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Biblioteche private, biblioteche di scrittori, biblioteche d’autore L’immagine che figura sulla copertina di questo volume fa parte di una serie di due «natures mortes aux livres» che il pittore Jean-François Foisse, detto Brabant (1708-1763), dipinse al principio degli anni Quaranta del Settecento per l’ex re di Polonia, e suocero di Luigi XV, Stanislao Leszczyński, da poco diventato duca di Lorena. Se lo si accosta al suo pendant, andato perduto nel 2003 nell’incendio rovinoso del castello di Luneville, si materializza un vario e mobile teatro, i cui protagonisti sono i libri. Sugli scaffali si alterna ogni disciplina del sapere umano: nella natura morta andata perduta, il Tempio della pittura di Lomazzo poggia sul Cours de Mathématique di Jacques Ozanam, il primo tomo dell’Histoire de la découverte et de la conquète du Pérou di Augustín de Zárate e Garcilaso de la Vega affianca le opere di Boileau, gli Essais di Montaigne, un Office divin e le Obros de Pierre Goudouli; aprono e chiudono la serie una clessidra, che si intravede dietro il panneggio della tenda e simbolizza l’inesorabile scorrere del tempo, ma è anche un ammiccamento al celebre San Girolamo nel suo studio di Jan van Eyck, e il Passe-tems agréable di Cartier de Saint-Philip. Nel pendant (qui in copertina) accanto alle Métamorphoses d’Ovide, al Robinson Crusoe di Defoe, figura la Vie des peintres di Félibien e, dietro al panneggio, si intravedono le Fables di La Fontaine, mentre nel ripiano inferiore i due tomi degli Eléments d’Euclide de Claude Milliet de Chales spiccano accanto ai Voyages aux Indes occidentales di Francisco Coreal. Un cannocchiale fa bella mostra di sé in mezzo a una pila di libri, di legature di ogni tipo, da quelle più umili in pergamena a quelle più pregiate in vitello e marocchino, volumi dai tagli marezzati e rustici, segnalibri e cartelle di manoscritti, ecc. In questa bibliotheca picta le lettere e le scienze figurano ancora assieme in nome di un’idea umanistica della cultura. Tutte le discipline vi sono rappresentate: dalle belle arti alla matematica, dalla filosofia ai manuali di bon ton, dalla poesia ai romanzi, dai libri di devozione alle favole, dai libri di viaggi alle opere di pittura, dalla geometria all’astronomia. Il lungo processo che aveva preso avvio in Francia durante l’âge classique e che avrebbe trasformato le Belles Lettres nella Littérature si stava 254 Postfazione compiendo: nondimeno in quella biblioteca en tromp l’œil la cultura scientifica e quella umanistica continuano a convivere. Anche quando la separazione si sarà definitivamente compiuta, la cultura umanistica, che resterà a lungo il baricentro della ratio studiorum, non cesserà di figurare nelle biblioteche degli scienziati, mentre la cultura scientifica continuerà a fare capolino nelle biblioteche dei letterati, benché esse tendano a specializzarsi. Se le “due culture” non cessano di ritrovarsi affiancate nelle biblioteche private, verrà invece progressivamente meno l’ambizione di raccogliere una biblioteca universale. Le bibliothecæ che tra Sei e Settecento, sulla scorta di Gabriel Naudé, accompagnano nel labirinto di una produzione libraria che si moltiplica in maniera esponenziale quanti vogliono costituire una biblioteca in ogni campo del sapere, lasciano progressivamente il campo a repertori specializzati, in particolare rivolti ai bibliofili. Esiste dunque inevitabilmente un rapporto variabile tra la dimensione reale e quella ideale della biblioteca. L’impossibilità di abbracciare l’integralità dello scibile umano rende una biblioteca il frutto di un paradigma intellettuale, una selezione che si opera sulla base degli interessi del suo possessore e del contesto culturale in cui si è formato e vive. Una biblioteca privata, dunque, ci permette di definire un profilo intellettuale più che di identificare con precisione le letture condotte dal suo proprietario nel corso della sua vita. Si tratta di un presupposto di cui occorre sempre tenere conto quando si studia una biblioteca privata, a maggior ragione quando si tratta di quella di uno scrittore, cui ci si accosta per trarne considerazioni esegetiche. Non è, tuttavia, la sola cautela che occorre prendere. Quando si esplorano le biblioteche private