L’iconografia mariana della Cappella Mazzatosta:
un itinerario teologico in forma di affresco
Barbara Aniello
L’
eccezionale iter visivo a cui Lorenzo da Viterbo sottopone il
visitatore che per la prima volta
entra nella Cappella Mazzatosta contraddice ogni sequenzialità e ogni cronologia.
Come sottolineato nel saggio dedicato all’iconografia musicale, pubblicato in questa
sede1, se la scena dell’Assunzione della Vergine (tav. IX) rappresenta il culmine visivo,
teologico ed emotivo delle storie mariane,
queste ultime non si svolgono secondo la
logica narrativa, assodata dal Medioevo
in poi, ma obbediscono ad un ductus che,
almeno in apparenza, pare discontinuo. Lo
sguardo dell’osservatore rimbalza, per così
dire, da una parte all’altra della Cappella,
costretto a ricostruire frammenti narrativi
contesi tra parete destra e sinistra. È solo
mentalmente che egli ricollega la Presentazione al Tempio della Vergine all’Annunciazione (tavv. IV-VI), lo Sposalizio alla Natività
(tavv. V-VII), poste una di fronte all’altra,
per poi approdare all’Assunzione (tav. IX),
scalando, attraverso la nascosta cintola che
collega terra e cielo2, le vette della Valle di
Giosafat.
Ripercorrere iconograficamente le tappe
delle storie di Maria vuol dire inevitabilmente coglierne l’eccezionalità pur nell’apparente quotidianità. Qui persino la successione, dovuta alla legge di causa-effetto,
è scardinata. La straordinaria percezione
visiva delle pareti della Cappella trova una
plausibile spiegazione solo nella teologia
ad essa sottesa, come si evincerà, dopo una
disamina delle singole scene, dalle conclusioni di questo saggio.
Presentazione di Maria bambina al tempio
Il tema della Vergine che all’età di tre anni
ascende da sola i gradini del tempio, modellato sui Vangeli apocrifi, in particolare
sul Protovangelo di Giacomo e sul Vangelo
dello Pseudo-Matteo3, si propaga per tutto
il Medioevo grazie alla Leggenda Aurea4.
Simbolo della vocazione sacerdotale, la
treenne Maria che sale i canonici quindici
gradini del tempio (tav. IV, fig. 167), corrispondenti ai quindici Salmi graduali della
cosiddetta cantica graduum, diviene spesso
emblema di offerta gradita a Dio, tanto che
alcuni pittori, come ad esempio Giotto a
Padova, utilizzano questo momento come
contropartita della Cacciata di Gioacchino dal
tempio (figg. 176-177).
Negli Apocrifi, infatti, si sottolinea il racconto di questa ascesa al tempio come un
evento extra-ordinario, essendo la Bambina
salita di corsa, senza l’aiuto dei genitori e
senza voltarsi indietro, come invece farebbe
un qualsiasi bambino di quell’età. L’offerta
libera e autonoma di sé, nell’ascendere i sacri gradini, è paragonata a quella del sacerdote che sale all’altare, offrendo sé stesso
293
Fig. 178
Lorenzo da Viterbo e
aiuti, Fiera in atto di scappare, dettaglio dalla Presentazione al Tempio,
Viterbo, Chiesa di Santa
Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete laterale sinistra.
Patrimonio del Fondo
Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione
Centrale per l’Amministrazione del Fondo
Edifici di Culto del Ministero dell’Interno.
per elevare, a sua volta, il Santo Sacrificio.
Come ha ben sottolineato Strinati5, è il tempio il vero e proprio punto di fuga, geometrico e metaforico dell’intera composizione,
essendo non solo il punto di congiunzione
delle linee prospettiche, ma anche l’approdo della rapida corsa della fanciulla e futura Madre dell’unico vero sacerdote.
Nell’arte bizantina, al corteo di vergini
portatrici di fiaccole, schierate per illuminare la strada alla bambina, facendole vincere la tentazione di guardarsi indietro6,
si aggiunge talvolta la truppa dei sessanta
prodi della visione di Salomone, armati di
lance, secondo quanto trasmesso dall’Omelia di Giacomo di Sarug7. È il caso della
scena effigiata nella parete sinistra della
Cappella Mazzatosta (fig. 112), nella quale
Maria bambina è circondata da un’aura
luminosa e rayonnante (fig. 167), del tutto
simile a quella affrescata dirimpetto che
294
cinge Gesù neonato, nell’Adorazione del
Bambino (fig. 169). Mentre Maria si appresta a salire il primo dei diciotto gradini
che soppiantano i canonici quindici, una
folla vestita all’orientale e all’occidentale
guarda verso di lei, a sottolineare il clima ecumenico della rappresentazione8.
L’impianto iconografico, tutto approntato
alla solennità, sottolinea il carattere sacro
dell’evento, che trova la sua cassa di risonanza nel sottostante Sposalizio, nel quale
l’asse centrale del sacerdote officiante corrisponde verticalmente a quello del sacerdote accogliente, raffigurato nel tempio rotondo in cima (tav. III). Allo stesso modo,
la Vergine bambina che sta per consacrarsi
è perpendicolarmente associata alla futura
Sposa destinata a Giuseppe, ritratta nel
riquadro sottostante (tav. V).
L’enfasi è sull’atto della donazione totale di
sé che, nel caso specifico di Maria, coincide
con l’unicità del suo servizio a Dio, sia nella
vita consacrata che in quella matrimoniale.
Solo lei, infatti, unisce gli opposti: è vergine e madre, consacrata e sposa, figlia del
suo figlio. L’animale che fugge di fronte a
tale atto rappresenterebbe il peccato che si
dilegua di fronte alla Vergine sine macula
(fig. 178).
Se è il Protovangelo Giacomo a rivelare la
vita segreta di Maria nel Tempio: «Tu sei
stata allevata nel Santo dei Santi; hai ricevuto il cibo dalla mano di un angelo, hai
udito il canto dei Salmi e hai danzato davanti a lui» (Prot. Giac. 15,3), Isaia e Luca,
effigiati nella vela corrispondente alla lunetta, rimandano ad altri temi (fig. 54).
