STEFANO CROGNALE
Un allievo forlivese del Cignani: Sebastiano
Savorelli
Lunghissimo è l’elenco di tutti quegli artisti, non solo pittori,
che furono, almeno per un periodo, allievi di Carlo Cignani;
Marcello Oretti, nella biografia del maestro, ne nominerà ben
sessantaquattro 1. Proprio un numero così alto non ha ancora
permesso uno studio esaustivo della sua bottega, anzi, delle
sue due botteghe - quella bolognese e quella forlivese essenzialmente diverse tra loro per quanto strutturalmente
simili 2i. Il trasferimento definitivo di Carlo a Forlì - nel 1683
- apre difatti un capitolo del tutto nuovo non solo nell’attività
del pittore ma anche nella storia dell’arte in Romagna.
Tutta la pittura romagnola del Settecento è stata spesso
liquidata dagli studiosi con semplici accenni, in un ripetersi
asfittico di poche parole: colonia bolognese, pittori minori,
storia locale. Lucido e sincero è il saggio di Pier Giorgio
Pasini, che sottolinea la mancanza di alternative artistiche
nella regione, dove l’attività dei Cignani ha condizionato
ogni espressione pittorica: «Pittura senza entusiasmi,
potremmo definire quella dei cignaneschi romagnoli; sorretta
da una tecnica diligente, ancor più che abile, e caratterizzata
da una moderata devozione»3.
Risulta oggi impresa ardua poter togliere il velo di anonimato
steso su questi artisti: la piccola mostra tenutasi lo scorso
anno nella chiesina del Miracolo a Forlì ha cercato di
riportare l’attenzione proprio sulla bottega romagnola dei
Cignani 4, ponendosi come punto di partenza per ulteriori
approfondimenti.
1
M. Oretti, Notizie de Professori del Dissegno…, Ms B 129, cc. 339-341,
Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio.
2
Nel passaggio a Forlì il Cignani mantenne la stessa struttura generale
nella bottega, lasciando le mansioni di Franceschini al figlio Felice e
continuando ad istruire gli allievi. Ma, mentre a Bologna lavorava
insieme ad un’ottima equipe, in Romagna il pittore affronta da solo la sua
opera più impegnativa.
3
P. G. Pasini, La Pittura in Romagna, in L’arte del Settecento emiliano.
La pittura, l’accademia clementina, catalogo della mostra (Bologna, 8
settembre-25 novembre) a cura di AA. VV., Bologna 1979, p. 189.
4
A. Bondi, E. Garavini, A. Giunchi, La bottega dei Cignani e la pittura
sacra in Romagna, catalogo della mostra (Forlì, Chiesina del Miracolo, 217 febbraio 2008), Castrocaro Terme 2008.
Un percorso da riscoprire è certamente quello di Sebastiano
Savorelli, forse il più nominato dalle fonti tra gli allievi
forlivesi. Ma sebbene il suo nome sia tenuto in gran
considerazione e venga sempre ricordato in relazione al
soggiorno romagnolo del pittore bolognese, la sua vicenda
biografica non viene mai indagata: veloci e molto generali
sono le considerazioni sulla sua attività artistica. Il primo ad
interessarsi del pittore è il cosiddetto “Muto Accademico”
che, nel Breve racconto della vita di Carlo Cignani del 1702,
lo inserisce in un ristrettissimo elenco - tre soli nomi - degli
allievi: «…bravamente opera, e con feracità di ingengo»5.
Viene poi rapidamente ricordato nell’anonima Aggiunta da
farsi all’Abbozzo vitale del cav. Carlo Cignani 6, nelle Pitture
più celebri e cospicue di Forlì descritte dal Sig. Carlo
Cignani del 1691 7 e nella prima biografia a stampa sul
bolognese compilata da Ippolito Zanelli: « Filippo Pasquali e
il sacerdote Sebastiano Savorelli, ambedue defunti, han dato
pruove del loro sapere nella loro patria e fuori»8.
Fondamentali per scoprire la figura di Sebastiano Savorelli
sono i manoscritti di Marcello Oretti 9, che inserisce nei suoi
appunti una serie decisamente ampia delle opere del pittore
forlivese. Come mai egli è l’unico a ricordarle? Nelle sue
carte troviamo sempre la fonte dalla quale ricava le
informazioni: in questo caso sono i manoscritti del dottore
5
Breve racconto della vita di Carlo Cignani descritta dal Muto
Accademico Concorde di Ravenna ed Acceso di Bologna, a dì 4 agosto
1702, Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, vol. miscell. B.
