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La citazione come atto cognitivo

5 La citazione come atto cognitivo Paolo Canettieri (“Sapienza” Università di Roma) Abstract In this article I examine the cognitive aspects of quotation; this contribution should be considered as a part of a project raising the issue of intertextuality in a new way. The questions to which cognitive applications may give response are the following: 1. What happens in our mind when we quote? 2. What happens when we listen to or read a quotation? 3. What happens when we look for a quotation? 4. What kind of memory is activated? 5. What is the cognitive function of a quotation? 6. Can a quotation influence the form and method of reasoning? 7. If this is the case, what areas of argumentation are involved? The fields of cognitive psychology to which it is necessary to refer in order to answer these questions are those of knowledge representation and information processing (particularly the process of transformation of declarative knowledge into procedural knowledge), the theories about the models and structures of memory (procedural, episodic, semantic), the memory processes (especially its recovery), the theory of reasoning. Key words – quotation; cognitive psichology; intertextuality; structures of memory In questo lavoro ci interroghiamo sugli aspetti cognitivi della citazione, considerando questo contributo come un tassello di un progetto che reimposti il problema dell’intertestualità in questa chiave. Le domande alle quali le applicazioni cognitiviste possono dar risposta sono le seguenti: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Cosa avviene nella nostra mente quando citiamo? Cosa avviene quando ascoltiamo o leggiamo una citazione? Cosa avviene quando cerchiamo o ricerchiamo una citazione? Quale tipo di memoria è attivata? Qual è la funzione cognitiva della citazione? La citazione incide sulle modalità del ragionamento? Se sì, quali ambiti dell’argomentazione risultano implicati? I settori della psicologia cognitiva ai quali sarà necessario far riferimento per rispondere a queste domande sono quelli della rappresentazione della conoscenza e dell’elaborazione dell’informazione (in particolare il processo di trasformazione delle conoscenze dichiarative in conoscenze procedurali), le teorie sui modelli e le strutture della memoria (procedurale, episodica, semantica), i processi della memoria (soprattutto il recupero), la teoria sul ragionamento. Parole chiave – citazione; psicologia cognitiva; intertestualità; strutture della memoria Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 6 Le macerie risultano come un contesto offuscato o assente, in altre parole come citazioni T. W. Adorno 1. Va detto preliminarmente che il termine ‘citazione’ è largamente polisemico: qui lo intenderemo come “elemento testuale estrapolato da un contesto e inserito in un altro contesto in maniera esplicita o dissimulata ma riconoscibile”. In questa sede ci soffermeremo, senza alcuna pretesa di esaustività, nemmeno sintetica, sui seguenti aspetti: fenomenologia, tipologia e funzioni della citazione. In effetti abbiamo a che fare con uno dei concetti con cui convenzionalmente, nella filologia tradizionale, si indica la memoria intertestuale: se si considera la testualità come un sistema in cui i discorsi assumono un valore individuato dal loro reciproco rapporto, la citazione risulta il caso forse più palese dell’intertestualità, poiché istituisce un nesso evidente fra discorso di partenza e discorso di arrivo. In un recente libro di George Steiner si legge che la creazione è sempre e comunque pratica combinatoria1: se vista in questa chiave, la citazione è ciò che emerge dall’innata tendenza alla combinazione di elementi disparati al momento della creazione. Nella citazione, quindi, produzione e ricezione trovano un loro momento di sintesi. La citazione può manifestare inoltre la volontà di un autore di adeguarsi a una tradizione (ideologica, culturale, letteraria, ecc.) ed è quindi di per sè ‘reazionaria’, nel senso che interrompe il discorso presente per evocare il passato, anche se come frammento. Inoltre, come vedremo, essa poggia su una tendenza umana all’accoglimento spesso acritico dell’auctoritas. Paul Dupré, cominciando non a caso con una citazione la sua Encyclopédie des Citacions, esprimeva bene questo concetto: Lorsque Auguste Comte disait «Les morts gouvernent les vivants», il traduisait en une formule lapidaire cette idée fondamentale que toute civilisation est le fruit du passé et que nous ne saurions comprendre le présent sans nous référer constamment à l’héritage spirituel de nos ancêtres. [...] Pourquoi, dans des oeuvres souvent 1 George STEINER, Grammars of Creation, New Haven and London, Yale University Press, 2001; trad. it. Fabrizio RESTINE, Grammatiche della creazione, Milano, Garzanti, 2003. Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 7 monumentales, sélectionner tel passage plutôt que tel autre, telle phrase de préférence à telle autre? Ce choix ne peut évidemment reposer sur des critéres absolus mais il n’est pas non plus arbitraire. En fait, il est des paroles qui même depouillées de leur contexte, imposent leur survie et viennent constamment enrichir le trésor de la pensée du monde civilisé. Ce fond commun, qui est la base même de notre civilisation, se cristallise peu à peu par un processus complexe, comprenant des phases de décantation successives2. Una volta decontestualizzata la citazione, peraltro, il piano assente e offuscato (vedi l’esergo) del contesto, conosciuto o meno, gioca un ruolo prepotente, proprio perché rende indispensabile una ricerca memoriale dell’orizzonte di riferimento. L’evocazione del contesto assente comporta spesso anche travisamento: trasferito e inserito in un’altra costellazione semiologica, ciò che viene citato diviene leggibile tramite il testo in cui è citato, stabilisce nuove connessioni e acquisisce un nuovo contesto. L’elemento recepito assume una funzione e un valore diversi da quelli che aveva nel testo di provenienza: così, spesso, la citazione viene a connotare intenti parodistici, ironici e satirici e implica di necessità, da parte del ricevente, la conoscenza del testo citato, pena la perdita di senso dell’operazione. Ci interrogheremo quindi sugli aspetti cognitivi della citazione, considerando questo contributo come un tassello di un progetto che reimposti il problema dell’intertestualità in questa chiave3. Le domande alle quali le applicazioni cognitiviste potrebbero dar risposta sono varie e non potremo certo affrontarle tutte in questa sede. Tuttavia, già un breve promemoria di questioni può aiutare ad impostare futuri esperimenti e ricerche. Dunque: 1. 2. 3. 4. 5. 2 Paul Cosa avviene nella nostra mente quando citiamo? Cosa avviene quando ascoltiamo o leggiamo una citazione? Cosa avviene quando cerchiamo o ricerchiamo una citazione? Quale tipo di memoria è attivata? Qual è la funzione cognitiva della citazione? DUPRÉ, Encyclopédie des Citations, Paris, Trévise, 1959. 3 Il contributo è quindi parte del più ampio progetto di filologia cognitiva che stiamo portando su più fronti (metrica, narrativa, ecdotica) e il cui araldo è la rivista Cognitive Philology (on-line): cfr. Paolo CANETTIERI, “Il Testo e la Mente”, «Critica del Testo», 15.1 (2012), pp. 297-333. Sullo specifico della citazione, cfr. Philippe de BRABANTER (ed.), Hybrid Quotations, Amsterdam, Benjamins, 2003 («Belgian Journal of Linguistics» 17, Special Issue); Elke BRENDEL, Jörg MEIBAUER, Markus STEINBACH (eds.), Zitat und Bedeutung, Hamburg, Buske, 2007 (Sonderheft 15 der «Linguistischen Berichte»). Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 8 6. La citazione incide sulle modalità del ragionamento? 7. Se sì, quali ambiti dell’argomentazione risultano implicati? I settori della psicologia cognitiva ai quali sarà necessario far riferimento per rispondere a queste domande sono quelli della rappresentazione della conoscenza e dell’elaborazione dell’informazione (in particolare il processo di trasformazione delle conoscenze dichiarative in conoscenze procedurali), le teorie sui modelli e le strutture della memoria (procedurale, episodica, semantica), i processi della memoria (soprattutto il recupero), la teoria sul ragionamento4. 2. Poiché la citazione attualizza un discorso passato inserendolo in un nuovo contesto, essa può fungere da caso paradigmatico, o addirittura essere modellizzante, del ricordo in generale. Inoltre la presenza di questa modalità di ripresa testuale del pensiero altrui si riscontra in tutte le culture e ciò la rende particolarmente adatta ad un’analisi che tocchi gli aspetti sincronici, oltre che diacronici, e ne ricerchi le eventuali caratteristiche di universalità, se non di tendenza innata. Tale aspetto corrisponde alla forma con cui qualcosa si insinua nella memoria, una sorta di “posteriorità” di ciò che viene ricordato, che non è un presupposto, ma piuttosto un effetto della citazione. Grazie al concetto di “posteriorità”, infatti, i ricordi possono essere interpretati come costruzioni creative e retrospettive. Essi sono basati su tracce di memoria (engrammi) le quali rappresentano l’evento ricordato e rinviano ad esso, anche se dipendono allo stesso tempo dagli sviluppi posteriori e dalle esperienze attuali del soggetto. Considerati dal punto di vista psicologico, passato e presente si compenetrano nel senso di un rapporto non lineare di determinazione e costituzione reciproche. La somma di testo citante e testo citato è l’evidente prodotto testuale di uno dei nostri ‘modi’ di pensare e rievocare il passato: il testo riproduce in forma cristallizzata ciò che la mente produce in maniera dinamica. 4 Un’ottima introduzione a questi aspetti della psicologia cognitiva in Robert J. STERNBERG, Cognitive Psychology, Belmont CA, Thomson/Wadsworth, 1996; trad. it. Marta OLIVETTI BELARDINELLI, Psicologia cognitiva, Padova, Piccin, 2000, pp. 189-333 e pp. 476-503. Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 9 La dignità che l’estratto assume nel momento in cui viene estrapolato indica un ulteriore aspetto della citazione come modalità fondamentale della comunicazione. Esso concerne i procedimenti di chiamata in causa di quell’autorità che attraverso tale prassi viene trasferita sulla citazione stessa. La citazione, inoltre, può servire dal punto di vista del produttore del testo per iniziare il discorso, per rompere il ghiaccio della pagina bianca e stabilire i primi paletti del ragionamento, per convincere il lettore/uditore (ricezione) della bontà di un argomento. Attraverso la citazione un testo dichiara di richiamarsi all’autorità di un altro testo e interpreta un presente trascorso come tuttora efficace: un altro interlocutore, assente, viene evocato nel proprio discorso per confermare la bontà di quanto si afferma, indipendentemente dalla sua validità logica. Questa funzione era già enunciata esplicitamente da Cicerone («oratores et philosophos et poetas et historicos, ex quorum et dictis et scriptis saepe aucoritas petitur ad faciendam fidem»; Topica XX 78) e indicata chiaramente da Quintiliano (Institutio oratoria I, vii, 10-12): Da ultimo, fidiamoci degli oratori più grandi, che citano le opere poetiche dei secoli passati per accrescere o la credibilità della loro causa o la bellezza del loro eloquio. Vediamo infatti che, a dire il vero soprattutto in Cicerone, ma frequentemente anche in Asinio e nei restanti oratori a noi più vicini, compaiono versi di Ennio, Accio, Pacuvio, Lucilio, Terenzio, Cecilio e altri, con un notevolissimo effetto non solo di erudizione ma anche di gradevolezza, poiché grazie al fascino della poesia chi ascolta si riposa dalle asprezze delle battaglie legali. Quelle citazioni dai poeti rivelano un’ulteriore non trascurabile utilità quando gli oratori se ne servono come fossero testimonianze, per confermare i loro enunciati. Quintiliano ci dice inoltre che uno dei procedimenti didattici relativi all’esegesi del testo doveva consistere nella spiegazione di massime, crie ed eziologie: Visto che traggono spunto dalla lettura, presso i grammatici si sviluppino anche massime, crie ed eziologie, dopo che il maestro abbia dato spiegazione di quanto vi si dice: in tutti questi esercizi il principio è simile, ma hanno forma diversa, poiché la massima è una proposizione generale, mentre l’eziologia riguarda persone particolari. Di crie sono tramandati più generi: uno, simile alla massima, che risiede in un semplice enunciato: «egli disse» o «soleva dire»; un altro consiste in una risposta: «quello, interrogato» o «essendogli stato detto, rispose»; il terzo non è dissimile dal precedente: «avendo uno detto qualcosa» o «fatto». Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 10 Quintiliano torna poi sull’argomento parlando dell’utilizzo dell’auctoritas5: Si utilizza – portandola da fuori dentro la causa – anche l’autorità. Seguendo i Greci, che le chiamano krìseis, i nostri parlano di iudicia (giudizi) o di iudicationes (punti in giudizio); non sono i punti sui quali esiste una sentenza proveniente da una causa già risolta (essi rientrano infatti fra gli esempi), bensì pareri riportabili di nazioni, popoli, uomini saggi, insigni cittadini o illustri poeti. Non risulterebbero privi di utilità neppure i detti popolari e le convinzioni accolte nel sentire comune. Sono infatti testimonianze in certo senso anche più efficaci, poiché non accomodate alle cause: si tratta di frasi e azioni che hanno pronunciate e compiute, anzi, menti libere da odio e compiacenza, soltanto in ragione del loro apparire assolutamente morali o vere («quia aut honestissima aut verissima videbantur»). Seguono vari esempi, fra cui questo: «Se un’adultera si difendesse in una causa di veneficio, non parrebbe da condannare sulla base del giudizio di Marco Catone, il quale disse che nessuna adultera manca d’essere al tempo stesso anche un’avvelenatrice?»6. Continua Quintiliano7: In effetti, di citazioni dai poeti sono piene non soltanto le orazioni, ma anche le pagine dei filosofi, i quali, pur ritenendo tutto al di sotto dei loro pensieri e dei loro scritti, non hanno disdegnato tuttavia di cercare autorevolezza in moltissimi passi poetici. Così, non è un esempio trascurabile che i Megaresi, nella disputa per Salamina, siano stati vinti dagli Ateniesi grazie a un verso di Omero, peraltro non presente in tutte le edizioni, il quale afferma che Aiace unì le sue navi a quelle di Atene8. […] Anche le convinzioni popolari, per il fatto stesso che non hanno un autore sicuro, diventano praticamente patrimonio comune; alcuni esempi: «dove ci sono amici ci sono tesori»; «La coscienza vale mille testimoni», e, in Cicerone: «Come dice un antico proverbio, i simili vanno con i loro simili»; questi detti, del resto, non sarebbero durati un’eternità, se non sembrassero veri a tutti. La citazione è parte integrante della retorica antica, ma è significativo che Aristotele non parli mai di argomenti fondati sull’autorità e sia ben cosciente del loro carattere ingannevole: essi vanno utilizzati solo al fine di persuadere, non certo per una loro 5 Quintiliano, Institutio oratoria V, xi, 36 e sgg. Troviamo l’abbinamento anche in Rhet. ad Her. 4,23 e in Sen. Contr. 7,3,6, ma il solo Quintiliano lo fa risalire a Catone. 7 Quintiliano, Institutio oratoria V, xi, 39-40. 8 Il problema filologico cui accenna Quintiliano è reale: al verso dell’Iliade 2,558 si dice che Aiace collocò presso le truppe ateniesi le dodici navi che aveva condotto da Salamina. Il verso si credeva interpolato da Solone per rivendicare contro Megara il possesso di Salamina (cfr. Plut. Sol. 10; Diog. Laert. 1,48). 