Isaia profetizza la venuta del Messia per
mezzo della Vergine Madre: «Pertanto il
Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la
vergine concepirà e partorirà un figlio, che
chiamerà Emmanuele» (Is 7,14). Per questo
Fig. 179
Lorenzo da Viterbo e
aiuti,
Annunciazione,
particolare della Conturbatio della Vergine,
1469 ca. Viterbo, Chiesa di Santa Maria della
Verità, Cappella Mazzatosta, parete laterale
destra.
Patrimonio del Fondo
Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione
Centrale per l’Amministrazione del Fondo
Edifici di Culto del Ministero dell’Interno.
295
Fig. 180
Piero della Francesca,
L’Annunciazione, 14521458, Arezzo, Basilica di
San Francesco.
Fig. 181
Lorenzo Lotto, Annunciazione, 1534 ca., Recanati, Museo Civico Villa
Colloredo Mels.
Maria e Gesù, ritratti su opposte pareti,
raffiguranti la Presentazione e la Natività
(tavv. IV-VI), sono circondati, entrambi
bambini, da una medesima aura raggiante:
il segno luminoso-visivo rinvia perfettamente al segno profetico-verbale.
Luca (fig. 54), invece, nomina due volte il
tempio: nel racconto della Presentazione
(Lc 2,21-39) e in quello del Ritrovamento
di Gesù (Lc 2,41-52). Anche se Luca non
accenna all’episodio della Presentazione della
Vergine, presente solo nei Vangeli Apocrifi,
è l’evangelista che, più degli altri, si riferisce al tempio. Questo da locus di olocausto
dell’Antico Testamento, diviene locus di offerta nel Nuovo. Si passa dall’offerta di altro
da sé all’offerta di sé, al sangue dell’animale
si sostituisce il sangue di Cristo, al sacrificio
296
dell’uomo per Dio subentra il sacrificio di
Dio che dona sé stesso per l’uomo.
Per questo l’ascesa di Maria Bambina al
tempio corrisponde perfettamente alla discesa del Verbo incarnato che diviene panis
angelicus per la Salvezza dell’Umanità. Per
questo, a mio avviso, le due scene della Presentazione e della Natività (tavv. IV-VI) sono
effigiate su pareti opposte, specchiandosi
in una teologica corrispondenza.
Annunciazione
L’impianto della scena superiore nella
parete destra, dedicata all’Annunciazione,
corrisponde al momento della conturbatio
(fig. 179). Una coreografia di gesti e pose
Figg. 182 a-b
Lorenzo da Viterbo
e aiuti, Sposalizio della Vergine e Natività o
Adorazione del Bambino,
dettagli, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della
Verità, Cappella Mazzatosta:
a: San Giuseppe, particolare dallo Sposalizio
della Vergine (parete
laterale sinistra);
b: San Giuseppe, particolare dalla Natività o
Adorazione del Bambino
(parete laterale destra).
Patrimonio del Fondo
Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione
Centrale per l’Amministrazione del Fondo
Edifici di Culto del Ministero dell’Interno.
scandisce i cinque momenti dell’Annunciazione:
Meritatio: «avvenga di me quello che hai
detto» (Lc 1,38).
Conturbatio: «a queste parole ella rimase
turbata» (Lc 1,29);
Ce lo ricorda Baxandall9 che, citando le
prediche di Roberto Caracciolo da Lecce,
raccolte nello Speculum Salvationis, fornisce
la fonte per decodificare quella sorta di “retorica visiva” che, dal Quattrocento in poi,
traduce in immagine il racconto di Luca (Lc
1,26-38).
Le mani della Madonna, ritratta in piedi a
destra della bifora, sono poste dinnanzi a
sé in segno di turbamento. Attraverso questo stato d’animo, ella esprime la virtù del
Cogitatio: «si domandava che senso avesse
un tale saluto» (Lc 1,29);
Interrogatio: «Allora Maria disse all’angelo:
“Come è possibile? Non conosco uomo”»
(Lc 1,34);
Humiliatio: «Allora Maria disse: «Eccomi,
sono la serva del Signore» (Lc 1,38);
297
Fig. 183
Giotto di Bondone, Natività, 1303-1305, Padova, Cappella degli Scrovegni.
Fig. 184
Scuola francese, Natività, frammento dell’antico
jubé (tribuna su archi
riservata al coro), metà
del XIII secolo, Chartres, Cattedrale.
timore di Dio. Sorpresa mentre leggeva ―
come dimostra la postura e la prossimità al
leggio ― Maria è turbata, ma questo stato
d’animo nasce dalla sua umiltà. Infatti,
secondo Nicolò de Lira, citato da Fra’ Roberto, non fu per incredulità, né per aver
visto un angelo che la SS. Vergine si turbò.
Ella era abituata a vederne e pertanto non
si meravigliò dell’apparizione, ma si stupì
― a causa della sua umiltà ― per il tipo di
saluto: «l’angelo diceva cose tanto grandi e
stupende di lei che la sua umiltà era attonita e stupefatta10».
Il saluto angelico, «Gioisci, o piena di grazia!», traduzione di «Kaire Kekaritoméne»,
risuona del tutto inedito in quel giorno a
Nazareth. Mai nessuna creatura umana era
stata salutata così. Quel “piena” è da rendere con un “traboccante” di Grazia. Il participio perfetto passivo κεχαριτωμένη era stato finora riservato solo a Dio, nella persona
dello Spirito Santo. Maria, dunque è turbata per il tipo di saluto rivoltole dall’angelo,
che le riserva il più grande degli onori, più
che per l’angelo stesso.
Davanti a lei, sul leggio, è appoggiato il
libro delle orazioni, forse aperto proprio
298
sul passo della profezia di Isaia o magari
su uno dei Salmi di David la cui presenza,
ritratta in alto nella vela della vòlta corrispondente, (fig. 153) rimanda al passo di
Lc 1,27: «Sei mesi dopo l’angelo Gabriele fu
mandato da Dio in una città della Galilea
detta Nazareth, ad una vergine sposata ad
un uomo della casa di David».