ci si trova di fronte a molteplici problemi di tipo metodologico. Innanzitutto, non siamo sempre in grado di misurarne la consistenza reale, per la ragione ovvia che non tutti i libri consultati e letti da uno scrittore sono stati conservati e non tutti i libri posseduti sono stati necessariamente letti, o anche semplicemente sfogliati. Alcune letture, inoltre, sono state solo pianificate ma non effettuate. Molte volte, poi, non siamo neppure in grado di delimitare con precisione il perimetro dei libri effettivamente posseduti: non sempre, infatti, disponiamo del catalogo di una biblioteca, ma solo di inventari sommari, se non parziali, spesso (come gli inventari notarili post mortem) redatti con scopi di natura differente dalla volontà di documentare con precisione opere ed edizioni possedute. Occorre, in seguito, tenere conto che le biblioteche sono un corpo vivente, che cresce e si modifica con il tempo. Anche in presenza di un catalogo sufficientemente esaustivo non si deve scordare che si tratta pur sempre di un’istantanea, scattata in un dato momento, che non ci dice che cosa è successo prima né, soprattutto, che cosa è successo dopo. Ci manca, cioè, la profondità diacronica. Non di rado ci è giunta la biblioteca degli ultimi anni, Postfazione 255 che nel migliore dei casi si è costituita per stratificazioni: è, cioè, il risultato di un’accumulazione; e quand’anche sui volumi che la compongono figurino note di possesso, magari arricchite di indicazioni cronologiche (ma è spesso difficile stabilire se esse si riferiscano alla data di ingresso di un volume, a quella della sua lettura o ad altri eventi biografici legati al suo possesso), niente ci diranno dei libri che sono entrati e poi sono usciti, perché regalati, venduti, prestati o semplicemente smarriti. Oltre a ciò c’è un problema di frontiera: fino a epoche molto recenti (e, malgrado l’individualizzazione crescente delle raccolte librarie private, probabilmente ancora oggi) è difficile tracciare un confine netto, nel tempo e nello spazio, tra la biblioteca di un possessore e quella della sua cerchia più prossima: le biblioteche si ereditano, si condividono, e si lasciano in eredità. In assenza di inventari post mortem dettagliati, come sapere se un libro era già presente o se è entrato a farne parte dopo la morte del possessore? Si tratta di premesse indispensabili quando si studiano quelle raccolte particolari che sono le biblioteche degli scrittori, perché il rischio è forte di considerarle un riflesso fedele delle letture e del profilo intellettuale di chi le ha costituite; e quando si saranno prese tutte queste precauzioni, occorrerà valutare anche altre circostanze. Considerando che la biblioteca è il luogo dove lettura e scrittura si incontrano, lo studioso dovrà distinguere tra le letture strumentali, occasionali o di studio; saper interrogare la biblioteca per trarne informazioni sull’uso che ne è stato fatto, come «strumenti di lavoro, a volte veri e propri laboratori di scrittura, crocevia di incontri e di scambi culturali e umani»;1 e dovrà capire come ha letto e annotato il suo possessore. Diventano allora importanti numerosi altri elementi, indizi, segni lasciati sui libri che se talora permettono di intravedere i primi momenti di un’opera sul nascere, o «articolate filiere intertestuali»,2 altre volte, invece, lasciano scorgere aspetti della vita privata di uno scrittore: tracce di lettura (postille verbali e non verbali, orecchie, ecc.), tracce d’uso e attestazioni di possesso (ex libris, legature personalizzate, ecc.), dediche, documenti di varia natura (personale, editoriale, ecc.), o anche semplici fogli bianchi, libri in doppia copia, e ogni presenza che, in definitiva, apporti informazioni importanti. Occorre saper scrutare la rete di relazioni che i libri intrecciano tra loro e le relazioni degli autori con i libri stessi e con altri autori e lettori. Ma che cos’è una biblioteca d’autore? Ci sono due possibili approcci. Il primo considera la biblioteca come «istituto librario»,3 la cui funzione è quella di conservarla, valorizzarla e renderla accessibile. In questo quadro Giuliana Zagra ha proposto di definire biblioteca d’autore «una raccolta libraria privata e personale che, per le sue caratteristiche interne, tramite i singoli documenti e Zagra 2008: 38. Tomasi 2020: 39. 