Agostino di Duccio:
alcuni problemi attributivi
SAmo ŠTefAnAc
Di nuovo su Agostino di Duccio a Venezia
Agostino di Duccio non è l’unico scultore quattrocentesco la cui vita è scarsamente documentata. Oltre al fatto che la sua biograia non appare nelle Vite
del Vasari, mancano i dati sulla sua formazione artistica e rimane oscuro anche
il suo periodo veneziano. Per decenni era nota solo l’indicazione del catasto del
1446, in cui monna Lorenza dichiarava che i igli Agostino e Cosimo erano
fuggiti a Venezia, in seguito all’accusa del furto degli argenti dal convento della Santissima Annunziata.1 Per gli studiosi della prima metà del secolo scorso
questo fu il punto di partenza per ipotizzare un breve episodio veneziano del
nostro prima della sua andata a Rimini. Nei primi anni Sessanta è stato scoperto e pubblicato il documento relativo al furto dalla Santissima Annunziata
e alla successiva condanna al pagamento di una multa di 243 iorini.2 Questo
documento costituisce una prova importante a testimoniare che le prime opere
irmate di Agostino, i quattro rilievi rafiguranti le scene della vita di san Geminiano e la statua dell’omonimo santo a Modena del 1442, furono eseguite già
in esilio e suggerisce che il suo soggiorno veneziano potrebbe essersi protratto
anche prima del 1446. Dato che non abbiamo dati sull’attività di Agostino dal
1442 ino alla sua venuta a Rimini, dove la sua presenza è per la prima volta
documentata nel 1449, la sua permanenza a Venezia potrebbe addirittura protrarsi per alcuni anni. Sebbene inora non siano stati rinvenuti documenti della
presenza dell’artista negli archivi veneziani, questo soggiorno potrebbe essere
il periodo decisivo nella biograia di Agostino, in quanto molti studiosi presumono che proprio a Venezia il nostro avrebbe conosciuto il suo futuro socio
riminese Matteo de’ Pasti.
Sin dall’inizio non sono mancati nella critica storico-artistica i tentativi di
collegare alcune opere scultoree a Venezia e nel Veneto con il nome di Agostino di Duccio. Tra questi ritengo importante menzionare l’attribuzione dei
resti dell’arca padovana di Santa Giustina, ora al Victoria and Albert Museum,
proposta da Ernest Burmeister,3 seguito da Andy Pointner,4 del paliotto di San
Trovaso, assegnatogli da Adolfo Venturi5 e del rilievo della Conversione di san Paolo
nella basilica di San Marco, suggerita da Leo Planiscig come possibile opera del
nostro artista.6 Giuseppe Fiocco sviluppò la tesi sulla collaborazione di Agostino con Bartolomeo Bon, ipotizzando la sua partecipazione all’esecuzione della
lunetta del portale di Santa Maria della Carità, ora nella sacrestia di Santa
45
AgoSTino Di Duccio
maria della Salute.7 Più recentemente Giulia Brunetti tentava timidamente di
collegare al suo nome la statua di sant’Alvise sul portale dell’omonima chiesa8 e
Michelangelo Muraro accennò brevemente alla cornice del rilievo a destra sulla
facciata di San Zaccaria come opera vicina allo stile di Agostino.9
Nessuna delle attribuzioni qui menzionate è stata unanimemente accolta
dagli studiosi. La presunta paternità dell’arca di Santa Giustina ha convinto
completamente Giuseppe Fiocco,10 tuttavia, in base ai documenti, si può concludere che si tratti di un’opera dei tardi anni Settanta e collegabile con Gregorio di Allegretto, autore delle tombe di Erasmo e Gianantonio da Narni nella
basilica del Santo a Padova.11 Il paliotto di San Trovaso [ig. 1] rimane un problema aperto: Corrado Ricci fu a favore dell’attribuzione,12 ma la gran parte
degli studiosi rimane tuttora cauta, assegnando l’opera all’anonimo «Maestro
di San Trovaso».13 Non sono il primo a notare che i rilievi hanno molti punti
in comune con quelli della Scala dei Giganti di Antonio Rizzo nel cortile del
Palazzo Ducale:14 infatti, tra le opere esistenti a Venezia, i rilievi della Scala dei
Giganti sembrano l’opera più vicina al paliotto e, se non possiamo paragonare direttamente il modellato dei volti delle Vittorie della scala con le facce dei
putti del paliotto, è invece molto simile, il trattamento delle igure stesse, avvolte
in un drappeggio leggero e ondulato. A questo gruppo possiamo avvicinare il
rilievo del Compianto sul Cristo morto nella basilica patriarcale di Aquileia: vale
la pena di menzionare soprattutto il modellato dei volti e la fattura dei capelli,
mentre il drappeggio è meno scorrevole e rivela una mano diversa. Il Compianto
di Aquileia fa parte dell’altare la cui cornice è stata commissionata ad un certo
maestro Antonio da Venezia, che Anne Markham Schulz tentò di identiicare
con Antonio Rizzo.15 Sebbene il rilievo non compaia nel documento e l’altare
stesso abbia subito numerose modiiche nel corso dei secoli, non è da escluderene la sua attribuzione alla bottega del Rizzo o almeno la possibilità che l’opera
fosse eseguita da uno scultore anonimo secondo un disegno del maestro. Altra
opera paragonabile, anch’essa di livello qualitativo notevolmente inferiore, è
l’angelo portascudo murato in una casa di Rio terrà Barba Fruttarol (n. 4714) a
Cannaregio [ig. 2].16 Penso quindi che si debba cercare l’autore del paliotto di
San Trovaso nella bottega del Rizzo, o addirittura ritenerlo un’opera autografa, come si può dedurre dalla inissima lavorazione dei rilievi di San Trovaso.