La presenza dell’evangelista Matteo, invece, è da riconnettersi all’anomalo racconto
genealogico con cui principia il suo Evangelo e che spezza la monotona sequenza padre-figlio, citando a sorpresa dopo
Giuseppe, padre ma non genitore, Maria,
madre e genitrice: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato
Gesù chiamato il Cristo» (Mt 1,16).
Ritratto di profilo, l’arcangelo Gabriele mostra una silhouette inginocchiata quasi priva
di tridimensionalità, le sue ali colorate si
confondono con la marezzatura dei marmi
dello sfondo, porta un ramo con tre gigli,
emblema della verginità di Maria, ante partum, in partu e post partum, come allude del
resto anche lo stesso hortus conclusus appena visibile al di là del tramezzo che circoscrive la scena (fig. 23).
Fig. 185
Giotto di Bondone e
bottega, Natività, dalle
Storie dell’Infanzia di
Cristo, 1308-1311 ca.,
Assisi, Basilica Inferiore, transetto destro.
Fig. 186
Taddeo Gaddi, Natività
e Adorazione dei Pastori, 1328-1338, Firenze,
Basilica di Santa Croce,
Cappella Baroncelli, parete est.
Dio Padre a mezzo busto è ritratto in alto a
sinistra, come nella lezione di Francesco del
Cossa e Piero ad Arezzo (figg. 164, 180 )11.
Da quest’ultimo, forse, Lorenzo mutua anche l’assetto strutturale e l’arcangelo ritratto di profilo, mentre nella Madonna, con la
sua enfasi gesticolante, sembra echeggiare
la futura Annunciazione recanatese del Lotto (fig. 181).
La bifora, che in realtà è una trifora, rappresenta, come in tanti esempi dell’arte
umanistico-rinascimentale, l’irruzione della Trinità nella Storia. È la trasposizione
architettonico-visiva del passo dell’Annunciazione narrato da Luca, che nomina, una
dopo l’altra, le tre Persone divine:
Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te
stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque
santo e chiamato Figlio di Dio (Lc 1,35).
Del resto, attraverso la metafora del vetro,
S. Bernardo spiega la concezione immacolata di Gesù:
Come un raggio penetra puro in un vetro, ne esce intatto, ma prende il colore
del vetro… così il Figlio di Dio, entrò
nel grembo immacolato della Vergine,
ne uscì puro, ma assunse l’aspetto della
Vergine, ossia la natura umana, e prese
le sembianze dell’umana specie e se ne
rivestì12.
Lo stesso concetto è espresso in una sequenza medievale, dedicata alla Beata Vergine
Maria, che recita:
Come un vetro
viene attraversato
da un raggio di sole
senza che ciò produca
alcuna lesione al vetro,
Così, anzi più delicatamente,
il Figlio di Dio, che è Dio,
nasce dalla sua sposa,
madre illibata13.
Sposalizio
Le fonti letterarie a cui i pittori attingono
per lo Sposalizio sono desunte dai Vangeli
apocrifi e dalla Leggenda Aurea. Lorenzo da
Viterbo condensa le tre canoniche scene del
Miracolo della verga fiorita, del Matrimonio e
del Corteo nuziale in un unico racconto che si
svolge paratatticamente intorno ad un fulcro centrale (tav. V), occupato dalla figura
del gran sacerdote. Essendo questa l’unica
perfettamente frontale, acquista un’enfasi e
una solennità inusuale, accentuando il ge-
299
Fig. 187
Gentile da Fabriano,
Natività, predella della
Pala della Adorazione
dei Magi, 1423, Firenze,
Galleria degli Uffizi.
sto di congiunzione delle mani degli sposi, ritratti di tre quarti (Maria) e di profilo
(Giuseppe) nell’atto del dono dell’anello14.
Il suono delle buccine (fig. 147), poste sullo
sfondo, da cui pendono gli stendardi, suggella maestosamente il momento, siglando
tanto la fine della prova dei pretendenti, con
l’annuncio del prescelto, quanto l’approdo
del corteo nuziale, dopo la peregrinazione
per le vie della città, al rito sponsale.
In corrispondenza frontale con la figura
della parete di fronte della Natività o Adorazione del Bambino (figg. 182 a-b), Giuseppe
appare dinamico, incidente, mobile: sarà
lui a proteggere, guidare, difendere la Sacra
Famiglia dagli attacchi di Erode. Perfetto
esecutore della volontà di Dio, mostra con
la postura dei piedi che avanzano tutta la
sua prontezza e disponibilità nell’eseguirne i piani, in silenzio ed obbedienza. Maria è più ieratica, solenne, statica: nel suo
atteggiamento si intravedono una dignitas
e una modestias capaci di coniugare austerità e umiltà. Questo episodio appare come
conseguenza naturale del fiat pronunciato
al momento dell’Annuncio, raffigurato sulla
parete di fronte. Il “drapeselo de le orationi”15
(fig. 129) non a caso è accostato al ventre,
300
come a tradurre visivamente l’invisibile
realtà del Verbum caro factum est. L’enfasi è
sulla Parola: addossato al seno di Maria, il
libro è emblema dell’avvenuta Incarnazione,
chiara allusione alla potenza della Parola di
Dio, proferita dall’angelo e preannunciata
dai profeti. Il libro è metafora del Verbo,
la seconda persona della Trinità fatta carne. Per questo il libro si accosta al ventre
di Maria, indicando la presenza di Gesù, o
meglio Gesù stesso.
Natività o Adorazione del Bambino
La Natività viterbese (tav. VI) si presenta
tripartita: Annuncio ai poveri pastori, Adorazione del Bambino, Adorazione da parte di
nobili personaggi.