3 Caproni 2015: 71. 1 2 256 Postfazione nell’insieme della collezione, sia in grado di testimoniare l’attività intellettuale, la rete di relazioni, il contesto storico culturale del suo possessore».4 Questa definizione, poi ripresa da Laura Desideri e Maria Cecilia Calabri,5 risponde essenzialmente a una prospettiva biblioteconomica, di conservazione, fruizione e valorizzazione. A tale definizione si adatterebbe meglio la nozione di biblioteca «privata», o quella più circoscritta di biblioteca di scrittore, ovvero il possessore identificato in base al suo profilo professionale.6 Da questo punto di vista, infatti, coerentemente con la definizione che ne dà Caproni, non c’è una differenza sostanziale tra una biblioteca privata personale e la biblioteca di uno scrittore, poiché lo scrittore altro non è che un particolare tipo di possessore. Le biblioteche degli scrittori non offrono la chiave per penetrare il senso di un testo; sono però rappresentative del contesto culturale e materiale in cui le loro opere hanno visto la luce. Sono lo spazio virtuale in cui lo scrittore intesse il suo dialogo a distanza con gli autori del passato, conserva l’impronta dell’orizzonte culturale entro il quale agisce, e offre la testimonianza tangibile delle sue pratiche di lettura, attestate dalle tracce che ha lasciato sui volumi che ha posseduto, letto, annotato, e della loro interazione con le sue pratiche di scrittura. Esse offrono la possibilità di esplorare un orizzonte intellettuale spesso molto più ampio ed esteso nel tempo di quanto lo studio della tradizione, della memoria o dello spazio letterari permettano di osservare. Le biblioteche costituiscono, inoltre, anche il contesto materiale in cui le opere letterarie prendono forma, poiché il processo di creazione ha origine a contatto con, e talora in seno a, i testi degli altri. In un certo numero di casi, i margini dei libri sono addirittura il luogo fisico dove si materializza la creazione letteraria, diventano essi stessi manoscritti, ma di un genere particolare, perché congiungono due spazi eterogenei: quello pubblico del testo edito e quello privato dell’officina dello scrittore. Le biblioteche degli scrittori sono dunque, a livelli diversi, lo specchio delle modalità con cui uno scrittore dialoga con il suo contesto culturale, nonché un osservatorio privilegiato per comprendere la genesi del processo di scrittura. Diversa, invece, la prospettiva più specificamente critico-letteraria, per cui lo scrittore esiste, al di là del suo statuto professionale, in quanto detentore dell’autorità, sia rispetto al lettore, per cui l’autore è un nome d’autorità, ma anche una possibile chiave interpretativa della sua opera, sia in quanto soggetto che esprime la volontà di esercitare un controllo sulla produzione e diffusione delle proprie opere, ma anche sulla costruzione della propria immagine autoriale. In questa prospettiva si può più opportunamente parlare di «biblioteca d’autore». Recentemente Franco Tomasi ha proposto di definire «la biblioteca Zagra 2007: 719. Desideri – Calabri 2016. 6 Sabba 2016: 427 parla di «professionista dell’intelletto». 4 5 Postfazione 257 d’autore come il patrimonio librario, realmente conservato o ricostruibile in modo indiziario, cui uno scrittore attinge nel corso del tempo e che consente agli studiosi di indagare le relazioni complesse e per certi versi opache che si creano tra la pratica della lettura e quella della scrittura, tra la biblioteca e lo scrittoio».7 Si potrebbe aggiungere che, adottando questa prospettiva, una biblioteca d’autore non esiste se non in quanto materializza il legame, l’iterazione, tra l’atto individuale di creazione e lo spazio sociale in cui lo scrittore è immerso. In altri termini, la «biblioteca d’autore» è lo spazio letterario all’interno del quale lo scrittore agisce; uno spazio accuratamente delimitato dall’autore stesso. La biblioteca, e il suo archivio letterario, diventano il documento che testimonia l’unicità e la singolarità dell’autore, i libri che riflettono i suoi interessi e le sue passioni, un nucleo ristretto con caratteristiche tali, appunto, da costituire un autentico «paradigma bibliografico».8 È proprio la nozione di autore così intesa, e non come sinonimo di scrittore,9 