Questo suggerisce anche una data di esecuzione certamente non anteriore al
1470, ma ancora più probabilmente coeva ai rilievi della Scala dei Giganti. È
opportuno aggiungere che anche il repertorio decorativo delle paraste è tipologicamente più vicino alle opere del Rizzo che a quelle di Agostino, il quale,
di solito, predilige lesene scanalate.17 il rilievo della Conversione di san Paolo è fuori discussione in quanto fa parte dell’omonimo altare nella basilica marciana,
opera documentata di Antonio Rizzo nel 1469.18 Molto dificile da giudicare è
la proposta della Brunetti riguardo all’attribuzione della statua di sant’Alvise:
come ha notato anche la stessa studiosa, lo stato di conservazione non permette
una risposta deinitiva.19
Più promettente è invece la lunetta della chiesa della Carità: a suo tempo
l’attribuzione del Fiocco è stata risolutamente respinta da Gino Fogolari,20 per
lo più per le discrepanze nella cronologia. La lunetta è stata scaricata dalla
barca sulla fondamenta davanti alla chiesa da Bartolomeo Bon nel 1444. Negli
anni Trenta, tuttavia, non era ancora stato scoperto il documento del 1441 che
46
SAmo ŠTefAnAc
risolveva il problema della cronologia e le osservazioni del Fiocco hanno recen- 1. Antonio Rizzo (?), paliotto
temente convinto parecchi studiosi.21 Sia per la scorrevolezza del drappeggio, di San Trovaso. Venezia,
sia per il modellato dei volti, ad Agostino potrebbero spettare i due angeli ai lati chiesa di San Trovaso
dell’Incoronazione. Già il Fiocco propose tra l’altro il confronto molto convincente
con un angelo inginocchiato nella Galleria Nazionale di Perugia, ma il contributo di Agostino alla lunetta probabilmente non si limita alle due lastre laterali,
poiché lo stesso stile del drappeggio continua anche nelle due igure centrali.
Ancora più indicative sono le teste degli angioletti che si vedono in alto intorno
al trono e quelle, nascoste tra le nuvole in basso, che rivelano modelli simili a
quelli adoperati da Agostino per i suoi rilievi della Madonna d’Auvillers al Louvre,
nonché a quelli del Bargello e del Victoria and Albert Museum. È da notare, in
particolare, il tentativo di rappresentare le teste in scorcio, un sistema che è stato
probabilmente adoperato da Agostino per la prima volta proprio in questo caso.
E se il tentativo non sembra essere riuscito in modo perfetto, bisogna aggiungere che nemmeno nelle sue opere mature il nostro raggiunse la perfezione nella
rafigurazione delle teste in scorcio. La commissione della lunetta a Bartolomeo
Bon infatti non esclude la possibilità di una collaborazione di Agostino. Dalle poche realizzazioni ben documentate dell’artista veneziano, come il portale
di Santi Giovanni e Paolo, sappiamo che lo scultore veneziano afidava spesso
l’esecuzione di varie parti delle opere ai collaboratori.22 Nel caso di Santa Maria
della Carità ci si può chiedere se il nostro non avesse pure qualche responsabilità per le statue, perdute, dei santi Agostino, Girolamo e del Padre Eterno
che ornavano il coronamento della facciata, commissionate al Bon nel 1445 e
consegnate negli anni successivi.23
47
AgoSTino Di Duccio
Vent’anni fa ho proposto un’altra aggiunta all’opera veneziana di Agostino
di Duccio in un articolo uscito in «Antichità viva»,24 pochi studiosi, tuttavia,
hanno discusso la proposta cosicchè, torno in quest’occasione sull’argomento.25
Si tratta delle statue dell’ancona nella cappella Miani ai Frari [ig. 3]. L’opera non è documentata e la cappella stessa è stata probabilmente allestita negli
anni Trenta per ospitare la sepoltura del vescovo vicentino Pietro Miani, morto nel 1432. Dalle carte d’archivio sappiamo che la tomba fu commissionata
nel 1433,26 anche se fu collocata solo nel 1464, come si legge nell’iscrizione
commemorativa:27 queste date costituiscono i soli due punti di orientamento
anche per una collocazione temporale dell’altare nella cappella, che non è documentato ma solo menzionato nelle fonti.28 Infatti il primo a dedicare un po’
d’attenzione al monumento fu Pietro Selvatico che lo deinì un’opera di transizione tra il Gotico e il Rinascimento, vicina alla maniera dei Dalle Masegne e
dei Bon.29 Pietro Paoletti, l’unico a fornire un’analisi dettagliata dell’altare, ha
notato elementi toscani e padovani,30 mentre tutti gli altri studiosi si sono limitati a menzionare l’opera solo brevemente: alcuni hanno condiviso l’osservazione
del Selvatico,31 mentre altri sono a favore di una datazione intorno al 1460.32
L’ancona è concepita in forma di polittico a due ordini con le sante di mezza
igura nell’ordine superiore e i santi a igura intera in basso ed è forse l’unica
opera in pietra a seguire la forma dei polittici trecenteschi dipinti così fedelmente. Anche il linguaggio architettonico della cornice è ancora fortemente legato
48
2. Bottega di Antonio Rizzo,
Angelo portascudo. Venezia,
Rio terrà Barba Frutarol,
Cannaregio 4714 (stato di
conservazione nel 1930,
1979 e 2009)
SAmo ŠTefAnAc
alla tradizione trecentesca e privo degli elementi tipici del gotico iorito, quali
si presentano, ad esempio, sull’altare della cappella Mascoli nella basilica marciana, come colonnine tortili, archi mistilinei e i capitelli con fogliame ricciuto.
Queste caratteristiche rendono dificile la datazione dell’ancona: l’architettura
della cornice fa pensare ai primi anni del Quattrocento, ma questo naturalmente non corrisponde a ciò che sappiamo della fondazione della cappella. In più,
la maggior parte delle statue, che certamente non sono quelle originariamente
previste per l’altare, rivela uno stile ben più avanzato rispetto a quello della
cornice. È pure da notare che le igure non hanno tutte le stesse misure: le statue dell’ordine superiore e la igura centrale di san Pietro sono eseguite in scala
maggiore rispetto alle igure dei santi ai lati, collocate su piedistalli molto alti.
Sembra che questa discrepanza sia almeno in parte frutto di un adattamento,
dovuto all’insuficiente larghezza delle nicchie laterali del registro inferiore.