6 Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 11 intrinseca verità. Parlando delle massime, infatti, Aristotele (Retorica, II, 1395b) dice che esse: sono di grande aiuto nei discorsi a causa dell’ignoranza degli ascoltatori, poiché questi provano piacere se qualcuno, parlando in termini generali, s’imbatte nelle opinioni che essi hanno in relazione a oggetti particolari. […] La massima, come s’è detto, è un’affermazione universale, e gli uomini provano piacere quando vengono dette le opinioni che essi si sono già formati nel particolare. Ad esempio, se un uomo si trova ad avere dei vicini o dei figli cattivi, accetterà le parole di chi dice che non c’è cosa peggiore del vicinato o più stupida dell’aver figli. Di conseguenza, si deve mirare a comprendere quali siano le loro opinioni preconcette, e parlare quindi in termini generali riguardo a esse. Lo scarso o nullo valore probatorio della citazione sembra sfuggire agli autori medievali, ed è richiamato esplicitamente solo agli albori del pensiero scientifico: non è certo un caso se il Discours de la méthode di Cartesio manchi completamente di citazioni e di auctoritates. Tutto il Discours è contro il principio d’autorità, i luoghi comuni, quindi le citazioni, poiché tutti i libri del mondo ci avvicinano alla verità meno dei semplici ragionamenti che naturalmente può fare un uomo di buon senso. È chiaro che si tratta di un metodo di non facile accettazione, se ancora François de La Mothe Le Vajer nelle sue Considerations sur l’éloquence françoise de ce temps del 1638 parlava di «sotte affectation de ne citer jamais personne, et de prendre tout chez [soi]… au lieu que c’est un miracle de resusciter les morts en les faisant parler»9. I luoghi in cui le citazioni si sedimentano e lasciano emergere la tensione tra ripetitività e ricercatezza sono le antologie e i dizionari di citazioni, che proliferano fin dal Medioevo, utilizzati come libri di testo nella scuola, sotto forma di collettanee di auctoritates, florilegia, specula, utilizzati quanto bistrattati fino ai nostri giorni (tanto che Winston Churchill, per fare una metacitazione, scriveva che «È buona cosa per un uomo ineducato leggere libri di citazioni»). Se i libri di loci communes erano il principale supporto della pedagogia umanistica, già Quintiliano (Institutio oratoria, II, vii, 2-4) spiegava che il discente era tenuto ad imparare a memoria decine e decine di citazioni e ad organizzare un proprio repertorio ad uso privato: 9 François DE LA MOTHE LE VAJER, Considérations sur l'éloquence françoise de ce temps; petit discours chrétien de l'immortalité de l'âme; corollaire au précédent discours, discours sceptique sur la musique, Paris, Bernard, 1670, pp. 152-153. Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 12 In effetti, io vorrei senz’altro che i ragazzi scrivessero, e vi si impegnassero moltissimo, ma poi consiglierei con decisione ancora maggiore che imparassero a memoria passi scelti da orazioni, da opere storiche o da altri generi di libri meritevoli di una simile attenzione. La memoria, del resto, si eserciterà meglio trattenendo le parole altrui piuttosto che le proprie, e quanti compiranno spesso questo tipo di sforzo, che è maggiore, fisseranno senza problemi nella mente i loro elaborati, con cui, peraltro, hanno già familiarità; inoltre si abitueranno ai testi migliori, avranno sempre nel loro patrimonio di conoscenze modelli da imitare e, senza accorgersene, già si esprimeranno secondo il bello stile che avranno assorbito. Vanteranno abbondanza di parole scelte, di soluzioni per disporle e di figure che non dovranno andare a cercare, ma che si offriranno spontaneamente, come da un tesoro riposto. A ciò si aggiunge anche la capacità di ripetere frasi ben riuscite di ogni autore, capacità che risulta gradevole nella conversazione e preziosa nei processi. I detti non preparati per la causa in questione, infatti, conferiscono più autorità e spesso procurano maggior gloria che se fossero nostri. La citazione è quindi una modalità di formazione della memoria attraverso la ripetizione: ripetizione di ciò che è già detto e ripetizione interiore. Il sistema scolastico era fondato sulla ripetizione costante delle auctoritates, sulla memoria e sulla copia, finalizzata anch’essa a scopi mnemonici (anche se in secondo grado). Il messaggio implicito in questa prassi, del resto, era anche che il latino, linguaggio dell’apprendimento, veniva inteso come assemblaggio di citazioni separabili, autoritative, valide per essere estratte e collocate in un contesto appropriato. Ciò corrispondeva a precisi paradigmi di pensiero. Ann Moss, che ci ha fornito una bella monografia sull’argomento, ha scritto che i libri di citazioni erano così radicati nella mentalità e nel sistema scolastico europeo che anche scrittori che vedevano scarso o nullo profitto intellettuale nelle citazioni, li utilizzavano come testi di lavoro (working tool)10. Del resto, se dopo il ’68 l’apprendimento a memoria era considerato un metodo didattico sorpassato, come il nozionismo, oggi il metodo memoriale in alcuni contesti accademici è stato decisamente rivalutato11. La citazione rappresenta quindi nella cultura occidentale una modalità educativa modellizzante ed è da chiedersi quanto essa risponda a strutture profonde della nostra 10 Cfr. Ann MOSS, Printed Commonplace-Books and the Structuring of Renaissance Thought, Oxford, Clarendon, 1996. 