensiero. Un pensiero vago. In ogni caso, sarebbe interessante raccogliere il punto di vista dei bambini. Ma
non c’era urgenza.
• Clém en tine pren de una decisione
Cap. XXVI. [...] — Ecco — disse Clémentine — Credo di aver trovato la soluzione definitiva. — E gli espose il risultato della sua riflessione. — In questo modo
— disse — non rischieranno piú niente. Ma sono costretta a chiedere ancora una volta il suo aiuto. — Vado
al villaggio domani. — disse lui — Di passaggio avvertirò il fabbro. — Ho fretta che sia fatto — disse lei —
Sarò talmente piú tranquilla per loro. Ho sempre sentito che un giorno avrei trovato il modo di proteggerli
totalmente dal male. —
• Co me fu cosí abolit o il «p ot enzi al mente per icol o so» TAE di
Noël, Joël e Citro ën
Explicit. La porta non era chiusa. André, timidamente, bussò. — Entrate! — disse una voce gentile. Entrò.
C’era davanti a lui una signora piuttosto alta con un bellissimo vestito. Lo guardò senza sorridere. Vi guardava
in un modo che serrava un po’ la gola. — Il mio padrone ha dimenticato il martello — disse — Son venuto a prenderlo. — Bene, disse la signora. Sbrigati, allora, piccolo mio. — Voltandosi, vide le tre gabbie. Si
trovavano in fondo alla stanza, svuotata dei suoi mobili.
Erano abbastanza alte per un uomo non molto alto. Le
loro spesse sbarre squadrate nascondevano in parte
l’interno, ma qualcosa si muoveva. In ciascuna, era sta-
h (104) h
to messo un lettino morbido, una poltrona e un tavolino
basso. Una lampada elettrica li illuminava dall’esterno.
Mentre si avvicinava per prendere il martello, vide dei
capelli biondi. Guardò meglio, imbarazzato perché sentiva che la signora lo stava osservando. Nello stesso
tempo, aveva individuato il grosso martello. Spalancò
gli occhi chinandosi per raccoglierlo. Quando incontrò
il loro sguardo, capí che c’erano altri ragazzi nelle gabbie. Uno di loro chiese qualcosa e la signora aprí lo sportello ed entrò vicino a lui, dicendo parole che André
non capiva, ma cosí dolci. E poi, di nuovo, i suoi occhi
incontrarono quelli della signora che usciva, e lui disse
arrivederla signora e si avviò, curvo sotto il pesante
martello. Quando arrivò alla porta, una voce lo trattenne. — Come ti chiami? — Io mi chiamo... — riprese
un’altra voce. È tutto quello che sentí, perché lo si
spingeva fuori senza brutalità, ma con fermezza. Scese i
gradini di pietra. C’era un turbine nella sua testa. E
mentre raggiungeva il grande cancello dorato, si volse
un’ultima volta. Doveva essere meraviglioso stare tutti
insieme cosí, con qualcuno per coccolarvi, in una gabbia ben calda e piena d’amore. Ripartí verso il villaggio.
Gli altri non lo avevano aspettato. Dietro di lui, il cancello, forse spinto da una corrente d’aria, si chiuse con
un colpo secco. Il vento soffiava tra le sbarre.
Evidenze.
C
ome accennato all’inizio, a questo primo saggio sarebbe
utile farne seguire uno piú allargato e con metodiche rigorose (balzano agli occhi gli sbilanciamenti del campione in
termini di urbanizzazione e sesso) ma le evidenze emerse difficilmente cambierebbero. Seguono alcune osservazioni non in
ordine.
h (105) h
Prima evidenza. Il TAE, che iniziava ben prima degli 8
anni, ancora fino agli anni settanta dello scorso secolo normalmente copriva la maggioranza del tempo libero diurno, residuo all’obbligo scolastico e ai pasti. Si consideri che in Italia la
durata media della luce solare è nel periodo scolastico di circa
9,4 ore e nelle vacanze estive di circa 14 ore: un rapido calcolo
dà una media annuale (tolto il tempo dei pasti e quello scolastico nel suo periodo) di circa 6 ore residue. Confrontando
questo valore con i dati si comprende la frequente esclamazione dei compilatori ultracinquantenni: «Noi si stava sempre fuori!».
2. È possibile che i valori enunciati siano sovrastimati. Alcuni controlli con interviste personali a compilatori hanno però
mostrato che la sovrastima, esistente, non era di molto. Registriamo inoltre, offrendolo a future indagini, questo dato: si è
notato che molti compilatori presentando una scheda dopo la
necessaria immersione nel proprio passato infantile, hanno
inalberato un certo orgoglio di fronte agli alti valori emersi, e
parimenti altri (che ringraziamo particolarmente per il contributo), giustificandosi, non riuscivano a dissimulare l’imbarazzo nel presentare schede con molteplici zero. Mai, però, si
è verificato il contrario.
Seconda evidenza. Se i dati confermano l’attesa differenza
3.
tra aree fortemente urbanizzate e non, il TAE risulta elevato
anche nelle città. Da tener conto poi dei frequenti, lunghi,
periodi di vacanza in campagna o paese dei bambini cittadini.
4. Terza evidenza. Lo stesso si può dire sulla differenza per
sesso: le bambine stavano a lungo fuori e libere anch’esse, anche se in misura minore e in aree di libera mobilità piú ristrette.
5. Si nota (i dati lo segnalano solo nelle aree urbane) un lieve
aumento del TAEg e del raggiungere la scuola in autonomia
1.
h (106) h
con un massimo intorno ai primi anni 70. Andrebbe approfondito, potrebbe trattarsi solo di una fluttuazione statistica
legata all’esiguità e allo sbilanciamento del campione, ma situazioni di sostanziale assenza del TAE esistevano anche prima
dell’arco temporale indagato, e ciò è ben documentato anche
in letteratura (ad esempio, gli sfortunati, ricchi, bambini accuditi da Mary Poppins, il piccolo Colin Craven del Giardino segreto, Lou Gradgrind di Tempi difficili erano tutti a TAEg
zero). Sembra che le maggiori cause di deprivazione di TAE
allora fossero 1) separazione per classi sociali 2) malattia dei
bambini. Con l’evanescenza delle classi, divenute posizioni di
rendita e di ostacolo al pieno dispiegamento del capitalismo,
la prima causa si è indebolita e ciò potrebbe aver prodotto, prima del crollo, un piccolo e temporaneo aumento del TAEg. Il
’68 farebbe da spartiacque.
6. Quarta evidenza. I grafici mostrano che la sentenza della
Cassazione del 2009 in sostanza ha ucciso un uomo morto.
Quella sentenza non va tuttavia sottovalutata perché cancellando l’ultima resistenza ha prevenuto ogni possibilità di inversione e trasformato peraltro l’immagine dei genitori della maggioranza degli italiani viventi in quella di irresponsabili sconsiderati. Irresponsabili senza saperlo, come Monsieur Jourdain.
Perché?
Ovvero «l’onesta sollecitudine per il progresso della produzione».
