Chapter Text
24 settembre 1916
Il paesaggio che vedeva sfilarsi davanti dal finestrino mutava con velocità impressionante mentre il treno filava dritto sulle sue rotaie portando con sé quel nuovo carico di vite pronte a rimpinguare le fila di coloro che difendevano la patria.
In centinaia erano montati su quel treno partito da Napoli per risalire tutta la dorsale d'Italia, facendo tappa a Roma, a Firenze e poi Bologna, fino ad arrivare a Milano, città dalla quale si erano infine mossi su un altro mezzo in due direzioni diverse: un gruppo consistente - fra i quali il suo amico Matteo che era partito con lui nonostante fosse sotto le armi già da un anno - era stato inviato verso est, lungo la via ferrata che conduceva al Carso, mentre lui ed un numero lievemente meno numeroso erano stati spediti a nord, verso le alpi e verso quel pezzo d'Italia che dalla fine dell'ultima grande guerra d'indipendenza si tentava inutilmente di rivendicare per portare a compimento il sogno di includere entro i confini del Regno tutte le terre appartenute agli Stati che avevano composto la penisola prima che Napoleone e poi quegli infami degli austriaci ci mettessero le mani sopra per creare un ordine che fosse loro congeniale.
Molte cose erano cambiate da allora, tuttavia; molte altre sarebbero mutate quando quella guerra fosse terminata, questo lo dicevano tutti. Il problema, pensò Manuel mentre ammirava la neve per la prima volta in vita sua, era che nessuno pareva sapere quando sarebbe effettivamente finita.
Ricordava bene quando era iniziata due anni prima - o uno, se doveva considerare quando anche l'Italia si era unita alla battaglia. Ricordava bene l'ondata di frenesia che aveva attraversato l'Europa e le sue giovani generazioni, come se decenni di pace avessero semplicemente covato negli uomini e nelle donne del tempo non il piacere dell'opulenza e della tranquillità, bensì un incredibile desiderio di dimostrare al proprio vicino chi era più forte e a chi, fra tutte le belle teste coronate del continente, spettasse il titolo di sovrano indiscusso.
Ricordava i titoli dei giornali e le voci degli strilloni romani per le vie della capitale, lo strepitio con cui si annunciava che l'erede al trono d'Austria e d'Ungheria era morto a Sarajevo in un attentato e di come Vienna fosse furibonda con Belgrado per ciò, benché lui non avesse granché capito il perché della cosa.
Ricordava di come tutti avessero atteso trepidanti lo scadere dell'ultimatum di un mese dato dall'Impero al piccolo regno, e di come tutti si attendessero che la cosa sarebbe finita con qualche bombardamento dimostrativo su Belgrado a mo' di rappresaglia.
Poi ricordava anche come tutto fosse precipitato all'improvviso in una maniera che a stento lui capiva: l'Austria aveva dichiarato guerra alla Serbia e qualche giorno dopo lo Zar di Russia aveva dichiarato guerra all'impero confinante per proteggerla. A quel punto, però, la Germania si era mossa in difesa e supporto dell'Austria-Ungheria e questo aveva portato la Francia a dichiarare la guerra a sua volta a supporto della Russia, seguita il mese successivo dall'Impero britannico che si era visto obbligato all'intervento dopo che la Germania aveva invaso il Belgio per travolgere le linee francesi e non combattere sia a destra che a sinistra. Quasi contemporaneamente, qualcosa aveva spinto anche il vetusto Impero Ottomano a gettarsi nella mischia e così, in meno di un mese, il complesso equilibrio di pace che era stato mantenuto per tutto quel tempo era crollato ed il continente si era trovato in guerra. Avevano pensato tutti - specialmente coloro che erano partiti volontari - che sarebbe stata una guerra breve, potente, uno scoppio d'energia fondato su grandi battaglie e su certi trionfi che sarebbero sopraggiunti prima del volgere del Natale, un po' come se quel che era accaduto non fosse altro che un temporale estivo che tuona e lampa per qualche ora e poi termina, facendo tornare il sereno dopo massimo qualche ora.
Ma si erano sbagliati tutti quanti e, adesso, era lui e tutti quelli come lui a pagare le conseguenze di quell'errore, mentre la guerra divorava vite umane come la locomotiva del treno su cui viaggiava faceva col carbone.
