studi
e ricerche
Presenze ebraiche in Umbria meridionale
dal medioevo all’età moderna
Spello, Collegiata di Santa Maria Maggiore, Cappella Baglioni. Pinturicchio,
(particolare), afresco (15001501 ca.). Nell’immagine riprodota
è raigurato un esempio delle cosiddete “tovaglie perugine”, manufati
tipici della produzione tessile delle
comunità ebraiche stanziate nel basso
medioevo in Umbria e in altri territori
dell’Italia centrale.
Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea
a cura di
Ati della giornata di studi, Acquasparta 12 giugno 2014
ISBN 978-88-88802-87-9
ISSN 1973-9990
€ 17,00
a cura di
Paolo Pellegrini
le
Editoriale Umbra
Il volume contiene gli ati della giornata di studi Presenze ebraiche in Umbria
meridionale dal medioevo all’età moderna,
tenutasi ad Acquasparta il 12 giugno
2014 e organizzata dall’Associazione
culturale Lynks e dall’Associazione Italia-Israele di Perugia in collaborazione
con l’Istituto per la storia dell’Umbria
contemporanea, l’Istituto per le ricerche storiche sull’Umbria meridionale e
il Dipartimento di Letere, Lingue, Letterature e Civiltà antiche e moderne
dell’Università di Perugia.
Se da un lato i saggi qui raccolti si inseriscono in un ormai consolidato ilone
di ricerche, quelle, appunto, sugli ebrei
nell’Umbria di età medievale e moderna, dall’altro, concentrandosi sulla parte della regione meno studiata, ofrono
nuove acquisizioni e consentono di
ricostruire in modo più circostanziato
le declinazioni locali degli aspeti indagati, confermando, peraltro, quanto
possa rivelarsi ricca di informazioni la
parte di patrimonio documentario ancora da esplorare.
Dall’insieme emerge la centralità che
nella relazione ebraico-cristiana ebbe
il territorio inteso come luogo di arrivi
e partenze e di scelte residenziali, ma
sopratuto come ambito nel quale si
realizzarono gli scambi e le interazioni
fra i due gruppi. L’analisi delle pratiche che concretamente segnarono l’inserimento degli ebrei nelle realtà prese
in esame permete, così, di delineare
non solo gli ateggiamenti assunti verso essi dalla società “ospitante”, ma
anche, di rilesso, la parte giocata dagli
“ospiti” nel confronto con l’ambiente
circostante, di là dalle categorie talvolta fuorvianti di “maggioranza” e “minoranza”.
Studi
e ricerche
© 2017 Editoriale Umbra, Foligno
Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea, Perugia
Cover graphic: Karine J. Pasqui
ISBN 978-88-88802-87-9
ISSN 1973-9990
L. ANDREANI M.L. BUSEGHIN L. CERQUEGLINI R. CORDELLA F. LATTANZIO
F. LEZI M. MASCI P. PELLEGRINI A. SANTILLI
Presenze ebraiche in Umbria meridionale
dal medioevo all’età moderna
Atti della giornata di studi, Acquasparta 12 giugno 2014
a cura di
Paolo Pellegrini
EDITORIALE UMBRA
Indice
Introduzione
7
Gli ebrei negli statuti comunali dell’Umbria meridionale (secc.
