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La citazione come atto cognitivo
Paolo Canettieri
(“Sapienza” Università di Roma)
Abstract
In this article I examine the cognitive aspects of quotation; this contribution should be considered as a part
of a project raising the issue of intertextuality in a new way. The questions to which cognitive applications
may give response are the following:
1. What happens in our mind when we quote?
2. What happens when we listen to or read a quotation?
3. What happens when we look for a quotation?
4. What kind of memory is activated?
5. What is the cognitive function of a quotation?
6. Can a quotation influence the form and method of reasoning?
7. If this is the case, what areas of argumentation are involved?
The fields of cognitive psychology to which it is necessary to refer in order to answer these questions are
those of knowledge representation and information processing (particularly the process of transformation
of declarative knowledge into procedural knowledge), the theories about the models and structures of
memory (procedural, episodic, semantic), the memory processes (especially its recovery), the theory of
reasoning.
Key words – quotation; cognitive psichology; intertextuality; structures of memory
In questo lavoro ci interroghiamo sugli aspetti cognitivi della citazione, considerando questo contributo
come un tassello di un progetto che reimposti il problema dell’intertestualità in questa chiave. Le
domande alle quali le applicazioni cognitiviste possono dar risposta sono le seguenti:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Cosa avviene nella nostra mente quando citiamo?
Cosa avviene quando ascoltiamo o leggiamo una citazione?
Cosa avviene quando cerchiamo o ricerchiamo una citazione?
Quale tipo di memoria è attivata?
Qual è la funzione cognitiva della citazione?
La citazione incide sulle modalità del ragionamento?
Se sì, quali ambiti dell’argomentazione risultano implicati?
I settori della psicologia cognitiva ai quali sarà necessario far riferimento per rispondere a queste domande
sono quelli della rappresentazione della conoscenza e dell’elaborazione dell’informazione (in particolare il
processo di trasformazione delle conoscenze dichiarative in conoscenze procedurali), le teorie sui modelli
e le strutture della memoria (procedurale, episodica, semantica), i processi della memoria (soprattutto il
recupero), la teoria sul ragionamento.
Parole chiave – citazione; psicologia cognitiva; intertestualità; strutture della memoria
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Le macerie risultano come un contesto
offuscato o assente,
in altre parole come citazioni
T. W. Adorno
1. Va detto preliminarmente che il termine ‘citazione’ è largamente polisemico:
qui lo intenderemo come “elemento testuale estrapolato da un contesto e inserito in un
altro contesto in maniera esplicita o dissimulata ma riconoscibile”. In questa sede ci
soffermeremo, senza alcuna pretesa di esaustività, nemmeno sintetica, sui seguenti
aspetti: fenomenologia, tipologia e funzioni della citazione.
In effetti abbiamo a che fare con uno dei concetti con cui convenzionalmente,
nella filologia tradizionale, si indica la memoria intertestuale: se si considera la testualità
come un sistema in cui i discorsi assumono un valore individuato dal loro reciproco
rapporto, la citazione risulta il caso forse più palese dell’intertestualità, poiché istituisce
un nesso evidente fra discorso di partenza e discorso di arrivo. In un recente libro di
George Steiner si legge che la creazione è sempre e comunque pratica combinatoria1: se
vista in questa chiave, la citazione è ciò che emerge dall’innata tendenza alla
combinazione di elementi disparati al momento della creazione. Nella citazione, quindi,
produzione e ricezione trovano un loro momento di sintesi.
La citazione può manifestare inoltre la volontà di un autore di adeguarsi a una
tradizione (ideologica, culturale, letteraria, ecc.) ed è quindi di per sè ‘reazionaria’, nel
senso che interrompe il discorso presente per evocare il passato, anche se come
frammento. Inoltre, come vedremo, essa poggia su una tendenza umana all’accoglimento
spesso acritico dell’auctoritas. Paul Dupré, cominciando non a caso con una citazione la
sua Encyclopédie des Citacions, esprimeva bene questo concetto:
Lorsque Auguste Comte disait «Les morts gouvernent les vivants», il traduisait en
une formule lapidaire cette idée fondamentale que toute civilisation est le fruit du
passé et que nous ne saurions comprendre le présent sans nous référer constamment
à l’héritage spirituel de nos ancêtres. [...] Pourquoi, dans des oeuvres souvent
1
George STEINER, Grammars of Creation, New Haven and London, Yale University Press, 2001; trad. it.
Fabrizio RESTINE, Grammatiche della creazione, Milano, Garzanti, 2003.
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monumentales, sélectionner tel passage plutôt que tel autre, telle phrase de
préférence à telle autre? Ce choix ne peut évidemment reposer sur des critéres
absolus mais il n’est pas non plus arbitraire. En fait, il est des paroles qui même
depouillées de leur contexte, imposent leur survie et viennent constamment enrichir
le trésor de la pensée du monde civilisé. Ce fond commun, qui est la base même de
notre civilisation, se cristallise peu à peu par un processus complexe, comprenant
des phases de décantation successives2.
Una volta decontestualizzata la citazione, peraltro, il piano assente e offuscato (vedi
l’esergo) del contesto, conosciuto o meno, gioca un ruolo prepotente, proprio perché
rende indispensabile una ricerca memoriale dell’orizzonte di riferimento.
