A SERVIZIO DEL VANGELO
IL CAMMINO STORICO DELL’EVANGELIZZAZIONE A BRESCIA
1. L’ETÀ ANTICA E MEDIEVALE
2
3
A servizio
del Vangelo
Il cammino storico
dell’evangelizzazione a Brescia
1. L’età antica e medievale
a cura di Giancarlo Andenna
EDITRICE LA SCUOLA
4
La pubblicazione del presente volume
è stata possibile grazie al contributo di:
Fotografie: Fotostudio Rapuzzi, Brescia
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Stampa Officine Grafiche «La Scuola», Brescia
ISBN 978 - 88 - 350 - 2466 - 8
INDICE - SOMMARIO
GIANCARLO ANDENNA, Introduzione ............................................................
9
NICOLANGELO D’ACUNTO, La pastorale nei secoli centrali del Medioevo.
Vescovi e canonici ..........................................................................................................
15
L’età carolingia, 17 - L’episcopato di Ramperto (824/26-844), 21 - Il
vescovo Notingo, 39 - Un “piano pastorale” per le Chiese della
provincia ecclesiastica milanese del secolo IX, 40 - Il vescovo Antonio
e l’inizio dell’episcopato particolaristico, 46 - Crisi postcarolingia? I
limiti di un paradigma storiografico, 50 - Vescovi bresciani nell’età del
particolarismo, 54 - Brescia e il sistema della Chiesa regia, 58 Landolfo II (1002-1030), 61 - La canonica della cattedrale: prime
tracce, 64 - I vescovi nell’età salica, 66 - Adelmanno scholasticus e
pastore, 67 - Brescia “filo-enriciana”, 70 - La rivoluzione di Gregorio
VII a Brescia: il vescovo Arimanno, 72 - La chiesa bresciana tra
municipalismo e centralizzazione romana, 79 - Il capitolo cattedrale, 88
GIANCARLO ANDENNA, L’episcopato di Brescia dagli ultimi anni del XII secolo
sino alla conquista veneta..........................................................................................
La Chiesa bresciana sino alla morte dei successori di Guala da Bergamo (metà
XIII secolo), 97
L’attività politica e pastorale di Giovanni III da Palazzo, 97 L’episcopato di Alberto da Reggio (1213-1227), 104 - La lotta contro gli
eretici e gli uomini politici dissidenti, 112 - La vacanza episcopale e
l’attività pastorale di Guala da Bergamo, 118 - La Chiesa di Brescia
durante la bufera delle guerre e dopo la vittoria su Federico II, 133 - Il
tormentato episcopato di Cavalcano de Salis, 137 - Gli ultimi contrasti per
le elezioni episcopali: la lotta tra il vescovo Martino e Uberto Fontana, 145
La Chiesa di Brescia durante l’età di Berardo Maggi (1275-1308), 149
L’elezione del nuovo presule, 149 - I primi anni di governo e lo
scontro con il potere sulla questione delle decime, 151 - Lo scontro
con gli Umiliati di Brescia, 155 - La ricostituzione del patrimonio
fondiario diocesano e lo sviluppo dei nuovi centri religiosi, 158 L’acquisizione del potere signorile sulla città, 165 - I rapporti con gli
antichi monasteri diocesani, 167 - L’atttività del Capitolo Maggiore e i
problemi di pastorale matrimoniale. La morte di Berardo, 170
97
6
GIANCARLO ANDENNA
La Chiesa Bresciana nell’età del papato avignonese, 174
L’episcopato di Federico Maggi e le tristi vicende dell’assedio di Brescia,
174 - I vescovi fedeli alla Sede Apostolica avignonese, 179 - La
sistemazione di vescovi anziani o l’utilizzo di Brescia come sede
provvisoria, 190 - I vescovi come meteore, 195 - I primi tentativi di
riorganizzazione della Chiesa con i vescovi legati al potere politico, 202
- Francesco Marerio: un vescovo conciliatorista inviso a Venezia, 206 Considerazioni finali, 209
GABRIELE ARCHETTI, Evangelium nuntiare. Chiese, impegno pastorale dei chierici e
forme di religiosità .....................................................................................................................
Edifici di culto e libertà religiosa, 212 - Filastrio, pastore missionario,
218 - Gaudenzio e la primitiva comunità cristiana, 223 - L’evangelizzazione tra sovrapposizioni e resistenze, 237 - La conquista delle
campagne, 242 - L’organizzazione ecclesiastica di base, 248 - Verso
l’ordinamento pievano: dai longobardi ai franchi, 253 - Pievi e impegno pastorale dei chierici, 260 - Per una “matricula plebium”, 270 Chiese, oratori e consuetudini religiose in età romanica, 277 - Verso
l’ordinamento parrocchiale tra interferenze e resistenze, 294 Architetture rurali e disciplinamento artistico, 304
GIANMARCO COSSANDI, Le strutture ecclesiastiche di base. Pievi e parrocchie della
montagna bresciana .....................................................................................................................
L’organizzazione del sistema pievano, 318 - Dalle pievi alle parrocchie: il rapporto dialettico tra unità e divisione, 326 - Nascita e sviluppo del nuovo ordinamento parrocchiale, 336
211
315
RENATA SALVARANI, Le pievi dell’area gardesana e della Valsabbia ...................
Dalla città alle campagne, 347 - Cristianesimo e “cristianesimi” fino
all’età carolingia, 348 - Vescovi e famiglie feudali, 353 - Azione
pastorale e strutturazione territoriale della diocesi, 357 - Vescovi e
pievi, 363 - I passaggi della lenta creazione del sistema plebanale, 363
343
GIANMARCO COSSANDI, Il monachesimo maschile a Brescia .................................
Il rinnovamento del monachesimo e la riforma ecclesiastica, 380 La diffusione del monachesimo cluniacense, 384; La cura pastorale
dei monasteri: concorrenza e convivenza con le istituzioni ecclesiastiche diocesane, 389
373
GABRIELE ARCHETTI, Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
Le prerogative di un cenobio regale, 403 - Il monastero a servizio
della riforma, 407 - Legami di fraternità, preghiera e lavoro, 413 L’impegno pastorale dell’abbazia, 421 - Dalla mancata riforma alla
commenda, 430
399
Introduzione
GIANMARCO COSSANDI, Gli insediamenti degli ordini mendicanti e i nuovi
aspetti della vita religiosa tra XIII e XIV secolo ......................................................
Tempi e modalità dei principali insediamenti, 437 - Alcuni aspetti
devozionali e della vita religiosa, 461
GABRIELE ARCHETTI, Fraternità, obbedienza e carità. Il modello cluniacense .......
La riforma della Chiesa secondo Cluny, 484 - La preghiera vincolo
di fraternità nella carità, 488 - L’ideale di “ecclesia cluniacensis”, 491
- La centralità della liturgia, 493 - Cluny in terra bresciana, 496 - Il
priorato di San Pietro di Provaglio, 501 - San Salvatore delle Tezze,
503 - Il priorato di San Nicolò di Rodengo, 504 - La piccola cella di
Santa Giulia di Cazzago, 507 - Fedeltà senza prosperità, 509 - Tra
vecchio e nuovo monachesimo, 510
ELISABETTA FILIPPINI, La diffusione del monachesimo femminile in diocesi: il
cenobio dei santi Cosma e Damiano e le comunità benedettine tra città e campagna ............
Sviluppo ed espansione del monastero dei Santi Cosma e Damiano
(secoli XII-XIII), 518 - La cappella monastica e i religiosi officianti: tra
scontro e collaborazione, 519 - L’estensione dei beni monastici, 521 L’entrata in monastero. Il flusso delle vocazioni, la provenienza sociale
delle monache e l’organizzazione interna, 523 - I responsabili della
cura monastica, 527 - Le annessioni a San Cosma: origine e decadenza
dei monasteri femminili del territorio diocesano, 529 - I cenobi di San
Pietro di Fiumicello e di San Donnino di Verolanuova, 532 - Il
monastero dei Santi Cosma e Damiano a fine Duecento: una nuova
sede per le monache e le ragioni del trasferimento, 535 - Fra XIV e
XV secolo: le dinamiche del cenobio tra gestione del patrimonio e
dissidi interni, 539 - La controversa annessione del monastero di San
Pietro di Fiumicello, 540 - Il XV secolo: dalla decadenza alla rinascita
del cenobio, 544 - Oltre San Cosma: da Santa Maria di Manerbio a
Santa Maria della Pace, attraverso il cenobio dei Santi Felice e
Fortunato. Le altre comunità femminili tra contado e città, 551 - Un
nuovo monastero benedettino: la nascita di Santa Maria della Pace, 559
SIMONA GAVINELLI, Cultura religiosa e produzione libraria ...............................
Una ricostruzione diacronica, 567
7
435
483
515
567
PAOLO ZANINETTA, La fede per immagini e il suo lessico simbolico: due
esempi altomedievali ................................................................................................
595
Bibliografia e Fonti d’archivio ..................................................................................
607
Indice dei nomi ........................................................................................................
677
Tavole fuori testo tra p. 288 e p. 289 e tra p. 544 e p. 545 a cura di Giuseppe Fusari
8
GIANCARLO ANDENNA
Sigle e abbreviazioni
AD = Archivio Diplomatico
ASBs = Archivio di Stato di Brescia
ASCBs = Archivio storico civico del Comune di Brescia
ASMi = Archivio di Stato di Milano
ASV = Archivio Segreto Vaticano
AVBs = Archivio Vescovile di Brescia
BHL = Bibliotheca Hagiographica Latina antiquae et mediae aetatis
BQBs = Biblioteca civica Queriniana di Brescia
CCSL = Corpus Christianorum. Series latina
CDB = Codice diplomatico bresciano
CLA = Codices Latini Antiquiores
CLLA2 = Codices Liturgici Latini Antiquiores, I/1-2
CSEL = Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
HPM = Historia Patriae Monumenta
MGH = Monumenta Germaniae Historica
PF = Pergamene per fondi
PG = Patrologia Graeca
PL = Patrologia Latina
RB = Regula Benedicti
RIS = Rerum Italicarum Scriptores
Il monachesimo maschile a Brescia
399
GABRIELE ARCHETTI
PER LODARE DIO DI CONTINUO.
L’ABBAZIA DI SAN BENEDETTO DI LENO
Davvero eccezionali furono le condizioni che, nel 758, portarono
il re Desiderio (757-774) ad istituire il monastero di San Salvatore di
Leno nel cuore della bassa pianura orientale bresciana. Lo apprendiamo da una fonte antichissima, contenente un elenco di re longobardi e franchi – compilata da un monaco leonense nell’anno 883 –,
in cui si racconta di come un drappello di undici monaci cassinesi,
guidati dall’abate Ermoaldo, fosse giunto nel luogo chiamato Leones
per interessamento del sovrano, dove Desiderio poco tempo prima
aveva eretto una chiesa in onore del Salvatore, della Vergine e
dell’arcangelo Michele1. A breve distanza dall’avvio del cenobio,
«con l’aiuto di Dio – prosegue la fonte –, l’eccellentissimo re fece
trasferire dalla città di Benevento, dal castello di Cassino, una certa
parte del corpo del beatissimo ed eminentissimo confessore abate
Benedetto e dalla città di Roma portò i corpi dei beati martiri Vitale
e Marziale, i quali vennero riposti nel cenobio», mentre su indicazione del papa uno dei monaci, chiamato Lamperto, venne designato alla carica di preposito2.
Si sostanziavano in questo modo, favorevolmente, i rapporti – in
genere difficili – tra il regno longobardo e il papato, confermando il
legame privilegiato con la terra bresciana, la sede apostolica e soCfr. Catalogi regum Langobardorum et Italicorum Brixiensis et Nonantulanus, 1878, p. 503.
Catalogi regum Langobardorum, p. 503. Sulla fondazione del cenobio, cfr. M. SANDMANN,
1984, pp. 80, 101-118, 208-241; C. AZZARA, 2002, pp. 21-32; per il trasferimento delle reliquie, P. TOMEA, 2001, pp. 46-47.
1
2
400
GABRIELE ARCHETTI
prattutto il monastero di Montecassino, la cui rifondazione era avvenuta intorno al 720 per iniziativa di Petronace († 750), un nobile
longobardo proveniente da Brescia. Questi, secondo la testimonianza di Paolo Diacono, si era recato in pellegrinaggio a Roma e
qui era stato invitato dal papa a far visita al sepolcro di san Benedetto3. Salito sul monte, Petronace vi trovò alcuni monaci che conducevano vita eremitica, li riunì in una comunità e con loro intraprese la ricostruzione del monastero; in suo soccorso, che nel frattempo era stato eletto abate, giunsero presto altri monaci ma specialmente il sostegno papale, che, insieme all’aiuto economico, gli
fece avere il codice con la regola scritta dal beato Benedetto.
L’impronta cassinese dell’osservanza benedettina caratterizzò,
dunque, il cenobio leonense sin dall’inizio, come improntò la fondazione femminile del monastero urbano di San Salvatore / Santa
Giulia voluta dallo stesso Desiderio e dalla moglie Ansa4. La dedicazione al Salvatore di Leno però, già della chiesa desideriana e poi
del cenobio, con la traslazione reliquiaria del braccio sinistro di san
Benedetto, fu subito affiancata da quella del santo abate diventando
il titolo di riferimento, mentre il culto a san Benedetto si sparse da
quel momento in tutta l’Italia settentrionale5. Per volontà del fonda3 PAOLO DIACONO, 1992, VI, 40, p. 342: «Intorno a questi anni [717 circa] Petronace,
cittadino di Brescia, spinto dall’amore divino, si recò a Roma e, su esortazione di Gregorio
[715-731], allora papa della sede apostolica, si diresse a questa rocca di Cassino e, giunto
presso il sacro corpo del beato padre Benedetto, prese ad abitare lì insieme ad alcuni uomini semplici che già vi si trovavano. Questi elessero il venerando Petronace loro superiore. In breve tempo, con l’aiuto della divina misericordia e per l’intercessione dei meriti del
beato padre Benedetto, passati già quasi centodieci anni da quando il luogo era stato privato di ogni abitazione umana, Petronace, divenuto padre di molti monaci, nobili e uomini comuni, che accorrevano presso di lui, cominciò a vivere sotto il giogo della santa Regola e nell’insegnamento del beato Benedetto, e, dopo aver restaurato gli edifici, portò questo santo cenobio nelle condizioni in cui ora si vede. In seguito il primo dei sacerdoti, il
pontefice Zaccaria, uomo caro a Dio, offrì molti aiuti al venerando Petronace, cioè libri
della sacra scrittura e tutte le altre cose che servono a un monastero; inoltre con paterna
pietà concesse il codice della Regola che il beato padre Benedetto scrisse con le sue sante
mani». Fondato da san Benedetto sul monte di Cassino, il celebre monastero era stato distrutto durante l’invasione longobarda dal duca Zottone di Benevento verso il 577-589; alla ricostruzione parteciparono anche alcuni monaci di San Vincenzo al Volturno, mentre
la presenza del monaco sassone Villibaldo – incaricato da Petronace del compito di portinaio del cenobio – conferma che la regola benedettina era stata introdotta in altri cenobi,
nonostante la distruzione di quello cassinese (cfr. H. HOUBEN, 1996, pp. 180-182, 184).