XIII-XVI)
Laura Andreani
13
Ebrei a Norcia tra fine Trecento e primo Quattrocento: normative
locali e attività
Federico Lattanzio
29
«La iente de berretta ialla». Spigolature sulla presenza ebraica in
Valnerina e a Spoleto
Romano Cordella
41
Gli ebrei a Orvieto nella prima metà del Quattrocento
Antonio Santilli
81
Ebrei nella Terra di Acquasparta nel secolo XVI
Mauro Masci
99
Misericordia e mercato. Storia del Monte di Pietà di Spoleto dal
XV secolo alla prima metà del XVIII secolo
Francesco Lezi
121
Famiglie di banchieri ebrei nell’Umbria meridionale tra Quattrocento e Cinquecento
Letizia Cerqueglini
167
La mobilità degli ebrei nella provincia pontificia tra spazi economici
e controllo ecclesiastico: il caso di Terni nella tarda età moderna
Paolo Pellegrini
189
Arte tessile ebraica in Umbria tra XIV e XX secolo: note di ricerca
e ipotesi d’approfondimento
Maria Luciana Buseghin
217
Indice dei nomi
243
Gli autori
254
Introduzione
di Paolo Pellegrini
Tra le prime ad essere toccate dalla corrente migratoria di banchieri che
a fine Duecento lasciarono Roma in cerca di nuovi sbocchi professionali,
molte città umbre divennero allora sedi di fiorenti comunità ebraiche che
sarebbero state cancellate dai provvedimenti di espulsione del papato di età
controriformistica. Dell’«Umbria ebraica “romana”», come l’ha chiamata
Ariel Toaff, oggi conosciamo molto, grazie anzitutto allo stesso Toaff, che
fra la metà degli anni settanta e i primi anni novanta del secolo scorso ha
pubblicato ricerche fondamentali per comprendere le declinazioni locali
di un fenomeno che la precedente storiografia umbra e sull’Umbria aveva
appena sfiorato, non andando oltre le sporadiche curiosità dell’erudizione
ottocentesca e primonovecentesca (i nomi che vengono subito in mente
sono quelli di Lorenzo Leonij e di Ariodante Fabretti) e qualche “incursione” da parte degli storici dei Monti di pietà.
Coltivato in seguito anche da altri autori, quello sugli ebrei nell’Umbria tardomedievale e protomoderna è, dunque, un filone di studi ormai collaudato, in cui ora si inseriscono gli atti del convegno Presenze
ebraiche nell’Umbria meridionale dal medioevo all’età moderna, tenutosi
ad Acquasparta, in provincia di Terni, nel giugno del 2014 e organizzato
dall’Associazione culturale Lynks e dall’Associazione Italia-Israele di Perugia con la collaborazione anche dell’Istituto per la storia dell’Umbria
contemporanea. Sul piano della cronologia, con l’incontro di Acquasparta
si è scelto di superare la cesura rappresentata dalla seconda metà del XVI
secolo, quando le bolle di Pio V e Clemente VIII costrinsero gli ebrei dello
Stato ecclesiastico a trasferirsi dentro i ghetti di Roma e di Ancona o, in
alternativa, abbandonare i possedimenti pontifici. La riflessione, infatti, è
stata estesa all’intera età moderna, che ormai la storiografia prolunga sino
all’Ottocento e che in passato è stata poco frequentata della giudaistica
italiana, concentratasi soprattutto sul basso medioevo e sulla fase delle
persecuzioni nazi-fasciste. Un allargamento degli orizzonti temporali,
questo, dettato anche dalla consapevolezza che in alcuni centri umbri
la scomparsa di gruppi stanziali (che fu assai meno repentina di quanto
in genere si pensi) non determinò affatto la definitiva cancellazione dei
7
PRESENZE EBRAICHE IN UMBRIA MERIDIONALE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
contatti fra cristiani ed ebrei – obiettivo della politica segregazionista della
Chiesa – ma, piuttosto, una loro trasformazione in forme meno stabili e
più discontinue, ma non per ciò prive di interessanti implicazioni.
Relativamente alla dimensione geografica, si è invece optato per un restringimento del campo d’indagine alla sola Umbria meridionale. Considerata secondo la nota definizione/delimitazione proposta molti anni fa dalla
geografa Maria Rosa Prete Pedrini, che vi incluse il Ternano, l’Orvietano,
il Tuderte e lo Spoletino, questa parte della regione, peraltro, risulta essere
la meno studiata. Per nessuno degli insediamenti che vi si formarono, per
esempio, esistono monografie di ampio respiro come quelle di cui sono
stati oggetto i nuclei di Perugia, Città di Castello, Assisi o Gubbio.
