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QUADERNI DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLE MARCHE
con il patrocinio di
in copertina:
Nicola Cerbara, Medaglia commemorativa della Congregazione degli studi
istituita da Leone XII con la bolla “Quod Divina Sapientia”, 1824, bronzo
(foto Antonio Barberis, 2019)
G C,
S
Il tempo di Leone XII
a cura di
Roberto Regoli, Ilaria Fiumi Sermattei,
Maria Rosa Di Simone
"G C, S. Il tempo di Leone XII"
Stampato dal Consiglio Regionale Assemblea legislativa delle Marche
Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, n. 256, Ancona 2019
a cura di Roberto Regoli, Ilaria Fiumi Sermattei, Maria Rosa Di Simone
nell’ambito di un programma ideato da Valerio Barberis
Saggi di Anna Barańska, Edoardo Bressan, Lisa Cattaneo, Andrea Cicerchia, Alessandro Dani, Maria Carmela De Marino, Maria Rosa Di Simone, Marco Fioravanti, Ilaria Fiumi Sermattei, Pierangelo Gentile, Mario Luigi Grignani, François Jankowiak,
Chiara Lucrezio Monticelli, Davide Marino, Sandro Notari, Roberto Regoli, Lorenzo
Scatena, Ugo Taraborrelli, Luca Topi, Paolo Daniele Truscello
Redazione Chiara Orefice
Progetto grafico Mario Carassai
Ringraziamenti
David Bruffa, Luigi Carnevale Caprice, Giulia De Marchi, Isabella di Carpegna Falconieri Massimo, Tommaso di Carpegna Falconieri, Marco Filipponi, Maria Antonella
Fusco, Luisa Clotilde Gentile, Antonio Mastrovincenzo, Maria Cristina Misiti, Gian
Savino Pene Vidari, Daniele Salvi
un ringraziamento particolare a Carmen Mochi Onory, Franca Persichetti Ugolini, Lorenzo Pucci della Genga
SOMMARIO
Presentazione
Antonio Mastrovincenzo
Presidente del Consiglio Regionale delle Marche ............................
Premessa
Valerio Barberis ......................................................................
Introduzione
Roberto Regoli con Ilaria Fiumi Sermattei e Maria Rosa Di Simone.....
11
I. Una questione aperta
«Per qualche tempo tenuto all’oscuro…». Brèves remarques sur
l’historiographie de la Curie et du gouvernement des États
pontificaux sous le pontificat de Léon XII
François Jankowiak ......................................................................
19
Ordini, contrordini e disordini. Riforma della Curia e dello Stato
Roberto Regoli ...............................................................................
29
II. Governo della Chiesa
«Per sradicare la peste e i mali communi». La Congregazione del
Sant’Uffizio e i suoi tribunali nell’età di Leone XII (1823-1829)
Andrea Cicerchia ....................................................................
55
Una «colluvie di libri perniciosi». L’Indice durante il pontificato
di Leone XII
Davide Marino ..............................................................................
71
L’attività della Congregazione di Propaganda Fide durante il
pontificato di Leone XII alla luce degli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide e la missione nell’Indostan detta Tibetana
Mario L. Grignani .........................................................................
85
7
9
Léon XII et la Congrégation des Affaires ecclésiastiques extraordinaires: nouveaux horizons, nouveaux défis
Anna Barańska ............................................................................. 115
La Segreteria di Stato e la «direzione suprema di tutti gli affari»
durante il pontificato leonino
Paolo Daniele Truscello .................................................................
137
La Penitenzieria Apostolica al tempo di Leone XII: un dicastero
per la “restaurazione” delle anime
Ugo Taraborrelli .............................................................................
153
III. Governo dello Stato
Tra norma e prassi. Leone XII e la riforma dei tribunali civili
camerali (1824-1828)
Maria Carmela De Marino ............................................................
179
La Commissione Turiozzi e la riforma dell’ordinamento giudiziario civile di papa Leone XII (1823-1824)
Sandro Notari ...............................................................................
189
Le riforme universitarie e scolastiche di Leone XII
Maria Rosa Di Simone ..................................................................
«Il maggior deposito europeo in questo genere». Istanze di riforma della Calcografia Camerale nell’età della Restaurazione
Ilaria Fiumi Sermattei ...................................................................
«La speciale protezione delle Belle Arti». La Commissione Consultiva Generale di Antichità e Belle Arti al tempo di Leone XII
Lisa Cattaneo .................................................................................
Le istituzioni sociali a Roma nell’età di Leone XII
Edoardo Bressan ............................................................................
La normativa di Annibale della Genga cardinale vicario di Roma
Alessandro Dani .............................................................................
Ordine pubblico e ordine morale: polizia e parroci nella capitale agli esordi del pontificato di Leone XII
Chiara Lucrezio Monticelli .............................................................
Ai margini della legalità: la condanna alle galere nello Stato pontificio negli anni Venti dell’Ottocento
Marco Fioravanti ...........................................................................
«Mestiere da matti o da birbi»: miti e realtà di sette e congiure
carbonare nell’epoca di Leone XII
Pierangelo Gentile ..........................................................................
«Per giudicare della causa di Lesa Maestà e altre qualità aggravanti». La repressione giudiziaria del dissenso politico sotto il
pontificato di Leone XII
Lorenzo Scatena .............................................................................
Processo Gasbarrone (1825): la fine di un brigante, la fine di un
fenomeno. L’epilogo del brigantaggio nello Stato Pontificio
Luca Topi .......................................................................................
Indice dei nomi .............................................................................
Gli Autori ......................................................................................
243
261
283
329
341
369
383
393
409
421
439
453
«Il maggior deposito europeo in questo genere». Istanze di riforma della
Calcografia Camerale nell’età della
Restaurazione
Ilaria Fiumi Sermattei
La stagione di riforme che segnò il pontificato di Pio VII investì un
rilevante ambito di applicazione in quella che oggi chiamiamo tutela
del patrimonio, con gli editti dei cardinali camerlenghi Giuseppe Maria Doria Pamphili, nel 18021, e Bartolomeo Pacca, nel 18202, e nella
rinnovata promozione delle arti, con lo sviluppo delle accademie e
delle istituzioni culturali3.
Questo testo è il primo, parziale esito del progetto di ricerca sulla storia della Calcografia
Camerale nell’età della Restaurazione, avviato come responsabile delle collezioni di disegni
e stampe della Calcografia Nazionale presso l’Istituto Centrale per la Grafica, Roma. Sono
grata a Luisa Clotilde Gentile e a Luigi Carnevale Caprice per l’attenta e paziente revisione
del testo, i consigli e la condivisione delle riflessioni.
1
O. Rossi Pinelli, Carlo Fea e il Chirografo del 1802: cronaca, giudiziaria e non, delle
prime battaglie per la tutela delle “Belle Arti”, “Ricerche di Storia dell’Arte”, VIII,
1978-1979, pp. 27-41.
2
V. Curzi, Per la tutela e la conservazione delle belle arti: l’amministrazione del cardinale Bartolomeo Pacca, in Bartolomeo Pacca (1756-1844). Ruolo pubblico e privato di
un cardinale di Santa Romana Chiesa, a cura di C. Zaccagnini, atti del convegno,
Velletri 2001, pp. 49-79; Idem, Bene culturale e pubblica utilità: politiche di tutela
a Roma tra Ancien Régime e Restaurazione, Argelato 2004; Idem, La riscoperta del
territorio. Tutela e conservazione del patrimonio artistico nello Stato Pontificio nei
primi decenni dell’Ottocento, in Cultura nell’età delle Legazioni, atti del convegno, a
cura di F. Cazzola, R. Varese, Ferrara 2005, pp. 789-809; Idem, Nuova coscienza
e uso politico del patrimonio artistico negli anni del pontificato di Pio VII Chiaramonti,
in L’arte contesa. Nell’età di Napoleone, Pio VII e Canova, a cura di R. Balzani, Cinisello Balsamo 2009, pp. 28-32; Idem, Il patrimonio artistico e monumentale nello
Stato Pontificio negli anni del cardinale Pacca, in Municipalia. Storia della tutela, a
cura di D. La Monica, F. Nanni, Pisa 2010, vol. II, pp. 207-215.
