Socrate
filosofo ateniese, considerato uno dei più importanti esponenti della tradizione filosofica occidentale
Socrate (470/69 a.C. – 399 a.C.), filosofo greco.
Citazioni di Socrate
modifica- Ho un'ultima lezione da dare: essi mi devono uccidere perché sappiano quello che hanno fatto. La città dovrà affrontare la propria colpevolezza. (citato in George Steiner, Totem o tabù, in Nessuna passione spenta, p. 152)
- Io sono un cittadino del mondo.[1]
- Le parole false non solo sono cattive per conto loro, ma infettano anche l'anima con il male. (citato in Platone, Fedro, 91)
- Quel che è sopra di noi, nulla ha che fare con noi[2]. (citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 492)
- Quod supra nos nihil ad nos.
- Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell'irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull'essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell'essere e subirebbe un grande danno. (citato in vatican.va)
Gnomologium Vaticanum 743
modifica- [Alla moglie Santippe che si lamentava dell'ingiusta condanna a morte] Tu dunque avresti voluto che morissi giustamente?[3] (n. 478)
- [Ad un tale che gli ricordava della condanna a morte impartita dagli Ateniesi] E la natura ha condannato loro.[3] (n. 487)
- [Ad un tale meravigliato dalla tolleranza dimostrata da Socrate mentre veniva colpito] Se fossi preso a calci da un asino, forse che lo citerei in giudizio?[3] (n. 500)
- Che strana cosa, amici, par che sia quello che la gente chiama piacere, e in che meraviglioso rapporto per natura con quello che sembra il suo contrario: il dolore! E pensare che entrambi insieme non vogliono mai trovarsi nell'uomo; ma quando qualcuno insegua l'un d'essi e lo prenda, costui si trova in certo modo costretto a prender sempre anche l'altro, quasi che, sebbene sieno due, pure si trovino legati allo stesso capo.
- [Ultime parole] Critone, siamo in debito d'un gallo ad Asclépio;[4] offriteglielo; non ve ne dimenticate.
- E non dicevamo da un pezzo anche questo: che, quando l'anima s'associa il corpo nell'indagare alcunché mediante o la vista o l'udito o un altro senso qualunque – perché indagare mediante il corpo non vuol dire altro che indagare mediante i sensi – allora dal corpo è tratta verso quelle cose che non permangono mai identiche a sé, ed essa medesima erra e si turba e barcolla come briaca, perché tali sono le cose con cui viene a contatto? [...] Invece, quando l'anima indaga tutta sola di per sé, allora s'innalza verso ciò che è puro, eterno, immortale, immutabile; e, come congenere con questo, non solo aderisce sempre ad esso ogni qualvolta si raccolga in se stessa e ne abbia il modo; ma ecco ch'ella cessa dall'errare e, rispetto a quegli enti, permane sempre invariabilmente costante, perché tali sono le cose con cui viene a contatto. E questa condizione dell'anima è chiamata intelligenza?
- Il parlare in modo impreciso non è soltanto sconcio in se stesso, ma nuoce anche all'anima.
- La misantropia difatti s'insinua nell'animo nostro dall'avere senz'arte posto soverchia fiducia in qualcuno e averlo creduto un uomo in tutto veritiero, sano d'animo e fido; e trovarlo di lì a poco malvagio e infido, e poi ancora sempre diverso. E quando uno ci capiti spesso, e per opera specialmente di quelli che egli riteneva i più sicuri ed intimi amici; costui, a furia d'inciampare, finisce per odiar tutti e credere che assolutamente non ci sia in nessuno nulla di sano e di schietto.
