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La diffusione del cristianesimo tra la Venetia et Histria e l'Illirico

La diffusione del cristianesimo tra la Venetia et Histria e l’Illirico Rajko Bratož È possibile conoscere gli inizi e lo sviluppo del cristianesimo a est di Aquileia, cioè nella parte orientale della provincia Venetia et Histria e nell’ Illirico occidentale (diocesi pannonica), dall’operato del vescovo Vittorino di Poetovio nel tardo III secolo e dalle notizie sui cristiani martirizzati sotto Diocleziano.1 Meno conosciuto è, invece, il suo sviluppo in epoca costantiniana, dal cosiddetto “editto di Milano” fino al primo concilio ecumenico (325) e la fine del regno di Costantino (337). Al Concilio di Nicea parteciparono il vescovo di Sirmium, l’unico dell’Illirico occidentale, e il vescovo di Scupi proveniente dalla zona settentrionale (latina), che sarà in seguito l’Illirico orientale.2 L’ultimo periodo del governo di Costantino è stato per lungo tempo segnato dall’esilio di Ario in Pannonia dove, grazie al suo operato, si formò un nucleo di ariani piccolo ma molto attivo (diocesi di Mursa e Singidunum, fig 2).3 Nel suo sviluppo il cristianesimo fu caratterizzato dagli scontri tra la maggioranza ortodossa e la minoranza ariana. Un’importante cesura avvenne in seguito alle conclusioni insoddisfacenti del concilio a Serdica, cui parteciparono Fortunaziano di Aquileia (della provincia Venetia et Histria partecipò anche Lucius di Verona), almeno quattro vescovi dell’Illirico occidentale (i cattolici di Poetovio, Siscia, Sirmium, probabilmente anche un vescovo del Norico di cui non è giunto il nome e l’ariano di Mursa) e dieci delle province latine dell’Illirico orientale (tre dalla Moesia Prima e altrettanti dalla Dacia Ripensis, due dalla Dardania e altrettanti dalla Dacia Mediterranea). Tra questi erano ariani solo i vescovi di Mursa (Pannonia Secunda) e di Singidunum (Moesia Prima). Il vescovo di Salona si schierò dalla parte ariana.4 Nel corso delle adunanze la rivalità tra i due schieramenti si manifestava non solo attraverso le polemiche e la divisione in fazioni politiche, come a Serdica, bensì nello scontro sull’elezione dei vescovi delle più importanti sedi episcopali, come quelle di Aquileia (tentativo di Valens di Mursa intorno al 340) e soprattutto di Sirmium (destituzione del vescovo cattolico Domnus nel 337, destituzione di Photinus e insediamento dell’ariano Germinius nel 351, insediamento di Aneminus sostenuto da Ambrogio, vescovo di Milano nel 378), ma anche di Salona (lo scontro tra il candidato ariano e quello ortodosso attorno al 378) e Poetovio (vittoria del candidato ariano sull’ortodosso intorno al 380).5 In questo periodo, anche laici e basso clero presero parte alle contrapposizioni elettorali e ad altre contese tra ariani e ortodossi (ad esempio a Savaria 358-359 all’arrivo dell’asceta Martino o a Sirmium nel 366, durante la polemica teologica tra ariani e ortodossi). Come successe al tempo dell’Impero romano per numerose diatri406 be teoriche, che coinvolsero molti strati sociali, anche queste deteriorarono in violenze.6 Le fonti affermano che in quattro decenni, dalla fine del governo di Costantino all’inizio di quello di Teodosio, nei principali centri urbani, il cristianesimo si affermò considerevolmente in tutti gli strati della popolazione e fu in questo modo che i funzionari cristiani assunsero le cariche più importanti nell’amministrazione statale (praefectus praetorio Illyrici negli anni 364 e 368-375 Probus, corrector Venetiae et Histriae prima del 373 Septimius Theodolus).7 Le fonti materiali, come iscrizioni, oggetti della simbologia cristiana e testimonianze dell’architettura cristiana, hanno confermato una maggiore diffusione del cristianesimo nelle città, piuttosto che nelle campagne.8 Dopo un decennio di marcato predominio della fazione ariana, nell’epoca di Costanzo II (imperatore di questo territorio dal 351-352 al 361), quando le sedi vescovili chiave erano nelle mani di vescovi ariani (Sirmium, Salona, nel 355, sotto le pressioni, si piegò anche Fortunaziano di Aquileia),9 prima del 370 si arrivò a una progressiva inversione di tendenza: nel 366 il vescovo Germinio di Sirmium rinunciò in parte all’arianesimo, ad Aquileia subentrò il vescovo ortodosso Valeriano e accanto a lui una giovane generazione di chierici e laici ortodossi, cui appartenevano Cromazio, Girolamo e Rufino.10 Le controversie cristologiche nell’Illirico terminarono tra il 378 e il 381 con l’affermazione del cristianesimo ortodosso. Gli avvenimenti decisivi furono il sinodo di Sirmio (prima o nel 378?) con la destituzione di molti vescovi ariani, l’editto religioso di Teodosio del febbraio 380, il secondo concilio ecumenico di Costantinopoli nella primavera del 38111 e, per concludere, il Concilio di Aquileia del settembre 381. Il Concilio di Aquileia del settembre 381, esiguo per numero di partecipanti, ma decisivo per le deliberazioni adottate, significò, nell’Illirico, la vittoria finale sull’arianesimo. Con la partecipazione (al massimo) di trantaquattro vescovi dell’Occidente latino, accanto a cinque della provincia Venetia et Histria (nessuno del territorio dell’Istria, ma di Emona come diocesi italica più orientale) intervennero tre vescovi ortodossi delle province pannoniche (Sirmium, Siscia, Iovia) e solo uno della Dalmazia (Iader; era invece assente Salona, la cui posizione nei confronti dell’arianesimo in questo