36, n.72, pubblicato in S.Vitelli Buscaroli, Carlo Cignani (1628-1719),
Bologna 1953.
6
Pubblicato in L. Frati, Varietà storico-artistica, Città di Castello 1912.
7
Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms B 291, Pitture
dello Stato ecclesiastico: C 97- C101 Pitture più celebri e cospicue di
Forlì descritte dal Sig. Carlo Cignani 1691. Per le questioni filologiche
riguardo questo manoscritto si consulti F. Moscoloni, Carlo Cignani
(1628-1719) testimone di Forlì, «Romagna Arte e Storia», XVIII (1998),
54, pp. 15-24.
8
In I. Zanelli, Vita del Gran pittore cavaliere conte Carlo Cignani,
Bologna 1722, pp. 61-2.
9
In particolare M. Oretti, Notizie de Professori del disegno cioè Pittori
Scultori e Architetti Bolognesi e de forestieri di sua Scuola raccolte da
M.O. Bolognese, volume IX, Bologna, Biblioteca comunale
dell’Archiginnasio, ms. B 129 e M. Oretti, Pitture della città di Forlì
descritte da M.O. bolognese nell’anno 1777, Bologna, Biblioteca
comunale dell’Archiginnasio, ms. B165/II.
Domenico Savorelli, nipote di Sebastiano, documenti che
Oretti afferma di possedere presso di sé 10.
Dal punto di vista puramente biografico Oretti aggiunge
comunque varie informazioni utili: «Sacerdote di Forlì,
studiò dal Cav. Carlo Cignani la Pittura, e con buon gusto la
esercitò, dipingendo non tanto per la sua patria, che per altre
città»11.
Luigi Lanzi, nella sua Storia Pittorica dell’Italia, lo ricorda
fra i forlivesi «eruditi dal Cignani il prete Sebastiano
Savorelli, adoperato in quadri da chiesa anche nelle città
vicine» 12; comunicazione certo scarna ma da ritenersi
importante vista la grande fortuna dell’opera.
Le informazioni che possiamo così recuperare sul pittore
sono molto generiche e si limitano quindi a pochi dati:
Sebastiano Savorelli, sacerdote forlivese, allievo del Cignani.
Per quel che riguarda gli estremi biografici ci si deve
limitare, per la nascita, ad accettare il 1667, data riportata da
don Romeo Bagattoni 13, ma non verificabile su alcun
10
Elisa Garavini evidenzia un rapporto epistolare tra Oretti e Domenico
Savorelli, suo principale informatore sulle esperienze artistiche forlivesi e
in particolare della bottega di Carlo (E. Garavini, Gli allievi forlivesi di
Carlo Cignani: Indagini su Andrea Felice e Francesco Antonio Bondi,
tesi di laure, Università degli studi di Bologna, Facoltà di conservazione
dei Beni Culturali, relatore prof.ssa D. Lenzi, A.A. 2001-2002). «Se vorrà
sapere poi dei soli allievi di codesta scuola succintamente gliene
trascriverò le notizie che mi è riuscito di ritrovare, e insieme il catalogo
dei migliori scolari del Cignani, paesani ed esteri»; così risponde
Domenico l’11 gennaio 1763 a una probabile richiesta del bolognese.
Purtroppo questo “catalogo” non è stato rintracciato, ma possiamo
ipotizzare che Oretti se ne sia servito largamente. Del resto, quale
informatore migliore di Domenico, stretto parente di Sebastiano?
11
Oretti ms. B 129 (op. cit.), c. 478.
12
L. Lanzi, Storia Pittorica dell’Italia, Firenze 1968, p.130.
13
R. Bagattoni, Sacerdoti forlivesi pittori discepoli di Carlo Cignani, “La
Madonna del Fuoco”, XI (1925), pp. 9-13. Nell’articolo viene la nascita
di Savorelli è posta al principio del 1667, ma Bagattoni non indica la
fonte di quest’informazione. Consultando poi il censimento del 1674
(Nota e numero di quei putti…nella città di Forlì fatta l’anno
1674…,Forlì, Biblioteca Comunale, ms. VIII/87, lettera B) riferibile a
tutti i bambini tra i 5 e i 15 anni, si trova un Bastiano Savorelli nel
territorio parrocchiale di Santa Maria in Schiavonia ( in questa zona in
effetti abitavano alcuni nuclei della famiglia), ma non vi è indicazione
dell’età del ragazzo e oggettivamente questa informazione appare troppo
incerta per poter confermare alcuna ipotesi.
documento e, per il decesso, a porre come terminus ante
quem il 1722 14.
