Info su questo ebook
A raccontare è Mario Colella, pseudonimo Zemmeri, che partendo dalle canzoni da lui stesso scritte ha riannodato il filo dei ricordi cercando di far rivivere le esperienze passate insieme ai suoi amigos in giro per le regioni della Spagna del Nord: Cantabria, Paesi baschi, Rioja e appunto la Navarra e la sua capitale Pamplona.
Il libro è un invito a vivere la vita come fosse siempre una fiesta: «El día fiesta, la noche fiesta la vida fiesta por siempre siempre fiesta».
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Anteprima del libro
Ahora fiesta! - Mario Colella
Prologo
Ahora Fiesta, Ahora Fiesta erano le due uniche parole che continuavano a martellare nella testa del sindaco di Pamplona, anzi dell’alcalde, da circa dieci giorni.
Ahora Fiesta, Ahora Fiesta, queste due semplici parole erano diventate quasi un mantra per lui, una formula magica, un continuo tic toc, Ahora Fiesta, Ahora Fiesta. E poi quel ritornello spesso gli veniva di accompagnarlo con la musica mentre lo pronunciava, infatti alcune volte si era ritrovato talmente assorto che parlava da solo, anzi cantava da solo. Nella classifica musicale della sua mente Ahora Fiesta era al numero uno.
Quando prese dalle mani del console italiano l’urna che questo stringeva gelosamente a sé, non poté fare a meno di pensare all’assurda e surreale situazione davanti ai suoi occhi!
Fuori dall’Ayuntamiento si udivano le urla delle persone in attesa del chupinazo, l’esplosione del razzo che avrebbe dato inizio ai festeggiamenti della città di Pamplona, all’interno della sala consiliare si consumava invece una strana cerimonia. Con lui, c’erano il suo vice, il rappresentante del Re di Spagna, il console italiano, appunto, l’uomo che gli aveva consegnato l’urna poco prima e il cui consolato aveva sede a Pamplona, a qualche centinaio di metri dall’Ayuntamiento, e, oltre a loro, altri sette uomini dall’aspetto triste, vestiti tutti alla stessa maniera: maglietta rossa con la scritta bianca: AHORA FIESTA – ZEMMERI
. Erano italiani e quei volti così malinconici stridevano con l’aria di gioia che sicuramente si respirava all’esterno in quel momento.
Era il quarto chupinazo che viveva con l’incarico di alcalde, ma questo di sicuro era il più originale.
Tutto era iniziato una decina di giorni prima, quando era stato chiamato al telefono dalla sua segretaria: «Dottor Fuentes, è appena arrivata un’email importante» aveva detto la segretaria, dal tono della voce doveva essere qualcosa di veramente importante.
«Di cosa si tratta? Chi l’ha inviata?» aveva chiesto l’alcalde.
«El Rey di Spagna in persona» aveva risposto la segretaria con un tono di voce che faceva trapelare una certa emozione.
«Bien, me la giri immediatamente.»
Dopo un minuto, l’alcalde aveva ricevuto l’email. Era proprio del re di Spagna e diceva così:
Stimatissimo alcalde,
Le scrivo per farle un’insolita richiesta, ma sono sicuro che lei capirà quello che tra breve le chiederò. Mancano dieci giorni all’inizio del chupinazo e alla festa di Pamplona, e tutto il mondo, non solo i pamplonesi, non aspetta che questo momento.
Arrivo al dunque: ho appena ricevuto dall’Italia il testamento di un uomo il quale, dal 2004 a oggi, tranne che nell’anno 2007, non ha saltato neanche un chupinazo. In tutti questi anni la sua passione per questa festa l’ha spinto a scrivere canzoni e a far conoscere il nome di Pamplona attraverso il suo gruppo musicale: gli Zemmeri. Mi è arrivata anche una loro canzone, Ahora Fiesta, e quando vuole la potrà ascoltare.
Bene. Questa persona, soprannominata El Gitano
, come ultima volontà ha espresso che il suo corpo venisse cremato e le ceneri sparse il giorno 6 luglio sulla folla che assiste al chupinazo.
Lei, come me, saprà quali sono le regole che riguardano la cremazione e che le ceneri devono essere smaltite seguendo determinati criteri, ma questa è un’eccezione e le regole possono essere cambiate se non ledono la libertà altrui. Pertanto, il giorno 6 luglio, una delegazione capitanata da un mio incaricato, insieme al console italiano, verrà da lei a consegnarle l’urna in questione contenente le ceneri che lei dovrà disperdere esattamente a mezzogiorno dal balcone dell’Ayuntamiento.