periodo non è chiara).12 La parte avversaria era rappresentata da due vescovi dell’Illirico orientale, Palladius di Ratiaria (Dacia Ripensis) e Secundianus di Singidunum (Moesia Prima), e il presbitero Adtalus di Poetovio nel Noricum Mediterraneum, che rappresentava l’assente vescovo ariano Iulianus Valens.13 A p. 404: La mistica barca della Chiesa, 325-350 d.C., Roma, Musei Vaticani, Museo Pio Clementino 1. Tabula Peutingeriana, XII-XIII secolo, segmento V: l’Illirico occidentale Il concilio destituì i vescovi dell’Illirico orientale accusati di arianesimo, così pure l’assente vescovo di Poetovio. Anche se le deliberazioni adottate al Concilio di Aquileia non furono unanimi, come si presupponeva, tutti i vescovi ortodossi dei territori a est di Aquileia (i vescovi di Sirmium, Emona, Siscia, Iader, Iovia) con una chiara risoluzione condannarono Palladius.14 Dopo la destituzione degli ultimi vescovi ariani, l’arianesimo si estinse tra la popolazione romana dell’Illirico; nello stesso tempo, però, si registrò un suo ritorno con l’insediamento dei federati ostrogoti sul territorio della Pannonia e con la successiva permanenza protratta, nei decenni successivi, dei federati visigoti nelle province balcaniche (380408/409). La nascita e lo sviluppo dell’ascetismo e delle prime forme di monachesimo rappresentarono un grande sostegno al cristianesimo ortodosso.15 I primi contatti dell’Illirico e della parte orientale della Venetia con l’ascetismo vengono fatti risalire a prima della metà del IV secolo. Dopo il Concilio di Serdica (343) e fino all’arrivo ad Aquileia, nella primavera del 345, nell’Illirico orientale e poi occidentale operò Atanasio, che non solo fu una personalità chiave nella lotta all’arianesimo, ma in quel tempo anche un sostenitore del monachesimo.16 L’asceta Martino, fervente missionario tra i pagani e avversario dell’arianesimo, che più tardi fu l’organizzatore del monachesimo in Gallia e poi vescovo di Tours, dopo essersi congedato dall’esercito ed essersi consacrato alla vita ascetica (357358) si diresse, attraverso l’Italia settentrionale, verso la natia Pannonia. Nella città natale Savaria si distinse come missionario alquanto efficace, ma in seguito, nella diatriba con il clero ariano, ebbe una delle esperienze più dolorose della sua vita: dopo un estenuante interrogatorio fu condannato all’umiliante punizione della flagellazione e fu cacciato dalla città. Sulla strada del ritorno verso la Gallia, dopo aver subito una simile esperienza a Milano, si ritirò nell’isola Gallinaria nel mar Ligure.17 Come primo eremita “isolano” in Occidente propose un modello ascetico che, già nei decenni successivi, fu seguito da un gran numero di asceti nell’Adriatico settentrionale. Le fonti letterarie su san Martino non menzionano nessun luogo, fatta eccezione per la pannonica Savaria, o personalità dell’Illirico occidentale con i quali ebbe contatti. I suoi rapporti con il territorio aquileiese non vengono ricordati, sebbene egli lo attraversò per due volte.18 Viene menzionato, invece, verso il 360 e dopo per la permanenza di almeno due vescovi ortodossi che, ai tempi della loro persecuzione in Oriente (tra gli anni 355-361), conobbero il monachesimo e in seguito fecero ritorno nella loro patria attraverso l’Illirico e l’Italia nord-orientale: Hilarius di Poitiers ed Eusebius di Vercelli che si trattennero a Sirmium (tra il 360 e il 362) da dove partirono per l’Occidente.19 L’inizio del monachesimo è segnato dall’arrivo di Girolamo e dei suoi seguaci, attorno al 370, quando sul territorio della Venetia et Histria e dell’Illirico occidentale si affermarono tutte le forme del monachesimo allora conosciute: comunità di asceti e ascete nelle città, monaci solitari (eremiti), gruppi di monaci e di chierici che vivevano in modo ascetico, come avvenne, ad esempio, dopo il 370 ad Aquileia.20 Anche se, per quanto riguarda gli ultimi due gruppi, nelle fonti si fa riferimento a monasterium o chorus, in questi casi non si tratta di gruppi di monaci sotto la direzione di un padre spirituale (abbas), ma di forme iniziali di comunità ascetiche sui modelli orientali. Girolamo nacque probabilmente nel 347 in un’agiata famiglia cristiana di Stridon(ae), la cui localizzazione non è ben specificata. Per definirla nell’ultimo secolo sono state avanzate sette ipotesi di località che geograficamente sono distanti tra loro centinaia di chilometri. Sulla base delle notizie dello stesso Girolamo e di rarissimi 407 2. Le sedi vescovili nell’Illirico occidentale e la parte settentrionale dell’Illirico orientale: 325, partecipazione al Concilio di Nicea; 343, Concilio di Serdica; 381 Concilio di Aquileia scritti di altri autori, potremmo collocare il luogo di nascita nell’area di contatto tra la Dalmazia, la Pannonia e l’Italia che gravitava su Aquileia (fig. 3).21 Come i suoi amici e conterranei Bonosus (di Stridone), Rufino (di Concordia) e Heliodorus (di Altino) Girolamo studiò a Roma, in seguito (insieme a Bonosus) entrò in contatto con il gruppo ascetico di Treviri (prima del 370);22 poi, per alcuni anni (intorno al 370-373) abitò ad Aquileia. In questo periodo mantenne i contatti con i cristiani di orientamento ascetico delle città vicine e più lontane come Emona, Concordia e Vercelli.23 Negli anni aquileiesi fu in relazione con una dozzina di confratelli che condividevano le stesse scelte e appartenevano a una cerchia di chierici del luogo attratti dall’ascetismo (il