3
S. Pinto, La promozione delle arti negli Stati italiani dall’età delle riforme all’Unità,
– 261 –
Tale impulso trapassò nel terzo decennio del secolo e visse, durante il pontificato di Leone XII «carico di iniziative a livello internazionale, nazionale e locale»4, una delicata fase di assestamento e di
verifica. Per quanto riguarda la tutela del patrimonio questi sono gli
anni nei quali si provò ad applicare un provvedimento, l’editto Pacca,
tanto completo e organico sul piano ideale e formale quanto difficile
da mettere in pratica, come dimostrano la mancata realizzazione del
«piano di statistica», ossia di un catalogo delle opere da tutelare5, e i
permessi di esportazione forzatamente concessi ai sovrani stranieri6.
Riguardo alla promozione delle arti proprio negli anni del pontificato leonino emerse l’esigenza di una sede per la pubblica esposizione
delle opere d’arte prodotte nella Città Eterna prima della loro spediin Storia dell’arte italiana. Settecento e Ottocento, a cura di F. Bologna, Torino
1982, pp. 794-1079, per lo Stato Pontificio nella Restaurazione pp. 889-916;
A.L. Bonella, A. Pompeo, M.I. Venzo (a cura), Roma fra la Restaurazione e l’elezione di Pio IX: amministrazione, economia, società e cultura, Roma-Freiburg-Wien
1997, in particolare D. Tamblé, La politica culturale dello Stato Pontificio nell’età
della Restaurazione: antichità, belle arti, biblioteche e archivi, pp. 759-782; Maestà
di Roma: da Napoleone all’Unità d’Italia. Universale ed Eterna. Capitale delle Arti, a
cura di S. Pinto, L. Barroero, F. Mazzocca, con la segreteria scientifica di G.
Capitelli e M. Lafranconi, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale;
Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 7 marzo – 29 giugno 2003), Milano 2003; G.
Capitelli, Quadri da altare: pittura sacra a destinazione pubblica, in L’Ottocento in
Italia. Le Arti sorelle: il Neoclassicismo, a cura di C. Sisi, Milano 2005, pp. 100-120;
Eadem, La pitttura religiosa, in L’Ottocento in Italia. Le Arti sorelle: il Romanticismo, a cura di C. Sisi, Milano 2006, pp. 71-85.
4
G. Piccinini, Il 250° della nascita di Annibale della Genga come nuova occasione di
riflessione storica sul pontificato leonino, il governo della Chiesa e dello Stato nell’età
della Restaurazione, in Il pontificato di Leone XII. Restaurazione e riforme nel governo della Chiesa e dello Stato, a cura di G. Piccinini, Ancona 2012, pp. 17-27, in
particolare p. 23.
5
C. Mannoni, Il Piano di Statistica di Antichità e Belle Arti come modello per una
nuova tutela del patrimonio artistico nello Stato Pontificio, in Antico, conservazione e
restauro nell’età di Leone XII, a cura di I. Fiumi Sermattei, R. Regoli, M.P. Sette,
Ancona 2017, pp. 211-221.
6
C. Mannoni, «Che il quadro parta pure per la Prussia». Esportazioni e trafugamenti
di opere nel contesto della politica pontificia nell’età della Restaurazione, in Le relazioni internazionali di Leone XII, a cura di I. Fiumi Sermattei, R. Regoli, P.D.
Truscello, Ancona 2018, pp. 277-291.
– 262 –
zione ai committenti, sovente stranieri. Tale sistema di esposizione
pubblica dell’arte contemporanea fu sperimentato dal governo gradualmente nel corso del terzo decennio, in uno degli edifici di piazza
del Popolo appena rinnovata da Giuseppe Valadier, fino alla sua definitiva configurazione con la nascita, nel 1829, della Società amatori
e cultori di Belle Arti7.
Un altro ambito nel quale si misurò l’iniziativa del governo pontificio fu quello della promozione delle locali manifatture artistiche,
tanto pubbliche quanto private. Dipinti e stampe, medaglie e reliquiari, mosaici e arazzi, erano donati a principi e sovrani stranieri, strumenti di una diplomazia culturale che esaltava il pontefice, la corte
e la città, la quale ancora in questi anni manteneva il ruolo di meta
ambita del Grand Tour8. A tal fine, un’attenzione particolare era riservata alle attività artistiche e manifatturiere e all’equilibrio tra inizia7
G. Montani, La Società amatori e cultori di Belle Arti a Roma (1829-1883), tesi di
dottorato, Università di Roma Tre, 2005-2007, in particolare pp. 13-47.
8
F. Sisinni (a cura), Il San Michele a Ripa Grande, Roma 1991, in particolare i saggi
di A. Mattirolo, M. Di Macco, F. Piccirillo; A.M. De Strobel, Le arazzerie romane
dal XVII al XIX secolo, Roma 1989, in particolare pp. 72 e ss.; Eadem, L’arazzeria
di San Michele tra il Settecento e l’Ottocento attraverso le opere della collezione vaticana, in Arte e artigianato nella Roma di Belli, a cura di L. Biancini e F. Onorati,
Roma 1998, pp. 117-136; P. Toscano, Roma produttiva tra Settecento e Ottocento. Il San Michele a Ripa Grande, Roma 1996, in particolare pp. 107 e ss.; M.G.
Branchetti, Il mosaico nella Roma di Leone XII: il ruolo centrale nel cerimoniale
diplomatico, nel commercio cittadino, nella politica di tutela del patrimonio artistico,
in Il pontificato di Leone XII. Restaurazione e riforme cit., pp. 231-255; Eadem, Il
guéridon ad uso di déjeuner detto Lo scudo di Achille: aggiornamenti documentari,
1813-1818, in Il mosaico minuto tra Roma, Milano e l’Europa, a cura di C. Stefani,
Foligno, 2016, pp. 73-101. Per i doni in particolare: L. Barroero, Pio VI, i doni
diplomatici e l’indotto del Grand Tour, in Arte e politica. Studi per Antonio Pinelli, a
cura di N. Barbolani Di Montauto, G. de Simone, T. Montanari, C. Savettieri, M. Spagnolo, Firenze 2013, pp. 121-124; A. Pinelli, Souvenir. L’industria
dell’antico e il grand tour a Roma, Roma 2010; S. Rolfi Ožvald, La “rosa d’oro”,
Rubens e Piranesi. Le arti e il cerimoniale di stato: doni, visite e invii di opere alla
corte austriaca nel 1780 e 1819, “Studi di Storia dell’Arte”, 28, 2017, pp. 265-278;
I. Fiumi Sermattei, «Un diverso sistema ne’ regali da farsi ai Sovrani». Oggetti e
strumenti della diplomazia leonina, in Dall’intransigenza alla moderazione. Le relazioni internazionali di Leone XII, a cura di I. Fiumi Sermattei, R. Regoli, P.D.
Truscello, Ancona 2018, pp. 293-346.
