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Allegorizzare il romanzo: Meraugis de Portlesguez
Patrizia Serra
(Università di Cagliari)
Abstract
Raoul de Houdenc’s Meraugis de Portlesguez, probably composed in the early 13th century, is a parody of
motifs and stylistic elements typical of Arthurian romance. However, Raoul, who also wrote short
allegorical poems, does not limit the game of intertextual references interwoven in the romance to a
parodic mode, but he often recurs to allegorical figures and personifications ˗ such as the “vielle” of ll.
1418-1504 ˗ that provide not only the key to the interpretation of some very enigmatic episodes, but also
the cipher required to understand the meaning of the entire romance.
Key words – Meraugis de Portlesguez; Psychomachia; Anticlaudianus; allegory; courtly romance
Il Meraugis de Portlesguez di Raoul de Houdenc, probabilmente composto agli inizi del XIII secolo,
opera una ripresa parodica di motivi e stilemi tipici del romanzo arturiano. Tuttavia Raoul, autore anche
di brevi poemi allegorici, non limita alla dimensione parodica il gioco di richiami intertestuali che
intessono il romanzo, ma ricorre spesso all’utilizzo di figure allegoriche e personificazioni ˗ come la
“vielle” dei vv. 1418-1504 ˗ che sono in grado di fornire non solo la chiave interpretativa di alcuni episodi
assai enigmatici, ma anche la cifra necessaria per comprendere il significato dell’intero romanzo.
Parole chiave – Meraugis de Portlesguez; Psychomachia; Anticlaudianus; allegoria; romanzo cortese
La produzione romanzesca successiva a Chrétien de Troyes, e dunque il
cosiddetto “tardo romanzo cortese”, è stata oggetto, in tempi relativamente recenti, di
una nuova attenzione da parte della critica. Abbandonata la stereotipata interpretazione ˗
e svalutazione ˗ di tali romanzi come “testi epigonali”, costruiti sulla mera ripresa di
moduli preesistenti, l’indagine si è estesa all’ambiente di produzione e ricezione dei
singoli testi e soprattutto alle nuove modalità di scrittura poste in opera dagli autori.
Autori che, come ha ben posto in rilievo Francis Gingras1, non possono più essere
collocati in blocco ˗ almeno allo stato attuale della critica ˗ tra le fila della piccola
nobiltà, classe sociale che, secondo la tradizione di matrice socio-storica (Köhler),
1
Francis GINGRAS, “La triste figure des chevaliers dans un codex du XIIIe siècle (Chantilly, Condé 472)”,
«Revue des langues romanes», 110.1 (2006), pp. 77-93.
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avrebbe fornito la propria autorappresentazione e legittimazione attraverso le forme del
romanzo cortese. Secondo Gingras infatti, l’idea del romanzo quale genere al servizio
dell’ideale cavalleresco è sicuramente da rivedere, dato che non solo la maggior parte
dei romanzi arturiani in versi composti dopo il 1180 intacca l’immagine della cavalleria,
ma attraverso una certa tradizione, «à la fois romanesque et anti-romanesque, le roman
relève davantage de l’éternel débat entre le clerc et le chevalier que de l’alliance
difficile entre clergie et chevalerie»2. Dunque, se il romanzo arturiano in versi è al
servizio di un’ideologia, sembra che questa non coincida più con quella della piccola
nobiltà quanto piuttosto con quella dei chierici che si sono lasciati prendere dal gioco
della letteratura «en roman»3.
Il gioco letterario così portato avanti, spesso attraverso lo strumento della
parodia, non può essere pienamente compreso allora senza tener conto della formazione
culturale dei clercs, adusi all’utilizzo di procedimenti di stratificazione semantica, la cui
prima origine va ricondotta, come è noto, alla polisemia e alla valenza allegoricosimbolica dei testi religiosi. Proprio il modello di interpretazione della realtà che
domina il medioevo occidentale romanzo, basato sull’esegesi simbolica di matrice
cristiana, fornisce a questi autori il sostrato culturale e la strumentazione retorica
necessaria a dotare di significati ulteriori anche testi non collocabili in senso stretto fra
le scritture di matrice allegorico-didattica. Avviene così che una certa generazione di
romanzi, appunto i “tardi romanzi cortesi” siano in grado di vivificare e risignificare un
patrimonio tradizionale di immagini e motivi proprio attraverso l’utilizzo di
procedimenti allegorici che investono sia la dinamica della narrazione (si pensi alla
stessa queste, che è di per sé allegoria di un percorso esistenziale) sia singole figure che
sembrano comunque godere del medesimo status dei personaggi “reali”. Tali valenze
allegoriche non sono immediatamente percepibili per il lettore moderno, non più in
grado di ampliare la ricezione del testo nella direzione di una pluridiscorsività che
dovrebbe inglobare anche il particolare rapporto che l’autore instaura nei confronti della
tradizione culturale che è chiamato a rielaborare. Il significato del testo medioevale si
ricostituisce infatti mediante il variabile intreccio tra un universo ideale, figurativo e
2
3
GINGRAS, “La triste figure des chevaliers”, p. 79.
GINGRAS, “La triste figure des chevaliers”, p. 86.
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narrativo preesistente ˗ condiviso da autore e lettore coevo ˗ e nuova significazione che
ogni scarto e ogni spostamento da questa costellazione di “dati preesistenti” va a
determinare. Tale significato può essere colto individuando i precisi rapporti di analogia
che vengono istituiti dall’autore tra il proprio testo e le scritture preesistenti, ovvero
attraverso quella dialettica capace di combinare più codici in un testo solo, e dunque
capace di far dialogare, come avviene nel caso del Meraugis, le strutture e i modi del
romanzo arturiano con i percorsi e le strategie della scrittura allegorica.
Se è ben noto il fatto che Raoul de Houdenc appaia come un autore eclettico e
multiforme, in grado di oscillare fra rispetto della tradizione e assoluta originalità – a
volte anche nella ripresa, ironica e parodica, di motivi e stilemi già collaudati –
altrettanto noto è il fatto che Raoul sia uno dei primi autori che introducono nella
letteratura francese il gusto dell’allegoria, anticipando quello sviluppo del genere
avviatosi poi a partire dal Roman de la Rose. Egli è infatti autore di testi “palesemente
allegorici” quali il Roman des Eles4 – vero e proprio poema allegorico in cui la
simbologia delle ali e delle penne viene utilizzata per elencare le qualità del perfetto
cavaliere5 – e il più tardo Songe d’Enfer6, “allegoria profana” costruita sul
rovesciamento parodico delle tipiche visioni dell’aldilà, in cui vengono portati sulla
scena «des personnages, des villes, des fleuves, des mets allégoriques»7.
Risulta allora difficile pensare che nel Meraugis de Portlesguez, ascritto tout
court dalla critica alla tradizione del romanzo arturiano, Raoul de Houdenc, i cui testi
rivelano strettissimi rapporti con la contemporanea cultura clericale8, rinunci qui invece
4
Raoul de Hodenc, 'Le Roman des Eles', and the Anonymous: 'Ordene de Chevalerie': Two Early Old
French Didactic Poems, ed. Keith BUSBY, Amsterdam-Philadelphia, John Benjamins Publishing, 1983.
5
La virtù fondamentale è proesce, formata dall’unione di largesce e cortoisie, le due ali, a loro volta
composte da sette penne ciascuna, ne simboleggiano i vari elementi costitutivi.
6
The Songe d'Enfer of Raoul de Houdenc. An Edition Based on All the Extant Manuscripts, ed. Madelyn
TIMMEL MIHM, Tübingen, Niemeyer,1984.
7
Marc-René JUNG, Études sur le poème allégorique en France au Moyen âge, Berne, A. Francke S. A.,
1971, p. 255.
8
Già Anthime Fourrier nel 1964 aveva ampiamente documentato la tesi della stretta relazione di parentela
esistente tra Radulfus de Hosdenc, identificato appunto con Raoul de Houdenc, e il teologo parigino
Pierre le Chantre (Petrus Cantor Parisiensis), autore di numerosi scritti esegetici e di una raccolta di
sermoni destinati ai chierici composta intorno al 1191-1192, il Verbum Abbreviatum, che costituì una
probabile fonte diretta del Songe d’Enfer. Cfr. Anthime FOURRIER, “Raoul de Hodenc: est-ce lui?”, in
Jean RENSON (éd.), Mélanges de linguistique romane et de philologie médiévale offerts à
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del tutto all’utilizzo di procedimenti di stratificazione semantica, che innestino sul
significato letterale sia un evidente sovrasenso metaretorico, dato dalla riflessione sui
meccanismi costitutivi del testo, sia un ulteriore livello allegorico in grado, a mio
avviso, di fornire la cifra per la comprensione del significato dell’intero romanzo.
Composto nel primo terzo del XIII secolo, il Meraugis de Portlesguez è un
romanzo di oltre 5900 versi che si configura all’inizio come un vero e proprio jeu parti:
esso drammatizza infatti uno di quei dibattiti cortesi «assai graditi ai lettori-ascoltatori
tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo»9. La questione principale posta al centro
del dibattito è questa: “bisogna amare una donna per la sua bellezza o per le sue qualità
interiori?” È infatti proprio questa questione10 – riconducibile alla recente tradizione
trovadorica e ancora di più al De amore di Andrea Cappellano – che va a porre l’uno
contro l’altro due cavalieri prima amici, Méraugis e Gorvain, entrambi innamorati della
bella e, ovviamente, cortesissima Lidoine. Gorvain sostiene con arroganza la
preminenza assoluta della bellezza e il totale disinteresse nei confronti delle doti
interiori, mentre Méraugis sostiene la tesi opposta. Dopo che la stessa corte di Artù ha
dichiarato la propria incompetenza sulla materia da dibattere, interviene a dirimere la
questione la regina Ginevra con le sue damigelle riunite in una vera e propria “corte
d’amore” che aderisce alla tesi di Méraugis accordandogli la mano di Lidoine.
Dunque, il “problema” innescato dall’opposizione iniziale assume all’inizio la
forma di un débat di natura teorica – in cui le due tesi contrastanti sono veicolate dai
due personaggi principali, Méraugis e Gorvain – volto ad affermare, attraverso la
rappresentazione della disputatio11, la preminenza delle doti interiori sulla bellezza. Non
M. Maurice Delbouille, Gembloux, Duculot, 1964, t. 2, pp. 165-193.
Raoul de Houdenc, Meraugis de Portlesguez. Roman arthurien du XIIIe siècle, publié d'après le
manuscrit de la Bibliothèque du Vatican, éd. Michelle SZKILNIK, Paris, Champion, 2004, p. 11.
10
Cfr. Ronald M. SPENSLEY, “The theme of Meraugis de Portlesguez”, «French Studies», 27 (1973), pp.