chorus beatorum di cui faceva parte anche Cromazio).24 La maggior parte degli amici di gioventù e dei conoscenti di Girolamo proveniva da Aquileia e dalla Venetia, in misura minore dalla Pannonia o dalla Dalmazia; nessuno, invece, dall’Istria. La scelta di vita più originale fu fatta da Bonosus che, attorno al 374, si trasferì come eremita “isolano” su una delle isole dell’Adriatico settentrionale.25 Egli, circa quindici anni dopo Martino di Tours, divenne il secondo eremita “isolano” più famoso nell’Occidente cristiano, ma il primo nel mar Adriatico. Le lettere di Girolamo rivelano che il numero dei monaci “isolani” crebbe gradualmente nei decenni successivi. Girolamo che, dopo la partenza per l’Occidente (374), mantenne attraverso la corrispondenza i contatti con la patria, riporta la presenza di singo408 li e gruppi di asceti nell’area di contatto tra l’Illirico e l’Italia. Egli, intorno al 375, mantenne rapporti epistolari con un gruppo di vergini (virgines) di Emona, così pure con il monaco Antonius della stessa città, con cui non si sa per quale motivo giunse a un contrasto.26 Tramite gli amici cercò di aiutare sua sorella di cui non si conosce il nome, che, a Strido(nae), era intenzionata a condurre vita ascetica in casa propria.27 Castricianus della Pannonia aveva intenzione di andarlo a trovare a Gerusalemme intorno al 397-398; dopo aver viaggiato via terra arrivò a Cissa (isole di Brioni) da cui non continuò il viaggio via mare, ma rimase con un gruppo di asceti del luogo (fratres).28 Il monachesimo era diffuso anche nelle isole dalmate. Già nel 407 Girolamo era in contatto con il senatore dalmata Iulianus, che sosteneva le comunità di monaci “isolani” (monasteria).29 Le notizie su singoli asceti e loro gruppi nell’Illirico occidentale e nella Venetia et Histria riportate da Girolamo completano la conoscenza relativa all’esistenza di manoscritti sulle vite di importanti asceti (Vita Antonii e Vita Martini), che venivano presi come modelli; allo stesso modo i monaci “isolani” si interessavano vivamente all’evoluzione delle diatribe teoriche all’interno della Chiesa.30 Secondo le notizie riportate da Girolamo, le condizioni per la presenza del monachesimo sulle isole erano favorevoli, mentre, soprattutto dopo il 400, nell’area continentale queste forme di vita cristiana furono ostacolate da numerosi spostamenti di gruppi barbarici formalmente federati, ma in realtà del tutto indipendenti. Le poche fonti scritte menzionano raramente il monachesimo tra V e VI secolo nell’Illirico occidentale, ma non parlano comunque di legami con Aquileia.31 La politica religiosa dell’imperatore Teodosio (379-395) significò l’apice degli interventi a favore dell’unità religiosa dello Stato sulla base del credo di Nicea. Le leggi dei primi anni (380-384) significarono la messa al bando delle principali eresie e l’inizio della loro persecuzione su tutto il territorio. La prima guerra civile di Teodosio, nel 388, che fu stabilito di combattere nell’Illirico occidentale (battaglie decisive a Siscia e Poetovio, mentre la conclusione della guerra si ebbe alle porte di Aquileia), proprio a causa della stessa appartenenza religiosa di Teodosio e dell’anti-imperatore Magnus Maximus, si trattò di una vera e propria lotta per il potere, mentre i conflitti religioso-ideologici, che si sarebbero manifestati nella propaganda, ebbero minore importanza.32 Le cose andarono diversamente nella seconda guerra civile. Eugenio, l’avversario di Teodosio, si era dichiarato cristiano, ma nella lotta per il Rajko Bratož 3. Il monachesimo nell’Illirico. Ipotesi sull’ubicazione di Stridonae, luogo natale di san Gerolamo: 1. Sdregna; 2. Štrigova; 3. Grahovo polje; 4. Šapjane (a nord-ovest della Tarsatica); 5. Carso; 6. la zona confinante tra Dalmazia e Savia; 7. la zona confinante tra Dalmazia e la Pannonia Secunda potere si era servito delle strutture pagane ancora presenti nelle élite sociali di Roma e d’Italia.33 Oltre alla lotta per il potere, ben presto il conflitto assunse un contenuto ideologico-religioso, che si riflesse nella legislazione religiosa di Teodosio prima dello scontro decisivo. Con una serie di provvedimenti, Teodosio limitò la pratica del paganesimo e infine, nel novembre 392, lo vietò con la minaccia di punizioni eccezionalmente severe.34 La sua vittoria nella battaglia del Frigidum, nella valle superiore del Vipacco nel settembre 394, è stata fatta oggetto di un’interpretazione puramente ideologica già dai contemporanei, ma ancor più nelle epoche successive. L’avvenimento, che viene riportato da alcuni personaggi dell’epoca, tra cui dai tre vescovi più autorevoli di quel periodo (Ambrogio, Agostino, Giovanni Crisostomo), non lasciò invece nessuna evidente traccia negli scritti di Cromazio, nonostante che la battaglia ebbe luogo sul territorio della sua diocesi.35 La vittoria rappresentò il punto di partenza di una dura proibizione del paganesimo, che dopo la morte dell’imperatore, all’inizio del 395, proseguì durante il governo dei suoi figli.36 Approssimativamente in questo periodo – eccezioni a parte, dal momento che le leggi non venivano applicate con coerenza – furono aboliti, distrutti, abbandonati o trasformati in chiese cristiane i templi pagani ancora esistenti.37 I quarant’anni, approssimativamente dal 370 al 410, in cui operò Cromazio, prima come presbitero (371/372-388 circa), poi come vescovo (388-408) rappresentano il primo periodo di crescita delle comunità