11 Cfr. Jeffrey D. KARPICKE, Janell R. BLUNT, “Retrieval Practice Produces More Learning than Elaborative Studying with Concept Mapping”, «Science», 331.6018 (11 February 2011), pp. 772-777. Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 13 mente. In termini cognitivi, la citazione attraversa i tre stadi individuati dagli psicologi cognitivisti per la rappresentazione di conoscenze procedurali12: l’immagazzinamento di cui parlano Quintiliano e altri corrisponde allo stadio cognitivo, durante il quale si pensa alle regole esplicite per l’implementazione della procedura. Durante lo stadio associativo si fa pratica utilizzando ampiamente le regole esplicite, normalmente in modo costante e stabile (si tratta della pratica suggerita dallo stesso Quintiliano). Infine, durante lo stadio autonomo, le informazioni vengono utilizzate in modo automatico e implicito con un elevato grado di integrazione e coordinazione, così come con elevate velocità e precisione. Non a caso anche qualche autore antico ha sostenuto che i loci e le sententiae non sono stati inventati casualmente o arbitrariamente, ma derivano dalle strutture profonde della natura. Per Philipp Melanchthon l’atto stesso di raccogliere e organizzare tassonomicamente le sententiae «ad rerum cognitionem conducit». Infatti Caeterum ad colligendas sententias etiam adhibenda est ratio quaedam. Nam et memoria adiuvabitur, cum ordine distribuerimus eas in certas classes, et haec in distributio rerum inter se ordinem ostendet13. Il procedimento argomentativo per autorità, che è parte del ragionamento deduttivo e di cui la citazione rappresenta la parole, funziona probabilmente sulla base del principio cognitivo enunciato da Zajonc per cui la familiarità induce preferenza (ciò che è detto da persona autorevole o da persona che fa parte della propria esperienza vale automaticamente di più di ciò che è detto da persona non autorevole o da qualcuno che ci è estraneo)14. Alcuni studiosi hanno inoltre ipotizzato che esista una parte del nostro cervello, generalmente localizzata a destra, deputata all’elaborazione degli ordini. Si tratta della stessa parte in cui vengono processate le emozioni, la musica, gli aspetti 12 John R. ANDERSON, Cognitive Psichology and its Implications, San Francisco, Freman, 1980. in MOOS, Printed Commonplace-Books, p. 32. 14 Robert B. ZAJONC, “Attitudinal Effects Of Mere Exposure”, «Journal of Personality and Social Psychology», 9.2, 2 (1968), pp. 1-27. Robert B. ZAJONC, “Feeling and Thinking: Preferences Need No Inferences”, «American Psychologist», 35.2 (1980), pp. 151-175. 13 Riportato Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 14 prosodici, la parte che ci permette di apprezzare gli artifici della retorica, la parte meno razionale, più passiva e più sensibile agli inganni e ai cosiddetti “tunnel della mente”15. Le citazioni autoritative agiscono su questa parte del cervello, in modo tale che, per via emotiva, siamo indotti a credere a quanto esse esprimono. Quanto più una citazione è stata letta o ascoltata, tanto più agirà e avrà potere persuasivo: si tratta del resto di un dato ben noto anche agli antichi autori di Retorica, fin da Aristotele, che non manca di sottolineare il piacere che dà all’ascoltatore il riconoscimento di una frase o di un brano già noto. Si tratta di un meccanismo ben studiato dagli studiosi dei regimi autoritari in cui il consenso, oltre che sulla forza, si fonda, appunto, sull’autorità del capo. La citazione è di per se stessa ‘autoritaria’: il pensiero laico e scientifico tende a rifuggirne, se non quando essa serve ad abbreviare il discorso scientifico o per dichiarare che un’idea è già stata enunciata da qualcun altro. Nondimeno, non è vero in alcun modo che il pensiero contemporaneo sia esente dall’influenza dell’autorità e che quindi la citazione non abbia influenza sulle modalità del nostro agire e pensare, è vero anzi il contrario. Il pensiero scientifico sembrerebbe più una forzatura intellettuale che un dato ormai connaturato alla specie umana: la mente umana sembrerebbe ancora fortemente ancorata a quelle vestigia arcaiche. Il Novecento, in particolare, ha di volta in volta utilizzato il principio d’autorità e le citazioni con evidenti scopi di persuasione. I pensatori liberali, ma non solo, hanno ad esempio sempre guardato con sospetto all’attitudine di molti studiosi d’impianto marxista, che pur invocavano la scientificità del metodo, a prendere Marx, Engels, Lenin come auctoritates e ad applicare nel ragionamento il principio dell’ipse dixit. Adorno ed altri, in un libro famoso sulla Personalità autoritaria hanno elaborato una scala, su base di test psicologici, dell’autoritarismo16. La personalità con propensioni autoritarie è caratterizzata da convenzionalità, consuetudinarietà, pregiudizio e mentalità acritica, antagonismo nei confronti della scienza e superstizione. I soggetti autoritari tendono agli stereotipi, ai pregiudizi, alle generalizzazioni semplicistiche, a un’eccessiva concretezza; essi dipendono da valori convenzionali, dal dogma ecclesiastico, dall’opinione pubblica 15 Massimo PIATTELLI PALMARINI, L’illusione di sapere. Che cosa si nasconde dietro i nostri errori, Milano, Mondadori, 1993. 