4 Di questo avviso è anche la M. SANDMANN, 1984, p. 215.
5 Cfr. P. GUERRINI, 1942; inoltre, G. SPINELLI, 1992, p. 294, ciò anche in seguito alle
chiese fondate dal cenobio con la medesima dedicazione leonense a san Benedetto: così a
Brescia, Limone (?), Toscolano, Salò (?), Patinole (Padenghe), Pavone, Bizzolano e Gonzaga (Mantova), Torricella (Cremona), Verona, Fontanellato (Parma), Panzano (Modena),
Montelongo (Massa Carrara) e Talavorno (La Spezia).
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
401
tore si stabilì, inoltre, che nel chiostro leonense stessero «cinquanta
monaci per lodar Dio di continuo», ma la forza di attrazione della
comunità apparve subito molto viva, giacché una ventina di anni
più tardi superava già il centinaio di membri6: un numero assai elevato che conferma il prestigo e il ruolo religioso, politico e sociale
del monastero.
Si tratta di informazioni note, su cui fanno luce le raccolte documentarie dell’abate Gian Lodovico Luchi e del padre Francesco
Antonio Zaccaria7, insieme alle molte ricerche di storici e cronisti
locali, bene inquadrate dal classico contributo di Angelo Baronio
del 19848, ora aggiornate dai saggi apparsi su «Brixia sacra» nei numeri monografici del 2002 e 20049. In questi lavori viene ripercorsa
la millenaria storia del cenobio, dallo splendore medievale alla
commenda fino all’atterramento delle sue strutture materiali nel
1783, quando il complesso claustrale divenne cava di materiali per
l’erezione della monumentale parrocchiale lenese.
L’atto di fondazione e le carte di donazione più antiche non sono
pervenute. Tuttavia, dai documenti successivi si percepisce immediatamente la rilevanza degli «amplissimi beni» di cui fu dotata
l’abbazia, tanto da far scrivere allo Zaccaria che «tra gl’Italici Monaster» il nostro cenobio «era forse il più ragguardevole» dopo quello
6 Così narra la cronaca seicentesca del vicario dell’abate commendatario Girolamo Martinengo, il domenicano Cornelio Adro, Historia dell’abbazia di Leno (BQBS, ms. C.I.10), edita da L. SIGNORI, 2002, pp. 302, 305, e prosegue: «[Ermoaldo] doppo l’anno 768 fece
consacrare la chiesa, compita che fu, dal vescovo di Brescia […] et vi stabilì la famiglia di
cinquanta monaci secondo l’ordine dato dal re Desiderio et vi continuorno in quel numero per molto tempo»; per lo sviluppo successivo della comunità, basato su tre liste di 101,
110 e 110 nomi di monaci registrati nel libro della fraternità di Reichenau tra VIII e IX secolo, v. M. SANDMANN, 1984, p. 247, che esamina pure altri casi (pp. 217-218, 247 sgg.) e
le cui osservazioni sono riprese, tra gli altri, da G. CONSTABLE, 2002, p. 156; M. DE JONG,
P. ERHART, 2000, p. 123; G. ARCHETTI, 2001, p. 471; U. LUDWIG, 2006, pp. 151-155.
7 Cfr. G.L. LUCHI, 1759; F.A. ZACCARIA, 1767; su cui è tornato per un breve inquadramento storiografico, G. PICASSO, 2002, pp. 15-20; il lavoro di edizione documentaria
sta proseguendo a cura dell’équipe di lavoro coordinata da Ezio Barbieri e trova una prima provvisoria collocazione editoriale nei materiali di lavoro della sezione dedicata
all’abbazia nel portale “popolis.it/abbazia”, cfr. E. BARBIERI, 2002, pp. 255-262; ID., 2006,
pp. 363-382; D. VECCHIO, 2006, pp. 383-431; E. BARBIERI, M.C. SUCCURRO, 2009, pp.
295-310.
8 Cfr. A. BARONIO, 1984, testo che resta ancora lo strumento di riferimento fondamentale per storia del cenobio; ID., 2002, pp. 103-117.
9 Cfr. L’abbazia di San Benedetto di Leno, cit. e San Benedetto “ad Leones”, cit., entrambi a
cura di A. Baronio, pubblicati con la collaborazione di Cassa Padana e della Fondazione
Dominato Leonense sul periodico «Brixia sacra», in cui sono raccolti gli studi di aggiornamento e i risultati di scavo condotti nel sito dell’antica abbazia; da ultimo, per aggiornamento storiografico sulle acquisizioni più recenti, cfr. C.D. FONSECA, 2006, pp. 11-21 e
G. ARCHETTI, 2006, pp. 333-338.
402
GABRIELE ARCHETTI
di Montecassino10. E il domenicano Cornelio Adro aggiunge che
dai «privilegi de papi, imperatori et regi si può chiaramente vedere
come quest’abbadia aveva potestà spirituale e temporale non solo
nella terra di Leno col suo territorio, per la quale il suo abbate si
chiamava conte, ma di molti altri castelli et ville et aveva molte altre
chiese da conferire, oltre quelle di Leno, come pur anco al presente
ne conferisce alcune. Ma per le guerre accorse in diversi campi, e
per la malitiosa astutia delle genti et anco per la molta negligentia de
gli abbati et de monaci, la maggior parte si è persa et piaccia a Dio
che per questa causa molte anime non patiscano nell’altra vita, tanto per la negligenza di conservare i beni e le ragioni ecclesiastiche,
al che sono tenuti quelli che l’hanno ricevute in consegna, come per
la molta ingordigia di volere et possedere non pure quello non è
suo, ma quello stesso che si trova dedicato al culto et al servitio di
Dio»11.
Dal buon funzionamento di chiese e monasteri dipendeva lo
splendore dei loro fondatori, per cui la funzione dei monaci di lodare Dio dal sorgere del sole al tramonto, pregando per il sovrano,
per la sua famiglia e la prosperità del regno, rendeva il loro servizio
liturgico molto prezioso agli occhi del re. La «rara bellezza» delle
strutture claustrali, come scrive il cronista, rispondeva dunque a tale
scopo: la loro «magnificenza […] si può comprendere da certi frisi
d’ordini diversi che si vedono ancora in alcune pietre residui di
quelle rovine, le quali da diversi abbati sono poi state adoprate per
riedificare quelle muraglie dell’abbadia che a’ nostri tempi si vedono
costrutte più tosto per la necessità d’habitarvi poveramente che per
pompa alcuna. Mostrano anco che questo monasterio regio fosse
fabricato di pietre fine e lavorate le colonne rotte et i capitelli diversi, che pur anco si vedono in più luoghi della chiesa e del monasterio; et anco si può considerare la bellezza et comodità di questo
luogo nel suo primiero stato da gli residui della fontana de gli doi
vasi che sono in chiesa, che sono il terraneo et il mezzano, ritrovandosi ’l superiore dentro nel monasterio, il quale benché spezzato, contiene nondimeno fin hora alcuni spinelli. Insomma bisogna
dire che fosse il tutto di rara bellezza et che la chiesa, che hora si
10 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 269-270. Sul patrimonio del monastero, v. A. BARONIO,
1984, specie i capitoli I, II e IV, pp. 9-82, 107-162; ID., 2002, pp. 33-85; P. RIGOSA, 2006,
pp. 433-456.
11 L. SIGNORI, 2002, p. 313, una stima patrimoniale che il cronista calcolava per la sola
curtis di Leno in quasi settemila ettari di terre coltivabili ancora nel XIII secolo, ridottisi a
circa quattrocento al suo tempo.
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
403
vede, non sia in alcuna parte quella che fece fare il re Desiderio, ma
a essere stata fatta poveramente da diversi abbati et monaci»12.
Le prerogative di un cenobio regale
Fondazione regia, con la conquista franca l’abbazia di Leno divenne un monastero imperiale o Reichklöster e si avvalse della speciale protezione dei sovrani; poteva così eleggersi l’abate e vivere il
proprio impegno religioso secondo la Regula Benedicti, godendo di
ampi privilegi e vantaggi13. La tuitio regia (o mundeburdium) comportava però che le vicende della comunità monastica non fossero disgiunte da quelle del regno. Il cenobio era oggetto della generosa attenzione dell’imperatore e dei suoi amici, ma i monaci erano gravati
da pesanti obblighi di riconoscenza nei loro confronti, non solo di
natura spirituale, mentre il sovrano poteva disporre liberamente
delle risorse, spirituali e materiali, di quel chiostro regale «costruito
in onore di san Benedetto».
Nel diploma di Ludovico II (861 o 862), il primo documento che
possediamo, sono elencati i privilegi concessi ai monaci di Leno da
Carlo Magno, Ludovico il Pio e Lotario, i quali assicuravano la tuitio
o defensio imperiale al cenobio insieme all’immunità14, ossia la garan12 L. SIGNORI, 2002, pp. 311-312, e il cronista domenicano prosegue: «Nell’anno 1180
fu abbate quel Gonterio che si vede nominato sopra la porta grande della chiesa, come
quello che con le rovine della primiera chiesa costrutta dal re Desiderio rifece quella
ch’hora si vede, che fu anni sessanta doppo la destruttione della sodetta che seguì nel
1227; et chi riguarda bene i capitelli et altre parti di questa chiesa, ch’hora si vede in piedi
et rifatta da quest’abbate Gonterio, ritrovarà che per la maggior parte, come s’è detto
un’altra volta, con le pietre di quell’antica» (ivi, p. 314); notizie utili sono riferite anche nella cronaca del Wion, ivi, pp. 333-334. Per un panorama delle strutture monastiche, della
loro evoluzione e del patrimonio artistico si vedano nel volume San Benedetto “ad Leones”,
soprattutto i contributi di A. Breda, P. Piva, S. Strafella, P. Panazza, M. Ibsen, M. Sannazaro e S. Gavinelli.
13 Cfr. in proposito K. VOIGT, 1909, pp. 14, 23; K. SCHROD, 1931, pp. 56, 159 che elenca l’abbazia di Leno tra i 19 Reichsklöster al tempo di Federico I; J. FISCHER, 1965, pp.
173-174, che pone Leno tra i 12 Königklöster; G. CONSTABLE, 2002, p. 156, condivide la
posizione della storiografia tedesca, mentre M. SANDMANN, 1984, pp. 216-217, 239 ritiene
che i privilegi goduti dalle monache di Santa Giulia non fossero dissimili da quelli dei religiosi di San Benedetto di Leno, tesi che è stata positivamente verificata da A. BARONIO,
1999, pp. 68-73; ID., 2001, pp. 133-138; ID., 2002, pp. 33-49.
14 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 64-65; Ludovici II. Diplomata, 1994, pp. 137-139 nr. 35, dove
sono ricordati anche i diplomi dei predecessori di Ludovico andati perduti, cioè il bisnonno Carlo Magno, il nonno Ludovico e il padre Lotario; anche J. FISCHER, 1965, pp. 141,
160; A. BARONIO, 1984, pp. 52, 230. Scrive in proposito Cornelio Adro: «Tra le molte cose che fece nell’occasione di questa impresa [la conquista del regno longobardo da parte di
Carlo Magno], pigliò la protettione anche di quest’abbadia di Leno, alla quale oltre la confirmatione di tutti li beni et privilegi concessegli dal re Desiderio, anch’esso, per rimedio
404
GABRIELE ARCHETTI
zia che nessun uomo del re poteva accedere nello spazio sacro
dell’abbazia. Su richiesta dell’abate Remigio infatti, arcicancelliere
dell’impero, si riconoscevano alla fondazione leonense i beni posseduti a vario titolo sin dal tempo di Desiderio, si vietava agli ufficiali regi di entrare nelle terre monastiche per esercitare la loro autorità, si concedeva di trattenere il gettito delle entrate fiscali per il
sostentamento della comunità e la carità verso i poveri, e di avvalersi di un proprio avvocato per le questioni di natura giudiziaria.
Il contenuto del documento venne ripreso e sanzionato un secolo più tardi dal diploma di Berengario II e Adalberto del 958
all’abate Donnino, in cui si menzionano i privilegi precedenti, compresi quelli di Berengario I, Ugo e Lotario andati perduti; nell’atto si
confermavano i beni abbaziali destinati «ad aumentare la divina pietà dei monaci», l’immunità e il possesso di tutte le decime ad uso
dei bisognosi e degli ospiti15. Lo sforzo, inoltre, di dare omogeneità
ad un patrimonio sparso in larga parte dell’Italia padana portò
l’abate Umberto a valorizzare i terreni modenesi legati alla chiesa di
San Donato di Baggiovara; il suo successore Donnino permutò la
curtis mantovana di Gonzaga – comprendente la chiesa di San Benedetto e un patrimonio di almeno 400 ettari – con il conte di Modena Adalberto in cambio di una serie di possedimenti e di chiese
prossimi ad altri beni leonensi, situati nei comitati di Brescia, di
Reggio e di Modena, mentre l’abate Liuzo consolidava il controllo
dell’anima sua gli donò Sabioneta et Gonzaga, come si può vedere in molti privilegi; et se
bene il proprio privilegio del re Desiderio e quelli di Carlo Magno, di Lodovico e di Lotario imperatori sono persi, si vedono però nominati nelli susseguenti et in essi si vede
quanto fosse a cuore quest’abbadia a tutti quei monarchi» (L. SIGNORI, 2002, pp. 305306).
15 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 68-71; I diplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto, 1924, pp. 319-325 nr. 10; A. BARONIO, 1984, Monasterium et populus, pp. 52-53; ID.,
2002, pp. 37-44. La mancanza di una parte importante della documentazione monastica
viene segnalata anche da Cornelio Adro, che dà conto però di numerosi registri
nell’archivio monastico: «Quello che qui si è scritto de privilegi pontificii, regii et imperiali,
il tutto autenticamente è scritto nel libro de registri, ma anco nelle carte pecorine con i sigilli pendenti che li fanno autentici. Non però si sono potuti ritrovare tutti, essendone
persi molti, tanto de’ papi come d’imperatori et regi, che vengono nominati in quelli che si
trovano nell’occasione d’havere anch’essi confirmato et innovato i privilegi di
quest’abbadia regia» (L. SIGNORI, 2002, p. 313). Lo Zaccaria, in polemica con il Luchi, enumera ben «168 e più libri, che nell’Archivio sono della Badia, [mentre] pochi altri ne accenna il degnissimo p. Abate oltre quattordici, o che realmente questi soli ch’egli ricorda,
gli fosser mostrati, o che avendogli pur veduti, non avesse pensato di trovare in questi cosa d’alcun momento» (F.A. ZACCARIA, 1767, p. XIII; per il riferimento all’abate G.L.
LUCHI, 1759, p. XX); inoltre, A.M. AMELLI, 1912, pp. 241-243; E. BARBIERI, 2002, pp.
255-262.
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
405
della curtis di Gambara con l’aggiunta dei beni della vicina Torricella16.