cristiane a est di Aquileia, crescita che, nonostante l’assenza di fonti letterarie, è ben documentata dai risultati delle ricerche archeologiche. In questo periodo crebbe significativamente il numero di comunità cristiane; di alcune di esse abbiamo una documentazione molto ricca. Considerato il periodo storico, i ritrovamenti archeologici rendono possibile un’analisi abbastanza dettagliata dello sviluppo in particolare delle seguenti comunità: Parentium ed Emona sul territorio delle province della Venetia et Histria, Celeia e Poetovio nella provincia del Noricum mediterraneum, Siscia e Aquae Iassae nella provincia della Savia, Sirmium nella provincia della Pannonia Secunda, Savaria nella provincia della Pannonia Prima, Aquincum nella provincia della Valeria; ma anche in Dalmazia, in particolare nella metropoli di Salona, la costruzione delle chiese conobbe allora un grande incremento.38 Limitiamo la presente trattazione alla descrizione delle comunità presenti sull’attuale territorio della Slovenia dove, sia secondo le fonti scritte che materiali, l’influenza di Aquileia è incontestabile. La diffusione del cristianesimo tra la Venetia et Histria e l’Illirico La comunità cristiana di Emona, di cui vengono ricordati gli asceti (un gruppo di virgines e un monachus) dopo il 370 circa, cioè contemporaneamente ad Aquileia, fu al più tardi nel 380 organizzata come diocesi. Maximus, il vescovo di Emona al sinodo di Aquileia del 381, a nome della sua comunità condannò pubblicamente l’arianesimo. Probabilmente partecipò anche al sinodo dei vescovi liguri a Milano (392-393), durante il quale con essi appoggiò la condanna di Iovianus e dei suoi discepoli pronunciata da papa Siricius.39 Il noto discorso di Pacatus, compositore di panegirici, in onore di Teodosio dopo la sua vittoria nella guerra contro Magnus Maximus nel 388, ricorda l’accoglienza trionfale dell’imperatore a Emona nell’estate del 388, ancor prima della fine della guerra, ovvero cronologicamente alcuni mesi prima dell’elezione di Cromazio alla cattedra di Aquileia. In base al resoconto dell’autore pagano sulla forma del tutto pagana di celebrazione per l’arrivo del sovrano a Emona, si può concludere che l’amministrazione cittadina, o la sua élite, era ancora composta prevalentemente da cittadini pagani. Si dichiarava pagana una buona parte, se non la maggioranza, della popolazione della città.40 Due decenni più tardi, un’immagine della comunità cristiana di Emona è offerta dalle scritte dei donatori a favore del centro paleocristiano, che, in base alla datazione delle monete, fu costruito attorno al 408, cioè approssimativamente verso la fine dell’episcopato di Cromazio ad Aquileia.41 Dodici iscrizioni, per la maggior parte conservate frammentaria409 mente, permettono di comprendere come fosse la societas christiana di Emona. Tra le iscrizioni riveste un ruolo importante quella dell’arcidiacono Antiocus che si riferisce alla costruzione del portico e del battistero; negli altri casi si tratta, invece, di comuni scritte di donatori. Tra i dodici nomi conservati ce ne sono nove latini, tre invece sono greci; la grandezza delle donazioni (pedatura del mosaico) è alquanto modesta. Il centro paleocristiano di Emona è compreso totalmente nell’area di un’insula ed è costituito dalla chiesa centrale, probabilmente duplice, dal portico, dal battistero e dal palazzo vescovile.42 Il complesso fa pensare a una considerevole forza economica della comunità, dal momento che la costruzione del centro poteva costare dai 2000 ai 2500 “solidi”.43 Ovviamente, della comunità facevano parte persone abbastanza facoltose, appartenenti all’élite cittadina. Alla comunità cristiana di Emona si può paragonare quella di Celeia, che risale allo stesso periodo circa, come rivelano i resti del centro paleocristiano dell’inizio del V secolo (la basilica aveva una pianta simile a quella di Beligna nei pressi di Aquileia), ma soprattutto i resti delle iscrizioni su mosaico dei donatori. Dopo la scoperta del battistero, che è abbastanza distante dall’edificio chiesastico e potrebbe appartenere a un’altra struttura sacra, anche per quanto riguarda Celeia ci si pone la domanda sull’esistenza di una duplice chiesa.44 La comunità cristiana di Celeia è ricordata da tredici iscrizioni di donatori. Le iscrizioni riportano ventisei nomi di donatori, tra i quali, come a Emona, c’è quello di un chierico (il diacono Iustinianus), sulle altre invece ci sono nomi di laici che provengono da tutti gli strati sociali: all’élite cittadina appartenevano un senatore con la moglie e un avvocato ecclesiastico; dei ceti inferiori facevano parte altri donatori, tra i quali vengono menzionati quattro schiavi.45 Accanto ai nomi evidentemente latini, che sono la maggioranza e hanno come a Emona analogie sul più vasto territorio aquileiese, sono menzionati un nome greco (Beronica) e un nome biblico (Abraham), per i quali non si riscontrano analogie nei dintorni.46 La grandezza delle donazioni indica una diversa appartenenza sociale rispetto a Emona.47 A differenza di questa, la media della comunità rivela una maggiore disponibilità economica e, nel suo complesso, si pone su un gradino più basso rispetto alle comunità cristiane più tarde dell’Istria (Parentium, Tergeste), o anche di Aquileia e dei suoi sobborghi.48 Riguardo alle dimensioni dei mosaici pavimentali e dell’ipotetica superficie calcolata dei centri chiesastici di Emona e Celeia potremmo pensare