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La Valle dell’Adige tra Alto e Basso Medioevo, in Medioevo nelle Valli. Insediamento, società, economia nei comprensori di valle tra Alpi e Appennini (VIII-XIV secolo), a cura di F. Marazzi, C. Raimondo, Atti del Convegno di Studi Internazionale (Squillace, 11-14 aprile 2019), pp. 35-54

2019

Medioevo nelle Valli Insediamento, società, economia nei comprensori di valle tra Alpi e Appennini (VIII - XIV sec.) Questo libro è dedicato alla memoria di Giuseppe Mercurio (1945-2019) socio fondatore dell’Istituto di Studi su Cassiodoro e sul Medioevo in Calabria 16 Medioevo nelle Valli Insediamento, società, economia nei comprensori di valle tra Alpi e Appennini (VIII - XIV sec.) Collana diretta da Federico MARAZZI Comitato Scientifico François BOUGARD (Université Paris X - Nanterre) Gian Pietro BROGIOLO (Università di Padova) Cécile CABY (Université de Lyon 2) Edoardo D'ANGELO (Università “Suor Orsola Benincasa” - Napoli) Flavia DE RUBEIS (Università di Venezia “Cà Foscari”) Sveva GAI (LWL - Archäologie für Westfalen Mittelalter - und Neuzeitarchäologie) Giulia OROFINO (Università di Cassino e del Lazio Meridionale) Medioevo nelle Valli Insediamento, società, economia nei comprensori di valle tra Alpi e Appennini (VIII - XIV sec.) Atti del Convegno di Studi Internazionale svoltosi a Squillace (CZ) nei giorni 11-14 aprile 2019. a cura di Federico Marazzi Chiara Raimondo Testi Simonetta Minguzzi, Laura Biasin, Massimiliano Francescutto, Elisa Possenti, Gian Pietro Brogiolo, Eleonora De Stefanis, Valeria Mariotti, Debora Ferreri, Enrico Cirelli, Enrico Giannichedda, Federico Cantini, Danilo Leone, Daniele Sacco, Siegfried Vona, Umberto Moscatelli, Francesca Carboni, Frank Vermeulen, Francesca Romana Stasolla, Andrea R. Staffa, Fabio Redi, Cristina Corsi, Tommaso Indelli, Federico Marazzi, Marcello Rotili, Iolanda Donnarumma, Alessia Frisetti, Lester Lonardo, Nicola Busino, Gaetana Liuzzi, Pasquale Favia, Roberta Giuliani, Carlo Ebanista, Angela Venditti, Roberto Goffredo, Valeria Volpe, Valentino Vitale, Antonio Alfano, Ferdinando Maurici, Pier Giorgio Spanu, Giuseppe Maisola, Marco Muresu. Repertorio Fotografico Autori dei saggi (tranne ove indicato) Editing, impaginazione & grafica Tobia Paolone Ottimizzazione Ida Di Ianni VOLTURNIA EDIZIONI Piazza Santa Maria, 5 86072 Cerro al Volturno (IS) Tel. & Fax 0865 953593 info@volturniaedizioni.com www.volturniaedizioni.com Copyright © 2019 Volturnia Edizioni La fig. 5 a pag. 27 è stata gentilmente fornita dall’Archivio di Stato di Udine. Estremi Autorizzazione: Registro: AS-UD - Numero di protocollo: 3847 Data protocollazione: 26/11/2019 - Segnatura: MiBAC|AS-UD|26/11/2019|0003847-P ISBN 978-88-96092-99-6 In copertina: Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in campagna, 1338-1339 (particolare), Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena Le illustrazioni e i testi presenti in questo volume sono stati forniti dagli autori che possedendone i diriti ne hanno autorizzato la loro pubblicazione. Tutti i diritti sono riservati. Senza l’autorizzazione scritta dell’editore è vietata la riproduzione. Il convegno è stato organizzato dall'Istituto di Studi su Cassiodoro e sul Medioevo in Calabria con il cofinanziamento della Regione Calabria, Avviso Pubblico DDG 3911/2018 ed il contributo del MIBAC, Circolare 108/2012 - Piano Convegni 2019. Medioevo nelle Valli Insediamento, società, economia nei comprensori di valle tra Alpi e Appennini (VIII - XIV sec.) a cura di FEDERICO MARAZZI CHIARA RAIMONDO Atti del Convegno di Studi Internazionale svoltosi a Squillace (CZ) nei giorni 11-14 aprile 2019 UNIONE EUROPEA REPUBBLICA ITALIANA ISTITUTO DI STUDI SU CASSIODORO E SUL MEDIOEVO IN CALABRIA REGIONE CALABRIA I testi contenuti in questo volume sono stati sottoposti ad un procedimento di peer review 7 Medioevo nelle Valli Insediamento, società, economia nei comprensori di valle tra Alpi e Appennini (VIII - XIV sec.) a cura di Federico Marazzi e Chiara Raimondo INDICE Presentazione ........................................................................................................................... 11 In ricordo di Peppe Mercurio ................................................................................................. 13 Introduzione ............................................................................................................................ 15 Simonetta Minguzzi, Laura Biasin, Massimiliano Francescutto Paesaggi storici del Friuli orientale. La valle del Grivò ........................................................................ 17 elisa Possenti La valle dell’Adige tra Alto e Basso Medioevo .................................................................................... 35 Gian Pietro Brogiolo Comunità, circoscrizioni e giurisdizioni tra Valle Sabbia e lago di Garda .......................................... 55 eleonora de Stefanis Monasteri e valli nel territorio piemontese in età medievale. Spunti di riflessione su un rapporto multiforme ................................................................................ 73 Valeria Mariotti Le valli dell’Adda e della Mera: ruolo ed evoluzione di insediamenti e percorsi alpini tra antichità e medioevo.................................. 85 debora Ferreri, enrico cirelli Le trasformazioni della vallata del Lamone e dei passi Appenninici tra Esarcato e Regno d’Italia nel Medioevo (VI-XII secolo) .............................. 101 enrico Giannichedda Da Luni allo spartiacque. Archeologia e costruzioni identitarie ......................................................... 119 Federico cantini Valleys and power. Aristocrazie e potere pubblico nella valle dell’Arno tra IV e X secolo ...................... 133 8 MEDIOEVO NELLE VALLI danilo Leone Lungo la strada che porta a Orvieto. Case, chiese e mercati nel suburbio di una città medievale .... 147 daniele Sacco, Siegfried Vona La vallata del fiume Foglia nelle Marche del nord: viabilità, popolamento e processi di trasformazione tra Tardoantico e basso Medioevo ..................................................... 