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CeraMiCa MedieVale d'iMporTazione nella CosTiera aMalfiTana

CeraMiCa MedieVale d’iMporTazione nella CosTiera aMalfiTana. Paolo Peduto Sono trascorsi due decenni dagli scavi da me condotti nella Villa dei Rufolo a Ravello e i dati archeologici affiorati, pubblicati in varie riprese ma non ancora organicamente editi, hanno fra l’altro confermato l’importanza dell’apporto islamico allo sviluppo della cultura materiale medievale nella costiera amalfitana1. La storia politica degli Arabi in Italia meridionale è nota fin da quando nel secolo scorso Michele Amari ne ha ricostruito le vicende. In Campania gli Arabi impiantarono a partire dalla seconda metà del IX secolo due recinti fortificati (ribât): uno alla foce del fiume Garigliano, l’altro nel golfo di Salerno, ad Agropoli, dirimpetto ad Amalfi. Città quest’ultima con cui gli Arabi avevano sviluppato intensi rapporti fin dal tempo della iniziale occupazione della Sicilia2. Relazioni non sempre ben accettate dai papi, specialmente quando si trattava della vendita agli Arabi del legname necessario per la costruzione delle loro navi con le quali oltre al commercio 1 P. Peduto, Ceramica magrebina nella costa d’Amalfi, in “Apollo. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano”, XI(1996), pp. 116-122; Idem, “Un giardino –palazzo islamico del secolo XIII: l’artificio di Villa Rufolo a Ravello, in Apollo. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano”, XII(1997), pp. 57-72; Idem, Adesioni ed atmosfere islamiche in costiera amalfitana nei secolo XII-XVI, in M. Pearce, M. Tosi (a cura di), Papers from the EAA Third. Annual Meeting at Ravenna 1997, v. II, BAR International Series 718, 1998, pp. 148-155. 2 Per l’apporto culturale del mondo islamico nel Medioevo in Italia: F. Gabrielli, U. Scerrato (a c. di), Gli Arabi in Italia. Cultura, contatti e tradizioni, Milano 1979; per la Campania A. Cilardo (a c. di), Presenza araba e islamica in Campania, Atti del Convegno, (Napoli-Caserta 22-25 novembre 1989), Napoli 1992. Per Ravello, P. Peduto, F. Widemann (a c. di), L’ambiente culturale a Ravello nel Medioevo. Il caso della famiglia Rufolo, Bari 2000. 89 Paolo Peduto spesso praticavano la pirateria3. Nonostante la palese opposizione dei papi, gli Amalfitani non interruppero mai, neanche dopo l’avvento Normanno, i loro rapporti con il Magreb ed il Medio Oriente: i fondaci amalfitani sono disseminati nei maggiori mercati islamici (TAV. I)4. Gli interessi e i contatti degli Amalfitani, favoriti dagli stessi angioini, continuarono ad essere diffusi, pur se in forma ridotta, nei mercati mediorientali: il ritrovamento a Ravello di un bel gruzzolo di “grossi” del doge Ranieri Zeno, emessi tra il 1253 e il 1261, suggerisce che gli amalfitani si servirono anche dell’intermediazione dei veneti, come, del resto, è attestato da alcune fonti scritte5. Nei secoli precedenti, lungo tutto l’arco del X e dell’XI secolo, l’influenza dell’economia araba nel Mediterraneo era stata talmente intensa da indurre alcuni stati rivieraschi, quali la bizantina Amalfi e la longobarda Salerno, a coniare il tarì, moneta d’oro esemplata sui modelli nordafricano e siciliano. E si badi, è stato già notato da Gleen Lowry, Amalfi e Salerno non furono mai conquistate dagli Arabi, mentre ciò era accaduto per Spagna e Sicilia e i contatti tra le città campane e gli Arabi furono sostenuti quasi sempre da specifici interessi economici6, nonostante le relazioni fossero spesso guardinghe a causa delle reiterate scorrerie contro il Sud della penisola7. Non conosciamo la natura di tutte le merci esportate dai mercanti meridionali, né la quantità della maggior parte di quelle importate, ma certamente erano ricercate dagli Arabi le castagne, le nocciole e, sembrerebbe in certa misura anche il grano. Venivano immesse sulle piazze italiane stoffe pregiate e lavori in avorio e in metallo. Tra i prodotti importati vi 3 A. Feniello, Sotto il segno del leone. Storia dell’Italia musulmana, Bari 2015, pp. 111-113. 4 P. Natella, Fundūq. Repertorio dei fondaci amalfitani d’Oltremare, Amalfi 2014. 5 N. Nicolini, Il Consolato generale veneto nel Regno di Napoli, in “Archivio Storico per le Province Napoletane”, LII(1927), pp. 65-68 ; dello stesso, Sui rapporti diplomatici veneto-napoletani durante i regni di Carlo I e Carlo II d’Angiò, in “Archivio Storico...cit.”, LX(1936), p. 261; P. Peduto, Sul ritrovamento di un gruzzolo di “grossi” veneziani a Ravello, in “Rassegna Storica Salernitana”, XIII 2(1996), pp.111-114. 6 G. Lowry, L’Islam e l’Occidente medievale: l’Italia meridionale nell’XI e XII secolo, in «Rassegna del Centro di Cultura Amalfitana», n. 6, 1983 (III), pp. 7-56. G. Gargano, La società amalfitana in età normanna (VI). Il commercio di Amalfi nel periodo normanno. Parte II, in «Rassegna del Centro di Cultura Amalfitana», n. s., gennaio-dicembre 2014(XXIV), pp. 71-76. 