Nei diplomi successivi, sia pure di volta in volta con riferimento
a specifici diritti, viene in buona sostanza confermato il contenuto
dei privilegi precedenti. Ciò vale per quelli rilasciati da Ottone I nel
962, da Ottone II nel 981 e da Ottone III nel 1001, il quale pose
anche i servi monastici e i loro possessi, tra le altre cose, sotto la tutela del mundiburdium imperiale, intervenendo a difesa delle prerogative abbaziali contro un certo Riperto, «raptore ac vastatore» del patrimonio monastico17. Questi si era infatti impadronito del castello
di Dale, del borgo attiguo e della corte di Mociano nei pressi di Milzanello di Leno, dichiarandone il possesso dovuto ad una permuta
con il cenobio; l’abate Liuzo e il suo avvocato ebbero però buon
gioco nel denunciare l’usurpatore, a sfidarlo in un duello giudiziario
e, di fronte al suo diniego, ottenere giustizia dall’imperatore. Fatti
che non rimasero isolati, ma videro il cenobio sempre pronto a far
valere i suoi diritti.
Nel 1014 Enrico II, dopo aver ricordato e confermato i beni
monastici, autorizzò il monastero a scegliersi come advocatum un
uomo di fiducia tra i propri fideles, che all’occorrenza giurava e duellava in nome e al posto dell’abate, come pure di rivendicare una
proprietà, in assenza della necessaria documentazione scritta, me16 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 67 (a. 939), 75-77 (a. 967), 85-87 (a. 1009); Codex Diplomaticus Langobardiae, 1873, coll. 945-946 nr. 554, 1218-1220 nr. 700; E. BARBIERI, M.C.
SUCCURRO, 2009, pp. 298-310; inoltre, A. BARONIO, 1984, pp. 55, 60-61; ID., 2009, pp.
68-69.
17 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 71-74, 77-80, 83-85; Conradi I., Heinrici I. et Ottonis I. Diplomata, 1879-1884, pp. 334-336 nr. 240; Ottonis II. Diplomata, 1888, pp. 273-275 nr. 243; Ottonis III. Diplomata, 1893, pp. 838-839 nr. 405; A. BARONIO, 1984, pp. 57-61; anche il cronista Cornelio Adro si dilunga sulla vicenda: «Due anni doppo questo breve di papa Silvestro [999], essendo pur abbate il sodetto Luizzone, per un disordine occorso sul tenere
d’essa abbadia da un ricco huomo di quelle parti chiamato Riperto, il quale con violenza
volse edificare un castello senz’alcuna participatione dell’abbate, il quale chiamò d’Alè, né
potendo l’abbate far resistenza alla forza di questo potente, se n’andò a Roma
all’imperatore Ottone 3° et narragli supplichevolmente quest’insulto. L’imperatore commise ad un suo cappellano, nominato Leonfonte, che andasse a vedere il fatto et operasse
quanto comportava il giusto. Dove andato, avendo scoperto che l’abbate Luizzone aveva
rappresentato il giusto et supplicato con verità et fattane relatione all’imperatore,
anch’esso fece un privilegio ad esso abbate et successori, dichiarando, non solo il sito dove era edificato il castello essere dell’abbadia, ma pur anco lo stesso castello fabbricato da
Riperto con gli suoi confini, nominando particolarmente Mulzano, il quale è nominato in
diverse investiture fatte dalli abbati et hora si chiama Mulzanello. Il castello d’Alè fu poi
distrutto, ma restandovi la contrada dove si trovava, questa si chiama Breda d’Alè, qual è
dell’abbadia; et gli agricoltori di quelle terre dicono d’havere con gli aratri molte volte trovato diverse cose che danno indicio d’esso castello» (L. SIGNORI, 2002, p. 308); inoltre,
sull’identificazione della corte di Mociano con Milzanello, A. BARONIO, 2009, pp. 69-70.
406
GABRIELE ARCHETTI
diante la semplice attestazione di tre testimoni18. Lo stesso sovrano
nel 1019, per intercessione dell’abate di Cluny, riconobbe da Ratisbona la dipendenza di San Benedetto di Leno dalla Sede apostolica, stabilì che il cenobio fosse esonerato dagli oneri dei lavori pubblici e che i figli dei suoi servi, anche nel caso in cui il padre o la
madre avessero acquisito la libertà, restassero in condizione servile
e soggetti all’abbazia19. Anche Corrado II rilasciò un diploma di
conferma per Leno nel 1026, che ricalcava quelli precedenti, e la
stessa cosa fece nel 103620, alla vigilia dello scontro milanese e
dell’edictum de beneficiis; nel 1027 diede, inoltre, al cenobio la metà del
castello di Milzano usurpato da Everardo de Rodingo, mentre la parte
restante venne confermata ai monaci, insieme ad altri beni, da Enrico III su richiesta dell’abate Richerio nel 104321.
Le difficoltà seguite alla lotta per le investiture ebbero pesanti ripercussioni sull’autorità imperiale che non rilasciò altri documenti,
almeno di quelli giunti sino a noi, fino al tempo di Federico I, che
nel 1177 confermò all’abbazia leonense da Venezia le concessioni
fatte dai suoi predecessori e analogamente fece Enrico VI nel
119422; il sovrano incluse però importanti clausole relative alla costruzione di mulini e al recupero o alla protezione del patrimonio.
In particolare, dopo aver ribadito la facoltà per il monastero di riprendere i beni perduti per furto, incendio o malasorte mediante la
semplice attestazione giurata di tre testimoni e annullato «le scritture fatte contra iustitiam et utilitatem del monastero», egli aggiunse la garanzia di una prescrizione di quarant’anni per i monaci, i quali potevano mantenere qualunque possedimento detenuto fino al 1137 e
recuperare quelli che erano stati loro sottratti fino al 107723, cioè alla vigilia del privilegio di Gregorio VII. Si sarebbe potuto ripristinare così il patrimonio avuto prima dello scontro frontale con
l’impero per la “lotta delle investiture”, ma soprattutto si assicurava
18 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 87-90; Heinrici II. et Arduini Diplomata, 1900-1903, pp. 372374 nr. 300; A. BARONIO, 1984, pp. 62-64; ID., 2002, pp. 44-46.
19 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 93-95; Heinrici II. et Arduini Diplomata, pp. 511-514 nr. 399.
20 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 96-98; Conradi II. Diplomata, 1909, pp. 66-68 nr. 57, 308309 nr. 227.
21 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 98-99; Conradi II. Diplomata, pp. 142-143 nr. 100; Heinrici
III. Diplomata, 1957, pp. 143-144 nr. 114; BARONIO, Monasterium et populus, pp. 25 e n., 6768.
22 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 124-127, 132-135; Friderici I. Diplomata, 1985, pp. 224-226
nr. 697.
23 Sulla concessione di privilegi di prescrizione a monasteri italiani nelle carte di Federico I, rilasciate a 27 cenobi, cfr. R.M. HERKENRATH, 1990, p. 214 nr. 61; inoltre, G.
CONSTABLE, 2002, pp. 159-160.
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
407
il risarcimento per le perdite economiche e patrimoniali che il monastero aveva subito nell’arco di quasi un ventennio, occasionati
dalle campagne militari dell’imperatore e dalle divisioni connesse allo scisma.
I rapporti con il Barbarossa, infatti, non erano sempre stati pacifici se prestiamo fede ad alcune deposizioni testimoniali che riferiscono di quando, nel corso della seconda venuta in Italia (1158), le
truppe boeme al seguito dell’imperatore, ma guidate dal re Ladislao,
si fossero prodigate nella devastazione delle campagne dei dintorni
di Leno giungendo persino ad incendiare il monastero24. Tale situazione costrinse l’abate Onesto a prendere la via dell’esilio, sebbene
poco dopo – grazie soprattutto alla mediazione del priore Gandolfo
– si giunse ad una ricomposizione delle relazioni, come conferma la
sentenza a favore del monastero emessa a Roncaglia dal Barbarossa
contro le pretese giurisdizionali del vescovo di Brescia Raimondo
sulle chiese di Gambara e soprattutto l’ampio privilegio del 117725.
Il monastero a servizio della riforma
Non meno importanti furono i riconoscimenti papali, dove il cenobio viene indicato con la doppia intitolazione al Salvatore e a san
Benedetto, anche se le attestazioni documentarie non sono molto
precoci26; documenti che consentono di individuare le tappe verso
la completa autonomia del cenobio dall’autorità dell’ordinario locale
a coronamento del processo graduale verso l’esenzione.
Con il primo privilegio, quello del 999, esemplato su una bolla
per Sant’Antimo di pochi anni prima, diretto all’abate Liuzo27, papa
Silvestro II stabiliva che la corte di Panzano, entrata a far parte della dotazione leonense fin dal tempo di Desiderio, fosse interamente
soggetta all’autorità dell’abate28. Egli esercitava pertanto la giurisdi24 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 136-137; la questione è discussa da A. BARONIO, 1984, pp.
78-80.
25 A. BARONIO, 1984, pp. 79, 108-118; G. CONSTABLE, 2002, pp. 178-185; sulla giurisdizione e la vertenza per le chiese di Gambara, cfr. A. BARONIO, 2009, e G. ARCHETTI,
2009, rispettivamente pp. 65-81 e 87-110.
26 Nel primo documento, tuttavia, papa Silvestro II fa esplicito riferimento a quanto già
concesso «dai pontefici della Santa Romana Chiesa nostri predecessori», che permette di
notare come l’abbazia possedesse altri e più antichi privilegi pontifici (F.A. ZACCARIA,
1767, p. 82; P.F. KEHR, 1913, pp. 343-344 nr. 1).
27 A. BARONIO, 1984, p. 61 n. 40; G. CONSTABLE, 2002, p. 158.
28 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 80-82; Codex Diplomaticus Langobardiae, coll. 1691-1692 nr.
962; anche P.F. KEHR, 1913, pp. 343-344 nr. 1; ne dà conto anche Cornelio Adro: «Tra gli
beni in grande quantità che furon dati a quest’abbadia, vi fu un luogo del modenese, in
408
GABRIELE ARCHETTI
zione su tutti gli abitanti, liberi e non liberi, non solo riguardo
all’esercizio del potere pubblico (districtus) ma anche delle prerogative ecclesiastiche (ordinationem) su monaci e chierici. L’abate di Leno
poteva ricorrere a qualunque vescovo per la consacrazione, a titolo
gratuito, di religiosi e canonici, sia di condizione libera che servile,
di altari e chiese, come pure per ottenere il crisma e ogni altra necessità relativa al sacro ministero e agli obblighi liturgici. I monaci
erano pure titolari delle decime e delle primizie, che riscuotevano
da tutti i lavoratori del distretto pievano dipendente dalla cella e
dalle tenute massarice legate al priorato; su di essi o sui loro chierici
gravava, di conseguenza, l’onere pastorale della cura animarum dei
fedeli della curtis e del pievato. Ciò significava che, almeno in relazione alla giurisdizione ecclesiastica di Panzano – come si legge nelle carte tardo medievali29 – l’autorità dell’abate era analoga a quella
vescovile, cioè autonoma.
La bolla tuttavia, oltre a munire di privilegi apostolici l’abbazia,
se letta insieme agli altri documenti coevi30, risulta altresì interessante perché mostra la struttura della curtis modenese, il cui territorio
alla fine del secolo X coincideva con quello della cella monastica e
della plebs31. Essa infatti si articolava intorno ad un priorato, con
una corte chiamata Pantiano, dove era una plebania con una chiesa col titolo di S. Benedetto e di SS. Filippo e Giacomo et anco di S. Maria, nel qual luogo facevano ressidenza
alcuni monaci sogetti solo al’abbate di Leno, et trovandosi abbate Luizzone huomo di
molta prattica et gratioso appresso de prencipi et dubitando quest’abbate ch’esso luogo
non passasse un giorno sotto altro dominio […] impetrò un breve da papa Silvestro 2°
che ’l detto luogo fosse sogetto al detto abbate di Leno […]. Et quantonque questo sia il
più antico breve […], si vede però in esso che non solamente concede a quest’abbadia il
detto luogo situato sul modenese, ma che nomina anche altri brevi fatti per questa stessa
badia, i quali sono persi» (L. SIGNORI, 2002, pp. 308).
29 F.A. ZACCARIA, 1767, p. 223: «nos abbas … predictus qui iuridictionem episcopalem
presertim quantum ad plebem prefatam [cioè, di Panzano] tenemus et exercemus».
Sull’esercizio di “diritti quasi episcopali” da parte dei cenobi, cfr. P. TOUBERT, 1977, pp.
433 sgg.
30 La corte di Panzano è menzionata, tra diplomi e bolle, fin dal 958 e poi nel 962, 999,
1014, 1019, 1026, 1036, 1078, 1095, 1123, 1125, 1132, 1146, 1175, 1176, ecc., cfr. in proposito, oltre ai documenti già ricordati, le segnalazioni presenti in F.A. ZACCARIA, 1767,
pp. 67, 69, 72, 78, 81, 88, 91, 94, 97, 101, 107, 109, 112, 115, 117, 123, 125, 133, 222-228,
238-239, come pure le carte conservate presso l’Archivio di Stato di Milano, quello di Brescia e l’Archivio Capitolare di Modena per i secoli X-XIII, sulla cui edizione sta lavorando
E. Barbieri (v. E. BARBIERI, M.C. SUCCURRO, 2009, pp. 295-310).
31 Se nel documento del 962 non si fa ancora menzione della pieve: «Pancianum cum
ecclesia Sancti Sebastiani et alia Sancti Philippi cum piscaria de Cenoso» (Conradi I. Henrici
I. et Ottonis Diplomata, p. 335), nella bolla papale del 999 invece viene espressamente menzionata: «in prefata cella constructa in territorio Motinensi atque consacrata in honorem
Sancti patris Benedicti et Sanctorum apostolorum Philippi et Iacobi […], ad predictam
plebem Sancte Marie sive ad ipsam cellam» (F.A. ZACCARIA, 1767, p. 81), mentre nel 1014
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
409
annessa una chiesa, dedicati a san Benedetto e agli apostoli Filippo
e Giacomo, a poca distanza dai quali nell’ultimo ventennio del secolo era stata eretta la pieve di Santa Maria, detta Basilica Nova – che
in un secondo momento prese anche il titolo di San Sebastiano e
poi quello di San Biagio –, da cui dipendeva ecclesiasticamente il
territorio della corte, a sua volta subordinata alla cella monastica.
Fin dal 938 risulta attestato anche un castrum che un secolo dopo
era dotato di una cappella e occupava una superficie di circa 8000
mq32, attorno a cui erano andati sviluppandosi negli stessi anni un
borgo e alcuni villaggi sparsi nella campagna circostante, con proprie cappelle dipendenti dalla pieve di Santa Maria, a cui doveva essere legato anche l’ospedale «in usum pauperum et hospitum» di
Sant’Egidio di Muzza33.