- Cherefonte, penso, voi lo conoscete. [...] Sicché un giorno, andato a Delfi, osò interrogare l'oracolo su questo — e, come dico, non fate chiasso, cittadini — dimandò dunque, se ci fosse qualcuno più sapiente di me. Ebbene la Pitia rispose che più sapiente non c'era nessuno. (cap. V)
- Di quest'uomo [un politico con cui Socrate aveva dialogato] son più sapiente io. Poiché, c'è pericolo che nessuno di noi due sappia nulla di bello e di buono; ma costui crede di sapere qualcosa e non sa, mentre io, come non so, non credo neanche di sapere. E però forse io sono almeno in questo, per poco che sia, più sapiente di lui: che ciò che non so, non credo neppure di saperlo. (cap. VI)
- Anche dei poeti io conobbi in breve questo: che non per sapienza poetavano come poetavano, ma per certa natura e ispirazione divina, come i profeti ed i vati, giacché questi pure dicono tante belle cose, ma poi non sanno nulla di quel che dicono. (cap. VII)
- Chi mai al mondo penserebbe che ci sieno, sì, figliuoli di dei [i dèmoni], ma non dei? (cap. XV)
- Molta avversione ed in molti s'è accumulata contro di me; questo, sappiatelo, è verissimo; ed è ciò che mi perderà, dato che mi perda; non Meleto né Ànito [gli accusatori di Socrate], ma la calunnia e il malanimo della gente. Questo ha già perso molti altri valentuomini, e ne perderà, credo, anche in avvenire. Oh! non c'è pericolo che si fermi in me. (cap. XVI)
- Tu, amico, non parli bene, se credi che debba tener conto del pericolo di vivere o di morire un uomo di qualche valore, per piccolo che sia, piuttosto che considerare soltanto, se, quando opera, operi secondo giustizia o no, e se faccia azioni degne d'un uomo dabbene o d'un malvagio. (cap. XVI)
- La morte difatti nessuno sa neppur se non sia per l'uomo il maggiore di tutti i beni; e gli uomini la temono quasi sapessero di certo ch'è il maggiore dei mali. (cap. XVII)
- Io, in confronto di quei mali, di cui so che son mali, non temerò mai né fuggirò quelli che non so se per caso non sieno anche dei beni. (cap. XVII)
- Non da ricchezza nasce agli uomini virtù, ma da virtù ricchezza e ogni altro bene, così in privato come in pubblico. (cap. XVII)
- A me senza dubbio non può far male né Meleto né Ànito; non ne ha nemmeno il modo; poiché non è, penso, conforme a giustizia che uno migliore soffra danno da uno peggiore. Potrà mettere a morte o mandare in esilio o privare dei diritti di cittadino. Ma tali cose costui forse e qualche altro le stimerà dei grandi mali; io no, che considero assai maggior male quello che fa ora costui, d'adoperarsi a uccidere ingiustamente un uomo. (cap. XVIII)
- Ove mandiate a morte me, non troverete facilmente un altro simile a me, il quale, per quanto sappia di ridicolo il dirlo, sono stato dal dio addirittura applicato alla città, come ad un cavallo grande e generoso, ma per la sua stessa mole alquanto pigro e bisognoso d'esser tenuto desto da una specie di tafano. Ed è proprio così, se non erro, che il dio ha assegnato alla città me, un uomo, cioè, tale che non tralasciò di destarvi, di persuadervi, di riprendervi uno per uno l'intero giorno standovi addosso dovunque. Orbene, cittadini, un altro simile non vi nascerà facilmente; ma se mi date retta, mi risparmierete. Eppure chi sa che voi, incolleriti con me, come chi è destato quando sonnecchia, per compiacere ad Ànito non mi diate un colpo, e mi uccidiate facilmente per seguitar poi a dormire durante il resto della vita. (cap. XVIII)
- Non c'è uomo che possa salvarsi, quando s'opponga francamente a voi, come ad ogni altra moltitudine, ed impedisca che si compiano in città tanti atti ingiusti od illegali; ma è necessario che chi combatte davvero in difesa della giustizia, se vuole esser salvo anche per poco, meni vita privata, non pubblica. (cap. XIX)
- Una vita che non dia luogo ad esame non merita d'esser vissuta. (cap. XXVIII)
- Né in tribunale né in guerra non è lecito, né a me né ad altri, di ricorrere a qualunque mezzo per scampare ad ogni costo alla morte. (cap. XXIX)