163 Umberto Moscatelli Le vallate interne delle Marche centro-meridionali tra antichità e Medioevo: una trama da costruire ................................................................................................................... 181 Francesca carboni, Frank Vermeulen La bassa valle del Potenza (Marche) fra tarda antichità e Medioevo (VI-XII secolo): evoluzione del paesaggio rurale e dell’assetto insediativo ............................................................. 197 Francesca romana Stasolla Come i monaci disegnano le valli: archeologia del medioevo laziale ............................................. 213 andrea r. Staffa La bassa Valle del Fiume Pescara fra tarda antichtà ed altomedievo ............................................ 227 Fabio redi Da valle dei monaci a valle dei castelli. Trasformazioni del paesaggio dell’alta valle dell’Aterno (AQ) fra VIII e XII secolo: il contributo dell’Archeologia ............................................... 251 cristina corsi, Tommaso Indelli Tra valle del Liri e Garigliano. Storia ed archeologia dei secoli VI-XII ............................................ 263 Federico Marazzi Dalle Valli ai litorali. Riflessioni sui rapporti fra coste ed entroterra in Italia centrale dall’VIII all’ XI secolo ......................................................................................... 283 Marcello rotili, Iolanda donnarumma Dinamiche insediative nell’alta valle del Calore fra tarda antichità e alto medioevo .................... 315 alessia Frisetti Paesaggi ed insediamenti medievali in una vivace area di confine: la Media valle del Volturno .... 333 Lester Lonardo Loco ubi dicitur Balle Telesina. Trasformazioni, persistenze e dinamiche insediative in un comprensorio vallivo fra tarda antichità e medioevo ......................................... 349 Nicola Busino, Gaetana Liuzzi Le valli del Miscano (Benevento, Avellino) e del Tammaro (Benevento) fra tarda antichità e medioevo .................................................................. 371 Pasquale Favia, roberta Giuliani Le valli della Puglia settentrionale nel Medioevo: sistemi insediativi, strategie di gestione ambientale e sfruttamento delle risorse, fra Subappennino e Tavoliere ........................................ 391 MEDIOEVO NELLE VALLI Carlo Ebanista, Angela Venditti I comprensori di valle del basso Molise. Le trasformazioni degli assetti insediativi in età medievale............................................................... 405 Roberto Goffredo, Valeria Volpe La bassa valle dell’Ofanto e il distretto ofantino: risorse collettive e comunità rurali tra altomedioevo ed età normanna ............................................. 423 Valentino Vitale Castelli e fortificazioni nella Basilicata meridionale: la valle del Sinni nel Medioevo ........................ 441 Francesca Sogliani La valle del Bradano nel Medioevo. Insediamenti, viabilità, sistemi di controllo e difesa in Basilicata...................................................... 457 Antonio Alfano, Ferdinando Maurici Attraverso il Medioevo. Le valli dello Jato e del Belìce Destro (Palermo) tra il califfato fatimide ed il regno federiciano .................................................................................... 485 Pier Giorgio Spanu, Giuseppe Maisola Il Montiferru meridionale e il Campidano Di Milis. Archeologia dei paesaggi di un territorio di confine tra Tarda Antichità e Medioevo .......................... 503 Marco Muresu Indicatori archeologici del popolamento nell’alta valle del fiume Tirso (Sardegna) tra alto e basso Medioevo ........................................................................ 511 9 MEDIOEVO NELLE VALLI La Valle dell’Adige tra Alto e Basso Medioevo Elisa Possenti (Università di Trento) Gli assetti politici Il corso dell’Adige attraversa, con una lunghezza complessiva di circa 410 km, un ampio territorio compreso tra il lago alpino di Resia e il mare Adriatico. Oggetto di questo contributo ne è la porzione più propriamente alpina, coincidente con il tratto fluviale che attraversa le attuali province autonome di Trento e Bolzano. In queste ultime il bacino idrografico atesino risultava quasi totalmente compreso, tra l’età romana e il 570, nel territorio della Regio, poi Provincia di Venetia et Histria. Il solo tratto in Val Venosta ne era escluso dal momento che apparteneva alla Raetia II. La conquista longobarda della penisola italiana modificò questo assetto politico e amministrativo. Mentre la parte meridionale divenne parte integrante del ducato di Trento, istituito verosimilmente poco dopo il 568 (Albertoni 2005: 32-36), i territori a nord di Trento entrarono invece a far parte del ducato baiuvaro. Relativamente a quest’ultimo la sequenza dei fatti non è chiarissima e, in particolare, l’area della conca di Bolzano sembra essere stata in un primo momento controllata dai Longobardi per poi diventare territorio baiuvaro solo nel 691 e come tale rimanere fino alla conquista franca del 788, seppure con un breve intermezzo longobardo tra 720 e 763 (Haider 1990: 234-242; Gasparri 2004: 50-54). Un caso a parte fu invece costituito dalla Val Venosta che dopo essere stata ceduta dagli Ostrogoti ai Franchi nel 536/537, durante il VII secolo andò a far parte del territorio controllato dai Vittoridi (Schneider-Schneckenburger, 1980: 7-9; Gleirscher 1991; Kaiser 1998: 30-45). L’età carolingia fu caratterizzata da una divisione politica e amministrativa solo in parte coincidente con gli assetti di epoca precedente. L’Alto Adige con Bolzano, Bressanone e Merano furono assegnati al regno franco-orientale mentre il Trentino passò al regno italico. In questi decenni emerse inoltre l’importanza della viabilità incentrata sulla val d’Isarco (e quindi sul passo del Brennero), destinata ad accrescersi in età ottoniana. Questo passaggio fu sotto molti aspetti cruciale dal momento che segnò il parziale declino dei passi alpini occidentali (tra cui quello di Resia). Da alcuni documenti si deduce inoltre che durante l’età carolingia la posizione di Trento divenne subalterna rispetto a Verona (Gasparri 2004: 56-57). La fine dell’età carolingia segnò un’ulteriore trasformazione rispetto