L’analisi dettagliata dell’opera rivela anche le differenze tra le sculture a chiara testimonianza dell’intervento di diverse mani nell’esecuzione delle statue oltre che di un protrarsi dei lavori per più decenni. Vent’anni fa sono state le quattro sante a mezza igura ad attirare la mia attenzione: in dal primo momento
mi sembrarono vicine alle opere di Agostino di Duccio, ma non mi accorsi
della differenza tra la coppia a destra e quella a sinistra. Tuttora ritengo che la
Maddalena e santa Chiara potrebbero essere di sua mano, poiché le due igure
sono vicine al suo stile nel modellato dei volti, dei capelli nonché del drappeggio
[ig. 4]. Particolarmente interessante è il confronto dei capelli ondeggianti della
Maddalena con quelli delle igure femminili e gli angeli del Tempio Malatestiano (la Sibilla Libica [ig. 5], l’angelo portascudo, la Vergine dello Zodiaco),
nonché il soggolo di santa Chiara, paragonabile a quello della Sibilla Cumana
[ig. 6], o il suo cappuccio simile a quello della Sibilla Cimmeria o quello della
Fede, sempre nel Tempio Malatestiano.33 Si può notare anche che le due igure
veneziane non raggiungono la delicatezza delle sibille riminesi nella loro lavorazione. Tuttavia, con le poche opere sicure precedenti al periodo riminese di
Agostino, abbiamo pochi punti di riferimento per giudicare l’evoluzione del suo
stile e la sua maturazione negli anni Quaranta – che ancora si possono considerare come del periodo giovanile dell’artista. I rilievi di Modena offrono pochi
appigli per giudicare le due igure femminili dell’altare della cappella Miani.
Infatti l’unica igura femminile associata al nome di Agostino e databile negli
anni prima del suo periodo riminese è la Madonna di Santa Maria del Carmine
a Firenze, attribuita al nostro da Artur Rosenauer: quest’ultima però rivela uno
stile con forte impronta michelozzesca.34 Siccome non c’è dubbio che Agostino
abbia collaborato da giovane con Donatello, nonché con Michelozzo, il carattere michelozzesco dell’opera non è in contrasto con l’attribuzione di Rosenauer
né con l’ipotesi che lo scultore si sia formato nella bottega di Donatello; questa
igura – per quanto riguarda il modellato del viso – non rivela tuttavia ancora
lo stile personale dell’artista, paragonabile a quello delle opere riminesi. In assenza del materiale di confronto, le due igure femminili veneziane potrebbero
comunque rientrare nei margini del presunto stile di Agostino nel periodo di
maturazione e formazione.
Diverso è il carattere delle igure delle sante Caterina e Lucia [ig. 7]: sono
lievemente più alte e voluminose e il modellato dei loro volti è più morbido,
con gli occhi aperti e le bocche più piccole di quelle delle igure a destra. Le
49
AgoSTino Di Duccio
50
SAmo ŠTefAnAc
due sante hanno infatti tutte le caratteristiche delle virtù di Antonio Rizzo sulla
tomba del doge Niccolò Tron nella cappella maggiore dei Frari: 35 le più vicine sono le igure della Prudenza e della Carità [igg. 8 e 9] – che rivelano un
modellato del viso quasi identico, compresa la forma degli occhi a mandorla,
della bocca e del naso – e rivelano anche simile trattamento dei capelli. Non ci
sono ostacoli ad assegnare queste due igure alla bottega di Antonio Rizzo, ed
anzi vale la pena di ricordare che esse hanno punti in comune proprio con le
due migliori statue della tomba Tron, che sono senza dubbio autografe. Si può
anche notare che il loro livello qualitativo non è inferiore e non è da escludere
che le sante Lucia e Caterina dell’altare nella cappella Miani siano di mano
dello stesso Antonio Rizzo.
Particolarmente problematica è la Madonna col Bambino: l’insolita composizione – costituita da circa due terzi dell’intera igura – fa pensare che essa non
fosse prevista per la collocazione attuale, ma fosse originariamente concepita a
igura intera, e sia stata troncata in un momento posteriore. Stilisticamente, la
igura ha un carattere duplice: mentre il volto della Madonna si potrebbe accostare alle igure di santa Caterina e Lucia (pur con delle diversità), la posizione
del corpo con la forma lievemente a ‘S’ e il panneggio rivelano un’origine più
antica. Con queste reminiscenze formali tipiche del tardo Trecento e del Gotico internazionale l’opera potrebbe essere coeva all’ancona e siccome le sue
dimensioni sono ben proporzionate con la larghezza della nicchia, si potrebbe
ipotizzare che la statua – prima di essere tagliata – fosse destinata alla nicchia
centrale del registro inferiore: le teste, poi, sarebbero state riscolpite per adattare
la igura alla posizione attuale.
Le statue dei santi nell’ordine inferiore sono probabilmente quelle che hanno convinto gli studiosi a datare l’altare dopo il 1460: infatti il loro carattere
si potrebbe deinire ‘d’ispirazione mantegnesca’, come scrisse Anne Markham
Schulz,36 o semplicemente paragonabile alle opere della bottega dei Lombardo
dell’ultimo terzo del secolo. Tuttavia, queste igure non si possono associare
direttamente alle opere lombardesche o a quelle di Antonio Rizzo e nemmeno
ad altre opere scultoree dell’epoca a Venezia e nel Veneto. Esaminando attentamente i particolari si può però notare che i volti di alcune igure, soprattutto
quelle di san Gerolamo e san Giovanni Battista, presentano alcuni particolari,
prossimi allo stile di Agostino: intendo il modellato degli occhi nonché dei capelli, che si può confrontare con alcune igure nel Tempio Malatestiano, come
quelle di Saturno e di Giove nella cappella dei Pianeti oppure di Isaia nella cappella della Madonna dell’Acqua. Inoltre si possono notare alcuni dettagli, come
la mano sinistra di san Pietro che è concepita come spesso si vede nelle opere di
Agostino di Duccio, oppure le pieghe strette, ma assai profonde, nella parte inferiore della tonaca di san Gerolamo, che assomigliano un po’ a quelle della veste
della Madonna della chiesa iorentina del Carmine. Comunque, in contrasto
con questi particolari, il carattere generale delle statue non ha suficienti punti
in comune con le opere sicure di Agostino. Bisogna sottolineare che le sculture
non rivelano analogie rilevanti con la statua di san Geminiano a Modena, la più
vicina non solo cronologicamente all’ipotetica data dell’esecuzione delle igure
veneziane, ma anche la più vicina rappresentazione del santo per tipologia. I
punti in comune, menzionati sopra, con le opere riminesi infatti non sono suficienti per insistere sull’attribuzione che avevo proposto anni fa.