che permette di sanare l’apparente antinomia segnalata da Caproni tra le biblioteche contemporanee e quelle dei secoli precedenti, per cui «l’idea […] che la biblioteca sia l’esito di scelte precise di uno scrittore o rappresenti il punto da cui si dipartiscono delle assonanze, va del tutto capovolta per quanto concerne l’arco cronologico e spaziale del Novecento», quando «la biblioteca personale» nascerebbe «anche in modo inaspettato e indipendente dall’autore e, soprattutto, si palesa con quello che egli ha letto e ha deciso di leggere, non sottostando all’usuale canone di autorità tipico del Cinque-Ottocento».10 Tale antinomia cessa nel momento in cui si prende coscienza che la biblioteca personale di uno scrittore e la sua biblioteca d’autore non coincidono: e questo è vero per il XX secolo, come per i secoli precedenti. Il problema risiede nella sua individuazione, la difficoltà nel fatto che essa può anche non essere sovrapponibile alla biblioteca personale, sia per le circostanze e la forma nelle quali ci è giunta, intimamente legate alla sua storia, sia perché essa comprende libri letti e posseduti, ma anche libri letti, che però lo scrittore non ha mai posseduto. Allo studioso, dunque, sta il compito di identificarla, e circoscriverla, allargando ove sia pertinente la prospettiva anche all’uso delle biblioteche pubbliche (sondando i cataloghi dei prestiti o, quando possibile, delle opere consultate), ma anche alle biblioteche private di amici e protettori, senza scordare carteggi, diari, appunti e note di lavoro: insomma, né biblioteca reale, né virtuale, né ideale, ma «collezione bibliografica» che lo scrittore definisce, e che ne «determina il percorso Tomasi 2020: 39. Serrai 2008: 27. 9 Ma, più correttamente, Manfron 2004 parla di «biblioteche degli scrittori». 10 Caproni 2003: 39. 7 8 258 Postfazione letterario e creativo»,11 a volte anche a posteriori. Un libro, un’opera letti vanno dunque studiati sempre come parte della biblioteca dello scrittore, ma anche soppesati in quanto parte, o meno, della sua biblioteca d’autore. Nella biblioteca di uno scrittore i testi scientifici rappresentano una sfida supplementare per lo studioso, poiché si tratta di capire se essi fanno parte o meno della sua biblioteca d’autore, se sono solo libri «ricevuti», «subiti», o «solo letti», che «con il culturale e il bibliografico in quanto prodotto o selezionato da un ‘autore’ non c’entrano molto»12. In prima battuta si tratta di capire se la loro presenza nella biblioteca di uno scrittore non sia altro che il riflesso di un preciso contesto culturale, di una «moda», o se risponda a una precisa volontà di appropriazione; poi, occorre valutare attentamente se uno o più testi scientifici siano anche parte della biblioteca d’autore, quale significato debba essere attribuito alla loro presenza, quale immagine autoriale ci stiano trasmettendo e contribuiscano a definire, sia rispetto alla genesi della sua opera, sia rispetto al contesto in cui egli ha operato. Un libro, un’opera letta va dunque studiata sempre come parte della biblioteca dello scrittore, ne va verificato il rapporto eventuale con la genesi di una o più opere, in quanto consente di esplorare quella zona in cui la fluidità della sua scrittura in fieri si misura con l’immutabilità di quella altrui, ma poi va soppesata in quanto parte, o meno, della sua biblioteca d’autore, ne va ponderato il valore simbolico, e vagliata la proposta di un canone che ogni «biblioteca di autore» contiene. Il caso della prima biblioteca di Alfieri è significativo (ma altri casi si potrebbero evocare: penso a quello di Leopardi, che non possedette mai una biblioteca personale, ma la cui biblioteca d’autore può essere delimitata), e facilmente misurabile grazie all’esistenza di quel vero e proprio registro della sua biblioteca d’autore che è il cosiddetto catalogo Viviani, selezionatissimo inventario domestico che Alfieri fa compilare a Roma nel 1783, aggiornandolo negli anni successivi secondo precisi criteri che circoscrivono accuratamente i libri della biblioteca registrati: la presenza di testi scientifici nella biblioteca dello «scrittore» Alfieri è massiccia ed è in rapporto con la genesi di molte sue opere ma, alla luce della condanna delle scienze decretata nel trattato del Principe