– 263 –
tiva pubblica e mercato privato, come dimostra anche l’istituzione,
nel 1827, di un’apposita Congregazione per definire quali oggetti, in
particolare «chincaglierie», dovessero produrre i pii stabilimenti per
non sovrapporsi alle imprese private9. Esemplare di questa attività
del governo pontificio, e dei suoi tentativi di riforma per migliorare la
produzione in positivo equilibrio con il mercato privato, è il caso della
Calcografia della Reverenda Camera Apostolica.
La “fabbrica delle immagini”
Nel 1738 Clemente XII dispose l’acquisto della ricca raccolta di
matrici incise della storica stamperia De Rossi, istituendo la Calcografia Camerale con l’obiettivo di «promuovere magnificenza e splendore di Roma appresso le Nazioni straniere, come pure l’avanzamento della gioventù studiosa dell’arti liberali»10. Grazie a un patrimonio
di migliaia di matrici, la Calcografia costituiva una vera e propria
“fabbrica delle immagini” con un ricco repertorio di vedute della città e cartografie del territorio, ritratti di pontefici e cardinali, monumenti antichi e moderni, dipinti e sculture dei maggiori maestri del
9
Archivio di Stato di Roma (di seguito ASR), Computisteria generale, div. VI, b.
412, fasc. 54.
10 Chirografo di Clemente XII, 15 febbraio 1738 (pubblicato in E. Ovidi, La Calcografia romana e l’arte dell’incisione in Italia, Roma-Milano 1905, doc. I, pp. 94-100). Per
la storia della Calcografia Camerale, in particolare nell’età della Restaurazione, si
vedano Ovidi, La Calcografia romana cit., pp. 19-41, 57-66; A. Grelle Iusco,
Indice delle stampe De’ Rossi. Contributo alla storia di una Stamperia romana, Roma
1996, pp. 63 e ss.; G. De Marchi, Il Palazzo della Calcografia. La storia attraverso i
documenti, Roma 2002, pp. 13-25; Eadem, La Calcografia romana e le sue collezioni,
in Le tecniche calcografiche d’incisione diretta. Bulino puntasecca materia nera, a cura
di G. Mariani, Istituto Nazionale per la Grafica, Lineamenti di Storia delle tecniche/2, Roma 2003, pp. 125-135; G. Mariani, L’Istituto nazionale per la grafica, in
Istituto nazionale per la grafica, a cura di G. Mariani, G. De Marchi, Roma 2009,
pp. 13-23, in particolare pp. 14-20; A. Grelle Iusco, La Calcografia romana e la
sua raccolta di matrici. Lineamenti di due storie parallele, in La Raccolta di Matrici
della Calcografia Romana. Aggiornamento al Catalogo Generale delle Stampe di C.A.
Petrucci (1934), a cura di A. Grelle Iusco, E. Giffi, Roma 2009, pp. 47-72; G.
Bocconi, Alla gioventù studiosa delle arti. La traduzione in Calcografia come modello didattico, “Horti Hesperidum”, 2017, 2 («Invenit et delineavit»), pp. 385-414.
– 264 –
Rinascimento e dell’età barocca. Attraverso la traduzione in incisione
su matrici in rame e la stampa in serie venne promossa efficacemente l’immagine della città e del suo sovrano, favorendo nel contempo
un’attività artistica rigogliosa anche in ambito privato.
Nell’età della Restaurazione, e in particolare nel terzo decennio
del XIX secolo, la Calcografia Camerale divenne oggetto della crescente attenzione del tesoriere generale, monsignor Belisario Cristaldi. Figura di spicco dell’entourage consalviano, in carica dal 1820,
questi promosse l’attività culturale, produttiva e commerciale della
Calcografia11. Esito dell’intelligente interessamento di Cristaldi fu lo
straordinario incremento del patrimonio di matrici grazie all’acquisto delle raccolte Canova, Volpato, Folo, Camuccini, Gmelin, e alla
committenza di nuove incisioni ad artisti romani. Contraltare di tale
azione fu l’incipiente censura di immagini, nudità femminili e scene
di promiscuità, che nell’età della Restaurazione iniziarono a essere
percepite come «oscene» da una nuova, diffusa sensibilità12.
Il potenziamento del ruolo culturale della Calcografia fu accompagnato e reso possibile da una radicale riorganizzazione del suo assetto amministrativo, che culminò nel chirografo emanato da Leone XII
il 6 gennaio 1829, poco più di un mese prima della sua morte. Con
questo provvedimento l’istituto venne accorpato ad altri due opifici pontifici, la Stamperia e la Cartiera, in un’unica amministrazione
che comprendeva anche il sistema di raccolta e distribuzione degli
11 Per Belisario Cristaldi si veda N. Del Re, Il cardinale Belisario Cristaldi e il Can.
Antonio Muccioli, Città del Vaticano 1980; M. Caffiero, Belisario Cristaldi, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXXI, 1985.
12 Rimando alla mia tesi di dottorato Aspetti della politica culturale sotto il pontificato
di Leone XII: reimpiego dell’antico, censura delle immagini e rappresentazione della sovranità (“Studi sul patrimonio culturale”, Alma Mater Studiorum – Università di
Bologna, sede di Ravenna, XXIX ciclo, tutor prof. Luigi Tomassini, 2014-2016) in
corso di pubblicazione; esiti che ho parzialmente pubblicato in Note sulla censura
delle immagini a Roma nel terzo decennio del XIX secolo, “Il 996, rivista del Centro
Studi Giuseppe Gioachino Belli”, anno XVI – numero 2, maggio-agosto 2018, pp.
25-38. Si veda anche V. Pagani, The prints of the Calcografia Camerale at the Biblioteca Casanatense, “Print Quaterly”,13, 1996, pp. 291-304, in particolare p. 299,
dove l’autrice annuncia un suo approfondimento monografico sull’argomento.
– 265 –
stracci dell’intero Stato13. Tale amministrazione costituì di fatto un
livello intermedio rispetto alla Tesoreria generale, dalla quale fino a
questo momento dipendevano direttamente i singoli istituti, esautorando il tesoriere di un ambito di azione, culturale ed economico, che
nell’ultimo decennio, sotto la direzione di Cristaldi, aveva assunto un
particolare rilievo. In realtà, al di là della contingenza, la riforma del
1829 non risulta così determinante, dato che nel giro di pochi anni fu
annullata e dal 1834 l’amministrazione autonoma fu soppressa tornando gli opifici sotto il diretto controllo della Tesoreria.
E tuttavia, il chirografo del 1829 interessa perché costituì il momento culminante della crescente attenzione che sin dai primi anni
della Restaurazione si venne concentrando sulla Calcografia Camerale, generando una serie impressionante di progetti di riforma e di
regolamenti, circostanziate contestazioni e appassionate difese. Tale
clima vivacemente polemico data ai primissimi anni del secolo XIX,
arrivando a maturazione nel terzo decennio, sotto il tesorierato di
Cristaldi e in coincidenza con il pontificato della Genga.
La direzione di Valadier tra critiche, istanze di rinnovamento e
progetti di riforma
Tralascio per il momento il tema degli orientamenti che guidarono
la politica culturale della Calcografia Camerale nell’età della Restaurazione14, per concentrare la riflessione sulla riforma dell’istituto che
con la caduta dell’Antico Regime iniziò a essere percepita come urgente, in risposta a nuove esigenze di qualità, efficienza e redditività.
Negli anni successivi alla Repubblica romana del 1799, con il ritor13 Chirografo della santità di nostro signore papa Leone XII per lo stabilimento della amministrazione generale camerale della stamperia, calcografia, cartiera ec. Esibito per
gli atti dell’Appolloni segretario, e cancelliere della R.C.A. Li 7 gennaio 1829, Roma,
nella Stamperia della R.C.A. 1829.