C
i si chiede quante e quali forze abbiano congiurato alla
raggiunta interdizione del TAE. Certamente sono state
molteplici, si pensi solo al potere sostitutivo di televisione e videogiochi, ma le principali, i motori primi, si possono ridurre
a due: a) il sentimento antico della specie di sentirsi minacciata
da una natura nemica (della quale fa parte l’altro uomo,
h (107) h
anch’esso nemico) da cui il sogno del rinchiudimento in una
fortezza definitiva (sentimento ben rappresentato dal personaggio di Clémentine, con la quale, si dice, Boris Vian voleva
ricordare la propria madre), e b) un movimento, un processo
attivo, forse originato dalla prima e che per semplificare possiamo chiamare economico, insomma il capitale, che è divenuto
autonomo e procede con una dinamica propria. ¶ Piaccia o no,
per provare a capire si ha da ricorrere a Marx. L’abolizione del
TAE era necessaria per l’aumento della ricchezza nazionale:
quando il piccolo Davide (v. «Contributi» a p. 92) insieme ai
compagni felice passava le ore coi «cumuli di terra [...] senza
la minima preoccupazione mia o dei miei genitori», nessuna
economia entrava in movimento. Il PIL stentava. Di contro un
bambino recluso e controllato 24 ore su 24, solo per la sorveglianza e il trasporto mobiliterà baby-sitter, benzinai, doposcuolisti, meccanici ecc.; mentre per l’intrattenimento attiverà
l’industria del giocattolo, quella televisiva ecc.. Per doppia misura il danno all’infanzia (e l’ansia, anche genitoriale) ovviamente conseguente all’abolizione di autonomia e crescita relazionale diverrà una miniera aurifera per psicologi, medici, animatori e aiuti vari. Cosí il PIL prospera. ¶ Ecco le veraci,
note ma incomprese parole del genio di Treviri:
Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un ecclesiastico prediche, un professore manuali ecc. Un criminale produce crimini. Se si esamina piú da vicino quale
rapporto sussiste tra quest’ultima branca della produzione e l’insieme della società, ci si dovrà stornare da parecchi pregiudizi. Il criminale produce non soltanto crimini, ma anche il diritto criminale, e con ciò produce il
professore che tiene lezioni sul diritto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore
lancia i suoi discorsi in quanto «merce» sul mercato generale. Da ciò consegue un aumento della ricchezza na-
h (108) h
zionale, oltre al piacere personale che, come [afferma]
in quanto testimone competente il professor Roscher,
la composizione del manuale procura al suo stesso autore. ¶ Il criminale inoltre produce l’intero sistema di
polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i
boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di
attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi
per soddisfarli. La tortura da sola, diede l’occasione di
sviluppo alle piú ingegnose invenzioni meccaniche, ed
impiegò nella produzione dei suoi strumenti una massa
di onesti artigiani. ¶ Il criminale produce un’impressione, sia morale, sia tragica, a seconda dei casi, e cosí
rende un «servizio» al moto dei sentimenti morali ed
estetici del pubblico. Egli produce non soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici
penali e con ciò legislatori penali, ma anche arte, bella
letteratura, romanzi e perfino tragedie, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri
dello Schiller, ma anche l’Edipo e il Riccardo III. Il
criminale rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosí la vita dalla stagnazione, e suscita quella inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si
smorzerebbe. In questo modo egli sprona le forze produttive. [...] L’impatto del criminale sullo sviluppo della forza produttiva può essere dimostrato fin nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla
perfezione odierna se non vi fossero stati i falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali [...] senza la frode nel commercio? La
chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsifica-
h (109) h
zione delle merci ed allo sforzo di scoprirla, quanto
all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il crimine, con i mezzi sempre nuovi con cui dà
l’assalto alla proprietà, crea sempre nuovi mezzi di difesa, ed è cosí sollecitata ad imprimere un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi sull’invenzione delle macchine. (Karl Marx, Abschweifung (ueber
produktive Arbeit) [Digressioni (sul lavoro produttivo)],
in Werke — Band 43, Verlag, Berlin, 1990, pp. 302–305)
Questionar io per la rilevazion e del TAEg8.
1
Nome / Cognome
…........../...........
Il nome, che può essere fittizio, verrà
pubblicato. Il cognome no, ed è facoltativo (serve per eventuali correzioni).
2
Sesso
….......
MoF
3
Anno
….......
Nel quale si sono compiuti 8 anni
4
Provincia
….........................
Di residenza nell’epoca
5
Area
6
Giorni settimanali
di scuola
….......
…..........
Indicare A o B o C o D. A) centro urbano almeno 50.000 abitanti; B) periferia urbana; C) paese; D) campagna.
Indicare 5 o 6
Periodo scolastico
7
TAEG casascuola (o casa-ferIndicare zero se sempre accompagnati,
ore …....: min …....
mata scuolabus) e
altrimenti la media di tempo autonomo.
ritorno
8
TAEG medio poTener conto dell’ora di uscita da scuola
meridiano giorni ore …....: min ….... e delle variazioni stagionali dell’ora del
di scuola
tramonto
9
TAEG medio domenicale o fine ore …....: min …....
settimana
Promemoria. Durata media luce solare
in Italia: periodo scolastico circa 9,4
ore; vacanze estive circa 14 ore
h (110) h
Vacanze estive
TAEG medio
Per le vacanze si uniscono nella media
10 giornaliero vacan- ore …....: min …....
giorni feriali e festivi
ze
TAEgn (Tempo Autonomo Esterno giornaliero all’età di n
anni). Definizione.
Per i minorenni è il tempo (medio annuale) di agire e muoversi
fuori casa (propria o altrui), soli e in gruppo, liberamente per
strade, cortili e natura senza controllo diretto di autorità adulta
(parentale, tatesca, scolastica, sportiva, psicologica ecc.) o equiparata (scoutistica, animatoria ecc.).
Procedura
1) Compilare il questionario con i propri dati relativi all’età di 8
anni e inviarlo (come doc, pdf o foto) a il.covile@protonmail.com
Compilarlo è anche un momento di recupero della memoria di
sé. Si raccomanda massima oggettività. Utile la rilevazione dei
componenti della famiglia nelle varie generazioni.
Domande frequenti
1) D.: Le mie risposte sono tutte zero minuti, che senso ha compilarlo?
R.: Sappiamo da testimonianze certe che, negli anni e nelle località, sia valori zero, sia valori diversificati, sono sempre stati
presenti. Nostro scopo è cominciare a sondare il fenomeno,
perciò le risposte zero sono importanti.
2) D.: Il tempo che si giocava a calcio nel campetto dell’oratorio
in temporanea assenza di parroco o animatori; quello a schizzarsi alla fontanella vicina all’area giochi mentre la mamma chiacchiera con un’amica?
R.: Qui c’è una difficoltà. Va definito il punto oltre il quale un
momentaneo abbassamento del controllo si trasforma operativamente nella sua scomparsa. Lo facciamo: gli intervalli continui di
non visibilità da parte del controllore di durata non inferiore ai die-
h (111) h
ci minuti saranno conteggiati come TAE. Ciò vale quindi anche
per le attività scout ecc.
