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Giuseppe Cappelletti

presbitero e storico italiano

Giuseppe Cappelletti (1802 – 1876), presbitero e storico italiano.

Citazioni di Giuseppe Cappelletti

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  • La diocesi [di Satriano] è formata da quattro castelli o borgate, disgiunti a vicenda di sole tre miglia all'incirca. Sono essi Caggiano, Sant'Angelo de' Fratti, Salvia, e Pietrafitta. Primeggia su tutti Caggiano, ove sono tre chiese parrocchiali: una di queste porta il titolo di santa Maria dei Greci, perché anticamente la uffiziavano preti greci. [...] Gli abitanti ne sono poverissimi, e per la maggior parte si procacciano il vitto con la loro industria e fatica.[1]

Storia della Repubblica di Venezia

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Una città, la quale, a guisa della favolosa Venere, nata dalle acque, ed a poco a poco ingrandita e fatta padrona di vastissime provincie, e divenuta maestra di politico sapere alle più colte nazioni dell'Europa e dell'Asia, durò gloriosamente per quattordici secoli nella sua originaria indipendenza e fu teatro di singolari vicende e di avvenimenti maravigliosi, doveva essere a tutta ragione l'oggetto dell'ammirazione e delle indagini di tanti popoli e di tanti dotti, quanti le impressioni e le reminiscenze seppero penetrare, che in sé racchiude il semplice nome di VENEZIA.

Citazioni

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  • Vitale Candiano, fratello del trucidato Pietro Candiano IV, fu eletto; uomo provetto di età, e di un carattere ben dissimile da quello di Pietro; umile, dolce, tranquillo e peno di bontà. Non durò egli alla testa della repubblica più di quattordici mesi; perché la sua pietà religiosa, e molto di più lo stato di gravissima infermità, che sino dal principio del suo governo lo rendeva inabile al maneggio delle cose pubbliche, lo indussero ad indossare le sacre lane nel monastero di sant'Ilario presso a Fusina, ove quattro giorni dopo morì[2]. (vol. I, cap. XLVI, p. 277)
  • A Vitale Candiano sostituirono ben tosto i veneziani comizii, nel declinare dell'anno 979, il doge Tribuno Memo, il cui unico pregio consisteva nell'essere sommamente ricco. Non di rado avviene, che la volubilità del popolo si lasci abbagliare dallo splendore dell'oro, che rifulge all'intorno di chi vuolsi innalzare ad un posto cospicuo, senza poi curarsi di scandagliare se l'eletto possegga le doti necessarie a ben occuparlo. (vol. I, cap. XLVII, p. 279)
  • Non è maraviglia, che sotto un principe imbecille [Tribuno Memo] germogliassero i semi delle civili discordie, i quali già da lungo tempo fermentavano di soppiatto. Due partiti poderosi si formarono: alla testa dell'uno erano i Caloprini, alla testa dell'altro i Morosini. (vol. I, cap. XLVII, p. 279)

Storia di Padova dalla sua origine sino al presente

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  • Marsilietto, scelto da Ubertino alla signoria di Padova, era per verità uomo dabbene e giusto, e prometteva per ciò un buon governo al suo popolo: ma non sepp'egli guardarsi dall'altrui ambizione. Jacopo da Carrara figliuolo di Nicolò e nipote di Ubertino, al quale per prossimità di sangue avrebbe dovuto appartenere il diritto di successione, piuttostoché a Marsilietto, se ne reputò gravemente offeso; e perciò, dopo avere guadagnato con belle promesse alcuni dei familiari di lui, si fece introdurre con molti armati, la notte del 5 venendo il 6 di maggio, nella sua camera, ed ivi a man salva lo uccise. (vol. I, cap. VI, p. 258)
  • Ebbe sepoltura senza veruna onorificenza in una tomba fuori della chiesa del Santo[3]. Dicono i contemporanei, ch'egli fu di piccola statura, detto perciò Marsilietto; magro di corpo, con occhi ridenti e minuto volto; ma dall'aspetto appariva penetrante ed accorto, non crudele. (vol. I, cap. VI, p. 260)
  • [...] Jacopo da Carrara aveva governato con assai prudenza la città e lo stato di Padova ed erasi guadagnato l'amore del pubblico, trattando i suoi stessi cortigiani, non come servi, ma come figliuoli. Eppure un principe così amabile ed amato universalmente, trovò un parricida in Guglielmo da Carrara, figliuolo bastardo di Giacomo il grande. (vol. I, cap. VI, p. 261)
  • Fu Jacopo, oltrecché valoroso nelle armi, grande protettore dei letterati; e ce lo attesta la sua premura di decorare lo Studio, coll'invitarvi uomini dotti e professori valenti ed esperti nei molteplici rami d'insegnamento. Tra questi fu accarezzato in ispecialità Francesco Petrarca, al quale, per averlo seco, ottenne un canonicato nella cattedrale. Ne rende testimonianza egli stesso facendolo in più guise soggetto de' suoi elogi poetici, e deplorandone con amare lagrime, nell'effusione dell'anima, l'atrocissimo caso. Egli ne dettò l'epigrafe sepolcrale in sedici versi latini, scolpiti sull'arca marmorea, che ne accolse il cadavere nella chiesa di sant'Agostino de' frati domenicani. (vol. I, cap. VI, p. 261-262)
  1. Da Le chiese d'Italia della loro origine sino ai nostri giorni, Editore Giuseppe Antonelli, Venezia, 1866, vol. XX, p. 537.
  2. Nota opportunamente il Muratori, nelle sue Antichità italiane, e dietro a lui il Filiasi, vol. VI, cap. XVI, pag. 215, che "era in moda allora farsi monaco prima di chiudere gli occhi, persuasi, che meritorio fosse per cancellare le colpe della vita cotesto atto, dal quale venne l'uso, che tra noi ed altri mantenevasi, di vestire i morti cogli abiti di qualche religioso istituto." [N.d.A.]
  3. Basilica di Sant'Antonio di Padova.

Bibliografia

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