La riserva papale della consacrazione o della benedizione
dell’abate, concessa da Benedetto VIII nel 1019 – «riserviamo in
verità a noi e ai nostri successori in ogni tempo la consacrazione
dell’abate» – e confermata nello stesso anno da Enrico II, nella quale si faceva chiaro riferimento ad una prassi in atto «iam per longa
temporum spacia»34, giungeva invece a sanzionare a favore del cenobio una situazione di difficoltà intercorsa pochi anni prima tra il
superiore della comunità leonense, il defunto abate Andrea, e il vescovo di Brescia Landolfo II. Questi, esponente dei capitanei di Arzago e fratello dell’arcivescovo milanese Arnolfo, lo aveva consacrato con il sostegno dell’imperatore senza tenere conto dell’autonomia goduta dal cenobio35, ma facendo leva sul nuovo orientamento canonico che rimetteva al centro l’autorità vescovile rispetto
alle diverse istituzioni e poteri diocesani.
se ne indica la collocazione e la recente erezione: «Pancianum cum ecclesia apostolorum
Philippi et Iacobi et cum plebe Sancte Marie et Sancti Sebastiani, que dicitur Basilica Nova, non longe ab eadem cella» (Heinrici II. et Arduini Diplomata, p. 373), meglio precisata nel
1019 insieme al quadro insediativo: «Pancianum cum ecclesia apostolorum Philippi et Iacobi et cum plebe Sanctae Mariae et Sancti Sebastiani, quae dicitur Basilica Nova, non
longe ab eadem cella sive cum villis ad eandem cortem pertinentibus prope vel longiuscule
positis» (Heinrici II. et Arduini Diplomata, p. 512).
32 Rientrava perciò tra i castelli di pianura di medie dimensioni catalogati da A.A.
SETTIA, 1984, pp. 103, 106, 222-223; F.A. ZACCARIA, 1767, p. 67, con data 939 (ma si tratta dell’anno prima).
33 Cfr. F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 122-123; A. BARONIO, 1984, pp. 85, 87, 222 n. 37.
34 Ciò dal tempo di Lotario, come risulta dal diploma di Ludovico II all’abate Remigio
dell’862. Cfr. F F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 90-93, per il diploma di Ludovico II invece pp.
63-65; P.F. KEHR, 1913, 344 nr. 2; Heinrici II. et Arduini Diplomata, pp. 511-514 nr. 399.
35 Sulla vicenda, v. C. VIOLANTE, 1963, p. 1029; A. BARONIO, 1984, pp. 230-231 n. 4950.
410
GABRIELE ARCHETTI
L’intervento del pontefice rappresentava dunque una tappa ulteriore «nella direzione dell’esenzione, che venne riassunta e completata nel 1078 da Gregorio VII»36, il quale, scrivendo all’abate Artuico, confermò in perpetuo possessi e privilegi37; proibì a qualsivoglia
laico o ecclesiastico il controllo del monastero e delle sue terre,
svincolandoli dalla giurisdizione civile e giudiziaria (districtum e placitum); vietò il possesso di qualsiasi sua corte senza il consenso
dell’abate e la provvisione obbligatoria del foraggio per gli animali
(fodrum), dell’alloggio (mansionaticum), dei diritti di navigazione (ripaticum), del cibo (paratas) e di altri diritti pubblici (alias publicas functiones). L’abate poteva istituire mercati sui suoi possedimenti, controllare le peschiere, edificare castelli e chiese sulle terre del monastero
ed esercitare la giurisdizione sopra servi e liberi, mentre il vescovo
locale non aveva autorità (dictio) sopra il cenobio e poteva celebrarvi
le messe solo col permesso e dietro invito dell’abate.
Alla fine del documento Gregorio confermò i privilegi relativi alle
decime e alle primizie – riguardo alle quali l’abate Guenzelao aveva
avuto da Nicolò II una sentenza contro il vescovo di Luni nel 1060
in relazione alle decime della curtis di Montelongo38 –, alla consacra36 L’espressione è di G. CONSTABLE, 2002, p. 158. Per la bolla di Gregorio VII, cfr.
F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 106-108; P.F. KEHR, 1913, pp. 344-345 nr. 4.
37 Per il lungo elenco di possedimenti, vedi F.A. ZACCARIA, 1767, p. 107: «Confirmamus igitur – scrive Gregorio VII – eidem venerabili monasterio possessiones priorum
temporum, idest ecclesiam Sancti Ioannis aliam Sancti Petri, in Summolacu, Campilione,
Tusculano, Materno, Patinole, Cavunno, Cubiado, Gussiaco, Casanova, solarium in Brixia
cum broilo usque in viam orientis et cum ecclesia Sancti Benedicti, ecclesiam Sancti Benedicti in Verona, Dale, Mutianum, Paonem, Castrumnovum cum ecclesia Sancti Andree,
Milcianum cum ecclesia Sancti Michaelis et Sancti Damiani, Sanctam Mariam in Mauriatica, Cotegingum cum ecclesia Sancti Petri, Ustilianum, Curtemruptam, Flexum, Fontanellam, Bucellam, Sanctum Martinum in Arzene, Turricellam cum ecclesia Sancti Benedicti,
Carpinetulum, Gambaram cum ecclesia Sancte Marie et alia Sancti Petri, Ramedellum et
castrum Turricelle cum ecclesia Sancti Andree, Pancianum cum ecclesia apostolorum Philippi et Iacobi et cum plebe Sancte Marie et Sancti Sebastiani; decimam etiam ad idem
Pancianum pertinentem, Sanctum Vincencium, Fontanalatam, Cassium cum pertinentiis
suis, Montelongum cum pertinentiis suis, ecclesiam Sancti Georgii in Pontremulo cum
pertinentiis suis, Talavurnum cum pertinentiis suis, villam Laudem cum duabus partibus
de Arcule».
38 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 104-106; P.F. KEHR, 1913, p. 344 nr. 3. Rispetto al tentativo del vescovo di Luni di subordinare le rendite sacramentali provenienti dalla corte di
Montelongo, diritti posseduti dall’abbazia leonense «iam per centum et eo amplius annos»,
che il presule «abstulerat et violenter invaserat» facendo riferimento alla legislazione ecclesiastica dei sinodi romani del 1049-1050, che attribuiva le decime alla giurisdizione dei vescovi, il collegio cardinalizio sentenziò, sulla base dei precedenti pronunciamenti dei papi
Leone IX e Vittore II, «che le decime e qualunque bene della Chiesa tenuto senza contestazione per almeno un trentennio o un quarantennio pacificamente era posseduto in perpetuo, mentre gli episcopati dovevano in ogni modo astenersi dal rivendicare le decime
nuove (modernis)» (F.A. ZACCARIA, 1767, p. 105; P. RIGOSA, 2006, pp. 438-440). Riguardo
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
411
zione del crisma, dell’olio santo, degli altari e delle chiese, all’ordinazione dei monaci e dei sacerdoti, e all’elezione e consacrazione
dell’abate che avvenivano liberamente da parte della comunità e del
papa39. «Attraverso tali diritti il cenobio e il suo territorio – l’abbacia,
come era chiamata, in quanto distinta dal monastero – divennero in
effetti un’enclave indipendente all’interno della diocesi di Brescia e
l’abate, benché ancora vincolato per talune funzioni sacramentali ad
altri vescovi, ottenne la piena libertà dall’ordinario diocesano»40.
Patrimonio, diritti e privilegi furono confermati anche dagli interventi pontifici successivi: nel 1095 da Urbano II, che incluse tra i
possedimenti la chiesa di S. Marcellino in Tolino41; nel 1123 da Callisto II, nel cui testo tale inclusione non figura più42; nel 1125 da
Onorio II43, nel 1132 da Innocenzo II che rivolgendosi all’abate
Tedaldo fa esplicito riferimento ai documenti emanati dai suoi predecessori Pasquale II (deperdito) e Callisto II44; nel 1146 da Eugenio III, che comprendeva le due chiese «in castro et extra castrum»
di Rodiano (Rodiliano) e, pur ricordando gli interventi precedenti di
Pasquale II, Callisto II e Innocenzo II, ometteva di inserire la clausola relativa alla costruzione di chiese e castelli che in seguito non
verrà più riproposta45. Ciò rappresentava senza dubbio un segnale
esplicito della mutata politica ecclesiastica, favorevole al ripristino
dell’autorità ecclesiastica dei vescovi, e del progressivo controllo del
territorio da parte delle istituzioni comunali che rendevano ormai
pletoriche le rivendicazioni giurisdizionali dell’abbazia46.
al ricorso leonense, pertanto, se dovevano essere ratificati i possedimenti trentennali o
quarantennali, a maggior ragione la norma valeva per periodi più lunghi o per un secolo,
indipendentemente dalla rivendicazione di un possesso più antico. Utile è anche l’Historia
di Cornelio Adro: «L’anno 1060, trovandosi abbate un monaco chiamato Guincelano, vivendo il medemo imperatore, nacque lite tra il vescovo di Luni, città hora distrutta, et in
suo luogo posta Sarzana, per le decime di Pontelongo, dicendo quel vescovo che toccavano a lui come sua giurisdittione et dall’altra parte provando l’abbate d’haverle sempre possedute con li suoi antecessori, a rigordo d’ogn’uno, papa Nicolò 2° dichiarò che si dovevano all’abbate di S. Benedetto di Leno, come appare dal breve apostolico segnato con
tutti gli soliti requisiti» (L. SIGNORI, 2002, p. 310).
39 L’abate cioè viene eletto dalla comunità dei monaci secondo la Regola e, una volta «electus, ad Romanum Pontificem consecrandus acedat» (F.A. ZACCARIA, 1767, p. 107).
40 G. CONSTABLE, 2002, pp. 159.
41 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 109-111; P.F. KEHR, 1913, p. 345 nr. 5.
42 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 111-114; U. ROBERT, 1891, pp. 124-126; P.F. KEHR, 1913,
p. 345 nr. 7.
43 P.F. KEHR, 1913, p. 345 nr. 8; ID., 1977, pp. 229-231 nr. 4.
44 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 114-116; P.F. KEHR, 1913, pp. 345-346 nr. 9.
45 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 117-119; P.F. KEHR, 1913, p. 346 nr. 10.
46 Sulla ripresa ‘episcopalista’ nella politica ecclesiastica, si vedano le pagine di C.
VIOLANTE, 1977, pp. 702 sgg.; inoltre, P. TOUBERT, 1977, pp. 435-436.
412
GABRIELE ARCHETTI
Tale omissione, tuttavia, venne compensata nel 1156 dal privilegio di Adriano IV47, il quale non solo ribadì che Leno apparteneva
in modo speciale alla Chiesa romana ed era sottoposto alla giurisdizione e alla protezione della Sede apostolica, ma concesse pure il
possesso delle decime sui terreni di nuovo dissodamento (novalia) e
permise all’abate di indossare la mitria nei concili romani e guanti
pontificali, calze e sandali quando officiava in una delle sue chiese,
mentre Alessandro III corroborò tali concessioni liturgiche nel
1176 con l’uso dell’anello episcopale48. Anche in questo caso il pontefice confermava il possesso perpetuo delle decime, nuove e antiche, insieme alle primizie, alla libertà di ricorrere a qualunque vescovo per la consacrazione di monaci e chierici, di chiese ed altari, e
ricevere il crisma e l’olio santo per gli usi liturgico-sacramentali,
senza tralasciare di indicare le consuete formule conservative del
patrimonio monastico; disposizioni che vennero puntualmente riprese nel 1185 nella bolla di Urbano III e in quella di Eugenio IV
che nel 1434 ripropose per intero il privilegio alessandrino49.
La benevolenza della Sede apostolica nei confronti dell’abbazia
bresciana fu il riconoscimento esplicito per il sostegno dato dai
monaci di Leno alla causa papale e alla riforma ecclesiastica romana
che, tra la fine del X e l’inizio del XII secolo, consentì al monastero
un formidabile sviluppo giurisdizionale, sia in campo politico che
ecclesiastico. Tutto questo rifletteva gli orientamenti del papato, diretti prima ad appoggiare la libertà dei monasteri, specie in quegli
ambiti diocesani in cui i presuli erano attestati su posizioni filo imperiali, poi a valorizzare le istituzioni ecclesiastiche territoriali cominciando dai vescovadi. Ciò spiega come il monastero poté avere
la meglio in una serie di controversie che lo videro contrapporsi a
singoli episcopati, consolidando le sue prerogative spirituali e giurisdizionali avvalorate dal privilegio dell’esenzione.
F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 120-122; P.F. KEHR, 1913, p. 346 nr. 12.
F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 238-240; P.F. KEHR, 1913, p. 347 nr. 16. Per i privilegi liturgici di indossare mitria, guanti pontificali, calze, sandali e anello episcopale quando officiava nella sua chiesa e nei concili romani, così si esprime Alessandro III scrivendo
all’abate Daniele: «vos donum beneficii reportare, mitram, cyrothecas, caligas et sandalia
tibi, dilecte fili abbas, tuisque successoribus perpetuis temporibus duximus concedenda et
nos quoque de superhabundantiori gratia, usum anuli indulgentes addimus, ut videlicet
hiis omnibus uti intra vestram ecclesiam in missarum celebrationibus, mitra vero tantum
in conciliis Romanorum pontificum debeatis» (F.A. ZACCARIA, 1767, p. 239; inoltre, A.
BARONIO, 1984, pp. 80-82; G. CONSTABLE, 2002, p. 159).
49 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 237-240 nr. 59; P.F. KEHR, 1913, p. 347 nr. 17; inoltre, A.
BARONIO, 1984, p. 27 n. 57.
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48
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
413
Con l’affermarsi tuttavia dell’orientamento opposto, noto come
neo-episcopalismo, mediante il quale i vescovi cercarono di ristabilire il controllo sulle loro diocesi e l’esenzione monastica non era
più considerata come una garanzia per la vita regolare ma come
un’anomalia, anche per l’antica abbazia leonense divenne sempre
più difficile mantenere intatte le sue posizioni di autonomia. Lo
scontro con il vescovo di Brescia a metà e alla fine del XII secolo,
attestato da una serie straordinaria di fonti testimoniali, insieme alla
perdita graduale del controllo su chiese e diritti ecclesiastici del territorio, confermano un quadro ormai meno favorevole all’abbazia
leonense. Tuttavia, quella nutrita serie di chiese, officiate da chierici
nominati dall’abate, di schiere di fedeli che frequentavano le chiese
del cenobio e l’impegno pastorale concreto, unito alla preghiera
continua dei monaci, furono uno strumento formidabile di evangelizzazione del territorium abbatie, i cui benefici effetti sono ancora avvertibili nelle numerose presenze ecclesiastiche sopravvissute fino
ad oggi50.
Legami di fraternità, preghiera e lavoro
Una comunità di estrazione aristocratica, numerosa e riccamente
dotata di beni fiscali come quella leonense doveva innanzitutto corrispondere con l’osservanza claustrale allo scopo per cui era stata
fondata. Le fonti di natura prevalentemente economica non forniscono informazioni dirette al riguardo, lasciano però trasparire la
preoccupazione monastica di avere buoni amministratori in grado
di organizzare le proprietà e di curare gli interessi del cenobio.
Abbandonato il mondo esterno per servire Dio, i monaci di Leno trovavano all’interno del chiostro un modello di vita tutto incentrato sull’opus Dei, che consisteva nel praticare il precetto evangelico
di «pregare incessantemente» (Lc 18,1) a cui nulla doveva essere an50 Dello stesso tenore anche le osservazioni del cronista Cornelio Adro che, all’opera
socio-economica di bonifica agraria, associa quella spirituale dei monaci: «imperochè è cosa chiara, ch’essendo di ragione dell’abbadia tutto il territorio di Leno e non essendo atti
gli monaci a coltivare tanti terreni, né meno ad edificare d’intorno a quelli casamenti che
vi bisognavano per l’habitare delli agricoltori, pigliorno la strada quei primi monaci di dar
via quelle terre a’ diversi col solo patto d’essere riconosciuti per signori, lasciando in libertà quelli che le pigliavano d’edificar terre et case al modo loro. Quando poi questi ebbero
fatte gran parte di case, trasferendosi dalla contrada dove era l’antica e prima chiesa di S.