L’evocazione del contesto assente comporta spesso anche travisamento: trasferito
e inserito in un’altra costellazione semiologica, ciò che viene citato diviene leggibile
tramite il testo in cui è citato, stabilisce nuove connessioni e acquisisce un nuovo
contesto. L’elemento recepito assume una funzione e un valore diversi da quelli che
aveva nel testo di provenienza: così, spesso, la citazione viene a connotare intenti
parodistici, ironici e satirici e implica di necessità, da parte del ricevente, la conoscenza
del testo citato, pena la perdita di senso dell’operazione.
Ci interrogheremo quindi sugli aspetti cognitivi della citazione, considerando
questo contributo come un tassello di un progetto che reimposti il problema
dell’intertestualità in questa chiave3. Le domande alle quali le applicazioni cognitiviste
potrebbero dar risposta sono varie e non potremo certo affrontarle tutte in questa sede.
Tuttavia, già un breve promemoria di questioni può aiutare ad impostare futuri
esperimenti e ricerche. Dunque:
1.
2.
3.
4.
5.
2 Paul
Cosa avviene nella nostra mente quando citiamo?
Cosa avviene quando ascoltiamo o leggiamo una citazione?
Cosa avviene quando cerchiamo o ricerchiamo una citazione?
Quale tipo di memoria è attivata?
Qual è la funzione cognitiva della citazione?
DUPRÉ, Encyclopédie des Citations, Paris, Trévise, 1959.
3 Il contributo è quindi parte del più ampio progetto di filologia cognitiva che stiamo portando su più fronti
(metrica, narrativa, ecdotica) e il cui araldo è la rivista Cognitive Philology (on-line): cfr. Paolo
CANETTIERI, “Il Testo e la Mente”, «Critica del Testo», 15.1 (2012), pp. 297-333. Sullo specifico della
citazione, cfr. Philippe de BRABANTER (ed.), Hybrid Quotations, Amsterdam, Benjamins, 2003 («Belgian
Journal of Linguistics» 17, Special Issue); Elke BRENDEL, Jörg MEIBAUER, Markus STEINBACH (eds.),
Zitat und Bedeutung, Hamburg, Buske, 2007 (Sonderheft 15 der «Linguistischen Berichte»).
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6. La citazione incide sulle modalità del ragionamento?
7. Se sì, quali ambiti dell’argomentazione risultano implicati?
I settori della psicologia cognitiva ai quali sarà necessario far riferimento per rispondere
a
queste
domande
sono
quelli
della
rappresentazione
della
conoscenza
e
dell’elaborazione dell’informazione (in particolare il processo di trasformazione delle
conoscenze dichiarative in conoscenze procedurali), le teorie sui modelli e le strutture
della memoria (procedurale, episodica, semantica), i processi della memoria (soprattutto
il recupero), la teoria sul ragionamento4.
2. Poiché la citazione attualizza un discorso passato inserendolo in un nuovo
contesto, essa può fungere da caso paradigmatico, o addirittura essere modellizzante, del
ricordo in generale.
Inoltre la presenza di questa modalità di ripresa testuale del pensiero altrui si
riscontra in tutte le culture e ciò la rende particolarmente adatta ad un’analisi che tocchi
gli aspetti sincronici, oltre che diacronici, e ne ricerchi le eventuali caratteristiche di
universalità, se non di tendenza innata.
Tale aspetto corrisponde alla forma con cui qualcosa si insinua nella memoria,
una sorta di “posteriorità” di ciò che viene ricordato, che non è un presupposto, ma
piuttosto un effetto della citazione. Grazie al concetto di “posteriorità”, infatti, i ricordi
possono essere interpretati come costruzioni creative e retrospettive. Essi sono basati su
tracce di memoria (engrammi) le quali rappresentano l’evento ricordato e rinviano ad
esso, anche se dipendono allo stesso tempo dagli sviluppi posteriori e dalle esperienze
attuali del soggetto. Considerati dal punto di vista psicologico, passato e presente si
compenetrano nel senso di un rapporto non lineare di determinazione e costituzione
reciproche. La somma di testo citante e testo citato è l’evidente prodotto testuale di uno
dei nostri ‘modi’ di pensare e rievocare il passato: il testo riproduce in forma
cristallizzata ciò che la mente produce in maniera dinamica.
4
Un’ottima introduzione a questi aspetti della psicologia cognitiva in Robert J. STERNBERG, Cognitive
Psychology, Belmont CA, Thomson/Wadsworth, 1996; trad. it. Marta OLIVETTI BELARDINELLI, Psicologia
cognitiva, Padova, Piccin, 2000, pp. 189-333 e pp. 476-503.
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La dignità che l’estratto assume nel momento in cui viene estrapolato indica un
ulteriore aspetto della citazione come modalità fondamentale della comunicazione. Esso
concerne i procedimenti di chiamata in causa di quell’autorità che attraverso tale prassi
viene trasferita sulla citazione stessa. La citazione, inoltre, può servire dal punto di vista
del produttore del testo per iniziare il discorso, per rompere il ghiaccio della pagina
bianca e stabilire i primi paletti del ragionamento, per convincere il lettore/uditore
(ricezione) della bontà di un argomento.
Attraverso la citazione un testo dichiara di richiamarsi all’autorità di un altro testo
e interpreta un presente trascorso come tuttora efficace: un altro interlocutore, assente,
viene evocato nel proprio discorso per confermare la bontà di quanto si afferma,
indipendentemente dalla sua validità logica. Questa funzione era già enunciata
esplicitamente da Cicerone («oratores et philosophos et poetas et historicos, ex quorum
et dictis et scriptis saepe aucoritas petitur ad faciendam fidem»; Topica XX 78) e
indicata chiaramente da Quintiliano (Institutio oratoria I, vii, 10-12):
Da ultimo, fidiamoci degli oratori più grandi, che citano le opere poetiche dei secoli
passati per accrescere o la credibilità della loro causa o la bellezza del loro eloquio.
