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Sebastiano Gallina

generale italiano

Sebastiano Gallina (Cortemilia, 5 ottobre 1873Orbassano, 9 gennaio 1945) è stato un generale italiano, veterano delle operazioni coloniali del Regio Esercito. Partecipò alla guerra italo-turca, alla grande guerra, e alla guerra d'Etiopia, e dopo l'entrata in guerra del Regno d'Italia, avvenuta il 10 giugno 1940, comandò il Corpo d'armata libico nella fasi dell'invasione italiana dell'Egitto (9-16 settembre 1940), venendo catturato dalle forze inglesi il 10 dicembre dello stesso anno. Decorato con tre Medaglie d'argento e tre di bronzo al valor militare.

Sebastiano Gallina
NascitaCortemilia, 5 ottobre 1873
MorteOrbassano, 9 gennaio 1945
Cause della morteMitragliamento aereo
Dati militari
Paese servitoItalia (bandiera) Italia
Forza armataRegio Esercito
ArmaFanteria
CorpoRegio corpo truppe coloniali della Tripolitania
GradoGenerale di corpo d'armata
GuerreGuerra italo-turca
Prima guerra mondiale
Guerra d'Etiopia
Seconda guerra mondiale
CampagneFronte italiano (1915-1918)
BattaglieBattaglia di Sciara-Sciat
Battaglia di Caporetto
Operazione Compass
Comandante diCorpo d'armata libico
Decorazionivedi qui
Studi militariRegia Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena
dati tratti da Generals[1]
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Biografia

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Nacque a Cortemilia, in provincia di Cuneo, il 5 ottobre 1873,[1] figlio di Patrizio e Camilla Genina. Arruolatosi nel Regio Esercito, fu assegnato all'arma di fanteria. Con il grado di tenente, e in forza al 18º Reggimento fanteria "Acqui", combatté nella guerra italo-turca, distinguendosi nella battaglia di Sciara-Sciat (9 novembre 1911), dove fu decorato con una Medaglia di bronzo al valor militare.[2] Rimasto in Libia anche dopo la fine del conflitto, prese parte alle operazioni di controguerriglia, partecipando nel 1914 allo sfortunata spedizione di conquista del Fezzan diretta dal colonnello Antonio Miani.[2]

Ritornato in Italia, partecipò alla Grande guerra, distinguendosi come tenente colonnello di stato maggiore, assegnato al V Corpo d'armata, nei giorni della battaglia di Caporetto, dove rimase ferito due volte, e fu decorato con una Medaglia d'argento al valor militare.[2] Dopo la fine del conflitto ritornò in Africa Settentrionale Italiana, assegnato al Regio corpo truppe coloniali della Tripolitania, e partecipò alla operazioni di riconquista della Colonia. In forza al 2º Battaglione libico, si distinse negli scontri di Ras El Gattara (21-22 febbraio 1923) e Beni Ulid (27 dicembre 1923), venendo decorato di due Medaglie di bronzo al valor militare.[2] Promosso colonnello, verso la fine degli anni venti assunse il comando del 43º Reggimento fanteria "Forlì",[1] ma poi lasciò l'esercito.[2]

Ritornò in servizio attivo il 10 marzo 1935,[1] mandato in Eritrea in vista dello scoppio della guerra d'Etiopia.[2] Con il grado di generale di brigata fu al comando della 1ª Brigata Mista Eritrea;[1] quando, occupata Dessiè, fu decisa la marcia sulla capitale Addis Abeba, gli venne affidato il comando di una colonna fiancheggiante, costituita appunto dalla 1ª Brigata Mista Eritrea. La colonna "Gallina" giunse per prima in vista di Addis Abeba dopo oltre 400 chilometri di marcia a piedi in difficilissime condizioni.[2] Dopo la conquista della capitale, alla sua Brigata fu affidato il compito della protezione della ferrovia per Gibuti.[2]

Promosso generale di divisione per merito di guerra nel 1936, rimase ancora nell'Impero in quanto ormai comandante esperto in ambito coloniale.[2] Si distinse durante le operazioni di controguerriglia, venendo decorato di ulteriori due Medaglie d'argento al valor militare.[2] Il 4 aprile 1939 fu promosso generale di corpo d'armata[1] e il 13 settembre di quell'anno assunse il comando del Sud libico.[2] Si trovava in Africa settentrionale all'entrata in guerra del Regno d'Italia, avvenuta il 10 giugno 1940. Il 6 luglio 1940 nonostante l'età avanzata (66 anni), fu posto al comando del Corpo d'armata libico[1] ( e 2ª Divisione libica, Raggruppamento "Maletti"), con cui partecipò all'invasione italiana dell'Egitto (9-16 settembre 1940).[2] Una volta conquistata Sidi el Barrani (16 settembre), la 10ª Armata del generale Mario Berti si attestò a difesa.