14 Rimando al mio intervento La Calcografia Camerale alla prova della modernità.
Nuovi orientamenti della politica culturale pontificia nell’età della Restaurazione, presentato al convegno internazionale Alle radici della modernità: progetti di riforma,
dinamiche sociali e valorizzazione dei patrimoni culturali (secoli XVIII-XIX), a cura
di C. Coletti, S. Petrillo, Assisi, 6-8 giugno 2019, in corso di pubblicazione.
– 266 –
no di Pio VII e la ripresa del governo pontificio sulla città di Roma e
sullo Stato, la Calcografia era tornata sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Valadier, che già l’aveva diretta dal 1786 al 1798. Come
testimonia una ricca documentazione d’archivio, sin dai primi anni
del XIX secolo da più parti si levarono obiezioni riguardo al governo
dell’architetto, mosse anche da artisti che mal sopportavano la sua
estraneità alla professione, a differenza dei predecessori, il disegnatore Giuseppe Domenico Campiglia e lo scultore Gaspare Sibilla.
Tra tante voci anonime emerge la proposta dell’incisore Francesco Saverio Gonzalez15, il quale in particolare criticò la consuetudine
della Calcografia di associarsi a imprese editoriali private, di artisti
che prima si assicuravano dal governo la “privativa” – sorta di diritto
esclusivo di riproduzione – per l’incisione di «grandi opere» classiche,
richieste dal mercato, poi ne cedevano le stampe alla Calcografia che
le rivendeva a un prezzo concordato, restando questi liberi di ridurre il prezzo di vendita16. I rami della collezione erano poi «stracchi,
lordi, e poco bene [de]lineati», con scapito della qualità delle stampe,
inficiata anche dal lavoro sbrigativo dello stampatore, che era pagato
a cottimo. Inoltre, le serie erano incomplete e non si vendevano fogli sciolti ma solo corpi interi, impegnativi economicamente e quindi
poco appetibili dal mercato. Si proponeva allora di rinnovare completamente l’organico dell’istituto, assumendo finalmente un direttore
che fosse di professione incisore, in grado di completare, restaurare
e ritoccare le matrici delle collezioni e di sorvegliare la qualità della
stampa; ma anche abili stampatori e venditori attenti alle esigenze
del pubblico. Erano infine auspicati la pubblicazione del catalogo del15 ASR, Camerale II, Calcografia, b. 2, fasc. 5, “Piano di riforma della Calcografia
Camerale”, s.d. ma in un contesto archivistico riferibile al 1803, presentato da
Francesco Saverio Gonzalez, incisore romano (E. Benezit, Dictionnaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs, Paris 1960, vol. IV, p. 342). Ringrazio per
la segnalazione Cecilia Bartoli.
16 Per il tema dell’acquisto in associazione si veda L. Cicchinelli, Acquisti tramite
associazione della Calcografia Camerale di Roma nella prima metà dell’Ottocento, in
Collezioni di grafica a cura di M.M. Breccia Fratadocchi, “Quaderni della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma”, 18, Roma 2014, pp. 163-181.
– 267 –
le stampe in vendita in più lingue, e il trasloco del negozio dai locali
concessi gratuitamente dalla Stamperia Camerale, presso fontana di
Trevi17, in un sito migliore, «più esposto alla vista, e alla curiosità dei
cittadini e dei forestieri».
La sfiducia di Gonzalez nei confronti del direttore, Valadier, era
totale: costui «presiede colla imponenza della autorità, non colla
presenza della persona e molto meno coll’opera, che non sa né può
impiegare», tanto più non avendo «bisogno di compenso, essendo facoltoso e architetto della Reverenda Fabbrica» si proponeva allora di
«pagarlo senza che operi [piuttosto] che lasciarlo in una amministrazione, [cosa] che produrrebbe la ruina totale di un dipartimento di
una tale e sì grande importanza».
Non era solo il direttore a essere messo sotto accusa, ma tutto il
personale e l’organizzazione commerciale: si rilevava come lo spaccio
rimanesse perlopiù chiuso al pubblico e non si adottasse alcun accorgimento, sia pure basilare, per promuovere la produzione, a Roma,
nel resto dello Stato Pontificio, e all’estero18. A dire il vero, comunque,
l’efficienza produttiva dell’istituto non aveva mai corrisposto ai rosei
auspici che nel secolo precedente avevano accompagnato l’acquisto
della raccolta De Rossi19.
In principio Valadier rispose con una relazione sbrigativa alle critiche, che si sarebbero ripetute a più riprese nel corso degli anni, fino
alla svolta del terzo decennio. «In tutte le corti esiste una Calcografia
del Principato»: sin dall’incipit egli ribatteva che il fine dell’istituto
non era meramente commerciale, finalizzato alla vendita, bensì «di
aiuto, ed incoraggiamento delle arti, e decoro della capitale, dove è
17 Per le sedi della Calcografia rimando a De Marchi, Il Palazzo della Calcografia cit.,
in particolare pp. 13-25.
18 Si veda in particolare ASR, Camerale II, Calcografia, b. 5 fasc. 5, “Progetto per
rendere più utile e meno dispendioso lo smercio di stampe della Calcografia Camerale”, s.f., s.d., riferito da una annotazione a lapis al 1802.
19 G. Sapori, S. Amadio, Giovan Domenico Campiglia e la produzione della Calcografia
Camerale tra tradizione e rinnovamento (1738-1773), in Il mercato delle stampe a
Roma. XVI-XIX secolo, a cura di G. Sapori con la collaborazione di S. Amadio, San
Casciano V.P., 2008, pp. 265-315.
– 268 –
fondata». E proseguiva sostenendo che l’amministrazione fosse in attivo, e non in passivo, per l’aumento del capitale in stampe tirate e in
quelle acquisite per associazione20. Sollecitato dalle critiche, Valadier
ne trasse anche alcuni spunti per elaborare un proprio piano di riforma al fine di migliorare la gestione21. Ma, al di là della consueta, roboante dichiarazione programmatica iniziale – «Lo scopo principale
di questa Istituzione è quello dell’incoraggiamento delle arti del disegno, e dell’incisione» – la sua proposta si ridusse a pochi, elementari
provvedimenti non strutturali: istituire un fondo per commissionare
nuove matrici, a scelta del tesoriere su proposte del direttore, comporre delle nuove raccolte con stampe di varie opere, stabilire una
corrispondenza con i negozianti stranieri, senza però tralasciare di
attribuire una percentuale sulle vendite al personale coinvolto, quale incentivo per il maggiore impegno richiesto. Appena un anno più
tardi, il primo maggio 1804, Valadier presentò un secondo, apparentemente più innovativo progetto22, nel quale proponeva il trasloco
del negozio, magari in piazza di Spagna, e sconti fino al 30% per i
negozianti stranieri. Ma soprattutto egli suggeriva di conservare le
matrici e gli strumenti d’impressione presso la dimora del direttore,
cioè la propria, trasferendovi tutte le operazioni di stampa. Anche
quest’ultimo progetto di Valadier appare molto approssimativo, orecchiando alcuni spunti dalle critiche mossegli in passato, senza essere
però in grado di operare una riforma strutturale dell’istituto nel rispetto della sua natura pubblica.
A questa situazione, già molto critica, si aggiunsero i «passati ge20 ASR, Camerale II, Calcografia, b. 2, fasc. 5, relazione di G. Valadier con incipit “In
tutte le corti esiste una Calcografia del Principato…”, 25 giugno 1803 (altra copia
in b. 5, fasc. 5).
21 ASR, Camerale II, Calcografia, b. 2, fasc. 5, “Progetto per il nuovo sistema da praticarsi per l’andamento della Calcografia Camerale”, presentato da G. Valadier il
13 novembre 1803 (pubblicato in Ovidi, La Calcografia cit., doc. IV, pp. 113-114).