3) D.: Il bambino accompagnato a scuola dal fratello maggiore, o
che gioca con gli amici sotto la supervisione della sorella, è in
TAE?
R.: Sí, va considerato in TAE. Sono tutti minori e nessuno è nel
ruolo di controllore istituzionale dedicato proprio alla funzione.
4) D.: Si considera solo il tempo di gioco? Due sorelline che da
sole pascolano le mucche, un bambino che da solo va in cartoleria a comprare un quaderno, sono esempi di TAE?
R.: Sí, certamente. È tempo autonomo all’aperto.
5) D.: I miei genitori arrivavano tardi dal lavoro e io, solo, badavo la sorellina per due tre ore, quel tempo lo conteggio?
R.: No, era tempo autonomo e di responsabilità, ma in casa, non
all’esterno.
6) D.: Giocavamo da sole nel grande cortile chiuso delle case popolari. Eravamo di fatto sotto il controllo di tutti quelli che passavano, che inoltre ci conoscevano.
R.: Era TAE. Si trattava di controllo ambientale, indiretto.
h (112) h
Du e r i s e n t i m e n t i
Appunti di un vecchio operaista sulle fantasime nicciane.
Da Wikipedia, voce «Friedrich Nietzsche»:
Il filosofo si riferisce ipoteticamente all’antica società
greco-romana, prima dell’avvento dell’ebraismo e del
cristianesimo, una società originaria di uomini forti e
fieri che «dicono sí al la vita»: il loro agire, pienamente
positivo e creativo, è in sé stesso la morale dei signori.
Questa capacità umana di godere della vita e di attuare
il «bene» in terra è però visto, all’altro capo della scala
sociale, come un male. I deboli infatti interpretano
l’agire dei signori come il male per eccellenza: la morale del gregge, quindi, è una morale di reazione guidata
dal Ressentiment verso i nobili e potenti. [...]
Nell’identificare i valori appartenenti ai signori, Nietzsche muove la sua teoria dalla constatazione [erronea
(n.d.R.)] che tutte le società umane originarie fossero rigidamente suddivise in caste [...].59
Premessa natu ralistico-matematica.
È un fatto misurabile che la forza nativa, l’intelligenza, la
bellezza ecc., non si trasmettono tal quali col sangue, né
con l’educazione, ma solo come aumento delle probabilità di
possederle. Nel mondo animale i figli dei maschi alfa non diM
Premessa naturalistico-matematica.vengono per quello automaticamente degli alfa.
2) Inoltre se i figli dei forti hanno forse maggiori probabilità dei figli dei deboli, questi ultimi sono molti di piú.
1)
59
Consultata il 7 novembre 2014. Grassetti e corsivi modificati.
h (113) h
3) Dunque un sistema castale sarà sempre minacciato dalla
presenza di una quantità di signori piú deboli nonché da quella
di un numero ben maggiore di servi piú forti.
4) Condizione necessaria alla trasmissione del rango per
sangue è perciò che la società sia normativamente castale: i
tornei non devono essere open. In altre parole affinché una società castale o «aristocratica» di sangue possa sussistere è necessario che il realmente piú forte (o il migliore, si chiami come si
voglia) non possa sempre prevalere.
Una obiezione a Nietzsche, con supporti
letterari.
È trascurabile e privo di conseguenze sociali il nicciano
ressentiment del servo debole verso il signore forte, perché nel
caso mitizzato da Nietzsche tutti abitano in un mondo ordinato dove l’idea di trovarsi in situazioni di inferiorità non per
colpa ma per nascita, mitiga il disagio della condizione medesima. Nelle società non castali invece, dove esiste la mobilità sociale, è presente un ressentiment socialmente import ante. Tale
sentimento è provato da questi due soggetti:
a) dal signore stupido e inabile verso il servo piú intelligente e piú capace che prima o poi lo sostituirà.60
b) dai «servi» mediocri verso l’ex compagno piú intelligente e piú capace che è salito nella scala sociale, lasciandoli indietro.
60
Si pensi a quello, letterario, del Bertie Wooster di Wodehouse verso Jeeves. O a quello, visto recentemente in politi ca, esp loso incontrollabile
nel fine cavallo di scuderia Enrico Letta di fr onte all’ex ronzino Renzi.
Ma è facile individuarlo anche nello Zibaldone, dove nella prosa intima
del gracile contino Giacomo Leopardi traspare l’invidia per la balda gioventú recanatese.
h (114) h
La letteratura offre una sterminata documentazione di questo ri sentimento diffamatorio verso la gente nova, i parvenus,
gli arricchiti ecc., di chi insomma si è fatto strada tra i ceti e le
classi sostituendo nel rango chi in genere non lo meritava.61
Conclusione.
a premessa spiega perché già nella società di fine ottocento (quella di Nietzsche, con tornei sempre piú open) per
i figli dei ceti alti fosse sempre piú difficile vincere e realizzare
le aspirazioni dei padri.62 Quello del figlio che non ce la fa è
tema quasi fisso del romanzo moderno, a tutta prima cito La
marcia di Radetzky e L’uomo senza qualità. Questa situazione
di debolezza, che come abbiamo detto si trasforma in invidia
sociale di fronte alla potenza visibile della classe operaia in
ascesa (potenza ben colta dallo Jünger di Der Arbeiter), trova
il suo ideologo in Nietzsche, del quale Chesterton menziona la
fuga di fronte a una mucca.63 Il fiacco Nietzsche con una dotta
L
61
Ma i risentimenti di fonte a) e b) si uniscono, per niccianamente «soffrire
meno», nel rovesciare la realtà: la nuova ricchezza ad essere dichiarata immeritata da tutti. Sempre frutto di raggiro, mai di genio o capacità. Il verso della Palinodia «Sempre il buono in tristezza, il vile in festa» echeggia
sicuramente gli usuali commenti gelosi di casa Leopardi verso le fortune
dei meno inetti di loro.
62
E, nei ceti alti, succede spesso che i genitori abbiano pretese ingiustificate,
non rendendosi conto che i figli, magari piú br avi di loro, si trovano in un
ambiente dove la concorrenza non è nemmeno paragonabile a quella da
loro conosciuta.
63
Piero Vassallo, che ringrazio anche per il suggerimento del passo di Dante sulla «circular natura», ha cosí commentato una prima versione di questo breve testo: «Nietzsche è un personaggio patetico. Alla corte di Wagner era oggetto di scherno. Cosima lo chiamava l’onanista. Nel romanzo
Doctor Faustus, Thomas Mann racconta la sua avventura con Esmeralda
(forse un uomo travestito?) che lo contagiò».
h (115) h
operazione proietta il proprio ressentiment reale in un passato
storico-mitico per attribuirlo a quelle stesse classi emergenti
che ne sono l’oggetto e delle quali sente e teme la forza. E da
allora diventa un mito per ogni genere di frustrati e perdenti,
come ognuno può tuttora constatare.
Paradiso. Canto VIII.
Il discorso di Carlo Martello d’Angiò sulla circular natura.