Giovanni Battista, loro parochia di prima, si fecero nell’altra contrata, dove hora si trova
un’altra chiesa sotto ’l nome di S. Pietro fabricata in quei tempi, alla quale da monaci fu
concesso tanta terra che fosse conveniente per il vivere del parochiano» (L. SIGNORI,
2002, pp. 313-314).
414
GABRIELE ARCHETTI
teposto (RB 43, 3). Ciò era scandito dal canto dei salmi giorno e
notte in comunità (RB 16, 1-5) e dall’orazione personale, fatta silenziosamente con purezza di cuore e lacrime di compunzione (RB
20, 3). Di questo erano consapevoli anche re ed imperatori che nel
corso dei secoli assicurarono all’abbazia la protezione e
quell’agiatezza economica che permetteva ai monaci di intercedere
per la prosperità del regno, l’anima del sovrano e la salvezza eterna
dei suoi cari, come si dice nel diploma di Ludovico II51, di difendere cioè con le armi della preghiera gli interessi della dinastia regnante.
I legami di fraternità spirituale con il monastero di Reichenau e
l’inclusione di ben tre liste di monaci leonensi nel suo liber memorialis
o liber vitae tra VIII e IX secolo, la prima delle quali databile poco
dopo la conquista di Carlo Magno (774) e riunita sotto la registrazione di Hermoaldus abbas52, offrono tuttavia alcuni elementi importanti. Indicano innanzitutto che l’abbazia di Leno – anche rispetto
al mausoleo regio di Santa Giulia di Brescia – venne subito coinvolta nella dinamica dell’espansione franca in un processo di integrazione politico-religiosa mediato dai monaci alemanni di Santa Maria. Il monastero posto sul lago di Costanza, infatti, era strettamente
legato ai carolingi e i rapporti che i suoi abati stabilirono con i
grandi centri monastici al di là e al di qua della Alpi rappresentavano uno strumento di formidabile penetrazione politica dei franchi
nelle regioni di conquista.
Entrare a far parte della fraternità di un cenobio significava acquistare «il diritto di partecipare ai frutti spirituali della preghiera»
dei suoi monaci, giacché i nomi dei confratelli delle comunità sorelle associate nella «conventio precum» erano registrati nel liber commemorialis o liber vitae dell’abbazia e venivano periodicamente integrati con l’inserimento degli elenchi aggiornati dei monaci viventi e
di quelli defunti53. In questo modo, pur restando isolati nella quiete
dei rispettivi claustra, questi monasteri erano in costante collegamento attraverso la rete delle orazioni che giorno e notte innalzavano
per le medesime intenzioni e i contatti periodici che servivano a
51 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 63, 65 (a. 862); Ludovici II. Diplomata, p. 139: «[…] cuius
honoris prerogativam idcirco eidem sacro loco concedimus, ut ipsos Dei cultores, qui ibidem regulariter Deo famulantur, pro nobis et coniuge ac prole nostra seu stabilitate totius
imperii a Deo nobis concessi iugiter Domini misericordiam exorare delectet».
52 Libri confraternitatum Sancti Galli, Augensis, Fabariensis, 1884, pp. 175-177: «Nomina
fratrum de monasterio quod vocatur Leonis»; Das Verbrüderungsbuch der Abtei Reichenau,
1979, pp. 18-19; M. SANDMANN, 1984, pp. 115, 240, 374 sgg.
53 M. SANDMANN, 1984, pp. 362-416; U. LUDVIG, 2006, pp. 145-147.
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
415
conferire i nuovi elenchi o notificare il decesso di qualche fratello,
la cui morte veniva prontamente ricordata e celebrata con apposite
preghiere dalle diverse fraternità. Anche Leno possedeva tali registrazioni commemoriali anche se, come per il resto dei monasteri
italici dell’età caroligia – eccettuato il caso del liber vitae di Santa
Giulia di Brescia – non si sono conservate.
Poco dopo il 774 una prima lista di 101 monaci con a capo
l’abate Ermoaldo veniva dunque recepita dai monaci di Reichenau54
– e altrettando venne fatto da quelli leonensi –, un elenco che conferma indirettamente come il progetto claustrale avviato da Desiderio ed affidato alla guida dei monaci cassinesi avesse avuto pieno
successo. Intorno all’810 una seconda lista leonense venne registrata nel codice memoriale augense, che si apriva con il nome
dell’abate Magus, lo stesso probabilmente di cui è sopravvissuto un
frammento dell’epitaffio funerario: † hic requiescet Magnus abba in pace,
la cui figura si colloca quindi al quarto posto della cronotassi abbaziale dopo Ermoaldo, Lamperto e Anfrido55. Una terza lista, con
110 nomi come quella precedente, giunse verso l’829 in testa alla
quale figura l’abate Baldulfus, mentre gruppi di nomi meno numerosi venivano periodicamente aggiunti al registro memoriale; ciò attesta la frequenza delle relazioni fra le due comunità che continuò ad
essere viva per vari decenni56.
In concomitanza con l’ultima registrazione, intorno all’829-830,
venne recepita anche la lista di 135 monache di Santa Giulia di Brescia: un elenco incompleto compilato dallo stesso monaco che aveva redatto quello di Leno con l’abate Badolfo57. Questa circostanza
suggerisce che i vincoli di fraternità delle monache bresciane con
Reichenau furono probabilmente veicolari dall’abbazia leonense, a
cui il cenobio giuliano era legato dalle comuni origini desideriane e
per i vincoli spirituali attestati dal liber vitae che – proprio nello stesso periodo – avevano cominciato a predisporre e nel quale compiaiono anche i monaci di Leno. È il caso dell’abate Badolfo e del
suo successore Rataldus, il primo registrato sotto il nome di Ludovico il Pio, il secondo vissuto al tempo del vescovo Ramperto e posto
Libri confraternitatum, p. 175.
Libri confraternitatum, p. 175; M. SANDMANN, 1984, p. 390; per l’epigrafe funeraria, cfr.
M. SANNAZARO, 2006, pp. 348-350.
56 Libri confraternitatum, p. 288: «Nomina fratrum de monasterio quod vocatur Leones»,
altri gruppi minori di nomi alle pp. 177 e 308; Das Verbrüderungsbuch der Abtei Reichenau, pp.
111, 119, 123; M. SANDMANN, 1984, pp. 378 sgg., 384, 391.
57 Libri confraternitatum, pp. 260-261: «De monasterio quod vocatur nova»; Das Verbrüderungsbuch der Abtei Reichenau, p. 97.
54
55
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GABRIELE ARCHETTI
all’inizio di una serie di nomi verosimilmente di provenienza leonense58.
Altri legami di fraternità univano il cenobio di Leno con le comunità di Montecassino, di Nonantola, con i cenobi “affratellati” a
Reichenau e con le piccole comunità di priorati dipendenti, i cui
membri – insieme ai nomi dei benefattori – erano registrati nel liber
memorialis del monastero, un codice liturgico posto in genere aperto
sull’altare. La loro commemorazione – fatta di messe, uffici e preghiere – avveniva collettivamente ed era distinta tra il ricordo dei
vivi e la memoria liturgica dei defunti; non era necessario né si poteva, perché erano troppi, ricordarli tutti in modo distinto, poiché
Dio – come si legge nell’Apocalisse (20, 12.15) – conosce il nome
di coloro che sono scritti nel libro della vita e assicura loro salvezza
eterna. Appartenere alla fraternità monastica aveva quindi un valore
spirituale straordinario, ma rivestiva anche una funzione politica essendo i monasteri uno instrumentum regni nelle mani del sovrano, che
agiva attraverso il loro apostolato nel dare uniformità e pace al governo dei territori.
Nell’ambito dell’ordinamento pubblico gli impegni che gravavano sulla grande comunità leonense erano pertanto numerosi e di
varia natura, compensati con la sicurezza economica e la garanzia di
un’agiata quiete sotto la protezione imperiale e il corredo di numerosi privilegi. Il ruolo svolto dal monastero è suffragato dalle carte
che indicano in quale misura i suoi abati parteciparono in prima
persona alle vicende religiose e politiche dell’Europa cristiana: Ermoaldo era giunto da Montecassino su richiesta di Desiderio, Lamperto che gli era succeduto costituiva il collegamento diretto con la
Sede apostolica, Magno aveva sostanziato il legame con il mondo
dei franchi e il monachesimo transalpino, Badolfo e Rataldo erano
stati al centro della rete del rinnovamento del monachesimo carolingio, Remigio aveva svolto le funzioni di arcicancelliere con Ludovico II a cui era subentrato il monaco Adalberto, mentre nel secolo X è verosimile che il cenobio abbia subito le devastazioni ungare – come sappiamo per altri monasteri – trovandosi sul tragitto
degli incursori.
Il ruolo di Leno non si esaurì con il tramonto carolingio, anzi il
legame con la corona imperiale ne fece una pedina importante nello
scenario complesso della riforma ecclesiastica nella prima metà
58 Der Memorial- und Liturgiecodex von San Salvatore / Santa Giulia in Brescia, 2000, pp. 148,
167 e il commento di U. LUDWIG, 2000, pp. 66, 82-83.
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
417
dell’XI secolo. Alla morte dell’abate Liuzo, l’imperatore Enrico II
di concerto con il vescovo di Brescia Landolfo, procedette a designare il monaco Andrea alla successione che venne consacrato dal
presule; l’intervento aveva un significato chiaramente riformatore,
nel senso di un recupero delle prerogative episcopali, ma avvenne
in deroga al diritto di autonomia concesso al monastero da Lotario.
L’intervento di papa Benedetto VIII, con la bolla del 1019, ripristinò l’esenzione leonense e la libertà elettiva della comunità, inviando
come suo delegato il cardinale Benedetto, vescovo di Porto, per la
consacrazione del nuovo abate Oddone, al quale anche l’imperatore
prontamente fece recapitare un diploma di conferma, patrocinato
dal potente abate di Cluny Odilone59. Si stabiliva così un collegamento diretto con l’abbazia borgognona, della quale il cenobio leonense – pur non aderendo formalmente all’ordo cluniacensis – recepiva taluni usi liturgici e dedicava la chiesa posseduta in Brescia, oltre
che a san Benedetto, anche a san Maiolo predecessore di Odilone60.
Pochi anni dopo il vigoroso intervento papale, alla morte
dell’abate Oddone, il controllo imperiale del cenobio si fece nuovamente sentire alla fine del 1035 con la nomina del monaco Richerio – proveniente dal monastero bavarese di Niederaltaich – da parte di Corrado II senza suscitare, questa volta, le rimostranze papali.
Il nuovo abate rimase a Leno fino al 1038 quando il sovrano lo trasferì a Montecassino, vacante dopo la scomparsa di Teobaldo, pur
continuando a reggere le sorti del cenobio bresciano fino alla morte
(† 1055) e legando il suo nome alla riforma spirituale ed interna delle due comunità, ricondotte ad una piena restaurazione disciplinare61. Poco prima della morte, nella direzione del chiostro leonense,
egli designò un altro monaco di Niederaltaich, Guenzelao, la cui
nomina venne accolta da Enrico III; questi guidò il cenobio fino al
1068, governando contemporaneamente l’abbazia tedesca da cui
proveniva, fortemente impegnato sul fronte del rinnovamento ecclesiastico, come lo fu il suo successore Artuico e il priore Gualtiero, a cui Bonizone di Sutri dedicò il Libellus de sacramentis62. Fu certo
in seguito ai rapporti con l’abbazia di Niederaltaich – nei pressi delF.A. ZACCARIA, 1767, pp. 90-95.
È quanto risulta dalla bolla di Alessandro III del 1176, cfr. F.A. ZACCARIA, 1767, p.
238; inoltre, A. BARONIO, 1984, pp. 29-30 e n. 64.
61 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 26-27; W. WUHR, 1948, pp. 369-450; A. BARONIO, 1984, p.
68.
62 Cfr. Annales Altahenses maiores, 1891, pp. 22, 51, 61, 66, 75 (a. 1038, 1055, 1063, 1064,
1068); F.A. ZACCARIA, 1767, p. 27; C. VIOLANTE, 1963, pp. 1033-1034; A. BARONIO,
1984, pp. 66-69; G. SPINELLI, 1992, p. 297.
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GABRIELE ARCHETTI
la quale il santo vescovo Gottardo di Hildesheim era nato – che
venne fondata la cappella in suo onore nel pievato delle XI basiliche (Corvione), ricostruita alla fine del XV secolo, a conferma
dell’impegno leonense per la crescita religiosa e socio-economica
delle campagne della bassa pianura bresciana63.
La preghiera per i benefattori, il servizio al sovrano, i rapporti
con le fraternità monastiche collegate e la gestione di un patrimonio
molto vasto, mettevano Leno al centro di una fitta ragnatela di relazioni sociali difficilmente eludibili. Le stesse adiacenze claustrali
comprendevano strutture – ad esempio la foresteria o hospitalis –
adatte a questi scopi e disposte in modo tale da salvaguardare la riservatezza e la continuità dell’osservanza regolare. Un posto non
secondario spettava naturalmente all’amministrazione delle numerose tenute sparse in buona parte dell’Italia settentrionale – specie
in Lombardia, Veneto, Emilia e alta Toscana –, lavorate da schiere
di rustici e contadini cresciuti con le loro famiglie al loro interno.
La presenza di contratti ad meliorandum relativi ad impianti viticoli
fin dal secolo X, la cura dei canali per l’irrigazione e l’uso attento
delle golene fluviali, uniti all’introduzione dell’allevamento stabulare
e transumante, alla coltura dei terreni su base pedologica e ai diritti
sulle decime o alle prerogative commerciali, al controllo di mercati
e pedaggi danno conto della complessità e degli oneri gestionali richiesti64.
C’erano dunque sempre molti compiti da sbrigare all’interno del
monastero, anche se i lavori manuali più pesanti e impegnativi erano lasciati ai servi e al personale laico, ma non è fuori luogo pensare
che più della metà dei religiosi fosse occupata in servizi amministrativi, dirigenziali o di rappresentanza all’interno e all’esterno
dell’abbazia. Quelli però che non erano impiegati in tali opere, trascorrevano le ore fuori dal coro nella lettura, in lavori artistici e artigianali – come la lavorazione del vetro attestata da alcuni ritrovamenti archeologici65 – o copiando libri nello scriptorium, come mostra il bel esemplare di Bibbia dell’XI realizzato in scrittura tardo carolina, da quattro copisti locali di differente educazione grafica66, al
In proposito G. ARCHETTI, 2009, pp. 100-101.
Per un primo inquadramento di questi problemi, A. BARONIO, 1984, pp. 54-82, 177202, 241-251; alcune carte del XII secolo tuttavia, «brevis de terris», «attestationes testium», investiture e riscossioni decimali, sono assai precise al riguardo.
65 Per il ritrovamento di un impianto per la fusione del vetro, si veda A. BREDA, 1995,
pp. 82-83.