Sotto l’egida di Matteo (fig. 90), raffigurato sulla vela della vòlta corrispondente, la
narrazione per eloquium del suo Vangelo si
rispecchia in quella per imaginem della Natività dipinta da Lorenzo:
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa
sposa di Giuseppe, prima che andassero
Fig. 188
a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. (Mt 1,18)
Il soggetto iconografico della Natività può
essere raffigurato come profezia, come evento mistico o come evento storico. Al primo
caso appartengono le immagini che alludono al segno preannunciato da Isaia (Is
7,14); al secondo le opere che prevedono la
presenza di Santi, Patriarchi e Martiri non
coevi all’evento, sottolineandone la valenza universale; al terzo tutte quelle in cui gli
artisti indicano dettagliatamente luogo e
circostanze, per corroborare la legittimità
dei fatti.
Ambientata solitamente di notte ed in pieno inverno, la scena della Natività si svolge
in una grotta o stalla, esposta ai venti freddi della stagione, in accordo con le parole
dell’evangelista:
Diede alla luce il suo figlio primogenito,
lo avvolse in fasce e lo depose in una
mangiatoia, perché non c’era posto per
loro nell’albergo (Lc 2,7).
Luca non parla di stalla o grotta. Il suo
proposito, come quello degli altri evangelisti, non è narrativo, ma dogmatico. Nelle
icone dei primi artisti italiani che imitano
esempi bizantini16 si segue l’iconografia
della grotta scavata nella roccia. La Vergine Madre è adagiata e accanto a lei si trova
il neonato avvolto in fasce, mentre una
serva lava o prepara il bagno per il Bambino. L’icona rappresenta i momenti salienti
che hanno accompagnato l’avvenimento: i
magi, gli angeli, i pastori, Giuseppe e le levatrici. Ciò che risulta più significativo è la
grotta nera posta al centro, simbolo delle
tenebre, in cui la luce del neonato risplende. Ecco perché le fasce che avvolgono il
Beato Angelico e aiuti,
Adorazione del Bambino
o Natività, 1440-1441, Firenze, Convento di San
Marco.
neonato sono in realtà bende mortuarie,
perché alludono alla morte e resurrezione
del Cristo. Perciò la greppia diventa una
sorta di altare al quale sono invitati a cibarsi ebrei e gentili, rispettivamente rappresentati dall’asino e dal bue. Gli animali
in alcune scene si inginocchiano, riconoscendo il Signore (Is 43,20), in altre stanno
nella mangiatoia con un’espressione stupita. Il riconoscimento muto del Salvatore
del mondo può essere interpretato come
simbolo della sua missione di amore e di
misericordia, così universale da non escludere neanche le creature inferiori.
L’introduzione di questi animali si basa
su una tradizione antica, trasmessa dalla
Vulgata di S. Girolamo, secondo la quale
Gesù bambino si sdraiò tra il bue e l’asino,
e anche su due testi profetici di Isaia e Abacuc: «Il bue conosce il suo il proprietario e
l’asino la greppia del suo padrone» (Is 1,3);
«Ti farai conoscere in mezzo a due animali»
(Ab 3,2). Così, dal VI secolo al XVI secolo,
301
Fig. 189
Lorenzo da Viterbo e
aiuti, Natività o Adorazione del Bambino, dettaglio dell’edera rampicante su uno dei lati
della capanna, Viterbo,
Chiesa di Santa Maria
della Verità, Cappella
Mazzatosta, parete laterale destra.
Patrimonio del Fondo
Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione
Centrale per l’Amministrazione del Fondo
Edifici di Culto del Ministero dell’Interno.
302
Figg. 190 a-b
Lorenzo da Viterbo
e aiuti, Sposalizio della Vergine e Natività o
Adorazione del Bambino,
dettagli, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della
Verità, Cappella Mazzatosta:
a: San Giuseppe e la Vergine Maria nellp scambio
degli anelli, particolare
dallo Sposalizio della
Vergine (parete laterale
sinistra);
b: Gesù Bambino giacente,
particolare dalla Natività o Adorazione del
Bambino (parete laterale destra).
non esiste rappresentazione della Natività
senza questi due animali.
Nel caso di Viterbo, non poche anomalie
si discostano dall’iconografia tradizionale.
Innanzi tutto a livello temporale non ci
troviamo nel cuore della notte, ma in piena
luce diurna. Lorenzo, inoltre, sulla scia di
Duccio17, indeciso tra stalla e grotta, le ritrae
entrambe, rifacendosi allo Pseudo-Matteo,
in cui si racconta che il Santo Bambino,
partorito in una grotta, vi resta tre giorni,
per poi essere deposto dalla madre in una
stalla, dove rimane tre altrettanto profetici
giorni:
Tre giorni dopo la nascita del Signore
nostro Gesù Cristo, la beatissima Maria
uscì dalla grotta e, entrata in una stalla,
depose il fanciullo in una mangiatoia, e il
bue e l’asino l’adorarono (Pseudo-Matteo
13,14).
A Viterbo, la raffigurazione della grotta appare simile ad un rudere, con chiaro intento
simbolico: il vecchio mondo, cadente e diroccato, crolla per lasciare il posto al nuo-
vo, rappresentato da Cristo, il rinnovatore
per eccellenza:
Patrimonio del Fondo
Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione
Centrale per l’Amministrazione del Fondo
Edifici di Culto del Ministero dell’Interno.
E Colui che sedeva sul trono disse:
Ecco, io faccio nuove tutte le cose
(Ap 21,5).
Un’altra anomalia riguarda la postura della Madonna. A Viterbo, come spesso accade tra il XIV e XV secolo, al tipo tradizionale di Natività con la Vergine sdraiata su
un letto o giaciglio, si sostituisce il nuovo
tipo con la Vergine inginocchiata, in atto
di adorazione del Bambino. Per Panovsky
questo mutamento è particolarmente significativo:
Dal punto di vista compositivo significa
la sostituzione di uno schema triangolare
ad uno rettangolare; dal punto di vista
iconografico, indica l’introduzione di un
nuovo tema che letterariamente troverà
la sua formulazione in autori come lo
Pseudo-Bonaventura e santa Brigida. Ma
nello stesso tempo l’innovazione rivela
un nuovo atteggiamento emotivo proprio delle fasi tarde del Medioevo18.