129-133.
11
La prima parte del Meraugis è caratterizzata dal più topico dei jeux partis lirici: Méraugis dibatte con
Gorvain sul valore della donna di cui entrambi sono innamorati. Le due tesi sostenute dai contendenti
sono riconducibili ad analoghe posizioni presenti nel De amore di Andrea Cappellano, in cui si afferma,
così come nel Meraugis, la preminenza della morum probitas rispetto alla venustas formae. Cfr.
Gianfelice PERON, “Il dibattito sull’amore dopo Andrea Cappellano: Meraugis de Portlesguez e Galeran
de Bretagne”, «Cultura Neolatina», 40 (1980), pp. 103-121.
9
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sarebbe certo arbitrario inscrivere tale dibattito «dans la vogue des débats du clerc et du
chevalier»12, dato che le posizioni difese dai due protagonisti vanno a coincidere con le
due attitudini opposte dell’amore scaturito dalla mera apparenza o, piuttosto, dalle doti
morali, con l’evidente valenza etica attribuita alla seconda posizione e dunque alla
preminenza di courtoisie su beauté.
La questione incipitaria così posta viene discussa13 e risolta in un migliaio di
versi, e tuttavia il romanzo, anziché concludersi, presenta nuovi sviluppi dato che
l’autore rilancia la narrazione con l’intento di sottoporre a verifica il giudizio delle dame
e della regina che hanno accordato Lidoine a Méraugis. Nelle avventure successive
vedremo infatti il protagonista, certamente immaturo e ancora del tutto inadeguato al
suo ruolo di cavaliere e di “perfetto” amante cortese, coinvolto in una serie di
rocambolesche avventure, capace di scatenare eventi funesti con una serie di azioni del
tutto sconsiderate, e colpevole persino dell’oblio completo di Lidoine, la donna amata,
letteralmente “dimenticata” nella Città senza nome, al momento della fuga di Méraugis,
travestito con abiti femminili, in compagnia del ritrovato Galvano.
Comunque, dopo una complicata rete di episodi, il romanzo si conclude con la
conferma del giudizio positivo espresso all’inizio sul protagonista, che risulterà
vincitore nel combattimento finale con il suo rivale Gorvain: i due amici rinnoveranno
reciprocamente il patto d’amicizia che li lega e la fanciulla non sarà più contesa a
Méraugis. Questo finale, che sembrerebbe contrastare con il fatto che, nel corso del
romanzo, il protagonista ha dimostrato una totale incapacità di affrontare le situazioni
tipiche del romanzo arturiano, si giustifica grazie ad una progressiva maturazione di
Méraugis che rivela nuove capacità retoriche prima sconosciute14. Michelle Szkilnik
afferma in proposito che, all’inizio del romanzo, al protagonista maschile manca
soprattutto quella che si potrebbe definire “l’esperienza romanzesca” e che, nel romanzo
arturiano, Méraugis è un nuovo venuto che “non conosce le convenzioni letterarie”15. Il
12
GINGRAS, “La triste figure des chevaliers”, p. 92.
I temi cortesi che vengono affrontati «situano Raoul […] in una specifica tendenza alle sottigliezze
teoriche e alle antitesi scolastiche; all’interno quindi, in modo anche più deciso di altri autori, della
prospettiva che […] proietta il romanzo di avventure verso l’allegoria». PERON, “Il dibattito sull’amore
dopo Andrea Cappellano”, p. 121.
14
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, p. 21.
15
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, p. 15.
13
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gioco di Raoul de Houdenc consisterebbe dunque nell’immaginare delle situazioni
classiche nelle quali farà reagire il suo personaggio in maniera inattesa16 con l’intento di
sottolineare l’assurdità di certe convenzioni romanzesche17 e di proporre una riflessione
sui temi-chiave del romanzo arturiano, come il rapporto amore-prodezza, e per traslato,
quello fra mondo femminile e mondo maschile.
Norris Lacy, in una sua acuta analisi del romanzo18, ha appunto rilevato
l’assoluta predominanza del genere femminile nello svolgimento della prima parte della
narrazione: i personaggi femminili dominano infatti la maggior parte della storia ed
esercitano un’autorità assoluta: vietano ai cavalieri di misurarsi in battaglia, decidono
sulle questioni amorose e impongono le azioni da compiere ai cavalieri. Tuttavia, questa
apparente glorificazione delle donne mira in realtà ad una riaffermazione del potere
maschile. Infatti, proprio dopo aver mostrato un mondo dominato dai personaggi e
dall’influenza femminile19, con le conseguenze che questo comporta, Raoul propone
una conclusione convenzionale – volta a confermare la sovranità maschile – che viene
appunto resa valida dall’esplorazione del suo opposto, quella sovranità femminile20
“obliterata” dallo stesso svolgersi degli eventi narrativi.
Il senso di inadeguatezza che anche il lettore moderno prova di fronte ad un testo
certamente enigmatico come questo, pare riflettersi proprio nell’iniziale inadeguatezza
veicolata da Méraugis che, posto continuamente di fronte a segnali che non riesce a
decifrare, non fa che dichiarare la propria incapacità di comprendere le situazioni in cui
si trova, situazioni certamente topiche nelle quali le sue reazioni “non convenzionali”
16
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, p. 15.
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, p. 18.
18
Norris J. LACY, “Meraugis de Portlesguez: Narrative Voice and Female Presence”, in Jean-Claude
FAUCON, Alain LABBÉ et Danielle QUÉRUEL (éds.), Miscellanea Medievalia: Mélanges offerts à Philippe
Ménard, Paris, Champion, 1998, t. II, pp. 817-837.
19
A questo proposito, Lacy cita come emblematico il caso della corte d’amore presieduta da Ginevra in
relazione alla scelta tra Gorvain e Meraugis, corte dalla quale gli uomini sono esclusi: «That men are
excluded from the proceedings is significant; that the locus of this female “empowerment” is Arthur’s
court, the traditional capital of the masculine, chivalric world, is revolutionary». LACY, “Meraugis de
Portlesguez: Narrative Voice”, pp. 818-819.
20
«[…] the romance that opened with effusive praise of feminine beauty and goodness closes with the
glorification of masculine virtue and friendship. In a few thousand lines, we have gone from a literary
universe in which women wielded absolute power to one from which they are virtually absent». LACY,
“Meraugis de Portlesguez: Narrative Voice”, p. 825.
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suscitano la riprovazione delle dame. Il protagonista di questo romanzo risulta infatti del
tutto “fuori sintonia” rispetto agli accadimenti della narrazione: egli non capisce,
sbaglia, compie errori e causa eventi negativi, professando continuamente la propria
incapacità di interpretare correttamente i segnali presenti nel testo e di cogliere la
senefiance degli eventi che gli accadono21. Tuttavia, nel corso del romanzo, compaiono
sulla scena personaggi o elementi simbolici che sembrano attraversare lo spazio
narrativo unicamente per fornire dei segnali al protagonista ˗ ma anche al lettore ˗ che
compie varie e, apparentemente, disarticolate, “questes” dai differenti obiettivi (parte
infatti alla ricerca di Gauvain, dell’Outredouté, della Città senza nome, di Lidoine), è
coinvolto in una serie di avventure di cui palesemente non comprende il significato, ma
che alla fine risulta “vincitore” ottenendo la donna amata.
Già Keith Busby ha affermato che il Meraugis può essere compreso tenendo
conto del fatto che Raoul de Houdenc è autore di componimenti allegorici : «[…] the
key to understanding Meraugis de Portlesguez (and arguably La vengeance Raguidel if
it is by him) surely lies in his own activity as an author of short allegorical poems and
dits»22. Anche a mio avviso, solo un’interpretazione che dia conto del raffinato ricorso
al procedimento allegorico, inteso, secondo Jung, in senso sia statico che dinamico23 –
dunque inteso sia come utilizzo di figure allegoriche e personificazioni, sia come senso
allegorico che scaturisce dalla dinamica narrativa – può appunto fornire non solo la
chiave interpretativa di alcuni episodi assai enigmatici ma anche la cifra necessaria a
comprendere il significato dell’intero romanzo.
Tra le sezioni di più difficile interpretazione, figura certamente l’“episodio dello
scudo abbattuto”, immediatamente successivo alla partenza dalla corte arturiana di
Méraugis e Lidoine, impegnati nella queste di Gauvain. Mentre il protagonista e la sua
amata cavalcano su una via sconosciuta, sulle orme del nano che, con le sue accuse ad
21
Si veda Beate SCHMOLKE-HASSELMANN, The Evolution of Arhurian Romance. The Verse Tradition
from Chrétien to Froissart, New York, Cambridge University Press, 1998, p. 152.
22
Keith BUSBY, “Hunbaut and the Art of Medieval French Romance”, in Keith BUSBY, Norris J. LACY
(eds.), Conjuctures: Medieval Studies in Honor of Douglas Kelly, Amsterdam-Atlanta, Rodopi, 1994, pp.
49-68, p. 50.
23
Marc-René JUNG, Études sur le poème allégorique en France au moyen âge, Berne, A. Francke S. A.,
1971, p. 20.
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Artù24, aveva innescato la queste Dou mellor chevalier dou mont (v. 1263), i due
incontrano di nuovo, in una gelida mattina invernale, il nain camus mentre quasi
sprofonda nella neve25. Il nano si lamenta di un’offesa appena subita, la sottrazione del
proprio cavallo, e chiede a Méraugis che lo aiuti a recuperarlo, contendendolo ad una
strana “vecchia” dalla quale è stato appena assalito senza motivo:
«Qui est qui t’a deschevauchié?
-Qui? fet li nains. Franz, plains d’onor,
Car change honte por honor.
-Par foi, ce dit li chevaliers,
Gel chanjasse mout volentiers
Mes ge n’en ai de honte point.
-Non ci, mes el te vient a point
Mout grant e a tel chose monte
Que chevalier i avront honte
Quant il orront parler de toi,
Se tu n’en iez sauvez par moi.
Ja n’i faudras mes orendroit!
Por la honte qui t’avendroit,
Te donrai ge autant d’onor26
Se tu me rens mon chaceor.
- Dont l’avras tu. Di moi qui l’a.
- Qui? Cele vielle qui est la
A l’entree de cele lande
Le m’a tolu.» […]
(Meraugis, vv. 1402-1420)
L’anziana amazone, subito raggiunta da Méraugis, lo percuoterà in pieno viso (dopo
avere già percosso con le briglie il nano) e domanderà, in cambio del cavallo rubato, che
il cavaliere abbatta uno scudo appeso all’esterno di un padiglione.
Assai interessante risulta la descrizione di questa figura femminile, certamente
dotata di un’innegabile arroganza, ma di cui si mette in luce soprattutto l’altera bellezza,
ancora evidente nonostante l’età avanzata:
E li chevaliers erroment
Hurte, si va poignant aprés
24
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, vv. 1244-1375.