22 ASR, Camerale II, Calcografia, b. 5, fasc. 5, “Nuovo metodo che si propone per
l’andamento della Calcografia Camerale”, G. Valadier, primo maggio 1804. Lo
stesso progetto è ripresentato identico il 10 giugno successivo e, con qualche
piccola modifica, come vedremo, il 24 [gennaio] 1815, vedi infra.
– 269 –
nerali sconvolgimenti» delle occupazioni francese e napoletana di
Roma, tra il 1809 e il 1814, per i quali anche la Calcografia «non rimase esente di soffrire le sue peripezie»: spostamenti di sede, dalla
Stamperia Camerale al palazzo di Propaganda Fide e viceversa, traslochi delle collezioni e cambi di ordinamento, pur con la redazione di nuovi inventari23. Dopo il definitivo ritorno di Pio VII a Roma
Valadier, restituito alla carica di direttore, ripresentò il progetto di
riforma del 1804, espungendo solo la proposta – davvero disinvolta
– di conservare matrici e strumenti d’impressione presso la propria
privata dimora24.
Ancora una volta montarono le critiche alla gestione dell’istituto.
Esse riguardavano la cura delle raccolte e l’urgenza della redazione
degli inventari, distinti per categorie – rami, stampe, stigli, cioè arredi, e carte da stampare – completi di perizia del valore; la registrazione delle vendite in libri contabili degli introiti e degli esiti25; la commercializzazione, con la proposta di affidare il negozio a un privato,
ripartendo a metà i proventi e impegnando l’imprenditore a investire
l’eventuale surplus nell’incisione di nuove matrici26; l’organico della
Calcografia, composto da persone definite «onestissime» malgrado
abbiano «tuttavolta deviato dalla di lei fondazione per propri privati interessi» (!), incompetenti e perciò da sostituire con artisti, disegnatori, incisori e compositori27; il controllo delle tirature, con una
23 ASR, Camerale II, Calcografia, b. 5, fasc. 5, “Dettaglio sulla Calcografia Camerale”, s.f. 1814.
24 ASR, Camerale II, Calcografia, b. 5, fasc. 5, “Nuovo metodo che si propone per
l’andamento della Calcografia Camerale”, G. Valadier, 24 [gennaio] 1815 (pubblicato in Ovidi, La Calcografia cit., doc. V, pp. 117-120).
25 ASR, Computisteria generale, div. IV, b. 331, “Metodo che potrebbe tenersi per la
Calcografia Camerale”, s.f. 1817.
26 ASR, Camerale II, Calcografia, b. 5, fasc. 5, progetto presentato da Francesco de
Sanctis, s.d. ma riferibile all’inizio del secondo decennio del XIX secolo (l’autore
scrive di essere stato in servizio dei Piranesi e poi, da ventidue anni, presso Volpato); si veda anche, nello stesso fascicolo, il progetto anonimo con incipit “La
Calcografia Camerale è una delle istituzioni che meritatamente impegnano…”.
27 ASR, Camerale II, Calcografia, b. 5, fasc. 5, “Alcune riflessioni sulla Calcografia
Camerale”.
– 270 –
chiusura a doppia chiave del deposito delle matrici, e delle vendite, e
il divieto di sconti arbitrari; infine, la scelta dei soggetti, che privilegi
«antichità, rottami e statue», e la composizione dei fogli volanti in
volumi per autore o scuola28. Comune, e ormai rituale, era la condanna dell’acquisto di stampe in associazione, pratica culturalmente
irrilevante e svantaggiosa sul piano economico, ma anche misura assistenziale a favore degli artisti, quindi funzionale a un sistema clientelare difficile da sopprimere.
Una prima, matura presa di coscienza della natura della Calcografia Camerale
Nessuna di queste critiche raggiunse però la precisione del dettaglio e l’ampiezza del ragionamento dello “Stato attuale della Calcografia Camerale”, un’anonima, sistematica contestazione delle proposte
formulate da Valadier nel 1803 e 1804-181529. Si trattò della prima,
matura presa di coscienza della natura di questo particolare istituto
pontificio e del difficile equilibrio da raggiungere tra la sua funzione
culturale, una redditizia amministrazione e il rapporto con il mercato
privato. Anche qui si rilevava l’incompetenza e la mancanza di motivazione del personale, una confusione diffusa nella gestione dei rami
e delle stampe, l’indiscriminata libertà nelle tirature, senza alcuna
tutela dei rami né della qualità della produzione, e nello sconto arbitrario dei prezzi di vendita. A differenza però delle altre critiche mosse in precedenza, questo documento dimostrava una puntuale conoscenza della gestione interna dell’istituto e una capacità di visione
prospettica, in grado di anticipare gli indirizzi delle future riforme.
In primo luogo, si sfatava l’utile vantato nel 1803 da Valadier, che
«è inesistente, o chimerico», costruito artificiosamente su un vero
e proprio escamotage, «nascendo dal prezzo dato alle stampe che ha
fatto tirare, o ha acquistate in questo tempo, le quali restano tuttora
invendute nella Calcografia, e che forse non si venderanno giammai».
28 Ibid.
29 ASR, Camerale II, Calcografia, b. 5, fasc. 5, “Stato attuale della Calcografia Camerale”, s.f. s.d.
– 271 –
Si concludeva pragmaticamente che «il vero utile deve risultare dalle
vendite a contante, e dall’introito del danaro, e non altrimenti». Con
evidente imbarazzo si rifiutava anche la proposta di ribasso del 30%
e di conservare le matrici presso la casa del direttore come «cose che
lasciano al medesimo una troppo estesa libertà di profittarne, e perciò non sembrano da adottarsi».
Inoltre, il documento contestava tanto la premessa ideale addotta da Valadier nel 1803, «l’incoraggiamento delle arti» fine a se
stesso, quanto la sua opportunistica adesione, nel 1804-1815, a una
prospettiva commerciale, «rendere questo stabilimento sul piede dei
negozianti» traslocando il negozio in un sito più favorevole. L’anonimo estensore riconosceva che, anche se il fine dell’istituto risiedeva
nella promozione delle arti del disegno e dell’incisione, non si poteva
trascurare la ricerca del guadagno, che avrebbe dato anzi maggiori
mezzi per favorire gli artisti. Ma qui si rilevava anche come la Calcografia non potesse essere gestita come un’impresa privata: «conviene
dunque combinare in questo metodo il decoro della cosa pubblica,
l’incoraggiamento delle arti, l’utile dell’azienda e la semplicità delle
operazioni». Si proponeva allora di scegliere del personale esperto
nell’arte dell’incisione e capace tanto nella contabilità quanto nella
vendita; ispezionare la raccolta dei rami e conservarla sotto due chiavi; redigere inventari e registri; pubblicare cataloghi di vendita con
prezzi fissi; assicurare la regolare apertura del negozio.
Questo nuovo sistema avrebbe portato un utile da investire a favore di artisti capaci e disoccupati, commissionando l’incisione di
nuove matrici per integrare le raccolte o cedendo quelle inutilizzabili
per la stampa, o ancora dando un assegnamento fisso a qualche giovane di grande talento. Insomma, un vero e proprio programma di
promozione culturale che sarebbe stato realizzato nel corso del terzo
decennio del secolo, grazie all’azione di Cristaldi.