303
Così narra S. Brigida in una delle descrizioni delle sue visioni:
questo combacia anche con la profezia di
Isaia:
Quando ebbe preparato tutto con la massima accuratezza, si mise in ginocchio,
con le spalle alla mangiatoia e il volto
rivolto verso il cielo d’oriente. Così pregò. Rimase così inebriata in un’estasi profonda. Poi dal suo grembo vidi muoversi
qualcosa, era Lui! Avvolto di immenso
e ineffabile splendore divino Egli venne
al mondo. Figlio di quella santa Vergine
che lo aveva partorito, luce più splendente del sole. Il lume posto dal vecchio non
dava luce alcuna perché sopraffatto dalla
luce magnifica del glorioso Bambino. […]
Io non compresi come quel parto potesse essere così improvviso. Egli giaceva a
terra immacolato vicino alla spendente
placenta. Frattanto udii chiaramente alto
il canto melodioso di schiere angeliche.
[…] Congiunte le mani la Vergine disse
al Bambino: “Sii benvenuto, Dio mio e
Figlio mio!”. Frattanto vidi che il ventre
della santa Donna si era ritirato e potevo
vedere il suo corpo in tutta la bellezza. Il
Bambino gemeva e tremava al contatto
con il suolo freddo della grotta. La Madre, lo accolse tra le sue braccia e se lo
strinse al petto, lo tenne così e lo riscaldò
con tanta soave tenerezza materna19.
Prima di provare i dolori, ha partorito;
prima che le venissero i dolori,
ha dato alla luce un maschio (Is 66,7)
A partire dal XIV secolo gli artisti tralasciano la raffigurazione della Madonna sdraiata. I più grandi teologi, come ad esempio
il “dottore mariano”, S. Bernardo, insistono
sul fatto che la nascita del Bambino fu pura
e miracolosa, e ritengono inappropriato
ritrarre Maria reclinata sul giaciglio, sfinita
dai dolori del parto. La sua fu una gravidanza esente dalle conseguenze del peccato di Eva, senza peso, senza dolore, senza
corruzione, come recita la tradizione. Tutto
304
Scorrendo i mutamenti iconografici attraverso i secoli, notiamo questo progressivo
alzarsi della Madonna, che da sdraiata nel
Trecento (si vedano la Natività padovana di
Giotto e quella di Chartres, figg. 183-184), è
ritratta progressivamente seduta (Giotto ad
Assisi, Taddeo Gaddi a Firenze, figg. 185186), per poi apparire, infine, in ginocchio
nel Quattrocento (Gentile da Fabriano, Beato Angelico, figg. 187-188).
Un’ulteriore peculiarità fa propendere per
una fonte apocrifa soggiacente all’iconografia lorenziana: la presenza delle due
levatrici. In Gentile da Fabriano le due figure femminili sono da identificarsi in Maria Salome e Eva che, significativamente,
si volta dall’altra parte, a sottolineare che
questo figlio non fu partorito nel dolore e
nel peccato originale20. La luce si concentra
sul Bambino che giace a terra, emanando i
raggi sulla Madonna, raccolta in preghiera
nell’atteggiamento adorante e su Giuseppe
che dorme, appoggiato al ramo secco, emblema dell’albero dell’Eden perduto e in
Gesù ritrovato. Un secolo dopo, Correggio
inserirà, oltre ai pastori, anche la levatrice
incredula.
La leggenda, a cui attinge anche Lorenzo da
Viterbo, è raccontata nello Pseudo-Matteo:
Era infatti giunta la nascita del Signore,
e Giuseppe era andato alla ricerca di
ostetriche. Trovatele, ritornò alla grotta
e trovò Maria con il bambino che aveva
generato. Giuseppe disse alla beata Maria: «Ti ho condotto le ostetriche Zelomi e
Salome, rimaste davanti all’ingresso della grotta non osando entrare qui a motivo
del grande splendore». A queste parole
la beata Maria sorrise. Giuseppe le disse:
«Non sorridere, ma sii prudente, lasciati
visitare affinché vedano se, per caso, tu
abbia bisogno di qualche cura». Allora
ordinò loro di entrare. Entrò Zelomi;
Salome non entrò. Zelomi disse a Maria:
«Permettimi di toccarti». Dopo che lei
si lasciò esaminare, l’ostetrica esclamò
a gran voce dicendo: «Signore, Signore
grande, abbi pietà. Mai si è udito né mai
si è sospettato che le mammelle possano
essere piene di latte perché è nato un maschio, e la madre sia rimasta vergine. Sul
neonato non vi à alcuna macchia di sangue e la partoriente non ha sentito dolore
alcuno. Ha concepito vergine, vergine ha
generato e vergine è rimasta».
All’udire questa voce, Salome disse: «Permetti che ti tocchi e sperimenti se è vero
quanto disse Zelomi». Dopo che la beata
Maria concesse di lasciarsi toccare, Salome
mise la sua mano. Ma quando ritrasse la
mano che aveva toccato, la mano inaridì
e per il grande dolore incominciò a piangere e ad angustiarsi disperatamente
gridando: «Signore Dio, tu sai che io ti ho
temuto sempre, e ho curato i poveri senza
ricompensa, non ho mai preso nulla dalle
vedove e dall’orfano, e il bisognoso non
l’ho mai lasciato andare via da me a mani
vuote. Ma ora eccomi diventata miserabile
a motivo della mia incredulità, perché volli, senza motivo, provare la tua vergine».
Mentre così parlava apparve a fianco di
lei un giovane di grande splendore, e le
disse: «Avvicinati al bambino, adoralo,
toccalo con la tua mano ed egli ti salverà:
egli infatti è il Salvatore del mondo e di
tutti coloro che in lui sperano». Subito lei
si avvicinò al bambino e, adorandolo, toccò un lembo dei panni nei quali era avvol-
to, e subito la sua mano guarì. Uscendo
fuori incominciò a gridare le cose mirabili
che aveva visto e sperimentato, e come
era stata guarita; molti credettero a causa
della sua predicazione. (Pseudo-Matteo
13,3-5)
Inoltre, la levatrice ebrea incredula avrebbe
esclamato «Questo può essere vero?» e Maria avrebbe risposto: «È vero; quanto non
vi è nessun bambino simile a mio figlio,
quindi non c’è nessuna donna simile a sua
madre».
