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Il problema dell'Archè mi si è svelato in tutta la sua potenza quando, a pochi giorni di un esame di maturità di una scuola serale (tre anni in uno) una alunna mi pose la seguente questione: " perché devo sapere che per Talete l'Archè è l'acqua quando sappiamo che non è così? ". Riconosco che uno dei problemi della filosofia è forse quello di riuscire a separare il metodo dal contenuto, giacché del contenuto, per esporre il metodo, non può (per fortuna) essere eliminato. In questa lezione, da svolgere nelle prime ore del corso di Filosofia del triennio, si tenta di affrontare il problema della ricerca del Principio come un problema di metodo. Dal mito al logos Seguendo la Teogonia di Esiodo, in principio era il Caos, lo spazio aperto, l'abisso, il Tutto non definibile e di cui, di conseguenza, non si può parlare. Ma se il Caos è già il Tutto (che quindi non esclude niente), nel Caos si trova già tutta la realtà (che se ne parli o meno). Quella che manca, e di cui la Filosofia pone come suo obiettivo e oggetto di ricerca, è la Verità, cioè poter affermare qualcosa di quel Tutto per quello che è. Si rende necessario dunque un ordine, un principio che permetta del Caos di identificare qualcosa di predicabile, che il soggetto è in grado di riconoscere (perché il Caos, per definizione, è ingiudicabile). Nella cosiddetta terza generazione degli Dei, da Chronos (il Tempo), perché ci vuole il " tempo " per mettere " ordine " al Caos, nasce Zeus. Zeus a seguito della lotta con il padre (che metaforicamente potremmo leggere come " lotta contro il tempo ") diviene padre dei dèi. Gli dèi si vedono attribuiti ognuno un proprio ruolo nella legiferazione della natura. Quella natura che è per sua definizione il regno delle cose che cambiano (che nascono, da cui l'origine della stessa parola " natura " , e quindi muoiono, sempre nel " tempo "), ma di ciò che cambia, se non se ne conoscono le cause, non è possibile esprimere alcunché di vero. Da qui il bisogno di un principio (Zeus) che dia ordine tramite leggi (gli dèi) e queste non devono essere nel tempo, ma nell'eterno, perché, appunto, non siano soggette al cambiamento. Ma è possibile comprendere queste leggi? Se viviamo nel tempo come possiamo conoscere leggi che sono eterne? Seguendo un altro mito il problema si era già posto nella teogonia greca: è necessario possedere quel qualcosa del Tutto che permetta non solo di farne parte ma di comprenderlo come il tutto stesso, occorreva qualcosa di eterno anche nell'uomo che pretende di vivere sia nel tempo che nell'eterno. Il mito in questione è quello di Dioniso. Secondo una versione di questo mito, Dioniso, figlio di Zeus (uno dei tanti), fu divorato dai Titani (smembrato, bollito, arrostito e mangiato). Zeus, per punizione, folgorò e incenerì i Titani, e, dal resto delle loro ceneri, nacque il genere umano. Gli uomini sono dunque fatti di cenere (nascono e muoiono, ovvero si aggregano e decompongono nel tempo) ma hanno anche una sorta di natura divina perché i Titani, prima di essere inceneriti, hanno divorato Dioniso, e quindi qualcosa di divino si trova nei loro resti. Dal mito di Dioniso, l'orfismo (e non a caso una buona parte dei filosofi delle origini sono orfici) trae una serie di riflessioni sulla natura umana: nell'uomo, derivato dal " vapore " dei Titani, è presente una componente dionisiaca, che ne attesta l'appartenenza agli dèi. Detto in altro modo, l'orfismo presenta una visione dell'uomo caratterizzata da due componenti: il corpo titanico e corruttibile e l'anima dionisiaca immortale. Nel corpo alberga, infatti, una sorta di " scintilla divina " , un'anima immortale e destinata a tornare agli dèi, che vive la vita nel corpo in modo innaturale, doloroso, lacerante. Al di là degli scopi dei riti purificatori
O.b.l.i.o. Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Otto-novecentesca, 2021
Terzetto spezzato: proposta per uno Svevo tragico Terzetto spezzato è una commedia che dialoga da vicino con la forma del tragico. La mancanza di una vera e propria possibilità di redenzione, l'assenza di un paradigma comunicativo e l'incombere della tematica della morte conducono la «situazione-limite» della prima scena alla catastrofe dell'ultima scena. L'Amante e il Marito, ingabbiati così nel salotto borghese dall'intervento del deus ex machina Clelia, non potranno determinare un finale diverso rispetto a quello predeterminato dalla donna. Lo studio si propone quindi di dimostrare come questo particolarissimo atto unico sveviano si confermi «dramma dell'uomo-non libero», dimostrando l'abilità di Svevo nel confrontarsi con più generi teatrali. Terzetto spezzato is a play that associates elements of comedy to a tragic theatrical performance. With the absence of the chance of redemption, the lack of a communication paradigm and the hovering of the theme of death, the condition of «situazione-limite» (literally: 'extreme situation') is maintained throughout the play, from the first scene of the catastrophe to the last scene. The Lover and the Husband, captive in their bourgeois living room since the intervention of deus ex machina Clelia, will not be able to determine a different finale than the one that has been predetermined by the woman. The research aims to explore how this extremely distinctive and unique act of Svevo's poses itself as «dramma dell'uomo-non libero» (literally: 'the tragedy of the man who is not free'), demonstrating Svevo's talent to approach varied theatrical genres.