66 Si tratta per ora dell’unico cimelio librario sopravvissuto della biblioteca leonense, peraltro splendido esemplare dell’attività scrittoria che vi si teneva, ora conservato presso la
63
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Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
419
tempo in cui i rapporti tra Leno, Montecassino, Niederaltaich, la
corte imperiale e il papato erano intensissimi. Sin dall’età carolingia
Leno, infatti, fu un centro culturale di riferimento importante per la
circolazione di libri, la promozione di attività, di incontri e scambi
intellettuali, forse anche di studio dei classici, favorito dalle relazioni
internazionali di cui si trovava ad essere crocevia.
Lo scriptorium leonense, però, era soprattutto un laboratorio destinato ai bisogni della comunità monastica e i codici che produceva, come pure i libri conservati nella sua biblioteca – testi di sacra
scrittura, liturgia, teologia, patristica, spiritualità, agiografia, commento alla regola, ecc. – servivano a questo scopo. Doveva certo
essere un patrimonio molto consistente, anche dal punto di vista
economico, se un provvedimento disciplinare di Gregorio IX del
1227 denuncia l’alienazione persino dei libri durante i disordini
scoppiati per l’elezione dell’abate67. Di sicuro non mancavano opere di cultura profana – specie se il loro uso serviva all’esegesi dei testi sacri e all’istruzione elementare –, ma non si deve dimenticare
che l’attività intelletuale fine a se stessa era vista con diffidenza nel
mondo monastico. Manuali di grammatica e di retorica, libri di storia, opere enciclopediche e strumenti per lo studio della matematica, dell’astronomia o della musica erano adottati per
l’apprendimento scolastico e la formazione iniziale dei chierici o dei
giovani monaci destinati a ricevere gli ordini maggiori. Un elenco
nel quale vanno inclusi pure i registri amministrativi – ad esempio i
cartulari o gli inventari patrimoniali – che occupavano una parte
molto rilevante nel tabularium monastico ed erano indispensabili per
la gestione economica delle proprietà e il controllo delle entrate.
Dall’abate leonense, inoltre, dipendeva il funzionamento delle
celle e delle chiese che appartenevano al monastero, per le quali il
cenobio forniva il personale religioso ed ecclesiastico, l’arredo sacro, i paramenti e i libri liturgici necessari al funzionamento. Pochi
lacerti documentari sono sufficienti a illuminare questo aspetto, significativo anche dal punto di vista quantitativo, del numero di codici prodotti e usati. Un testimoniale della fine del XII secolo ricorda che la chiesa di San Genesio, posta nel pievato di Bizzolano, apparteneva al monastero e i monaci la dotavano di quanto aveva bisogno, libri liturgici compresi68; all’inizio del Duecento il cappellano
civica biblioteca Queriniana di Brescia, cfr. E. FERRAGLIO, 2002, pp. 139-154; ma soprattutto, S. GAVINELLI, 2007, pp. 35-39.
67 F.A. ZACCARIA, 1767, p. 197.
68 «Domnus Romanus prior monasterii […], tempore quo Crema obsidebatur, recep-
420
GABRIELE ARCHETTI
di San Pietro di Gottolengo venne messo sotto accusa per la condotta riprovevole e ci fu chi lo accusò, tra l’altro, di essersi arricchito alienando un antifonario sottratto nottetempo69. A chierici e preti inviati nelle dipendenze abbaziali si chiedeva la «peritiam litterarum» e di salvaguardare i beni di quelle cappelle, cominciando dal
tesoro della suppellettile sacra, dei libri liturgici e dei registri contabili70. In taluni casi si trattava di un patrimonio librario di tutto rispetto, come risulta dall’inventario tardo medievale della chiesa di
San Benedetto di Verona che elenca una trentina di manoscritti con
codici miniati, testi di uso comune, anche antichi o di più modesto
valore, corali, messali, rituali e così via71.
tum fuisse in ecclesia Sancti Genesii a pre Martino tamquam in ecclesia Leonensis monasterii, item dicit se vidisse pre Martinum eundem venire ad monasterium de Leno tamquam sacerdos illius monasterii, et petere a fratribus monasterii de rebus sibi necessariis,
et is testis vidit de libris monasterii sibi comodari» (ASCBs, CDB, b. 7 nr. 138, attestationes
testium).
69 ASMi, AD, PF, cart. 85 (fasc. 40e), perg. inizio sec. XIII, attestationes testium: «furtum
fecit de rebus ecclesie […] maxime de antifenario uno noctis […]; fama publica est quod
furatus fuit antifenarium unum dicte ecclesie».
70 Cfr., ad esempio, il caso della pieve di Panzano (F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 192-193,
223; E. BARBIERI, M.C. SUCCURRO, 2009, pp. 298-310).
71 L’inventario del 1477 è riportato dallo Zaccaria: «[…] item unum missale novum carte pecorine secundum Romanam curiam in bona litera grossa depinctum ad omnes solemnitates cum auro copertum coreo rubeo cum quatuor zolis; item unum missale vetus
charte capretti copertum coreo rubeo; item duo missaletti votivi charte capretti veteres; item unus librettus a Sacramentis vetus charte capretti; item unus librettus a baptizando vetus carte capretti copertus coreo rubeo; item Psalmista unus vetus sine permulis parvi valoris; item unum orationale antiquum cum permulis parvi valoris; item unum graduale antiquum sine permulis modici valoris; item certa pars unius psalterii antiqui sine permulis
parvi valoris; item certa pars unius homeliarii vetus sine permulis modici valoris; item unum psalterium parvum et caducum modici valoris; item unus hymnarius vetus sine permulis; item unus quaternus antiquus cum aliquibus gloriis parvi valoris; item certa pars unius Epistolarii et Evangelistarii vetus sine permulis parvi valoris; item unus librettus officii sacratissimi corporis Christi; item unus liber antiquus cum una permula conrosa qui
incipit Maria autem conservabat; item unus liber mediocris in bona charta cum permulis copertus coreo albo cum clavibus incipit Calendarius; item unus liber in bona charta sine
permulis cum rubricis et in prima charta legitur Ordo de celebrando concilio; item unus liber in
charta papiri cum permulis charte de stracio qui incipit Missale secundum consuetudinem ecclesie
parvi valoris; item unus librettus in charta bona cum permulis copertus coreo albo qui
incipit Capitula gregorialium parvi valoris; item unus librettus in bona charta copertus coreo
chiavato cum permulis qui incipit Misericordia parvi valoris; item unus psalmista vetus in
bona charta cum permulis charte a stratio qui incipit Servivit Domino parvi valoris; item unus liber vetus in charta membrana cum permulis copertu coreo albo qui incipit Abicimus
opera tenebrarum parvi valoris; item unus liber vetus in charta membrana sine permulis incipiens Pudicissima parvi valoris; item unus liber vetus sine permulis in bona charta qui
incipit Sermones dominicales parvi valoris; item unus liber magnus vetus in charta membrana
sine permulis incipiens Spiritus Domini ornavit parvi valoris; item unus liber antiquus magnus in bona charta cum permulis incipiens Reverendissimo fratri Leandro episcopo parvi valoris; item unus liber vetus magnus sine permulis in bona charta, in prima cuius reperitur
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
421
Presso il cenobio era poi in funzione una scuola per l’istruzione
elementare dei pueri oblati, finalizzata a prepararli per il sacerdozio,
ma da un testimoniale del XII secolo – in cui si ricorda la figura del
maestro Ruffus che «regebat scolas loco de Leno»72 – è possibile dire
che accanto alla scuola riservata ai giovani monaci, interna al chiostro, ne funzionava una esterna destinata ai laici e ai chierici.
L’abate infatti «propriis manibus de scolaribus facit clericos»73, inviandoli poi dove voleva per ricevere gli ordini maggiori, ed era suo
dovere verificarne la preparazione culturale. Esisteva quindi, fuori
del monastero, un’altra scuola per l’istruzione elementare dei bambini e la formazione clericale, la cui direzione era affidata a magistri
dipendenti dall’abbazia, monaci e non monaci, i cui nomi figurano
spesso nelle carte leonensi. Si apprendeva a leggere e a scrivere anche presso le scuole parrocchiali come confermano varie attestazioni del XII secolo: un prete disse di aver appreso litteras presso la
chiesa di Pavone, un altro ricordò che «quando era bambino, aveva
abitato a Carzago presso il presbitero Pietro – che era suo zio paterno –, dove aveva imparato a leggere e a scrivere», mentre un
chierico riferì che, grazie all’insegnamento dello stesso presbitero,
era diventato suddiacono, diacono e prete74.
L’impegno pastorale dell’abbazia
Il patrimonio leonense comprendeva, accanto al possesso di terre e diritti economici, la giurisdizione sulle celle monastiche, sulle
numerose chiese rurali e persino su alcune pievi in varie diocesi; tali
prerogative si erano rafforzate tra X e XI secolo con l’esenzione,
grazie alla quale l’abate poteva amministrare le sue dipendenze ecclesiastiche in modo autonomo dall’autorità ordinaria dei vescovi.
scriptum Peccandi modici valoris; item unus liber magnus vetus in bona charta cum permulis corrosis, in prima charta cuius legitur Prologus Actuum apostolorum; item unus liber antiquus magnus cum permulis fractis copertus coreo albo incipiens Hierusalem civitatem intelligam» (F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 253-254).
72 Ibidem, p. 177.
73 Ibidem, p. 174.
74 Ibidem, pp. 166, 180; ASCBs, CDB, b. 7 nr. CXXXVI: «Oricus clericus plebis Undecim Basilicarum […] natus fuit in loco Carzachi et, cum puer erat, stabat ipso loco et didicebat litteras a presbitero Petro qui erat eius patruus». Anche dalla deposizione di Ottone
de Mussa apprendiamo indirettamente della sua formazione scolastica, in quanto disse di
essere stato presente quando Federico Barbarossa tenne il placito nell’hospitalis monastico
(1185) e di aver udito e compreso perfettamente ciò che egli diceva, essendosi espresso in
latino: «Interrogatus qua lingua loquebatur dominus imperatur, respondit latina et bene intelligam quia vicinus eram» (F.A. ZACCARIA, 1767, p. 179).
422
GABRIELE ARCHETTI
Nelle curtes che il monastero ricevette erano spesso comprese delle
cappelle e dove non ne esistevano i monaci provvidero ad istituirne
di nuove; per questi edifici di culto la dotazione patrimoniale era ricavata dai possessi leonensi, l’abate assicurava il corredo degli oggetti liturgici e della suppellettile sacra, inviava il personale ecclesiastico per l’officiatura e la cura animarum dei fedeli, dopo averlo formato alla scuola abbaziale e saggiato l’idoneità.
Le cappelle edificate su beni allodiali, inoltre, tra X e XI secolo si
resero via via indipendenti dalle circoscrizioni pievane in cui erano
collocate, diventando battesimali e acquisendo a pieno titolo le funzioni pastorali parrocchiali. Questo processo venne favorito dalla
frantumazione delle curtes altomedievali e dal sorgere dei nuovi centri di potere imperniati sui castelli, con la conseguente creazione di
nuovi distretti signorili locali. Le controversie che nel XII secolo il
monastero dovette sostenere con l’episcopato erano l’esito finale di
queste trasformazioni, di cui le prime avvisaglie si erano già avute
un secolo prima per il controllo delle decime di Montelongo nella
vertenza col vescovo di Luni. Salvo le pievi di Leno e di Panzano,
gli esempi delle chiese di Gambara, di Gottolengo, di Pavone, di
Pralboino, di Fiesse, di Remedello e Bizzolano Inferiore, di Ostiano, di Torricella o di Carzago, poste nel territorium abbatie, sintetizzano bene questo processo che possiamo esaminare più da vicino.
La pieve di Leno innanzitutto – o meglio la “chiesa battesimale”,
perché la sua inclusione nella matricula plebium diocesana non era
condivisa75 – apparteneva fin dalla fondazione desideriana al cenobio; era dedicata a San Giovanni Battista e dall’età tardo antica rappresentava il riferimento religioso dell’ordinamento ecclesiastico locale. Non era tuttavia l’unico edificio di culto nel territorio lenese
perché esistevano altre cappelle, alcune delle quali anche molto antiche, come quella di Santi Nazzaro e forse di San Vittore; vi era poi
San Pietro, eretta tra X e XI secolo, e la cappella del Santo Sepolcro
– nota anche col titolo di Santa Scolastica – consacrata
dall’arcivescovo di Ravenna Riccardo, nei primi anni del XII secolo,
durante l’abbaziato di Tebaldo76. Alla pieve veniva dato il battesimo, la comunità si riuniva per ascoltare la messa, crescere
nell’istruzione religiosa, ricevere l’assoluzione dei peccati e il vescovo, su invito dell’abate, amministrava la cresima; alla matrice si ver75
76
238.
Cfr. al riguardo G. ARCHETTI, 2007, pp. 167-170.
F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 107, 109, 112, 114, 117, 141-142, 146-148, 159, 206, 208,
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
423
savano le decime e le primizie, i suoi preti – nominati dall’abate insieme al rettore – assicuravano l’amministrazione sacramentale,
l’assistenza spirituale ai malati e cristiana sepoltura a quanti morivano.
La sua collocazione decentrata, in origine funzionale alla cura pastorale di un ampio territorio rurale, cominciò ad essere scomoda in
seguito all’affermarsi del monastero e al conseguente sviluppo del
burgus di Leno77. Quando all’inizio del X secolo, sulla spinta delle invasioni e dell’insicurezza generale, il centro di Leno e l’abbazia vennero munite di un castello, gli venne affiancata la nuova chiesa di San
Pietro78, più centrale rispetto alla vecchia pieve, con un collegio di
canonici diretti da un preposito, sui quali finirono per ricadere gradualmente le competenze pastorali di San Giovanni. Fu un processo
lento, ma le funzioni che prima erano di pertinenza esclusiva della
matrice cominciarono ad essere svolte anche in San Pietro o altrove
nelle cappelle del pievato. Per esempio, la cresima veniva data alla
pieve, in San Pietro o nella basilica monastica di San Benedetto, il
capitolo non era più convocato esclusivamente alla matrice, come
pure la catechesi, la celebrazione domenicale o la sepoltura dei fedeli79.
Prerogativa di San Giovanni tuttavia, ancora nella seconda metà
del XII secolo, erano le funzioni battesimali del Sabato Santo, come
77 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 144-148; A. BARONIO, 1984, pp. 232-234 sgg.; inoltre, le
notizie offerte da Cornelio Adro: «Ne’ pur è da meravigliarsi che la chiesa di S. Giovanni,
qual hora è distrutta et abbandonata sia la prima nominata doppo il monasterio, essendo
cosa chiara che in quel tempo, non solo quella era la parochiale di Leno, dove si pigliavan
i santissimi sacramenti, ma che ancora in quel contorno si trovava la terra per avanti distrutta da qualche accidente, essendosi dalle escavazioni scuoperti in più luoghi rottami di
fabbriche in quantità, indicanti esser ivi stati de’ casamenti, se bene poi col tempo è stata
redificata la terra medesima dove di presente si trova et vi è anco stata edificata la chiesa di
S. Pietro hora parochiale, la quale primieramente non vi si trovava al comodo della terra
edificata» (L. SIGNORI, 2002, p. 307).