- Però io temo, cittadini, che il difficile sia non già schivare la morte, ma assai più difficile sottrarsi alla malvagità, che corre più veloce della morte. (cap. XXIX)
- Se credete che con l'uccidere le persone tratterrete qualcuno dal biasimarvi di non vivere rettamente, v'ingannate. Questa via di liberazione non è né pratica né bella; bellissima invece e facilissima quella, non già di chiudere agli altri la bocca, ma apparecchiare se stessi a diventare quanto si può migliori. (cap. XXX)
- Ora, se non è nessuna sensazione, ma come un sonno, quando dormendo non si veda nemmeno alcun sogno, un guadagno meraviglioso sarebbe la morte. (cap. XXXII)
- All'uomo dabbene nulla può toccare di male né vivo né morto. (cap. XXXIII)
- Mio caro Critone, questo tuo zelo sarebbe assai lodevole se fosse conforme a giustizia, altrimenti, più esso è insistente, più è biasimevole. (cap. 6)
- Se noi, prestando orecchio a quelli che non se ne intendono, roviniamo ciò che diventa migliore attraverso un sano esercizio e va, invece, in malora con pratiche dannose, che ne sarà della nostra vita? (cap. 8)
- L'importante non è vivere, ma vivere bene. (cap. 8)
- Far del male non è per nulla diverso dall'essere ingiusti. (cap. 10)
- A che genere di uomini appartengo? A quello di chi prova piacere nell'essere confutato, se dice cosa non vera, e nel confutare, se qualcuno non dice il vero, e che, senza dubbio, accetta d'esser confutato con un piacere non minore di quello che prova confutando. Infatti, io ritengo che l'esser confutati sia un bene maggiore, nel senso che è meglio essere liberati dal male più grande piuttosto che liberarne altri. Niente, difatti, è per l'uomo un male tanto grande quanto una falsa opinione sulle questioni di cui ora stiamo discutendo. Se dunque anche tu sostieni di essere un uomo di questo genere, discutiamo pure; altrimenti, se credi sia meglio smettere, lasciamo perdere e chiudiamo il discorso.
- La retorica, dunque, a quanto pare, è artefice di quella persuasione che induce a credere ma che non insegna nulla intorno al giusto e all'ingiusto.
- La scienza non è altro che percezione.
- Accade invece che, quando ci si trovi in disaccordo su qualche punto, e quando l'uno non riconosca che l'altro parli bene e con chiarezza, ci si infuria, e ciascuno pensa che l'altro parli per invidia nei propri confronti, facendo a gara per avere la meglio e rinunciando alla ricerca sull'argomento proposto nella discussione.
- Dunque, il retore e la retorica si trovano in questa posizione rispetto a tutte le altre arti: non c'è alcun bisogno che sappia come stiano le cose in sé, ma occorre solo che trovi qualche congegno di persuasione, in modo da dare l'impressione, a gente che non sa, di saperne di più di coloro che sanno.
- Apposta noi ci procuriamo amici e figli! perché quando noi, divenuti più vecchi, cadiamo in errore, voi che siete più giovani, al nostro fianco, raddrizziate la nostra vita nelle opere e nelle parole.
- Se uno fa una cosa per un fine, non vuole la cosa che fa, bensì la cosa per cui fa quello che fa.
- Non bisogna invidiare chi non è degno di essere invidiato né gli sciagurati, ma averne piuttosto compassione.
- Io non preferirei né l'uno né l'altro; ma, se fosse necessario o commettere ingiustizia o subirla, sceglierei il subire ingiustizia piuttosto che il commetterla.
- La verità non si confuta mai.
- I felici sono felici per il possesso della giustizia e della temperanza e gli infelici, infelici per il possesso della cattiveria.
- Io invece credo, o carissimo, che sarebbe meglio che la mia lira fosse scordata e stonata, e che lo fosse il coro che io dirigessi, e che la maggior parte della gente non fosse d'accordo con me e mi contraddicesse, piuttosto che sia io, anche se sono uno solo, ad essere in disaccordo con me stesso e a contraddirmi.
- È opportuno che il malvagio venga punito, quanto lo è che il medico curi l'ammalato: ogni castigo, infatti, è una sorta di medicina.