e delle lettere (1789) per la loro compromissione con il potere tirannico, quelle stesse opere non avrebbero mai potuto trovare posto nella sua «biblioteca d’autore», dove la loro presenza si fa rastrematissima. Opere scientifiche antiche, come la traduzione della Fisica o dei Meteorologica di Aristotele, e moderne, come le opere di Galileo, i Saggi di naturali esperienze del Magalotti, la Lettera intorno all’in11 12 Caproni 2015: 73-74. Sabba 2016: 427. Postfazione 259 venzione degli occhiali di Redi, o La tensione, e la pressione disputanti del Bartoli figurano quasi esclusivamente come testi esemplari di lingua, come altrettanti elementi di un canone affatto letterario. Anche opere di geometria e geografia come la Sfera di Sacrobosco, la Sfera di Proclo tradotta da Ignazio Danti, o l’Opera di Strabone e l’Euclide del Viviani, che pure figurano accanto a un «atlante con varie Carte Geografiche in foglio», a suggerire che vanno messe in rapporto con quella vera e propria passione per «quel balocco della sfera e delle carte» maturata da Alfieri negli anni dell’Accademia, e su cui si sofferma nel capitolo VI dell’Epoca seconda della Vita, sono in realtà rubricate anch’esse nella biblioteca dell’autore Alfieri in quanto testi di lingua: prova ne sia che molte opere di geografia, che pure figurano regolarmente tra i libri della sua biblioteca di scrittore, mancano all’appello nel catalogo della sua biblioteca d’autore. Non diverso lo statuto dei trattati medici, sospesi tra esemplarità linguistica e attestazione del racconto autobiografico, in cui è nota l’importanza che Alfieri attribuisce alle riflessioni fisiologiche e alla descrizione delle proprie malattie. Il racconto autobiografico crea intorno ai libri un tema di cui si avverte l’importanza simbolica come traccia essenziale dell’autore in divenire: anche laddove emerge un interesse specifico, la presenza, tra i libri della biblioteca d’autore alfieriana di opere scientifiche rientra nella sua coscienza viva che la biblioteca avrebbe contribuito a definire l’immagine di sé che voleva consegnare alla posterità, ovvero quella di autore italiano, per cui la definizione di un canone linguistico prevale. Nel caso di Alfieri, inoltre, la storia della sua biblioteca di scrittore subì il trauma della dispersione e della perdita quasi integrale, ma lo scrittore salvò e custodì sempre gelosamente il catalogo del Viviani, a testimoniare la sua volontà di lasciare una traccia concreta della sua biblioteca d’autore, anche quando essa non aveva più quasi o nessuna realtà concreta perché la sua funzione non era mai stata di inventariare la sua biblioteca di scrittore, ma di certificare l’immagine di sé che aveva deciso di lasciare ai posteri. Christian Del Vento Riferimenti bibliografici Caproni 2003 Attilio Mauro C., Le biblioteche degli scrittori del Novecento: la palude delle parole, «Bibliotheca», 2003, II (1), pp. 29-40 Caproni 2015 Attilio Mauro C., «Il teatro delle idee»: la biblioteca, in Anna Dolfi (a cura di), Biblioteche reali, biblioteche immaginarie. Tracce di libri, luoghi e letture, Firenze, Firenze University Press, 2015, pp. 69-76 Desideri – Calabri2009 Laura D., Maria Cecilia C., Che cos’è una biblioteca d’autore? versione online: <http:// www.aib.it/aib/cg/gbautd04> (17 febbraio 2016) Manfron 2004 Anna M., Le biblioteche degli scrittori, «Bollettino AIB», 2004, XLIV (3), pp. 345-358 Sabba 2016 Fiammetta S., Biblioteche e carte d’autore: tra questioni cruciali e modelli di studio e gestione, «AIB Studi», 2016, LVI (3), pp. 421-434 Serrai 2008 Alfredo S., Le biblioteche private quale paradigma bibliografico (La biblioteca di Aldo Manuzio il giovane), in Fiammetta Sabba (a cura di), Le biblioteche private come paradigma bibliografico (Atti del convegno internazionale Roma, Tempio di Adriano, 10-12 ottobre 2007), Roma, Bulzoni, 2008, pp. 19-28 Tomasi 2020 Franco T., Biblioteche d’autore, in Emilio Russo (a cura di), Il testo letterario, Roma, Carocci, 2020, pp. 37-51 Zagra 2007 Giuliana Z., Biblioteche d’autore, in Mauro Guerrini (diretta da), Biblioteconomia: guida classificata, Milano, Bibliografica, 2007, pp. 719-720 Zagra 2008 Giuliana Z., Biblioteche d’autore in biblioteca: dall’acquisizione alla valorizzazione, «Antologia Vieusseux», 2008, XIV (41/42), pp. 37-48