all’età precedente il cui esito finale fu strettamente connesso all’azione politica di Ottone I. Tra i due regni italico e teutonico, non più divisi, si venne infatti a trovare il territorio trentino trasformatosi da zona di frontiera (come era durante l’età longobarda e fino 35 36 ELISA POSSENTI Fig. 1. Le contee soggette al vescovo di Trento secondo i diplomi nel 1027 (da Castagnetti 2004). all’età di Berengario) in una vera e propria cerniera tra le regioni a nord e a sud delle Alpi. Questa situazione, in cui la città di Trento si affrancò totalmente da quella di Verona, fu in particolare sancita da un privilegio di Corrado II del 1027 che di fatto istituì il principato vescovile di Trento e stabilì l’unità della giurisdizione vescovile su città e territorio. In questo frangente il vescovo risultava pienamente autonomo e in collegamento diretto con l’Impero. Gli erano inoltre soggetti territori atesini che prima appartenevano a regni diversi: la contea della Venosta e di Bolzano (prima del regno teutonico) e di Trento (prima del regno italico) (fig. 1). Il territorio trentino, affidato a vescovi di origine tedesca, venne pertanto a ricoprire un ruolo altamente strategico di controllo delle vie di comunicazione attraverso le Alpi. Tra quest’ultime vi erano sia quella lungo la valle dell’Adige (attraverso la Val Venosta e diretta al passo di Resia), sia il tratto iniziale di quella lungo la valle dell’Isarco, diretta al Brennero. Quest’ultima, a partire da Enrico II, divenne quasi esclusiva nei collegamenti tra nord e sud. Questi fenomeni furono contestuali alla costituzione tra XI e XII secolo di potenti stirpi comitali, vassalle della chiesa vescovile. Una linea di sviluppo che poi proseguì sostanzialmente ininterrotta fino alla fine del Medioevo e anche per buona parte dell’età moderna (Castagnetti 2004: 98-103). Gli assetti diocesani Questo in estrema sintesi per quanto concerne il dato storico, il quale deve essere necessariamente integrato, con il dato relativo agli assetti diocesani. Verosimilmente a partire dalla metà del IV secolo Trento aveva un proprio vescovo (Rogger 2000: 482), al quale faceva pendant sul colle di Sabiona (in Val d’Isarco, nel territorio dell’antica Raetia II), un secondo centro episcopale, attestato per la prima volta nella seconda metà del VI secolo e forse erede di un episcopato retico di cui non è nota l’ubicazione della sede vescovile. Il centro episcopale di Sabiona fu poi spostato nella seconda metà del X secolo a Bressanone (Heuberger 1980: 185; Haider 1990: 229-232, 248-251). La Val Venosta (compresa Merano) per quanto in origine appartenente all’antica Raetia II apparteneva invece, probabilmente a partire dall’avanzato VI secolo e in concomitanza con la sopra ricordata cessione ai Franchi del 536/537, alla diocesi di Coira (nella Raetia I) (Gleirscher 1993: 43). E proprio tra queste due sedi, Trento e Coira, risulta ecclesiasticamente divisa l’area della valle dell’Adige a partire dall’811 (fig. 2). Le circoscrizioni diocesane corrispondevano tuttavia solo MEDIOEVO NELLE VALLI 37 in parte a quelle del potere temporale. A partire dal sopra ricordato 1027, il presule trentino controllava infatti in quanto “principe-vescovo” aree geografiche spiritualmente affidate ad altri episcopati. La valle dell’Adige a ovest di Merano rientrava infatti nel territorio della diocesi di Coira, mentre la bassa Vallagarina afferiva alla diocesi di Verona. Ancora, al di fuori dell’ambito considerato, i territori più occidentali della Valsugana, fino a Pergine compresa, appartenevano all’episcopato di Feltre. Il dato paleo ambientale Nell’area atesina la complessità del dato storico e archeologico non può prescindere dalle trasformazioni paleo ambientali, un tema quest’ultimo diventato negli ultimi decenni un passaggio obbligato di qualsiasi sintesi territoriale. Oggi siamo abituati a pensare alla valle dell’Adige come ad una larga striscia di terra, perfettamente pianeggiante e ordinatamente coltivata il cui sfruttamento agricolo raggiunge, dove possibile, i fianchi dei rilievi circostanti, per lo più coltivati a vigneto. Al centro del fondovalle campeggia inoltre la striscia nera dell’autostrada del Brennero fiancheggiata dalla strada statale omonima. In realtà l’immagine attuale è molto diversa da quella antica, così come sembra potersi affermare sulla base di una serie di casi campione indagati sia archeologicamente, sia dal punto di vista geoarcheologico (per una sintesi relativa a quest’ultimo si rimanda a Angelucci 2013). Un contesto al proposito significativo è costituito dal sito di Egna (BZ), in prossimità dell’antica mansio di Endidae. In questo contesto è stata infatti verificata una sequenza da cui è emerso che la valle dell’Adige, così come tutta la regione tra il Lago di Garda e l’Alto Adige, oggi “considerata pressoché asismica”, fu probabilmente interessata nelle epoche antiche da forti terremoti (Galli Galandini 2002). Di questi ultimi uno particolarmente distruttivo si verificò alla metà del III secolo e fu certamente il principale responsabile dell’abbandono della mansio medesima, mai più ricostruita. Questo dato è di particolare interesse dal momento che, in regione, un certo numero di siti della regione presenta fasi di distruzione, abbandono e ricostruzione risalenti proprio alla metà del III secolo, “un periodo di crisi generalmente messo in relazione con l’invasione degli Alamanni del 258 d.C. ma per i quali in realtà non si dispone di testimonianze storiche e archeologiche specifiche” (Galli, Gallandini, 2002: 315). Fig. 2. Le circoscrizioni diocesane di Trentino-Alto Adige e Tirolo tra 811 e 1751 (da Riedmann 1990). 