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, vv. 1382 e ssgg.
26
«The relationship between honte and honor, involving both the desire for honour and the fear of
disgrace, is thematic in the first part of the work and determines all the hero’s actions». SCHMOLKEHASSELMANN, The Evolution of Arhurian Romance, p. 151.
25
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La vielle qui mout fu guernue
E granz e hisdeuse e ossue.
Mes de si grant aïr estoit,
Quant toz li monz gele de froit,
E el chevauche desfublee!
E fu de tel robe atornee
Com se il fust el tenz d’esté.
Q’en diroie? Bele ot testé
E mout se tint noblete e cointe.
Se viellece ne l’eüst pointe,
Ce fust la plus cointe a devise.
Desloiee fu par cointise,
S’ot un cercle d’or en son chief.
Mes itant i ot de meschief
Au cercle metre que li crin
Estoient blanc de regaïn
Mes de ses jors biau se portot.
(Meraugis, vv. 1430-1448).
L’edizione di Michelle Szkilnik, basata sul ms. Vaticano (V), sembra fornire
un’immagine poco lusinghiera della vecchia, qui definita hisdeuse (v. 1433) in aperto
contrasto con i tratti che ne connotano invece l’altera eleganza:
Affublée d’une véritable crinière, elle était grande, horrible, osseuse. Mais quel fier
tempérament: alors que tout le monde était transi à cause du froid, elle chevauchait
sans manteau et en tenue d’été! Que vous dire? Elle avait été belle et conservait un
maintien noble et élégant. Si la vieillesse l’avait épargnée, c’eût été certainement la
femme la plus distinguée. Par souci d’élégance, elle ne portait pas de voile mais un
diadème d’or sur la tête. Malheureusement, sous le diadème les cheveux étaient
blancs à la racine. Mais elle portait bien ses années27.
I versi dedicati alla descrizione della vieille (vv. 1432-1448) presentano tuttavia
una serie di problemi di edizione e di interpretazione, a causa delle molteplici varianti
attestate dai manoscritti28 soprattutto per i vv. 1432-1433.
27
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, pp. 163-165.
Il Meraugis ci è stato tramandato da cinque manoscritti; tre ne riportano il testo completo (V: Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, Reginensi latini 1725, f. 98vb-130vb; W: Wien, Österreichische
Nationalbibliothek, 2599, f. 1ra-38vb; T: Torino, Biblioteca nazionale universitaria, L. IV. 33, f. 82ra119rb), mentre due ne tramandano dei frammenti (B: Berlin, Staatsbibliothek und Preussischer
Kulturbesitz, Gall. Qu. 48, f. 144ra-154vb; M: Paris, Bibliothèque nationale de France, nouvelles
acquisitions françaises 5386, f. 24-25, prima custodito negli Archives Départementales du Var a
Draguignan). Il manoscritto V, che contiene anche Le Chevalier de la Charrete, Le Chevalier au Lion e
Guillaume de Dole, risale alla fine del XIII-inizio del XIV secolo ed è stato composto nel nord della
Francia; il manoscritto W, che invece contiene soltanto il Meraugis, è ugualmente databile alla fine del
XIII-inizio del XIV secolo e presenta un ricco corredo di miniature; il manoscritto miscellaneo T,
28
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La lezione tràdita da V:
La vielle qui mout fu guernue
Et granz et hisdeuse et ossue
diverge infatti sia dalla lezione di W:
La vielle qui mout fu chenue
Et grant et hardie et ossue
sia da quella di T:
La vielle qui mout fu cornue
Et grant et corsue et ossue
Uno studio minuzioso su tali varianti è stato già condotto da May Plouzeau29 che scarta
alcune lezioni attribuibili ai copisti e determina, in base a criteri rigorosamente
linguistici, le varianti risalenti all’originale. La diffrazione guernue / chenue / cornue,
presente al v. 1432 , viene risolta da Plouzeau in favore della ‘lectio difficilior’ guernue,
che è una variante ˗ con metatesi - di crenue (p. 397), che significa “dotata di lunghi
capelli, con una folta chioma”. Il termine crenu è appunto una parola corrente all’epoca
della composizione del Meraugis, assieme alle varianti kernu, guernu, grenu: in Erec
compare crenu (v. 1415, ed. Foerster30) e nel ms. Chantilly, piccardo, compare gernu31.
Dunque, riguardo alle altre varianti: chenue sarebbe cattiva lettura (indotta anche dal
collocabile tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, è stato gravemente danneggiato durante l’incendio
della Biblioteca di Torino nel 1904 ed è quindi di assai difficile lettura. Riguardo alle attestazioni
frammentarie del Meraugis, il manoscritto B, risalente alla fine del XIII secolo, ci tramanda due ampi
frammenti del romanzo (f. 144a-154d) corrispondenti ai vv. 2488-3741 e ai vv. 5485-5897 dell’ed.
Szkilnik, mentre M ha conservato, in quella che fu la rilegatura di un libro contabile, quattro frammenti
inferiori di pagina, della lunghezza di quattordici o quindici versi ciascuno, relativi al racconto di Laquis
sui voti pronunciati dai cavalieri alla corte del re di Cabrahan. Cfr. Meraugis de Portlesguez, éd.
SZKILNIK, pp. 44-47.
29
May PLOUZEAU, “Une vieille bien singulière (Meraugis 1463-1478)”, in Vieillesse et vieillissement au
Moyen Âge, «Senefiance», 19 (1987), pp. 391-411.
30
Christian von Troyes, Erec und Enide, ed. Wendelin FOERSTER, Halle, Max Niemeyer,1890, p. 53.
31
Cfr. PLOUZEAU, “Une vieille bien singulière”, pp. 398-399: la stragrande maggioranza delle forme del
termine con metatesi provengono da manoscritti piccardizzanti così come la maggior parte delle forme
con iniziale sonora (g-). Dato che la lingua del Meraugis presenta qualche piccardismo, si può
ragionevolmente ascrivere la forma guernue a questo uso “moderato” di piccardismi da parte dello scriba
di V.
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contesto, ovvero dalla descrizione di una vecchia) da parte del copista di W
dell’originario crenue, così come la seconda variante cornue (T) sarebbe cattiva lettura
di un modello piccardizzante che riportava cernue. Quest’ultima variante (cornue),
interpretabile come un riferimento ad una diffusa acconciatura femminile a due punte,
sarebbe infatti termine anacronistico nel Meraugis data la diffusione di tale moda nel
secolo successivo alla composizione del nostro romanzo. Dunque, secondo Plouzeau, la
vecchia non sarebbe certo “canuta”, ma piuttosto “dotata di una folta chioma”, come
risulta anche dalla lezione di V riportata nell’edizione Szkilnik.
Tuttavia, a mio avviso, tra le varianti tràdite da V pare sicuramente da escludere,
al v. 1433, il già citato hisdeuse (‘laida, disgustosa, deforme’) che contrasta nettamente
con la restante descrizione della donna, dotata di grande dignità ed eleganza nonostante
l’età avanzata. Poco plausibile anche la variante di T, corsue (‘forte, robusta,
corpulenta’), in palese contrasto con ossue, tràdito da tutti i manoscritti, e che inoltre è
foneticamente simile al cornue del verso precedente, di cui pare una sorta di ripetizionevariazione. Più plausibile dunque hardie di W, perfettamente coerente con gli altri tratti
descrittivi qui forniti.
Secondo M. Szkilnik32, come già rilevato dalla critica precedente, la vecchia
arrogante che spinge Méraugis a gettare per terra lo scudo ha un suo corrispettivo in
un’analoga figura femminile che compare nel Lancelot en prose33. Infatti, nell’episodio
di Yvain e del gigante Maduit, di cui Raoul fornisce nel Meraugis una vera e propria
“riscrittura”, compare una vecchia, brutta e laida, che trascina un nano per i capelli34 e
chiede, in cambio della sua liberazione, che Yvain, protagonista di quell’episodio nel
Lancelot, le dia un bacio. Data l’esitazione del cavaliere, la vecchia muta l’oggetto della
richiesta e induce Yvain ad abbattere uno scudo appeso presso dei padiglioni,
provocando così la disperazione di dodici damigelle. Più tardi, grazie alle spiegazioni di
un eremita, Yvain saprà che lo scudo abbattuto appartiene al gigante Mauduit,
prigioniero nel castello di Tertre a causa di un giuramento amoroso che lo costringe a
32
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, p. 17 e p. 165.
Lancelot, éd. Alexandre MICHA, Genève, Droz, 1979, t. 4, LXXX, 10-15, pp. 243-247.
34
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, p. 165, n. 50.
33
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non uscire dal castello, se non per vendicare la sua onta. Mauduit, al fine di liberarsi
dalla promessa e dalla prigionia, aveva fatto appendere il suo scudo ad un albero, nella
speranza che qualche cavaliere di passaggio lo colpisse: solo in tal modo sarebbe potuto
finalmente uscire dal castello per vendicare l’offesa subita35. Un preciso riferimento
intertestuale a questo episodio è, tra l’altro, presente nel nostro testo: una frase
pronunciata da Méraugis lascia infatti chiaramente intendere che il personaggio
“conosca” la disavventura di Yvain con il gigante narrata nel Lancelot en prose:
Ge ne demant se guerre non
Comment que li gaainz ait non
(Meraugis, vv. 1624-1625)
«Io non domando che la battaglia,
Qualunque sia il nome del gigante»
L’Outredouté, al quale appartiene lo scudo nel Meraugis, è infatti un uomo, non un
‘gigante’36, mentre qui Raoul/Méraugis si riferisce volutamente al “già noto” gigante
Mauduit37 del Lancelot per richiamare alla memoria dei fruitori l’episodio “parallelo”
della compilazione in prosa.
Esistono dunque vari elementi che fanno ritenere la composizione del Meraugis
successiva a quella del Lancelot en prose – benché sia stata formulata anche la tesi
opposta38 − e le precise corrispondenze tra i due episodi appaiono certamente evidenti.
Sulla base di queste comprovate relazioni tra i due testi, secondo M. Szkilnik, «Le
portrait amusant de la vieille “Belle” dans Méraugis ne prend toute sa saveur qu’en
regard de la tentative (feinte) de séduction à laquelle se livre la vieille du Lancelot»39.
Dunque, la ben rimarcata vanità dell’amazone del Meraugis sarebbe un tratto connesso
35
Lancelot, éd. MICHA, t. 4, LXXX, 22-26, pp. 251-253.
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, p. 177, n. 54.