Vediamo infatti che, a dire il vero soprattutto in Cicerone, ma frequentemente anche
in Asinio e nei restanti oratori a noi più vicini, compaiono versi di Ennio, Accio,
Pacuvio, Lucilio, Terenzio, Cecilio e altri, con un notevolissimo effetto non solo di
erudizione ma anche di gradevolezza, poiché grazie al fascino della poesia chi
ascolta si riposa dalle asprezze delle battaglie legali. Quelle citazioni dai poeti
rivelano un’ulteriore non trascurabile utilità quando gli oratori se ne servono come
fossero testimonianze, per confermare i loro enunciati.
Quintiliano ci dice inoltre che uno dei procedimenti didattici relativi all’esegesi del testo
doveva consistere nella spiegazione di massime, crie ed eziologie:
Visto che traggono spunto dalla lettura, presso i grammatici si sviluppino anche
massime, crie ed eziologie, dopo che il maestro abbia dato spiegazione di quanto vi
si dice: in tutti questi esercizi il principio è simile, ma hanno forma diversa, poiché
la massima è una proposizione generale, mentre l’eziologia riguarda persone
particolari. Di crie sono tramandati più generi: uno, simile alla massima, che risiede
in un semplice enunciato: «egli disse» o «soleva dire»; un altro consiste in una
risposta: «quello, interrogato» o «essendogli stato detto, rispose»; il terzo non è
dissimile dal precedente: «avendo uno detto qualcosa» o «fatto».
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Quintiliano torna poi sull’argomento parlando dell’utilizzo dell’auctoritas5:
Si utilizza – portandola da fuori dentro la causa – anche l’autorità. Seguendo i
Greci, che le chiamano krìseis, i nostri parlano di iudicia (giudizi) o di iudicationes
(punti in giudizio); non sono i punti sui quali esiste una sentenza proveniente da una
causa già risolta (essi rientrano infatti fra gli esempi), bensì pareri riportabili di
nazioni, popoli, uomini saggi, insigni cittadini o illustri poeti. Non risulterebbero
privi di utilità neppure i detti popolari e le convinzioni accolte nel sentire comune.
Sono infatti testimonianze in certo senso anche più efficaci, poiché non accomodate
alle cause: si tratta di frasi e azioni che hanno pronunciate e compiute, anzi, menti
libere da odio e compiacenza, soltanto in ragione del loro apparire assolutamente
morali o vere («quia aut honestissima aut verissima videbantur»).
Seguono vari esempi, fra cui questo: «Se un’adultera si difendesse in una causa di
veneficio, non parrebbe da condannare sulla base del giudizio di Marco Catone, il quale
disse che nessuna adultera manca d’essere al tempo stesso anche un’avvelenatrice?»6.
Continua Quintiliano7:
In effetti, di citazioni dai poeti sono piene non soltanto le orazioni, ma anche le
pagine dei filosofi, i quali, pur ritenendo tutto al di sotto dei loro pensieri e dei loro
scritti, non hanno disdegnato tuttavia di cercare autorevolezza in moltissimi passi
poetici. Così, non è un esempio trascurabile che i Megaresi, nella disputa per
Salamina, siano stati vinti dagli Ateniesi grazie a un verso di Omero, peraltro non
presente in tutte le edizioni, il quale afferma che Aiace unì le sue navi a quelle di
Atene8.
[…]
Anche le convinzioni popolari, per il fatto stesso che non hanno un autore sicuro,
diventano praticamente patrimonio comune; alcuni esempi: «dove ci sono amici ci
sono tesori»; «La coscienza vale mille testimoni», e, in Cicerone: «Come dice un
antico proverbio, i simili vanno con i loro simili»; questi detti, del resto, non
sarebbero durati un’eternità, se non sembrassero veri a tutti.
La citazione è parte integrante della retorica antica, ma è significativo che Aristotele non
parli mai di argomenti fondati sull’autorità e sia ben cosciente del loro carattere
ingannevole: essi vanno utilizzati solo al fine di persuadere, non certo per una loro
5 Quintiliano,
Institutio oratoria V, xi, 36 e sgg.
Troviamo l’abbinamento anche in Rhet. ad Her. 4,23 e in Sen. Contr. 7,3,6, ma il solo Quintiliano lo fa
risalire a Catone.
7 Quintiliano, Institutio oratoria V, xi, 39-40.
8 Il problema filologico cui accenna Quintiliano è reale: al verso dell’Iliade 2,558 si dice che Aiace collocò
presso le truppe ateniesi le dodici navi che aveva condotto da Salamina. Il verso si credeva interpolato da
Solone per rivendicare contro Megara il possesso di Salamina (cfr. Plut. Sol. 10; Diog. Laert. 1,48).