38 ELISA POSSENTI L’incidenza dei terremoti, sulla quale manca per ora una ricognizione mirata e complessiva, dovette comunque in ogni caso interagire con le esondazioni e gli straripamenti attestati, a seconda dei casi, tra metà III e inizi IV, nel V-VI secolo e ancora nel X-XII secolo. Possiamo pertanto affermare che la celebre alluvione del 589, di cui stando alle parole di Paolo Diacono uno dei principali protagonisti fu proprio l’Adige nel suo tratto più meridionale (H.L. III,23), non fu in realtà un episodio isolato ma si inserì in un periodo fortemente instabile dal punto di vista climatico. La bibliografia relativa ai siti trentini e altoatesini è ormai considerevole e in questa sede mi limito a citare gli oramai classici casi di Mezzocorona, Trento e Maia Bassa a Merano (da ultimo Possenti 2016, con bibliografia specifica sui singoli contesti) accanto ai quali va senz’altro ricordato un recente contributo di Michele Bassetti che ha ricostruito, dall’età preistorica fino a quella attuale, gli straripamenti e i cambi di tracciato del torrente Férsina, immissario dell’Adige subito a sud di Trento. Lo studio ha in particolare individuato le tracce di una serie di esondazioni che colpirono molto pesantemente la città a partire dalla seconda metà del III e l’inizio del IV secolo (lo stesso periodo del terremoto documentato ad Egna!) (fig. 3). Un dato molto interessante è, inoltre, che le antiche mura romane del municipiun svolsero un’evidente funzione protettiva rispetto alle ondate di piena le quali, se da una parte risparmiarono l’abitato intra moenia, dall’altra causarono il contestuale abbandono delle aree che si erano sviluppate extra moenia a partire dal I sec. d.C. Una situazione questa destinata a perdurare fino a tutti i secoli centrali del medioevo, tantoché l’estensione dell’area urbana restò sostanzialmente immutata fino agli inizi del Duecento quando iniziò la costruzione delle mura medievali. Queste ultime, caratterizzate da un’inconfondibile forma a cuore, inglobarono alcuni suburbia nel frattempo sviluppatisi a ridosso delle mura romane (in alcuni tratti ancora ampiamente conservate in alzato) e all’esterno di un ridotto fortificato eretto nel X secolo attorno al Duomo. Il Férsina rimase tuttavia una presenza incombente sul nucleo urbano anche dopo il Duecento: è noto infatti che il torrente nel XIII secolo scorreva immediatamente al di fuori della cinta muraria ancora oggi visibile in Piazza Fiera. Il pericolo fu definitivamente allontanato solo nel 1540-1542 quando per iniziativa del principe-vescovo Cristoforo Madruzzo, il corso d’acqua fu spostato nella periferia meridionale della città dove tutt’ora si trova (Bassetti 2018; per la cronologia delle mura di X e XIII secolo Landi 2013 e Landi, Bonomi 2013). Fig. 3. L’area di Trento con le esondazioni del torrente Férsina (indicate dalle frecce azzurre) tra la metà del III e l’inizio del IV secolo (E) e l’età tardo antica e altomedievale (F). Il tratteggio rosso indica le aree adibite a necropoli in età romana; l’area circolare in tratteggio evidenzia l’area di espansione extra moenia a partire dal I sec. d.C. (da Bassetti 2018). MEDIOEVO NELLE VALLI I sedimenti alluvionali dell’Adige e dei suoi affluenti raggiunsero, a seconda dei casi, anche spessori considerevoli. Durante il medioevo (ma con prolungamenti destinati a durare, almeno in alcuni casi anche oltre) gli effetti più macroscopici, documentati in più punti dell’asse vallivo, furono costituiti 1. dalla formazione di zone paludose (forse in parte esistenti già in età precedente, cfr. Bassi, 1993); 2. da una viabilità alternativa a quella di epoca precedente; 3. da una distribuzione degli abitati e delle necropoli parzialmente diversa rispetto all’età romana. Va tuttavia specificato che generalizzare sarebbe erroneo dal momento che la documentazione archeologica, e in parte anche quella scritta, restituiscono un quadro localmente diversificato al momento non generalizzabile e su cui ritornerò nella pagine seguenti. La viabilità Volendo offrire una griglia di riferimento, la viabilità è forse l’elemento migliore da cui partire. Il sistema viario di età alto e basso medioevale fu caratterizzato da una buona tenuta dei percorsi a mezzacosta, del resto già utilizzati in età romana. La principale novità fu caso mai costituita dal ricorso a tracciati alternativi che consentivano, quando necessario, di evitare le aree impaludate o esondate. Una possibile eco è contenuta nell’episodio, raccontato da Paolo Diacono della distruzione nel 590 di alcuni castelli trentini da parte dei Franchi. Leggendo tra le righe si deduce infatti che questi ultimi, arrivati dalla Val Venosta e verosimilmente diretti a sud, ad un certo punto abbandonarono la valle atesina per dirigersi verso la laterale val di Cembra (dove sono menzionati i castra di Cimbra e Fagitana) e, addirittura, completamente fuori strada, verso la Valsugana dove distrussero altri due castelli (duo [castra] in Alsuca) (H.L. III, 31). Una seconda testimonianza, molto più puntuale per il tema qui affrontato, è costituita dal racconto del percorso seguito dal monaco Gottschalk nell’XI secolo il quale, diretto in Baviera con le reliquie di Santa Anastasia trafugate dalla chiesa veronese di S. Maria in Organo, fu costretto a nord di Trento a prendere una lunga deviazione a causa delle acque dell’Adige che in almeno due punti avevano invaso la sede stradale. Dopo un percorso che deve essere stato abbastanza tortuoso e inerpicato sulle montagne che costeggiano la sinistra Adige (definito in un tratto via satim duram qui dicitur semita Karoli) Gottschalk ridiscese infine, secondo la ricostruzione effettuata da Walter Landi, a Laghetti di Egna, una decina di chilometri a nord di Salorno, località quest’ultima dove sorgeva un’importante chiusa, secondo alcuni risalente all’età tardo romana (Ciurletti 2005: 3031; Landi 2009: 6-12). Come detto sopra, la viabilità interna o a mezza costa era comunque preesistente al medioevo così come è deducibile dalle carte di distribuzione dei siti, analogamente ad altre aree trentine in questa sede non prese in esame (per esempio la piana di Riva del Garda e la Val di Non, cfr. Cavada 1992; Bassi 1998). Nel comparto qui considerato spicca la zona a nord e a sud di Rovereto, la quale è caratterizzata su ambedue i versanti vallivi da materiali cronologicamente compresi tra il V e il VII secolo, per arrivare, nel caso del castello di Lizzana, fino all’XI secolo (Cavada 1992; per l’elenco completo dei rinvenimenti di età romana e altomedievale Rigotti 2007, Maurina 1997, 1999, 2000 e Maurina, Postingher 2009). Significativo è inoltre che 39 40 ELISA POSSENTI Fig. 4. L’area della Vallagarina con i siti archeologici compresi tra età romana e altomedievale (da Rigotti 2007). 