37
La relazione esistente tra i due episodi venne segnalata per la prima volta in Jessie Laidlay WESTON,
The Legend of Sir Lancelot du Lac, London, D. Nutt, 1901, p. 232, n. 1, che ne aveva dedotto l’anteriorità
del Lancelot sul Meraugis.
38
Si veda Gideon HUET “Le Lancelot en prose et Meraugis de Portlesguez”, «Romania», 41 (1912), pp.
518-540, a p. 540 : «Dans notre hypothèse, rien ne s’oppose à la supposition que l’auteur du Lancelot,
ayant emprunté l’idée générale de l’épisode de la vieille à Méraugis, l’a développé en empruntant un
détail supplémentaire à une autre source».
39
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, p. 165, n. 50.
36
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alla volontà di seduzione rivelata dall’analoga “vecchia” del Lancelot en prose.
Tuttavia, notevolissime sono nel Meraugis le differenze relative a tale figura,
chiaramente dotata, a mio avviso, di una precisa valenza allegorica che può ben essere
compresa non solo dagli attributi che concorrono alla descrizione del personaggio, ma
anche dal ruolo da essa qui rivestito in rapporto allo svolgersi della narrazione. Se infatti
nel Lancelot la vecchia è laida e procede ad un tentativo di seduzione che la rende
ancora più disgustosa agli occhi dei lettori, nel Meraugis è invece una figura dotata di
grande dignità che viene posta sulla scena con l’evidente intento di sottoporre il
protagonista ad una prova. La sua immagine è caratterizzata inoltre da una precisa serie
di tratti, che coincidono con quelli topicamente associati a definire l’ingresso sulla scena
di una personificazione. Strubel40 elenca infatti fra le modalità che concorrono
all’operazione metaforica che sta alla base della personificazione la descrizione fisica
isolata (che procede nel romanzo secondo il modello del ritratto), la descrizione
dell’abbigliamento e di oggetti funzionali ad essa tradizionalmente associati, la
costituzione di sistemi d’interrelazione (in questo caso l’opposizione nei confronti degli
altri agenti), il dialogo (qui nella forma codificata dell’altercatio) e infine i gesti e le
azioni che ne attestano il potere. Tutti questi elementi sono presenti nella
caratterizzazione di questa figura femminile di cui vengono posti in luce:
•l’ardore e il comportamento focoso (Quant toz li monz gele de froit, E el
chevauche desfublee! E fu de tel robe atornee Com se il fust el tenz d’esté. vv. 14351438);
•la bellezza e la nobiltà, assieme all’atteggiamento altero (Mes de si grant aïr
estoit, v. 1434; […] Bele ot testé E mout se tint noblete e cointe. Se viellece ne l’eüst
pointe, Ce fust la plus cointe a devise. vv. 1439-1442);
•i tratti dell’aspetto e dell’abbigliamento che concorrono alla potenza descrittiva
dell’immagine, come la folta chioma (La vielle qui mout fu guernue, v. 1432) e
l’assenza di velo (Desloiee fu par cointise, v. 1443) che Raoul attribuisce alla cointise,
giocando forse in tal modo a fornire, tra le righe, la chiave di lettura della
personificazione;
40
Armand STRUBEL, «Grant senefiance a»: allégorie et littérature au Moyen Âge, Paris, Champion,
2002, pp. 49-50.
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•l’ornamento regale del capo (S’ot un cercle d’or en son chief. v. 1444).
Permane poi il problema costituito da un gruppo di versi assai dibattuti:
Mes itant i ot de meschief41
Au cercle metre que li crin
Estoient blanc de regaïn
(Meraugis, vv. 1445-1447)
così interpretati da Szkilnik: «Malheureusement, sous le diadème les cheveux étaient
blancs à la racine»42. L’ipotesi relativa alla tintura dei capelli della vecchia43 non
risulterebbe infatti in contrasto con gli altri elementi che concorrono ad evidenziare la
vanità dell’amazone.
Differente l’interpretazione proposta da Plouzeau44 che afferma l’incongruità
della variante blanc (V) preferendole invece blonc (W)/ blont (T) a designare il colore
biondo della capigliatura.
Ancora, il termine regaïn, scartata la forma erronea regarin45, sarebbe una
designazione coloristica e non l’indicazione della “radice” dei capelli, in quanto forma
derivata dal termine gaïn che designa l’autunno e dunque riferita al colore biondo, e non
bianco, dei capelli. Il biondo “autunnale” dei capelli della vecchia sarebbe
implicitamente contrapposto al topico “biondo lucente come l’oro” che caratterizza le
descrizioni dei capelli delle giovani donne. Se appunto nella giovinezza capigliatura e
oro, secondo una topica diffusissima, rivaleggiano in splendore, ciò che costituisce il
meschief in questo ornamento – appunto il cerchio d’oro sulla testa – è il fatto che,
nonostante la vanità della vecchia, il biondo dei suoi capelli non venga esaltato dall’oro
della corona che piuttosto ne mette in rilievo il colore spento, autunnale, dovuto all’età
41
Si tratta di una citazione intertestuale tratta dal Conte du Graal : «Mais que tant de meschief i ot» (v.
5891). Cfr. Chrétien de Troyes, Le Roman de Perceval ou Le Conte du Graal, ed. Keith BUSBY,
Tübingen, Niemeyer, 1993, p. 249.
42
Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, p. 165.
43
«V. 1447, regaïn signifie la ‘repousse’, ici la repousse des cheveux. Blanc de regaïn laisse peut-être
entendre que la vieille élégante se teint les cheveux, mais qu’ils sont blancs à la racine». Meraugis de
Portlesguez, éd. SZKILNIK, p. 165, n. 49.
44
PLOUZEAU, “Une vieille bien singulière”, pp. 402-404.
45
La variante regarin, tràdita da W, viene scartata e attribuita alla negligenza del copista di W. Cfr.
PLOUZEAU, “Une vieille bien singulière”, p. 402.
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che avanza46.
Il problema posto da questi versi risiede evidentemente nell’interpretazione del
termine regaïn che, secondo un'altra lettura, indicherebbe invece un biondo scolorito,
«un blond fané comme le regain qu’on laisse sécher»47, ovvero un secondo fieno dal
colore più spento che ricresce su quello già tagliato. Proprio l’uso di questo termine,
raramente attestato48, potrebbe suggerire una differente interpretazione dei versi. Infatti,
è ben noto il fatto che Raoul de Houdenc disponga di un lessico estremamente ricco e
che certe parole siano da lui utilizzate in un senso che non si ritrova in nessun
vocabolario49. Proprio per questo, a mio avviso, si potrebbe ipotizzare per la voce
meschief un senso diverso da quello normalmente attestato: se è vero infatti che la rima
chief:meschief è topica, e che i manoscritti concordano su meschief (per cui nessun
dubbio esiste su tale lezione, attestata da tutti i codici) va rilevato però che esiste in
antico francese il sostantivo omofono meschier, attestato con un duplice significato: 1.
“ce qui supporte la mèche”; 2. “fabricant de mèches, et, en particulier, de cheveux,
marchand de cheveux”50. La moda di applicare ai propri capelli ciocche e trecce di
capelli finti è infatti assai diffusa nel Medioevo. La parola qui utilizzata potrebbe
dunque indicare, in una sorta di gioco paretimologico voluto da Raoul, la presenza sul
capo della vecchia di ciocche di capelli posticce (mèches, appunto), fissate al diadema,
che avrebbero un colore diverso dagli altri capelli, come appunto il “secondo fieno”
(regaïn) che nasce su quello già tagliato o – in base alla lettura concorrente – simile al
“biondo autunnale” a cui si riferisce Plouzeau.
Tale ipotesi non risulta certo infondata se si va a cogliere l’evidente l’analogia
tra questo personaggio e la figurazione allegorica della Superbia presente nella
46
PLOUZEAU, “Une vieille bien singulière”, p. 403.
Si veda la recensione di Gaston PARIS all’edizione critica del Meraugis curata da Mathias Friedwagner:
Raoul von Houdenc, Sämtliche Werke nach allen bekannten Handschriften herausgegeben von Dr.
Mathias Friedwagner. Erster Band: Meraugis von Portlesguez, altfranzösischer Abenteuerroman von
Raoul von Houdenc zum ersten Mal nach allen Handschriften herausgegeben von Dr Mathias
Friedwagner, Halle, Niemeyer, 1897, «Romania», 27 (1898), pp. 307-318, a p. 318
48
Adolf TOBLER, Erhard LOMMATZSCH, Altfranzösisches Wörterbuch , vol. 8, Wiesbaden, Steiner, 1971,
593, s. v. regaïn.
49
Cfr. Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, p. 71.
50
Frédéric GODEFROY, Dictionnaire de l’ancienne langue française et de tous ses dialectes du IXe au XVe
siècle, vol. 5, F. Vieweg, Paris, 1888, p. 272, s. v. meschier.
47
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Psychomachia di Prudenzio51, testo riconosciuto come la fonte di maggiore influenza
per le più tarde allegorie medioevali costruite sulla nozione centrale di conflitto
spirituale.
Se il testo prudenziano, come è noto, è organizzato mediante una semplice
struttura binaria e descrive una serie di combattimenti tra ben definiti, e chiaramente
designati, vizi e virtù, ogni personificazione è resa mediante una figura femminile, di
cui viene fornita una dettagliata descrizione, relativa sia all’abbigliamento che
all’acconciatura52.
Si veda allora il ritratto della Superbia:
Forte per effusas inflata Superbia turmas
effreni volitabat equo, quem pelle leonis
texerat et validos villis oneraverat armos,
quo se fulta iubis iactantius illa ferinis
inferret, tumido despectans agmina fastu.
Turritum tortis caput adcumularat in altum
crinibus, extructos augeret ut addita cirros
congeries celsumque apicem frons ardua ferret.
Carbasea ex umeris summo collecta coibat
palla sinu teretem nectens a pectore nodum;
a cervice fluens tenui velamine limbus
concipit infestas textis turgentibus auras.
Nec minus instabili sonipes feritate superbit
inpatiens madidis frenarier ora lupatis,
huc illuc frendens obvertit terga negata
libertate fugae pressisque tumescit habenis.
(Psychomachia, vv. 178-193)53
Proprio allora la Superbia, gonfia d’orgoglio, caracollava
tra le sparse schiere su di un focoso cavallo, che aveva ricoperto di
una spoglia
di leone e bardato nei fianchi robusti con fiocchi di pelo,
perché con questa belluina criniera avesse più prestanza;
e così guardava le schiere dall’alto di un fasto insolente.
aveva drizzato sulla propria testa una sorta di torre,
51
Cfr. James J. PAXSON, The Poetics of Personification, Cambridge, University Press, 1994, pp. 63-81.
«[…] he provides general descriptions of the warriors’ clothing and hair, but nothing on the order of the
iconographic elaboration that characterizes the figures who inhabit later medieval allegories». PAXSON,
The Poetics of Personification, p. 67.