S
í venne deducendo infino a quici;
poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
convien di vostri effetti le radici:
per ch’un nasce Solone e altro Serse,
altro Melchisedèch e altro quello
che, volando per l’aere, il figlio perse.
La circular natura, ch’è suggello
a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue l’un da l’altro ostello.
Quinci addivien ch’Esaú si diparte
per seme da Iacòb; e vien Quirino
da sí vil padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
simil farebbe sempre a’ generanti,
se non vincesse il proveder divino.
Or quel che t’era dietro t’è davanti:
ma perché sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che t’ammanti.
h (116) h
Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sé, com’ogne altra semente
fuor di sua regïon, fa mala prova
E se ’l mondo là giú ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete a la religïone
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch’è da sermone;
onde la traccia vostra è fuor di strada».
h (117) h
Don Mil a n i su l l a l i n e a d e l s a l e .
Q
ualche tempo fa, scorrendo un sito dedicato a don
Milani, mi sono imbattuto in queste sue parole, tratte
da Esperienze pastorali (il corsivo è mio):
In genere coloro che difendono i ricreatori parrocchiali considerano apodittico che la ricreazione sia in
sé stessa necessità fisiologica. Io penso che questo
preconcetto sia nato tra educatori che avevano dinanzi agli occhi studenti e poi supinamente trasferito
sugli operai. Questo trasferimento non mi pare valido. ¶ Ammettiamo pure che lo studente dopo ore di
lavoro intellettuale, abbia bisogno di un po’ di esercizio fisico. Ma allora ritorco l’argomento: l’equivalente per un operaio è che dopo ore di esercizio fisico
egli ha bisogno di ricrearsi con un po’ di lavoro intellettuale. Di ritornare un po’ uomo con lo studio e non
di conservarsi con una sterile ricreazione quella bestia
che è diventato col lavoro fisico.
Esterrefatto, mi sono chiesto da dove don Milani avesse
potuto cavare una simile scempiaggine, che il lavoro manuale
rende l’uomo una bestia. Nella mia vita ho fatto un po’ di tutto
e frequentato gente di ogni ceto: in gioventú ho qualche volta,
momenti felici, partecipato a mietiture e vendemmie; conservo
anche il ricordo di una settimana come manovale presso un parente muratore, lavoro durissimo che serví a pagarmi una vacanza; come operaio, poi, ho lavorato per mesi. Eppure mai, dico mai, ho visto uomini disumanizzarsi a causa del lavoro manuale. Anzi, ad essere sinceri devo dire che impressioni di tal genere mi sono sorte a volte osservando impiegati addetti a mansioni parecchio ripetitive.
h (118) h
La stolida idea quindi non può essere nata in don Milani
da cose viste o provate; con tutta probabilità l’ha semplicemente assorbita in famiglia, col latte materno per cosí dire: i
testi che qui raccolgo a formare una breve antologia sui rapporti tra le classi ce ne danno conferma.
È noto che il parroco di Barbiana nacque in una famiglia
borghese, ma andrebbe aggiunto «piccolo»: non a caso i Milani
Comparetti abitavano in via Masaccio, una delle strade piú borghesucce di Firenze. Era quello un ceto socialmente insicuro
(come spiega Barbey d’Aurevilly nel brano seguente) che con la
denigrazione radicale e costante degli inferiori cercava in qualche modo di rafforzare una precarissima differènce.
Chest erton che cosí equilibratamente ci parla della
«classe media», alla quale appartenevano i suoi, afferma
che quest a «non soltanto era nettamente distinta dalle classi cosiddette inferiori, ma si staccava con un taglio altrettan
to netto da quelle cosiddette superiori». Nella famiglia Milani quest i «tagli netti» dovevano essere particolarmente
drammatici. Se, come abbiamo vist o, gli inferiori, i lavoratori manuali come i domest ici, venivano considerati Untermenschen da proteggere, gli aristocratici erano odiati e cari caturizzati come parassiti senza cuore.
Ho scritto «era quello un ceto» perché lo sviluppo capitalistico anche da noi ha quasi completamente eroso queste stratificazioni sociali. In Inghilterra evidentemente tale processo avvenne prima, se Chesterton dichiarava estinta la classe media
già negli anni ’30, quando scriveva la sua autobiografia.
Cosí le classi, ultima forma residuale della società castale,
se ne stanno andando e questo è insieme un bene e un male. Un
bene perché la loro scomparsa testimonia la forza dell’idea cristiana di società e la verità della comune natura degli uomini;
un male perché si tratta di una forma che vediamo scomparire
h (119) h
senza che si scorga all’orizzonte niente che la vada a sostituire,
lasciando cosí campo libero ai sempre piú pervasivi meccanismi economici ed al conseguente avanzare del deserto
dell’anonimia sociale.
Transeunte e obsoleta quanto si vuole, quella delle classi
era infatti pur sempre una modalità del legame sociale; modalità che interpretava a suo modo sia momenti universali e perenni dell’anima umana sia l’altra grande verità sugli uomini:
che abbiamo sí una natura comune, ma siamo al contempo differenti uno dall’altro e questa differenza non possiamo fare a
meno di rappresentarla.64
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
Jules-Améd ée Barbey d’Aurevilly: quando si era
piú sicuri di sé.
O
ggi, poiché il potere domestico è degradato
come tutti gli altri poteri, c’è l’idea che si possa
salvaguardare un rispetto che non esiste piú ritirandosi dalla vita in comune. Non bisogna illudersi:
quando con tanta cura ci si difende dal contatto con
gli inferiori, si difende soltanto la propria delicatezza, e chi dice delicatezza dice, in qualche modo,
debolezza. Se i costumi fossero ancora forti come una
volta, nessuno penserebbe, isolandosi dai propri servitori, di ottenere da loro piú rispetto e di farsi maggiormente temere! Il rispetto è piú personale di quan64
Nota del 2021. La riflessione, non solitaria, degli ultimi anni e l’evidenza
emersa con la proclamata pandemia e le misure, senza ritorno, di autoreclusione e rimozione del rapporto sociale ad essa connesse, mi portano ritenere che senza l’abbandono di ogni rappresentazione, virtualità e spettacolarità non c’è futuro per la specie umana. Ma di questo, altrove.
h (120) h
to non si creda. Nella vita siamo tutti, chi piú chi
meno, o soldati o comandanti. Ebbene non pare che
sul campo di battaglia i soldati siano meno obbedienti
ai loro capi perché vivono piú a contatto con loro.
Jeanne Le Hardouey e suo marito avevano conservato l’antica usanza feudale di vivere in mezzo ai
loro servitori, usanza che oggi è forse praticata solo
da qualche agricoltore che rappresenta gli antichi
costumi del paese. Jeanne-Madeleine de Feuardent,
cresciuta in campagna, figlia di Louisine-con-l’ascia,
non aveva nessuno di quegli atteggiamenti di falsa
fierezza o di pavida ripugnanza che caratterizzano le
donne di città. Mentre la vecchia Gotton preparava la
cena, fu lei stessa ad apparecchiare la tavola. Stava appunto stendendo una bella tovaglia ricamata, di un
bianco splendente e profumata di timo, quando messer Le Hardouey entrò, seguito dal parroco di Bianchelande, che aveva incontrato, egli disse, in fondo al
viale che portava al Clos.65
Alessandro Manzoni: L’er ede di
Don Rodrigo.