Carmelo Modica, Intervista a Terzo Occhio, Edizioni La Biblioteca di Babele, Modica 2014 *** Presentazione di Carlo Catacchio Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’. Prendo in prestito questo inizio che indica la fine di un anno e l’avvio di tempi nuovi. Come oggi. Sono passati un po’ di anni da quando si caricavano studenti, magari e meglio milanesi, mentre le facce modicane che riconoscevi, li facevi filare via. Nonostante l’uniforme il tuo sangue modicano rimane contadino, distingue grano e gramigna. Allora su quei campi d’asfalto, nel pieno dei tuoi anni, tramontava un mondo millenario, più vicino agli antichi romani che ai suoi figli, alla beat generation che lo contestava, a cui bene o male, anche solo per anagrafe, appartieni. Un universo abbattuto a televisione e consumi, conformismi e valori molli, più che a colpi di bastone e canzoni. Il mondo dei tuoi padri e dei nostri nonni sparisce cantato e difeso solo da Pasolini. L’unico fuori dal coro che aveva coraggio di sostenere quei contadini in uniforme che si facevano largo a fendenti nei campi di Valle Giulia. In quella stagione le strade si bagnavano di sangue per avere poi raccolti di piombo: sono caduti giudici, poliziotti, politici, sindacalisti e la meglio gioventù si è avvelenata con droghe, novantesimi minuti, rischiatutti e piccoli mutui. Mi ricompongo e prendo le debite distanze passando al Lei o al più gradito nostalgico Voi. Un’intelligenza come la sua è difficile stia composta in divisa. Una cosa che ha imparato stando sull’attenti in piazza più dell’obbedienza è l’arte della provocazione. Quella che leggiamo nelle sue indagini di campagna, nelle inchieste modicane, degne del miglior verismo di Verga, perché svolte nei corridoi comunali, nei centri di comando dove si vende cremolata e latte, tra i tavolini in piazza e le sedie di plastica, tra le scrivanie di uomini assenti e cementate con carte inutili. Ricerche paradossali, tra facce goffe alla Fellini, destini disperati alla Kafka legati da trame assurde alla Ionesco, condotte tra bidelli petrolieri, coppole da circo, ombre antiche presenti. Racconti degni di Pirandello, perché ancora in cerca di autore, con un volto da ricercare, di uno, nessuno e centomila, dove tutti sono coinvolti e nessuno è colpevole, dove la trama splende alla luce del sole, ma non è poi così semplice come la si vede, eppure così è se vi pare, dove tutto è semplicemente complicato, e dove lei ragiona e vaga nel labirinto mediterraneo con il piacere dell’onestà. Inutile scomodare il suo collega commissario, Montalbano, che pure lui ha preso casa qui in queste cave, divertendosi a seguirla nelle sue indagini per corridoi, corsi, monumenti e antichi convitti. Il paradiso e le ispirazioni migliori lui le troverebbe a tavola con un bel piatto della sua Maria. Per fortuna la sana provocazione del colonnello sveglia e smuove il fantomatico Terzocchio, il nobile modicano spiantato e il suo gruppo. Torniamo al nostro Autore, quando nelle buie furerie di noia e naia ha fatto di vizio virtù: ha speso con intelligenza il suo tempo, nella migliore tradizione siculo pupara e ha dato anima e voce al suo pupazzo di legno. Come ogni cuntatore si rispetti, saltando a piè pari la saga di Carlomanno, il nostro ha letto tutto, ma proprio tutto, dell’epoca d’oro dei manganelli, l’era di quando erano il potere e in un ventennio hanno fatto rigare dritto il Paese fino allo scatafascio, nella migliore tradizione moderna italiana. Il finale è un dettaglio, meglio trascurarlo, perché se si legge la storia dalla fine, ogni racconto non ha più senso e poi la nostra è ancora tutta da scrivere e così pure, si spera, il finale. Dimentichiamoci che per ogni paladino c’è una Roncisvalle. E’ proprio vero: la vera leggenda è l’inizio; è al principio che brilla sempre il sole di Libia, le faccette nere ammiccano, i dieci treni sono in orario, il grano cresce pure in piazza Duomo. E’ negli albori il mito, le dichiarazioni d’intenti sono le sfide degli eroi, il resto però forgia, è il cammino per quaranta anni nel deserto che prova l’uomo vero, la sua fede, la sua resistenza, il suo vero amore. So che si sente tra pari, dove i pari sono la sua gente, e credo la sua gente lo sappia e ricambi il di lei rispetto. E poi tra la gente semplice che è