3. Altare di San Pietro.
Venezia, chiesa di Santa
Maria Gloriosa dei Frari,
cappella Miani
51
AgoSTino Di Duccio
Questa analisi ha dimostrato che le statue dell’altare nella cappella Miani
sono di almeno tre, o addirittura quattro mani diverse e che probabilmente sono
state scolpite in epoche diverse. L’ancona stessa e la Madonna possono essere
addirittura precedenti alla morte del vescovo Miani e non abbiamo prove che
l’altare fosse originariamente previsto per la cappella. Altre igure sono state eseguite in varie fasi: le due sante, la Maddalena e santa Chiara potrebbero essere
l’unico contributo di Agostino di Duccio, databile nel periodo della sua dimora
veneziana, quindi alla metà degli anni Quaranta; le altre due sante, attribuibili
ad Antonio Rizzo, potrebbero essere più o meno coeve alla tomba Tron, mentre
per la datazione dei santi è più dificile trovare un punto di riferimento: sicuramente non sono anteriori al 1460, ancora più probabile sembra una datazione
52
4. Agostino di Duccio (?),
Santa Maddalena e Santa
Chiara, particolari. Venezia,
chiesa di Santa maria
Gloriosa dei Frari, cappella
miani
SAmo ŠTefAnAc
all’ultimo quarto del Quattrocento. Sebbene frutto di una storia casuale e parecchi adattamenti, l’altare è di buona qualità e meriterebbe in futuro un po’ più
d’attenzione da parte degli studiosi di scultura veneziana.
Come abbiamo visto, l’ancona della cappella Miani non contribuisce purtroppo alla ricostruzione del periodo veneziano di Agostino di Duccio in modo
decisivo: questo rimane un po’ oscuro, sebbene sia stato, forse, più lungo di quanto si pensava e certamente importante nella maturazione della sua personalità
artistica. Oltre al problema della sua presenza nella città lagunare e delle opere
così eseguite rimane aperto anche quello sui suoi rapporti con gli artisti locali: per
assenza di documentazione, si può solo ipotizzare che avesse stretti contatti con
Bartolomeo Bon e lo stesso vale anche il primo incontro con Matteo de’ Pasti. Nel
futuro sarebbe, inoltre, da indagare se Agostino avesse contatti con il suo presunto maestro Donatello – che alla metà degli anni Quaranta dimorava a Padova, se
fosse al corrente degli altri artisti attivi a Padova in quel periodo e quale potrebbe
essere stato l’impatto delle loro opere sul suo sviluppo personale, o viceversa.37
5. Agostino di Duccio (?),
Sibilla Libica, particolare.
Rimini, Tempio
Malatestiano, cappella
delle Sibille
6. Agostino di Duccio (?),
Sibilla Cumana, particolare.
Rimini, Tempio Malatestiano,
cappella delle Sibille
Una Madonna a Londra
Il rilievo in pietra d’Istria, rappresentante la Madonna con il Bimbo e due
angeli nella collezione del Victoria and Albert museum di Londra era considerato da chi se occupò per primo opera veneziana o padovana, probabilmente
53
AgoSTino Di Duccio
d’ispirazione donatelliana,38 mentre John Pope-Hennessy la deinì un’opera
dello stile di Andrea Alessi [ig. 10].39 L’attribuzione di Pope-Hennessy mi aveva incoraggiato, in un primo momento, a collegare il rilievo alla bottega di
Niccolò di Giovanni Fiorentino,40 in quanto Andrea Alessi e Niccolò di Giovanni avevano lavorato insieme in Dalmazia e nelle isole Tremiti per poco più
di un decennio (c. 1467-1477). Mi sembrava, infatti, di riscontrare nel rilievo
londinese parecchi punti in comune con le opere di Niccolò, soprattutto per
una apparente somiglianza con la Vergine dell’Incoronazione nella cappella del
Beato Giovanni Orsini a Traù; da qui, avevo concluso che l’attribuzione del
Pope-Hennessy si dovesse indirizzare verso Niccolò di Giovanni piuttosto che
verso Andrea Alessi. A guardare bene, tuttavia, è evidente come il carattere di
questa Madonna sia troppo diverso non solo dalle opere di Andrea Alessi, ma
anche da quelle di Niccolò di Giovanni, perché si possa insistere sull’attribu54
7. Antonio Rizzo (?), Santa
Caterina e Santa Lucia,
particolari. Venezia, chiesa
di Santa Maria Gloriosa dei
Frari, cappella Miani
SAmo ŠTefAnAc
zione. Questo rilievo è molto meno rilevato dei rilievi di Niccolò – che non ha
mai adoperato la tecnica di un rilievo così stiacciato – mentre grandi differenze emergono anche dal confronto della madonna londinese con le quattro o
cinque Madonne attribuite a Niccolò: una nella chiesa francescana a Orebić,41
una a Hvar,42 una nel Museo Lázaro Galdiano a Madrid43 e, inine, il rilievo
recentemente scoperto a Sant’Agata Feltria.44 Il drappeggio è molto più sottile
e ‘graico’ delle profonde pieghe, tipiche delle opere del iorentino ma, ancora
più importante, i volti e le mani delle igure non rivelano i tipici tratti ‘morelliani’ delle opere di Niccolò e della bottega: si tratta di isionomie con gli occhi
a mandorla, la bocca ad arco, mentre le mani presentano una forma molto
caratteristica del pollice.
Inoltre ci sono altri indizi a suggerirci che il rilievo londinese non provenga
dalla Dalmazia, ma probabilmente dall’Emilia Romagna. Vale la pena di ricordare che nel Museo Civico di Modena si trova una versione di questo rilievo in
stucco [ig. 11]:45 la igura della Madonna è quasi identica, mentre le igure di
Gesù Bambino e degli angeli sono variate nella loro posizione. Possiamo dare
ragione a Francesca Piccinini che nega un collegamento diretto tra i due rilievi,
ma ritiene piuttosto che derivino dallo stesso prototipo, probabilmente perduto.