I
l marchese fece loro una gran festa, li condusse in
un bel tinello, mise a tavola gli sposi, con Agnese e
con la mercantessa; e prima di ritirarsi a pranzare altrove con don Abbondio, volle star lí un poco a far
compagnia agl’invitati, e aiutò anzi a servirli.66 [...]
65
Fonte e ©: La stregata, Rusconi Editore, Milano 1975, pp. 102–103.
66
Anche questo passo mi fu segnalato da Vincenzo Bugliani (vedi p. 25).
Siamo all’ultimo capitolo dei Promessi sposi: il buon marchese erede di
Don Rodrigo, volendo riparare i gravi torti del suo predecessore, prima
compra la vigna di Renzo al doppio del suo prezzo, poi invita i due fidanzati al suo palazzotto, fa loro imbandire un buon desinare ed ordina
h (121) h
A nessuno verrà, spero, in testa di dire che sarebbe stata
cosa piú semplice fare addirittura una tavola sola.67 Ve
l’ho dato per un brav’uomo, ma non per un originale,
come si direbbe ora; v’ho detto ch’era umile, non già
che fosse un portento d’umiltà. N’aveva quanta ne bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente,
ma non per istar loro in pari.68
G.K. Chest erton: Ricordi di famiglia.
lare di bourgeoisie britannica del
Q uequlaletippoarlpo,arèticvoenut
o talmente alterandosi e dimi-
nuendo, che oggi non si può propriamente dire che esista. In Inghilterra, almeno, non si trova piú nulla che
gli sia perfettamente uguale; in America, m’immagino,
non vi fu mai nulla che gli assomigliasse neppur da lontano. Una specialità di questa classe media era di essere
veramente una classe e di essere veramente nel mezzo.
In tutte le maniere ed in tutte le circostanze, spesso
fino all’esagerazione, essa era separata tanto dalla classe che le stava sopra che da quella che le stava sotto. Sapeva troppo poco delle classi lavoratrici: e ciò fu un
male per la generazione seguente. Conosceva troppo
poco anche i suoi servitori. I membri della mia famiglia
furono sempre molto gentili verso i propri dipendenti;
ma nella classe, in generale, non vi erano né quella grossolana famigliarità nel lavoro, propria delle democrazie e che si manifesta nel vociare e nell’imprecare delle
padrone di casa del continente, né i resti di quella benevolenza feudale che è rimasta nei veri aristocratici.
che venga servito bene, anzi lo serve, in parte, da sé, ma non si mette a tavola coi villani.
67
Il progressista Manzoni era anche lui proprietario terriero.
68
Fonte: I promessi sposi, Cap. XXXVIII.
h (122) h
V’erano un certo silenzio ed imbarazzo, come si può vedere in un altro aneddoto, che mi fu raccontato [...].
Una signora mia parente, andò ad abitare la casa di una
sua amica durante l’assenza di quest’ultima e veniva servita da una domestica, per dir cosí, superiore. La signora s’era fisso in testa che la domestica si cuoceva a parte
i suoi pasti, mentre questa seguiva con altrettanta cocciutaggine la politica di mangiare ciò che rimaneva dei
pasti della signora. La domestica serviva, per esempio,
cinque fette di prosciutto: piú di quanto la signora desiderasse. Ma nella coscienza della signora v’era piantato
un altro ghiribizzo, abbastanza comune nelle signore di
quel periodo. Ella pensava che nulla dovesse essere
sciupato: e non capiva che, se si consuma una cosa della
quale non si sente il desiderio, la si sciupa. E mangiò le
cinque fette. Allora la domestica gliene serví sette. La
signora impallidí alquanto, ma non deviò dal sentiero
del dovere e le mangiò tutte. La domestica, che incominciava a sentire che sarebbe piaciuto a lei pure di fare
un po’ di colazione, serví nove o dieci fette. La signora,
raccolte tutte le sue forze, si precipitò sopra di esse e le
spazzò via. E si continuò cosí, credo: grazie al cortese
silenzio delle due classi sociali. Non ho il coraggio di
immaginarmi come andasse a finire. La conclusione logica avrebbe dovuto essere la morte di fame per la domestica e lo scoppio per la signora. Ma suppongo che, prima d’arrivare a questo punto, si saranno aperte trattative fra le due persone che abitavano in due diversi
piani della stessa casa. Era certamente un lato debole di
quel mondo, il non estendere la sua confidenza familiare ai servitori di famiglia. Sorrideva e si sentiva superiore quando leggeva che i vassalli del buon tempo antico
h (123) h
pranzavano «sotto la linea del sale»,69 e si sentiva superiore ai suoi vassalli che pranzavano nel piano inferiore.
Ma, benché si possa criticare l’antica borghesia, benché
si possano approvare con l’entusiasmo del cuore le parole immortali della Canzone dell’Avvenire, che suonano:
«Abbiamo coscienza della nostra classe, avremo coscienza della nostra classe; — Finché il nostro piede
sarà sui colli della bourgeoisie,»70 bisogna anche renderle giustizia, come vuole la storia, e ricordare altre cose.
Bisogna ricordare, per esempio, che, se la borghesia
considerava con sospetto esagerato l’influenza dei servitori, ciò si deve in parte alle sue autentiche «conquiste
culturali», ed al fatto che essa era veramente una classe
colta. Si dava immensa importanza allo scrivere senza
errori; si dava una importanza enorme al parlare senza
errori. E veramente si scriveva e si parlava senza errori.
V’era tutto un mondo nel quale lasciar cadere una h nella pronuncia era meno probabile che ottenere un titolo
nobiliare. Io, con la malizia dell’infanzia, feci presto la
scoperta che i piú vecchi di me avevano una vera paura
che si imitassero i servitori, anche menomamente,
nell’intonazione della voce e nel modo di parlare. [...]
Probabilmente non si dà il giusto valore al fatto che la
classe speciale di cui sto parlando, non soltanto era nettamente distinta dalle classi cosiddette inferiori, ma si
staccava con un taglio altrettanto netto da quelle cosiddette superiori. Possiamo dire, chiedendo gentilmente
69
L’espressione «sotto la linea del sale» (below the salt) ricorda l’uso medievale di mettere una saliera in mezzo alla tavola per dividere i posti d’onore, riservati al signore, da quelli inferiori, riservati ai vassalli ed ai famigli.
NDT.
70
«Class-conscious we are, class-conscious we’ll be; / Till our foot’s on the necks
of the bourgeoisie,». I soli riferimenti trovati in rete su questo inno sono a:
www.nzorgan.com/vandr/hymns.htm. NDR.
h (124) h
le piú umili scuse, che da allora questa classe si è divisa
nelle due grandi sezioni degli Snobs e dei Presuntuosi. I
primi sono coloro che desiderano entrare in società; i secondi sono coloro che desiderano uscire dalla società,
ed entrare nelle società. Voglio dire nelle società vegetariane, nelle colonie socialiste ed in cose di tal genere.