Sebastiano non apparteneva alla stirpe più nobile dei
Savorelli forlivesi; il suo nome appare solamente nel quarto
ed ultimo ramo di un inedito albero genealogico della
famiglia, anonimo e non datato, trascritto disordinatamente
nella prima pagina di un piccolo quaderno dove è riportato il
testamento di Domenico Savorelli e altre disposizioni lui
riguardanti 15.
Ma quale era il ruolo di Sebastiano all’interno della bottega
di Forlì? Certamente non fu, come il Mancini o il Bencovich,
un personaggio di spicco, talentuoso e carismatico.
Probabilmente rimase sempre molto vicino al Cignani e lo
aiutò nelle sue varie imprese. Nota è l’amorevole cura che il
maestro dimostrava suoi discepoli; la sua bottega, i suoi
allievi erano quasi indispensabili per la creazione del grande
capolavoro. Cercava di seguirli personalmente uno ad uno,
dispensando spesso consigli molto utili. Tra questi discepoli,
Savorelli forse era uno dei più fedeli, proprio a causa della
sua modesta abilità.
Giampiero Savini, nei suoi studi sulla città di Cesena, ha
rintracciato alcune lettere di Andrea Felice Pascoli 16, padre
14
Nel 1722, ovvero la data della stampa della biografia dello Zanelli
viene ricordato come defunto. Procedendo a ritroso notiamo che
nell’Aggiunta da farsi all’abbozzo vitale del Cavaliere Carlo Cignani si
afferma che il pittore è morto da un anno. Purtroppo non sappiamo la data
di stesura del manoscritto ma possiamo ipotizzarla nel 1710 (tra queste
carte vi è infatti una lettera di Felice Cignani datata proprio 1710).
Savorelli sarebbe così venuto a mancare nel 1709: data che tutto sommato
possiamo tenere in considerazione perché non contraddice altri dati in
nostro possesso.
15
Forolivien Iuspadronatis de Savorellis, Forlì, Biblioteca Comunale,
Raccolte Piancastelli, sez. Carte Romagna, busta 633.57/2. Domenico,
avvocato e medico, fu molto stimato nella Forlì dell’epoca e, come
abbiamo già visto, venne spesso interpellato da Oretti per ottenere
informazioni riguardanti i pittori forlivesi.
16
Le lettere sono tratte dal Libro terzo del campione vecchio di Cesena,
compilato dal 1687 al 1696, con aggiunte fino al 1755, conservato
nell’archivio dell’ordine a Bologna. Nei manoscritti di Francesco Zarletti
conservati nella Piancastelli si trovano informazioni utili sul padre
cappuccino: «nel 1687 fu fatto guardiano e maestro dei novizi, compagno
e confessore del P. Stefano Chiaramonti…governò questo convento con
molta lode…». Poco più avanti vengono anche descritti quattro libri, stesi
proprio dal frate, riguardanti la storia del convento di Cesena «dalla sua
cappuccino, riguardanti alcune opere del convento di Cesena
che testimoniano il rapporto, non solo lavorativo, tra Cignani
e Savorelli. In una di queste si legge: «L’anno 1696 [...] per il
quadro nuovo d’Esso glorioso Santo [Antonio da Padova],
disegnato dalla mano eccellentissima del Sig.re Carlo
Cignani bolognese Pittore insigne, ed il più famoso de’ nostri
tempi, e dipinto dal Sig. Sebastiano Savorelli da Forlì suo
discepolo sotto gli occhi, e con la direzione del medesimo
Sig. Carlo; il quale per maggiormente favorirmi ed
obbligarmi l’ha poi anche ritoccato dove hà veduto essere più
necessario. Il pensiero è nobilissimo, e devotissimo….»17.