Inoltre sembra che nessuna delle opere in questione riprenda fedelmente l’originale, sebbene, come pure ha notato la Piccinini, il rilievo modenese risulti più
fedele poiché realizzato in stucco forse con l’utilizzo di un calco effettuato sul
8. Antonio Rizzo, Prudenza,
particolare. Venezia, chiesa
di Santa Maria Gloriosa
dei Frari, tomba del doge
Niccolò Tron
9. Antonio Rizzo, Carità,
particolare. Venezia, chiesa
di Santa Maria Gloriosa
dei Frari, tomba del doge
Niccolò Tron
55
AgoSTino Di Duccio
10. Seguace romagnolo
di Agostino di Duccio (?),
Madonna con il Bambino e angeli.
Londra, Victora and Albert
museum
11. Da Donatello (?),
Madonna con il Bambino e angeli.
Modena, Museo Civico
modello.46 Anche la composizione della Madonna modenese è più equilibrata
rispetto a quella di Londra. L’origine del prototipo dei due rilievi è dificile da
determinare, anche se la composizione non è del tutto priva degli elementi donatelliani.47 Per quanto riguarda il nostro rilievo, bisogna notare che la composizione non solo non è bene equilibrata, presentando un ampio spazio vuoto sopra
l’angioletto a destra, mentre la gamba di quest’ultimo penetra nella nuvola ed è
piegata in modo innaturale all’altezza del ginocchio. Ecco perché l’opera sembra
frutto di un adattamento riuscito piuttosto male. Anche la qualità dell’esecuzione, soprattutto per un modellato dei volti e particolari in genere poco accurati,
56
SAmo ŠTefAnAc
57
AgoSTino Di Duccio
rivela uno scultore mediocre. Credo, tuttavia, che si possano rintracciare le sue
origini nella bottega riminese di Agostino di Duccio: è in prima linea il drappeggio che fa pensare alla discendenza duccesca della Madonna londinese, ma le
somiglianze non iniscono qui. Basta osservare come sono articolate le estremità
dei due angeli e del Gesù, che trovano analogie nei fregi con putti delle cappelle
dei Pianeti [ig. 12] e delle Arti liberali48 e nei rilievi nella cappella dei Giochi
infantili.49 Inoltre, il festone tenuto in mano dall’angelo senza un preciso signiicato iconograico non è un motivo comune nelle rafigurazioni della Madonna,
anche se i putti che reggono i festoni come fossero giocattoli, si vedono anche
nei rilievi della cappella dei Giochi infantili. Un altro motivo che appare più di
una volta nella medesima cappella, sono le ghirlande nei capelli dei putti: ed anzi
una si vede anche sulla testa di Gesù Bambino del nostro rilievo.
Nessuna igura nel Tempio Malatestiano si può ricondurre alla stessa mano
del maestro che ha realizzato la Madonna di Londra, poiché la lavorazione delle igure riminesi è molto più accurata, nonostante ovvie imprecisioni nell’anatomia e negli scorci, una caratteristica sempre comune anche nelle opere autografe di Agostino di Duccio. Tuttavia si può ipotizzare che si tratti di un arteice
locale cui erano familiari i rilievi del Tempio; non è da escludere che egli stesso
abbia partecipato ai lavori, ma questo non signiica necessariamente che gli
fosse afidata anche l’esecuzione delle igure. Può darsi che inizialmente si trattasse di un semplice lapicida e che in un secondo momento, non lavorando più
al cantiere del Tempio Malatestiano, abbia cominciato a esercitare il mestiere
dello scultore; l’altra possibilità è che si tratti semplicemente di un imitatore di
Agostino di Duccio. Anche se non possiamo con certezza indicare l’autore del
rilievo, le somiglianze con le sculture del Tempio, nonché la presenza di un’al58
12. Agostino di Duccio e
bottega, fregio con putti,
particolare. Rimini,
Tempio Malatestiano,
cappella dei Pianeti
SAmo ŠTefAnAc
tra versione a Modena basata sulla stessa composizione,50 fanno credere che la
Madonna londinese potrebbe provenire dalla Romagna. Non abbiamo nessun
punto di riferimento certo per la sua datazione, ma, ipotizzando che l’autore
dell’opera sia un seguace di Agostino di Duccio, probabilmente non bisogna
scalarla oltre alla metà degli anni Sessanta del Quattrocento.
L’ipotesi sull’origine del rilievo della Madonna a Londra apre un altro problema, inora un po’ trascurato negli studi su Agostino di Duccio e sul Tempio
malatestiano, cioè la questione degli allievi, seguaci e imitatori romagnoli di
Agostino. Oltre alle opere a Fornò, che peraltro potrebbero almeno in parte
spettare allo stesso Agostino,51 per il momento non sono state individuate altre
opere dei suoi seguaci. Solo quando sarà scritto questo capitolo, avremo modo
di comprendere e valutare il vero impatto su questa terra, nonché sulle regioni
limitrofe, del suo soggiorno riminese.
1. RufuS grAVeS mATher, Documents
mostly new relating to Florentine Painters and
Sculptors of the ifteenth Century, in «Art
Bulletin», XXX (1948), pp. 20-65.
2. Eugenio cASALini, L’Angelico e la
cateratta per l’armadio degli argenti alla SS.
Annunziata di Firenze, in «Commentari», XIV (1963), pp. 113-114. Il documento è stato per molto tempo ignorato dalla maggior parte degli studiosi;
infatti ino ai tardi anni Settanta solo
Mina Bacci nella sua piccola monograia su Agostino e Artur Rosenauer
l’hanno preso in considerazione (minA
BAcci, Agostino di Duccio, Milano, Fabbri, 1966; ArTur roSenAuer, Bemerkungen zu einem frühen Werk Agostino di
Duccios, in «Münchner Jahrbuch der
bildenden Kunst», XXVII (1977), pp.
132-152).
3. ErnST BurmeiSTer, Der bildernische
Schmuck des Tempio Malatestiano, Breslau,
Schlesische Buchdruckerei-Kunst-und
Verlags-Anstalt, 1891, p. 35.
4. AnDy PoinTner, Die Werke des lorentiner Bildhauers Agostino d’Antonio di Duccio, Straßburg, Heitz, 1909, pp. 22-24.
5. ADoLfo VenTuri, Storia dell’Arte
Italiana VI: La scultura del Quattrocento, milano, Hoepli, 1908, pp. 466-469.