Ma le persone di cui sto parlando non erano eccentriche e, cosa ancor piú importante, non erano snobs.
Naturalmente, al loro tempo v’era molta gente volgare; ma quelli ai quali mi riferisco formavano proprio
una classe a parte. Non si sognavano mai di conoscere
l’aristocrazia, eccetto che per affari. Possedevano una
superbia tutta speciale, cosa divenuta oramai quasi inconcepibile in Inghilterra.71
71
Fonte e ©: Autobiografia, Gherardo Casini Editore, pp. 412–415.
h (125) h
G a l a t e o sp e s s o t radi t o .
A
nni fa, un amico di buona famiglia mi spiegò
come il galateo sia solitamente frainteso: le sue regole, informate da uno spirito cristiano e inclusivo, di accoglienza dell’altro, sono purtroppo
spesso usate a scopo esclusivo, per marcare una distinzione, una
differenza. Si noti che anche l’intento inclusivo una differenza
la fonda, quella tra chi piú squisitamente accoglie.
Giusti gli insegnamenti dell’autore del Galateo ovvero de’
costumi, monsignor Giovanni Della Casa (1503–1556), da
Borgo San Lorenzo, una apparecchiatura con posate cosí numerose da imbarazzare gli ospiti sarà segnale di rozzezza e
volgarità. Si gareggerà dunque nell’estrema raffinatezza che si
presenta come semplicità, assenza di albagia, apparire «alla
mano»: una forma di quella sprezzatura teorizzata da Baldassar Castiglione (1478–1529) nel suo Cortegiano.
Scrive Laura Barberi nelle succinte «Note critiche»
all’edizione Panini 1990 del Galateo: «Seguendo il precetto del
rispetto della personalità altrui, il vecchio illetterato72 mette
in guardia il suo allievo [...]»:
Il che acciò che tu piú agevolmente apprenda di fare,
dèi sapere che a te convien temperare et ordinare i tuoi
modi non secondo il tuo arbitrio, ma secondo il piacer
di coloro co’ quali tu usi, et a quello indirizzargli; e ciò
72
Il titolo per esteso del libro (scritto probabilmente dopo il 1551, ma pubblicato postumo nel 1558) è Trattato di Messer Giovanni Della Casa, nel
quale sotto la persona d’un vecchio idiota ammaestrante un suo giovinetto, si
ragiona dei modi che si debbono o tenere o schifare nella comune conversazione, cognominato Galateo ovvero dei costumi.
h (126) h
si vuol fare mezzanamente, perciò che chi si diletta di
troppo secondare il piacere altrui nella conversatione e
nella usanza, pare piú tosto buffone o giucolare, o per
aventura lusinghiero, che costumato gentiluomo. Sí
come, per lo contrario, chi di piacere o di dispiacere altrui non si dà alcun pensiero è zotico e scostumato e disavenente. Adunque, con ciò sia che le nostre maniere
sieno allora dilettevoli, quando noi abbiamo risguardo
all’altrui e non al nostro diletto, se noi investigheremo
quali sono quelle cose che dilettano generalmente il piú
degli uomini, e quali quelle che noiano, potremo agevolmente trovare quali modi siano da schifarsi nel vivere con esso loro e quali siano da eleggersi.
Si veda allora nel passo dal celebre racconto di Tomasi da
Lampedusa, se ha inteso meglio il senso profondo del Galateo
il Gattopardo, nobile in declino, o il rampante borghese don
Calogero:
Il Principe aveva sempre badato a che il primo pranzo a Donnafugata rivestisse un carattere solenne:
[...]. Su di un solo particolare transigeva: non si metteva in abito da sera, per non imbarazzare gli ospiti
che, evidentemente, non ne possedevano. Quella sera,
nel salone detto «di Leopoldo», la famiglia Salina
aspettava gli ultimi invitati. Da sotto i paralumi ricoperti di merletto i lumi a petrolio spandevano una
gialla luce circoscritta; gli smisurati ritratti equestri
dei Salina trapassati non erano che delle immagini imponenti e vaghe come il loro ricordo. Don Onofrio
era già arrivato con la moglie, e cosí pure l’Arciprete
che [...] parlava con la Principessa delle beghe del
Collegio di Maria. [...] Tutto era placido e consueto,
quando Francesco Paolo, il sedicenne figliolo, fece
nel salotto una irruzione scandalosa: «Papà, don Calo
gero sta salendo le scale. È in frac!».
h (127) h
D a l mio t a c c u i n o .
Fallacie. La legge della giungla.
Martin Heidegger: «c’est le refus de l’animalité
qui conduit à la bestialité».73
I
l topos ha un uso inflazionato: «Senza leggi che
lo regolano il mercato diventa una giungla»,
«Nel Far-West vigeva la legge della giungla»,
«La città, in mano alle bande di gangster in lotta
fra loro, si era trasformata in una giungla».
Ovviamente il riferimento è a fatti cruenti che effettivamente
avvengono nelle foreste. Youtube è pieno di interessanti filmati al
riguardo, me ne vengono in mente due. Nel primo si vede un
leone che scorge un piccolo di bufalo isolato nella savana, gli si
avvicina silenziosamente poi gli balza addosso, lo uccide in pochi
secondi e lo sbrana. Nel secondo un coccodrillo aggredisce un
piccolo ippopotamo, ma gli adulti se ne accorgono e gliene danno tante e tante. Non sembra vogliano ucciderlo, il coccodrillo
fuggendo si salva, ma si ha l’impressione che per un po’ la sua
dieta sarà carente di ippopotami.
Attenzione, il punto è che in questi filmati vediamo una
specie che preda, o cerca di predare, un’altra. Ben piú rara in
natura la lotta mortale tra individui della stessa specie.
Certamente si racconta che un lupo, o un orso, all’estremo, per fame possa aggredire e mangiare un suo simile, o che
il leone dominante divori i cuccioli della femmina risultato di
accoppiamenti precedenti, ma sono fenomeni ben delimitati.
Del resto anche la nostra morale lo prevede in certi casi: i nau73
La citazione, senza fonte precisa, è riprodotta cosí come l’ho trovata.
h (128) h
fraghi si dice tirassero alla paglia piú corta (che, sostiene Prévert, capitava sempre al mozzo). Di quello che succede tra le
formiche poi, noi mammiferi francamente ce ne possiamo disinteressare.
La città dei gangster, col suo estremo livello di violenza tra uomini, in realtà non è piú vicina, be nsí piú lontana
dalla giungla di quella del Buongoverno del Lorenzetti: an che sotto il buon governo vige la lotta di tutti contro tutti,
ma si conserva una ritualizzazione, un controllo, dello
scontro che pallidamente ricorda quello che nella giungla
regola e conforma la violenza intraspecifica, come gli etolo gi ci mostrano in dettaglio.
Ma na .
l dialogo che segue è dalla Scena V de La femme docteur
di Guillaume-Hyacinthe Bougeant.74 Siamo intorno al
1730, in un salotto parigino l’avvocato Spaccabolle è chiamato
a giudizio da tre dame, pretese teologhe gianseniste, mentre
disputano tra loro.