sempre stata zitta e si è presa il carico, i muli veri eroi che hanno fatto la storia dei carrettieri, c’è l’eroe della sua vita, tuo papà. Non l’abbandonerà mai e lui non ti abbandonerà mai. Era quel mondo che lei ed io ora abbiamo visto all’orizzonte verso ponente, il mondo dove si nasceva e si ubbidiva alla tradizione di sempre, senza discutere. La cultura era nelle vene, correva nelle stradine che salgono a san Giovanni, si trascinava nei solchi dei campi e i libri li potevano sfogliare solo parrini e signurini. Sassi, zolle, sudore sono le sue radici che non ha mai smesso di sognare nemmeno nella nebbia in val padana. Finalmente il ritorno a casa, dove fare ordine e disciplina è più complicato che in città, in più senza uniforme e senza più gli esempi di quei grandi padri che insieme al suo, mattone dopo mattone, solco dopo solco, le hanno lasciato bella la vostra Modica e il suo agro. Eppure il sole splende ancora e nonostante tutto qualcosa di bello resta. Ed è sempre grande quello che rimane in questa terra felicemente sfortunata. C’è sempre un sapore antico in voi siciliani, nella vostra lotta, nella vostra vita, costretta a partire e tornare, che sa di epico e di solare, di miceneo e di Odisseo, anche nella vita più semplice. Bisogna riconoscere alla Sicilia questo suo essere luogo metafisico già nel suo esistere, il primo posto dove viene già il mal d’Africa, un suo pezzetto, europeo per caso e deriva. La Sicilia è un desiderio, una nostalgia ancestrale di tutti, il luogo mitico da dove tutti veniamo e dove tutti vorremmo andare, continentali con le sdraio e africani con barconi, di fronte al sole e al mare, dove greci, fenici, arabi, normanni sono approdati e dove tutto è iniziato. Ancora oggi. I filosofi davanti al mare hanno scoperto il corpo galleggiare, col sole hanno dato fuoco ai nemici, hanno scoperto che da una sponda all’altra viaggia la vita e oscilla il pensiero dell’uomo, facendo pure le corna, tra amore e morte, luce ed ombra, tra estremi opposti. Ancora oggi è così. Il crucco Goethe diceva che la Sicilia è l’icona dell’Italia dove tutto, il buono e il cattivo, è superlativo, dove il sole esalta ogni contraddizione e contrasto. Tutto ciò che avviene in Sicilia, ergo a Modica, succede o succederà anche nel continente. La Sicilia precede, partecipa, insegue: è il suo destino, la sua missione. Impegnarsi come voi, in una lotta, mitica per la sua fatica, ma possibile, interessa, perché è una battaglia che coinvolge tutti, uno e centomila, è la stessa che spiega le aule di palazzo e le banche, oltre che alla latteria e ai movimenti laidi del corso. A me che vivo a venti minuti di tram dal duomo, tocca presentare finalmente l’incontro tra l’onorevole, senz’offesa, nel senso di onore, Carmelo Modica e il suo amico Terzocchio, di cui mi pregio di non conoscere, oltre alla banda omonima. Tocca a me presentare questa pecora nera di Modica e la di lui cricca e lo faccio volentieri, con molto affetto, proprio perché vengo da lontano. Verbalizzi colonnello, posso testimoniare il Vostro amore, suo, di lui e vostro, l’amore autentico per queste terre, per la sua gente, che è cosa buona e giusta, e così è se vi pare, vi par poco. Confesso, ho sempre sognato anch’io questa terra, per desiderio di caldo e di luce: l’ho vista ad occhi chiusi attraverso le atmosfere di Battiato o gli abbagli di Fattori o l’ho sentita nelle immagini solari di Pirandello e Camilleri, adesso sì che questi si possono leggere, questa volta senza parrini e signurini. Già la desideravo perché so cosa è il freddo di fiume, l’umidità che penetra a camino acceso. Per me vista da lontano, Modica era fatta di cioccolata, esotica, fantastica attraverso gli occhi migliori delle sue eccellenze; una terra fatta di fioretti e spade che si sono fatti strada sino al podio del mondo. .......... Carlo Catacchio
2019
This study concerns an oinochoe from trench D at Incoronata di Metaponto (Unimi excavations 1975-1976). The object is analyzed in the context of the first contacts between Greeks and indigenous people in Southern Italy, particularly open to experimentation and hybridity. The treatment of the decorative motif on the neck of the vase offers the opportunity to reflect on apprenticeship and transmission of craft knowledge in the Greek world.