7 A. Cerenza, Amalfitani in Calabria e Siciliani ad Amalfi in epoca prenormanna, in «Rassegna del Centro di Cultura Amalfitana», 5, III(1983), pp.175-179. 90 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana erano ceramiche di pregio dai colori smaglianti delle quali, a partire dalla seconda metà del secolo XIII, si iniziò ad imitare le decorazioni in Italia meridionale e in Sicilia. Le ceramiche nord africane e medio orientali importate in Campania, ritrovate non solo ad Amalfi, ma ancora a Salerno8, Napoli, Ischia e Gaeta, costituiscono una buona testimonianza dei rapporti commerciali, in particolare degli Amalfitani ma non solo, con le coste africane e del Mediterraneo orientale ed in parte sono utili ad integrare le conoscenze dei luoghi e delle merci scarsamente documentate dalle fonti scritte come di recente ha considerato Dominiq Valérian9. Il problema ovviamente è dato dall’incertezza dei luoghi di produzione di tali manufatti. Può essere utile tuttavia avanzare alcune proposte per le quali seguirò lo schema indicato dalla Tonghini per le invetriature egiziane e siriache10, escludendo sia le ceramiche di incerta provenienza sia le produzioni di imitazione dei figuli dell’Italia meridionale. Le principali tecniche per la produzione di ceramiche di lusso diffuse dagli Arabi erano quattro, di cui tre - l’invetriata dipinta, l’ingobbiata invetriata, la maiolica - prevedevano una doppia cottura, la quarta detta ‘a lustro metallico’ necessitava di una tripla cottura e viene perciò detta ‘al terzo fuoco’. Già il solo processo di produzione lascia intuire costi non esigui, poiché ad ogni successiva infornata v’era una percentuale di scarti, mentre l’approvvigionamento delle materie prime per i rivestimenti, tra cui l’ossi- D. Romei, Ceramica di importazione, in A. De Crescenzo, I. Pastore, D. Romei, Ceramiche invetriate e smaltate del Castello di Salerno dal XIII al XV secolo, Materiae 2, Napoli 1992, p. 14; per S. Pietro a Corte: I. Pastore, La ceramica medievale, in Un accesso alla storia di Salerno: stratigrafie e materiali dell’area palaziale longobarda, in «Rassegna Storica Salernitana», n. s., 2, V(1998), p. 63, tav. XIII, 7, 8; A. De Crescenzo, Ceramica islamica a Salerno: importazioni ed imitazioni tra i secoli XI e XIII, in M. Pearce, M. Tosi … cit., pp. 159-165. 9 D. Valérian., Amalfi e il mondo musulmano: un laboratorio per le città marinare italiane?, in «Rassegna del Centro di Cultura Amalfitana», n. s., gennaio-dicembre 2010(XXX), pp. 199-212. 10 C. Tonghini, Ceramica ‘selgiuchide’ e ceramica ‘di Raqqa’: considerazioni sui criteri di classificazione alla luce di recenti indagini, in I Congresso nazionale di archeologia medievale, Auditorium del Centro Studi della Cassa di Risparmio di Pisa, Pisa, 29-31 maggio 1997, pp. 428-433; Eadem, Ceramiche invetriate dell’Egitto e della Siria nei secoli XI e XII: stato degli studi e sviluppi della ricerca, in M. Schvoerer, C. Ney, P. Peduto, Décor de lusrtre métallique et céramique glaçurée, CUEBC Ravello. Scienze e materiali del patrimonio culturale, 7, Bari 2005, pp. 21-29. 8 91 Paolo Peduto do di stagno ed il caolino, oltre l’argilla - facile a reperirsi, ma non sempre semplice da depurare - richiedeva un’organizzazione di scambi su medie e lunghe distanze e di conseguenza dei costi. L’invetriata, dipinta sotto vetrina piombifera, e la protomaiolica, dipinta sopra la vetrina stannifera, sono molto spesso indistinguibili ad occhio nudo; la ceramica ingobbiata aveva in prevalenza origine nelle aree bizantine, ma ben presto fu acquisita dalle officine arabe, mentre la maiolica, inizialmente una produzione d’origine propriamente orientale, ebbe un grande sviluppo negli stati costieri della Spagna e perciò è molto interessante l’indicazione delle rotte commerciali della ceramica medievale indicate dalla Berti e da Mannoni (TAV. II)11. Alcuni tipi di ceramica, quale la graffita, sembra siano stati maggiormente diffusi nelle aree bizantine successivamente islamizzate (Tavv. III, IV), mentre l’afflusso maggiore delle invetriate e delle maioliche proverrebbe prevalentemente dal Medio Oriente, dalla vasta regione del Magreb e dalla Sicilia12. Numerosi frammenti di queste ceramiche sono stati trovati durante gli scavi nella Villa Rufolo a Ravello, nel castello normanno-svevo di Lagopesole, in Basilicata, a Gaeta, a Pisa, a Genova, a Venezia, vale a dire nei luoghi eminenti del potere e nelle principali stazioni commerciali del Mediterraneo (TAV. V). Talvolta ceramiche smaltate importate venivano impiegate nella decorazione delle facciate di chiese e di campanili com’è il caso ben noto dei ‘bacini’ delle chiese pisane, studiati dalla Berti (TAV. VI)13 - e nell’ornamento degli altari