Qui si illustra il procedimento tipico della bottega: il maestro
fornisce il disegno all’alunno e quando questi ha eseguito
l’opera, si riserva il ritocco finale. Probabilmente il frate
enfatizza l’attenzione che Cignani rivolge all’esecuzione
delle tele perché vuole aumentare la valutazione dei quadri
posseduti, ma in ogni caso vi possiamo notare la cura che egli
metteva anche nella preparazione delle opere di bottega.
Come ho detto padre Pascoli non si ferma solo ad illustrare il
rapporto di collaborazione, ma sembra spingersi oltre:
«..istruendo [Cignani] e assistendo il Sig.r Sebastiano
Savorelli Forlivese quando li dipingerà, e correggendolo e
ritoccandolo dove fa bisogno… Tanto più che il detto S.r.
Sebastiano Savorelli principia a dipingere da se, e sono
stimate le sue pitture per l’assistenza di così eccellente
maestro, che l’ama come figliolo, et è il suo discepolo più
caro, e più confidente in tutte le sue cose…» 18.
Il frate cappuccino probabilmente non conosceva di persona
né Carlo né Sebastiano; forse quelle che riporta sono solo
voci arrivate insieme ai vari quadri commissionati. Savorelli
comunque è nominato come il discepolo più caro, il
confidente di tutte le cose: probabilmente con lui Cignani
manteneva un rapporto particolare.
E forse non è troppo azzardato immaginare un affascinante
scambio di ruoli: mentre il giorno sulla tela il maestro
fondazione fino al suo tempo» (F. Zarletti, Cesena sacra…, 1840, Forlì,
Biblioteca comunale, Raccolte Piancastelli, Sezione Manoscritti, Sala 0VI-30, c. 463).
17
G. Savini, La pittura a Cesena nel Settecento, catalogo della mostra
(Cesena, Palazzo del Ridotto, Galleria Comunale d’Arte, 18 aprile-3
giugno 1984), Cesena1984, pp. 9-10.
18
G. Savini, L’arte del Settecento. L’attività di pittori, scultori,
intagliatori, in Storia di Cesena, vol. V, Le arti, Rimini 1998, pp. 98-99.
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guidava il pennello del sacerdote, alla sera, quando ormai il
buio non permetteva più alcun lavoro, si poteva sentire la
voce del sacerdote guidare l’anima del pittore.
Come abbiamo già visto i primi lavori documentati di
Savorelli sono frutto di una stretta collaborazione con il
maestro: tre tele spedite al convento dei Cappuccini di
Cesena rappresentanti il Salvatore Orante (1693),
Sant’Antonio da Padova (1696) e San Felice da Cantalice
(post 1696). Nel complesso dei Cappuccini oggi è conservata
solo la prima delle tre tele, dove è raffigurato Cristo nell’orto
sorretto da un angelo che tiene nella mano destra un calice,
chiaro riferimento all’imminente passione (fig.1). Con una
finalità devozionale, viste le medie dimensioni e la semplicità
del disegno, il quadro presenta quella colorazione tipica del
primo periodo forlivese di Cignani: una luce bruna avvolge i
personaggi, proprio come nell’Incoronazione di Santa Rosa19
e da questa oscurità risalta il complicato panneggio del
Cristo, reso vivace da alcune pennellate cariche di colore. Un
raffronto con la Maddalena - piccolo ovale del bolognese
oggi a Londra 20 - può indicare dove effettivamente si può
ritrovare la mano di Savorelli nel Salvatore di Cesena.
Identico è l’uso della colorazione, ma, mentre nel dipinto
inglese le pennellate rendono le superfici compatte, nella
seconda la trama risulta più sfaldata e meno definita. Mentre
Carlo ormai è cosciente del proprio stile levigato, il pennello
del forlivese, non ancora trentenne, sebbene piuttosto
energico, risulta ancora impreciso.
Il caposaldo del catalogo rimane comunque l’Annunciazione
di Imola, del 1696 (fig.2). È il lavoro più documentato 21 del
pittore, un punto fermo per poter valutare i caratteri pittorici
di Savorelli e per delinearne quindi gli aspetti stilistici. Nel
retro della tela è presente una scritta - forse coeva – che
conferma la data e aggiunge che fu un dono del cardinale
19
La tela è conservata nella Pinacoteca di Forlì ed è concordemente
inserita all’inizio del periodo forlivese di Cignani; Buscaroli Fabbri,
Carlo Cignani, affreschi dipinti disegni, II edizione, Milano 2004, p. 178.