6. Leo PLAniScig, Ein Relief des Agostino di Duccio in der Markuskirche zu Venedig,
in «Zeitschrift für bildende Kunst», N.F.,
XXXII (1921), pp. 143-146.
7. giuSePPe fiocco, I Lamberti a Venezia III: imitatori e seguaci, in «Dedalo»,
VIII (1927/28), p. 442 e segg.; iD., Agostino di Duccio a Venezia, in «Rivista di Venezia», IX (1930), 6, pp. 261-276; iD.,
Ancora su Agostino di Duccio a Venezia, in
«Rivista d’Arte», XII (1930), pp. 457484.
8. giuLiA BruneTTi, Il soggiorno veneziano di Agostino di Duccio, in «Commentari», I (1950), pp. 82-88.
9. micheLAngeLo murAro, Nuova
guida di Venezia e delle sue isole, Firenze, Arnaud, 1953, p. 230.
10. G. fiocco, Ancora su Agostino di
Duccio cit., pp. 467-472.
11. ViTTorio LAzzArini, Gli autori
della cappella e dei monumenti Gattamelata
al Santo, in «Il Santo», IV, 4 (1932), pp.
228-233. Alcuni studiosi dubitarono che
Gregorio di Allegretto eseguisse anche
la decorazione scultorea delle tombe (ad
es. Le sculture del Santo di Padova, a cura
di Giovanni Lorenzoni, Vicenza, Neri
Pozza Editore, 1984, pp. 95-97); per
qualche precisazione e aggiornamento a questo proposito Anne mArkhAm
SchuLz, Uno scultore padovano inluenzato
da Desiderio da Settignano e il problema di
Gregorio di Allegretto, in Desiderio da Settignano, a cura di Joseph Connors, Alessandro Nova, Beatrice Paolozzi Strozzi,
Gerhard Wolf, Venezia, Marsilio, 2011,
pp. 173-188.
12. corrADo ricci, Il Tempio Malatestiano, Milano-Roma, Bestetti & Tumminelli, 1924, p. 104.
13. Cfr. ad es. John PoPe-henneSSy, Italian Renaissance sculpture, London,
Phaidon, 19964, pp. 324, 420-421: l’autore propone una datazione intorno al
1470 e assegna alla stessa mano il rilievo
della testa del san Giovannino sul paliotto d’altare nella sacrestia di Santa maria
del Giglio.
14. Il primo a collegare il paliotto di
San Trovaso con le vittorie della Scala
dei Giganti è stato PieTro PAoLeTTi,
L’architettura e la scultura del Rinascimento
in Venezia: ricerche storico-artistiche, 3 voll.,
Venezia, Ongania-Naya, 1893-1897,
II, p. 159; per un cenno esauriente sulla
Scala dei Giganti cfr. Anne mArkhAm
SchuLz, Antonio Rizzo Sculptor and Architect, Princeton (NJ), Princeton University
Press, 1983, pp. 82-113, 145-152.
15. A. mArkhAm SchuLz, Antonio
Rizzo cit., pp. 139-141; giuSePPe BergAmini, Il Quattrocento e il Cinquecento, in
La scultura nel Friuli-Venezia Giulia II: Dal
Quattrocento al Novecento, a cura di Paolo
Goi, Fiume Veneto (Pn), Graiche Editoriali Artistiche Pordenonensi, 1988, p.
24 l’autore identiica Antonio da Venezia con Antonio da Lugano, attivo nel
1483 a Gradisca d’Isonzo, senza discutere o citare l’ipotesi della Markham
Schulz.
59
AgoSTino Di Duccio
16. A. mArkhAm SchuLz, Antonio
Rizzo cit., p. 166 (attribuzione ad Antonio Rizzo); ALBerTo rizzi, Scultura esterna a Venezia. Corpus delle Sculture Erratiche
all’aperto di Venezia e della sua Laguna, Venezia, Stamperia di Venezia, 1987, pp.
293-294 (scheda CN 300: Rizzi attribuisce l’opera ad Antonio Rizzo, datandola
intorno al 1485).
17. L’ornamento delle paraste è infatti conforme alle decorazioni architettoniche delle opere del Rizzo nonché
di quelle lombarde. Cfr. A. mArkhAm
SchuLz, Antonio Rizzo cit., igg. 1-3, 6, 9,
112-114; WoLfgAng WoLTerS, Architettura e ornamento. La decorazione nel Rinascimento veneziano, Sommacampagna (Vr),
Cierre edizioni, 2007, pp. 106-133.
18. Per gli altari nella basilica marciana cfr. A. mArkhAm SchuLz, Antonio
Rizzo cit., pp. 18-31, 124, 166-171. A
suo tempo l’attribuzione del paliotto ad
Agostino ha causato una polemica tra il
Planiscig e Adolfo Venturi, decisamente contrario all’attribuzione, nonché ai
metodi di ricerca dello studioso austriaco (cfr. ADoLfo VenTuri, Pietro Lombardi e alcuni bassorilievi veneziani del ’400,
in «L’Arte», XXXII (1930), p. 191; L.
PLAniScig, Lettera al professor Adolfo Venturi, in «Dedalo», XI (1930/31), pp. 27 e
segg.).
19. cArLo LoDoVico rAgghiAnTi,
La mostra della scultura italiana a Detroit,
in «Critica d’Arte», III (1938), p. 179, e
guSTAVo cuccini, Agostino di Duccio. Itinerari di un esilio, Perugia, Guerra, 1990,
p. 12, erano a favore dell’attribuzione ad
Agostino; secondo A. mArkhAm SchuLz,
The sculpture of Giovanni and Bartolomeo
Bon and their workshop, Philadelphia, The
American Philosophical Society, 1978
(«Transactions of the American Philosophical Society» 68/3), pp. 55-57, la
statua sarebbe opera autografa di Bartolomeo Bon.
20. gino fogoLAri, La chiesa di Santa
Maria della Carità di Venezia, in «Archivio
Veneto», s. IV, V (1924), pp. 69; 99.
21. g. cuccini, Agostino di Duccio cit.,
pp. 10; 12; STAnko kokoLe, Agostino di
Duccio in the Tempio Malatestiano, 14491457. Challenges of Poetic Invention and Fantasies of Personal Style, 2 voll., Baltimore,
Johns Hopkins University (Ph.D. dissertation) 1997, I, pp. 4; 84, nota 15.