Nervosamente, si passò una mano sulla nuca, un gesto semplice che faceva sin da bambino quando era nervoso e voleva darsi una calmata, lisciandosi i capelli. Solo che, quando la mano raggiunse la meta, i suoi riccioli non erano più lì ad attenderlo: erano stati accorciati abbastanza brutalmente poco prima che partisse per "questioni igieniche", sebbene si fosse scampato la rapata completa che era toccata a Matteo perché l'Alto Comando aveva ritenuto che qualche capello in più fosse necessario durante quella che avevano definito la "Guerra Bianca" per contrastare il freddo gelido delle Dolomiti, espressione che a lui non era piaciuta per niente.
Odiava il freddo, lui.
Rabbrividendo proprio per il freddo improvviso, Manuel si strinse di più nella mantella grigia che gli avevano assegnato, rileggendo di nuovo la lettera di chiamata alle armi e le istruzioni su dove e a che ora si sarebbe dovuto presentare.
Assorto com'era, neppure si accorse che il treno si fosse fermato in una piccola stazione montana e avesse fatto salire a bordo un altro ragazzo, un giovane alto e dalla pelle candida, coi capelli corvini che gli coronavano la testa sotto al berretto e l'uniforme un po' lisa, ma ornata differentemente dalla sua, cosa che lo identificava come un ufficiale di qualche grado, sebbene Manuel non sapesse definire bene quale. Non aveva ben capito il funzionamento delle stellette sui paramani e quelle due argentate su sfondo grigio non lo aiutavano affatto a capire quanto importante fosse la persona davanti a lui. Sapeva solo che non era importantissimo perché le stellette non erano d'oro ma, a parte questo, ignorava tutto il resto.
Silenziosamente, il ragazzo si sedette nel posto vuoto di fronte a lui, assorto in pensieri propri che lo portavano a fissare intensamente un orologio che, se ne rese conto dalla completa assenza di ticchettio, era fermo immobile ad un orario che non riusciva a leggere dalla sua posizione e che, in ogni caso, non avrebbe potuto sperare di vedere. Benché, infatti, la struttura dorata fosse intatta, il vetro che chiudeva il quadrante pareva esser stato aggredito da qualcosa di oleoso che aveva lasciato tracce di un verde giallastro su di esso, come se qualcuno si fosse divertito a colorarlo con l'acquerello.
Avrebbe dovuto portare lo sguardo altrove - se non per rispetto delle gerarchie, quanto meno per educazione - ma non ci riuscì. Lo sconosciuto appena arrivato attirava la sua attenzione in una maniera inspiegabile, come se ci fosse una specie di magnete dietro a quegli occhi grandi e maledettamente tristi che lo tiravano verso quel viso assorto, un magnete che lo obbligava a confrontarsi con quel ragazzo e a desiderare di saperne di più su di lui e su quel suo strano orologio, sebbene non se ne spiegasse la ragione. Forse, si disse, era semplicemente il fatto di star filando a tutta velocità verso morte certa che faceva brillare la sua curiosità al punto da interessarsi a cose così stupide ed era sempre quella certezza a far tintinnare le campane nella sua mente in maniera insistente, quasi che avesse dimenticato qualcosa che avrebbe dovuto rammentare guardando quel viso e quegli occhi.
Lo sconosciuto parve accorgersi del suo sguardo insistente, si rese conto, perché abbozzò un mezzo sorriso e levò lo sguardo su di lui, mettendo da parte l'orologio per concentrarsi su di lui.
«Scusa» gli disse. «Di solito non ignoro le persone a questa maniera. Ma oggi è un giorno un po' particolare.»
«Scusami tu» replicò lui. «In genere, neppure io fisso la gente con insistenza; anzi, in genere tendo a farmi i fatti miei. Io sono Manuel. Manuel Ferro.»
«Simone» rispose il corvino, tendendo la mano verso di lui in un gesto di saluto cui Manuel rispose stringendola con forza, forza che dovette stupire il ragazzo di fronte a lui a giudicare dallo sguardo che gli lanciò. «Prima volta?»
«Sì» confermò. «Sarei dovuto partire per la guerra lo scorso anno ma, il giorno prima che arrivasse la lettera, sono precipitato da una scala e mi sono rotto un po' ovunque. Davvero una brutta sfortuna.»
«Non direi, dai» rispose lo sconosciuto con aria triste. «Hai guadagnato un anno di vita. È molto più di quanto possano dire tanti altri.»