che la loro costruzione sia stata sostenuta con le donazioni di cir410 ca cento famiglie cristiane abbastanza benestanti e motivate, che hanno espresso in questo modo la loro appartenenza al cristianesimo e alla comunità locale. All’epoca di Cromazio, per la prima volta, la chiesa di Aquileia venne a contatto diretto con le popolazioni barbariche. Nel 380, sulla base di un accordo federativo con l’imperatore Teodosio, un gruppo misto composto da tre popoli (Ostrogoti, Unni e Alani) si insediò in Pannonia, sotto il comando di due principi, che prima combatterono insieme contro i Visigoti presso Adrianopoli, in seguito fecero razzie nelle province balcanico-danubiane e, verso occidente, “fino alle pendici delle Alpi Giulie”.49 L’arrivo di un gruppo militare molto combattivo, a cui dobbiamo attribuire la distruzione della, non localizzata, Stridon(ae) e Mursa, nonché le minacce nei confronti di Poetovio, a causa della vicinanza, della sua forza d’attacco e velocità, significò un’immediata minaccia per la zona orientale della Venetia et Histria. La Chiesa di Aquileia, di cui era a capo il vescovo Valerianus, in accordo con gli imperatori Graziano e Teodosio, nel corso di una spedizione missionaria guidata dal vescovo Amantius, tentò di fare pressione sui condottieri del gruppo barbarico. In questo contesto la diocesi di Sirmium si dimostrava troppo debole e come sede vescovile – nonostante l’intervento molto deciso di Anemius al Concilio di Aquileia – era di fatto in declino. Allo stesso modo Ambrogio, negli ultimi anni del suo episcopato (prima del 397), con un’iniziativa missionaria provò a fare pressione sui Marcomanni nella parte nordoccidentale della Pannonia Prima; il vescovo di Milano riuscì a convertire al cristianesimo la regina Fritigil e tramite la sua influenza sul re riuscì a impedire al popolo di fare violenza sui romani.50 La sua azione missionaria, quindi, non ebbe solo uno scopo spirituale, ma anche esplicitamente politico, dietro il quale si celava inoltre un interesse da parte delle autorità civili. Amantius fu il primo missionario aquileiese che divenne vescovo della Pannonia. Si può ricostruire la sua vita sulla base di un’iscrizione metrica (oggi andata perduta) su un sarcofago di Beligna nei pressi di Aquileia.51 Intorno al 380, su proposta della comunità cristiana di Iovia, divenne loro vescovo. Nella veste di episcopus Iouiensium intervenne al Concilio di Aquileia, dove condannò apertamente l’arianesimo.52 Poiché in Pannonia c’erano due insediamenti con questo nome – Iovia o Botivo presso Ludbreg a sud della Drava nella parte settentrionale della provincia Savia (l’odierRajko Bratož na Croazia) e a circa 100 km a nordest da Alsóheténypuszta nella provincia Valeria nell’odierna Ungheria – ci si chiede dove si trovasse la sua sede. Poiché il gruppo trietnico si era insediato in particolare nella provincia Valeria, è molto più probabile che la sede di Amantius fosse la Iovia di quella regione, seppure non fosse una città autonoma. Non possiamo immaginare, infatti, che in due città dello stesso nome operassero contemporaneamente due vescovi omonimi; allo stesso modo non è possibile che un vescovo provvedesse alla vita religiosa di due città, abbastanza distanti tra di loro e in due diverse province. Amantius guidò per vent’anni una comunità composta da due distinti gruppi (bini populi): la popolazione romana della provincia (Romani) e i barbari federati che appena in quell’epoca erano venuti in contatto con il cristianesimo. Questi due gruppi erano governati da due principi con pari dignità, sui quali Amantius ebbe una grande influenza come consigliere e fiduciario. L’unica coppia di principi (gemini duces) allora conosciuta era formata da Alatheus e Saphrac, condottieri del gruppo trietnico di barbari federati: il primo era a capo della parte ostrogotico-unna, il secondo, invece, di quella alana. Questo gruppo di federati, per quasi trent’anni dall’emigrazione della sua parte alana in Gallia (406) e della sua parte gotico-unna in Italia (409), fu, accanto al gruppo visigoto di Alarico, soprattutto sul territorio dell’Illirico orientale, una forza militare fondamentale nella zona danubiana centrale e nei Balcani occidentali.53 Dopo il suo lungo governo spirituale sulla comunità della provincia romana minacciata e su un grande gruppo di barbari federati, per ragioni sconosciute (probabilmente per un’insurrezione dei federati tra il 396 e il 399) Amantius tornò ad Aquileia dove, qualche anno più tardi (413), lo colse la morte. Per quanto riguarda le circostanze in cui operò, Amantius fu una sorta di episcopus in gentibus. La sua missione ricorda quella di un suo confratello, il vescovo Niceta di Remesiana nella Dacia mediterranea, più tardi invece quella dell’asceta Severino nel Norico (indicativamente tra il 460 e il 482), oppure quella del giovane missionario Martino, che in seguito fu vescovo di Braga, sul territorio dell’ex provincia Valeria (prima del 540).54 L’azione missionaria di queste personalità era collegata a importanti scopi diplomatici, politici e di difesa militare, dal momento che l’accettazione del cristianesimo cattolico da parte dei barbari prevedeva la fine degli atteggiamenti d’inimicizia nei confronti della popolazione romana. Il crollo del sistema difensivo romano sul Danubio e l’interruzione dei rapporti federativi con lo Stato romano portarono a un radicaLa diffusione del cristianesimo tra la Venetia et Histria