60
22. roDoLfo gALLo, L’architettura
di transizione dal Gotico al Rinascimento e
Bartolomeo Bon, in «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», CXX
(1961/62), pp. 187-204.
23. G. fogoLAri, La chiesa di Santa
Maria della Carità cit., pp. 71, 100; richArD John goy, To the Glory of God:
Building the Church of S. Maria della Carità,
Venice, 1441-1454, in «Architectural History», XXXVII (1994), pp. 11-13.
24. SAmo ŠTefAnAc, Una proposta per
Agostino di Duccio a Venezia, in «Antichità
viva», XXIX, 4 (1990), pp. 31-38.
25. JoAchim PoeSchke, Die Skulptur
der Renaissance in Italien, Band 1: Donatello
und seine Zeit, München, Hirmer, 1990, p.
131; chArLeS hoPe, The Early History of
the Tempio Malatestiano, in «Journal of the
Warburg and Courtauld Institutes», LV
(1992), p. 79; S. kokoLe, Agostino di Duccio cit., I, p. 84, n. 15; mArco cAmPigLi,
Luce e marmo: Agostino di Duccio, Firenze,
Olschki, 1999, p. 60; AngeLo Turchini,
Il Tempio Malatestiano, Sigismondo Pandolfo
Malatesta e Leon Battista Alberti, Cesena, Il
Ponte Vecchio, 2000, pp. 492; 494; 505.
L’attribuzione è appena menzionata negli
scritti citati sopra; ad eccezione del Poeschke, a favore della proposta, gli studiosi
non hanno espresso un giudizio deciso.
26. P. PAoLeTTi, L’architettura e la scultura cit., I, pp. 89-90.
27. frAnceSco SAnSoVino, Venetia,
citta nobilissima et singolare, descritta in XIIII
libri, Venezia, Sansovino, 1581, p. 70.
28. Ibidem; giAmBATTiSTA SorAViA, Le
chiese di Venezia, descritte ed illustrate, 3 voll.,
Venezia, Francesco Andreola, 1823, II,
p. 130; frAnceSco zAnoTTo, Guida di
Venezia e delle isole della sua laguna, Venezia, 1847, p. 161.
29. PieTro SeLVATico, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia dal Medio Evo
sino ai nostri giorni, Venezia, Ripamonti
Carpano, 1847, p. 161.
30. P. PAoLeTTi, L’architettura e la scultura cit., I, pp. 51-53.
31. AnTonio SArTori, S.M. Gloriosa
dei Frari in Venezia, Padova, Il messaggero
di s. Antonio, 19562, pp. 28-29; M. murAro, Nuova guida di Venezia cit., p. 282;
giuLio LorenzeTTi, Venezia e il suo estuario, Trieste, Edizioni Lint, 19742, p. 587.
32. gino fogoLAri, Chiese veneziane: I
Frari e i SS. Giovanni e Paolo, milano, Tre-
ves, 1931, tav. 16; W. WoLTerS, La scultura veneziana gotica 1300-1460, Venezia,
Alieri, 1976, p. 265; Anne mArkhAm
SchuLz, Niccolò di Giovanni Fiorentino and
Venetian Sculpture of the Early Renaissance,
New York, New York University Press,
1978, p. 7.
33. Per le illustrazioni delle opere
nel Tempio Malatestiano cfr. le monograie fondamentali: c. ricci, Il Tempio
Malatestiano cit., passim; ceSAre BrAnDi,
Tempio Malatestiano, Torino, Ed. Radio
italiana, 1956, passim; m. cAmPigLi, Luce
e marmo cit., passim; Pier giorgio PASini, Il Tempio Malatestiano. Splendore cortese
e classicismo umanistico, Ginevra-Milano,
Skira-Fondazione Cassa di Risparmio
di Rimini, 2000, passim.
34. A. roSenAuer, Bemerkungen zu einem frühen Werk cit., pp. 132-152.
35. A. mArkhAm SchuLz, Antonio
Rizzo cit., pp. 44-64, 171-177.
36. eAD., Niccolò di Giovanni Fiorentino
cit., p. 7.
37. A questo punto non possiamo andare oltre ad alcune osservazioni supericiali, ma le opere associate a Gregorio
di Allegretto (l’Arca di Santa Giustina,
le tombe del Gattamelata e di suo iglio)
rivelano nella delicatezza del modellato
qualche punto in comune con le opere
riminesi di Agostino. Da questo punto
di vista è interessante la lacuna nei documenti pubblicati dal Sartori sulla presenza di Gregorio a Padova: si potrebbe
ipotizzare che il maestro fosse assente da
Padova tra il 1449 e il 1456, proprio nel
periodo in cui Agostino operava a Rimini. Cfr. AnTonio SArTori, Documenti per
la storia dell’arte a Padova, Vicenza, Neri
Pozza Editore, 1976, p. 130.
38. John chArLeS roBinSon, London, South Kensington Museum: Italian Sculpture of the Middle Ages and Period of the Revival of Art. A Descriptive Catalogue, London, Chapman and Hall, 1862, p. 114
(particolarmente interessanti sono le
osservazioni sull’opera in questione, inserite da Cornelio de Fabriczy a matita,
nella copia conservata nella biblioteca
dell’Istituto Germanico a Firenze con la
segnatura z8101: in contrasto con la tesi
del Robinson che era a favore dell’origine veneziana del rilievo; secondo il
Fabriczy, invece, l’opera sarebbe padovana); WiLheLm BoDe, Denkamäler der
SAmo ŠTefAnAc
Renaissance-Skulptur Toscanas, München,
Bruckmann, 1892-1905, p. 55; PAuL
SchuBring, Donatello, Stuttgart-Leipzig,
Deutsche Varlags-Anstalt, 1907, p. 167;
eric mAcLAgAn - mArgAreT h. LonghurST, Victoria and Albert Museum: Catalogue of Italian Sculpture, London, s.e.,
1932, p. 99. Non abbiamo dati sull’origine del rilievo: nei cataloghi del museo
è riportata solo la provenienza dal mercato d’arte a Parigi, mentre dal numero
d’inventario (4234-1857) si può dedurre
che fu acquistato nel 1857 (se il numero
indica la data d’acquisizione, il pericolo
che si tratti di un falso sarebbe minimo).