e dei pulpiti. Proprio a partire dal secolo XI sembra si sia diffusa in tutta l’area mediterranea la moda di decorare con gli splendenti colori delle ceramiche islamiche molte facciate di chiese e di campanili. Per l’Italia centro settentrionale gli esempi sono 11 G. Berti, T. Mannoni, Ceramiche medievali del Mediterraneo Occidentale: considerazioni su alcune caratteristiche tecniche, in A cerâmica medieval no Mediterrâneo occidental, Lisbona, 16-22 novembre 1987, Lisbona 1991, pp. 163-173. Per il commercio delle ceramiche di produzione spagnola: M. Paz Soler, El comercio cerámico en los territorios de la Corona de Aragón, in Sicilia e la Corona d’Aragona. Rotte mediterranee della ceramica, Catalogo della mostra. Caltagirone. Museo Regionale della Ceramica, 5 luglio – 4 settembre 1999, pp.97-112. 12 Per la ceramica bizantina cfr. S. Gelichi (a cura di), La ceramica del mondo bizantino tra XI e XV secolo e i suoi rapporti con l’Italia, Atti del Seminario. Certosa di Pontignano (Siena), 11-13 marzo 1991, Firenze 1993. Per la islamica J. Mouliérac, Céramiques du monde musulman, Gand 1999. 13 Un quadro esaustivo per la Toscana è di G. Berti, I “bacini” ceramici della Toscana, in Atti del XXVI convegno internazionale della ceramica, 1993, Albisola 1996, pp. 101-138. 92 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana numerosi: dal campanile di Pomposa (1063) a Gaeta (1279), da Roma a Pisa, a Genova, ma, seppure se meno noti, ve ne erano nel Mezzogiorno: nel campanile della cattedrale (1153) di Ruggero e di suo figlio Guglielmo I a Melfi (PZ), bacini di cui oggi rimangono solo le impronte, o nel campanile della chiesa di Sant’Angelo (sec. XI-XII) a Grottaminarda (AV)14. Un’interessante importazione di ceramica mediorientale, probabilmente dall’Iran, poco nota perché più rara è costituita dalla ceramica modellata a rilievo (Tav. VII). Sul piano storico è interessante notare – è stato già evidenziato da Giuseppe Galasso e Marco Tangheroni - che durante il regno normanno-svevo la mercatura con gli Arabi, contrariamente a quanto generalmente ritenuto, ebbe un incremento proprio a causa della maggiore stabilità politica raggiunta con l’istituzione del regno, sicché si spiegano i numerosi ritrovamenti di ceramica di importazione islamica dei secoli XII e XIII in tutta l’Italia meridionale. Fra i centri di produzione della ceramica islamica v’è la Sicilia, raccordo non solo in questo settore fra Occidente e Oriente. Seppur meno frequente al Sud, rispetto al Centro ed al Settentrione, l’uso dei bacini è attestato nella decorazione delle architetture ed i reperti rinvenuti in Campania provengono dai medesimi centri di produzione che esportavano i loro prodotti nelle città centro settentrionali15, ma al Sud viene fatto un recupero piuttosto generalizzato dei frammenti della ceramica di importazione per un loro riuso nella composizione dei mosaici negli amboni di numerose chiese. Tessere di tali ceramiche si trovano nelle cattedrali di Scala, di Amalfi, di Formia, di Minturno, di Sessa Aurunca16, di Caserta Vecchia. Se l’uso principale dei manufatti ceramici islamici consisteva nell’impreziosire la casa e la tavola dei ricchi, il recupero dei frammenti esaltava ancor più la materia con cui tali ceramiche erano P. Peduto, Bacini, tarsie e spolia nelle costruzioni in Italia meridionale al tempo degli ultimi Longobardi e dei Normanni, in “Apollo. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano”, XXI(2006), pp.99-114. 15 G. Berti, L. Tongiorgi, I bacini ceramici medievali delle chiese di Pisa, Roma 1981. 16 Anche se l’autrice non parla esplicitamente delle tessere musive di ceramica è interessante il quadro d’insieme sui problemi del restauro riassunto da G. Torriero, Riuso di elementi della cultura figurativa di tradizione arabo-islamica e problemi di restauro: la cattedrale di Sessa Aurunca e la abbazia di S. Lorenzo di Aversa, in A. Cilardo (a cura di), Atti del Convegno sul tema: Presenza araba e islamica in Campania (Napoli-Caserta, 22-25 novembre 1989), Napoli 1992, pp. 545-550. 14 93 Paolo Peduto realizzate (TAV. VIII): si tratta dell’impiego di ceramica nei mosaici dei plutei di numerosi amboni individuati nelle chiese di molte città rivierasche della Campania, a cominciare - s’è già accennato al S. Giovanni a Toro di Ravello - da Amalfi fino a Gaeta e Formia. Negli originari amboni smembrati della cattedrale di Amalfi, in quelli della cattedrale di Ravello e a Scala i pannelli musivi decorati con viticci e uccelli alle fonti della vita o recanti ramoscelli della pace nel becco sono interamente ottenuti con tessere smaltate ricavate dal vasellame frantumato precedentemente descritto (TAV. IX). Lo studio dell’impiego delle tessere ceramiche nei mosaici può orientare circa la cronologia e la matrice culturale di tali manufatti, come