53
Aurelio Prudenzio Clemente, Psychomachia. La lotta dei vizi e delle virtù, ed. Bruno BASILE, Roma,
Carocci, 2007, pp. 56-58. Il testo commentato e tradotto da Basile segue la lezione stabilita in Aurelii
Prudentii Clementis carmina, ed. Maurice P. CUNNINGHAM, Corpus Christianorum, Series Latina
CXXVI, Brepols, Turnhout, 1966, pp. 151-181.
52
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aggiungendo ai propri capelli dei crini posticci arricciati,
perché la massa sollevasse i boccoli e l’altera fronte fosse sormontata
da un apice.
Un manto fine di lino discendeva dalla spalla, bloccato
sulla sommità del petto, formando un nodo lungo, rotondo e liscio,
un lembo di stoffa come velo leggero fluisce dal capo
e il tessuto si gonfia al soffio avverso della brezza.
Non vi è meno orgoglio nel suo destriero che nella sua selvaggia
fierezza
fatica a restar fermo, e imbianca di schiuma il morso che gli frena la
bocca.54
Va precisato subito che, come afferma Lavarenne55 nella sua edizione della
Psychomachia del 1948, «Le sens exact de Superbia est “l’orgueil”» e la scelta di
tradurlo in francese con “Vanité” è legata al fatto che tutti i personaggi della
Psychomachia sono femminili, così come i dettagli del loro abbigliamento56. Dunque,
Superbia, gonfia d’orgoglio (essa stessa è “orgoglio”!), è abbigliata con abiti leggeri e
cavalca qui un cavallo focoso ricoperto con una pelle di leone «perché con questa
belluina criniera avesse più prestanza»57: l’immagine del leone, con le sue ben note
valenze simboliche, ritorna dunque mediante la «criniera» della vecchia del Meraugis
(vv. 183 e ssgg.), così come non dissimile risulta la decorazione del capo femminile nel
già citato testo prudenziano:
Turritum tortis caput adcumularat in altum
Crinibus, exstructo sauger et ut addita cirros
Congeries, celsum que apicem frons ardua ferret.
(Psychomachia, vv. 183-185)
Se infatti Superbia «Aveva drizzato sulla propria testa una sorta di torre, aggiungendo ai
propri capelli dei crini posticci arricciati, perché la massa sollevasse i boccoli e l’altera
fronte fosse sormontata da un apice»58, le “ciocche posticce” che caratterizzano la
54
Prudenzio, Psychomachia, ed. BASILE, p. 57.
Prudence, Psychomachie contre Symmaque, éd. Maurice LAVARENNE, Paris, Les Belles Lettres, 1963
(19481).
56
«Nous traduisons par Vanité, pour garder la même genre qu’en latin: tous les personnages de la
Psychomachie sont féminins; les détails de toilette sont adaptés à ce sexe, et le traducteur est obligé de
respecter la convention». Prudence, Psychomachie, éd. LAVARENNE, p. 57, n. 1.
57
Prudenzio, Psychomachia, ed. BASILE, v. 181, p. 57.
58
Prudenzio, Psychomachia, ed. BASILE, p. 57.
55
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personificazione prudenziana della Superbia potrebbero coincidere con le mèches che
adornano il capo della viellie belle avvalorando così l’ipotesi interpretativa prima
formulata sull’acconciatura dell’amazone nel Meraugis.
Dunque, la valenza allegorica della “vecchia” presente nel Meraugis risulta ben
evidente non solo dal confronto con il testo prudenziano o con la tradizionale
iconografia della Superbia, i cui attributi coincidono con quelli della Vanità, ma
soprattutto dalla funzione che la sua figura riveste in questo punto preciso della
narrazione. Méraugis ha infatti intrapreso un iter di formazione che lo conduce qui su
una via sconosciuta, in un paesaggio invernale, sulle orme di un nano ˗ tradizionale
incarnazione del male ˗ a dover affrontare una nuova prova: la tentazione dell’orgoglio.
Infatti, proprio dietro richiesta della “vecchia altera”, personificazione dell’orgoglio,
Méraugis getterà a terra lo scudo sospeso ad una briglia all’esterno di un padiglione,
senza preoccuparsi di conoscere l’identità del cavaliere a cui appartiene, compiendo così
un atto sconsiderato di arroganza e imprudenza59.
In questo caso dunque, come già rilevato da Zink a proposito del Songe d’Enfer,
Raoul de Houdenc colloca personificazioni in mezzo a personaggi reali e assegna a tutti
questi personaggi lo stesso status all’interno della narrazione allegorica60. Tale
procedimento non si limita alla mera ripresa di una figurazione tradizionale da un testo
noto come la Psychomachia di Prudenzio, ma mira a sostanziare e risignificare
l’immagine attraverso un ampio ventaglio di riferimenti intertestuali: la figurazione non
giunge infatti in maniera “immediata” al testo di Raoul, ma piuttosto già filtrata dalla
rielaborazione che di essa ci fornisce la riscrittura medioevale del poemetto prudenziano
operata da Alain de Lille61 (1196-1202) nel nono libro dell’Anticlaudianus, poema
allegorico che ha come oggetto la formazione di un eroe ideale – Iuvenis – che si
59
L’abbattimento di uno scudo, effigiato con le insegne del cavaliere a cui apparteneva e appeso
all’esterno di un padiglione, costituiva un atto di sfida. Prima dei tornei infatti i cavalieri erigevano i
propri padiglioni di fronte al castello e appendevano ad una lancia lo scudo con il proprio stemma per
palesare in tal modo la propria identità.
60
Cfr. Michel ZINK, Margaret MINER, Kevin BROWNLEE, “The Allegorical Poem as Interior Memoir”,
«Yale French Studies», 70 (1986), pp. 100-126, p. 107.
61
Autore anche del De six alis cherubim dal quale Raoul desume l’allegoria delle ali che struttura il
Roman des Eles. Su questo argomento, si vedano Alexandre MICHA, “Une Source latine du Roman des
Ailes”, «Revue du Moyen Âge latin», 1 (1945), pp. 305-309 e Raoul de Hodenc, 'Le Roman des Eles', ed.
BUSBY, pp. 18-19.
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oppone vittoriosamente al declino delle virtù. Tra i nemici che l’eroe dovrà sconfiggere,
in una rinnovata psicomachia che oppone nuove personificazioni di vizi e virtù,
compare infatti una bellicosa figura femminile, Senectus, personificazione allegorica
della Vecchiaia, che sferra il proprio attacco contro Iuvenis cercando di sottrargli il
proprio cavallo:
Ergo propinqua neci, morti vicina propinque,
florida canicie, rugis sulcata Senectus
oppositum ruit in iuvenem, nec primitus instat
ense, nec aggreditur telo, nec cuspide pulsat,
sed quadam specie lucte conatur ut illum
in terram demittat, equm subducat et armis
exutum liber gladius grassetur in hostem.
(Anticlaudianus, vv. 156-162)62
Dunque, vicina alla morte, prossima a una fine imminente,
con folti capelli bianchi, Vecchiaia, solcata dalle rughe,
si getta contro Iuvenis che l’affronta, e non l’incalza
con la spada, non l’aggredisce con un dardo, non lo respinge con la
lancia,
ma tenta con una sorta di lotta di rovesciarlo a terra,
di portargli via il cavallo e, privato delle armi,
giocare di spada liberamente sul suo corpo nemico.63
Non solo la connotazione senile che, pur nella ripresa dell’episodio del Lancelot,
modifica l’originaria personificazione prudenziana, ma anche la menzione del freno
durante l’attacco sferrato dall’amazone, trova una precisa corrispondenza nel Meraugis:
Sistit equm, frenum retinens, sermon Senectam
aggrediens animosque truces et vota retardans,
(Anticlaudianus, vv. 195-196) 64
[Iuvenis] Ferma il cavallo – ne tira le briglie – aggredendo Vecchiaia
Con un discorso e, rintuzzandone i truci propositi e gli intenti,65
E la vielle qui tint le frain
S’arreste e fiert arriere main
62
Alain de Lille, Anticlaudianus, Liber nonus et ultimus, in Prudenzio, Psychomachia, ed. BASILE, pp.
132-134.
63
Alain de Lille, Anticlaudianus, in Prudenzio, Psychomachia, ed. BASILE, pp. 133-135.
64
Alain de Lille, Anticlaudianus, in Prudenzio, Psychomachia, ed. BASILE, p. 134.
65
Alain de Lille, Anticlaudianus, in Prudenzio, Psychomachia, ed. BASILE, p. 135, vv. 195-196.
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194
Le chevalier en mi le vis.
Li chevaliers au frain l’a pris,
Si sache, et la vielle le tint.
(Meraugis, vv. 1458-1460)
Non sfuggono certamente le differenze tra l’estremo tentativo di Vecchiaia, ormai
soccombente nell’Anticlaudianus, di ferire prima con la spada l’avversario e poi di
procurarsi la morte, e la reazione ben più prosaica della vecchia del Meraugis che sferra
un assai meno nobile “manrovescio” al viso del cavaliere (vv. 1459-1460) prima di
afferrare il freno del suo cavallo. Assai netti anche gli scarti esistenti tra i due epiloghi
dell’episodio − con la tragica resa di Vecchiaia, graziata della vita, nell’Anticlaudianus,
e il pronto “ricatto” della vecchia, tutt’altro che perdente, nel Meraugis – che appaiono
tuttavia uniti dal filo conduttore dello “scudo abbattuto”:
Ergo victa fugit belloque renunciat, ensem
deicit, expellit clipeum galeamque Senectus
exuit, et solo baculo contenta recedit.
(Anticlaudianus, vv. 204-206)66
Ecco allora Vecchiaia, vinta, fugge, rinunciando alla guerra, getta
la spada, fa cadere lo scudo e l’elmo
e si ritira, aiutandosi col solo bastone.67
Scudo abbattuto che si trasforma in Raoul, grazie alla ripresa dell’episodio dal Lancelot
en prose, in segnale non più di resa, come nell’Anticlaudianus, ma di rilancio
dell’azione mediante il riannodarsi del filo della narrazione alla trama di quel “già noto”
lancelotiano che è divenuto ormai un pretesto per orientare in una nuova direzione il
gioco delle significazioni.
Dunque, gli scarti presenti nel Meraugis rispetto ad un ipotesto che conduce
dalla palese citazione del Lancelot en prose ai più velati riferimenti alla Psychomachia
di Prudenzio e all’Anticlaudianus di Alain de Lille, sono evidentemente finalizzati a
dotare l’immagine della vecchia di un surplus semantico ben preciso mediante la
modifica dei più salienti tratti descrittivi che ne caratterizzano invece l’immagine nel
66
67
Alain de Lille, Anticlaudianus, in Prudenzio, Psychomachia, ed. BASILE, p. 136.