Le due donne precedute da Giuseppe sulla
parete destra della Cappella Mazzatosta
sono identificabili con Salome e Zelomi
(fig. 56), non solo perché portano con loro
la cesta con i panni tipica delle levatrici, ma
anche per via del mutuo sguardo interrogativo che rimanda al tema del dubbio e della
fede espresso nel Vangelo apocrifo.
Giuseppe si approssima al riparo, un ibrido, appunto, tra capanna e grotta, portando con sé, nella destra, ancora la verga, il
cui fiore spuntato dal ramo secco rappresenta la sua elezione divina a protettore di
Gesù. Il rimando frontale è con la scena delle verghe spezzate nello Sposalizio (tav. V).
Per questo, sul lato sinistro della capanna
della Natività, simmetricamente alla verga,
si abbarbica un ramo d’edera sempreverde
(fig. 189), emblema della straordinaria fecondità nata dalla roccia sterile e simbolo
della fedeltà di Dio, capace di operare stravolgimenti e salti improvvisi di incommensurabile portata nella storia dell’uomo.
La presenza di David, in alto nella vòlta
(fig. 153), corrobora quella di Giuseppe in
quanto uomo giusto:
Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi,
non indugia nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli stolti;
305
ma si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte.
Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che darà frutto a suo tempo
e le sue foglie non cadranno mai;
riusciranno tutte le sue opere.
Non così, non così gli empi:
ma come pula che il vento disperde;
perciò non reggeranno gli empi nel giudizio,
né i peccatori nell’assemblea dei giusti.
Il Signore veglia sul cammino dei giusti,
ma la via degli empi andrà in rovina. (Sal 1,1-6)
La persistente verdura del giusto, «le cui
foglie non cadranno mai», combacia con
l’immagine del protettore della Sacra Famiglia, che veglia e «medita giorno e notte»,
in silenzio e in ascolto della parola di Dio.
L’uomo sterile ma fertile, così come la
donna vergine e madre, combaciano con
la presenza delle chioccioline21 (fig. 158
b), ampiamente commentate nel mio altro saggio, pubblicato in questa sede22.
La lumaca, vero e proprio alter ego della
concezione verginale, essendo ritenuta,
fin dall’antichità, frutto della germinazione spontanea della terra a contatto
con la rugiada mattutina, è documentata
nell’Annunciazione di Francesco del Cossa23 (figg. 164-165) ed è ripresa da Lorenzo da Viterbo in straordinaria assonanza
compositiva con la Cappella Bessarione a
Roma (fig. 158 a).
A Viterbo, come abbiamo detto, Maria inginocchiata appartiene alla ristretta cerchia
delle Madonne in adorazione del bambino.
L’episodio è da ricercarsi nelle Rivelazioni
di Santa Brigida che la racconta come prima
adoratrice di Gesù, come abbiamo visto.
Nella fattispecie, questo Bambino, a terra
e raggiante, è prefigurazione eucaristica.
Non solo è posto come una sorta di altare al
quale sono invitati a cibarsi ebrei e gentili,
306
rappresentati rispettivamente dall’asino e
dal bue, che si stanno inginocchiano al suo
cospetto, come nell’esempio di Santa Maria
Novella e di Tagliacozzo24 (figg. 145-146),
ma sulla veste della Madonna si può intravedere il ricamo di due spighe di grano, allusione al panis angelicus che Gesù incarna,
posto a terra in segno di umiliazione/umiltà (figg. 168-169). Di qui la corrispondenza
frontale e non casuale con il sacerdote dello
Sposalizio (Fig. 190 a.b).
Ergo Gesù, Sacerdos (Eb 4,14-16; Gv 19,23;
Ap 1,13) et Rex (Gv 6,15), si immola per
l’Umanità fin dalla sua Incarnazione, in
attesa di quella morte e resurrezione con
cui salverà l’Umanità. Attraverso questo
Gesù-Ostia, il Dio lontano degli Ebrei si
trasforma nel Dio-con-noi, vicino e fedele
all’uomo perché uomo egli stesso, fino alla
fine dei tempi.
Assunzione
La presenza del profeta Ezechiele (tav. II)
sulla vòlta corrispondente alla parete di
fondo dedicata all’Assunzione (tav. IX), si
ricollega, ancora una volta, alla Madonna:
Questa porta rimarrà chiusa: non verrà
aperta, nessuno vi passerà, perché c’è
passato il Signore, Dio d’Israele. Perciò
resterà chiusa (Ez 44,2).
La citazione in relazione a Maria, madre
del Verbo incarnato, spinge a riflettere sulla
natura di questa “porta chiusa”. Maria non
solo è una porta a due sensi, perché conduce l’uomo a Dio e Dio all’uomo, ma se
da una parte è sigillata al peccato, dall’altra è aperta al Cielo. La profezia, allusiva
al sigillo verginale, funziona anche come
emblema del passaggio ultraterreno. Maria
permette di riportare il Cielo in terra, è l’Ave che riconquista l’Eden perduto da Eva.
Per la porta di Maria Dio entra nel mondo
(Natività), per la porta di Maria il mondo
torna a Dio (Assunzione). Come Lei, infatti,
anche noi possiamo sperare in un’Umanità redenta che ascende al Cielo, non da sé
attivamente, come Gesù nell’Ascensione,
ma portata dalla Grazia, come Maria che
nell’Assunzione ci precede nella fede. La
porta è orientale perché è dall’Est che ci
viene la luce. Maria è questo Oriente da cui
nasce Gesù e, in più, rappresenta l’offerta
perfetta, l’oblazione pura, come solo Lei e
Gesù sono stati, nel sacrificio di sé a partire
dall’Incarnazione.