16 Theodor W. ADORNO (et al.), La personalità autoritaria, Milano, Edizioni di comunità, 1973. Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 15 e prendono per oro colato quanto affermato da figure dotate di prestigio o carisma. V’è in essi una tendenza ad interpretare letteralmente quanto scritto o detto dall’autorità. In una delle interviste, Mack, un uomo ad alto punteggio sulla scala dell’etnocentrismo e dell’autoritarismo ha riferito: Mi piacciono soprattutto le storie e i detti di Cristo. Non mi interessano tanto i detti degli Apostoli, non è roba di prima mano, e così non li accetto. Ho bisogno di un’assicurazione fattuale. Ho sempre cercato di vivere secondo i 10 comandamenti. A tal riguardo, è significativo che un nazista interpretava «Ama il prossimo tuo come te stesso» nel modo più letterale possibile, dove il ‘prossimo’ era ristretto alla cerchia dei familiari, degli amici e del gruppo di appartenenza. Secondo Adorno nella mente di questi soggetti la Chiesa e la madre appaiono identificate piuttosto strettamente, e sembrano rappresentare l’oggetto a cui si rivolgono le persone deboli o dipendenti quando hanno bisogno di sostegno. Allontanandosi dalla Chiesa vi sostituiscono qualche altra cosa, vale a dire l’autorità rappresentata dapprima dal padre e in seguito da un Dio che è strettamente uomo. Il tipo di sentimenti suscitato nei soggetti da questo grande uomo è simile a quello provato quando si trovano in presenza di figure importanti sul piano militare17. Gli aspetti cognitivi si intrecciano con gli aspetti etologici nel momento in cui la funzione primaria della citazione viene ad essere quella di dimostrare l’erudizione, quindi la superiorità intellettuale di colui che cita: «Un giovane autore non conosce maggior piacere del citare libri vecchi e nuovi. Non c’è nulla che come un paio di citazioni molto erudite adorni un uomo», scriveva Heinrich Heine. E’ un aspetto che viene ovviamente parodizzato a più riprese dagli autori, così come si mette alla berlina un potente. Si legga Mark Twain: «E poi ci aggiunse una valanga di citazioni trite, consunte ed esasperanti, tratte dai poeti e dai filosofi antichi e pronunciate con gran senso della propria importanza nella risonante maestà delle lingue originali, tutte lingue morte». Analogamente Voltaire: « ˗ perché citate Aristotile in greco? ˗ Perché ˗ replicò il sapiente ˗ è davvero necessario citare quello che non si capisce affatto nella lingua che si capisce meno di tutte le altre». 17 ADORNO, La personalità autoritaria, p. 83. Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 16 3. Un altro aspetto cognitivamente rilevante della citazione è la sua incidenza sulla memoria, sia nel momento della produzione sia nel momento della ri-produzione del testo, dove si dà vuoi citazione a memoria vuoi citazione da altro testo scritto. La citazione, inoltre, può essere vista come momento inizializzante del processo dell’inventio. Nella quarta di copertina del dizionario di citazioni della Zanichelli18, ad esempio, si legge: «Tra virgolette può anche essere d’aiuto per superare lo scoglio dell’avvio di un pensiero, di uno scritto, di un discorso prendendo spunto da immagini e riflessioni già esistenti». Per spiegare questo fenomeno possiamo far appello al modello connessionista. Tale modello, infatti, ipotizza l’esistenza di connessioni fra le unità per le esperienze individuali e altre unità che rappresentano le varie proprietà di un’esperienza. Se alcune esperienze sono dotate delle medesime proprietà, ciò significa che l’unità che rappresenta una particolare proprietà tenderà ad essere connessa con ricordi differenti. Ogni volta che una proprietà viene attivata, essa tenderà ad attivare tutti i ricordi a cui è connessa. Per questa ragione, per poter facilitare la rievocazione di una particolare esperienza, il sistema deve possedere sia connessioni inibitorie che connessioni eccitatorie tra le varie unità. L’informazione riguardante ciascuna singola esperienza corrisponde allo stato di attivazione del sistema nel suo complesso in un dato momento. La configurazione globale della forza delle connessioni determina quello che viene ricordato. Secondo questa prospettiva, la citazione eccita il processo connettivo. La forza della connessione, che i connessionisti chiamano “peso”, è determinata, ovviamente, dalla forza della citazione, quindi dal numero di volte in cui la si è ascoltata o letta, dalla sua forza iconica (mnemotecnica), dalla potenza evocativa, dalla sua incisività. Sul piano della ricezione la citazione comporta il riconoscimento o meno del testo citato, nonché il riconoscimento o meno del fatto che si tratti di una citazione, istituendo un’analogia tra un discorso fatto e un discorso che si sta facendo. Nell’Antichità e nel Medioevo si citava spesso ad sensum, non letteralmente ˗ e quindi propriamente in modo ‘errato’ ˗ invece, a partire dal XVI secolo, le virgolette indicano la 18 Franca ROSTI, Tra virgolette. Dizionario di citazioni, Bologna, Zanichelli, 1995. Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 17 letteralità dell’estratto. Si rende inoltre necessaria in tal senso la produzione di segnalatori, che indicano la fonte e l’autore della citazione: «dice il saggio» («si come il saggio in su dittare pone... »), «come dice Andreotti», ecc. Questi segnalatori hanno funzione loro propria, nel senso che attribuiscono automaticamente autorità o non autorità all’autore o conferiscono lo statuto di anonimato alla citazione, attribuendola alla saggezza popolare. Probabilmente, ma qui mancano dati sperimentali di rilievo, è sufficiente l’enunciazione del segnalatore per attivare il processo e le connessioni autoritative proprie della citazione. La dignità di citazione e la facile citabilità impostano la differenza fra la consacrazione di un nome attraverso la citazione e l’anonimato della citazione come topos, fra l’attribuzione di autorità attraverso la voce di una personalità del passato e l’anonimato di ciò che viene semplicemente ripetuto. Ciò che viene citato abbastanza di frequente non esige più alcuna autorità alle spalle, ma piuttosto una ricorrenza, che lo rende un luogo comune, e una ripetibilità. Il ‘detto proverbiale’ può anche aver conservato nel lessico delle citazioni il riferimento alla fonte originaria tuttavia, più è proverbiale, meno fa riferimento a quest’origine. Nel medesimo dizionario italiano di citazioni, per esempio, si legge: Citazione è, di per sé, nient’altro che la ripetizione di un pensiero altrui, e ogni epoca ha bisogno di riunire, ricordare e riproporre, oltre a quelli del passato, i suoi propri pensieri. D’altra parte, una citazione racchiude all’interno dei suoi brevi confini tutto il proprio valore, non è segno di altro da sé. Allora, da questo punto di vista, “grandi” e “minori” riacquistano pari dignità, a meno di volersi affidare puramente all’autoritario principio dell’ipse dixit19. Del lavorio interiore, dell’appropriazione inconscia di questa alterità, del processo cognitivo che presiede al cristallizzarsi della citazione nella forma dell’auctoritas e al suo eterno variare ed adattarsi ai contesti, del suo mutare per rafforzarsi, quasi fosse un virus del pensiero, ha scritto in maniera precisa e bellissima Paul Valéry, come sempre attento agli aspetti cognitivi: 19 ROSTI, Tra virgolette, p. III. Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 18 Viene detta una piccola frase di fronte a un tale. Questa frase lo colpisce. La sua attenzione è attivata; ciononostante questa frase non lo interessa quasi per nulla. La dimentica. Ma non viene rimossa. Si perpetua e si rigenera in lui senza che questi se ne accorga. Ma continua a generare sensazioni. Riuscite a scorgerla nella parte più segreta di questo individuo, divenuta attesa e attività sconosciuta? Un giorno, ritirerà fuori il suo effetto potente e inatteso, senza palesarsi. Ignorerà l’origine del nuovo vigore. Questo lavoro interiore può generare molte trasformazioni sorprendenti che appariranno come spontanee. Come esempio di questo processo, nonché della struttura fondamentalmente variante della citazione a memoria, prendiamo la famosa massima «A pensar male si commette peccato, ma si ha quasi sempre ragione». Chi ne è l’autore? Qual era la forma precisa della citazione? La prima parte è quella su cui pochi di noi avrebbero dubbi, della seconda, invece, ricordiamo la sostanza, ma non la forma precisa. Traggo da internet un repertorio di varianti. Per la prima parte troviamo solamente l’oscillazione fra “si commette” e “si fa” peccato, con una netta preferenza per quest’ultima forma. Per la seconda, invece, abbiamo una gamma più ampia di varianti. Esse riguardano la frequenza, che va dal “sempre” implicito, al “quasi sempre”, “molto spesso”, “spesso” (il più attestato), “il più delle volte”, “qualche volta”; “raramente” è utilizzato quando la proposizione viene espressa dal suo contrario “raramente si sbaglia”, così come il grado zero del “ci si azzecca sempre”, in questa forma è espresso con “non si sbaglia”. Si riscontrano inoltre tutte le varietà sinonimiche del predicato verbale, da “ci si azzecca” (il più attestato), a “ci si prende”, “si vede giusto”, “(ci) si indovina”, “si coglie nel vero”. Nella modalità invertita, abbiamo invece solamente “si sbaglia”. A pensar male si commette A pensar male si fa A pensar male si fa A pensar male si fa A pensar male si commette A pensar male si fa A pensar male si fa A pensar male si commette A pensar male si fa A pensar male si fa A pensar male si fa A pensar male si fa A pensar male si fa A pensar male si fa A pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca sempre. peccato, ma molto spesso ci si azzecca. peccato, ma ci si azzecca. peccato, ma spesso ci si azzecca. peccato, ma quasi sempre ci si azzecca. peccato, ma delle volte ci si azzecca. peccato, ma il più delle volte ci si azzecca. peccato, ma spesso ci si prende! peccato, però a volte, anzi spesso, ci si prende. peccato, ma qualche volta si vede giusto. peccato, ma si indovina. peccato, ma spesso ci si indovina. peccato, ma spesso si coglie nel vero. ci si indovina. peccato, ma quasi sempre peccato ma raramente si sbaglia. Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 19 In numerosi casi, la citazione è data per nota ed è quindi utilizzata una forma ellittica o incompleta. In alcuni casi è sufficiente menzionare la prima parte, dando per nota la seconda, in altri si omette la parte centrale, creando così una massima di natura universale: A pensar male si fa A pensar male... A pensar male A pensar male A pensar male... A pensar male A pensar male peccato, eccetera eccetera. spesso raramente non ci si azzecca. ci si azzecca. ci si azzecca. si sbaglia. si sbaglia. In alcuni casi la massima andreottiana è utilizzata per essere negata, e ciò vale sia per la forma positiva che per la forma negativa, che quindi torna a esprimere il concetto di base: Non è vero che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca Non è detto che a pensar male si sbagli. In rari casi si hanno forme di adattamento al contesto, magari con l’omissione di una delle due parti: E allora, viene da pensar male anche a costo di far peccato. Con Berlusconi a pensar male non si sbaglia mai. Sull’attribuzione e i conseguenti segnalatori, si può stilare la seguente tipologia: in non molti casi si ha una breve discussione sulla certezza della paternità andreottiana, definiremo questi segnalatori ‘filologici’, ad esempio: «La massima è attribuita a Giulio Andreotti. E se non è stato lui a inventarla di sana pianta è certo che ha contribuito in modo determinante a farne una lezione di vita. Comunque, quello che insegna la saggezza e l’esperienza del vecchio senatore è questo:..», oppure «Come diceva qualcuno, che non era Andreotti, come lui stesso ha ammesso, ma un certo vescovo siciliano». Nella maggior parte dei casi la massima è attribuita ad Andreotti con i segnalatori tradizionali: «come diceva Andreotti», «come dice Andreotti», «˗diceva Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 20 Andreotti˗», «Giulio Andreotti era solito dire che», «come dice zio Giulio», «Come dice il vecchio zio Giulio», o in un resoconto di cronaca: «prende in prestito l’adagio coniato da Giulio Andreotti per spiegare...». In un non sparuto numero di casi il nome non è menzionato, ma dato per conosciuto: «È vero ˗ come dice un famoso nostro politico ˗ che», «Un personaggio ben noto diceva che», «Un famoso personaggio politico è passato alla storia, oltre che per i trascorsi governativi, per una frase fantastica contenuta in un suo libro con la quale concludo». In un caso il motto è già considerato come un proverbio, quindi ascritto alla saggezza popolare: «Com’è il vecchio proverbio?». Con questo esempio assistiamo in maniera evidente alle implicazioni cognitive della citazione. Essa ha la funzione di corroborare un pensiero, in assenza spesso di dimostrazione. Si tratta di una massima più volte ascoltata e quindi che propendiamo a dare per vera, anche se, analizzata partitamente non ha alcun carattere di verità assoluta né nella prima né nella seconda parte. Se dicessi «a pensar male non si commette peccato, ma ci si sbaglia sempre», la proposizione avrebbe lo stesso grado di verità logica. Inoltre, vediamo ben operante che nella citazione a memoria, quella che viene resa operante è la memoria semantica, della forma originaria non abbiamo alcuna traccia. Questo può spiegare perché in alcuni casi, quando era necessario che anche la forma avesse una sua stabilità si utilizzava il discorso metrico. Non è indifferente, ad esempio, se a pensar male ci si azzecca “sempre” o “qualche volta”. Se volessimo rendere stabile la prima opzione potremmo pensare ad una forma organizzata in ottonari: “Quel che pensa male pecca / però sempre ci indovina”; se invece decidessimo di stabilizzare la seconda potremmo pensare ad una serie di doppi quinari: “A pensar male / si fa peccato / ma qualche volta / ci si indovina”. Analoga, del resto, la variantistica del noto Spruch contenuto nella Critica del programma di Gotha di Karl Marx (1875), con cui, non solo per par condicio, chiudiamo: Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i propri bisogni Da ciascuno secondo le sue possibilità a ciascuno secondo le sue necessità Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i bisogni Da ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012 21 Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo le sue necessità Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni. Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri meriti Da ciascuno secondo le sue forze ed a ciascuno secondo i suoi bisogni Da ciascuno secondo le sue forze e capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni Da ciascuno secondo le sue abilità, a ciascuno secondo le sue necessità Da ciascuno secondo le sue facolta, a ciascuno secondo i suoi bisogni A ciascuno secondo i propri bisogni, A ciascuno secondo i suoi bisogni, A ciascuno secondo i suoi bisogni, A ciascuno secondo i suoi meriti, Ad ognuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le proprie possibilità da ciascuno secondo le sue possibilità da ciascuno secondo le sue capacità da ciascuno secondo le sue possibilità da ciascun secondo le proprie possibilità Paolo Canettieri “Sapienza” Università di Roma paolo.canettieri@uniroma1.it Rhesis. International Journal of Linguistics, Philology, and Literature (ISSN 2037-4569) http://www.diplist.it/rhesis/index.php Literature, 3.2: 5-21, 2012