20
L’ovale è precisamente nella Dulwich Picture Gallery di Londra e
sembra far parte della produzione degli anni 1985-90; Buscaroli Fabbri
(op. cit.), p. 52.
21
Esiste anche il documento che ne notifica il pagamento al Savorelli
(Archivio di Stato di Bologna, Sezione di Imola, Demaniale – SS.
Annunziata, 7-8233, c.10 e c.210).
legato a Ravenna, Francesco Barberini, alle suore cappuccine
di Imola 22. Il quadro, uscito dalla bottega forlivese di Carlo
Cignani, testimonia ancora la stretta dipendenza artistica di
Sebastiano verso il suo maestro: sebbene quest’ultimo non
venga nominato dai documenti, non si può negare una sua
attiva partecipazione, visibile soprattutto nei modi e
nell’impostazione generale del disegno. Dalla costruzione,
che riprende le due grandi pale nella Pinacoteca di Forlì 23, ad
alcuni particolari - la sincera devozione del volto di Maria, il
composto agitarsi delle vesti dell’angelo - deduciamo che
l’apporto del bolognese non si limitò solo ad un passivo
controllo ma che probabilmente propose il disegno e, ad
opera finita, ritoccò alcuni particolari.
Sono cambiate molte cose dal lavoro cesenate sebbene siano
passati solo tre anni: l’allievo ha indubbiamente acquisito
maggiori capacità tecniche e riesce a sfruttare felicemente
tutta la superficie della tela. Purtroppo la patina di sporco non
permette una corretta valutazione dei colori, che risultano
alquanto sbiaditi e spenti.
Questa è decisamene la migliore opera di grandi dimensioni
dipinta da Savorelli: egli si trovava a proprio agio nel
riproporre diligentemente le caratteristiche del maestro e
sotto la sua guida riusciva ad esprimere pienamente le sue
potenzialità artistiche.
La decorazione della chiesa dei padri Romiti (oggi del Buon
Pastore) viene segnalata da Oretti 24: il nostro pittore avrebbe
dipinto tutti i quadri nella chiesa, compresa la pala d’altare,
raffigurante la Trinità; non precisa però quale fosse il numero
complessivo. Oltre alle due tele, il Sacro Cuore (fig.3) e il
22
« EM.us ARCHIV.us FRANC.us CARD. BARBERINUS ROMAN.s
LEG.us ET HUIUS MONAST.i APECA, AUTC. E PRELATUS DONO
DEDIT 1696. SEBASTIANO SAVORELLUS FOROL. FACIEBAT».
La scritta è riportata in M. Bietti, G. Cammarota, Donzelle e Cappuccine:
il Conservatorio delle donzelle nel convento della SS. Annunziata a
Imola, Bologna 1985, p. 41.
23
L’ Incoronazione di Santa Rosa e la Vergine con San Filippo Neri;
anche se la seconda verrà dipinta quasi vent’anni dopo ed è uno delle
ultime opere di Cignani, testimonia la coerenza di Carlo nello scelta di un
impianto piramidale.
24
Oretti ms. B129 (op. cit.), c. 478: «Nella chiesa dei PP. Romiti, la
tavola della Trinità e tutti li quadri laterali intorno alla chiesa»; Oretti
B165/II (op. cit.): «Cristo morto in grembo a Dio Padre di Don
Sebastiano Savorelli».
Sant’Antonio (fig.4), ancora presenti nella chiesa e attribuibili
a Savorelli, è stato possibile rintracciarne una terza, collocata
nel presbiterio di Santa Lucia a Forlì, dove è presente proprio
una Trinità 25(fig.5). Non sappiamo come il sacerdote
ricevette quest’importante commissione, ma se si accetta
l’ipotesi che fu Valeriano Savorelli a richiederlo, si potrebbe
avanzare una datazione post 1703, ovvero dopo che il parente
venne eletto superiore dell’ordine gerolamino 26: ormai
Sebastiano possedeva le capacità per poter lavorare
autonomamente.