6
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intrinseca verità. Parlando delle massime, infatti, Aristotele (Retorica, II, 1395b) dice
che esse:
sono di grande aiuto nei discorsi a causa dell’ignoranza degli ascoltatori, poiché
questi provano piacere se qualcuno, parlando in termini generali, s’imbatte nelle
opinioni che essi hanno in relazione a oggetti particolari. […] La massima, come s’è
detto, è un’affermazione universale, e gli uomini provano piacere quando vengono
dette le opinioni che essi si sono già formati nel particolare. Ad esempio, se un
uomo si trova ad avere dei vicini o dei figli cattivi, accetterà le parole di chi dice che
non c’è cosa peggiore del vicinato o più stupida dell’aver figli. Di conseguenza, si
deve mirare a comprendere quali siano le loro opinioni preconcette, e parlare quindi
in termini generali riguardo a esse.
Lo scarso o nullo valore probatorio della citazione sembra sfuggire agli autori medievali,
ed è richiamato esplicitamente solo agli albori del pensiero scientifico: non è certo un
caso se il Discours de la méthode di Cartesio manchi completamente di citazioni e di
auctoritates. Tutto il Discours è contro il principio d’autorità, i luoghi comuni, quindi le
citazioni, poiché tutti i libri del mondo ci avvicinano alla verità meno dei semplici
ragionamenti che naturalmente può fare un uomo di buon senso.
È chiaro che si tratta di un metodo di non facile accettazione, se ancora François
de La Mothe Le Vajer nelle sue Considerations sur l’éloquence françoise de ce temps
del 1638 parlava di «sotte affectation de ne citer jamais personne, et de prendre tout chez
[soi]… au lieu que c’est un miracle de resusciter les morts en les faisant parler»9.
I luoghi in cui le citazioni si sedimentano e lasciano emergere la tensione tra
ripetitività e ricercatezza sono le antologie e i dizionari di citazioni, che proliferano fin
dal Medioevo, utilizzati come libri di testo nella scuola, sotto forma di collettanee di
auctoritates, florilegia, specula, utilizzati quanto bistrattati fino ai nostri giorni (tanto
che Winston Churchill, per fare una metacitazione, scriveva che «È buona cosa per un
uomo ineducato leggere libri di citazioni»). Se i libri di loci communes erano il
principale supporto della pedagogia umanistica, già Quintiliano (Institutio oratoria, II,
vii, 2-4) spiegava che il discente era tenuto ad imparare a memoria decine e decine di
citazioni e ad organizzare un proprio repertorio ad uso privato:
9
François DE LA MOTHE LE VAJER, Considérations sur l'éloquence françoise de ce temps; petit discours
chrétien de l'immortalité de l'âme; corollaire au précédent discours, discours sceptique sur la musique,
Paris, Bernard, 1670, pp. 152-153.
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In effetti, io vorrei senz’altro che i ragazzi scrivessero, e vi si impegnassero
moltissimo, ma poi consiglierei con decisione ancora maggiore che imparassero a
memoria passi scelti da orazioni, da opere storiche o da altri generi di libri
meritevoli di una simile attenzione. La memoria, del resto, si eserciterà meglio
trattenendo le parole altrui piuttosto che le proprie, e quanti compiranno spesso
questo tipo di sforzo, che è maggiore, fisseranno senza problemi nella mente i loro
elaborati, con cui, peraltro, hanno già familiarità; inoltre si abitueranno ai testi
migliori, avranno sempre nel loro patrimonio di conoscenze modelli da imitare e,
senza accorgersene, già si esprimeranno secondo il bello stile che avranno assorbito.
Vanteranno abbondanza di parole scelte, di soluzioni per disporle e di figure che
non dovranno andare a cercare, ma che si offriranno spontaneamente, come da un
tesoro riposto. A ciò si aggiunge anche la capacità di ripetere frasi ben riuscite di
ogni autore, capacità che risulta gradevole nella conversazione e preziosa nei
processi. I detti non preparati per la causa in questione, infatti, conferiscono più
autorità e spesso procurano maggior gloria che se fossero nostri.
La citazione è quindi una modalità di formazione della memoria attraverso la
ripetizione: ripetizione di ciò che è già detto e ripetizione interiore. Il sistema scolastico
era fondato sulla ripetizione costante delle auctoritates, sulla memoria e sulla copia,
finalizzata anch’essa a scopi mnemonici (anche se in secondo grado). Il messaggio
implicito in questa prassi, del resto, era anche che il latino, linguaggio
dell’apprendimento, veniva inteso come assemblaggio di citazioni separabili,
autoritative, valide per essere estratte e collocate in un contesto appropriato. Ciò
corrispondeva a precisi paradigmi di pensiero. Ann Moss, che ci ha fornito una bella
monografia sull’argomento, ha scritto che i libri di citazioni erano così radicati nella
mentalità e nel sistema scolastico europeo che anche scrittori che vedevano scarso o
nullo profitto intellettuale nelle citazioni, li utilizzavano come testi di lavoro (working
tool)10. Del resto, se dopo il ’68 l’apprendimento a memoria era considerato un metodo
didattico sorpassato, come il nozionismo, oggi il metodo memoriale in alcuni contesti
accademici è stato decisamente rivalutato11.
La citazione rappresenta quindi nella cultura occidentale una modalità educativa
modellizzante ed è da chiedersi quanto essa risponda a strutture profonde della nostra
10
Cfr. Ann MOSS, Printed Commonplace-Books and the Structuring of Renaissance Thought, Oxford,
Clarendon, 1996.
11 Cfr. Jeffrey D. KARPICKE, Janell R. BLUNT, “Retrieval Practice Produces More Learning than
Elaborative Studying with Concept Mapping”, «Science», 331.6018 (11 February 2011), pp. 772-777.