«Beh, insomma, Simò» si permise di dargli del tu lui, cosa che fece storcere il naso al suo interlocutore. «Fra gessi, fasciature e riabilitazione l'ho passato per metà a letto e per l'altra metà in ospedale. Non è stato proprio un gran guadagno, in termini di qualità.»
«Meglio così che morti» rimarcò. «Credimi, ci sono modi peggiori di passare un anno.»
«Non è la tua prima volta questa, quindi?» domandò, sebbene gli paresse strano visto che ad occhio l'altro ragazzo era più giovane di lui.
«No» fu la replica asciutta. «Io combatto dal '14.»
«Volontario, quindi» commentò, tenendo per sé l'altra parte della frase che contemplava la possibilità che fosse un disertore austriaco che si era rifiutato di combattere per gli Asburgo ed era passato coi Savoia appena ne aveva avuto la possibilità. «Coraggioso.»
«O sprovveduto. Ancora una volta, dipende dai punti di vista» fu la risposta secca, atta a chiarirgli che non gli piaceva parlare di quell'argomento.
Comprendendo l'antifona, il maggiore cambiò discorso.
«Com'è? La guerra quassù intendo» chiese. «Scusa se lo domando a te, ma per me finanche la neve è una novità e, quando mi hanno fatto questo bel lavoretto sulla testa, mi han detto che avrei dovuto tenerli un po' più lunghi per il freddo che si respira quassù.»
«Beh, meglio che altrove, forse» rispose sarcastico il corvino. «Se escludi il freddo, la neve, i geloni, la perenne goccia al naso, l'ipotermia e il rischio di finire morti sotto al fuoco dell'artiglieria o delle mitragliatrici, quando il clima lo permette, è una piacevole villeggiatura.»
«Non è proprio così che me l'hanno descritta...» commentò lievemente a disagio, vedendo sfumare lentamente quell'idea di eroismo, cameratismo e altro che si era fatto prima di partire.
«Non saresti partito con egual entusiasmo, se te lo avessero detto» commentò. «Sai, lo Stato Maggiore ha scoperto che qualche coscritto ha la tendenza a farsi del male dopo esser stato convocato, così da non poter combattere e vuole evitare che queste azioni si ripetano. Per questo nasconde certe informazioni.»
«Beh, non è il mio caso» rispose, lievemente risentito da quella che gli era parsa una spiacevole insinuazione. «Ti ho spiegato il motivo del mio ritardo.»
«Lo so che non è il tuo caso, Manuel. Tranquillo» ribatté subito lo sconosciuto, omaggiandolo di un sorriso. «Non ti saresti ripresentato dopo un anno se fosse stato il tuo caso. Comunque, a quale corpo di armata ti hanno assegnato? Perché, a giudicare dalla tua uniforme, sei un soldato semplice di fanteria senza alcuna qualifica specifica o talento particolare.»
«Sono un meccanico» ribatté piccato, anche se in realtà aveva capito che l'altro avesse fatto una semplice constatazione e non lo volesse offendere con quelle parole. «Appena arriverò al campo base, mi hanno detto di farlo presente all'ufficiale di comando per essere assegnato ad un apposito compito utile allo sforzo bellico.»
«Strano che ti abbiano destinato alla Guerra Bianca, allora» giudicò il minore. «Di solito, i meccanici stanno con gli aviatori. Oppure dove stanno i mezzi da guerra più sofisticati. Noi quassù difficilmente li utilizziamo.»
«Quindi anche tu sei diretto al fronte alpino?» chiese a quel punto, benché la domanda suonasse ovvia.
«Sì» rispose l'altro. «IV corpo d'armata, al comando del generale Mario Nicolis di Robilant.»
«Oh, ma tu guarda il caso!» esclamò Manuel in risposta. «Anche io sono stato assegnato lì. Possiamo fare assieme una parte del percorso fino a che non ci dovremmo presentare di fronte a... Aspetta che controllo un attimo... A questo Tenente Balestra.»
«Mmmmh, non credo, Manuel» rispose l'altro. «Io so già dove andare, a differenza tua. Ero in licenza per un giorno, non è la mia prima assegnazione qui.»
«Ah, capisco» replicò, realizzando che ci era stranamente rimasto male. «Beh, è un peccato. Speravo di affrontare questo fantomatico Tenente Balestra assieme a qualcuno.»
«E perché mai?» ridacchiò il corvino. «Guarda che non morde mica.»
