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Gli Edoni

tragedia di Eschilo

Gli Edoni (in greco antico: Ἠδωνοί?, Ēdonói) è una tragedia di Eschilo, di cui restano solo alcuni frammenti. Fu forse scritta nel periodo finale della produzione del tragediografo[3] e apparteneva alla tetralogia nota come Licurgia, della quale facevano parte anche le Bassaridi, i Neaniskoi (i "Giovani") e il dramma satiresco Licurgo.[4] Anche se nessuna di queste opere è sopravvissuta, se non per alcuni frammenti, vari studiosi hanno ipotizzato che Eschilo avesse distribuito nelle tre tragedie il racconto del mito di Licurgo, re dei Traci;[5] in particolare, negli Edoni Eschilo avrebbe descritto la persecuzione di Dioniso da parte di Licurgo o la punizione di Licurgo a seguito della persecuzione nei confronti di Dioniso.[6]

Gli Edoni
Tragedia perduta
AutoreEschilo
Titolo originaleἨδωνοί
Lingua originale
Prima assoluta467-458 a.C.[1]
Teatro di Dioniso, Atene
Personaggi
  • Licurgo
  • Dioniso
  • Orfeo (non sicuro)[2]
  • Coro di Edoni
 

Sebbene la tragedia sia andata perduta, è possibile ricostruirne la trama soprattutto grazie al confronto con le parti rimanenti del Lycurgus di Nevio.[6]

La tragedia probabilmente si apre direttamente con la parodo del coro degli Edoni che racconta l'arrivo nella loro terra di Dioniso e dei suoi seguaci muniti dei loro strumenti musicali;[7] il re Licurgo apprende dal coro notizie sui nuovi arrivati e ordina alle guardie di catturarli e imprigionarli.[8]

Dopo un colloquio con Dioniso, che probabilmente viene deriso per il suo abbigliamento effeminato,[9] Licurgo conduce nel suo palazzo, fuori dalla scena, i prigionieri, tranne uno che è stato identificato dagli studiosi in Orfeo:[10] egli probabilmente consiglia il re di porre fine alla persecuzione nei confronti di Dioniso[3] e gli predice che cadrà in disgrazia a seguito dell'affronto verso il dio.[11]

Dopo essere stato anch'egli allontanato dalla scena, avviene uno sconvolgimento nel palazzo, grazie al quale Dioniso è liberato e ricompare.[12] A questo punto probabilmente si raggiunge il climax della tragedia: Licurgo, accecato dalla follia, uccide con un'ascia il proprio figlio, scambiandolo per un tralcio di vite; la causa della follia e del conseguente gesto, che non appare in scena ma è raccontato, viene ravvisata dal coro nella persecuzione del re nei confronti di Dioniso.[13]

Nel finale della tragedia, Licurgo probabilmente esce insieme al coro, forse accompagnato anche da un gruppo di Bassaridi: qualcuno, forse Orfeo o Dioniso, informa gli Edoni che Licurgo deve lasciare la sua terra che ha contaminato e deve essere condotto sul monte Pangeo; qui abiterà in una cella e sarà servitore di Dioniso.[14]

  1. ^ West, p. 49, ovvero tra la Licurgia di Polifrasmone e l'Orestea.
  2. ^ West, pp. 29, 48.
  3. ^ a b Sommerstein, p. 61.
  4. ^ West, p. 26.
  5. ^ Cfr. Pseudo-Apollodoro, Bibliotheca, III, 5, 1.
  6. ^ a b West, p. 27.
  7. ^ Fr. 57 Nauck; West, p. 27.
  8. ^ West, p. 28, dove nota i probabili paralleli con la tragedia di Nevio.
  9. ^ Fr. 59 Nauck.
  10. ^ Fr. 60 Nauck; West, p. 29.
  11. ^ West, p. 29.
  12. ^ West, p. 30, che propone un parallelo con la scena delle Baccanti di Euripide (vv. 595 segg.) in cui il dio appare dopo aver invocato il terremoto e il fuoco mentre era fuori scena. Euripide doveva aver tratto ispirazione proprio dagli Edoni per la composizione delle Baccanti (Sommerstein, p. 61).
  13. ^ West, p. 31.
  14. ^ West, p. 32.

Bibliografia

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