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13
mente. In termini cognitivi, la citazione attraversa i tre stadi individuati dagli psicologi
cognitivisti per la rappresentazione di conoscenze procedurali12: l’immagazzinamento di
cui parlano Quintiliano e altri corrisponde allo stadio cognitivo, durante il quale si pensa
alle regole esplicite per l’implementazione della procedura. Durante lo stadio associativo
si fa pratica utilizzando ampiamente le regole esplicite, normalmente in modo costante e
stabile (si tratta della pratica suggerita dallo stesso Quintiliano). Infine, durante lo stadio
autonomo, le informazioni vengono utilizzate in modo automatico e implicito con un
elevato grado di integrazione e coordinazione, così come con elevate velocità e
precisione.
Non a caso anche qualche autore antico ha sostenuto che i loci e le sententiae non
sono stati inventati casualmente o arbitrariamente, ma derivano dalle strutture profonde
della natura. Per Philipp Melanchthon l’atto stesso di raccogliere e organizzare
tassonomicamente le sententiae «ad rerum cognitionem conducit». Infatti
Caeterum ad colligendas sententias etiam adhibenda est ratio quaedam. Nam et
memoria adiuvabitur, cum ordine distribuerimus eas in certas classes, et haec in
distributio rerum inter se ordinem ostendet13.
Il procedimento argomentativo per autorità, che è parte del ragionamento deduttivo e di
cui la citazione rappresenta la parole, funziona probabilmente sulla base del principio
cognitivo enunciato da Zajonc per cui la familiarità induce preferenza (ciò che è detto da
persona autorevole o da persona che fa parte della propria esperienza vale
automaticamente di più di ciò che è detto da persona non autorevole o da qualcuno che ci
è estraneo)14. Alcuni studiosi hanno inoltre ipotizzato che esista una parte del nostro
cervello, generalmente localizzata a destra, deputata all’elaborazione degli ordini. Si
tratta della stessa parte in cui vengono processate le emozioni, la musica, gli aspetti
12 John
R. ANDERSON, Cognitive Psichology and its Implications, San Francisco, Freman, 1980.
in MOOS, Printed Commonplace-Books, p. 32.
14 Robert B. ZAJONC, “Attitudinal Effects Of Mere Exposure”, «Journal of Personality and Social
Psychology», 9.2, 2 (1968), pp. 1-27. Robert B. ZAJONC, “Feeling and Thinking: Preferences Need No
Inferences”, «American Psychologist», 35.2 (1980), pp. 151-175.
13 Riportato
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prosodici, la parte che ci permette di apprezzare gli artifici della retorica, la parte meno
razionale, più passiva e più sensibile agli inganni e ai cosiddetti “tunnel della mente”15.
Le citazioni autoritative agiscono su questa parte del cervello, in modo tale che, per via
emotiva, siamo indotti a credere a quanto esse esprimono.
Quanto più una citazione è stata letta o ascoltata, tanto più agirà e avrà potere
persuasivo: si tratta del resto di un dato ben noto anche agli antichi autori di Retorica, fin
da Aristotele, che non manca di sottolineare il piacere che dà all’ascoltatore il
riconoscimento di una frase o di un brano già noto.
Si tratta di un meccanismo ben studiato dagli studiosi dei regimi autoritari in cui
il consenso, oltre che sulla forza, si fonda, appunto, sull’autorità del capo. La citazione è
di per se stessa ‘autoritaria’: il pensiero laico e scientifico tende a rifuggirne, se non
quando essa serve ad abbreviare il discorso scientifico o per dichiarare che un’idea è già
stata enunciata da qualcun altro. Nondimeno, non è vero in alcun modo che il pensiero
contemporaneo sia esente dall’influenza dell’autorità e che quindi la citazione non abbia
influenza sulle modalità del nostro agire e pensare, è vero anzi il contrario. Il pensiero
scientifico sembrerebbe più una forzatura intellettuale che un dato ormai connaturato alla
specie umana: la mente umana sembrerebbe ancora fortemente ancorata a quelle vestigia
arcaiche. Il Novecento, in particolare, ha di volta in volta utilizzato il principio d’autorità
e le citazioni con evidenti scopi di persuasione. I pensatori liberali, ma non solo, hanno
ad esempio sempre guardato con sospetto all’attitudine di molti studiosi d’impianto
marxista, che pur invocavano la scientificità del metodo, a prendere Marx, Engels, Lenin
come auctoritates e ad applicare nel ragionamento il principio dell’ipse dixit. Adorno ed
altri, in un libro famoso sulla Personalità autoritaria hanno elaborato una scala, su base
di test psicologici, dell’autoritarismo16. La personalità con propensioni autoritarie è
caratterizzata da convenzionalità, consuetudinarietà, pregiudizio e mentalità acritica,
antagonismo nei confronti della scienza e superstizione. I soggetti autoritari tendono agli
stereotipi, ai pregiudizi, alle generalizzazioni semplicistiche, a un’eccessiva concretezza;
essi dipendono da valori convenzionali, dal dogma ecclesiastico, dall’opinione pubblica
15
Massimo PIATTELLI PALMARINI, L’illusione di sapere. Che cosa si nasconde dietro i nostri errori,
Milano, Mondadori, 1993.