- Chissà se ciò che è chiamato morire è vivere, oppure se vivere è morire. [citando Euripide]
- Anche un allevatore di asini, di cavalli e di buoi, che fosse tale quale Pericle fu, avrebbe la fama di essere un cattivo allevatore.
- La morte, come mi sembra, altro non è che la separazione di due cose, l'anima e il corpo, l'una dall'altra.
- Dai potenti vengono gli uomini più malvagi.
- E così è anche per le virtù: anche se sono molteplici e di diversi tipi, tutte hanno un'unica e identica forma, a causa della quale esse sono virtù, e verso la quale è bene che guardi colui che deve rispondere a chi domanda di spiegare che cosa mai sia la virtù.
- Tutti quanti gli uomini sono buoni nella stessa maniera: infatti, diventano buoni, venendo in possesso delle medesime cose.
- L'anima dell'uomo è immortale, e che talora termina la vita terrena – ciò che si chiama morire –, e talora di nuovo rinasce, ma che non perisce mai: per questa ragione, bisogna vivere la vita nel modo più santo possibile.
- Col credere che si debba far ricerca delle cose che non si sanno, diventiamo migliori, più forti e meno inetti, che non se credessimo che sia impossibile trovare ciò che non sappiamo.
- Quando un uomo è audace senza senno ne riceve danno, quando invece con senno ne trae vantaggio.
- Avendo così pochi bisogni che meno non si potrebbe, sono vicinissimo agli dei. (II, 27)
- [Guardando la quantità degli oggetti messi in vendita] Di quanti oggetti io non ho bisogno! (II, 25)[5]
- Diceva che gli altri uomini vivono per mangiare, mentre lui mangiava per vivere. (II, 34)
- Esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l'ignoranza. (II, 31)
- [Interrogato se bisognasse sposarsi o no] In entrambi i casi ti pentirai.
- [A proposito di Platone] Ma tu guarda quante sciocchezze mi fa dire questo giovanotto!
- «Sai dove si vende il pesce?» «Si, al mercato.» «E sai dove gli uomini diventano virtuosi?» «No.» «Allora seguimi»
Giovanni Stobeo, Anthologion
modifica- La benevolenza degli adulatori fugge le disgrazie come da un sovvertimento. (libro III, cap. 14)
- La presunzione gonfia gli uomini stolti, allo stesso modo che il vento gli otri vuoti.[3] (libro III, cap. 22)
- [In risposta alle provocazioni di un nobile sulle sue origini plebee] A me è di oltraggio la stirpe, tu alla stirpe sei di oltraggio.[3] (libro IV, cap. 30)
Attribuite
modifica- Γνω̃θι σαυτόν.[6]
- [Citazione errata] Attribuita a molti autori greci antecedenti a Socrate, tale frase divenne uno dei fondamenti della filosofia socratica.
Stando a quanto narrano Platone nel Protagora, Marco Tullio Cicerone nel De oratore, Senofonte nei Detti memorabili di Socrate, Pausania e Plutarco, un giorno i sette savi si sarebbero riuniti a Delfi e avrebbero scritto a lettere d'oro questo motto nel tempio di Apollo. Tuttavia, stando a quanto riporta Giuseppe Fumagalli, sembrerebbe che il reale significato della frase fosse stato frainteso. Tale frase infatti faceva parte di due versi che indicavano le norme etiche da rispettare nel tempio di Apollo. Questo verso, in particolare, invitava semplicemente i visitatori a chiarirsi bene le idee sulla domanda da porre all'oracolo, prima di interrogarlo. Tuttavia già nel IV secolo a.C. i versi non erano più interpretati in tal modo.
Diogene Laerzio in Vite dei filosofi attribuisce la frase a Talete e afferma, tra l'altro, che «conoscere se stessi» sarebbe stata la risposta del filosofo a chi lo interrogava su cosa fosse realmente difficile. Antistene di Rodi nelle Successioni dei filosofi attribuisce il motto a Femonoe e afferma che successivamente se ne appropriò Chilone. Vedi anche qui.
- [Citazione errata] Attribuita a molti autori greci antecedenti a Socrate, tale frase divenne uno dei fondamenti della filosofia socratica.