ho già proposto anni or sono osservando l’ambone di S. Giovanni a Toro17. In tali pannelli sono presenti tutte le più belle ed interessanti produzioni islamiche di ceramica invetriata, smaltata e a lustro del secolo XIII. Ritorno brevemente sull’argomento spostando in particolare l’attenzione sul più antico dei due amboni presenti nella cattedrale di Ravello: quello del vescovo Rogadeo della prima metà del XII secolo. Il mosaico del prospetto del livello inferiore dell’ambone si sviluppa su due plutei rettangolari, simmetrici, distanziati da un piccolo vano coperto da volta a botte. I plutei sono decorati con dischi di porfido, girali intrecciate e riquadrati da fasce musive interamente composte con tessere marmoree; due pavoni al lato della fonte a cui si abbeverano stanno sulla lastra sottostante il lettorile. Quest’ultima lastra fu, durante un’antica risistemazione, ritagliata in alto e in basso asportando parti del ciuffo pennuto posto sulla testa e parti della coda dei pavoni originariamente eseguiti con l’identica tecnica musiva vista nei due plutei suddetti, cioè esclusivamente con tessere marmoree. Tali mutilazioni costituiscono la traccia più evidente di un antico intervento piuttosto disomogeneo subito dall’ambone nella parte superiore dove, sui due plutei triangolari del parapetto delle scale di accesso al lettorile, fu posto Giona ingoiato e risputato dalla Pistrice. Qui le due scene sono realizzate soltanto con tessere ricavate da preziosi manufatti di ceramica siriaca databili al secolo XIII. La varietà e la qualità di ceramiche impieP. Peduto, L’uso della ceramica nei mosaici, in L’ambone della chiesa di San Giovanni a Toro di Ravello, in “Apollo. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano”, VII(1991), pp. 103-109; M. Schvoerer et Alii, Bacini et tesselles en céramique glaçurée de l’église San Giovanni a Toro, Ravello, in “Apollo. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano”, VIII(1992), pp.74-96. 17 94 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana gate è impressionante: va dal lustro metallico alla pasta silicea, i colori dal giallo al bruno, all’azzurro, ad una infinità di sfumature di verde; si tratta di prodotti tutti d’importazione mediorentale (TAV. X). Sarebbe da chiedersi se in costiera oltre all’arrivo dei manufatti integri vi sia stato un commercio di quegli scarti di produzione così utili nella creazione di tali mosaici o se, data la quantità di importazioni, non sia nato un traffico interno di recupero dei frammenti per il riutilizzo secondario. Poiché alla fine del secolo XII iniziavano a scarseggiare i marmi romani da cui ricavare le tessere musive - si pensi al consumo fattone nei pavimenti in opus sectile delle numerose chiese romaniche della Campania – il ricavare tessere colorate dalle ceramiche fu certamente un’operazione meno impegnativa rispetto al segare in pezzetti regolari il porfido rosso, il serpentino verde ed i vari marmi spolia del mondo antico. Ora, senza partecipare all’interessante discussione sull’origine e sulla tradizione dei mosaicisti campani di recente ripresa da vari studiosi, suggerirei l’ipotesi che la tradizione del mosaico in ceramica presente a Ravello abbia potuto avere radici nella consuetudine della decorazione architettonica orientale sia degli interni sia degli esterni (Anatolia, Iran ed Asia Centrale)18 piuttosto che in quella romanico occidentale19. A proposito dei buoni rapporti tra gli abitanti della penisola sorrentino-amalfitana e gli Arabi viene da chiedersi se la diffusione capillare del ciclo di Giona, presente in quasi tutte le chiese della costa campana, non sia un indizio di un comune sentire tra cristiani e musulmani, essendo Giona profeta comune alle due religioni presente sia nella Bibbia sia nel Corano20. In quest’ultimo v’è una sûra, la X, dedicata al profeta, oltre alla narrazione in altre parti del Corano dell’episodio della pistrice. 18 p. 388. J. Soustiel, La céramique islamique, Parigi 1985, sub voce Mosaïque de céramique, Di questo avviso è A. D’Aniello, Il pavimento musivo del duomo di Salerno, in Atti del Convegno sul tema: Presenza araba …cit. pp. 237-244, anche A. Braca (Il duomo di Salerno. Architetture e culture artistiche del Medioevo e dell’Età Moderna, Salerno 2003, pp. 127-150) riconosce nell’ opus sectile del duomo l’influenza islamico-bizantina, mentre a più solidi rapporti romano-cassinesi rimanda R. Longo (Il pavimento in opus sectile della chiesa di San Menna. Maestranze cassinesi a Sant’Agata de’ Goti in La chiesa di San Menna a Sant’Agata de’ Goti. Atti del Convegno di Studi. 19 giugno 2010, Salerno 2014, pp. 113-146) per l’esecuzione dell’arredo architettonico di un altro straordinario esempio del Romanico meridionale. 