È molto interessante seguire i ragionamenti dell’anonimo estensore quando esamina le obiezioni che potrebbero essere avanzate alla
sua proposta. Se il nuovo sistema avesse funzionato, anche a livello
commerciale, forse gli artisti avrebbero sofferto la concorrenza pubblica e, paradossalmente, proprio a causa dell’attività della Calcogra– 272 –
fia perdersi un’arte che la sua istituzione aveva inteso favorire? No,
si replicava, perché
le opere della Calcografia non possono tutti contentare, ché i geni
sono diversi, ché col passare del tempo prevale ancora un nuovo gusto, e perciò le nuove incisioni dei particolari artisti se saranno buone
troveranno sempre dell’esito,
tanto più se la produzione pubblica si fosse concentrata sulla traduzione in stampa di «opere classiche», quelle che solitamente si donavano a sovrani e principi forestieri, non vi sarebbe stato alcun danno
per il libero mercato.
Si delineava così una precisa divisione di compiti tra pubblico e
privato: la sperimentazione della stampa d’invenzione era riservata
ai singoli artisti; i soggetti classici, più tradizionali e per così dire istituzionali, rimanevano di competenza del governo, riprendendo quel
diritto esclusivo di raffigurare cerimonie pontificie, sovrani pontefici,
cardinali e antichi monumenti che era stato riservato alla Calcografia da Clemente XII con il breve del 7 ottobre 173930. Gli artisti dovevano essere sostenuti non mediante l’acquisto di rami già incisi o
l’associazione a stampe già prodotte, che «è lo stesso che premiare l’ignoranza, favorire gl’impegni e pregiudicare il pubblico erario», bensì
concretamente dalla committenza diretta della Calcografia. L’anonimo concludeva che per promuovere l’arte servono scuole pubbliche,
buone accademie, premi per i giovani, magari di talento ma privi dei
mezzi per proseguire gli studi. Si prospettava così una possibile, positiva collaborazione tra le pubbliche istituzioni e il mondo artistico
privato: «se l’utile di una buona amministrazione della Calcografia
ci porrà in stato di provvedere a tali oggetti, l’arte certamente non
scapiterà, ma ne riporterà giovamento».
La stagione delle riforme, tra Pio VII e Leone XII
Il clamore delle critiche arrivò addirittura alla Segreteria di Stato, tanto che sulla scrivania del cardinale Ercole Consalvi giunse nel
30 Pubblicato in Ovidi, La Calcografia cit., doc. III, pp. 105-112.
– 273 –
1822 un’anonima protesta per la cattiva gestione di un settore considerato cruciale per l’attività camerale31.
In realtà, proprio nel 1822, spinto dalla continua, ormai ventennale pressione dell’opinione pubblica il governo pontificio si stava
muovendo per riformare la gestione della Calcografia. Secondo la
versione dei fatti lasciata alcuni anni dopo da uno dei protagonisti,
Pio VII, conosciuto lo «stato di passività, gli abusi e gli sconcerti»
dell’istituto, avrebbe chiesto a padre Filippo Anfossi, maestro del Sacro Palazzo, di individuare un incisore che fosse «persona di buona
morale»32. Venne scelto Antonio Testa, il quale presentava una memoria su «gli abusi e disordini esistenti nella Calcografia Camerale»33.
Dopo l’esame del candidato da parte del cardinale Consalvi e di Girolamo Galanti, minutante della Segreteria di Stato, si combinarono
precise istruzioni con il tesoriere generale Cristaldi34 per elaborare
una riforma definitiva del sistema facendo tesoro dei primi esposti35.
Testa fu così cooptato nell’amministrazione della Calcografia, con
il ruolo di incisore di ispezione alla Stamperia rappresentante del direttore, per integrare le competenze tecniche mancanti a Valadier.
Non a caso fu scelto un incisore di secondo, anche terzo piano nel
panorama artistico romano, facilmente manovrabile e il cui basso
profilo non rischiava certo di entrare in competizione né di oscurare
la figura di Valadier. Costui mantenne una carica onorifica, ma re31 Nel vol. XLVI delle Rubricelle della Segreteria di Stato in Archivio Segreto Vaticano (di seguito ASV), n. di protocollo 12988, novembre 1822, è registrato un
documento anonimo contro la Calcografia, al momento non rintracciato.
32 ASR, Tesorierato generale poi Ministero delle finanze, b. 442, “Memoria di Antonio Testa incisore autore di tutte le operazioni, e i miglioramenti entro esposti”,
passato agli uffici il 23 dicembre 1833.
33 ASR, Computisteria generale, div. IV, b. 331, fascicolo “Calcografia Camerale
carteggi”, 27 aprile 1822. Per Antonio Testa si veda L. Scervolini, Dizionario
illustrato degli incisori italiani moderni e contemporanei, Milano 1955, pp. 784-785.
34 ASR, Tesorierato generale poi Ministero delle finanze, b. 442, “Memoria di Antonio Testa…”.
35 ASR, Camerale II, Calcografia, b. 5, fasc. 5, note al progetto di Francesco Saverio
Gonzalez e allo “Stato attuale”.
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tribuita, in modo da giovare all’istituzione con la sua autorevolezza, riconosciuta ormai a livello internazionale. L’architetto rimaneva
formalmente sovraordinato rispetto all’incisore, ma il reale rapporto
di forza era rivelato inequivocabilmente nelle intenzioni di Cristaldi:
«Tutte le altre operazioni e provvedimenti che saranno da prendersi a
garanzia dell’interesse della Reverenda Camera dovranno effettuarsi
dal detto sig. direttore, premessa l’intelligenza e consenso in iscritto
del sunnominato sig. Antonio Testa»36.
L’incisore si mise subito all’opera:
Tutto si fece dal suddetto Antonio Testa colla massima prudenza ed
efficacia, togliendo in primo luogo tutte le stampe e rami osceni, occasione di scandalo al buon costume, e specialmente in un governo
ecclesiastico, e traslatando lo spaccio, mettendolo più in vista e comodo dei forestieri, e con tale pretesto separò stamperia e spaccio di
stampe, prima in confuso, restando i rami in mano degli spacciatori
medesimi37.
La riorganizzazione della Calcografia fu, quindi, parte di un più
ampio progetto di riforma, che comprendeva anche la censura di immagini percepite come sconvenienti. Inizialmente, queste ultime furono escluse dal sistema di produzione, come dimostra anche la loro
scomparsa dal catalogo delle stampe in vendita pubblicato nel 1823
rispetto a quello del 1816. Le matrici incriminate furono poi avviate
alla distruzione con il noto provvedimento di Pio VII del 10 maggio
1823, di solito riferito per errore al suo successore, Leone XII38. L’incarico a Testa rientrava in una moralizzazione ad ampio raggio, che
integrava il controllo delle scelte iconografiche e il contrasto agli abusi dei dipendenti. Agli occhi dei governanti, immagini lascive e ineffi36 ASR, Computisteria generale, div. IV, b. 331, “Istruzioni per il sig. Giuseppe Valadier direttore della Calcografia Camerale”, da riferire a Cristaldi, settembre 1822,
minuta; copia in ASR, Camerale II, Calcografia, b. 5, fasc. 7, con la nota a margine
«Queste istruzioni non ebbero corso».
37 ASR, Tesorierato generale poi Ministero delle finanze, b. 442, “Memoria di Antonio Testa…”.
38 Fiumi Sermattei, Note sulla censura delle immagini cit., p. 36.
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cienza amministrativa erano espressioni del medesimo decadimento
morale: la sfera della cura spirituale delle anime e quella dell’amministrazione temporale, della Chiesa e dello Stato, si combinavano.