16 Theodor W. ADORNO (et al.), La personalità autoritaria, Milano, Edizioni di comunità, 1973.
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15
e prendono per oro colato quanto affermato da figure dotate di prestigio o carisma. V’è
in essi una tendenza ad interpretare letteralmente quanto scritto o detto dall’autorità. In
una delle interviste, Mack, un uomo ad alto punteggio sulla scala dell’etnocentrismo e
dell’autoritarismo ha riferito:
Mi piacciono soprattutto le storie e i detti di Cristo. Non mi interessano tanto i detti
degli Apostoli, non è roba di prima mano, e così non li accetto. Ho bisogno di
un’assicurazione fattuale. Ho sempre cercato di vivere secondo i 10 comandamenti.
A tal riguardo, è significativo che un nazista interpretava «Ama il prossimo tuo come te
stesso» nel modo più letterale possibile, dove il ‘prossimo’ era ristretto alla cerchia dei
familiari, degli amici e del gruppo di appartenenza. Secondo Adorno nella mente di
questi soggetti la Chiesa e la madre appaiono identificate piuttosto strettamente, e
sembrano rappresentare l’oggetto a cui si rivolgono le persone deboli o dipendenti
quando hanno bisogno di sostegno. Allontanandosi dalla Chiesa vi sostituiscono qualche
altra cosa, vale a dire l’autorità rappresentata dapprima dal padre e in seguito da un Dio
che è strettamente uomo. Il tipo di sentimenti suscitato nei soggetti da questo grande
uomo è simile a quello provato quando si trovano in presenza di figure importanti sul
piano militare17.
Gli aspetti cognitivi si intrecciano con gli aspetti etologici nel momento in cui la
funzione primaria della citazione viene ad essere quella di dimostrare l’erudizione,
quindi la superiorità intellettuale di colui che cita: «Un giovane autore non conosce
maggior piacere del citare libri vecchi e nuovi. Non c’è nulla che come un paio di
citazioni molto erudite adorni un uomo», scriveva Heinrich Heine. E’ un aspetto che
viene ovviamente parodizzato a più riprese dagli autori, così come si mette alla berlina
un potente. Si legga Mark Twain: «E poi ci aggiunse una valanga di citazioni trite,
consunte ed esasperanti, tratte dai poeti e dai filosofi antichi e pronunciate con gran
senso della propria importanza nella risonante maestà delle lingue originali, tutte lingue
morte». Analogamente Voltaire: « ˗ perché citate Aristotile in greco? ˗ Perché ˗ replicò
il sapiente ˗ è davvero necessario citare quello che non si capisce affatto nella lingua che
si capisce meno di tutte le altre».
17 ADORNO,
La personalità autoritaria, p. 83.
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3. Un altro aspetto cognitivamente rilevante della citazione è la sua incidenza
sulla memoria, sia nel momento della produzione sia nel momento della ri-produzione
del testo, dove si dà vuoi citazione a memoria vuoi citazione da altro testo scritto. La
citazione, inoltre, può essere vista come momento inizializzante del processo
dell’inventio. Nella quarta di copertina del dizionario di citazioni della Zanichelli18, ad
esempio, si legge: «Tra virgolette può anche essere d’aiuto per superare lo scoglio
dell’avvio di un pensiero, di uno scritto, di un discorso prendendo spunto da immagini e
riflessioni già esistenti». Per spiegare questo fenomeno possiamo far appello al modello
connessionista. Tale modello, infatti, ipotizza l’esistenza di connessioni fra le unità per le
esperienze individuali e altre unità che rappresentano le varie proprietà di un’esperienza.
Se alcune esperienze sono dotate delle medesime proprietà, ciò significa che l’unità che
rappresenta una particolare proprietà tenderà ad essere connessa con ricordi differenti.
Ogni volta che una proprietà viene attivata, essa tenderà ad attivare tutti i ricordi a cui è
connessa.
Per questa ragione, per poter facilitare la rievocazione di una particolare
esperienza, il sistema deve possedere sia connessioni inibitorie che connessioni
eccitatorie tra le varie unità. L’informazione riguardante ciascuna singola esperienza
corrisponde allo stato di attivazione del sistema nel suo complesso in un dato momento.
La configurazione globale della forza delle connessioni determina quello che viene
ricordato. Secondo questa prospettiva, la citazione eccita il processo connettivo. La forza
della connessione, che i connessionisti chiamano “peso”, è determinata, ovviamente,
dalla forza della citazione, quindi dal numero di volte in cui la si è ascoltata o letta, dalla
sua forza iconica (mnemotecnica), dalla potenza evocativa, dalla sua incisività.
Sul piano della ricezione la citazione comporta il riconoscimento o meno del
testo citato, nonché il riconoscimento o meno del fatto che si tratti di una citazione,
istituendo un’analogia tra un discorso fatto e un discorso che si sta facendo.
Nell’Antichità e nel Medioevo si citava spesso ad sensum, non letteralmente ˗ e quindi
propriamente in modo ‘errato’ ˗ invece, a partire dal XVI secolo, le virgolette indicano la
18
Franca ROSTI, Tra virgolette. Dizionario di citazioni, Bologna, Zanichelli, 1995.
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letteralità dell’estratto. Si rende inoltre necessaria in tal senso la produzione di
segnalatori, che indicano la fonte e l’autore della citazione: «dice il saggio» («si come il
saggio in su dittare pone... »), «come dice Andreotti», ecc. Questi segnalatori hanno
funzione loro propria, nel senso che attribuiscono automaticamente autorità o non
autorità all’autore o conferiscono lo statuto di anonimato alla citazione, attribuendola
alla saggezza popolare. Probabilmente, ma qui mancano dati sperimentali di rilievo, è
sufficiente l’enunciazione del segnalatore per attivare il processo e le connessioni
autoritative proprie della citazione.