L’intento di fornire nuove acquisizioni si è coniugato, così, con la
chiave di lettura proposta agli autori e da questi condivisa: ricostruire
aspetti della presenza ebraica nell’area in esame partendo non tanto da
un’ottica interna, ma dalle relazioni con il territorio, inteso come luogo
di arrivi e partenze e di scelte residenziali, ma soprattutto di scambi e di
interazioni. Ferme restando le dinamiche più generali che si riscontrano
in tutta la periferia pontificia e che costituiscono le coordinate da tenere
necessariamente presenti se si vuole evitare quella decontestualizzazione
di eventi e processi che talvolta si nota in alcuni lavori, spostare l’attenzione sulle pratiche che concretamente segnarono l’inserimento degli ebrei
in determinati contesti permette di delineare non solo gli atteggiamenti
assunti verso essi dalla società “ospitante”, ma anche, di riflesso, la parte
giocata dagli “ospiti” nel confronto con l’ambiente circostante. In altri
termini, è sul terreno della dialettica fra i due gruppi, di là dalle categorie
di “maggioranza” e “minoranza”, che si possono cogliere elementi che
permettono di uscire da un cliché, quello della passività degli ebrei, che
ostacola la piena comprensione della complessità delle relazioni da essi
instaurate con il mondo “gentile”. Come sta emergendo da una storiografia più aderente alla situazione rispecchiata dalle fonti, gli ebrei, invece,
mostrarono un protagonismo spesso ignorato e inoltre essi, per secoli
l’unica enclave di “infedeli” all’interno del mondo cristiano, imposero ai
propri interlocutori di misurarsi con la loro alterità.
Il confronto con la “diversità” ebraica è uno degli aspetti che emerge
già nel contributo che apre il volume, in cui Laura Andreani passa in rassegna i capitoli dedicati agli ebrei in alcuni statuti comunali risalenti al
XIII-XVI secolo. Se è infatti vero, come rileva l’autrice, che norme di questo
tipo non sono molto frequenti, rendendo le fonti statutarie poco utili per
analizzare i rapporti degli ebrei con i governi locali e la loro integrazione
nel tessuto cittadino, tuttavia va rilevato come spesso il presupposto di tali
disposizioni sia proprio l’identità “altra” degli ebrei, magari da rendere
visibile attraverso l’obbligo di indossare il segno distintivo previsto dallo
statuto di Norcia del 1526. Una “diversità” che poteva essere avvertita anche
8
INTRODUZIONE
come un pericolo quando il legislatore comunale recepiva miti e stereotipi
dell’antigiudaismo medievale: emblematica, al riguardo, è la rubrica dello
statuto di Narni del 1371 che proibiva agli ebrei di risiedere in prossimità
di fonti d’acqua, con un evidente richiamo alla leggenda secondo cui essi,
avvelenando pozzi e sorgenti, sarebbero stati i responsabili dell’epidemia
di peste che a metà Trecento falcidiò un terzo della popolazione europea.
Anche l’esercizio del prestito, com’è noto, alimentò campagne antiebraiche scatenate dal movimento dell’Osservanza e in genere sfociate
nella nascita di istituti, i Monti di pietà, che avrebbero dovuto riportare in
mani cristiane un ramo dell’economia locale controllato da non cristiani.
Di tali problematiche qui si occupano Francesco Lezi e Antonio Santilli.
Lezi prende in esame la fondazione nel 1469 del Monte di Spoleto e ne
ripercorre la storia fino alla metà del XVIII secolo. Utilizzando un ricco
apparato di tabelle e di dati statistici, illustra i meccanismi di funzionamento dell’istituto e i differenti piani – finanziario, economico e sociale
– attraverso i quali svolse la sua funzione all’interno della realtà spoletina.