Entro la fine del 1822 fu formalizzato un progetto di riforma organico39 che sanciva il trasloco del negozio dalla Stamperia Camerale
a Trevi a un locale affittato in via del Corso n. 138, nell’isolato dei
Trinitari davanti a Palazzo Ruspoli; la redazione dell’inventario patrimoniale, completo del valore delle singole matrici; la custodia del patrimonio presso il Sacro Monte di Pietà, inclusi i torchi, in particolare
le matrici sotto tre chiavi, due alla Calcografia e una alla Tesoreria; il
controllo delle operazioni di stampa; la regolare apertura del negozio
con la registrazione contabile degli introiti e la pubblicazione di un
catalogo di vendita con prezzi fissi, ribassabili per non più del 10%40.
Si può dire che tale riforma rifletteva le proposte avverse a Valadier giunte da più parti, nel corso degli anni. Al contrario, a parte
il trasloco del negozio, sollecitato invero da più parti ma in seguito
messo in discussione, la riforma disposta da Cristaldi nel 1822 non
accolse le generiche istanze avanzate in passato dall’architetto41.
Questa prima riforma si presentava sotto forma di regolamento
39 I principi della riforma furono anticipati nelle “Istruzioni” di Cristaldi a Valadier,
nel settembre del 1822 (ASR, Computisteria generale, div. IV, b. 331), e cioè l’obbligo dell’inventario di matrici e stampe, la custodia sotto tre chiavi, il divieto di
ribasso rispetto ai prezzi di catalogo che sono da intendersi fissi.
40 Rispetto alla prima proposta (ASR, Computisteria generale, div. IV, b. 331, “Li 29
novembre 1822. Articoli principali che si propongono…”) la versione definitiva
del provvedimento fu integrata con una maggiore cura alla registrazione della
consegna delle stampe al negozio e degli introiti dalla vendita, al controllo delle
operazioni di stampa, al rispetto dell’orario di apertura dello spaccio, all’esatta
attribuzione del valore delle matrici (“Regolamento stabile all’oggetto di rendere più attiva la vendita delle stampe appartenenti alla Calcografia Camerale”, in
due copie, minuta ASR, Computisteria generale, div. IV, b. 331, e definitiva ASR,
Camerale II, Calcografia, b. 5, fasc. 7, pubblicata da Ovidi, La Calcografia cit., doc.
VI, pp. 121-124).
41 Vedi supra. Ancora nel 1821 Valadier rispondeva ai rilievi avanzati dalla Tesoreria al bilancio presentato nel 1818 ribadendo l'impossibilità di una gestione
commerciale dell'istituto (ASR, Computisteria generale, div. IV, b. 331, memoria
di G. Valadier, 6 settembre 1821).
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manoscritto, e sarebbe stata perfezionata e pubblicata nel 1826 dallo
stesso Cristaldi42. Con tale ultimo provvedimento si confermavano i
principi del 1822 – cura del patrimonio, controllo della stampa, efficienza contabile e commerciale – che venivano però elaborati nel
dettaglio delle più minute procedure. Il regolamento disciplinava il
funzionamento dell’istituto senza alcun cenno alla committenza delle matrici, un ambito che il tesoriere si riservò in via esclusiva senza
condividerlo con il direttore, al contrario di quanto aveva auspicato
in passato Valadier. Committenza che proprio in questi anni, grazie
all’interessamento di Cristaldi, riceveva uno straordinario impulso,
mentre si sperimentavano nuove modalità di assegnazione degli incarichi, scelta dei soggetti e controllo della qualità dell’esecuzione.
Il ruolo del direttore appariva molto ridotto rispetto a quello del
soprintendente incisore43, accogliendo così le sollecitazioni che erano
giunte da più parti sin dall’inizio del secolo, e ogni singola procedura
era regolamentata minuziosamente per evitare gli abusi44 e migliorare la qualità della produzione45.
Appena l’anno successivo, nel 1827, già si studiava di modificare
42 Regolamento per la Calcografia Camerale, Roma, presso Vincenzo Poggioli, emanato dal tesoriere generale Belisario Cristaldi il 30 aprile 1826 (copia in ASR,
Camerale II, Calcografia, b. 5, fasc. 7, e minuta manoscritta con annotazioni).
43 Regolamento, 1826, artt. 19-20, 30-48.
44 Per evitare l’abuso di tirature clandestine dei rami a vantaggio personale degli
impiegati si confermava il sistema del deposito chiuso con tre chiavi, delle quali
due riservate ora alla Tesoreria e una alla Calcografia, in rapporto inverso rispetto al 1822 (Regolamento, 1826, artt. 4, 5, 11); gli inventari riguardavano l’intero
patrimonio, rami e stampe, ma anche carta, mobili e strumenti d’impressione,
dovevano essere completi del valore e firmati dai consegnatari (artt. 2, 3, 16, 17);
ogni operazione, l’estrazione dei rami, delle stampe e della carta dai depositi, la
stampa e la vendita, doveva essere accuratamente registrata (artt. 6, 9, 11, 25,
26, 28, 29, 31, 32, 36, 37, 46, 47, 48, 55, 57, 61-67, 71 e ss).
45 Una nuova attenzione era riservata alla qualità delle stampe, curata dal soprintendente (Regolamento, 1826, art. 38); la tiratura era commisurata all’andamento delle vendite, non è più fissa a cinquanta esemplari come nel 1822, per una
migliore gestione delle riserve ma probabilmente anche per non esaurire i rami
(artt. 6, 12, 13); si raccomandava di inframezzare le stampe di valore con «carta
sugherina», ossia assorbente (art. 24).
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il regolamento per motivazioni strettamente economiche. Benedetto
Perfetti, commissario della Reverenda Camera, presentò ad Angelo
Galli, computista generale, una proposta che annunciava, significativamente, come «lo scopo principale deve esser quello di spendere
il meno possibile». Oltre a un restringimento delle facoltà di accesso alle matrici e a una limitazione delle tirature, da effettuare solo
in caso di mancanza di assortimento, si proponeva di sopprimere il
negozio, affidandosi per lo spaccio a «due, o tre principali negozianti
di questo genere di Roma» e accordando loro una percentuale sulle
vendite, in modo da risparmiare il costo della locazione e ridurre l’organico46. Ulteriore ragione per la soppressione del negozio era riconosciuta anche nel negativo impatto sul mercato privato del sistema
degli sconti nelle vendite al minuto e ai negozianti esteri, come stabilito nel regolamento del 182647. Tale proposta ci documenta come la
situazione fosse tutt’altro che stabile e che si avanzasse riprendendo
suggerimenti del recente passato per non porsi in concorrenza con i
negozianti privati, anzi favorirli48.
Conclusioni
Al termine di almeno un trentennio di critiche, contestazioni e
difese, istanze di riforma e sperimentazioni, la Calcografia Camerale
raggiunse, negli anni del pontificato della Genga, una gestione ordinata, almeno nelle intenzioni del legislatore.
L’attenta regolamentazione delle procedure amministrative e
contabili, quale emerge nel provvedimento del 1826, mirava a contrastare quegli «abusi» che avevano indignato l’opinione pubblica sin
dall’inizio del secolo, in particolare l’incompetenza professionale dei
dipendenti, accusati tra l’altro di stampare liberamente dalle preziose
46 ASR, Camerale II, Calcografia, b. 5, fasc. 7, “Progetto di un regolamento economico per la Calcografia Camerale”, 22 febbraio 1827.
47 ASR, Computisteria generale, div. III, b. 100, fasc. 32, relazione allegata alla minuta di comunicazione al marchese Urbano del Drago Biscia Gentili, nuovo amministratore della Calcografia, Stamperia e Cartiera Camerale, 31 gennaio 1829.
48 Si veda il progetto di Francesco de Sanctis, ASR, Camerale II, Calcografia, b. 5,
fasc. 5, supra.