Alain de Lille, Anticlaudianus, in Prudenzio, Psychomachia, ed. BASILE, p. 137.
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Lancelot. E d’altro canto, l’immagine della “vecchia/giovane”, ovvero di una figura
femminile in cui l’età non ha offuscato l’ardore giovanile (corrispettivo femminile
dell’immagine del puer senex) conosce un’eccezionale frequenza nella tarda antichità68.
Sia la personificazione della Filosofia in Boezio (Consolatio Philosophiae Libro I, I),
piena di vigore giovanile nonostante l’età avanzata, sia quella di Senectus
nell’Anticlaudianus sono accomunate dal contrasto fra tratti descrittivi che rinviano sia
alla vecchiaia, sia alla giovinezza, secondo una topica assai diffusa nella letteratura
medievale69 e invece del tutto assente nel Lancelot en prose:
[Yvain] «voit une vielle sor .I. povre roncin qui traine encoste de lui .I. nain tout a
pié par les chevox que il ot granz, si le vait batant des poinz par mi les joes, et il
vait criant : « Aide ! Aide !» Et mes sire Yvain se haste de tost aler por secorre le
nain, si dist a la vielle, quant il l’a atainte: « Ha, dame, por Dieu, laissiez le nain,
que je vos pri que vos le laissiez. ˗ Se vos por moi, fait ele, voliez faire ce que je
vos requerroie, je feroie por vos ce que vos me requerriez de cest nain.» […] 11.
«Et ele le laisse maintenant, puis li dist qu’il oste son hiaume de sa teste et ele le
voit bel chevalier et bien fait de vis fors tant seulement que les mailles del haubert
li paroient el col. Et ele li dist: «Biaux sire, fait ele, je vos requier que vos façoiz ce
que vos dirai.» Et il dist que si fera il bien seurement. ˗ Or me baisiez, fait ele, une
foiz, si vos clamerai quite. » Et il la resgarde, si la vit laide et si froncie que nule
plus, si se targe de respondre, car trop est esbahiz de ce qu’ele li demande.»
(Lancelot, IV, LXXX, 10)70
Non pare allora di certo casuale che, nel trasparente richiamo intertestuale al Lancelot
da cui Raoul trae il canovaccio dell’episodio, l’amazone del Meraugis non cavalchi un
“povero ronzino” ma un cavallo focoso, non trascini rozzamente il nano per i capelli e
non faccia profferte amorose al protagonista dopo averne constatato la prestanza fisica.
Dunque la citata affermazione della Szkilnik, secondo la quale il ritratto «amusant»
della «vieillie “belle”» nel Meraugis non acquista tutto il suo significato se non in
rapporto al finto tentativo di seduzione71 al quale si abbandona la vecchia del Lancelot
68
Cfr. Ernst Robert CURTIUS, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern, A. Francke
Verlag, 1948, trad. it. di Anna Luzzatto, Mercurio Candela e Corrado Bologna, Letteratura europea e
Medio Evo latino, a cura di Roberto ANTONELLI, Firenze, La Nuova Italia, 1992, pp. 118.
69
CURTIUS, Letteratura europea e Medioevo latino, p. 119, n. 50.
70
Lancelot, éd. MICHA, t. IV, LXXX, 10, p. 243.
71
«‘Or vos dirai, fait ele, une autre chose que vos feroiz pour moi, car je voi bien que del baiser n’avez
vos mie trop grant talant. Mais veez vos cels pavillons la?’ Si li monstre .III. pavillons tanduz en une
lande et il dist qu’il les voit bien. ‘Se vos, fait ele, me voliez baillier .I. hiaume et une espee que je vos
monsterrai et abatre .I. escu qui pert [emenderei in pent, n. d. r.] desus .I. hiaume devant les pavillons, je
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en prose, non pare del tutto condivisibile: Raoul prende volutamente le distanze dalla
vielle laide del Lancelot e nel Meraugis la figurazione volge, non tanto verso la parodia,
quanto verso l’allegoria, realizzata mediante una sapiente commistione di tratti
descrittivi che mirano a saldare all’immagine patetica della Vecchiaia offerta da Alain
de Lille, una figurazione altera e orgogliosa di cui l’età senile non inficia di certo
l’originaria potenza.
Non solo dunque il personaggio della “vecchia laida” e l’episodio dello scudo,
ripresi dal Lancelot en prose si caricano di valenze semantiche ulteriori mediante la
sovrapposizione di un apparato semiotico che rinvia alle più comuni figurazioni della
Superbia-Vanità, ma in tal modo Raoul intende oggettivare, mediante il gioco dei
personaggi e delle situazioni, quel conflitto interiore dal quale scaturirà il movente
dell’imprudente azione qui compiuta da Méraugis.
Il nettissimo scarto che si rileva dunque tra i due episodi del Lancelot en prose e
del Meraugis, che pur rivelano i più serrati rapporti intertestuali, va interpretato alla luce
del procedimento già evidenziato da Zink: nel Meraugis il personaggio allegorico è al
contempo personaggio reale, ma svolge la funzione di dar corpo, come avviene appunto
nella psicomachia, ai conflitti psicologici e alle istanze della coscienza morale.
L’allegorizzazione del romanzo si situa così tra un ipotesto che fornisce qui il mero
“materiale narrativo”, il Lancelot en prose, e la sovrapposizione nel Meraugis di un
significato ulteriore che trascende l’apparente trasparenza del motivo “citato”.
Fondamentali variazioni investono infatti la riscrittura dell’episodio: nel
Lancelot, Yvain, su consiglio della vecchia, prende lo scudo di colui che ha sfidato e lo
sostituisce con il proprio, in modo da “dichiarare” la propria identità, esponendosi in tal
modo alla vendetta dell’offeso72, mentre la donna “trascina nel fango” l’elmo e la spada
del cavaliere a cui appartiene lo scudo73. Risulta dunque palese l’intenzione della
vos clamerai quite’. Et il dist que ce fera il volentiers, que qu’il an doie avenir». Lancelot, éd. MICHA, t.
IV, LXXX, 12, p. 245.
72
Cfr. «[…] et il li demande s’il est quites. ̶ ‘Nenil, fait ele, devant que vos aiez cel escu abatu.’ Si li
monstre et il point le cheval et fiert en l’escu si qu’il l’abat en .I. fontenil. ‘Or covient’, fait ele, ‘que vos
preingniez cel escu et laissiez le vostre, car autrement diroit cil cui cil escuz est que vos en seriez foïz’».
Lancelot, éd. MICHA, t. 4, LXXX, 13, p. 246.
73
«Et il prant l’escu qu’il ot abatu et met jus le suen, et la vielle prant le hiaume et l’espee et les neue en
une corde, puis les lie a la queue de son roncin si qu’ele traine le hiaume et l’espee par la boe et par mi
l’ordure». Lancelot, éd. MICHA, t. 4, LXXX, 13, p. 246.
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vecchia di recare volutamente un’offesa ad un cavaliere che ella ben conosce.
Nel Meraugis invece l’amazone compare sulla scena solo per determinare
l’azione del protagonista. Méraugis infatti abbatte lo scudo e provoca immediatamente,
analogamente a quanto avviene nel Lancelot74, la costernazione e il pianto delle
damigelle presenti all’interno del padiglione che ben ne conoscono il possessore, il
terribile Outredouté:
Lors s’eslesse e point d’escoellie,
L’escu abat e ou repaire
S’arreste e oï un doel fere
Si grant dedenz le pavellon
[…]
(Meraugis, vv. 1495-1498)
Ma proprio nel momento in cui Méraugis ritorna verso la tenda per domandare alle
damigelle la causa del loro dolore, compare sulla scena un’altra damigella che cavalca
un mulo e tiene una lancia nella mano:
Au tref qui fu en mi la lande
Retorne, que savoir voudra
Dont li dieuls est. Quant il vint la,
Si vit entrer si atornee
Une damoisele montee
Sor un mul: en sa main tenoit
Un glaive. Ens el tref avoit
.II. autres dames qui font doel
Si grant que par samblant lor voel
Morroient, onc mes ce n’avint
(Meraugis, vv. 1519-1528)
Sapremo più avanti che la damigella porta la lancia dell’Outredouté (vv. 1914-1930)
che l’ha affidata alla fanciulla nella speranza che qualcuno gliela strappasse, offrendogli
in tal modo il pretesto per vendicare il proprio onore.
Assai difficile non leggere una valenza metaforica anche in tale figura75, dato
che l’arrivo di questa enigmatica dama, che reca con sé la spada dell’Outredouté, pare
74
Cfr. Lancelot, éd. MICHA, t. 4, LXXX, 14, pp. 246-247.
Se non vi si voglia leggere una vera e propria personificazione dell’Umiltà che, come nella
Psychomachia di Prudenzio, è armata soltanto della spada che utilizzerà per decapitare Superbia.
75
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finalizzato a ricomporre ancora in modo diverso le tessere dell’ipotesto (Lancelot en
prose), proponendo per l’episodio una soluzione diversa (lo scudo inutilmente riappeso
al proprio posto) subito obliterata, per mostrarne poi la totale inadeguatezza.
Probabile incarnazione di un’istanza metaretorica − così come la damoisele à la
mule del romanzo La Mule sans frein76, che attraversa e abbandona la scena narrativa −
la damigella sul mulo del Meraugis introduce dunque una nuova possibilità di azione
per Méraugis, una sorta di “ritorno indietro” indotto dall’azione femminile (che si
concretizza nell’atto di riappendere lo scudo dopo il pianto di Lidoine e il manifesto
dolore delle altre dame), che si rivela però ormai inapplicabile, dato che l’atto di sfida
compiuto ha già scatenato in modo irreparabile una sorta di “reazione a catena”.
Dunque, l’ingresso sulla scena della dama sul mulo sembra svelare il funzionamento di
un ingranaggio narrativo che scatena ormai reazioni obbligate nel pubblico: alla sfida
cieca del cavaliere, dettata dall’orgoglio, può seguire soltanto il lamento delle dame, in
un rapporto di causa-effetto che ormai preclude qualunque altro esito narrativo.
L’inutilità del gesto di Méraugis, che tenta di riparare all’errore commesso in modo
altrettanto irriflessivo attraverso la mera “cancellazione” dell’azione compiuta, pare
sottolineata dalle parole sarcastiche della dama:
Lors prent l’escu, sel vet porter
Arriere la ou il pendoit.
E quant la pucele le voit
Qui fu montee sor le mul,
Si dit : « Or est plus asseür
Li escuz qui ert a la terre.
L’en ne vos doit de plus requerre.