78 Compare infatti nella bolla di Gregorio VII (F.A. ZACCARIA, 1767, p. 107; inoltre, A.
BARONIO, 1984, pp. 71, 223-240 passim) ed è ricordata da Cornelio Adro in rapporto alla
pieve quando scrive che l’abate andò dal papa, «et supplicandolo della confirmatione de’
privilegi fatti già da tutti li prencipi passati, l’ottenne con un altro amplo privilegio, nel
quale sono nominati tutti gli altri et parimente sono nominati i luoghi dell’abbadia; in particolare, trovo in questo nominata la chiesa di S. Pietro di Leno, mai nominata nelli altri
privilegi, ma solo quella di S. Giovanni, perilche può credere che in questi tempi fosse edificata per il comodo della terra et dotata dall’abbadia, la quale all’hora era patrona et signora di tutto Leno, come si può vedere dalle scritture; et però si vede prima nominata la
chiesa di S. Giovanni, essendo la prima edificata per parochia et ultimamente quella di S.
Pietro, che hora serve per parochia, et quella di S. Giovanni essendo fuori di terra, si trova
abbandonata» (L. SIGNORI, 2002, p. 310).
79 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 164-165, 178.
424
GABRIELE ARCHETTI
ricorda una fonte: «quando i chierici di San Pietro vanno alla pieve
per battezzare, prima si recano al cenobio a chiedere ai monaci chi e
quali di loro, che sono stati ordinati, sono destinati alla matrice per il
rito della consacrazione; alcuni monaci si recano allora con uno dei
sacerdoti del monastero, il quale benedice il fonte battesimale alla
presenza dei canonici di San Pietro e del presbitero di Milzanello, che
appartiene al pievato; quando poi la benedizione del fonte è stata effettuata, egli chiede che tre bambini, chiamati Pietro, Giacomo e Maria, vengano condotti al monastero per essere battezzati dall’abate, se
questi è presente, o, in sua assenza, dal priore»80. Alla pieve, dunque,
i preti di San Pietro o il presbitero di Milzanello amministravano il
battesimo, che veniva dato anche in monastero, dove era stato trasportato il fonte battesimale, se in occasione della visita di papa Eugenio III nel 1148 – per consacrare la basilica abbaziale, distrutta da
un incendio pochi anni prima –, il pontefice fece rimuove la grande
vasca lapidea ordinando «che il battesimo non venisse celebrato là
ma nella chiesa pievana» deputata a questo scopo81.
La presenza di cappelle leonensi diventava uno spazio di autonomia giurisdizionale: gli abitanti del pievato di Ostiano, ad esempio,
venivano battezzati, ricevevano l’istruzione religiosa e l’assistenza sacramentale alla matrice, a cui pagavano le decime, ma nella chiesa di
San Michele – eretta su un allodio monastico – era l’abate a nominare
i chierici per l’officiatura e a dirimere le vertenze matrimoniali, men80 F.A. ZACCARIA, 1767, p. 141. Alla fine del medioevo le cose non erano cambiate, secondo il racconto di Cornelio Adro che descrive la situazione all’inizio del XIV secolo, «È
da sapersi che al tempo di quest’abbate Pietro e dell’abbate Aicardo et forsi assai prima, la
cura parochiale si faceva nella chiesa di S. Benedetto da i monaci e da capellani che tenevano, perché anco i preti che in quel tempo servivano nella chiesa di S. Pietro si chiamavano capellani dell’abbate, come si vede in un processo con la prodotta d’alcuni testimonii
che furon esaminati sopra questa materia, i quali attestano questa verità col dire d’haver
veduto al tempo loro battezzarsi figliuoli dell’uno e dell’altro sesso et il Sabbato Santo a
fare le cerimonie che si sogliono fare d’intorno al battesimo, et questo in quel grand’avello
che si vede anco di presente in essa chiesa, onde si può credere che prima il battisterio
fosse in S. Giovanni, come accennano pur anco alcuni d’essi testimonii et che doppo la
destruttione della chiesa di S. Benedetto, fatta come s’è detto di sopra da Corrado 3° et
parimente in quella di S. Giovanni Battista, la quale pur anco fu aedificata, come si può
vedere nelle pareti di fuori via, che sono fatte di rottami d’altre fabbriche; et però redificata la chiesa di S. Benedetto siasi fatta cura in essa sin che da i monaci fosse poi terminato
di farla in S. Pietro, dove anco al presente si fa» (L. SIGNORI, 2002, pp. 321-322).
81 F.A. ZACCARIA, 1767, p. 178; per questa circostanza, A. BARONIO, 1984, pp. 30, 78,
167-168, 176. Le notizie trovano conferma nelle dichiarazioni di numerosi testi che concordemente dissero che, al comando dell’abate, i canonici di San Pietro battezzavano alla
pieve alla presenza di uno o più monaci, ai quali competeva la consacrazione del fonte
battesimale, mentre l’abate si riservava il diritto di dare il battesimo a tre o quattro bambini nella basilica del monastero, senza per questo disobbedire al comando del pontefice.
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
425
tre l’arciprete vi si recava solo di tanto in tanto – come nella festa patronale – ed era il prete incardinato a battezzare i suoi fedeli, che potevano scegliere se essere sepolti nel cimitero della pieve o in quello
parrocchiale82. La stessa cosa accadeva a quelli di Carzago, di Fontanella e di Remedello Sotto in rapporto alla pieve delle XI basiliche di
Corvione o a quelli della chiesa di San Benedetto di Bizzolano in relazione all’omonima matrice83, processo che ebbe come conseguenza
il graduale esautoramento delle sedi pievane. A Gambara e Gottolengo il processo fu ancora più rapido e fece decadere l’antica pieve di
San Faustino de busco, che aveva cessato le sue funzioni già all’inizio
del XIII secolo.
A Pavone e a Fiesse le chiese battezzavano per conto dell’abate –
e per questo erano dette “battesimali” –, il quale dava la tonsura ai
chierici che poi incardinava, giudicava e convocava per il capitolo.
Questi preti assicuravano l’officiatura e la cura pastorale dei fedeli,
la loro formazione religiosa, come ricordava un teste che «ascoltò i
misteri del Simbolo spiegati in chiesa» durante la Quaresima, mandavano qualcuno a prendere il crisma e l’olio santo in monastero,
istruivano le pratiche relative alle cause matrimoniali giudicate
dall’abate e avviavano la raccolta delle decime; tali operazioni avvenivano comuniter al segnale della campana, stoccando i prodotti in
chiesa, con il controllo ecclesiastico e la collaborazione dei rappresentanti delle comunità locali, dei sindaci e degli ufficiali di polizia
campestre84. I fedeli erano quindi impegnati nel mantenimento e
nel restauro delle loro chiese, a cui facevano offerte e lasciavano
beni, anche per via testamentaria, confidando di lucrare la salvezza
eterna.
Queste parrocchie rurali erano in molti casi realtà importanti,
con edifici ragguardevoli in grado di eguagliare e persino di superare le sedi pievane; erano officiate da singoli sacerdoti o da comunità
di fratres e di canonici – come le chiese di San Pietro di Leno, di
Santa Maria di Gambara o di San Pietro di Gottolengo –, comprendenti preti, chierici, conversi e laici dediti all’assistenza del clero. I loro compiti comprendevano la celebrazione della messa,
l’ascolto delle confessioni, l’imposizione delle penitenze, la regolarità delle celebrazioni liturgiche annuali, delle processioni e delle benedizioni, l’educazione cristiana, il conforto ai malati e la responsaF.A. ZACCARIA, 1767, p. 161.
Ibidem, pp. 138-139, 141-143, 170, sgg., 182-183 sgg.; per gli esiti di questo processo,
cfr. G. CONSTABLE, 2002, pp. 160-178; G. ARCHETTI, 2009, pp. 86-113.
84 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 164-166.
82
83
426
GABRIELE ARCHETTI
bilità delle esequie, anche se i diritti di sepoltura erano talvolta divisi. Nella pieve modenense di Santa Maria di Panzano l’abate nominava l’arciprete che doveva essere di buona cultura e risiedere stabilmente; era affiancato da un altro prete nell’attività pastorale, ma
la vicina parrocchia dei Santi Giacomo e Filippo, annessa alla cella
monastica, aveva un collegio canonicale composto di tre benefici
per il rettore, un sacerdote e un chierico85. Non conosciamo invece
il numero dei canonici né della pieve, né della canonica di San Pietro di Leno – di sicuro assai consistente –, mentre la parrocchia di
San Pietro di Gottolengo – staccatasi dalla pieve di San Faustino –
aveva un capitolo di quattro persone e Santa Maria di Gambara addirittura superiore a otto prima del 1195.
L’abate dunque istituiva i suoi chierici che poi inviava a Cremona,
a Verona o altrove per essere consacrati e ordinati; li incardinava nelle chiese dipendenti, li trasferiva e li giudicava per il comportamento
e l’impegno pastorale, come pure li convocava per il capitolo
all’inizio della Quaresima, li riuniva periodicamente in monastero o li
invitava per le solennità, come la festa di San Benedetto quando insieme officiavano al mattino e poi pranzavano. Egli si recava di persona, o mediante un monaco delegato, a far visita alle sue chiese e vi
officiava nella festa patronale, assicurando l’invio dell’olio e del crisma per gli usi liturgico-sacramentali, mentre un vescovo “amico” –
mai quello di Brescia – o un delegato apostolico era incaricato delle
cresime e delle altre necessità ecclesiastiche, come la consacrazione di
altari, la benedizione dell’abate, il conferimento degli ordini maggiori
a chierici e monaci o l’esame di cause di natura ecclesiastica.
Nel territorium abbatie, inoltre, aveva la competenza anche sulle cause matrimoniali che, dopo l’esame preliminare dei cappellani competenti a livello territoriale, giudicava direttamente comminando le sanzioni canoniche previste. I vari testi che ricordano questi interventi
sono precisi sui casi esaminati e lo sono anche in merito alle scomuniche, come aveva fatto l’abate Onesto che «scomunicò Bonfigino,
perché non voleva lasciare la moglie a causa della parentela, gettando
pubblicamente le candele per terra dai gradini della chiesa in San Pietro di Leno» e un altro testimoniò di essere stato presente al giudizio
emesso dall’abate sotto il portico della canonica di Ostiano86. Anche i
85 Ibidem, pp. 223-229 e ad indicem; E. BARBIERI, M.C. SUCCURRO, 2009, pp. 303 sgg.;
ASMi, AD, PF, cart. 88 (fasc. 40m), Panzano, 12 aprile 1331.
86 Il rito prevedeva che al momento della scomunica dodici sacerdoti stessero intorno al
vescovo che gettava simbolicamente per terra le lucerne accese, spegnendole con i piedi,
in riferimento al venir meno della luce della fede in coloro che subivano il provvedimento
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
427
duelli giudiziari ricadevano sotto la competenza dell’abate. Uno scontro tra i Cazavacca di Gambara e alcuni di Remedello, per i terreni in
località Varnico a mattina del torrente Gambara, fu combattuto a
Leno, un altro avvenne per il delitto compiuto dalla figlia di Giovannino di Montichiari; in questo caso, però, poco prima dello scontro
diretto – dopo aver celebrato la messa, benedette le armi e i campioni
– si giunse ad un accordo evitando il duello87.
Un’attenzione particolare, infine, era naturalmente riservata
all’ospitalità. Un compito “istituzionale”, a cui era destinata una porzione delle rendite decimali88, esercitato secondo la tradizione benedettina nell’accoglienza di poveri e pellegrini, oltre che dal cenobio,
anche dalle celle e dalle chiese rurali dipendenti. La foresteria monastica o hospitalis di Leno, innanzitutto, nonostante l’esiguità delle informazioni, era situata a sera del complesso abbaziale nei pressi del
castrum e del torrente Frezule: doveva trattarsi di una struttura imponente – forse la più rilevante del territorio bresciano e non solo –,
idonea a ricevere ospiti di altissimo rango sin dall’età carolingia89. Era
a corte chiusa, con edifici in muratura a due piani, portici a piano terra e spazi per il personale di servizio, stalle, locali di deposito, pozzi e
cisterne; aveva un ingresso autonomo rispetto al castrum, benché contiguo alla struttura munita, stanze riscaldate e una grande aula con
camino al piano superiore (solarium), a cui si accedeva da una scala esterna, dove nel 1148 venne alloggiato il seguito di papa Eugenio III
in visita all’abbazia, nel 1158 Federico Barbarossa tenne un’assemblea giudiziaria e nel 1185 trovò ospitalità con il suo seguito, ma
vi soggiornarono via via anche il vescovo di Brescia, cardinali, presuli, abati, alti dignitari pubblici e una miriade di pellegrini e viandanti90.
Col trascorrere degli anni la monumentale struttura doveva aver
subito restauri e trasformazioni per essere adattata alle varie esigenze, a cominciare da quelle difensive legate all’erezione del castrum
che vi faceva parte integrante a mezzogiorno. Con la fine del XII
secolo, tuttavia, gli scopi di ospitalità e di rappresentanza per i quali
canonico. Ibidem, pp. 146-147, 163, 168, altri riferimenti alle cause matrimoniali pp. 145,
148, 161, 164-167, ecc.; inoltre, G. CONSTABLE, 2002, p. 166; R. BELLINI, 2000, pp. 57-60.
87 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 140, 174-176; anche, G. CONSTABLE, 2002, pp. 166-167.
88 Riferimenti precisi a questo impegno caritativo sono contenuti nei privilegi concessi
all’abbazia, a partire dal diploma del 958: «omnes decimas desuper abbatiam in usum pauperum et hospitum» (I diplomi di Ugo e Lotario, p. 324); inoltre, qualche considerazione in
G. ARCHETTI, 2002, pp. 121-123.
89 Sull’importanza dell’accoglienza da parte dei cenobi in età carolingia e nell’ambito
bresciano, v. G. ARCHETTI, 2001, pp. 69-128.
90 A. BARONIO, 1984, pp. 34, 93, 183, 223 e n. 40; ID., 2001, p. 134.
428
GABRIELE ARCHETTI
era sorto ed aveva operato l’ospedale fino a quel momento si esaurirono, per cui si procedette alla sua riqualificazione funzionale, accelerata forse anche a causa dei danni provocati dagli scontri di
quegli anni tra intrinseci ed estrinseci91. Nel 1209 l’abate Onesto ne avviò il rinnovamento, dedicandolo ai santi Bartolomeo e Antonio, e
finalizzandolo all’assistenza di poveri e malati92. Una comunità di
chierici e conversi, viventi in comune sotto la regola di sant’Agostino, integrata da consuetudini proprie, ne assunse la gestione
mentre il controllo del patrimonio fondiario restò sotto l’autorità
dell’abate; ciò permetteva ai fratres l’esercizio della carità, il soccorso
dei poveri e di dare un tetto e un pasto caldo a quanti ne avevano
bisogno.
Nel corso del tempo, tuttavia, incrementando l’impegno assistenziale verso viandanti e pellegrini, l’abbazia di Leno aveva mantenuto strutture di ospitalità in tutta l’Italia centro settentrionale,
con particolare riguardo all’area lombarda, emiliana, lungo la via
Francigena e il Tirreno; possedimenti che vennero consolidati
all’inizio dell’XI con l’appoggio della casa regnante di Franconia93.
