Firenze University Press
http://www.fupress.net/index.php/ds
Diciot tesimo
Secolo
Book Reviews
Carole Dornier, La monarchie éclairée de l’abbé de Saint-Pierre. Une science politique des modernes, Voltaire Foundation, Oxford 2020, 461 pp.
Citation: Giulio Talini (2022) Carole
Dornier, La monarchie éclairée de
l’abbé de Saint-Pierre. Une science
politique des modernes. Diciottesimo
Secolo Vol. 7: 201-203. doi: 10.36253/
ds-13069
Copyright: © 2022 Giulio Talini. This is
an open access, peer-reviewed article
published by Firenze University Press
(http://www.fupress.net/index.php/ds)
and distributed under the terms of the
Creative Commons Attribution License,
which permits unrestricted use, distribution, and reproduction in any medium, provided the original author and
source are credited.
Data Availability Statement: All relevant data are within the paper and its
Supporting Information files.
Competing Interests: The Author(s)
declare(s) no conflict of interest.
È ammissibile ravvisare storicamente una radicalità riformatrice all’interno dei Lumi monarchici e tra i fautori dichiarati della cosiddetta thèse
royale? L’interrogativo – per nulla banale e peregrino – ha condotto Carole Dornier, professoressa emerita all’Università di Caen e studiosa affermata della cultura delle lumières francesi, a tematizzare nel suo ultimo libro la
riflessione politica di Charles-Irénée Castel, abbé de Saint-Pierre (1658-1743)
in una chiave originale e affatto innovativa. A conferma della freschezza
dell’impostazione adottata, lo spazio assegnato al Projet pour rendre la paix
perpétuelle en Europe (1713-1717), certo il trattato dell’abbé più noto e discusso tra i contemporanei e nella storiografia dei secoli successivi, è piuttosto
contenuto. Il saggio spicca rispetto agli studi di sintesi più recenti non solo
per la non comune padronanza delle opere rimaste manoscritte di Saint-Pierre, ma anche per la forza della proposta interpretativa.
La tesi di fondo della Dornier, già curatrice con Claudine Poulouin di
un volume dedicato ai progetti dell’abbé nonché coordinatrice dell’edizione integrale dei testi di quest’ultimo (https://www.unicaen.fr/puc/sources/
castel/accueil), è che il profi lo intellettuale di Saint-Pierre esiga una drastica
«réévaluation» che sottoponga al vaglio dell’analisi critica anche le tendenze
storiografiche degli ultimi anni. In particolare, a giudizio dell’autrice l’abbé
andrebbe concepito non più come un inseguitore di progetti irrealizzabili e
chimerici (così lo dipinsero invece già il philosophe Voltaire e il re di Prussia Federico II), ma al contrario come uno dei primi pensatori utilitaristi e il
teorico lucido di una «science politique des Modernes» fondata sulla razionalità e sull’efficacia di una macchina statuale metodicamente orientata al
«bonheur pour le plus grand nombre», alla «bonne police» (p. 2). Combinando creativamente colbertismo, aritmetica politica britannica e, in minor
misura, le nascenti scienze camerali, Saint-Pierre, finalmente collocato dalla
Dornier nel pur multiforme e plurale movimento dei Lumi al pari di Bayle e
Fontenelle, prospettò alla monarchia di Versailles una riforma integrale volta
alla razionalizzazione del potere attraverso il governo della scienza, della virtù, del sapere e di élites distintesi per meriti e non per titoli nobiliari.