e l’Illirico le peggioramento delle condizioni della popolazione romana, che nel primo decennio del V secolo si mise in fuga dalle province pannoniche (Pannonii, Illyriciani) verso Occidente. Questi spostamenti sono confermati, oltre che dai rari cenni della tradizione letteraria, soprattutto dalle fonti giuridiche e dalla tradizione agiografica. Tre leggi dell’imperatore Onorio, della fine del 408, informano di un tentativo da parte dello Stato di eliminare le conseguenze catastrofiche della fuga di massa dall’Illirico e contemporaneamente di impedire più gravi violenze, come ad esempio la riduzione in schiavitù dei profughi da parte di quanti offrivano loro aiuto in quel momento di grande difficoltà della loro vita.55 Nelle sue prediche il vescovo Cromazio raccomandava alla sua comunità cristiana, che fu la più colpita tra le chiese italiche, di aiutare i profughi e di adoperarsi per il riscatto dei prigionieri di guerra. Dai pochi riferimenti che abbiamo a disposizione, non troviamo risposta alla domanda se anche la comunità ecclesiale in quanto tale, oltre ai singoli individui, si prendesse cura dei profughi.56 Il testo delle leggi prevedeva il loro rimpatrio, che, a causa di un continuo peggioramento delle condizioni in Pannonia, non era possibile. Gli scritti agiografici in singoli casi (come un’aggiunta al racconto del martirio di san Quirinus di Siscia) ricordano il trasferimento della comunità cristiana da Savaria e Scarbantia a Roma.57 Durante questi spostamenti, Aquileia ebbe il ruolo di stazione di passaggio, solo raramente fu meta finale, dal momento che era troppo minacciata. I fuggiaschi della Pannonia che appartenevano ai gruppi eretici di origine pannonica, portarono le proprie idee religiose ad Aquileia e in Occidente. Rufino e Cromazio ricordano l’eresia di Fotino, un numero maggiore di fonti menziona come presenti in Italia, Gallia, Spagna e Africa l’eresia di Fotino e quella di Bonoso derivante da essa.58 La presenza di comunità cristiane provenienti dall’Illirico è testimoniata dalla traslazione delle reliquie dei martiri e dalla diffusione della venerazione dei santi di origine pannonica ad Aquileia, che si sono affermati accanto ai martiri locali, non al loro posto. Riflesso degli avvenimenti in Pannonia negli ultimi anni dell’episcopato di Cromazio è anche la presenza, nella tradizione agiografica locale che fu compilata molto più tardi, di nomi germanici (gotici) di nobili. L’esempio più lampante è Athaulfus, principe ostrogoto, in seguito re dei Visigoti, che nel 409 al comando di parte del gruppo gotico-unno, cioè di quello che fu il gruppo trietnico federato, scese in Italia per sostenere suo cognato Alaricus nella sua spedizione su Roma. Un secondo esempio è Ulfius che ricorda il comandante dell’esercito gotico Ulphilas. Entrambi, da avversari di Roma ne 411 4. Stele della Domnula Peregrenina, particolare, IV secolo d.C., Aquileia, Museo Archeologico Nazionale diventarono alleati.59 Nella tradizione agiografica sono presentati come personalità positive. I portatori di questi nomi possono essere venuti a contatto tra loro solo nel primo decennio del V secolo. La morte colse il vescovo Cromazio (fine 407 o inizio 408) in uno dei momenti più critici della storia della comunità cristiana aquileiese. Nella terza e ultima parte del suo pontificato, il vescovo fu testimone della prima scorribanda in Italia di Alaricus nell’autunno del 401, del ritorno dei Goti lungo la stessa via dall’Italia verso i Balcani un anno dopo, come anche della catastrofe del limes danubiano negli anni 405 e 406, con tutte le conseguenze per Aquileia che diventò meta di profughi e aggressori. Cromazio non era più in vita durante la seconda invasione di Alaricus nel 408 e un anno dopo durante la spedizione di Athaulphus in Italia. (Traduzione dallo sloveno di Ilaria Banchig) Abstract As Italy’s most eastern city, and a very important hub, in the fourth century AD Aquileia maintained the links with Illyricum, especially with west Illyricum (diocesis pannonica). These links were reflected in five particular fields. In the period of the Arian controversies, active hubs of Arianism formed in Illyricum; the last of these, in west Illyricum, survived until 380 AD, before being suppressed by the Council of Aquileia in 381 AD. Connections between Aquileia and Illyricum were very strong at the beginning of monasticism, due to the work of St. Jerome, who maintained strong links with Aquileia’s ascetic circle. Under the Emperor Theodosius, his victory in two civil wars (388 and particularly 394) and his support for orthodox Christianity facilitated the creation of Christian communities even in the area between Italy and Illyricum, such as Emona and Celeia for example. Amantius, from Aquileia, in the role of bishop of Iovia (probably Alsóheténypustza in the Pannonian province of Valeria) worked as a missionary among the federation of the Ostrogoths, Huns and Alans for two decades. The fall of the limes on the Danube and the Barbarian raids at the beginning of the fifth century AD caused the retreat of Christian communities from Pannonia to Italy. The periodic transits of these peoples left traces in the development of the Christian community of Aquileia. Vite dei Santi Vite dei Santi, a cura di Christine Mohrmann, Fondazione Lorenzo Valla. Abbreviazioni: CCSL Corpus Christianorum. Series Latina, Turnhout. CSEA Corpus Scriptorum Ecclesiae Aquileiensis, Aquileia. CT Theodosiani libri XVI cum Constitutionibus Sirmondianis, a cura di Theodor Mommsen, Dublin, Zürich 41971. CSEL Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, Wien. GCS Die griechischen christlichen Schriftsteller der ersten drei Jahrhunderte, Leipzig/Berlin. InscrAq Johannes Baptista Brusin, Inscriptiones Aquileiae, I-III, Udine 19911993. 