I
Lucrezia — Conoscete su ciò qualche bel passo di
Sant’Agostino? Metterebbe fine alla discussione.
M. Spaccabolle — No; ma è come se lo sapessi. Ho tutto Sant’Agostino nella mia biblioteca.
Dorimena — Io credo che ci sia un testo di San Cipriano che decide in mio favore.
M. Spaccabolle — Potrebbe essere, perché mi rammento che un mio amico ne ha uno dell’ultima edizione.
74
Vedi Il Covile №440 del gennaio 2018, traduzione di G. Rouf.
h (129) h
Belisa — Io son sicura che la mia definizione è, parola
per parola, in San Prospero.
M. Spaccabolle — Sí, certo. L’altro giorno ne ho visto
uno che era assai ben rilegato in marocchino.
Nella scenetta Monsieur Spaccabolle sostituisce ripetutamente alla sostanza della comprensione di un testo, il possederlo, «Ho tutto Sant’Agostino nella mia biblioteca», o la forma esteriore, «ben rilegato in marocchino». Una sostituzione
che corrisponde a qualcosa di profondo: il mana si trasmette
per contatto e per evocazione. Ma si tratta del mondo
dell’immaginario, o detto terra terra della follia umana.
Posso toccare un libro importante quante volte voglio, possederne decine di copie nelle varie edizioni, anche rilegate in
marocchino, posso perfino averlo letto: ma o ci ho capito qualcosa oppure tutto ciò è niente. Ciò sembra abbastanza piano, si
parla con disprezzo di «libri a metro» per accennare alla pura
esibizione di una cultura non posseduta interiormente. Ma questa
presa di distanza dalla legge del mana è tutto sommato precaria,
normalmente il trucco in genere funziona.
Se frequento X e Y, due importanti conoscitori di cose
d’arte, darò a intendere che anch’io sono intenditore d’arte. È
qualcosa di automatico. Nasce da lí ogni mecenatismo. Si racconta che Gianni Agnelli abbia invitato a cena Eugenio Montale nel 1975, dopo che il poeta aveva ricevuto il Nobel. Montale si negò, dicendo che non vedeva il perché di un interesse
che precedentemente non era mai stato dimostrato. Preferiva i
pranzi della sua cara Gina.
Aggiunta rileggendo.
Facendo un rapido calcolo sulle mie conoscenze dirette in
campo di intellettuali, studiosi, cattedratici ecc., tutti a buon titolo nel loro campo, davvero; posso concludere, di loro, del
h (130) h
poi non cosí piccolo insieme che posso testimoniare direttamente, che di fronte alla situazione dell’avvocato Spaccabolle,
chiamati cioè a dirimere a partire da un giudizio di San Cipriano, una buona metà avrebbe risposto immediatamente che
ignorava del tutto lui e la sua opera, e che magari di ciò se ne
vantava, ma il resto avrebbe ricorso ad accorgimenti piú raffinati di quelli di Spaccabolle tipo: «San Cipriano, come tutti
sanno, è citato da … nel suo fondamentale …», eludendo la questione con altro argomento, completamente irrelato.
Sillogismi e realtà.
l sillogismo «Tutti i Greci sono mortali, Socrate è greco,
dunque Socrate è mortale» trae in inganno.
Non, ovviamente nella forma astratta: «Tutti gli appartenenti all’insieme G godono della proprietà M, S appartiene a
G e dunque S gode della proprietà M».
Come la geometria, che tratta di punti, linee, superfici
astratte, cosí la logica tratta di entità, proprietà e relazioni
astratte e pertanto non consente di trattare direttamente del
mondo reale. Nella prima formulazione del sillogismo, consueta, si fa invece intendere che si parla di realtà (Socrate, il famoso filosofo; la Grecia, dove siamo stati in vacanza), ma in
verità non siamo in grado di affermare «Socrate è greco». Potremmo certo dire «se Socrate fosse greco», ma ne risulta «allora sarebbe mortale», non «è», e in sostanza non avremmo
niente in mano; oppure possiamo limitarci a dire «abbiamo
una probabilità stimata del... che Socrate sia greco», per concludere «dunque abbiamo almeno una probabilità del... che
Socrate sia mortale», con un sensibile passo in avanti.
Quanto sopra è scontato nel mondo scientifico e tecnico,
ma sembra restare alieno a quello umanistico-giuridico-politi-
I
h (131) h
co, in fondo ancora caratterizzato da una forma mentis aristotelica-tomista.
Il commento di Davide Dell’Aquila:
Sono d’accordo in quanto né Aristotele né Tommaso
avevano risolto il problema di come si mappano le asserzioni logiche rispetto alla realtà che è il problema
epistemologico delle teorie scientifiche e di che cosa
significa conoscere. Da un punto di vista di metodo
dovremmo dettagliare cosa significa che Socrate era
Greco: è immigrato da piccolo, i suoi genitori erano
entrambi Greci ecc.; inoltre dobbiamo verificare induttivamente, la teoria che i Greci sono mortali, e
quindi quanti Greci dobbiamo studiare, 10, 100,
1000? Tra l’altro per il paradosso della conferma tutti i corvi sono neri riceverebbe una sia pur piccola
conferma dal fatto che esiste una mela rossa, infatti se
corvo implica nero allora non nero implica non corvo, e l’osservazione di una mela rossa è un esperimento che rafforza la teoria che i corvi sono tutti
neri, quindi bisogna anche stare attenti a definire che
cosa significa confermare induttivamente una teoria.
Altro caso: uno scienziato dichiara che gli smeraldi
sono «verdlu» prima del 1° gennaio del 2000 ma diventano improvvisamente «blerdi» dopo la mezzanotte del 31 dicembre 1999, dove si definisce «verdlu»
qualcosa che è verde prima del 1/1/2000 e blu dopo,
mentre «blerde» è qualcosa che è blu prima e verde
dopo. Questo esempio ci dice che i nostri modelli della realtà devono inoltre anche essere i piú economici
possibile. C’è poi il cosiddetto problema della demarcazione, ovvero se un ente ha una qualità che varia con continuità, come facciamo a demarcare questa
qualità tra categorie distinte? Esempio: vita-non vita.
h (132) h
In definitiva concordo che il concetto di conoscenza
debba essere accompagnato da una misura di quanto è
probabile che sia vero, quello che i fisici chiamano
intervallo di confidenza. Ma il dibattito politico è da
sempre terreno dei sofisti e dell’uso strumentale e disonesto, se non proprio francamente sovversivo, della
pa ro l a .
Altra pres a di distanza da una passione giovanile.
er Simone Weil: «La nozione di obbligo sovrasta quella
di diritto» (La prima radice). Giusto, tra obbligo e diritto. Ma obbligazione non è che un altro nome del debito. L’amore, la grazia, è proprio ciò che non ha obbligo, né diritto. Come ci
ricorda Porzia, questa
P
ha natura non forzata, scende come dolce pioggia dal
cielo sul sottostante suolo; due volte benedetta, benedice chi la offre e chi la riceve; (William Shakespeare, Il
Mercante di Venezia, Atto IV, Discorso di Porzia, «The
quality of mercy»).