20 L. Di Giacomo, Positano medievale, Salerno 1986. Forse il Giona comune ai cristiani e ai musulmani ha indotto i miliziani dello Stato islamico nel 24 luglio 2014 a distruggere 19 95 Paolo Peduto Sulla zona nord della stessa costa si può scorgere, a Sorrento, nel palazzo Veniero un unico bacino in lustro di probabile provenienza nord africana, forse dall’Egitto, ma ne è stata proposta anche l’origine nella Spagna islamica21 (TAV. XI) – solo superstite degli otto che dovevano decorare i dischi a tarsie posti ad intervallo fra le monofore. Per il palazzo di Sorrento Roberto Pane e Luigi Kalby22 ne collocarono la costruzione al secolo XIII, ma sia lo schema decorativo delle tarsie, molto simile alle rotae poste sull’esterno della chiesa di S. Maria del Patìr di Rossano (CS) (TAV. XI, B), fondata sul volgere del secolo XI, sia il ‘bacino’ superstite, di derivazione da modelli dell’Egitto fatimita della prima metà del secolo XI (TAV. XI, C), inducono ad una collocazione cronologica più alta del palazzo sorrentino, probabilmente costruito tra lo scorcio del secolo XI e la prima metà del successivo23. Verso la fine del secolo XIII e gli inizi del XIV si ha in costiera amalfitana e lungo tutta la costa tirrenica italiana un progressivo aumento delle importazioni di prodotti di lusso spagnoli da Granada, da Valencia e da Maiorca24, ma anche da Pula (CA), dove sembrerebbe abbiano operato tra il XIV ed il XVI secolo figuli, se non proprio arabi, in armonia con i moduli del gusto islamico (TAV. XII)25. Prodotti questi ultimi di cui si a Mosul la moschea del profeta Younis (Giona). 21 A. De Crescenzo, I bacini ceramici dell’Italia meridionale e della Sicilia, in Bacini murati medievali problemi e stato della ricerca, Atti del XXVI Convegno internazionale della ceramica (Albisola, 28-maggio 1993), Firenze 1996, pp. 208-209. 22 R. Pane, Sorrento e la Costa, Napoli 1955, fig. 56 e pp. 102-104. L. G. Kalby, Tarsie ed archi intrecciati nel romanico meridionale, Salerno 1971, pp. 118-120. 23 L’esemplare indicato come il più vicino al ‘bacino’ di Sorrento, in particolare per il simile schema decorativo, fu esposto ad Atene nella mostra tenuta tra il 26 giugno 1985 ed il 6 gennaio 1986 ed è nel catalogo Byzantine and post-byzantine art (Athens. Old University, 26 Giugno 1985 – 6 Gennaio 1986) del Ministry of Culture Byzantine and Christian Museum, Athens, Cultural Capital of Europe 1985, p. 229, fig. 263. 24 F. Cifelli, F. Tateo, Ceramiche magrebine e valenzane della costa di Amalfi: distinzione in base alla composizione degli impasti, in “Apollo. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano”, XII(1997), pp. 101-104. Per la Toscana in particolare R. Francovich, S. Gelichi, La ceramica spagnola in Toscana nel bassomedioevo, Firenze 1984; G. Berti, E. Tongiorgi, Ceramiche importate dalla Spagna nell’area pisana dal XII al XV secolo, in Segundo Coloquio Internacional de Cerámica Medieval en le Mediterráneo Occidental (Toledo 1981), Madrid 1986, pp. 315-346. 25 R. Cassano, C. Laganara Fabiano, L. Pietropaolo, La ceramica in Puglia dal tadoantico al basso medioevo tra Occidente e Oriente: nuovi dati, in “ Italia, Medio ed Estre- 96 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana hanno numerose testimonianze dagli scavi della Villa Rufolo a conferma dei rapporti sviluppatesi a partire dai secoli XII-XIII tra le costa spagnola, la Sardegna (TAV. XIII) - dei cui scambi non si sa quasi nulla - e la Campania, attestata in quest’ultima regione da rinvenimenti di alcuni denari di Melguiel, “moneda de gran aceptación en to el Languedoc marítimo y en los distritos septentrionales de Cataluña”26. Non vi sono, a mia conoscenza, testimonianze scritte relative alla compra vendita di ceramiche nell’ambito del Mediterraneo medievale e sarebbe necessario, almeno per l’Italia meridionale, nel prosieguo degli studi del settore produrre dei dettagliati corpora della ceramica di importazione per valutare appieno l’ampiezza di tali scambi, al momento difficilmente quantificabili. Forse soltanto attraverso lo studio futuro dei registri doganali, lo sollecitava Tangheroni27, si potrebbe raggiungere un quadro complessivo dello specifico commercio considerato genericamente secondario rispetto alle principali merci quali tessuti, broccati e oggetti di metallo prezioso. Di questo commercio secondario proprio il numero di ceramiche raccolte dagli strati di frequentazione medievali lascia intuire attraverso la capillarità della loro diffusione l’intensità dei rapporti con il mondo islamico e quanto questo abbia influito nella vita quotidiana della società medievale dell’Italia meridionale per tutto il basso Medioevo. mo Oriente: commerci, trasferimenti di tecnologie e influssi decorativi tra basso e medioevo ed età moderna”, «Atti del XL Convegno Internazionale della ceramica 2007», Albisola 2008, pp. 48-73 e per i confronti la ceramica ifriqena di Ravello in particolare le figg. 1,3,4 di p. 73. Negli stessi «Atti»: P. Favia, Rapporti con l’Oriente e mediazioni tecnologiche e culturali nella produzione ceramica bassomedievale della Puglia centrosettentrionale: gli influssi bizantini, la presenza saracena e le elaborazioni locali, pp. 74- 91. Sulla ceramica del tipo Pula ci sono ancora molti dubbi sull’esatta provenienza e sui livelli di produzione (Cfr. H. Blake, The ceramic hoard from Pula (prov. Cagliari) and the Pula type of Spanish lustreware, in Segundo Coloquio…cit., pp. 365-405. 