1) Rivoli, 2) Ceraino, 3) Canale, 4) Dolcé, 5) Brentino, 6) Rivalta, 7) Peri, 8) Ossenigo, 9) Ferrara di M. Baldo, 10) Belluno Beronese, 11) Borghetto, 12) Mama d’Avio, 13) Avio, 14) Vigo, 15) Vo’ Sinistro, 16) Ala, 17) Pilcante, 18) Marani, 19) Santa Margherita, 20) Sant’Anna, 21) Corné, 22) Chizzola, 23) Serravalle, 24) Cazzano, 25) Brentonico, 26) Crosano, 27) Besagno, 28) Marco, 29) Tierno, 30) Sano, 31) Mori, 32) Loppio, 33) Albaredo, 34) Ravazzone, 35) Manzano, 36) Valle San Felice, 37) Nomesino, 38) Corniano, 39) Lizzana, 40) Trambileno, 41) San Nicolò, 42) Terragnolo, 43) Lombardi, 44) Lizzanella, 45) Lenzima, 46) Pannone, 47) Varano, 48) Chienis, 49) Gardumo, 50)Ronzo, 51) Folas, 52) Isera, 53) Sacco, 54) Porte, 55) Rovereto, 56) Serrada, 57) Zaffoni, 58) Saltaria, 59) Toldi, 60) Marano, 61) Brancolino, 62) Sasso, 63) Nogaredo, 64) Volano, 65) Folgaria, 66) Peneri, 67) Pedersano, 68) Castellano, 69) Piazzo, 70) Pomarolo, 71) Chiusole, 72) Nomi, 73) Basiano, 74) Calliano, 75) Savignano, 76) Besenello, 77) Villa Lagarina. la carta di distribuzione dei reperti isolati e dei siti distribuiti tra età romana e altomedievale (fig. 4) sostanzialmente rispecchi una viabilità in senso nord-sud presente lungo ambedue i lati della valle. Il primo percorso, in sinistra Adige, è ad una quota relativamente bassa e sostanzialmente ripropone il percorso della SS 12 “del Brennero” prima delle rettifiche degli ultimi 30 anni, un tracciato che secondo parte degli studiosi, va identificato con quello della Claudia Augusta a Pado nel tratto VeronaTrento (Rigotti 1991 e da ultimo Rigotti 2011). Per quanto concerne il versante in destra Adige, mediamente più in quota, le interpretazioni non sono parimenti concordi. Secondo alcuni ricercatori potrebbe trattarsi della Claudia Augusta (Chiocchetti, Chiusole 1965: pp. 29-47), secondo altri saremmo invece molto più probabilmente davanti ad un insieme di tracciati, non necessariamente congiunti, che collegavano tra loro più località ubicate sui pendii o sul fondovalle del versante occidentale (Rigotti 2011: 36-37; per una visione riassuntiva delle ipotesi formulate negli anni anche Rigotti 1986; sostanzialmente concorde è anche Migliario 2013: 95. Più recentemente è invece prevalsa l’ipotesi (Basso 2004: 191-192) che il percorso fosse unico per quanto in parte condotto su una riva, in parte sull’altra riva del fiume). MEDIOEVO NELLE VALLI A prescindere dall’identificazione o meno della via consolare, il dato in ogni caso significativo è che la viabilità antica e gli insediamenti confermano l’ipotesi di uno sfruttamento a mezza costa e delle sommità non solo nella sinistra ma anche nella destra Adige. Questo fenomeno era del resto stato evidenziato ancora nel 1992 da Enrico Cavada il quale aveva individuato diversi elementi interpretabili come catalizzatori dell’insediamento in una o nell'altra sponda del fiume. In sinistra Adige determinante sarebbe stata la presenza di tracciati viari ufficiali, in destra Adige, invece, la maggiore esposizione al sole e la fertilità del suolo (Cavada 1992: p. 104). Tenendo a mente la conformazione della valle, il tracciato del fiume in epoca antica, e quanto detto sopra in relazione alle trasformazioni paleo climatiche documentate in regione tra tardo antico e medioevo, è però d’altro canto probabile che, per lo meno tra V e X secolo, questi percorsi in quota fossero stati almeno in parte favoriti da specifiche condizioni ambientali. Le modalità insediative nel fondovalle e a mezza costa In accordo con quanto detto sopra a proposito della viabilità, i dati archeologici di epoca medievale suggeriscono che i luoghi privilegiati per l’insediamento fossero ubicati, come in età precedente, alla base dei conoidi o a mezza costa. Per i problemi di gestione delle acque sopra riportati, la parte più centrale del fondovalle rimase invece sostanzialmente libera, così come suggeriscono alcuni interessanti casi di studio: la Vallagarina, la Piana Rotaliana e l'area compresa tra Castelfeder e Merano. La Vallagarina Nel sopracitato saggio del 1992 Enrico Cavada aveva elaborato per la Vallagarina (il comparto della Valle dell’Adige convergente su Rovereto) (fig. 4), un modello tuttora valido secondo il quale, nonostante alcuni elementi di novità, si registrava una sostanziale continuità tra tardo antico e alto medioevo. In estrema sintesi, lo studioso aveva ipotizzato che nella porzione trentina meridionale della valle atesina i sistemi di appoderamento e le modalità di sfruttamento della terra sarebbero rimasti sostanzialmente quelli di età romana, caratterizzata da una “struttura polinucleata delle sedi” e da uno sfruttamento combinato di aree di fondovalle e di mezza costa o montagna. Le novità erano caso mai costituite dal fatto che, a partire dal V-VI secolo, alcuni siti avevano risalito i versanti e oltrepassato il limite dei 500 metri. Almeno in alcuni comparti era stato inoltre riscontrato un “accorpamento delle abitazioni in nuclei di maggiore dimensione” con conseguente “svuotamento di alcuni settori”. Questi territori di maggiore concentrazione insediativa erano presenti sia in destra Adige (nell’area delle attuali Nomi-Nogaredo-Servis e del terrazzo di Mori), sia in sinistra Adige in corrispondenza della fascia Volano-S.Ilario-Rovereto. Una concentrazione resa più significativa dal fatto che, proprio in queste aree, è documentato un infittirsi di ritrovamenti e toponimi germanici oltre che di pievi (Cavada 1992: 122-123). Un’ulteriore novità era costituita dal fatto che nel fondovalle, ampie porzioni di territorio erano state interessate da fenomeni insediativi solo dopo 41 42 ELISA POSSENTI l’XI secolo in seguito alla colonizzazione agraria promossa dall’autorità vescovile e dai suoi ministeriales (Cavada 1992: 99). Prendendo le mosse da quanto affermato dal collega Cavada si può oggi aggiungere che gli insediamenti si infittirono proprio dove erano ubicati alcuni centri di particolare rilievo territoriale. E’ il caso dell’altopiano di Servis, secondo alcuni studiosi locali