La presenza dell’evangelista Giovanni, nella
vela della vòlta corrispondente alla parete
(fig. 148), si riferisce al ruolo della Madre
nell’azione salvifica del Figlio. Sobriamente,
il Vangelo di Giovanni non nomina mai il
nome di Maria, ma la sua funzione: «Madre
di Gesù» (Gv 2,1-3) e «Donna» (Gv 19,26),
come a sottolinearne il ruolo chiave nella salvezza dell’Umanità. È la Madre di colui che
è «disceso dal cielo» (Gv 6,42). È la Madre
di coloro che Cristo resusciterà «nell’ultimo
giorno» (Gv 6,44). Il ruolo escatologico di
Maria, annunciato da Giovanni che ne narra
la mediazione a Cana (Gv 2,1-12) per l’inizio
della vita pubblica di Gesù, e l’affidamento
all’Umanità intera, per mezzo del sacrificio
finale (Gv 19,25-27), ben si addice all’ascesa
della Madonna al Cielo che precede l’Umanità intera nel raggiungimento della felicità
eterna. Il collegamento con la parete destra,
attigua a questa di fondo, è teologicamente
strettissimo:
Io sono il pane della vita. I vostri padri
hanno mangiato la manna nel deserto e
sono morti; questo è il pane che discende
dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne
per la vita del mondo (Gv 6,48-51).
Dunque il “pane vivo” è Colui che salva e
fa vivere “in eterno”.
Gli affreschi lorenziani alla luce della teologia unionista
La lettura narrativamente discontinua degli
affreschi della Cappella Mazzatosta è elaborata in vista della celebrazione del ruolo
chiave di Maria nell’offerta di Gesù come
pane del Cielo. Questo è il motivo centrale,
a mio avviso, per cui Lorenzo, su suggerimento dei responsabili del programma
iconografico della Cappella, ovvero Perotti
e Bessarione, elabora il suo eccezionale iter
iconografico-visivo, deviando, come abbiamo detto all’inizio, dall’andamento sequenziale-cronologico delle scene, a sottolineare
un contenuto iconoteologico altro. Il tema
centrale affrescato a Viterbo, infatti, non è
la mera devozione mariana, per cui la preoccupazione è enucleare gli episodi salienti
delle Storie di Maria, ma la diatriba sull’Eucarestia, il cui dibattito, coevo agli affreschi,
è particolarmente ardente, annoverando,
tra suoi protagonisti, lo stesso Bessarione.
Nonostante la diversità dei riti, orientale
ed occidentale, il Concilio di Basilea-Ferrara-Firenze-Roma era giunto alla conclusione, nella Sessione VI del 6 luglio 1439, che il
pane lievitato ed il pane azzimo, purché di
frumento, erano entrambi depositari della
presenza reale del corpo di Cristo. Questo
era uno dei punti chiave del Concilio, insieme alla formula del Filioque, al primato
307
del vescovo di Roma e alla questione del
purgatorio:
Parimenti definiamo veramente consacrato il corpo del Cristo nel pane di frumento, sia azzimo che fermentato, e che
i sacerdoti devono consacrare il corpo
del Signore usando dell’uno o dell’altro
pane, ciascuno secondo il rito della propria chiesa, sia essa occidentale o orientale25.
Invece, della vivace disputa sulla trasformazione del pane e del vino in corpo e
sangue di Cristo per opera delle parole di
Gesù «questo è il mio corpo, questo è il mio
sangue» o in seguito all’invocazione dello
Spirito Santo, la bolla di unione non fa cenno. La questione si risolse in favore dei latini che ribadivano l’importanza delle parole
di consacrazione, mentre per la materia eucaristica furono mantenute le due diverse
tradizioni26. La proclamazione dell’Unione
tra le due Chiese nella cattedrale di Firenze
giunge il 6 Luglio 1439, dopo che tra il 13 e
il 14 aprile dello stesso anno il Bessarione
aveva pronunciato il celebre discorso a favore della riconciliazione tra Greci e Romani, l’Oratio dogmatica pro Unione.
In questa occasione, a Firenze, il Cardinal
Cesarini lesse in latino il decreto finale, Laetentur caeli, il Bessarione proclamò lo stesso
in lingua greca e con l’abbraccio tra i due
terminò il Concilio. Il 18 Dicembre, a Venezia, Bessarione sarà nominato Cardinale.
Questo estremo tentativo di unificare le
due Chiese, occidentale e orientale, contemplava l’ampio e ambizioso progetto di
riportare alla concordia tutti i cristiani di
ogni lingua e tradizione: latini, greci, russi, armeni, copti, etiopi, caldei, maroniti,
nestoriani27. Negli opposti schieramenti
del corteo nuziale della scena affrescata
308
da Lorenzo è visibile, come in filigrana, la
marcia delle due Chiese finora divise verso
la madre Chiesa che, nella figura centrale
del Sacerdote, le unisce. In questo senso,
si spiega a Viterbo l’enfasi reiterata nella
raffigurazione del tempio (fig. 25), culmine
visivo della Presentazione e dello Sposalizio
(parete sinistra, tav. III), che abbraccia simbolicamente figure orientali ed occidentali.
Il tempio è emblema dell’offerta di sé che
Maria bambina, precedendo Gesù, fa a tre
anni, come simbolo della vita consacrata.
È la Chiesa riunita, di cui è figura Maria,
primo tabernacolo del Dio in mezzo a noi,
che si fa incontro all’Umanità. Tutti gli affreschi della Mazzatosta ribadiscono questo concetto teologico e personificano la
tesi unionista. Anche l’Annunciazione e la
Natività (parete destra, tav. VI) testimoniano la Chiesa nascente nell’Incarnazione del
Verbo, annunciata ai pastori, adorata dalla
Madre, indicata ai potenti. Tutta la Trinità
partecipa all’offerta di Dio che sacrifica sé
stesso, facendosi pane per l’Umanità intera, come recita il Praefatio nella Liturgia
dell’Annunciazione, il 25 Marzo:
Per questo, entrando nel mondo, Cristo
dice: Tu non hai voluto né sacrificio né
offerta, un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco,
io vengo ― poiché di me sta scritto nel
rotolo del libro ― per fare, o Dio, la tua
volontà. (Eb 10,5-7)
La terra vergine e sterile è fiorita e ha dato il
suo frutto, Gesù. Significativamente posto
a terra, il nuovo Adamo non è creato dal
fango, ma dallo Spirito Santo che opera per
il riscatto dell’uomo nuovo. L’Umanità rigenerata è compendiata da Maria, capace
di essere trasportata direttamente in cielo
senza passare dalla corruzione del corpo
con la morte. È a Lei che guardano con speranza gli Apostoli e con loro tutti i figli di
Eva (figg. 143-144). È a Lei che cantano e
suonano gli angeli in gloria (figg. 140-141).