La linea interpretativa dell’autrice è senza dubbio supportata dall’analisi sistematica e puntuale della monarchia illuminata e dello stato-macchina
dell’abbé, a ragione presentato quale «écrivain politique» (del resto, nelle
Annales de Castel egli stesso ammise di voler «exceller en politique comme
Descartes avait fait en physique»). Ben lungi dal seguire lo stile e lo schema
della biografia, l’opera tratteggia un succinto ma pregevole ritratto delle origini, della formazione, della maturità e dei networks culturali di Saint-Pierre (cap. I) per poi soffermarsi singolarmente sui presupposti etici e politici
Diciottesimo Secolo Vol. 7 (2022): 201-203
ISSN 2531-4165 (online) | DOI: 10.36253/ds-13069
202
e sugli specifici campi d’azione del grandioso edificio
statuale da lui immaginato (cap. II-VIII). Come intuito anche da Simona Gregori (L’enfance de la science du
gouvernement. Filosofia, politica e istituzioni nel pensiero
dell’abbé de Saint-Pierre, Macerata, 2010), il programma
riformatore di Saint-Pierre partì dal presupposto che
fosse possibile migliorare nel complesso la società applicando alla decisione politica la sofisticazione teorica e
gli apparati concettuali offerti dagli approcci scientifici e
quantitativi dei moderni. Di qui, l’inesauribile e ricchissima progettualità dell’abbé, il quale recepì e rielaborò le
tradizioni politiche e gli stimoli intellettuali più disparati per promuovere in Francia il «gouvernement de la raison» e dell’autorità burocratica e tecnico-professionale di
un ceto dirigente altamente formato nella «science politique» (p. 359).
Questo stato ‘illuminato’ di tipo nuovo – meccanizzato, efficiente, prevedibile – aveva per Saint-Pierre il
fine precipuo di assicurare la pubblica felicità e la prosperità collettiva, operando contemporaneamente su più
fronti: lotta contro la povertà e la mendicità, difesa della tolleranza religiosa e della libertà di critica, adesione
al progetto federale europeo e all’ideale della pace perpetua, affrancamento del commercio interno e internazionale da costrizioni (inevitabile l’accostamento a Boisguilbert), contrasto alla logica dei privilegi di sangue in
favore di una nuova aristocrazia dei meritevoli. E ancora: abolizione della venalità delle cariche, introduzione
di un’imposta de quotité (ovvero calcolata sulla capacità contributiva), perfezionamento del sistema educativo
e delle istituzioni culturali al fine di incanalare l’amour
propre e il naturale desiderio di distinguersi verso il perseguimento dell’utilità della maggioranza e l’emulazione
delle pratiche virtuose. Tali le priorità di una monarchia
realmente indirizzata alla «bienfaisance» (parola chiave
nel vocabolario dell’abbé); una monarchia impersonale nella quale il re, comunque simbolo della sostanziale
unità e dell’uniformità del potere politico, veniva assurto
più a ingranaggio di un’autonoma e articolata macchina
che a cuore pulsante dello stato (p. 186).
Conclude questa accurata ed erudita panoramica
un excursus sulle strategie di diffusione e di autopromozione impiegate da Saint-Pierre per far tradurre in atto
la propria ingegnosa scienza di governo da uomini di
stato, ministri e diplomatici come Torcy, Dubois, Lord
Stanhope, Fleury (cap. IX). Aspetto di indubbio interesse, questo, poiché permette all’autrice di spiegare perché
la tensione dell’abbé verso l’innovazione politica, la raison regolatrice e l’imperativo del calcolo felicifico apparve nell’immediato ai governanti e all’opinione pubblica
poco concreta e poco concretizzabile. Certo, Rousseau
e Kant, seppur in momenti storici assai diversi, recupe-
Giulio Talini
rarono e valorizzarono la pace perpetua di Saint-Pierre,
ma così facendo contribuirono inconsapevolmente ad
oscurare il restante e formidabile sistema politico da lui
elaborato, aprendo la via a letture parcellizzate e parziali
del pensiero del poliedrico e versatile abate.