corrispondente alla Sarnis della Tabula Peutingeriana (Chiocchetti, Chiusole 1965: 13-28) In questa località e a prescindere dall’identificazione con il toponimo romano (non accettata da tutti gli studiosi) sono infatti state individuate alcune sepolture con militaria databili al pieno V secolo (Cavada 2002). Oppure è il caso di Mori e Besenello, sui due opposti lati della valle i quali, sorti in corrispondenza di un’antica ansa e contro ansa fluviale, bloccavano in età antica qualsiasi passaggio via terra nel fondovalle; o ancora, dell’altura dove sorgeva il medievale Castello di Lizzana, a sud di Rovereto, dove furono scavati i resti di una considerevole necropoli di armati longobardi (Maurina, Postingher 2009: 61-94). La piana Rotaliana e l’area di Monreale Königsberg Fig. 5. Transetto nord della Piana Rotaliana visualizzato in CCR (da Girardi 2011-12). Fig. 6. Tracce paleo idrografiche relative al conoide del torrente Noce (linea rossa tratteggiata) e al fiume Adige (linea nera continua) (da Girardi 2011-12). Il modello elaborato per la Vallagarina trova sostanziale conferma in altri comparti della valle atesina per i quali sono disponibili, accanto ai più tradizionali ritrovamenti archeologici, dati derivati da una parte dall’utilizzo di tecniche di indagine da remoto (Lidar), dall’altra dall’analisi delle trasformazioni paleoambientali. Un interessante caso di studio è a questo proposito costituito dalla Piana Rotaliana, collocata a metà strada tra Trento e Bolzano, i cui attuali centri demici di riferimento sono Mezzolombardo e Mezzocorona. In questo ampio areale sono in particolare ben leggibili numerosi paleo alvei dell’Adige documentati da una parte dalle attuali partizioni agrarie i cui limiti coincidono con gli antichi corsi d’acqua, dall’altra da una recente attività di telerilevamento (Girardi 20112012) (figg.5-6). MEDIOEVO NELLE VALLI 43 Nella piana, che per inciso vide anche lo scontro tra Longobardi e Franchi, per l’appunto, in campo Rotaliani (H.L. III,9), gli insediamenti romani e altomedievali, compresi i luoghi di culto, erano sostanzialmente ubicati a ridosso dei rilievi (fig. 7) probabilmente per effetto di un quadro idrografico difficilmente controllabile (l’area si trova infatti alla confluenza tra l’Adige e il torrente Noce). Un criterio che è del resto confermato, seppure in negativo, dal sito rurale di Drei/Cané a Mezzocorona (al centro della piana), il quale entro gli inizi del VI secolo fu abbandonato a causa di eventi alluvionali (Cavada 1994: 61-62). Fig. 7. Piana Rotaliana, carta dei siti archeologici (in rosso) e delle evidenze riscontrate in remoto (in verde) (da Girardi 201112). 44 ELISA POSSENTI Alcune linee sepolte (fig. 8), individuate tramite il Lidar e interpretabili come possibili partizioni agrarie, definiscono e articolano però maggiormente il quadro insediativo di età medievale di questo tratto di fondovalle, indicato come paludoso nel catasto austriaco. Anche se è impossibile pronunciarsi sulla cronologia iniziale di queste linee sepolte (per le quali l’unico dato certo è costituito dall’anteriorità cronologica rispetto al catasto austriaco), alcuni indizi fanno infatti ipotizzare che possano risalire al pieno medioevo. In un atto del 1304 relativo alla riconsegna e a alla nuova investitura di un terreno apud paludem ubicato nell’attuale paese di Magré (poco più a nord dell’area indagata con il Lidar) si riporta infatti che il pezzo di terra in oggetto era coltivato in parte a vigna, in parte a prato e in parte ad arativo (Belloni 2009: 257-258, n. 303). E’ pertanto probabile che, complice la congiuntura paleo climatica favorevole di età basso medievale il vescovo di Trento, tramite i suoi vassalli, avesse incentivato lo sfruttamento e forse anche il risanamento del comparto atesino a nord del capoluogo. Altre tracce sono d’altro canto costituite, un po’ più a sud, da indicatori questa volta riferibili ad attività minerarie grazie alle quali è ulteriormente precisabile il quadro economico complessivo dell’area (fig. 9). Fig. 8. Piana Rotaliana, con le tracce paleo-agrarie (in rosso) e le aree indicate come paludose nel catasto asburgico (in azzurro) (da Girardi 2011-12). Le testimonianze archeologiche di un tale tipo di sfruttamento del sottosuolo sono costituite dalle numerose anomalie identificate con il Lidar in sinistra Adige nel territorio montano di Faedo e Lavis (Girardi 2011-12: 243-248). Nello specifico si tratta delle tracce circolari lasciate dai cosiddetti “cadini”, ben noti nel vicino comparto minerario del monte Calisio (Valsugana), i quali altro non sono che gli imbocchi delle miniere o, più semplicemente, delle grandi fosse a cielo aperto praticate dai minatori per l’estrazione del minerale (Casagrande 2013: 262-265). Tali presenze, già nota in passato (Hochenegg, Mutschlechner, Schadelbauer 1959: 13-14), trovano in primis riscontro nel dato toponomastico, purtroppo non databile in modo circostanziato e costituito da località come Cadino e Cadino Alto nel comune di Faedo (per una rassegna esaustiva Zammatteo 2004: 69-71). Molto più significativi sono tuttavia alcuni dati documentari la cui lettura, incrociata con il dato archeologico e con quello toponomastico, fa ipotizzare una florida attività mineraria gestita forse già a partire dalla fine dell’XI secolo da alcune grosse famiglie nobiliari di origine transalpina radicatesi nei territori immediatamente a nord di Trento. Come noto il primo riferimento ad un’organizzazione mineraria trentina risale, senza specifiche coordinate geografiche, al 1185 quando il vescovo Alberto da Campo stabilì con i silbrarii (cercatori d’argento) attivi nel principato la corresponsione di determinate somme (CW II: 825-827, cap. 138). Il contenuto di questo atto, da cui si deduce che il presule trentino aveva già a quell’epoca il diritto di sfrutta- MEDIOEVO NELLE VALLI mento delle miniere del suo territorio, fu poi ulteriormente definito e precisato il 15 febbraio 1189 quando l’imperatore Federico I riconobbe al vescovo Corrado II da Beseno la proprietà di tutte le miniere argentifere del ducato di Trento, eccettuate quelle che già appartenevano a titolo allodiale ai