Nelle tre opere le figure sembrano impacciate, le nuvole non
hanno quella leggerezza tipica di Carlo ed i colori sono scuri
e quasi uniformi: il disagio che abbiamo già notato nelle
precedenti opere qui sembra acuirsi e si nota decisamente la
mancanza del maestro. La difficoltà maggiore si riscontra
nella proporzionalità dei corpi, che non sempre sono ben
inseriti nello spazio e nella definizione degli sguardi: lo
stesso pittore, accorgendosi di quest’ultima sua mancanza,
rende i volti dei suoi personaggi estremamente meditativi,
chiudendogli, quando possibile, le palpebre.
In ogni caso la composizione geometrica riesce a dare ordine
alle figure e permette all’attenzione dello spettatore di non
soffermarsi eccessivamente su queste carenze, ma di mettere
25
Di questa tela non vi sono tracce documentarie dopo Oretti fino al
1928, quando viene descritta da Casadei (E. Casadei, La città di Forlì e i
suoi dintorni…, Forlì 1928, p. 220); l’opera è schedata sotto il nome di
anonimo romagnolo, ma è ben riconoscibile la mano di Savorelli. Agile è
infatti il confronto con le due opere rimaste nella chiesa del Buon Pastore:
non sembra esservi un salto qualitativo data la comune rigidità dei
soggetti e in alcune incertezze d’impostazione del disegno. Anche la
luminosità diffusa ma controllata dalla tonalità bruna non pone dubbi nel
proporre l’appartenenza alla stessa mano.
26
In delle lapidi inserite nei contrafforti che delimitano il presbiterio vi
sono due “memorie”: una di queste si riferisce a Valeriano Savorelli,
gloria forlivese dell’ordine Gerolimino in quanto fu eletto superiore
generale nel 1703; morì a Rimini nel 1715. L’unico ramo genealogico
della famiglia Savorelli dove si incontra un Valeriano è proprio quello di
Sebastiano: anche se questi non è, per ragioni cronologiche, il frate
gerolamino, sappiamo che generalmente vi è una continuità di nomi
anche nelle generazioni successive. Possiamo quindi ipotizzare la sua
vicina parentela con il pittore e che probabilmente fu lui a commissionare
tutte le opere della chiesa dell’ordine a Sebastiano. In questo modo le
opere del Buon pastore sarebbero state realizzate tra il 1703, quando
Valeriano diventa superiore dei Gerolimini, ed il 1709, probabile data di
morte del pittore.
pienamente a fuoco il soggetto del quadro: una linea verticale
unisce le tre persone della Trinità; la posizione dei due grandi
angeli mette in evidenza il Sacro Cuore; nel Sant’Antonio il
gioco di sguardi con il bambino è perfettamente incorniciato
dalle due creature celesti.
Riguardo al Ciclo di Ercole (fig.6) in palazzo Gaddi 27 e il
Sant’Alberto (fig.7) nella chiesa del Carmine 28 di Forlì non si
sono trovate informazioni sulla data di esecuzione, ma queste
si potrebbero inserire nella parte finale della produzione
savorelliana. Mentre nelle tele del Buon pastore, forse la sua
prima attività come “libero professionista”, Savorelli sembra
ancora impacciato, qui il disegno è decisamente più fluido e
meglio orchestrato. Lo stile di queste opere porta proprio a
pensare ad un suo aggiornamento: la Giunone che dall’alto
controlla i serpenti mandati ad uccidere Ercole bambino è un
riferimento alla stessa figura di Federico Bencovich nel
soffitto di palazzo Orselli, dipinta nel primo decennio del
Settecento, quando il dalmata è ancora strettamente vicino
agli insegnamenti di Carlo Cignani. Inoltre Rezio Buscaroli
vide nella pala con il santo carmelitano lo stile del terzo dei
Cignani, Paolo e sebbene quest’attribuzione appaia poco
solida, il fatto che il critico ipotizzi la realizzazione
dell’opera nel pieno del Settecento è un chiaro indizio della
nuova sensibilità acquisita dal nostro pittore.
27
E’ Oretti a segnalare queste opere tra la produzione di Savorelli
(Oretti, ms. B129 op. cit., c. 478), anche se poi egli stesso le attribuisce,
in un altro manoscritto, al Placucci (Oretti, ms. B165/II op. cit.).
Probabilmente questa è una delle frequenti ma inevitabili sviste presenti
nei suoi appunti, che, in quanto tali, non venivano sempre ricontrollati
dallo storico.