Bien vos en estes aquitez. »77
(Meraugis, vv. 1545-1552)
Cil qui entent qu’il est gabez
Respont : « Hui mes n’en soi ge rien,
Mes ge cuidai fere mout bien.
- Mout bien ? Ja si avez vos fet. »
(Meraugis, vv. 1553-1556)
76
Cfr. La Mule sans frein, in Roland Carlyle JOHNSTON, Douglas David Roy OWEN, (eds.), Two Old
French Gauvain Romances, Edinburgh-London, Scottish Academic Press, 1972.
77
“ora lo scudo è più sicuro di quando era in terra. Ora non vi si può più richiedere nulla” (cfr. vv. 15491552).
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La conseguenza indotta sia da tale commento sia dal pianto persistente delle dame sarà
dunque la reiterazione dell’errore da parte di Méraugis che, mediante il secondo
abbattimento dello scudo, che sancisce la riaffermazione del più topico e “scontato”
svolgimento dell’episodio (offesa, vendetta che ne consegue), dimostrerà appunto
l’inevitabilità sia delle azioni “imposte” ai personaggi del romanzo, sia delle reazioni,
anch’esse ormai “obbligate”, del proprio pubblico.
Il tutto dinanzi allo sguardo “rassegnato” di un’istanza incarnata appunto dalla
dama sul mulo che, armata della spada dell’Outredouté, a significare ancora la cessione
temporanea del potere maschile alle donne, osserva dal di fuori l’agire sconsiderato del
cavaliere e il topico pianto corale delle damigelle.
Viene così portata sulla scena del Meraugis la dinamica psicologica che guida le
azioni del protagonista: l’Orgoglio/Superbia (la vecchia altèra) induce Méraugis ad
un’azione foriera di terribili conseguenze (come l’accecamento di Laquis, da lui
imprudentemente
inviato
presso
l’Outredouté),
imponendogli
il
codice
comportamentale di una cavalleria guidata unicamente dall’orgoglio e dalla vanità.
I limiti dell’azione compiuta appaiono evidenti: dal punto di vista del codice
cavalleresco, Méraugis risulta un codardo perché non ha sostituito il suo scudo a quello
del cavaliere sfidato, per permettere in tal modo la propria identificazione; dall’altro,
quello conforme ad un’etica che egli non ha ancora acquisito, il suo errore consiste nel
ritenere sufficiente “ritornare sui propri passi”, per annullare le conseguenze di
un’azione già compiuta e i cui esiti appaiono invece incontrovertibili. E, ancora una
volta, il movente e il vettore dell’azione è costituito dalla volontà femminile: dalla
“vecchia altera” che impone il gesto, alla dama sul mulo, armata dall’Outredouté, che
certamente andrà ad avvisarlo dell’offesa subìta provocandone l’ira78.
Proprio lo scudo gettato per terra, simbolo della superbia cavalleresca che detta
azioni irresponsabili, si configurerà qui come l’emblema di quel valore maschile
necessario a difendere le dame, ma anche, troppo spesso, responsabile della loro
sofferenza. Se le dame piangenti cacciano Méraugis, la dama sul mulo non sembra
invece minimamente turbata dal loro lamento, topico effetto, ma non di rado anche
78
Cfr. Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, vv. 1911-1930.
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unico movente, delle azioni sconsiderate dei cavalieri:
E celes qui sont ou tref jus
Plorant, criant, dient aprés
«Va t’en sanz revenir ja mes!»
E cele qui s’en vet amblant
Escoute, mes ne fet samblant
Que de lor doel a riens li soit
(Meraugis, vv. 1559-1564)
Alla fine infatti la damigella andrà via in silenzio (come nella Mule sans frein), la lancia
in pugno, senza dire una parola,
Lors fiert son mul, atant s’en vet
Sa lance el poig e ne dit plus.
(Meraugis, vv. 1557-1558)
mentre Méraugis si lascerà nuovamente travolgere dall’ira:
Li chevaliers de ce qu’il voit
S’esmervelle e ne set que dire
Fors tant qu’il dit par mout grant ire:
“Dex, tant m’en poise! […]
(Meraugis, vv. 1565-1568)
Illuminanti per la comprensione dell’episodio risultano allora alcuni versi del Roman
des Eles79, laddove si afferma l’insanabile contrasto tra cortoisie e orgueil:
-La seconde aprés la premiere,
Quel est ele? Est de tel maniere
Que chevaliers por sa biauté,
Por nul haut pris, ne por bonté
Qu'il ait, tant ne soit merveilleus,
Que por ce doie estre orguilleus;
79
Raoul de Hodenc, 'Le Roman des Eles', ed. BUSBY, p. 39, vv. 291-302. Sull’importanza del Roman des
Eles per l’interpretazione dei romanzi arturiani di Raoul e soprattutto del Meraugis, si veda Keith BUSBY,
“Le Roman des Eles as Guide to the sens of Meraugis de Portlesguez”, in Glyn S. BURGESS, Robert A.
TAYLOR (eds.), The spirit of the Court, (Actes du 4e congrès de l’International Courtly Literature Society,
Toronto, 1983), Cambridge, D.S. Brewer, 1985, pp. 79-89: «The justification for reading RE [Roman des
Eles] in conjunction with MP [Meraugis] comes first of all from a widespread and frequent use of
intertextuality, where the vocabulary, phrasing and imagery of one poem is reflected in the other. Once
this link established, it is only a short step to consider whether the actual messages of the two poems are
in any way related.» (p. 81).
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Quar je di, et prover le vueil,
Qu'entre cortoisie et orgueil
Ne porroient conjoindre ensamble.
-Por qoi? – Por ce que il me samble
Qu’en toz poins naist de cortoisie
Honor, et d’orgueil vilonie.
(Roman des Eles, vv. 291-302)
D’altra parte, il legame strettissimo tra vanità/orgoglio e villania, già incarnato dalla
vecchia amazone, era già stato anticipato nel Meraugis dalle parole di Lorete, nella sua
strenua difesa del vero amore che prescinde dalla bellezza fisica:
Biautez est ce qui naist o li:
Orgoil, orgoil qui siet sor li,
Que c’est uns nons de vilonie.
(Meraugis, vv. 973-975)
Dunque, l’assenza di cortesia nell’immaturo protagonista, ancora incapace di
interiorizzare un codice etico fondato sulla vera cortoisie, si manifesta mediante la
figurazione allegorica dell’Orgoglio/superbia/vanità – l’indomita “vecchia pecca” della
chevalerie – che risulta ancora l’unico movente delle azioni di Méraugis. Dall’orgoglio
che detta ogni gesto del cavaliere non può certo derivare quell’onore continuamente
ricercato, e spesso invano, da Méraugis80, ma soltanto la vilonie continuamente
deprecata dalle dame81.
Il “pubblico delle dame piangenti”, delle donne sempre scontente e pronte a
criticare il comportamento maschile, fornisce certamente un’immagine ironica di
quell’universo femminile che, all’inizio del Meraugis, tenta di imporre il proprio
controllo sul corso degli eventi. Quelle che, nella topica del romanzo, sono le spettatrici
ammirate della superbia e della vanagloria del cavaliere, rivelano invece qui il loro côté
più “protettivo”, ma anche più “irritante”, mediante il tentativo, continuamente frustrato,
di esercitare un efficace controllo sui comportamenti maschili82 più deteriori.
80
Cfr. Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, vv. 1403-1416; vv. 1508-1509.
«As already stated, it is clear from the outset that MP [Meraugis] is going to be concerned with the
discrepancy between ideal and reality […] and between cortoisie and vilanie». BUSBY, “Le Roman des
Eles as Guide to the sens”, p. 82.
82
Lacy rileva i continui interventi dei personaggi femminili per evitare i combattimenti tra i cavalieri, a
cominciare dalla mediazione di Lidoine per evitare che Méraugis e Gorvain si battano per lei, seguita
81
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Ma se il movente delle azioni del cavaliere diventa unicamente il desiderio di
compiacere il proprio “pubblico femminile” (dunque orgoglio-vanità), così come
Méraugis e gli altri cavalieri del romanzo tentano di fare continuamente, l’esito delle
proprie imprese sarà fallimentare. Méraugis seguirà infatti un percorso allegorico
connotato “in negativo”, che lo condurrà lungo la Via senza nome, verso la Città senza
nome83 (in cima ad una montagna, forse a simboleggiare la Gerusalemme celeste),
attraverso l’Isola senza nome – non-luoghi per eccellenza e dunque segnali di una
mancanza, di un’assenza da colmare, di un’incapacità di “trovare la strada" – ma alla
fine sarà in grado di combattere con l’altra metà di sé incarnata dall’Outredouté, il
padrone dello scudo abbattuto.
Anche Laquis, il cavaliere dapprima inconnu, di straordinaria bellezza e
prodezza (vv. 1668-1672) che, sconfitto da Méraugis, gli svelerà l’appartenenza dello
scudo all’Outredouté (vv. 1828-1831) sarà descritto con significativi tratti:
Li nostres chevaliers deça
Se merveille dont il veoit
Que cil ist dou gué qui n’avoit
Frain, ne sele ne esperon,
Ne ne tient verge ne baston
Fors l’escu e la lance a droit.
Mes de si grant beauté estoit
Que nul plus bel n’esteüst querre,
N’onques ne fu en nule terre
Nuls chevaliers veüz as iex
A cui armes seïssent miex
Q’a lui. […]
(Meraugis, vv. 1665-1676)
Privo (e qui la valenza metaforica è evidente) di freno, sella e speroni, non ha verga né
dalla rivendicazione del potere decisionale femminile mediante il giudizio sulla contesa espresso dalle
dame. Cfr. LACY, “Meraugis de Portlesguez: Narrative Voice”, p. 818.
83
Al v. 2780 viene menzionata la Città senza nome “che poi per Méraugis divenne la ‘città perduta’ dato
che egli la cercò con tutte le sue energie ma non la trovò”:
[…]
Ont la Cité sanz Non veüe,
Que puis fust la cité perdue
A oes son voel, car il la quist
Aprés e a grant fes se mist
De trover la, nel trova pas.
(Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, vv. 2780-2784)
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bastone, ma porta solo lancia e scudo84. Anch’esso personificazione dell’indomito
orgoglio e della passione sensuale (tradizionalmente rappresentata da un cavallo senza
sella, che va domato e legato) cavalca quotidianamente senza una meta per effetto di
un’incauta promessa dettata dal desiderio di superare i rivali nel compiacere le dame.