Frutto di una vasta bibliografia primaria e secondaria e di una non meno vasta quantità di fonti manoscritte, l’agile e scorrevole saggio della Dornier riesce pienamente in due sensi tra loro interrelati: non solo riporta
Saint-Pierre nel proprio contesto politico-culturale rivelandone l’indole di «écrivain politique» e di assertore di una «science politique des Modernes» di matrice
utilitarista, ma si avvale della voce per lo più inascoltata dell’abbé anche per problematizzare alcune delle questioni storiografiche più dibattute della parabola storica
dei Lumi politici europei. Secondo l’autrice, Saint-Pierre
immaginò la trasformazione del regno di Francia in un
welfare state retto da un potere ramificato e gerarchizzato ma rigorosamente unitario e diffidente nei confronti
dei corpi intermedi (parlamenti in primis) tanto cari a
Montesquieu. La sua politica dei moderni, perciò, confidava nelle potenzialità riformatrici insite nella forma di
governo monarchico per garantire la «bonne police» a
scapito delle libertates particolari di gruppi e gruppuscoli, in ciò percorrendo la strada che sarà battuta con esiti
più appariscenti anche dal cameralismo e dai fisiocratici
col loro «despotisme légal» (p. 158).
In virtù di questa convincente interpretazione, la
Dornier può muovere una critica sferzante alla nota
opposizione sostenuta da Jonathan Israel tra Lumi ‘radicali’ (repubblicani e materialisti) e Lumi ‘moderati’
(monarchici e rispettosi dell’autorità politica e religiosa),
per la verità già contestata da Anthony La Vopa («A New
Intellectual History? Jonathan Israel’s Enlightenment»,
The Historical Journal, 52, 2009, pp. 717-738). Cosa rimane infatti di questa rigida classificazione dal carattere
teleologico e dal sapore Whiggish di fronte alla riforma
totale e sconvolgente delle istituzioni, della cultura e
finanche delle mentalità collettive propugnata da SaintPierre sempre in un quadro di preservazione dei capisaldi sociali e politici dell’Ancien Régime, a cominciare dal
binomio trono e altare? Il documentato libro della Dornier invita gli storici a non cedere alle schematizzazioni
binarie nello studio degli Illuminismi politici, l’irriducibile complessità dei quali lascia poco spazio a scorciatoie
concettuali e classificatorie.
Da questo tempestivo ammonimento discende un
altro nodo problematico. L’abbé, come il marchese d’Argenson e moltissimi altri autori filomonarchici in Francia e fuori dalla Francia (si pensi all’Impero asburgico,
alla Prussia o alla Napoli borbonica), scorse nella dignità regia lo strumento più adatto alla trasformazione del-
203
Book Reviews
la società in un senso progressivo. La rivalutazione della
figura di Saint-Pierre dovrebbe quindi riportare al centro
dell’attenzione storiografica il ruolo propulsivo dell’idea
di monarchia illuminata nel Settecento. Campo di ricerca troppo presto abbandonato dalla storiografia a causa
della fascinazione per i Lumi repubblicani, spinoziani,
massonici, atei e libertini così autorevolmente raccontati da Margaret Jacob e da Israel, l’audace progettualità
riformatrice ampiamente attestata nell’alveo della cultura monarchica settecentesca – proprio Saint-Pierre ne
è un esempio calzante – richiede infatti ulteriori approfondimenti e ulteriori studi, senza assumere nozioni ipostatizzate e anacronistiche di modernità e di radicalità
nelle quali far rientrare teleologicamente solo una parte
delle lumières. Proseguendo la riflessione di Annelien de
Dijn («The Politics of Enlightenment: From Peter Gay
to Jonathan Israel», The Historical Journal, 55, 2012, pp.
785-805), occorre tornare ad indagare il monarchismo
illuministico senza rappresentarlo arbitrariamente come
una manifestazione incompiuta dell’Aufklarüng; occorre
coglierne l’impulso al progresso, alla riforma e all’esercizio della critica libera purché razionale; occorre ridiscutere il nesso problematico tra Lumi, repubblica e democrazia. Il brillante lavoro della Dornier, d’ora in avanti
un riferimento imprescindibile per gli storici dell’abbé,
dischiude in questo senso nuovi orizzonti sulla storia
intellettuale e politica dell’Illuminismo. Spetta a future
ricerche elaborare ed approfondire le linee di indagine
tracciate e le acquisizioni scientifiche presentate.
Giulio Talini
Scuola Superiore Meridionale