«Non me ne hanno parlato granché bene, sai?» affermò. «Lo descrivono tutti come un precisino della peggior specie, con un'innata tendenza a richiedere quella medesima perfezione dai suoi sottoposti e, se sgarri, sono dolori. Un perfettone, insomma.»
«Magari è solo che gli piace che le cose vengano fatte secondo criterio» rispose l'altro, accigliandosi. «Sai, se si rispettano regole, ordini e gerarchie, c'è assai più probabilità di ridurre il numero di morti rispetto al permettere il disordine più totale.»
«E cosa ne dovrebbe sapere un francese dell'ordine?» gli rimandò indietro. «Quelli non sono stati in grado neppure di costruirsi i monumenti della capitale senza copiare i nostri e dovrebbero avere idea di cosa sia l'ordine? Dai, su, Simò. Non scherziamo.»
«La Francia combatte da più tempo dell'Italia» replicò secco. «L'ordine deve pur avercelo o i tedeschi sarebbero già a Parigi da un pezzo.»
«Ti correggo, Simone. La Francia prende mazzolate dalla Germania da più tempo» si permise di rispondere, ché tanto non c'era nulla di sbagliato in quelle che erano informazioni di dominio pubblico seppur riguardassero un Paese alleato. «Persino i russi sono riusciti ad avanzare in Galizia prima di venir respinti, mentre oltralpe e con un solo fronte aperto, quelli non riescono neppure a recuperare ciò che hanno perduto nei primi mesi della guerra. Non voglio negare l'eroismo dei morti sulla Marna, ma...»
«Non sarebbe stato così se i tedeschi non avessero calpestato ogni regola della morale e della decenza, invadendo un Paese neutrale per pur fine strategico e poi non avessero deciso di giocare sporco con quelle loro diavolerie chimiche!» ribatté aspramente il suo interlocutore, serrando il pugno al punto da far sbiancare le nocche.
«Vero» concesse. «Ma sono passati quasi tre anni da allora e non è cambiato niente. Posso dirlo o no che non mi pare granché come risultato? Persino le nostre linee si sono mosse di più e combattiamo su di un fronte decisamente più complicato che delle pianure.»
«Che altro sai di Balestra?» cambiò discorso Simone mentre il treno rallentava la sua corsa, palese evidenza che erano in dirittura d'arrivo. «Che altro ne pensi?»
«Che sia il solito ufficiale francese convinto di saper fare le cose meglio degli altri» rispose. «Uno snob con la puzza sotto al naso e tanta voglia di imporre la sua autorità perché probabilmente la natura non gli ha dato abbastanza centimetri addosso e questo lo fa sentire in qualche maniera sminuito di fronte a tutti gli altri. Del resto, quando il sangue si annacqua, succede anche questo.»
«Tanto per cominciare, il tenente Balestra non è uno "snob con la puzza sotto al naso"» si irritò il corvino, inspiegabilmente secondo l'opinione di Manuel. «E non ha il sangue annacquato. I suoi genitori sono italianissimi e si chiamano Dante e Floriana, solo che è nato in Francia e ci ha vissuto a lungo perché il padre lavora come docente di Filosofia alla Sorbona, per questo è potuto andar volontario per la Francia e poi chiedere di venir spostato in Italia quando Roma si è finalmente decisa ad intervenire. E, per quanto riguarda l'ultima questione, beh... I centimetri non gli mancano in nessuna parte del corpo, stanne certo di ciò.»
«Ma perché ti scaldi tanto, scusami?» deglutì lui, non capendo la ragione di quello scatto improvviso. «Che è? Balestra è tuo parente?»
«Forse faresti bene a leggere meglio la tua lettera di chiamata alle armi. Potresti scoprire che ti è sfuggito qualcosa» replicò lui mentre si alzava in piedi approfittando del fermarsi del treno, finendo col torreggiare su di lui data la sua altezza fuori media.
Rapidamente, Manuel trasse di nuovo la lettera e la scorse di nuovo, realizzando con orrore di non aver fatto l'associazione adeguata quando aveva dato per scontato che la "S" prima di Balestra fosse l'iniziale di qualche nome francese come Sébastien.
«Piacere di averla conosciuta, soldato Ferro» gli disse, quando il maggiore ebbe trovato il coraggio di sollevare lo sguardo imbarazzato su di lui. «Sono il Tenente Simone Balestra, l'ufficiale responsabile delle nuove reclute per la IV armata sulle Alpi. E cominciamo malissimo.»