Polvere siamo e polvere ritorneremo, ma nel mezzo del cammino di ognuno si lasciano le tracce della nostra vita. In fondo, si tratta di esaudire un piccolo desiderio e sono certo che lei converrà con il sottoscritto che è un desiderio realizzabile.
Firmato,
El Rey
Se El Rey in persona si era esposto la riteneva un’azione giusta quindi lui non poteva disattenderlo.
Mentre ripensava alla lettera, l’alcalde si accorse del silenzio che regnava nella stanza: nessuno parlava, era un continuo incrocio di sguardi. Poi, quel silenzio fu interrotto quando bussarono alla porta.
«Alcalde» disse la voce di un uomo da dietro la porta «Alcalde, sono le 11:50. È il momento.»
L’alcalde guardò l’urna; poi rispose: «Sì, stiamo uscendo» e si diresse verso l’uscita.
Ad attenderli fuori trovarono due file di persone che arrivavano fino al balcone, a circa otto metri di distanza; avevano tutti gli occhi puntati sull’alcalde.
Lui era alla guida di quello strano corteo, con l’urna tra le mani, seguito dal suo vice, dal rappresentante del Rey e dal console italiano, a sua volta seguito da sette italiani. Avanzavano tutti molto lentamente; più che a una fiesta, sembrava di assistere a un funerale. La scena ricordava tanto il finale del film Il miglio verde, nel quale si vedevano le guardie carcerarie in lacrime accompagnare un uomo innocente, condannato ingiustamente alla sedia elettrica. Arrivarono quindi sul balcone. Il boato che ne seguì fu clamoroso e divenne ancora più intenso quando lui si affacciò verso la folla festante.
Prima di pronunciare la famosa frase che dava inizio ai festeggiamenti, guardò ai suoi lati quel piccolo plotone con magliette rosse con la scritta Zemmeri
: sembravano una squadra di rugby e l’urna era la palla ovale.
L’urna… già, l’urna, pensò l’alcalde; aprì lentamente il coperchio, alzò gli occhi al cielo quasi per santificare quell’istante, poi gettò le ceneri verso il basso, sulle persone.
C’era un sole brillante, e sembrava come se anch’esso fosse in trepida attesa del chupinazo.
Poi successe qualcosa di inaspettato. Nell’attimo esatto in cui l’alcalde lanciò le ceneri, si alzò un vento improvviso. Invece di cadere sulla folla, le ceneri furono spinte in alto verso il cielo e presero direzione nord. Sembrava che una mano invisibile le guidasse altrove. L’alcalde e il resto degli occupanti del balcone rimasero a bocca aperta davanti a quello strano fenomeno. Passarono due minuti e le ceneri si dispersero sempre più lontane, sempre più verso nord, nord… nord… nord...
Non si sa quanto tempo passò, forse un minuto, un’ora, due ore: le ceneri si spinsero verso il mare, verso una delle più belle città spagnole: San Sebastián.
1 – Donostia – 4 luglio 2006
Quando il taxi si fermò in via Velasquez 32, il sole dominava ancora su tutta La Concha che si vestiva di un azzurro limpido davanti ai nostri occhi. La Concha era la bellissima spiaggia di San Sebastián, anzi di Donostia, come veniva chiamata in basco la città.
Erano circa le 19:30 e l’aria era leggermente ventilata. Nel darmi il resto, il tassista, guardando la mia maglietta e quella del Salsero mi disse: «Buena suerte para esta tarde!» e ripartì sgommando.
«Gracias» risposi io, facendo il segno delle corna per scaramanzia.
Era il giorno di Italia-Germania, semifinale del campionato del mondo di calcio 2006, e io ed El Salsero non passavamo inosservati con le nostre magliette azzurre. Erano della nazionale italiana, quella del Salsero con il numero 10 di Totti e la mia con il 7 di Del Piero. Le avevamo comprate prima di partire, da una bancarella a Roma.
Prima di suonare il campanello di Silvana ci fermammo a guardare lo stupendo panorama di fronte a noi. Si distingueva benissimo lo stabilimento balneare El Paradiso, situato al centro della spiaggia, dove eravamo soliti andare a prendere il caffè.
«Goditi questo mare e questo spettacolo, che domani sarà tutta un’altra musica...» dissi al Salsero.
«È vero, domani sarà il delirio a Pamplona! Niente a che fare con la tranquillità di questo mare.