conti del Tirolo e a quelli di Appiano (Landi 2018: 61). A sua volta questo documento precedette la redazione del famosissimo Liber de postis montis Arçentarie, costituito da una serie di carte redatte per iniziativa del vescovo Federico Wanga tra il 1208 e il 1214, nelle quali si stabilivano le norme per la gestione e la conduzione delle attività estrattive del Monte Argentario (Calisio), situato a est del capoluogo. In quest’ultimo blocco di documenti i soggetti interessati erano da una parte il vescovo, proprietario delle miniere, dall’altra gli imprenditori minerari (Braunstein 1993: 285-288; CW, II: 812-832, cap. 135-140, Casagrande 2013). Ritornando alla valle dell’Adige a nord di Trento, c’è quindi motivo di credere che l’attività estrattiva fosse gestita direttamente in età medievale dalla sopra ricordata famiglia degli Appiano, il cui possesso di bacini minerari (né più né meno che come era successo per il principe-vescovo di Trento) era parte integrante delle concessioni 45 Fig. 9. Ricostruzione del paesaggio minerario di Faedo (rielaborato da Girardi 2011-12). 46 ELISA POSSENTI Fig. 10. Siti di V-VIII secolo tra Ora/Auer e Merano (da Marzoli, Bombonato, Rizzi 2009) territoriali effettuate dall’imperatore (Landi 2018: 61). Sappiamo infatti che la zona di Lavis e Faedo era di competenza di questa famiglia, la quale giunta nel territorio trentino dalla Baviera Superiore a metà dell’XI secolo fece erigere poco dopo il 1230 il Castello di Monreale/Königsberg, poi passato nel 1276 ai Tirolo cui rimase fino alla soppressione dei diritti feudali nel 1830 (Landi, Gentilini, Zamboni 2013: 167168). Gli Appiano che controllavano le attività minerarie di Faedo non si limitavano tuttavia al controllo di questo comparto territoriale. Dai documenti sappiamo infatti che possedevano anche una miniera d’oro nella zona di Tassullo in val di Non, ceduta al vescovo di Trento nel 1181, oppure anche miniere di ferro in val di Fiemme dove ancora nel 1242 esercitavano diritti (Landi 2018: 61-62). Le vicende del castello di Monreale, dirimpettaio alla zona caratterizzata dalle anomalie Lidar sopra descritte, consentono d’altro canto di aprire una finestra non solo sulla composizione della nobiltà ma anche di parte della popolazione rurale e mineraria, la quale, esattamente come il vescovo era di origine tedesca. Transalpini dovevano infatti essere anche i coloni che gli Appiano impiegarono “per mettere a coltura le zone circostanti il castello, nel territorio compreso tra Cadino a Lavis” (quindi praticamente fino alle porte di Trento) “così come tedesca sembra essere stata la maggioranza della popolazione del territorio dipendente dal castello fra la metà del XIV e l’inizio del XVII secolo, per lo meno quella stanziata lungo l’asse dell’Adige” (Landi, Gentilini, Zamboni 2013: 167). Contemporaneamente, un po’ in tutto il Trentino la nobiltà che sosteneva le attività imprenditoriali legate allo sfruttamento minerario promosse d’altro canto l’ingresso di manodopera specializzata di origine tedesca, la quale proveniva da territori che nel XII secolo erano stati “la culla dello sviluppo minerario europeo”. Tali presenze sono attestate per altre aree trentine (valle del Fersina, Valsugana, Val di Sole; cfr. Varanini 2004: 489-490) ma è verosimile che si fossero manifestate anche in altri comparti, quali la piana rotaliana e i rilievi circostanti, caratterizzati da risorse naturali e dinamiche sociali simili. MEDIOEVO NELLE VALLI 47 La valle dell’Adige tra Castelfeder, Bolzano e Merano Un quadro con significativi punti di contatto con quanto detto sopra è d’altro canto desumibile dall’area imperniata sui castra altomedievali di Castelfeder, Bolzano e Merano (fig. 10). In questo territorio, i cui dati provengono da scavi archeologici (topograficamente meno estesi di una campagna di telerilevamento, ma molto più precisi da un punto di vista cronologico) si è infatti documentato nel fondovalle e sui versanti un popolamento ininterrotto, fino al VI e VII secolo se non oltre, sia sul sedime di precedenti costruzioni di età romana che di età tardo romana (Marzoli, Bombonato, Rizzi 2009: 173). Tale continuità era stata intravista già negli anni ’90 del secolo scorso (Nothdurfter 1991) ma è poi stata ribadita da alcuni nuovi e recenti rinvenimenti, come nella villa romana di San Paolo ad Appiano. In questo caso l’importante complesso edilizio, originariamente costituito da più vani, alcuni dei quali pavimentati a mosaico, rimase certamente in uso fino al V e forse anche nel VI secolo. In epoca successiva il sito non fu però abbandonato e fino al IX secolo continuò ad essere abitato, seppure con un parziale riutilizzo delle strutture di epoca precedente e la stesura di un consistente riporto che innalzò in modo considerevole i piani d’uso (Marzoli, Bombonato, Rizzi 2009: 164) (fig. 11). In area altoatesina il riuso di strutture più antiche è del resto ben noto in letteratura ed è soprattutto legato al Fig. 11. Appiano S.Paolo (BZ), massicciata altomedievale al di sopra di un mosaico tardo antico (da Marzoli, Bombonato, Rizzi 2009). fenomeno delle cosiddette “massicciate obliteranti”, costituite da consistenti riporti di pietrame che obliteravano completamente complessi edilizi di età romana e in merito ai quali prevale oggi l’idea che si trattasse di piattaforme di drenaggio su cui 48 ELISA POSSENTI costruire, al di sopra, delle capanne lignee (Dal Rì, Rizzi 1994: 137-139; Possenti 2016: 102-103). Fig. 12. Ora/Auer, chiesa di S. Pietro, risultati delle prospezioni georadar effettuate nel 2017 dall’Università di Colonia (da Broisch 2018). La differenza tra età romana e medioevo era anche in questo caso nella quantità e nella distribuzione degli abitati: mentre in età romana i siti erano presenti in tutta la Valle dell’Adige, nell’alto medioevo i centri demici, anche di fondovalle, sembrerebbero essersi concentrati nei dintorni di castelli o di insediamenti d’altura che evidentemente erano dei punti di riferimento importanti nel territorio. Esemplare è il caso di Castelfeder, ai cui piedi sono state rinvenute le aree funerarie di MontagnaPinzon e di Ora-Schwarzenbach (Marzoli, Bombonato, Rizzi 