Fin dai tempi più remoti l’uomo ha tentato di effigiare idee immateriali in forme sensibili, ha cercato di raffigurare in forme tangibili concetti astratti; in àmbito giuridico, particolare attenzione merita, a mio avviso, il problema dell’iconologia della giustizia. Tale tematica assume, difatti, una precipua rilevanza nel più ampio contesto delle ricerche iconologiche sulle rappresentazioni del normativo , poiché la stessa idea di giustizia è – almeno nella tradizione filosofica occidentale – un concetto strutturalmente ambiguo e plurale, in cui convivono universale e particolare. In questo mio saggio Iconologia giapponese della giustizia mi propongo pertanto di analizzare l’immagine che nella tradizione giapponese simboleggia la giustizia, allo scopo di verificare eventuali analogie e differenze con l’iconografia occidentale della giustizia.
VOLSINII : Orvieto, 2020
Archeomedia.it, 2023
Small study regardless Hittite army and "Arch Theory" between Hittite and Egyptian army and Qadesh battle
My contribution springs from my curiosity to explore the lowest position of the Topic Field ({Topic [LI]}) in a limited sample from Titus Livius’s non-programmatically marked language. Inside the theoretical model of the split CP as formulated in Benincà (2001) e Benincà & Poletto (2004), LI hosts constituents semantically compatible with the interpretation of Topics extracted from a list. I have already shown (Dal Lago 2010) that in Xenophon’s Greek the contrasted constituents occur in syntactically marked sentences, systematically accompanied by μὲν and δὲ. In Livius, and, perhaps, more generally in Latin, on the contrary, there are not systematic position markers (LI markers) but, in marginal cases, the contrasted constituents may be followed by some bisyllabes (postpositives), which occur, like the Greek particles, in Wackernagel position. To the Greek type μὲν δὲ, there corresponds in Latin quidem...autem, which is attested in various authors and styles, but not in the Livian sample, inside which the first contrasted constituent is not generally followed by a postpositive: if it is, only quidem is found. In Latin (but non in Livius), on the other hand, quidem can also follow the second contrasted constituent. In the Livian sample, moreover, split DPs don’t occur in LI: the typology of the Livian hyperbates, however, allow us to speculate that a structure like [LI modifier] vs [LI head] is the only one attested in Livius. The [LI head] structure, on the contrary, is the only one found in Xenophon. Finally, the Livian type et...et (in Plautus et...et autem) and, perhaps, Caesar’s example quoted as penultimate in my work, finds a correspondence with modern Italian, which often co-ordinates sentences in which constituents in LI occur with conjunctions like e/ma, invece, etc.
K. Revue trans-européenne de philosophie et arts, 1, 2/2018, pp. 225-235, 2018
Letters are always written for the Other. More specifically, they are addressed to the inconsistency of the big Other, as a protest against its powerlessness. The childish complaint aimed to the Other’s evanescence, in accord with Lacanian psychoanalysis, can be understood in terms of perversion, particularly in its masochistic variant. When Kafka blames his own father for having used rude educational means, he actually blames him for not being powerful enough: according to Slavoj Žižek, this can be ascribed to a perverse strategy which tries to restore the Other’s power in order to reanimate the Self.
Article in the online journal "La Balena Bianca. Rivista di cultura militante", 12 ottobre 2020. https://www.labalenabianca.com/2020/10/12/dare-forma-all-esperienza-sulla-trilogia-di-rachel-cusk-marzia-beltrami/
From Archaeology of Objects to Archaeology of Idea, 2020
Bionda R. (2022). Complicité de la littérature mondiale dans la crise environnementale : manuel de contre-défense. Acta fabula 23 (8), en ligne. https://doi.org/10.58282/acta.14926., 2022
Jurnal Teknologi Informasi dan Komputer, 2018
Proceedings of the National Academy of Sciences, 1999
Ecos de Economía, 2011
ECS transactions, 2020
Proceedings of the Royal Society of London. Series B: Biological Sciences, 2003