26 A. Riera i Melis, Perpiñán, 1025-1285. Crecimiento económico, diversificación social y expansión urbana, in D. Abulafia, B. Garí (a cura di), En las costas del Mediterráneo occidental. Las ciudades de la Península Ibérica y del reino de Mallorca y el comercio merditerráneo en la Edad Media, Barcellona 1997, p. 7, n. 25; A. M. Santoro, Emissioni straniere nel salernitano fra XII e XIII secolo: il ritrovamento di alcune monete di Melgueil, in R. Fiorillo, C. Lambert (a cura di), Medioevo letto, scavato, rivalutato, Firenze 2012, pp. 411-416. 27 M. Tangheroni, Fonti e problemi della storia del commercio mediterraneo nei secoli XI-XIV, in S. Gelichi (a cura di) Ceramiche, città e commerci nell’Italia tardo-medievale, Ravello 3-4 maggio 1993, Mantova 1998, p. 18. 97 Paolo Peduto La produzione della protomaiolica e della invetriata dipinta, è da tempo acquisito, prese in Italia meridionale avvio dai centri pugliesi, in particolare dalla colonia di Saraceni trasferiti dal Monte Iato e da Entella in Sicilia e costretti da Federico II a stabilirsi in Puglia, nella regione tra Lucera e San Severo, dove impiantarono le loro ultime figuline. Poiché da lì a poco con l’avvento angioino i rapporti tra i Rufolo e la Puglia furono intensi basti qui ricordare quell’Orso Rufolo esattore delle gabelle in Capitanata tra il 1279 ed il 1280 mentre già nel 1272 Nicola Bartolomeo de Fogia si qualifica magister sull’ambone Rufolo della cattedrale di Ravello -, si può facilmente comprendere l’ampia diffusione delle ceramiche di pregio pugliesi raggiunta in costiera amalfitana.28 Tale produzione venne consolidata dagli Angioini col trasferimento a Napoli, agli inizi del secolo XIV, di alcuni figuli di origine araba perché potessero insegnare e diffondere le loro specifiche tecniche di produzione29. Nel frattempo le importazioni dalle regioni islamiche della Siria e dell’Egitto fatimida, continuavano abbondanti, come dimostrano i ritrovamenti di ceramica invetriata su base silicea: erano oggetti molto raffinati in cobalto, blu profondo e nero, e con essi viaggiava anche il vasellame di lusso prodotto con la tecnica del lustro metallico. In costiera amalfitana tali ceramiche erano comuni nelle case patrizie dei Marra e dei Rufolo, famiglie arricchitesi enormemente mediante i traffici con il mondo arabo di cui avevano in parte assorbito il modo di vivere e di atteggiarsi, lo si desume sia dagli scavi della dimora dei Rufolo, a Ravello, sia dalle narrazioni erudite degli umanisti e dalla testimonianza delle loro superstiti residenze che nascevano dai medesimi moduli dell’Alhambra a Granada o dei successivi padiglioni ottomani alge- 28 S. Patitucci Uggeri, La protomaiolica in Puglia in H. Houben, O. Limone (a cura di), Federico II “Puer Apuliae”. Storia arte cultura, Atti del Convegno Internazionale di Studio in Occasione dell’VIII centenario della nascita di Federico II (Lucera 1995), Galatina 2001, pp. 118-123; P. Favia, V. Valenzano, Diffusione delle ceramiche con rivestimento vetroso nella Puglia centro-settentrionale bassomedievale: dinamiche, relazioni e nessi sul piano sociale ed economico, in C. Moine, L. Sabbionesi, In&Around. Ceramiche e comunità. Secondo convegno tematico dell’AIECM3 (Faenza, Museo Internazionale delle ceramiche, 17-19 aprile 2015), Faenza 2016, pp. 211-218. 29 O. Mazzuccato, La ceramica araba nel Mezzogiorno d’Italia e a Roma nei secoli XII-XIII, in M. V. Fontana, G. Ventrone Vassallo (a cura di) La ceramica medievale di San Lorenzo Maggiore in Napoli, Atti del Convegno, Napoli, Basilica di San Lorenzo Maggiore, 25-27 giugno 1980, v. II, Napoli 1984, p. 502. 