Tra queste, un posto di rilievo ebbe il priorato modenese di Panzano, da cui dipendevano una pieve, l’ospedale di Sant’Egidio della
Muzza e vari centri minori; una donazione del 1175 precisa che
l’hospitale – retto da un prete e da un converso con obbligo di residenza – poteva accogliere eventuali fratres maschi e femmine al suo
interno, ma il presbitero doveva chiedere il consenso dell’abate –
che avrebbe poi eventualmente conferito gli ordini sacri alle nuove
leve –, su cui ricadeva la responsabilità del funzionamento e la rappresentanza legale, mentre alcune carte danno conto della gestione
economica94. Nell’area dell’Appennino bolognese, invece, il monastero di San Biagio e della Trinità fu oggetto di numerose donazioni
nell’XI secolo; era retto da un monaco prete, denominato custos et rector, figura nella bolla di Eugenio III del 1143 e venne ceduto al monastero di Santo Stefano di Bologna nel 1164 dai monaci di Leno95.
91 In una carta del 22 gennaio 1208 si parla di sedimi posti «in castro novo»; distinto
dalle vecchie fortificazioni, il castello doveva trovarsi nei pressi dell’ospedale e dell’area del
mercato. ASMi, AD, PF, cart. 84 (fasc. 40c).
92 A. BARONIO, 2001, p. 138 e n. 101; G. ARCHETTI, 2001, p. 125 e n. 128.
93 Si veda per questi aspetti legati al patrimonio, A. BARONIO, 2001, pp. 129-162; ID.,
2002, pp. 37-49; P. RIGOSA, 2006, pp. 433-456.
94 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 122-123, 221-222; E. BARBIERI, 2006, pp. 379-382; A.
BARONIO, 1984, pp. 85, 87, 222 n. 37.
95 F.A. ZACCARIA, 1767, p. 117; E. ZAGNONI, 1997, pp. 415-543; A. BARBIERI, 2006, pp.
364-376.
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
429
Il centro di riferimento sulla direttrice verso il Tirreno fu invece la cella, e poi priorato parmense, di Fontanellato lungo la via
Emilia verso Fidenza, annesso al quale vi erano la chiesa di San
Benedetto, una serie di villaggi e cappelle96. A Fontanellato gli itinerari fluviali e viari provenienti dalla pianura Padana si riunivano
in vista del monte Bardone, e qui le acquisizioni di Noceto, Madesano e Cassio poste in Val di Taro, insieme ai beni della Valle del
Magra – Montelongo, Pontremoli, Mulazzo e Arcole, attestati nelle fonti a partire dal 1014 –, erano di probabile derivazione fiscale e
possono essere identificati – specie quelli della Lunigiana – con le
curtes e le ville registrate nelle carte altomedievali leonensi relative
al territorio della Tuscia. A Montelongo in particolare, nel pievato
di Vignola lungo la strada per Pontremoli, a una decina di chilometri dal passo della Cisa, l’abbazia di Leno aveva una grande curtis con uno xenodochio e la chiesa di San Benedetto; una presenza
importante non solo dal punto di vista patrimoniale, ma anche
ecclesiastico – tanto da diventare oggetto di tensioni col vescovo
di Luni – giacché il cenobio controllava varie cappelle, esercitava
la cura animarum su numerosi villaggi sparsi e dava assistenza ai
viandanti97.
Superato il passo della Cisa, Leno possedeva la cella di Pontremoli, poi priorato, con la chiesa di San Giorgio e vari beni, luogo di
passaggio obbligato per il transito della Lunigiana; la chiesa si trovava sulla via Francigena, aveva una piazza antistante oltre la quale
si ergeva il celebre ospizio di San Leonardo, era affiancata da una
canonica, da alcune domus, dal cimitero e riscuoteva la metà dei pedaggi98. La nomina del priore o del cappellano dipendeva dal cenobio, il quale entrava in carica dopo aver giurato nelle mani
dell’abate, mentre la presa di possesso era annunciata dal suono delle campane e segnata da una ritualità fortemente simbolica, che
prevedeva l’ispezione diretta del priorato, il controllo delle porte e
del patrimonio. Proseguendo nella valle del Magra altro cospicuo
centro di riferimento era costituito dai beni nel pievato di Sorano: la
chiesa di San Benedetto di Talavorno, di cui restano ancora i ruderi,
i possedimenti di Mulazzo e più a sud verso Sarzana quelli di Arco96 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 88, 91, 94, 97, 101, 107, 109, 112, 115, 117, 125, 133, 155,
157, 239; A. BARONIO, 2001, p. 138; ID., 2002, pp. 46-47.
97 Cfr. P. RIGOSA, 2006, pp. 436-431 e i rimandi ivi contenuti.
98 La dipendenza di Pontremoli fa la sua comparsa nelle carte leonensi con i diplomi di
Enrico II (1014, 1019) e figura in tutta la documentazione successiva, cfr. G. ARCHETTI,
2002, p. 122; P. RIGOSA, 2006, pp. 441-446.
430
GABRIELE ARCHETTI
la, come pure quelli di Sesta e Zignago nella vicina valle del Vara,
dove il cenobio aveva un’ecclesia e forse un ospedale, rinvenuti su
base archeologica99. Ciò a conferma dell’impegno apostolico, caritativo e assistenziale dell’abbazia leonense.
Dalla mancata riforma alla commenda
Con l’inizio del XIII secolo i problemi legati ai rapporti con le istituzioni ecclesiastiche e civili, con le comunità locali e i vassalli –
già manifestatisi, anche in forme violente, nei decenni precedenti –
avviarono l’abbazia di Leno verso una graduale decadenza dalla
quale non poté più risollevarsi. Lo sviluppo della società comunale,
con le trasformazioni politiche, economiche e organizzative che recava con sé, era meno favorevole al monachesimo tradizionale, incapace di interpretare come in passato le istanze spirituali e di rinnovamento religioso. Nella prima metà del XII secolo, il monastero
aveva ricevuto le visite papali di Innocenzo II (1132) e di Eugenio
IV (1148), vari prelati vi avevano soggiornato e Adriano IV aveva
concesso il privilegio delle insegne episcopali al suo abate, mentre
lo stesso Barbarossa aveva continuato a considerarlo un punto di riferimento nella politica imperiale in Italia e, nonostante i danni causati dal transito delle sue truppe, vi aveva fatto tappa almeno due
volte, sostenendo le rivendicazioni monastiche di fronte all’ordinario locale, e confermato nel 1177 privilegi e possedimenti.
Nel corso del XII, però, anche in seguito all’evoluzione della politica pontificia, l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica e delle
funzioni pastorali dei monaci sulle chiese rurali era stato a più riprese messo in discussione dal vescovo di Brescia, che – sostenuto in
questo dal comune cittadino, impegnato ad estendere la sua autorità
nel contado – si tradusse in procedimenti giudiziari dall’esito incerto. La lotta di Federico I contro i comuni aveva causato incendi e
distruzioni che rendeva precario il controllo dei beni monastici e
dei gruppi vassallatici, tanto che nel 1192 l’abate Gonterio –
l’ultimo grande abate, eletto nel 1178, a cui si deve il forte tentativo
di affermazione giurisdizionale del monastero accompagnato dal
rinnovo delle sue strutture edilizie – si vide costretto ad avviare una
ricognizione patrimoniale, chiamando i vassalli in San Pietro de
Dom a Brescia per riaffermare i vincoli di fedeltà che essi avevano
99
Cfr. P. RIGOSA, 2006, pp. 446-453 e i relativi rimandi.
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
431
col cenobio100. Ma la situazione di incertezza dipendeva anche dal
contesto socio-politico generale, dove i gruppi di potere, divisi in
opposte fazioni, utilizzavano di volta in volta i beni feudali o le debolezze del monastero per la loro crescita personale e familiare, ulteriormente complicata dallo sviluppo delle comunità locali, la cui
autonomia era di volta in volta sostenuta o contrastata dalle diverse
compagini.
Ciò apparve in tutta la sua drammatica gravità alla morte di Gonterio, quando, dopo una lunga vacanza gli successe Onesto, che
compare come abate nel 1206; la sua probabile provenienza dalla
famiglia comitale dei Casaloldo – circostanza che spiegherebbe
l’introduzione da parte sua del titolo di comes – rappresentava una
continuità di governo, giacché era strettamente legata ai Lavellolongo a cui doveva appartenere il predecessore Gonterio101. Il nuovo
abate si trovò presto invischiato nei conflitti di parte che insanguinavano la città riflettendosi anche all’interno del chiostro; nel 1207
il castrum di Leno divenne la roccaforte dei Casaloldo dopo essere
stati scacciati dalla città, insieme alla pars militum, dai populares, i quali
giunsero anche ad assalire il monastero (1209)102. Negli anni seguenti il peso dei debiti, che nel 1212 aveva costretto alla dismissione della corte modenese di San Vincenzo, e le rivendicazioni del
comune rurale di Leno impegnarono l’abate nel recupero patrimoniale e nella salvaguardia dei diritti giurisdizionali del cenobio.
Alla sua sua morte, la mancanza di una guida autorevole divenne
una minaccia per la quiete claustrale. Tra febbraio e aprile del 1227
venne eletto il monaco Epifanio103 che resse fino al 1230 la comunità, costituita da una ventina di monaci circa, quando il papa lo ri100 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 128-132; A. BARONIO, 1984, pp. 9-20; la funzione leonense venne ribadita con forza nel 1200 da Gonterio nell’iscrizione del portale rinnovato della
basilica abbaziale (S. GAVINELLI, 2006, pp. 353-362); sull’evoluzione edilizia della chiesa e
del cenobio, cfr. A. BREDA, 2002, pp. 239-254; ID., 2006, pp. 111-140; P. PIVA, 2006, pp.
141-158; mentre per l’apparato decorativo, cfr. S. STRAFELLA, 2006, pp. 159-186; P.
PANAZZA, 2006, pp. 187-304; M. IBSEN, 2006, pp. 305-338.
101 Gonterio risulta ancora in carica nel 1201 mentre nelle carte successive compaiono
altri monaci come procuratori; Onesto figura come abate nel 1206 e in una carta del 1224
compare con il doppio titolo di «abbas et comes», adottato anche nella documentazione
successiva. ASMi, AD, PF, cart. 84 (fasc. 40c), Leno, 28 maggio 1201; Leno, 21 novembre
1206; cart. 85 (fasc. 40d), Ostiano, 15 febbraio 1224; inoltre, anche F.A. ZACCARIA, 1767,
pp. 35-36, ritiene che l’elezione sia avvenuta tra il 1205 e il 1206; sull’appartenenza invece
di Gonterio ai Lavellolongo, A. BARONIO, 1984, p. 12.
102 Si veda il racconto degli Annales Brixienses A, 1863, pp. 816-817; per la complessa vicenda di questi anni si rimanda al contributo di G. ANDENNA, 2007, pp. 157-168.
103 ASMi, AD, PF, cart. 85 (fasc. 40e): Leno, 7 febbraio 1227, «domnus Epifanius» come semplice monaco; Cremona, 24 aprile 1227, «Domnus Epiphanius electus Leni».
432
GABRIELE ARCHETTI
mosse insieme al priore per la cattiva amministrazione e i gravi disordini interni, sostituendolo con il monaco Pellegrino che subito si
adoperò per riscattare i beni alienati o dati in pegno dal predecessore e rimettere ordine nella vita monastica. Un fronte aperto restava
il comune di Leno a cui neppure l’intervento papale del 16 dicembre 1232 seppe porre un rimedio definitivo, ma continuò per i decenni successivi come risulta dal compromesso del 1297104. Anche
il successore di Pellegrino, l’abate Giovanni105, venne deposto dal
papa per essersi ribellato alle ingiunzioni apostoliche, risiedendo
lontano dall’abbazia, mentre altri abati come Guglielmo, Aicardo o
Pietro dovettero continuare a impegnare i beni monastici per far
fronte ai debiti e al continuo depauperamento.
Con la fine del XIII le difficoltà economiche, che periodicamente riaffioravano nella gestione amministrativa, non impedirono
all’abbazia di risollevarsi – senza tuttavia mai più conseguire il prestigio dei secoli precedenti – e di ripristinare un livello di vita regolare, di fervore spirituale e di decoro liturgico, continuando ad attrarre vocazioni, anche di laici, desiderosi di mettersi a servizio del
monastero. Così avvenne il 4 aprile 1396 a due coniugi che, dopo
aver donato i loro beni al cenobio, al suono della campana congiunsero le loro mani in quelle dell’abate Andrea promettendo stabilità, conversione di vita e obbedienza secondo la regola di san
Benedetto; essi venivano accolti nel segno della pace e benedetti
dalla comunità ripetendo il versetto: «Il mio giogo è soave», mentre
venivano rivestiti degli nuovi indumenti cenobitici106. Un impegno
costante restava la cura pastorale e la nomina di rettori e custodi
delle chiese dipendenti, ancora molto numerose alla fine del medioevo, come pure l’adeguamento degli statuti che regolavano il loro
funzionamento, il numero dei chierici e la distribuzione beneficiale.
Quando nel 1451, dopo le contese legate alla divisione avignonese, Bartolomeo Averoldi giunse alla carica di abate da semplice frate
umiliato e vicario dell’ordine, le condizioni per il rinnovamento
dell’abbazia di Leno – come stava accadendo ad altri cenobi bresciani – sembravano una possibilità concreta, che parve realizzarsi
con l’avviò delle pratiche per l’adesione del cenobio all’osservanza
monastica il 29 agosto 1471 nella congregazione de Unitate, iniziata
104 Epistulae ex Gregorii IX registro, in Epistulae saeculi XIII e regestis pontificum romanorum selectae, MGH, Epistulae, I, Berolini 1883, pp. 401-402; L. SIGNORI, 2002, pp. 314-319; F.A.
ZACCARIA, 1767, pp. 202-211.
105 L. SIGNORI, 2002, p. 314.
106 F.A. ZACCARIA, 1767, pp. 232-234.
Per lodare Dio di continuo. L’abbazia di San Benedetto di Leno
433
da Ludovico Barbo in Santa Giustina di Padova. Le trattative non
andarono però oltre i preliminari, perché con la sua nomina ad arcivescovo di Spalato nel 1479, il titolo di abate e l’ingente patrimonio monastico divennero appannaggio del cardinale Pietro Foscari,
protettore dell’Averoldi, che li ottenne in commenda dal papa Sisto
IV. Finiva così la lunga storia della presenza dei monaci a Leno
senza che gli abati commendatari, susseguitisi dal 1479 al 1783, abbiano provato a ripristinare l’osservanza regolare, intenti soprattutto a trarre beneficio dalla cospicua provvista beneficiale.
Non terminava tuttavia la feconda azione di bonifica spirituale,
religiosa e morale intrapresa nel segno di san Benedetto dalla comunità leonense, che continuava ormai nell’opera di apostolato delle chiese un tempo legate all’abbazia, molte delle quali conservavano l’intitolazione, il patrimonio di sante reliquie, di arredi e di devozioni di derivazione claustrale. E anche quando nel 1783, dopo oltre mille anni dalla fondazione, fu avviato lo smantellamento fino
alle fondamenta del complesso abbaziale, i materiali edilizi di recupero servirono per la costruzione della nuova parrocchiale dei Santi
Pietro e Paolo di Leno, mentre i due maestosi leoni marmorei collocati al suo ingresso restano l’unico legame materiale diretto con il
grande cenobio benedettino.
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Fonti
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Studi
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