2009: 166-173). Sempre per Ora può essere d’altro canto citata la recentissima individuazione, tramite georadar, di un edificio di culto al di sotto dell’attuale chiesa gotica di S. Pietro, la cui cronologia potrebbe effettivamente essere di età altomedievale (Broisch 2018) (fig. 12). Gli insediamenti, così come abbiamo visto nell’area di Rovereto, erano inoltre disposti lungo il tracciato della Claudia Augusta. Quest’ultima rimase a lungo in uso prima di essere sostituita a partire da Bolzano dalla via del Brennero. Uno scavo archeologico subito a sud del passo di Resia ha infatti identificato un edificio, forse una mansio, utilizzata per lo meno fino al VII secolo, così come indicato da alcuni complementi di abbigliamento rinvenuti (Marzoli, Bombonato, Rizzi 2009: 174-175; Steiner 2009: 44). MEDIOEVO NELLE VALLI Questi dati nel loro complesso sono estremamente significativi dal momento che precisano meglio l’effettiva incidenza delle trasformazioni paleo ambientali (le alluvioni e gli impaludamenti) e geologiche (i terremoti) di cui ho parlato in apertura del contributo. Questi ultimi furono dei fenomeni certamente impattanti i quali in alcuni siti (Egna, Mezzocorona, le aree extraurbane di Trento) portarono in effetti alla scomparsa fisica di edifici mai più ricostruiti. L’evidenza archeologica ci dice tuttavia che almeno in alcuni casi, che vanno però valutati di volta in volta (e per questo lo scavo è imprescindibile) il fondovalle atesino, già abituato ai pericoli derivanti dal dissesto idrogeologico, non fu del tutto abbandonato e anzi il popolamento sfruttò siti di età precedente, forse senza soluzione di continuità cronologica. Caso mai cambiarono le strutture abitative (il legno al posto delle murature) ed emersero come nuovi centri di riferimento i castelli e gli insediamenti d’altura. Castra, castelli e chiuse Le indagini nell’area altoatesina hanno d’altro canto evidenziato che castelli e chiuse di età tardo antica e medievale se non precedente, vennero utilizzati ancora per secoli. Nella vita di San Corbiniano si menzionano infatti truppe di guardia a controllo della Val Venosta, mentre gli scavi archeologici hanno dal canto loro documentato una continuità tra alto medioevo e secoli centrali del medioevo a Castelfeder, Castelfirmiano e Castel Tirolo, siti nei quali poi sorsero castelli di età pienamente medievale (Marzoli, Bombonato, Rizzi 2009: 177-178). Un dato questo che è meno chiaro per la parte trentina ma che almeno in alcuni casi può essere ipotizzato. Tale è la situazione del Doss Trento che di fatto rimase, in quando sede del castrum Tridenti e del più tardo “Castel Trento”, un’importante sede di potere utilizzata per almeno settecento anni. In questo sito sono infatti note testimonianze archeologiche relative ad un imponente complesso fortificato probabilmente risalente all’età tardo antica, proseguito in epoca gota e longobarda e poi arrivato al capolinea intorno alla metà del XIII secolo quando la fortificazione, in destra Adige, perse progressivamente importanza in seguito alla costruzione del Castello del Buonconsiglio, sul lato opposto del fiume (Possenti 2013a). Oppure, per quanto solo in traccia, nel sopra citato castello di Lizzana, a sud di Rovereto, ai cui piedi è stata documentata una considerevole necropoli di armati longobardi e dal cui sedime, purtroppo distrutto tra le due guerre mondiali, proviene una fibula a smalti di XI secolo (Maurina, Postingher 2009). Per quanto concerne le chiuse atesine, ovvero i sistemi di sbarramento fisico del fiume e il contestuale controllo delle vie di terra adiacenti, alcuni studiosi si sono infine recentemente occupati di alcuni casi trentini sulla base di quanto conservato fuori terra (generalmente molto poco e di età basso medievale) e dei dati d’archivio e della cartografia storica (Brogiolo, Azzolini 2013; Brogiolo 2014; Azzolini 2018). Un buon esempio è al proposito costituito dalla chiusa di Chizzola (fig. 13) la quale era a sua volta collegata alla chiusa di Verona e di Castelpietra (quest’ultima sempre in territorio trentino). Attualmente l’aspetto più problematico dello studio di queste strutture è costituito dalla loro cronologia iniziale, solo ipoteticamente tardo antica (cfr. al proposito le osservazioni in Possenti 2013b). Quello che è invece certo è che i luoghi dove si svilupparono questi complessi fortificati divennero nei secoli centrali e finali del medioevo degli importanti capisaldi di controllo militare e daziario. 49 50 ELISA POSSENTI Fig. 13. La chiusa di Chizzola (elaborazione S. Benedetti, da Azzolini 2018). Una funzione completamente diversa è invece attribuibile ai castelli, in senso proprio, attestati in Trentino solo in una fase tarda, per lo più a partire dal tardo XII secolo. Che fossero sorti o meno su preesistenze di età tardoantica-altomedievale, vanno infatti ritenuti espressione della nobiltà locale, a sua volta legata al principevescovo. Anche se si trattava certamente di centri di potere politico e militare potremmo definire la funzione di questi castelli “direzionale”. E’ il caso, ad esempio, del castello di Monreale visto sopra, cui era sottoposto un importante bacino agricolo e probabilmente anche minerario. Devo invece rinunciare, per motivi di spazio a commentare la parte relativa alla cultura materiale, sulla quale si è solo recentemente iniziato a lavorare in una prospettiva che tenga conto della posizione del principato di Trento tra i territori a nord e a sud delle Alpi (si vedano ad esempio i risultati cui è arrivata Degasperi 2012 e 2013 in relazione ai casi Castellalto, in Valsugana, e di Ossana, in Val di Sole). Mi limito semplicemente a citare un tipo di reperti che attesta indiscutibilmente come in età basso medievale il bacino della valle dell’Adige, da Trento verso nord fosse, per lo meno per quanto concerne le aristocrazie, legato ai contesti settentrionali da cui queste stesse traevano origine: mi riferisco alle stufe le cui formelle, a volte dei veri e propri oggetti d’arte, rimandano inequivocabilmente a prototipi di ambito transalpino (Roncan 2006, Lorandi 2013-14). 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