Dal lavoro di Santilli, incentrato su Orvieto, ugualmente si evince come
i frati osservanti per buona parte del Quattrocento abbiano rappresentato il principale elemento di rottura insinuatosi nelle relazioni fra ebrei
e magistrature cittadine, ma se ne traggono anche conferme di quanto
sostenuto da tempo da Michele Luzzati, che ha messo in evidenza come
quella del commercio del denaro in realtà fosse la via tramite la quale gli
ebrei entravano nel sistema economico delle città con l’obiettivo di inserirsi
in altri comparti. Particolarmente interessante, da questo punto di vista, è
il ritratto che Santilli traccia di maestro Gaio di Musetto, diviso fra l’impegno di banchiere e la gestione di un cospicuo patrimonio immobiliare
formatosi, oltre che con l’acquisizione di pegni non riscossi, attraverso
continue compravendite specie di vigne e di terreni coltivabili.
La ricerca di spazi professionali alternativi, per le modalità con le quali
spesso si attuò, rivela anche un altro aspetto che merita di essere sottolineato e cioè la capacità di individuare settori chiave dell’apparato produttivo
di un territorio sui quali “puntare”, segno di un’intraprendenza che faceva
degli ebrei operatori economici consapevoli e tutt’altro che rassegnati al
ruolo di usurai in cui erano stati relegati dalle leggi canoniche. Nel caso
di Norcia, per esempio, essi investirono massicciamente nel settore tessile, come ci informa Maria Luciana Buseghin in un intervento che offre
un’originale prospettiva dalla quale osservare gli scambi e le interazioni
cui si accennava prima. I manufatti realizzati nella città di san Benedetto,
infatti, risultano essere stati il frutto di “contaminazioni” tra la perizia della
manodopera locale e le tecniche di fabbricazione conosciute dagli ebrei,
tradizionalmente presenti in quel comparto dell’artigianato.
Sulla comunità nursina fra XIV e XV secolo si sofferma pure Federico
Lattanzio, rilevando la già accennata complessità della relazione ebrai9
PRESENZE EBRAICHE IN UMBRIA MERIDIONALE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
co-cristiana: anche nel comune dell’alta Valnerina gli ebrei, da un lato,
poterono ritagliarsi una posizione non marginale all’interno del sistema
economico e, dall’altro, furono i destinatari di misure discriminatorie che
rimandano – di nuovo – al non facile confronto con la loro “diversità”.
Il rapporto con il territorio è significativo non solo per esaminare le
dinamiche innescate dalle scelte abitative degli ebrei, ma anche per cogliere i risvolti di un tema, quello della mobilità, che è centrale nelle vicende
dell’ebraismo italiano prima della nascita dei ghetti. Seguendo gli spostamenti di alcune importanti famiglie di prestatori che raggiunsero e poi
abbandonarono l’Umbria, Letizia Cerqueglini, per esempio, evidenzia come
queste migrazioni siano state determinate anche dal crearsi di alleanze
finanziarie e matrimoniali, che, per quanto riguarda i nuclei stanziati nel
sud della regione, spesso coinvolsero correligionari del Lazio e del Regno
di Napoli. A giudizio di Cerqueglini, inoltre, arrivi e partenze sarebbero
avvenuti secondo una cronologia che nelle fasce settentrionale, centrale e
meridionale dell’Umbria variò e rifletterebbero i differenti esiti che nelle
diverse aree ebbe lo scontro fra poteri locali e potere centrale.
Di breve raggio è invece la mobilità di maestro Vitale di Ventura Alatino,
famoso medico ebreo di Spoleto che intorno alla metà del Cinquecento
operò come banchiere sulla piazza di Acquasparta. Dalle ricerche di Mauro
Masci, che pubblica quello che è il primo lavoro sugli ebrei in questa cittadina, risulta che qui maestro Vitale si avvalse soprattutto di correligionari
incaricati della gestione e amministrazione del suo banco, anche se il suo
acquisto di una casa, peraltro di un certo pregio, fa pensare che di tanto
in tanto dovette soggiornarvi. Oltre a maestro Vitale e ai suoi impiegati,
non furono molti gli ebrei attestati ad Acquasparta come residenti o come
“pendolari”, ma la loro presenza costituisce un’ulteriore e finora inedita
testimonianza della capillarità e della dispersione che durante il tardo
medioevo e la prima età moderna caratterizzarono la distribuzione della
popolazione ebraica nell’Italia centro-settentrionale.