Permase in Egitto con le sue unità in zona occupata, ma fu sconfitto e catturato come prigioniero di guerra, nel corso della controffensiva inglese, il 10 dicembre seguente.[1] Trasferito subito in India[2] e rinchiuso nel campo di concentramento per generali di Dehradun insieme all'impressionante numero di prigionieri italiani catturati in quelle fasi (130.000 uomini), ebbe tali problemi di carattere medico che costrinsero le autorità inglesi ad un suo rimpatrio[2] per motivi umanitari nel marzo 1943, ormai settantenne, trasportato a bordo della nave ospedale inglese Talamba per tramite delle autorità turche.

Rientrato in Italia, si ritirò a vita privata a Trana, vicino a Torino, ma fu ucciso per un mitragliamento aereo alleato sul treno dove viaggiava, nella tratta Giaveno-Torino,[2] negli ultimi mesi del conflitto, il 9 gennaio 1945.[1]

Onorificenze

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«In servizio di stato maggiore presso il comando di grandi unità, durante il ripiegamento dall'Isonzo al Piave, incaricato del collegamento con truppe di retroguardia e del recapito di ordini, assolvé in condizioni di estrema difficoltà il suo compito in maniera impareggiabile. Gravemente ferito al petto, conscio dell'importanza del compito affidatogli, volle ad ogni costo persistere a rimanere al suo posto, finché nuovamente, e più gravemente ferito all'addome, e caduto in conseguenza da cavallo, compiendo un supremo sforzo affidò e raccomandò ad un altro ufficiale l'incarico ricevuto, offrendo mirabile esempio di profonda devozione al dovere e di indomito valore. Codroipo, 30 novembre 1917
«Esperto ed intrepido comandante di truppe coloniali, con azione rapida e decisa, contribuiva validamente alla repressione della ribellione scioana ed al ristabilimento della sicurezza della ferrovia Addis-Abeba- Gibuti. In molteplici difficili circostanze conduceva le proprie truppe con impeto travolgente, conseguendo cospicui risultati ed infliggendo all'avversario perdite sanguinose. Costante esempio di giovanile ardimento, sprezzo del pericolo e spirito di sacrificio. A.O.I., 5 maggio 1936-5 febbraio 1938
«In una serie di aspri e sanguinosi combattimenti, riconfermava, in sagace perizia manovriera e in superbe doti di valore e di ardimento, le sue alte doti di comandante e di soldato e infondeva nei reparti della colonna posta ai suoi ordini slancio travolgente, riportando sempre sull'avversario il più completo successo. Faguttà, 25, 25, 27 marzo 1938
«Pel modo ardito con cui malgrado l'intenso fuoco nemico, percorreva la zona battuta per portare ordini e constatarne l'esecuzione. Sciara Sciat, 9 novembre 1911
«Comandante di gruppo di tre battaglioni, una batteria e uno squadrone, durante un violento ed intenso attacco dei ribelli, appoggiato dal fuoco di alcuni pezzi di artiglieria e da mitragliatrici, sprezzante di ogni pericolo si portò sulle prime linee di combattimento e nei punti più battuti dal fuoco avversario, dirigendo i necessari movimenti che permisero di rintuzzare i violenti attacchi e di mantenere gli obiettivi aspramente raggiunti. Ras El Gattara, 21-22 febbraio 1923
«Comandante di sottogruppo impegnato in prima linea percorreva incessantemente il fronte della battaglia sotto violento fuoco di fucileria avversaria, noncurante del pericolo ed animando con la parola e con l'esempio i suoi dipendenti, alla cui testa, tra i primi raggiungeva il cuore della resistenza nemica. Beni Ulid, 27 dicembre 1923
— Regio Decreto 25 gennaio 1932[3]
Promozione per merito di guerra
  1. ^ a b c d e f g h i Generals.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n o 3 Confini.
  3. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.181 dell'8 giugno 1932, pag.2658.
  4. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.86 del 13 aprile 1937, pag.1362.

Bibliografia

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  • Gianni Scipione Rossi, Mussolini e il diplomatico: la vita e i diari di Serafini, un monarchico a Salò, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2005.
  • (EN) Craig Stockings, Bardia: Myth, Reality and the Heirs of Anzac, Sidney, University of New Wales Press Ltd., 2005.

Altri progetti

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Collegamenti esterni

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