La dignità di citazione e la facile citabilità impostano la differenza fra la
consacrazione di un nome attraverso la citazione e l’anonimato della citazione come
topos, fra l’attribuzione di autorità attraverso la voce di una personalità del passato e
l’anonimato di ciò che viene semplicemente ripetuto. Ciò che viene citato abbastanza di
frequente non esige più alcuna autorità alle spalle, ma piuttosto una ricorrenza, che lo
rende un luogo comune, e una ripetibilità. Il ‘detto proverbiale’ può anche aver
conservato nel lessico delle citazioni il riferimento alla fonte originaria tuttavia, più è
proverbiale, meno fa riferimento a quest’origine. Nel medesimo dizionario italiano di
citazioni, per esempio, si legge:
Citazione è, di per sé, nient’altro che la ripetizione di un pensiero altrui, e ogni
epoca ha bisogno di riunire, ricordare e riproporre, oltre a quelli del passato, i suoi
propri pensieri. D’altra parte, una citazione racchiude all’interno dei suoi brevi
confini tutto il proprio valore, non è segno di altro da sé. Allora, da questo punto di
vista, “grandi” e “minori” riacquistano pari dignità, a meno di volersi affidare
puramente all’autoritario principio dell’ipse dixit19.
Del lavorio interiore, dell’appropriazione inconscia di questa alterità, del processo
cognitivo che presiede al cristallizzarsi della citazione nella forma dell’auctoritas e al
suo eterno variare ed adattarsi ai contesti, del suo mutare per rafforzarsi, quasi fosse un
virus del pensiero, ha scritto in maniera precisa e bellissima Paul Valéry, come sempre
attento agli aspetti cognitivi:
19 ROSTI,
Tra virgolette, p. III.
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Viene detta una piccola frase di fronte a un tale. Questa frase lo colpisce. La sua
attenzione è attivata; ciononostante questa frase non lo interessa quasi per nulla. La
dimentica. Ma non viene rimossa. Si perpetua e si rigenera in lui senza che questi se
ne accorga. Ma continua a generare sensazioni. Riuscite a scorgerla nella parte più
segreta di questo individuo, divenuta attesa e attività sconosciuta? Un giorno,
ritirerà fuori il suo effetto potente e inatteso, senza palesarsi. Ignorerà l’origine del
nuovo vigore. Questo lavoro interiore può generare molte trasformazioni
sorprendenti che appariranno come spontanee.
Come esempio di questo processo, nonché della struttura fondamentalmente variante
della citazione a memoria, prendiamo la famosa massima «A pensar male si commette
peccato, ma si ha quasi sempre ragione». Chi ne è l’autore? Qual era la forma precisa
della citazione? La prima parte è quella su cui pochi di noi avrebbero dubbi, della
seconda, invece, ricordiamo la sostanza, ma non la forma precisa. Traggo da internet un
repertorio di varianti. Per la prima parte troviamo solamente l’oscillazione fra “si
commette” e “si fa” peccato, con una netta preferenza per quest’ultima forma. Per la
seconda, invece, abbiamo una gamma più ampia di varianti. Esse riguardano la
frequenza, che va dal “sempre” implicito, al “quasi sempre”, “molto spesso”, “spesso” (il
più attestato), “il più delle volte”, “qualche volta”; “raramente” è utilizzato quando la
proposizione viene espressa dal suo contrario “raramente si sbaglia”, così come il grado
zero del “ci si azzecca sempre”, in questa forma è espresso con “non si sbaglia”. Si
riscontrano inoltre tutte le varietà sinonimiche del predicato verbale, da “ci si azzecca”
(il più attestato), a “ci si prende”, “si vede giusto”, “(ci) si indovina”, “si coglie nel
vero”. Nella modalità invertita, abbiamo invece solamente “si sbaglia”.
A pensar male si commette
A pensar male si fa
A pensar male si fa
A pensar male si fa
A pensar male si commette
A pensar male si fa
A pensar male si fa
A pensar male si commette
A pensar male si fa
A pensar male si fa
A pensar male si fa
A pensar male si fa
A pensar male si fa
A pensar male si fa
A pensar male si fa
peccato, ma
ci si azzecca sempre.
peccato, ma molto spesso
ci si azzecca.
peccato, ma
ci si azzecca.
peccato, ma spesso
ci si azzecca.
peccato, ma quasi sempre
ci si azzecca.
peccato, ma delle volte
ci si azzecca.
peccato, ma il più delle volte
ci si azzecca.
peccato, ma spesso
ci si prende!
peccato, però a volte, anzi spesso, ci si prende.
peccato, ma qualche volta
si vede giusto.
peccato, ma
si indovina.
peccato, ma spesso
ci si indovina.
peccato, ma spesso
si coglie nel vero.
ci si indovina.
peccato, ma quasi sempre
peccato ma raramente
si sbaglia.
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In numerosi casi, la citazione è data per nota ed è quindi utilizzata una forma ellittica o
incompleta. In alcuni casi è sufficiente menzionare la prima parte, dando per nota la
seconda, in altri si omette la parte centrale, creando così una massima di natura
universale:
A pensar male si fa
A pensar male...
A pensar male
A pensar male
A pensar male...