Citazioni su Socrate
modifica- Baratterei tutta la mia tecnologia per una serata con Socrate. (Steve Jobs)
- Chi oserebbe negare che Socrate e Platone siano stati uomini religiosi, anche se lo siano stati diversamente da Isaia e Geremia? E non sappiamo noi come fosse tutto permeato di religiosità – da quella filosofia stoica e neoplatonica a quella popolare misterica – la civiltà ellenistico-romana in cui si impiantò trionfalmente il cristianesimo? (Luigi Salvatorelli)
- Cristo in vicinanza della morte trema, piange, si abbandona alla disperazione. Socrate conversa serenamente con i suoi discepoli sull'immortalità. (Mario Andrea Rigoni)
- Di tutti gli uomini famosi mai vissuti, quello che di più mi sarebbe piaciuto essere è Socrate. Non tanto perché era un grande pensatore, dato che io stesso sono noto per aver avuto delle pensate discretamente profonde, anche se le mie ruotano invariabilmente attorno a una hostess svedese e a delle manette. (Woody Allen)
- Egli era rispettosissimo delle credenze religiose popolari, moralissimo, ossequente alle patrie leggi sino a soffrire la morte per non sottrarvisi: eppure, l'opera sua fu diretta involontariamente a distruggere la religione, la morale, l'amor patrio; e ciò perché colla sua dialettica, collo spingere gli uomini ad indagare colla ragione le cagioni di quei sentimenti, li scalzava dalle radici. (Vilfredo Pareto)
- Fuori dalla Cristianità non c'è che Socrate. Tu, o natura nobile e semplice, tu eri veramente un riformatore! (Søren Kierkegaard)
- Il mondo non può essere popolato da soli Socrate. Non basterebbe la cicuta. (Stanisław Jerzy Lec)
- Io ho conosciuto Socrate e Platone come sintomi di decadenza, come strumenti della dissoluzione greca, come pseudogreci, come antigreci. (Friedrich Nietzsche)
- La maniera socratica di affrontare la politica era radicale nel senso originario della parola: andava alle radici e cominciava dalla natura dell'uomo. (Moses Israel Finley)
- Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un'aria sul flauto. "A cosa ti servirà?" gli fu chiesto. "A sapere quest'aria prima di morire". (Emil Cioran)
- Mi resi conto, allora, che in breve tempo questi individui riuscirono a far sembrare l'età dell'oro il periodo precedente, e fra le altre scelleratezze di cui furono responsabili, mandarono, insieme ad altri, il vecchio amico Socrate – una persona che non ho dubbi a definire l'uomo più giusto di allora – a rapire con la forza un certo cittadino al fine di sopprimerlo. E fecero questo con l'intenzione di coinvolgerlo con le buone o con le cattive nelle loro losche imprese. Ma Socrate si guardò bene dall'obbedire, deciso ad esporsi a tutti i rischi, pur di non farsi complimenti delle loro malefatte. (Platone)
- Noi non finiamo di sorprenderci che questo personaggio da commedia deliri, e poi nasconda di nuovo i suoi doni sovrannaturali dietro la discrezione più amabile e sorridente. Un così perfetto equilibrio tra le qualità opposte dell'animo umano non si è mai più verificato nella storia; e perciò Socrate continua a sembrarci qualcosa di unico. Tutto è chiaro, in lui: chiaro come il platano, l'erba, le acque trasparenti dell'Ilisso, dove lo vedremo avanzare: siamo nel mondo più limpido che abbiamo mai conosciuto; eppure chi è più enigmatico di lui, chi è più irraggiungibile e inafferrabile della sua persona? (Pietro Citati)
- Nulla sapeva eccetto che nulla sapeva. (Diogene Laerzio)