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Studio fondamentale: Dulaey 1993, spec. pp. 323-338 (le risonanze degli scritti di Vittorino in Aquileia e nell’Italia settentrionale); Veronese in CSEA II, 2002, pp. 233-357; Bratož 1999, pp. 267-354; per la persecuzione dioclezianea in Illirico si veda Bratož 2004, pp. 261-342. 2 Bratož 1987, pp. 149-196, spec. p. 170, nota 30; pp. 189, 191. 3 Philostorgios, Hist. eccl. 1, 9c (GCS Philostorgios, pp. 11,15-16); Simonetti 1975, pp. 86-128; Cedilnik 2004, pp. 46-66. 4 Hilarius, Collectanea antiariana Parisina A IV; B II, 4 (CSEL 65, pp. 48; 131139); Simonetti 1975, pp. 167-187; Brennecke 1984, pp. 17-46; Martin 1996, pp. 428-430; Cedilnik 2004, pp. 84-136. 5 Per il caso di Aquileia si veda Hilarius, Collectanea B II, 2, 4(12) (CSEL 65, p. 129); Sotinel 2005, pp. 113-117; per Sirmium 337 circa si veda Athanasius, Historia arianorum 5,2 (PG 25, c. 700); Cedilnik 2004, pp. 74-75; per la destituzione di Fotino 351 cfr. Cedilnik 2004, pp. 182-202; per l’elezione di Anemio prima o intorno 378 si veda Paulinus, Vita Ambrosii 11,1; per il caso di Salona si veda Scholia Arriana in concilium Aquileiense 82 (CCSL 87, pp. 188189); Duval 1985, pp. 376-377; per il caso di Poetovio si veda Gesta concilii Aquileiensis, Ep. 2 (Benedictus), 10 (CSEL 82/3, p. 323). 6 Sulpicius Severus, Vita Martini 6, 4 (Vite dei santi IV, p. 20); Altercatio Heracliani laici cum Germinio episcopo Sirmiensi (PL Supplementum I, 1958, cc. 345350). 7 PLRE I, 736-740 (Probus); 895 (Theodolus). 8 Per la Slovenia Bratož 2005, pp. 109-143; per l’Istria Bratož 1989, pp. 23452388; Cuscito 2000a, pp. 439-469; per la Pannonia meridionale (Croazia settentrionale) Migotti 1997; per la Pannonia settentrionale (Ungheria) Gáspár 2002. 9 Brennecke 1984, pp. 277-281; 292-294; Sotinel 2005, pp. 117-126; cfr. anche Cuscito 2000b, pp. 85-86; Nuovo Liruti 2006, pp. 338-343 (G. Cuscito). 10 Per Sirmium si veda Simonetti 1975, pp. 385-386; Cedilnik 2004, pp. 294300; per Aquileia Sotinel 2005, pp. 135-139; Nuovo Liruti 2006, pp. 887-889 (G. Cuscito). 11 Sul Concilio di Sirmio di data incerta (Theodoretos, Hist. eccl. 4, 9) si veda Cedilnik 2004, pp. 318-325; sull’editto di Teodosio (CT 16, 1, 2) si veda Barceló, Gottlieb 1993, pp. 409-423; sul secondo concilio ecumenico (spec. Canones 1 e 7) si veda Joannou 1962, pp. 42-54. 12 Gesta concilii Aquileiensis (a cura di M. Zelzer, CSEL 82/3, pp. 313-368); 1 Rajko Bratož Ambrosius, Ep. extra collectionem 5-6 (CSEL 82/3, pp. 182-190); Scholia Arriana in concilium Aquileiense (a cura di R. Gryson, CCSL 87, pp. 147-196 ovvero SC 267, pp. 203-327). Bibliografia scelta: AA.VV. 1981; Cuscito 1982, pp. 189-253; Duval 1985, pp. 331-379, 372-379; Cuscito 1987, pp. 47-75; Sotinel 2005, pp. 145-169, 383-392. 13 Sul presbitero Attalo e il vescovo ariano di Poetovio Giuliano Valente si veda Bratož, Ciglenečki 2000, pp. 489-533, spec. pp. 495-504. 14 Gesta concilii Aquileiensis 55 (Anemius Sirmiensis); 59 (Maximus Emonensis); 61 (Constantius Siscianensis); 62 (Felix Diadertinus); 64 (Amantius Lotovensium ovvero meglio Iouiensium), in CSEL 82/3, pp. 359, 362-363. 15 Bibliografia scelta: Duval 1977, pp. 263-322; Spinelli 1982, pp. 273-300; Duval 1989, pp. 151-183; Rebenich 1992, spec. pp. 21-51; Suić 1996, pp. 751816; Bratož 2006, Pars I, pp. 229-259, spec. pp. 233-241; Peršič 2006, pp. 41-75. 16 Athanasius, Epistulae festales cum chronico a. 344-345 (PG 26, cc. 13541355); Id., Apologia ad Constantium 15 (SC 56, p. 104); si veda Duval 1985, p. 341. 17 Vita Martini 6,4-5 (SC 133, a cura di J. Fontane, pp. 264-266 con commento in SC 134, pp. 582-599; Vite dei santi IV, p. 20 e pp. 266-268); sul Martino e i suoi contatti con la Pannonia si veda Bratož 2008 (in c.d.s.). 18 Cfr. Peršič 2006, pp. 48-54. 19 Altercatio Heracliani laici cum Germinio episcopo Sirmiensi (PL Supplementum I, 1958, 345-350); Duval 1985, pp. 353-357. 20 Rufinus, Apologia contra Hieronymum 1,4 (CCSL 20, p. 39); Spinelli 1982, pp. 285-286; Sotinel 2005, pp. 135-137. 21 Rebenich 1992, pp. 21-25 (il ceto sociale); Bratož 2006, p. 237. 22 Rebenich 1992, pp. 26-41. 23 Rebenich 1992, pp. 42-51; Duval 1989, pp. 153-162. 24 Hieronymus, Chronicon, a. 374 (Aquileienses clerici quasi chorus beatorum habentur); a. 377 (Florentinus Bonosus Rufinus insignes monachi habentur…; GCS, Eusebius Werke VII, Berlin 1984, pp. 247-248); Hieronymus, Ep. 3; 6; 7; 8; 9. Si veda Spinelli 1982, pp. 289-292. 25 Hieronymus, Ep. 3,4; 7,3 (dell’anno 375; a cura di J. Labourt, vol. I, pp. 1314 e 22); Pellistrandi 1988, pp. 13-25. 26 Epp. 11-12; cfr. Špelič 1996, pp. 291-297. 27 Epp. 6, 2; 7, 4. 28 Ep. 68, 1; cfr. Suić 1996, pp. 693 e 804; Bratož 2006, p. 241. 29 Epp. 60, 10, 2 (insulae Dalmatiae); 105,1 (insula Hadriae); 118,5,6 (monasteria… per insulas Dalmatiae); cfr. Bratož 2006, pp. 239-240. 30 Sulpicius Severus, Dialogi 3, 17, 4 (CSEL 1, p. 215); Hieronymus, Ep. 105, 1; Id., Ep. Adversus Rufinum 3, 3, 14 (CSEL 79, p. 75). Cfr. Bratož 2006, pp. 236-237, 240-241. 31 Cfr. Bratož 2006, pp. 242-259. 