39. John PoPe-henneSSy, Catalogue
of Italian Sculpture in the Victoria and Albert
Museum, 3 voll., London, Her Majesty’s
Stationery Ofice, 1964, I, p. 365.
40. SAmo ŠTefAnAc, Relief iz kroga
Nikolaja Florentinca v Londonu, in «Zbornik
za umetnostno zgodovino», n.s., XXI
(1985), pp. 123-130.
41. cViTo fiSkoVić, Bogorodica sa djetetom Nikole Firentinca u Orebićima, in «Peristil», II (1957), pp. 171-175; S. ŠTefAnAc,
Orebiška Madona Nikolaja Florentinca in
vprašanje njene prvotne funkcije, in «Zbornik
za umetnostno zgodovino», n.s., XLI
(2005), pp. 178-190; iD., Kiparstvo Nikole
Firentinca i njegovog kruga, Split, Književni
krug, 2006, pp. 131-132.
42. DAVor DomAnčić, Reljef Nikole
Firentinca u Hvaru, in «Prilozi povijesti
umjetnosti u Dalmaciji», XII (1960), pp.
172-179; S. ŠTefAnAc, Kiparstvo Nikole Firentinca cit., p. 115.
43. S. kokoLe, Zu Madonnenreliefs des
Niccolò di Giovanni Fiorentino, in «Mitteilungen des kunsthistorischen institutes
in Florenz», XXXVII, 2/3 (1993), pp.
211-234; JohAnneS röLL, Un relieve de la
Virgen con el Niño, en el Museo Lázaro Galdiano, in «Goya», 271/272 (1999), pp.
203-204; S. ŠTefAnAc, Kiparstvo Nikole
Firentinca cit., p. 132.
44. La Madonna di Sant’Agata Feltria è l’aggiunta più recente al catalogo
delle opere di Niccolò di Giovanni. Cfr.
mATTeo ceriAnA - ALeSSAnDro mArchi,
in Il Rinascimento a Urbino. Fra’ Carnevale e
gli artisti del Palazzo di Federico, Catalogo
della mostra (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 20 luglio-14 novembre
2005), a cura di Alessandro Marchi e
Maria Rosaria Valazzi, Milano, Skira,
2005, pp. 126-129; mATTeo ceriAnA, in
Arte per mare. Dalmazia, Titano e Montefeltro dal primo Cristianesimo al Rinascimento,
Catalogo della mostra (San Leo, palazzo
Mediceo e San Marino Città, Museo di
San Francesco, 22 luglio-11 novembre
2007), a cura di Giovanni Gentili e Alessandro Marchi, Cinisello Balsamo (Mi),
Silvana Editoriale, 2007, pp. 138-139.
A queste opere si potrebbe aggiungere
anche la Madonna Borgherini murata all’esterno dell’omonimo palazzo a
Firenze, probabile opera giovanile di
Niccolò di Giovanni (cfr. S. kokoLe, Zu
Madonnenreliefs cit.): poiché l’attribuzione
di quest’ultima rimane tuttora oggetto
di discussione, l’opera sarà però esclusa
da questo confronto. Non si considerano
nemmeno le madonne della bottega di
Niccolò, sparse per varie località della
Dalmazia: in genere queste seguono fedelmente lo stile e la tecnica del maestro,
ma la qualità di esecuzione è in genere
inferiore alle sue opere autografe (S.
ŠTefAnAc, Kiparstvo Nikole Firentinca cit.,
passim). Tuttavia, nessuna di queste Madonne mostra rilevanti punti di contatto
con il rilievo londinese né per lo stile né
per la tecnica.
45. frAnceScA Piccinini, La ‘Madonna antica in stucco’ del Museo di Modena, in
Sulle tracce di Donatello: l’altarolo quattrocentesco del Museo Civico d’Arte, Catalogo
della mostra (Modena, Museo Civico
d’Arte, 4 dicembre 1999-maggio 2000),
Modena, Comune di Modena, 1999,
pp. 14-17.
46. Ivi, p. 15.
47. infatti, tutti gli studiosi citati sopra hanno notato il carattere donatellia-
no del rilievo londinese nonché di quello
di modena. Tuttavia, bisogna aggiungere che nessuna delle note composizioni
donatelliane della Madonna col Bambino si avvicina ai nostri due rilievi ino al
punto da poterle considerare il prototipo: è dunque legittimo ammettere che
il presunto originale donatelliano sia
andato perso.
48. c. ricci, Il Tempio Malatestiano
cit., pp. 455-477; 554 (in particolare igg.
550, 551, 658); 529-548 (in particolare
ig. 634).
49. ivi, pp. 518-528 (in particolare
igg. 609-626). Buone riproduzioni dello
stato attuale anche nel recente volume:
Il Tempio Malatestiano a Rimini, a cura
di Antonio Paolucci, Modena, Panini,
2010 («Mirabilia Italiae» 16), pp. 128149: 130, 132, 138, 147.
50. Non abbiamo dati sulla provenienza della madonna a modena che
è giunta al museo nel 1887 come donazione del marchese Giuseppe Campori
(f. Piccinini, La ‘Madonna antica in stucco’
cit., p. 14). L’ubicazione odierna naturalmente non prova che l’opera giunga
dall’Emilia-Romagna. Un indizio a favore dell’ipotesi sulla provenienza padana del rilievo è tuttavia la sua cornice,
non priva degli elementi tardogotici,
assai rari in Toscana dopo la metà del
Quattrocento.
51. Si tratta del tabernacolo con la
rafigurazione della Santissima Trinità
e della statua della Madonna col Bambino. Cfr. giorDAno ViroLi, Sculture rinascimentali nella chiesa di Santa Maria delle
Grazie di Fornò, in Il monumento a Barbara
Manfredi e la scultura del rinascimento in Romagna, a cura di Anna Colombi Ferretti, Luciana Prati, Bologna, Nuova Alfa
Editoriale, 1989, pp. 179-185. A queste opere possiamo aggiungere anche
una delle due acquesantiere presenti
in chiesa decorata da rafigurazioni di
uccelli nel tipico stile di Agostino di
Duccio.
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