- Quello che colpisce è che, quando Socrate in Platone pronuncia la parola «anima», vi pone sempre un fortissimo accento e sembra avvolgerla in un tono appassionato e urgente, quasi di evocazione. Mai labbro greco, prima di lui, aveva pronunziato così questa parola. Si ha il sentore di qualcosa che ci è noto per altra via: e il vero è che qui, per la prima volta nel mondo della civiltà occidentale, ci si presenta quello che noi ancora oggi chiamiamo con la stessa parola [...] La parola «anima», per noi, in grazia delle correnti spirituali per cui è passata nella storia, suona sempre con un accento etico e religioso; come altre parole – «servizio di Dio» e «cura d'anime» – essa suona cristiana. Ma questo alto significato essa lo ha preso per la prima volta nella predicazione morale di Socrate. (Werner Jaeger)
- Senza Ulisse, non ci sarebbe mai stato Socrate: questo vagabondo, questo nuovo Proteo, questo attore comico, questo principe dei dilettanti, questo signore dei parodisti. (Pietro Citati)
- Socrate diceva che è più facile trattenere sulla lingua un carbone ardente, piuttosto che un discorso che non deve essere pronunciato. (Giovanni Stobeo)
- Socrate diceva non so niente, proprio perché se non so niente problematizzo tutto. La filosofia nasce dalla problematizzazione dell'ovvio: non accettiamo quello che c'è, perché se accettiamo quello che c'è, ce lo ricorda ancora Platone, diventeremo gregge, pecore. (Umberto Galimberti)
- Socrate è il filosofo: Aristotele professa il sistema della propria filosofia. (Carlo Michelstaedter)
- Socrate era l'uomo più sincero del suo tempo e tuttavia pare che le sue fattezze fossero le più sgraziate della Grecia. Secondo il mio modo di vedere, egli era bello ugualmente, perché tutta la sua vita era protesa alla ricerca della Verità; ricorderete, inoltre, che la sua forma esterna non impedì a Fidia di apprezzare la bellezza della Verità che si celava in lui, anche se, come artista, era abituato a vedere la Bellezza anche nelle forme esteriori. (Mahatma Gandhi)
- Socrate, essendogli stato annunciato, mentre discuteva, che suo figlio era morto, dopo aver terminato la discussione disse: "Andiamo ad adempiere per Sofronisco ciò che è d'uso". (Giovanni Stobeo)
- a) Socrate è un uomo; b) tutti gli uomini sono mortali; c) tutti gli uomini sono Socrate, quindi tutti gli uomini sono omosessuali. (Amore e guerra)
- Socrate in tempo, ch'i ghe desligava | Le caene dei so pìe, con gran diletto | In dove, ch'i lo aveva troppo stretto, | Con tutte le do man el se grattava. (Giorgio Baffo)
- Socrate investiva l'artigiano, l'uomo che dalle cure giornaliere della vita materiale era posto nell'impossibilità di seguire con frutto lunghi, sottili ed astrusi ragionamenti; ed a lui toglieva la fede, senza potervi in nessun modo sostituirvi utili frutti della ragione. (Vilfredo Pareto)
- Socrate non è un metafisico nel senso tradizionale [...] e tuttavia l'epiteto di metafisico gli spetta di diritto, perché il suo studio sull'uomo si spinge ben oltre il campo della scienza e penetra nelle radici più profonde dell'essere e dell'agire umano. (Battista Mondin)
- Socrate si fece serio serio: «Io», cominciò «non so che una cosa sola ...» «È un po' poco» osservò il professore, rabbuiandosi e scambiando occhiate espressive coi colleghi di commissione, «comunque diccela.» «So», proseguì Socrate con grande serenità, «di nulla sapere.» «È una bella nozione» disse tra i denti uno dei professori che assistevano. (Achille Campanile)
Note
modifica- ↑ Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 48. ISBN 9788858014165
- ↑ Attribuita anche ad Epicuro.
- ↑ a b c d e Citato in Alessandro Ravera e Francesco Adorno, Socrate: vita, pensiero, testimonianze, a cura di Armando Massarenti e Gabriele Giannantoni, Il Sole 24 Ore, 2006.
- ↑ «Quelli che guarivano da una malattia solevano offrire un gallo ad Asclépio, il nume della medicina.» [N.d.T.]
- ↑ Citato in Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di Giovanni Reale, Giuseppe Girgenti, Ilaria Ramelli, Bompiani, Milano, 2006, p. 171.
- ↑ Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 513.