Il nostro domani sarebbe stata Pamplona, la quarta tappa del nostro tour iberico. Eravamo atterrati il 30 giugno all’aeroporto di Santander, nella regione della Cantabria, e lì avevamo soggiornato una notte. Poi era stata la volta dei Paesi Baschi, due giorni a Bilbao e altri due giorni a Donostia. Quella era appunto la nostra ultima sera, l’indomani ci attendevano la Navarra e altri quattro giorni a Pamplona, il fulcro della nostra vacanza. La domenica saremmo ritornati ancora a Santander, da dove poi saremmo ripartiti verso Roma il lunedì successivo.
Rimanemmo ancora due minuti a contemplare quello spettacolo, poi ci voltammo verso il portone dell’enorme palazzo di circa dieci piani dietro di noi. Il campanello di Silvana si notava subito tra tutti gli altri: era l’unico italiano: Corsini Silvana.
Silvana era la sorella di un’amica del Salsero e da tre anni faceva la cardiologa presso l’ospedale di San Sebastián. Si era trasferita lì dopo la specializzazione e aveva trovato subito un lavoro. La scelta non poteva essere migliore: Donostia era veramente meravigliosa. Salimmo al quarto piano con l’ascensore, quando le porte si aprirono Silvana era lì che ci aspettava sul pianerottolo. Abbracciò il Salsero: «Hola Sandro! Come stai?».
Il Salsero in realtà aveva un nome, Sandro, ma per me era il Salsero, come io per lui ero il Gitano.
«Bene, molto bene! ci siamo fermati un momento giù ad ammirare La Concha… Abiti proprio in un bel posto…»
«Eh sì, proprio bello! Accomodatevi» disse Silvana facendo gli onori di casa, «Tu sei Mario il Gitano, vero? Sandro mi ha parlato di te!»
«Sì, sono io, di nome e soprannome!»
Lei rise.
«Quando mia sorella mi ha fatto sapere dieci giorni fa che Sandro sarebbe venuto da queste parti, le ho detto di dargli il mio numero di telefono e che ci dovevamo vedere assolutamente! Il caso ha voluto che coincidesse con la semifinale…»
«Già, speriamo bene per stasera…»
«Sedetevi sul divano! Tra un po’ arriveranno i miei due colleghi di lavoro e iniziamo a mangiare prima che inizi la partita. Come vi siete trovati a Donostia, è la prima volta che venite?»
«No» risposi «purtroppo tranne che bighellonare per la playa non abbiamo fatto grande vita notturna. Siamo arrivati a metà della settimana e nei locali ci sono solo turisti americani e nordeuropei… Non è come il weekend. Siamo stati alla discoteca al barcone vicino all’Ayuntamiento, il municipio, e ci siamo concessi il lusso di grandi bevute e una sortita al casinò… Senza troppa fortuna».
«Dove alloggiate?»
«In una pensione in Calle Jeronimo, al quartiere vecchio.»
«Sì, lì è bello: state proprio al centro!»
Silvana aveva un bel sorriso accogliente, che diventò ancora più piacevole quando vide la scatola di cioccolatini che avevamo comprato per lei e la bottiglia di tinto, il vino rosso spagnolo.
«Buona qualità!» disse osservando la bottiglia «Ma non dovevate… Guardate qui!» e aprì uno sportello della cucina, rivelando una schiera di bottiglie di vino.
In quel momento suonò il campanello e si presentarono João e Angel, i colleghi di Silvana. Vedendo le magliette, anche loro si aprirono in un grande sorriso. Silvana ci presentò e stappò la prima bottiglia. Fu lei a fare il Brindisi: «Non brindo all’Italia, per scaramanzia, ma a questa serata italo-basca-iberica-spagnola!» e riempì i bicchieri.
«Viva l’Italia!» gridò Sandro «Alla faccia della sfortuna e della scaramanzia!»
«Ma sì, viva l’Italia!» gridai pure io, e si aggiunsero anche João e Angel.
Sul tavolo c’era un tripudio di vassoi di formaggi, prosciutto e olive; iniziammo a stuzzicare un po’ di tutto.
«Domani sarete a Pamplona?» chiese João.
«Sì, intorno a mezzogiorno saremo a Pamplona» risposi «Con l’autobus ci vuole un’ora da qui. Questo è il nostro terzo San Fermín.»
«Tre anni a Pamplona per San Fermín…» mi guardò perplesso João «io neanche una volta!»
San Fermín era un compatrono di Pamplona e santo e città erano diventati famosi nel mondo per la corsa dei tori.
«Sì,