98 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana rini30. Ma chi erano e da dove venivano gli architetti, i mosaicisti e i figuli operanti in costiera amalfitana, capaci di produrre simili manufatti? La nota tradizione della ricostruzione desideriana di Montecassino racconta di artigiani bizantini e arabi chiamati nel monastero di San Benedetto proprio da Amalfi e da Salerno dove erano attivi nella seconda metà dell’XI secolo31, una tradizione interessante, ma insufficiente a farci comprendere in che modo e quanto vi si lavorassero spolia recuperati sul posto o fatti venire da altrove. Certo è che i marmorari dell’ambone Rogadeo utilizzarono marmi romani già a loro volta reimpiegati nell’alto Medioevo e sono note per Ravello diverse acquisizioni di marmi antichi per la costruzione di chiese e palazzi, fenomeno quest’ultimo diffuso in tutto il Medioevo32. Alcune ceramiche architettoniche, ritrovate durante gli scavi, con evidenti segni in carattere arabo rafforzerebbero la volontà dei Rufolo quali committenti di una architettura islamica per la quale si sarebbero rese necessarie importazioni sia degli specifici manufatti sia degli artigiani capaci di porli in opera nella struttura delle cornici dei patii e delle finestre che davano sui giardini (TAV. XIV). Finora mi erano sconosciute importazioni di pezzi architettonici in ceramica, per così dire fabbricati a piè d’opera, come i campioni invetriati in verde scuro e giallo verde qui mostrati. Su due dei sei frammenti prima della cottura furono incisi, alcuni segni (TAV. XV, A e D) Sul retro, poi, di un frammento v’è una traccia in bruno dipinta sul biscotto (TAV. XV, B); tali segni servivano senza alcun dubbio ad indicare la posizione in opera durante il montaggio. Ma prima che si proceda ad analizzarne gli impasti, nulla si può dire con assoluta certezza del luogo di produzione che potrebbe localizzarsi sia in Siria sia in Egitto. Tali pezzi riproducevano ritmi decorativi analoghi agli arabeschi del patio superstite dove sono realizzati in tufo grigio sull’esterno e in cotto lungo i tre superstiti periboli interni (TAV. XVI). Posizionate le ceramiche architettoniche invetriate le J. Caskey, An early description of the Villa Rufolo in Ravello, in «Apollo, Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano», XI (1995), pp. 123-128. F. C resti, Giardini e ville nella campagna di Algeri in età ottomana, in A. Petruccioli (a cura di), Il giardino islamico. Architettura, natura, paesaggio, Milano 1944, pp. 169-184. 31 E. Scaccia Scarafoni, Note su fabbriche ed opere d’arte medioevale a Montecassino, in «Bollettino d’Arte», n. 3, s. III, XXX(1936), p. 108. 32 Per l’ambone Rogadeo, per l’uso ed il commercio di marmi antichi a Ravello: F. Widemann, Dtatation et origine du réemploi de colonnes antiques dans le Haut Moyen-Âge, in Medioevo letto…cit., pp. 221-229. 30 99 Paolo Peduto meraviglie per la varietà delle forme e dei colori descritti dal Bolvito dovevano essere ampiamente giustificate, sebbene alla luce di un recente studio analitico sull’architettura della Villa ne sia stata ampiamente dimostrata la vaghezza descrittiva33. Non mi sono noti altri manufatti simili nella penisola sorrentina o in Campania e poiché l’apparato architettonico del patio di villa Rufolo è stato concepito sul volgere del secolo XIII certamente da maestranze arabe (lo confermano almeno in parte anche i contrassegni) sarei orientato a ritenere queste ceramiche architettoniche commissionate da un patrizio della famiglia Rufolo per dare un carattere marcatamente mediterraneo alla propria residenza in segno di autonomia rispetto alla progressiva francesizzazione dei cantieri dei reali angioini ai quali del resto il patriziato amalfitano aveva dato man forte nella conquista del regno. 33 G. Fiengo, S. Carillo, Villa Rufolo a Ravello. L’organismo medievale, le trasformazioni moderne, i restauri contemporanei, Napoli 2008. 100 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana TAV I. Fig. A) Ravello (SA): frammento di ciotola decorato in bruno manganese e verde su fondo bianco-giallastro (sec. X-XI?); Fig. B) ciotola (fuori scala) da Sabra-Mansouriya (Tunisia) (se. X) da Soustiel 1985, p. 155, fig. 187. 101 Paolo Peduto TAV. II - Vie di introduzione della tecnica ad ingobbio (I1 e I2) e vie di introduzione della tecnica a smalto stannifero (A e B) (da Berti, Mannoni 1991, p. 172). 102 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana TAV. III - Ceramica graffita bizantina: A) Ravello, coppa recuperata durante l’ampliamento di un ambiente addossato alla cattedrale (sec. XII-XIII); B) Bisanzio o Corinto? Coppa sec. XII-XIII (da Soustiel 1985, p. 142, fig. 166; C, D, E, Ravello. Ceramiche provenienti dagli scavi in Villa Rufolo: F, Salerno, frammento dagli scavi nel castello; G) Capaccio Vecchia (SA), frammento dagli scavi. 103 Paolo Peduto TAV. IV – A) Gaeta, dal campanile della cattedrale: graffita bizantina (sec. XIII); B) e C) Ischia, Lacco Ameno, antiquarium di Santa Restituta: graffita con caratteri pseudocufici ed invetriata verde ramina con decorazione ed iscrizione in caratteri in nero manganese (secc. XI-XII); D) Ravello, Villa Rufolo, frammenti di graffita (fuori scala). 