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matrici della collezione camerale per il proprio personale guadagno.
Valadier non fu in grado, né forse gli interessava rinnovare la gestione della Calcografia: i suoi progetti, ben poco innovativi, rimasero
inascoltati e l’architetto mantenne la carica di direttore grazie alla
sua fama professionale e accademica, pur essendo esautorato da Cristaldi, sul piano decisionale, e da Testa, su quello operativo.
Il sistema costruito nel 1826 per il controllo dei depositi, della
stampa e della vendita, nel tentativo di arginare la corruzione dei dipendenti, era così articolato e complesso da far dubitare della reale
possibilità della sua applicazione. In tal senso, esso ricorda quello
elaborato, negli stessi anni, per l’amministrazione del patrimonio dei
Sacri Palazzi Apostolici49. In ambedue i casi il puntuale intervento
leonino richiama, sviluppa e perfeziona un precedente e più generico
provvedimento di Pio VII, confermando un’evidente linea di continuità tra i due pontificati. Riconosciamo nei provvedimenti emanati
sotto Leone XII quella «rigida, minuziosa precettistica» che Raffaele
Colapietra individua come caratteristica del pontificato leonino per
l’ambito morale50 e che avrebbe procurato il disappunto dei suoi sudditi gettando le basi di una duratura incomprensione51. Tale precettismo, che informava anche l’ambito del patrimonio e della promozione
culturale, va considerato come nota comune dell’intero decennio, un
tentativo di risposta alle pressanti esigenze di miglioramento organizzativo reclamato dalle tante, accorate proteste per la Calcografia.
49 Rimando a I. Fiumi Sermattei, Da un conclave all’altro. La cura del patrimonio dei
Sacri Palazzi Apostolici tra i pontificati di Pio VII e Leone XII, in Il conclave del 1823 e
l’elezione di Leone XII, a cura di I. Fiumi Sermattei, R. Regoli, Ancona 2016, pp.
155-190.
50 R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich. Il pontificato di Leone XII,
Brescia 1963, p. 48, riferito al suo governo da vicario, 1820-1823, e a quello del
cardinale Placido Zurla, a sua volta vicario di Roma sotto il suo pontificato, p. 237.
51 R. Colapietra, La formazione diplomatica di Leone XII, Roma 1966, p. 196; Ph.
Boutry, Leone XII, in Dizionario Storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, Milano 1996, vol. II, pp. 858-862, in particolare p. 861; Idem, Une théologie de la
visibilité. Le projet zelante de resacralisation de Rome et son échec (1823-1829),
Cérémonial et rituel à Rome, a cura di M.A. Visceglia, C. Brice, Roma 1997, pp.
317-367, in particolare pp. 362 e ss.
– 279 –
La riforma di questo istituto, avviata da Pio VII e completata da
Leone XII, rientra allora nel più generale clima di rinnovamento seguito alla caduta dell’Antico Regime. Tale evento fu percepito, dai più
avvertiti tra i contemporanei, quale straordinaria occasione per migliorare le strutture dello Stato Pontificio: come scrisse il segretario
di Stato Consalvi al nunzio della Genga, il 6 dicembre del 1800, «finalmente una occasione simile di riedificare, or che tutto era distrutto, non ritorna più»52. Diffidando delle programmatiche, astratte
dichiarazioni di principio dell’Antico Regime e dell’età napoleonica,
negli anni della Restaurazione pontificia si provò a verificare nella
prassi quotidiana il funzionamento delle istituzioni, si sperimentarono concrete soluzioni di gestione perché un’azione pubblica efficace
ed efficiente si integrasse armoniosamente con l’iniziativa privata. E
questo, in realtà, si configura già come un programma d’intervento,
pur nella sobrietà, ai limiti della reticenza, delle forme di espressione.
Nel corso del terzo decennio del secolo si provò a costruire un
sistema di funzionamento adeguato a un’istituzione che intorno al
1828, grazie al patrocinio del pontefice regnante, Leone XII, e allo
«zelo e amore costante» del tesoriere, Cristaldi, poteva essere a ragione orgogliosamente riconosciuta come «il maggior deposito europeo
in questo genere»53, vantando un primato attuale ancora oggi54.
52 ASV, Carte Pasolini Zanelli, 7, fogli non numerati. Riportato, con piccole varianti, da Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich cit., p. 18; Idem, Note
sulla politica del cardinale Consalvi, “Rassegna di politica e storia”, 104 (1963), pp.
21-23; Idem, La formazione diplomatica cit., p. 113.
53 Biblioteca Apostolica Vaticana, Manoscritti Ferraioli, 935, fogli 160-163. Il testo, introduttivo ad una nuova edizione del catalogo delle stampe in vendita,
è scritto sul retro di una busta indirizzata a Melchiorre Missirini segretario
dell’Accademia di San Luca, e si trova in una busta contenente minute di suoi
scritti. Se lo scritto è riferibile a Missirini, la sua datazione dovrebbe ricadere tra
il 1826, data di pubblicazione dell’ultimo catalogo delle stampe in vendita, e il
1828, quando furono acquisite le raccolte di matrici ricordate nel testo, o, meglio, prima dell’estate del 1828, quando scoppiò lo scandalo del coinvolgimento
dell’erudito nella pubblicazione veneziana di alcune stampe raffiguranti opere di
Canova, cui seguì il suo allontanamento da Roma e il trasferimento a Firenze.
54 Il primato è oggi confermato a livello mondiale, con le 23.400 matrici conservate
dall’Istituto Centrale per la Grafica, che ha ereditato le collezioni della Calco-
– 280 –
Nei decenni successivi, i criteri di intervento adottati da Cristaldi furono messi in discussione55: furono percorse strade alternative per il
miglioramento della Calcografia Camerale, alla ricerca di quel difficile
equilibrio tra qualità, redditività e sostegno al mercato privato che
proprio tra il pontificato di Pio VII e quello di Leone XII era stato
riconosciuto quale obiettivo prioritario del rinnovamento.
ABSTRACT
At the beginning of the 19th century the papal cultural policy made an effort
to protect historic heritage and to promote art market. A relevant scope of
this government action was the Calcografia Camerale, the papal collection
of engraved copperplates, to print the images of the city and its ancient
monuments as required for the Grand Tour. During the first and the second decades of the century the Giuseppe Valadier’s management was often,
strongly disapproved, and on 1822 the institution was finally reformed, in
order to improve profitability, print’s quality and censorship. On 1826, under the pontificate of Leo XII, this first reform was enhanced, exactly detailing the structure of the organization, not competing but rather supporting
the local art market and engravers.
Keywords: pope Leo XII; Calcografia Camerale; engravings; Giuseppe Valadier.
grafia Camerale, divenuta poi Regia e Nazionale (G. Mariani, La collezione delle
matrici, in Istituto nazionale per la grafica cit., pp. 46-52, in particolare p. 46).
55 Si vedano, a titolo esemplificativo, alcuni documenti conservati in ASR, Tesorierato generale, b. 443: “Riflessioni del sig. Minardi sullo stabilimento della Calcografia Camerale”, s.d., post 1834; “Provvedimenti che potranno prendersi per
mettersi in attività la Calcografia Camerale”, s.f. s.d. e la risposta di Vincenzo
Camuccini, 16 aprile 1834, in difesa di Cristaldi. A tale proposito rimando anche
al testo di G. De Marchi, Paolo Mercuri tra Roma e Parigi: testimonianze d’archivio, in corso di stampa nella collana delle monografie di “Horti Hesperidum”, 8.
Ringrazio Giulia De Marchi per avermi permesso di consultare il suo testo e per
l’utile confronto sui temi di questo articolo.
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