È a Lei che Cristo affida tutta l’Umanità
dalla sua Croce. Per questo l’Umanità sulla
terra è riunita ed unificata, come ribadiscono le diverse fogge degli abiti dello Sposalizio (tav. V) e i diversi modi di pregare degli
angeli dell’Assunzione (figg. 140-141). Che
si parli greco o latino, l’Umanità è erede fin
dall’Incarnazione, di nuovi Cieli e nuove
Terre (Apoc 21,1). Per questo Maria si inginocchia e per prima adora l’Emmanuele,
affinché tutti gli uomini, greci e latini, ebrei
e gentili, seguendo il suo esempio, lo adorino. È Lui il Dio-con-noi, presente fino alla
fine del mondo, sotto le specie del vino e
del pane, lievitato o non (di qui la doppia
spiga raffigurata sulla vesta della Vergine),
per la Salvezza dell’uomo, che ne attende,
con rinnovata fede, il ritorno definitivo
(figg. 168-169).
309
NOTE
1
Cfr. B. Aniello, Il Te Deum ritrovato, infra, 245.
Cfr. G. Gentilini - l. PrinciPi, infra, 351.
3
Cfr. rispettivamente capp. 7.1-8.1 e cap. 4 in A. PuiG
i tàrrech, I Vangeli apocrifi, c. GiAnotti (ed.), Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 2010, (Guida
alla Bibbia), 162-163; 210-211.
4
l. réAu, Iconographie de l’Art Crétienne, I-VI, Paris,
Presse Universitaire de France, 1956, vol. 2, 164166.
5
Cfr. c. StrinAti, Lorenzo magister e la splendida ‘invenzione’ della Città Ideale, infra, 22.
6
È Gioacchino che dice nel Protovangelo di Giacomo: «Invitiamo le figlie senza macchia degli
ebrei. Che ciascuna prenda una torcia e la mantenga accesa, perché la bambina non si volti indietro e il suo cuore non venga attratto da nulla
lontano dal tempio del Signore». Protovangelo di
Giacomo, cap 7.2, in A. PuiG i tàrrech, I Vangeli
apocrifi, 163.
7
GiAcomo di SAruG, Omelia sulla Natività di Nostro
Signore, in c. VonA, Omelie Mariologiche di S. Giacomo di Sarug: introduzione, traduzione dal siriaco e
commento, Roma, Fac. Theol. Pont. Athenaei Lateranensis, 1953, 255.
8
Cfr. e. GniGnerA in questa sede: ‘Cavati dal naturale’: per una indagine vestimentaria degli affreschi di
Lorenzo da Viterbo nella Cappella Mazzatosta, infra,
202.
9
m. BAxAndAll, L’Œil du Quattrocento. L’usage de la
peinture dans l’Italie de la Renaissance, Paris, Gallimard, 1985.
10
FrA’ roBerto cArAcciolo dA lecce, Sermone XL in
id., Specchio della Fede Cristiana,Venezia, Giovanni Antonio & fratelli, Nicolini da Sabbio, 1555,
cc. 93v.-96v. Per la distinzione tra i cinque stati
d’animo nell’Annunciazione Cfr. l. APFelBAumm,
L’Annonciation dans tous ses états, Paris, Édit. du
Rocher, 1999.
11
D. ArASSe, L’annunciazione italiana. Una storia della
prospettiva, Firenze, Usher Arte, 2009, 212 e sgg.
2
310
12
Cit. in G. Colosio, L’annunciazione nella pittura italiana da Giotto a Tiepolo, Roma, Teseo, 2002, 95.
13
Ivi, 313.
14
Nel rito ebraico del matrimonio non esiste lo scambio degli anelli, ma è solo lo sposo che lo dona alla
sposa, per suggellare il patto, dopo aver entrambi
bevuto dal calice di vino benedetto dal Sacerdote.
15
Cfr. e. GniGnerA, ‘Cavati dal naturale’: per una indagine vestimentaria degli affreschi di Lorenzo da Viterbo
nella Cappella Mazzatosta, infra, 223.
16
Si veda ad esempio il confronto tra la Natività del
Monte Sinai (VII sec.) e quella conservata nella
Cappella Palatina, a Palermo (XII sec.).
17
Cfr. Duccio, La Natività, Predella della Maestà, National Gallery of Art di Washington.
18
e. PAnoVSky, Il Significato nelle arti visive, Torino,
Einaudi, 1999, 35.
19
SAntA BriGidA, Liber coelestium revelationum dominae
Birgittae de Svetia VII, 21; IV, 88 e VI, 1 e 58, disponibile in www.chiesa-cattolica.net consultato in data
23 giugno 2018.
20
Cfr. Gentile da Fabriano, Pala dell’adorazione dei
magi, particolare della Natività, 1423, Galleria degli
Uffizi, Firenze.
21
H. ettlinGer, The Virgin Snail, in «Journal of the
Warburg and Courtland Institutes», XLI (1978),
316.
22
Cfr. B. Aniello, Il Te Deum ritrovato, infra, 279.
23
D. ArASSe, L’annunciazione italiana, 212-214, 363.
24
Cfr. B. Aniello, Il Te Deum ritrovato, infra, 250 il
riferimento è a Pietro Miniato che, nell’affresco
della controfacciata a S. Maria Novella, ritrae il
bue appena inginocchiato, come a Viterbo.
25
Conciliorum Oecumenicorum Decreta, G. AlBeriGo,
et al. (ed.), Bologna, Centro editoriale dehoniano,
2013, 523-528.
26
V. A. BArBoloVici, Il Concilio di Ferrara-Firenze
(1438-1439), Bologna, Edb, 2018, 170.
27
Ivi, 160.