104 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana TAV. V – A-Q) Ravello, ceramiche dallo scavo di Villa Rufolo. A, B) Coppe siciliane o ifriqene (sec. XII fine-prima metà XIII) dipinte in verde e bruno manganese su ingobbio sotto vetrina piombifera; C-P) Frammenti di coppe ifriqene dipinte in bruno manganese e blu cobalto (sec. XII). Il frammento P è un fondo di bacino con piede ad anello ancora incollato alla malta; Q) Maiolica ifriqena (?) con invetriatura bianca e dipinture in blu cobalto e manganese (sec. XII); R) Salerno, area del normanno castel Terracena, sporadico, durante il restauro di una casa addossata: grande tesa di bacino ifriqeno in blu e manganese (sec. XII); S) Salerno, dagli scavi della chiesa del S. Salvatore (area della curtis longobarda), frammento ifriqeno in manganese e verde (se. XII). 105 Paolo Peduto TAV. VI - A) Pisa, Museo Nazionale S. Matteo, coppa ifriqena dipinta in nero manganese e cobalto su smalto bianco (fine se. XII) (da Scerrato 1979, p. 492, fig. 537; B) Ravello, frammenti di coppa simile alla precedente dagli scavi di Villa Rufolo. TAV. VII - Ceramica modellata a rilievo, probabile derivazione dalla Siria del Nord (sec. XIII). Il frammento B è decorato con fiori di giglio, simboli della fecondità. Confronti con modelli in E. Grube, Isalamic Pottery of the Eighth to the Fifteenth Century in the Keir Collection, Londra 1976, p. 165. 106 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana TAV. VIII - Ravello (SA), dagli scavi in Villa Rufolo: A) Albarello in pasta silicea con iscrizione in caratteri arabi; B, tre diversi frammenti in pasta silicea, si noti nel primo frammento dei tre, in nero e cobalto, la medesima decorazione del G dell’ambone di S. Giovanni a Toro, cui appartengono anche i bacini D, E, F, H, I, L. Il frammento centrale della ciotola M (non in scala) proviene dalla Siria del sec. XIII (E. J. Grube, Islamic Pottery of theEighth to the Fifteenth Century in the Keir Collection, Londra 1976, fig. 216). Il gruppo di frammenti C è relativo ad una forma chiusa proveniente dai suddetti scavi. 107 Paolo Peduto TAV. IX – Ravello (SA). S. Giovanni a Toro: particolari del mosaico dell’ambone. Molte tessere rivelano la loro derivazione da ceramiche in pasta silicea, decorate in nero e cobalto (A, B, C) in blu e oro (D), in bianco e nero sotto vetrina trasparente (E). Quest’ultima immagine rimanda per il disegno alla decorazione floreale del fondo di una piccola coppa in pasta silicea giallastra decorata a lustro rossastro, datata alla fine del sec. XII (Soustiel, p. 374, fig. 41), ma è molto vicina anche alla decorazione di un piatto del Cairo datato al sec. XIV (Soustiel, p. 222, particolare della fig. 253). 108 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana TAV. X – Ravello (SA). Cattedrale. Ambone Rogadeo: A-C particolari del mosaico in tessere di ceramica islamica (importazioni da Raqqa?) del ciclo di Giona (sec. XIII), D parte bassa dell’ambone originale dove il mosaico era stato eseguito in marmi policromi (fine sec. XI – prima metà XII). 109 Paolo Peduto TAV. XI - A) Sorrento (NA), Palazzo Veniero: Tondo a tarsie con bacino centrale (D) (sec. XII); B) Rossano (CS), Tondo del Patirion (sec. XII) (da Orsi 1997, p. 123, particolare della fig. 84; C) Frammento di Coppa dal sito archeologico di Nea Anchialos (Grecia) (sec. XI) (da Byzantine and post’byzantine art,1986, p. 279, n. 263). 110 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana TAV. XII – A, B, C) Ravello (SA): Importazioni spagnole; D-O) Ceramica tipo Pula (CA). Il frammento E è del tutto simile al bacino F che proverrebbe dal palazzo Chiaramonte, lo Steri, di Palermo , ora al Museo di Faenza, ma di cui rimangono incerti luogo di produzione e provenienza (Blake 1986, p. 402, fig. 44R, per la discussione: p. 405). 111 Paolo Peduto TAV. XIII – Ravello (SA): A) coppa con decorazione a lustro e blu (sec. XV) dagli scavi di Villa Rufolo, del tutto simile all’esemplare B ritrovato in Sardegna (da G. Berti, E. Tongiorgi 1986, p. 329 tav. 7, fig. 1); C) In colore tre frammenti da Villa Rufolo; D) Arezzo, Museo medievale e moderno: ciotola spagnola con monogramma a lustro e decorazione a “foglie di prezzemolo” (sec. XV) (da R. Francovich, S. Gelichi 1986, p. 306). 112 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana TAV. XIV – Ravello (SA). Villa Rufolo: frammenti di ceramica architettonica provenienti dagli scavi. 113 Paolo Peduto TAV. XV – Ravello (SA). Villa Rufolo: frammenti architettonici. Su due frammenti (A e D) si rilevano le incisioni fatte prima della cottura per numerare i pezzi da porre in opera secondo una sequenza prestabilita; B reca un contrassegno quasi evanido pennellato in bruno. 114 Ceramica medievale d’importazione nella Costiera Amalfitana TAV. XVI - Ravello (SA). Villa Rufolo: particolare del patio ‘moresco’ con la sovrapposizione di frammenti ceramici architettonici simili alla decorazione in tufo grigio che testimoniano la scomparsa di un patio simile all’odierno decorato con moduli in verde. 115