32 Sordi 1982, pp. 51-65; Lotter 2003, pp. 83-85; Bratož 2003, pp. 477-527, spec. pp. 484-491; sull’aspetto ideologico Bratož 1996a, pp. 299-366, spec. pp. 334-338. 33 Leppin 2003, pp. 205-216. 34 CT 16, 10, 12; cfr. Bratož 1996a, pp. 338-339. 35 Bratož 1996a, pp. 31-119 (con quattro saggi analitici sull’evento); Paschoud 1997, pp. 275-280; Leppin 2003, pp. 216-220; Bratož 2003, pp. 496-503. 36 Joannou 1972, pp. 90-101; Barzanò 1996, pp. 256-310. 37 Sotinel 2000, pp. 263-274. 38 Nuove rassegne (tutte con la bibliografia anteriore): per le comunità in Istria La diffusione del cristianesimo tra la Venetia et Histria e l’Illirico si veda Cuscito 2000a; per l’Istria e Slovenia Bratož 1989; Caillet 1993, pp. 270-379; Bratož, Ciglenečki 2000; Bratož 2005; sull’influsso di Aquileia nella vicinanza d’Aquileia prossima e più lontana Tavano 2000, pp. 335-359; nelle Alpi orientali Tavano 2004, pp. 57-69; per la Pannonia meridionale Migotti 1997; per la Pannonia settentrionale Gáspár 2002; per la Dalmazia Chevalier 1996; per Salona Salona III. Manastirine 2000. 39 Ambrosius, Ep. extra collectionem 15, 14 (CSEL 82/3, pp. 310-311); cfr. anche Ep. extra collectionem (Sirici epist. 6, CSEL 82/3, pp. 300-301); PCBE 2, pp. 1467-1468 (Maximus 6). 40 Panegyrici Latini 12, 37; Cecconi 2000, pp. 45-70, spec. pp. 61-62; Bratož 2003, pp. 487-487. 41 Edizione e analisi delle iscrizioni: Šašel 1992, pp. 783-794; Caillet 1993, pp. 370-379; Zettler 2001, pp. 108-110, 218-221. 42 Plesničar-Gec 1983, pp. 33-51; Bratož 1996b, pp. 133-141, spec. p. 134. 43 Cfr. Caillet 1993, p. 433. 44 Bratož 1996b, p. 134. 45 Caillet 1993, pp. 356-370 (con bibliografia precedente). 46 Per i nomi semiti nella regione dell’Alto Adriatico cfr. Cuscito 1977, pp. 209-219; Caillet 1993, pp. 148, 164-190, 204-206, 253, 284, 463; Boffo 2003, pp. 529-558. 47 Caillet 1993, pp. 458-459. 48 Caillet 1993, pp. 453-458. 49 Lotter 2003, pp. 70-73. 50 Paulinus, Vita Ambrosii 36; Lotter 2003, pp. 46-47, 100-101. 51 InscrAqu 2904; si veda Bratož 2000, pp. 101-149, spec. pp. 103-104; Nuovo Liruti 2006, pp. 106-109 (R. Bratož). 52 Gesta concilii Aquileiensis 64 (CSEL 82/3, p. 363 e pp. CLXII-CLXIII): Amantius Lotovensium (a noi pare più giustificata la forma Iouiensium, si veda nell’ apparato critico). 53 Wolfram 1990, pp. 138-171, 250-259; Lotter 2003, pp. 70-99. 54 Cfr. Bratož 2006, pp. 241-242 (Niketas); 255 (Martino di Braga; con bibliografia essenziale); per Severino di Norico cfr. Lotter 2003, pp. 21-24 e pp. 5763 (con bibliografia precedente). 55 CT 10, 10, 25 (10 dic. 408); CT 5, 7, 2 (10 dic. 409); Constitutio Sirmondiana 16 (10 dic. 408, versione più lunga di CT 5, 7, 2). 56 Chromatius, Sermo 12, 2-3; 16, 4; 37, 2; 43 (frg.); cfr. Bratož 2000, pp. 107109. 57 Roncaioli 1980-1981, pp. 215-249. 58 Duval 1985, pp. 378-379; Bratož 1990, pp. 508-550, spec. pp. 525-526; Schäferdiek 1985, pp. 162-178. 59 PLRE II, pp. 176-178 (Athaulfus); p. 1181 (Ulphilas); cfr. Bratož 2000, pp. 110-112; Lotter 2003, pp. 164-165 (con bibliografia precedente). Bibliografia AA.VV., Atti del colloquio internazionale sul concilio d’Aquileia, AAAd, 21, Udine 1981. P. Barceló, G. Gottlieb, Das Glaubensedikt des Kaisers Theodosius vom 27. Februar 380: Adressaten und Zielsetzung, in K. Dietz, D. Hennig, H. Kaletsch (a cura di), Klassisches Altertum, Spätantike und frühes Christentum (Festschrift A. Lippold), Seminar für Alte Geschichte der Universität Würzburg, Würzburg 1993. A. Barzanò, Il cristianesimo nelle leggi di Roma imperiale, Paoline Editoriale Libri, Milano 1996. 413 L. Boffo, Orientali in Aquileia, AAAd, LIV, Trieste 2003. R. Bratož, Die Entwicklung der Kirchenorganisation in den Westbalkanprovinzen (4. bis 6. 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Zettler, Offerenteninschriften auf den frühchristlichen Mosaikfußböden Venetiens und Istriens, in Ergänzungsbände zum Reallexikon der Germanischen Altertumskunde, 26, Walter de Gruyter, Berlin-New York 2001. Appendice L’epigrafe funeraria del vescovo Amanzio Inscr.Aq. 2904 L’epigrafe (ora dispersa) fu citata e trascritta dal Cortenovis (Bibl. Civica di Udine, fondo Joppi, 324, p. 274): fu rinvenuta nel 1771 in località Beligna dentro il sarcofago, posta sotto il capo del defunto. Dopo la sepoltura del vescovo Amanzio (6 aprile 398 oppure 413), nel sarcofago stesso fu sepolto anche il diacono Ambrogio (1 dicembre 423). praescia causa dedit. Bis denis binis populis praesedit in annis. Si non migrasset, laus erat ista minor. Depositus sub die VIII idus Aprilis indictione XI,\ depositus Ambrosius diaconus kalendas Decembribus Mariniano et Asclepiodoto viris clarissimis consulibus indictione VII”. “Egregio per la fede, santo, mite vescovo, degno di essere amato come suo proprio da un popolo altro, degno di render partecipi i due comandanti (Alatheus e Saphrax) della sacra fede e di guidarli con il consiglio, lui giace nell’arca: a lui presaga causa di futuro merito diede il nome di Amanzio. Per vent’anni fu a capo dei due popoli. Se non fosse migrato, minore era la sua lode. Fu sepolto il 6 aprile dell’indizione XI. Il diacono Ambrogio fu sepolto il 1 dicembre, anno consolare dei senatori Mariniano e Asclepiodoto, indizione VII”. S. Piussi “+Egregius fidei sanctus mitisque sacerdos, dignus quem cuperet plebs aliena suum dignus ita geminis ducibus consortia sacra parti cipare fidei consilio regere, hoc iacet in tumulo proprium cui nomen Amanti venturi meriti La diffusione del cristianesimo tra la Venetia et Histria e l’Illirico 415