28
Il primo riferimento all’opera viene da Marcello Oretti (Oretti, ms.
B129 op. cit.,c. 478) che la inserisce nella produzione di Sebastiano
Savorelli; sempre il bolognese però in un altro manoscritto (Oretti, ms.
B165/II op. cit., c. 11-29). cita la tela senza specificarne l’autore. Secondo
Luigi Oliva, custode della chiesa del Carmine nel 1802, fu Felice Cignani
a dipingerla (Corrispondenze, Pratiche varie, Biblioteca comunale di
Forlì, Archivio B. Pinacoteca). Studi più recenti sulla chiesa avanzano, a
titolo di ipotesi, altre paternità: Sabatini (A. Sabatini, La chiesa del
Carmine di Forlì…, Forlì 1968, p.210-211) e Buscaroli (scheda
soprintendenza, 1931) vi intravvedono la mano di Paolo Cignani, mentre
Viroli coglie i modi di Giuseppe Marchetti (G. Viroli, Chiese di Forlì,
Bologna 1994, p. 244).
I profili affilati dei volti, la greve caduta delle grandi tende, la
generale tonalità scura, i panneggi con colorazioni intense
sono le caratteristiche che si incontrano anche in questi
lavori, probabilmente gli ultimi di Savorelli.
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Si possono inserire nel catalogo del sacerdote, sebbene
difficilmente databili, anche tre piccole tele di chiara
impronta cignanesca. Già Alberto Bondi ha visto nella
Madonna col Bambino (fig.8), attribuita precedentemente a
Felice Andrea Bondi 29, la mano di Savorelli: a prima vista un
collegamento con i suoi lavori potrebbe apparire alquanto
generico e nebuloso, soprattutto per la mancanza di altre
testimonianze riguardo il suo impegno nel piccolo formato. È
invece considerevole l’affinità tra il volto della Vergine e
quello dell’Annunciata di Imola e, in secondo luogo, si
ritrova una simile modalità pittorica tra il Salvatore Orante di
Cesena – di ridotte dimensioni – e la Madonna col Bambino.
Il pittore riusciva quindi ad esprimere meglio le proprie
capacità proprio in questi piccoli lavori, dove non doveva
ampliare le proporzioni del disegno e poteva concentrarsi
sull’espressività dei volti e sulla qualità della pennellata. Il
Sant’Antonio da Padova col Bambino (fig.9), quadro inedito
conservato nei depositi della Pinacoteca Civica forlivese,
presenta notevoli analogie con la Madonna col Bambino.
Non solo vi è la stessa semplice costruzione ed il piacevole
scambio di sguardi, ma analogo è anche il disegno dei
particolari nei volti: mento un poco pronunciato, labbra sottili
con piccole fossette alle estremità, occhi stretti e lunghi, lobi
delle orecchie ben definiti. Il terzo quadro, raffigurante San
Nicola (fig.10), è conservato nella chiesa omonima di
29
La piccola tela custodita nell’abbazia di San Mercuriale fu esposta
come lavoro attribuito a Felice Andrea Bondi nella mostra sul Settecento
emiliano tenutasi a Bologna nel 1979; Pier Giorgio Pasini, che ne curò la
scheda, vi colse infatti i modi del pittore soprattutto nel semplice ma
affettuoso gioco di sguardi tra la Vergine e il Bambino (P.G. Pasini, op.
cit., p. 196, scheda 393) e di stesso avviso è anche Giordano Viroli (G.
Viroli, Pittura dei Seicento e del Settecento a Forlì, Forlì 1996, p.101102). Contrastano con questa ipotesi Elisabetta Garavini (E. Garavini, op.
cit., p. 207), non convinta dal generale risultato qualitativo, alquanto
inferiore rispetto agli altri lavori dell’artista, e Alberto Bondi, che
preferisce inserire l’opera tra la produzione artistica di Sebastiano
Savorelli (A. Bondi, E. Garavini, A. Giunchi, op. cit., p. 45).
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Meldola; il volto del santo - naso sottile ed affilato, fronte
ampia, occhi leggermente infossati e stretti - presenta
notevoli somiglianze con il Padre Eterno dell’Annunciazione
di Imola e con quello della Trinità.
È dunque ipotizzabile l’attribuzione delle tre opere a
Sebastiano Savorelli.
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