Sull’operaism o italiano.
1. Due importanti e taciuti prestiti di Bordiga (figura di riferimento di tutta la sinistra comunista italiana, compreso Damen, Cervetto ecc) agli operaisti. Tramiti certi: Romano Alquati e Danilo Montaldi:
a) il giudizio sul fascismo come sviluppo e non arretramento del capitale
b) il concetto di autonomia, del particulare dell’interesse
operaio
2. Idea nuova di Tronti, elaborata probabilmente a partire
da Der Arbeiter di Jünger: il capitale tende alla stagnazione
(legata alla condizione umana dei capitalisti: vedi utopia bor-
h (133) h
ghese della conservazione dei rapporti medievali, discendenza,
eredità, status ecc.), è la classe operaia che lo spinge allo sviluppo, per moltiplicarsi ed aumentare di forza. Idea di origine
fascista, come scrive Camatte, ma che coglie un dato reale,
fornisce un contributo scientifico. ¶ Purtroppo si sbilancia sottovalutando la «soggettività» capitalistica e non riuscendo a
comprendere «l’echappement» del capitale e la sua successiva
morte, prima potenziale, poi reale.
D a ta r e b e ne .
K
arl Polanyi, Ivan Illich, ma anche il Ludwig Klages
dello straordinario L’uomo e la terra, e ci aggiungerei
Baudrillard dello scambio simbolico, colgono perfettamente la fenomenologia del moderno, ossia del capitale, ossia
del processo di civilizzazione, come lo si voglia intendere,
ma falliscono posticipando di molto l’inizio della modernità. La Riforma e il Capitalismo vero e proprio arrivano
quasi duemila anni dopo l’inizio del conio della moneta,
mentre lo sviluppo del valore, poi del valore di scambio e
del suo equivalente generale, è ben piú antico: procede dal
Neolitico e accompagna l’origine dell’aritmetica e della
scrittura... È come se in un ammalato di tumore, terminale,
ci si fermasse a indagare la «grande trasformazione» segnata dalla comparsa delle metastasi.
Casi (mor ali).
omenica scorsa ho vinto una disputa (è un termine tecnico) con don Luigi, persona squisita e, dicono i conoscenti (era la prima volta che lo incontravo), sant’uomo, che
mi era commensale ad un pranzo di battesimo, battesimo che
don Luigi aveva ministrato. Ricorderò come un privilegio quella affettuosa conversazione per la di lui dolcezza, precipua, inconfondibile, che è propria della parte nobile della civiltà na-
D
h (134) h
poletana. Cose ormai perdute. ¶ Il caso lo ha presentato don
Luigi, in questi termini: è certo che quello che abbiamo davanti è un bicchiere con dell’acqua, ma se mi trovassi a parlare
con qualcuno che a tutti i costi vuole asserire che è vino, dopo
aver provato in tutti i modi a richiamarlo alla realtà, potrei anche accontentarlo allo scopo di non rompere con lui, con
un’anima. ¶ Ho risposto che penso non si debba né si possa,
per il motivo che della verità non disponiamo, non è nostra.
Ammettere il falso è quindi come, non avendolo, rubare denaro a qualcuno per darlo ad un altro. E l’esempio è davvero pregnante perché io non posso sapere quante persone sanno o possono sapere che in quel bicchiere c’era acqua e di fatto mi troverei, con la persona del caso, a dar loro di mentitori. Aggiungo
che pecco di superbia pensando di poter salvare l’amico accontentandolo. Non siamo preveggenti: potrebbe essere al contrario proprio la mia fermezza sulla verità a provocare nell’amico
l’urto, il dolore, che gli necessita per il salto alla conversione.
Don Luigi ha convenuto che sul caso forse avevo ragione e siamo passati ad altro.
Aggiunta rileggendo.
Sentenza aurea e definitiva quella di Lao-Tze: «La via del
saggio è fare ma non contendere». Come applicarla al caso della disputa precedente? Direi cosí: «se mi trovassi a parlare con
qualcuno che a tutti i costi vuole asserire che è vino» non volendo contendere dovrei fare. E il fare taoista, naturale, animale,
d’elezione... è la fuga. Ad esempio: impegni imprescindibili mi
obbligherebbero a cessare di discutere del contenuto del bicchiere e andarmene.
21 agost o 2021.
i fronte alle immagini dei giovani, barbuti, militanti armati che entravano in Kabul, credo che pochissimi sa-
D
h (135) h
piens maschi con ancora un po’ di sangue nelle vene non abbiano avuto un lampo d’invidia. Un moto del cuore segreto e
nell’epoca del politicamente corretto forse anche illegale, dello stesso stampo di quello che invece Kafka riuscí ad esprimere
poeticamente nel suo «Desiderio di essere un pellerossa»:
Ah, se fossi un pellerossa, ecco qua, pronto, sul cavallo
in corsa, obliquo nel vento, scosso da brevi sussulti sul
suolo sussultante, fino a gettare gli sproni, che non ci
sono, fino a buttare le redini, che non ci sono, fino a intravedere appena la prateria rasata che mi fugge davanti, senza piú collo né testa di cavallo. (Dai Racconti
di Franz Kafka, 1913, trad. G. Zampa modif., ed. Feltrinelli.)
Nessun commento, solo la registrazione di un fatto.
Rivoluzioni?
ianni Collu diceva, racconta Alzek Misheff, che
quella russa del 17 era st ata in realtà una controrivo luzione, piú precisamente, aggiungeva, una rivoluzione nazionale. La rivoluzione borghese e di matrice internaziona le, aggiungeva, fu quella del 1905. Est endendo il pensiero
di Collu potremmo pensare a quella bolscevica come ad un
modo terribile, in quei tempi terribili, per conservare una
forma di comunità e una forma di zarismo. Idem per quella
cinese... Rivoluzioni conservatrici senza saperlo. I tempi at tuali sembrano confermarlo.
G
Tanta roba.
ncora nella seconda metà dello scorso secolo correva il
detto «Troppa grazia, Sant’Antonio» a significare che
ogni cosa ha la sua misura e che la crescita non sempre va bene.
A
h (136) h
Qualche anno dopo, evanescente la tradizione orale, si deprecavano dovizie eccessive con l’ambiguo «È come la Fanta, non
è buona ma è tanta», che si poteva intendere sia negativamente, «è tanta ma non vale niente», sia, per consolazione,
«non è buona, ma almeno è tanta». Ora ogni battaglia è persa,
siamo al «È tanta roba!» e ça suffit. Il Regno della quantità in
tutto il suo splendore.
Allunamento USA nel 1968.
in dall’inizio qualcuno lo metteva in dubbio; oggi lo
scontro sulla questione è senza quartiere.
Di formazione scientifica sospendo il giudizio su esperienze non riproducibili.
F
Glossa a Montale
C
«Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!»
hi era costui?
Ci tenta una figura:
il Farmacista,
Epicuro.
*+