Riguardo alla verga e al bastone, di cui egli è privo, secondo le attestazioni dell’Antico
testamento, esse simboleggiano gli strumenti della disciplina e del castigo divino: «Il
bastone è segno dell’autorità di Dio, […] la sua funzione è simile a quella dello scettro
di un sovrano»85. Dunque, il cavaliere armato viene posto chiaramente al di fuori della
sfera metaforica connessa alla volontà divina: non certo un “inviato dal Cielo”, ma
piuttosto un cavaliere pavido86, dominato soltanto dall’istinto e dalla vanità. Sarà egli
stesso a spiegare a Méraugis il motivo del suo insensato vagare “senza briglia e senza
speroni”, in balìa del proprio cavallo87 laddove le briglie, nel caso di un cavallo in corsa,
rappresentano topicamente i freni e i comandi, e dunque il «frenum discretionis» che
deve disciplinare l’«equum desiderii»88. Il cavaliere che procede a caso, senza sapere “la
mattina dove arriverà la sera” (vv. 1791-1793), mosso solo dalla vanità e dal desiderio
di compiacere le dame è ancora una volta l’emblema di un mondo cavalleresco privo di
qualunque spessore etico. Non certo a caso, la punizione in seguito inflitta a Laquis
dall’Outredouté sarà proprio l’accecamento dell’occhio sinistro, notoriamente la pars
diaboli, affinché egli possa così ricordare la strada giusta, la “droite”, presso la quale
84
Lo stesso Méraugis chiederà la senefiance di questo strano “corredo” del cavaliere :
«Di moi avant que senefie
Que n’as frain ne esperons : […]»
(Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, vv. 1731-1732).
85
Anna ANGELINI, “Bastoni, scettri e rami nell’Antico Testamento”, «Acme, Annali della Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano», 63.3 (Settembre-Dicembre 2005), pp. 3-26, a p.
8. <http://www.ledonline.it/acme/allegati/Acme-05-III-01-Angelini.pdf>
86
Cfr. Alfred ADLER, “The Themes of the ‘Handsome Coward’ and of the ‘Handsome Unknown’ in
Meraugis de Portlesguez”, «Modern Philology», 44. 3 (1947), pp. 218-224, a p. 218-219.
87
Ad un torneo, durante il quale i cavalieri fanno a gara nel promettere alle dame che compiranno le
imprese più assurde e pericolose (vv. 1731-1793), Laquis, per superare gli altri contendenti, promette che
si lascerà guidare dal proprio cavallo senza imporgli alcuna direzione, finché non troverà un cavaliere più
forte di lui in grado di sconfiggerlo (Cfr. Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, vv. 1778-1789).
88
Si veda Duilio CAOCCI, “Narrativa monastica e scritture morali tra XII e XIII secolo”, in Duilio
CAOCCI, Rita FRESU, Patrizia SERRA, Lorenzo TANZINI, La parola utile. Saggi sul discorso morale nel
Medioevo, Roma, Carocci, pp. 105-159, p. 131. Sul valore metaforico del freno, mi permetto di rinviare a
Patrizia SERRA, “La Mule sans frein tra percorsi mitici e ricerca della verità”, in Duilio CAOCCI, Marina
GUGLIELMI (eds.), Idee di letteratura, Roma, Armando, 2010, pp. 82-107.
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sarà ora possibile trovare Méraugis89.
E appunto l’Outredouté, trasparente personificazione del male principale che
mina alle radici la cavalleria, andrà a incarnare gli effetti dell’orgoglio smisurato, latore
unicamente di sofferenze e di morte. Le parole di Laquis, venuto a conoscenza
dell’abbattimento dello scudo, chiariscono infatti immediatamente lo statuto di tale
personaggio:
Li deables est eschapez
Qui devant estoit en prison.
(Meraugis, vv. 1815-1816)
L’Outredouté, demonio dal rouge escu au noir serpent (v. 1908), è stato liberato da
Méraugis: il Male è nuovamente “scappato” dalla prigione in cui le istanze femminili
l’avevano rinchiuso90. Le dame poste a guardia del padiglione per evitare l’abbattimento
dello scudo non sono riuscite nemmeno questa volta ad evitare lo scatenamento della
violenza e il dolore che ne deriverà:
E quant l’Outredoutez vendra
Plus en sera c’onqes ne fu
Crueuls. E por ce ont eü
Les dames doel. - Por qoi le font?
- Sire, por ce quë eles sont
Franches, si heent le forfet.
Autant com cele qui s’en vet
Het bien, heent cestes outrage.
Ja por destorber cest domage
Ont conversé un an entire,
E cele I ert por atisier
89
Por ce qu’il veut que Laquis die
De Meraugis qu’il en a fet
Le fiert e dit : «Quel part s’en vet ?
Nome la voie ! - Sire, a destre.»
E il le prent devers senestre,
Si li fet un des oils voler,
E dit que c’est por assener
A la voie, qu’il ne l’oublit.
(Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, vv. 2093-2100)
90
Come ben esemplifica appunto la vicenda dell’Outredouté, narrata a Méraugis da Laquis (e analoga a
quella del gigante Mauduit nel Lancelot): l’uomo più crudele che sia mai esistito è stato sottomesso
dall’amore per una dama alla quale ha promesso di evitare ogni violenza, se non giustificata dalla
legittima difesa. Tuttavia, egli non tarderà a trovare il pretesto necessario per liberarsi dalla scomoda
‘prigionia’ imposta dalla dama. (Cfr. Meraugis de Portlesguez, éd. SZKILNIK, vv. 1828-1904).
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Le mal, que ja mes par son voel
Ne faudroit. E celes ont doel
Por ce que verront essillier
A la venue au chevalier
Le païs. Sa grant desreson
Metra avant e en prison
Reson. - Qui l’a desresonee?
- Fortune qui li a donee
La colee don tele est morte.
(Meraugis, vv. 1931-1950)
Solo Méraugis, e dunque il singolo individuo, potrà combattere il proprio “demone
interiore”, e sconfiggere quel male che il mondo femminile ha tentato invano di
arginare. A questo proposito, assai significativo si rivela l’episodio cruciale in cui
Méraugis dimentica Lidoine nella Città senza Nome, al momento – non a caso – di una
fuga (dalla propria identità), episodio che, secondo Lacy, ha dei risvolti interessanti
riguardo al rapporto tra i generi che viene portato sulla scena91: Méraugis
dimenticherebbe Lidoine proprio nel momento in cui egli stesso, per salvare Galvano,
“diventa una donna” mediante il travestimento. Poiché Galvano rimpiazza in quel
momento Lidoine come oggetto della queste, si realizza in tal modo «the textual transfer
of power from one sex to the other»92.
A mio avviso, l’episodio si presta ad un’ulteriore interpretazione: il “diventare
donna” mediante il travestimento che lo fa sfuggire dall’Isola Senza Nome segna il
massimo fallimento di Méraugis. Il suo metaforico “diventare donna”, ovvero, oltre la
lettera, “come lo vorrebbero le donne” e dunque, in un certo senso, “femminilizzato”,
ricostruito in base ad istanze che non gli appartengono, segna la perdita del proprio
ruolo maschile metaforizzata dalla dimenticanza (e dunque dalla perdita) di Lidoine.
Come dire, si perdoni la banalizzazione: «se “diventi donna”, se rinunci al tuo essere
maschile per rimodellarti sull’immagine che il mondo femminile vorrebbe cucirti
addosso, rischi di perdere te stesso e l’amore: devi sconfiggere da solo l’orgoglio che
rischia di distruggerti».
L’approdo alla maturità da parte del cavaliere non può dunque procedere
dall’assunzione di un habitus comportamentale costruito e imposto dal mondo
91
92
LACY, “Meraugis de Portlesguez: Narrative Voice”, p. 823.
LACY, “Meraugis de Portlesguez: Narrative Voice”, p. 823.
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femminile, e assunto appunto come un habitus (travestimento) necessario alla “fuga” da
sé stessi, ma piuttosto dalla capacità di interiorizzare un codice di comportamento,
scevro da orgoglio e vanità, personificati e materializzati, nel Meraugis, nelle loro
molteplici declinazioni. L’allegoria dinamica, e dunque veicolata dalla narrazione, che
investe il processo di formazione di Méraugis, trasforma la multiforme serie di
avventure del protagonista in un percorso paradigmatico volto a stigmatizzare il vero
movente delle azioni della cavalleria: orgoglio smisurato e vanità, resi da Raoul
mediante quello che Zumthor definisce “il linguaggio dell’allegoria”.
Dunque nel nostro romanzo l’allegoria funziona «comme une glose intégrée au
texte»93 in grado di stabilire una rete di relazioni tra la letteralità del testo, e dunque i
personaggi e le azioni del racconto, e un significato psicologico o morale che si
costituisce e si definisce, ogni volta con gradazioni diverse, attraverso la differente
combinazione tra gli elementi in gioco. Nel Méraugis la Personenallegorie (basata sulla
personificazione) si intreccia alla Geschehensallegorie (allegoria “evenemenziale”, che
deriva dall’interazione tra gli agenti)94: la personificazione dell’orgoglio che irrompe
sulla scena mediante l’amazone di matrice prudenziana si reduplica e risostanzia poi
mediante
l’inquietante
demone
interiore
dell’Outredouté,
anch’esso
pulsione
psicologica oggettivata e tuttavia, al contempo, personaggio “reale” che assomma in sé
gli effetti dell’orgoglio, e dunque tipo95 costruito sul paradigma particolare/generale e
più volte ancora declinato e moltiplicato nelle figure dei cavalieri “senza freno” come
Laquis o Gorvain.
Nel Meraugis si realizza dunque quella moltiplicazione delle relazioni di
analogia96, posta in rilievo da Strubel, propria della strategia allegorica, e qui abilmente
calata da Raoul nella dimensione romanzesca: la bipolarità statica che nei poemi
allegorici materializza i conflitti interiori viene ora superata attraverso la trasposizione
narrativa di una queste individuale e sociale, popolata da personaggi e istanze morali e
93
Paul ZUMTHOR, Essai de poétique médiévale, Paris, Éditions du Seuil, (19721) 2000, p. 157.
STRUBEL, «Grant senefiance a», p. 43.
95
STRUBEL, «Grant senefiance a», p. 48.
96
STRUBEL, «Grant senefiance a», p. 46: «l’allégorie tend à saturer la relation d’analogie, en la
démultipliant, en la perpétuant dans une série ridondante d’analogies secondaires».
94
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psicologiche “reali”97, in cui proprio l’autosufficienza della lettre è in grado di veicolare
la “glossa integrata” dell’allegoria, a sancire il nuovo legame tra romanzo arturiano e
scrittura allegorica.
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97
«[…] characters in MP [Meraugis] are living examples of the virtues and vices detailed in RE [Roman
des Eles]. In this respect at least, MP is an allegorical romance with people instead of personifications,
whilst from another point of view, RE is a codification of the courtly and knightly ethic which governs
the behaviour of the characters in MP». BUSBY, “Le Roman des Eles as Guide to the sens”, p. 89.
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