A pensar male
A pensar male
peccato, eccetera eccetera.
spesso
raramente
non
ci si azzecca.
ci si azzecca.
ci si azzecca.
si sbaglia.
si sbaglia.
In alcuni casi la massima andreottiana è utilizzata per essere negata, e ciò vale sia per la
forma positiva che per la forma negativa, che quindi torna a esprimere il concetto di
base:
Non è vero che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca
Non è detto che a pensar male si sbagli.
In rari casi si hanno forme di adattamento al contesto, magari con l’omissione di una
delle due parti:
E allora, viene da pensar male anche a costo di far peccato.
Con Berlusconi a pensar male non si sbaglia mai.
Sull’attribuzione e i conseguenti segnalatori, si può stilare la seguente tipologia: in non
molti casi si ha una breve discussione sulla certezza della paternità andreottiana,
definiremo questi segnalatori ‘filologici’, ad esempio: «La massima è attribuita a Giulio
Andreotti. E se non è stato lui a inventarla di sana pianta è certo che ha contribuito in
modo determinante a farne una lezione di vita. Comunque, quello che insegna la
saggezza e l’esperienza del vecchio senatore è questo:..», oppure «Come diceva
qualcuno, che non era Andreotti, come lui stesso ha ammesso, ma un certo vescovo
siciliano». Nella maggior parte dei casi la massima è attribuita ad Andreotti con i
segnalatori tradizionali: «come diceva Andreotti», «come dice Andreotti», «˗diceva
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Andreotti˗», «Giulio Andreotti era solito dire che», «come dice zio Giulio», «Come dice
il vecchio zio Giulio», o in un resoconto di cronaca: «prende in prestito l’adagio coniato
da Giulio Andreotti per spiegare...». In un non sparuto numero di casi il nome non è
menzionato, ma dato per conosciuto: «È vero ˗ come dice un famoso nostro politico ˗
che», «Un personaggio ben noto diceva che», «Un famoso personaggio politico è passato
alla storia, oltre che per i trascorsi governativi, per una frase fantastica contenuta in un
suo libro con la quale concludo». In un caso il motto è già considerato come un
proverbio, quindi ascritto alla saggezza popolare: «Com’è il vecchio proverbio?». Con
questo esempio assistiamo in maniera evidente alle implicazioni cognitive della
citazione. Essa ha la funzione di corroborare un pensiero, in assenza spesso di
dimostrazione. Si tratta di una massima più volte ascoltata e quindi che propendiamo a
dare per vera, anche se, analizzata partitamente non ha alcun carattere di verità assoluta
né nella prima né nella seconda parte. Se dicessi «a pensar male non si commette
peccato, ma ci si sbaglia sempre», la proposizione avrebbe lo stesso grado di verità
logica. Inoltre, vediamo ben operante che nella citazione a memoria, quella che viene
resa operante è la memoria semantica, della forma originaria non abbiamo alcuna traccia.
Questo può spiegare perché in alcuni casi, quando era necessario che anche la forma
avesse una sua stabilità si utilizzava il discorso metrico. Non è indifferente, ad esempio,
se a pensar male ci si azzecca “sempre” o “qualche volta”. Se volessimo rendere stabile
la prima opzione potremmo pensare ad una forma organizzata in ottonari: “Quel che
pensa male pecca / però sempre ci indovina”; se invece decidessimo di stabilizzare la
seconda potremmo pensare ad una serie di doppi quinari: “A pensar male / si fa peccato /
ma qualche volta / ci si indovina”.
Analoga, del resto, la variantistica del noto Spruch contenuto nella Critica del
programma di Gotha di Karl Marx (1875), con cui, non solo per par condicio,
chiudiamo:
Da ciascuno secondo le sue possibilità,
a ciascuno secondo i suoi bisogni
Da ciascuno secondo le sue possibilità,
a ciascuno secondo i propri bisogni
Da ciascuno secondo le sue possibilità
a ciascuno secondo le sue necessità
Da ciascuno secondo le sue possibilità,
a ciascuno secondo i bisogni
Da ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni
Da ciascuno secondo le sue capacità,
a ciascuno secondo i suoi bisogni
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Da ciascuno secondo le sue capacità,
a ciascuno secondo il suo lavoro
Da ciascuno secondo le sue capacità,
a ciascuno secondo le sue necessità
Da ciascuno secondo le sue capacità,
a ciascuno secondo i suoi bisogni
Da ciascuno secondo le sue capacità,
a ciascuno secondo i suoi bisogni.
Da ciascuno secondo le sue capacità,
a ciascuno secondo i suoi bisogni
Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni
Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni
Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri meriti
Da ciascuno secondo le sue forze
ed a ciascuno secondo i suoi bisogni
Da ciascuno secondo le sue forze e capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni
Da ciascuno secondo le sue abilità,
a ciascuno secondo le sue necessità
Da ciascuno secondo le sue facolta,
a ciascuno secondo i suoi bisogni
A ciascuno secondo i propri bisogni,
A ciascuno secondo i suoi bisogni,
A ciascuno secondo i suoi bisogni,
A ciascuno secondo i suoi meriti,
Ad ognuno secondo i suoi bisogni,
da ciascuno secondo le proprie possibilità
da ciascuno secondo le sue possibilità
da ciascuno secondo le sue capacità
da ciascuno secondo le sue possibilità
da ciascun secondo le proprie possibilità
Paolo Canettieri
“Sapienza” Università di Roma
paolo.canettieri@uniroma1.it
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