La partecipazione alle fiere, dopo il regime di residenza coatta imposto
loro in quasi tutta la penisola, per gli ebrei divenne una delle principali occasioni per allontanarsi dalle proprie città. Come si è cercato di evidenziare
nel contributo di chi scrive, che ci riporta alla Terni della seconda metà del
Settecento e del primo Ottocento, la comparsa di questi mercanti poteva
scatenare reazioni che sono lo specchio di processi di più ampia portata.
Le vertenze apertesi a Terni e in altre città umbre, e ovviamente non solo
umbre, intorno alla presenza degli ambulanti videro infatti contrapporsi
le componenti della comunità locale che esprimevano un antisemitismo in
cui le tradizionali manifestazioni di ostilità si fondevano con rivendicazioni
di carattere economico e quanti, dal fronte opposto, si facevano portatori
– non necessariamente per un disinteressato filosemitismo – di istanze
che lasciano intravedere le incrinature che i nuovi principi provocarono
10
INTRODUZIONE
in una società che, nelle differenti reazioni alle più ampie trasformazioni
in corso, stava perdendo la compattezza delle epoche precedenti.
Romano Cordella, infine, dimostra come a circolare fossero non solo
persone, oggetti e capitali, ma anche i pregiudizi. Dell’ampia ricognizione che egli fa delle testimonianze di varie epoche riguardanti gli ebrei
in Valnerina e a Spoleto, particolare interesse riveste l’analisi delle fonti
iconografiche che dimostrano l’affermarsi nell’ex capitale longobarda
del culto di Simonino da Trento, la cui morte, nel 1475, fu all’origine del
più tristemente noto pogrom scoppiato in Italia contro ebrei accusati di
omicidio rituale. Una leggenda gravida di terribili conseguenze che era
nata in terre lontane e che in poco tempo, attraversando buona parte della
penisola, trovò credito anche in Umbria.
Ringraziamenti
Si ringraziano vivamente, per l’ideazione del convegno di cui ora si pubblicano gli atti e per il determinante impegno nella sua organizzazione, il presidente
dell’Associazione culturale Lynks arch. Riccardo Picchiarati, il vice presidente
dott. Mauro Masci e il socio consigliere arch. Roberto Picchiarati.
Per il patrocinio e per il contributo fornito, grazie anche al Comune di Acquasparta nella persona del sindaco avv. Roberto Romani.
Un sincero ringraziamento, infine, al prof. Mario Tosti, presidente dell’Isuc,
per avere accolto questo volume in una delle collane editoriali dell’Istituto e al
dott. Alberto Sorbini, direttore dell’Isuc, per la preziosa collaborazione nella cura
redazionale dei testi.
11
Gli ebrei a Orvieto nella prima metà del Quattrocento
di Antonio Santilli
Prima di affrontare lo specifico tema di questo contributo, è anzitutto necessario delineare la situazione storiografica relativa alla presenza
degli ebrei a Orvieto nel medioevo: ebbene, salvo alcuni accenni presenti
in lavori di carattere più generale1, fino a qualche anno fa non esistevano
saggi specificatamente dedicati all’argomento. Solo di recente sono stati
pubblicati due contributi, uno di Paolo Pellegrini riguardante il periodo
delle origini della comunità ebraica a Orvieto (1297-1312), l’altro di Cristina Trequattrini, che si concentra in particolare sul periodo 1396-14062. È
inoltre il caso di rilevare che in una raccolta di documenti così ampia come
quella curata da Ariel Toaff sugli ebrei in Umbria, vi sia una sostanziale
assenza di materiale proveniente da fondi di archivio orvietani3.
Si può dunque dire che la presenza degli ebrei a Orvieto nel Quattrocento sia un ambito di ricerca pressoché inesplorato; e si tratta di una
situazione decisamente sorprendente, se si considera la notevole mole
documentaria disponibile presso l’Archivio di Stato di Orvieto (riformagioni comunali, estimi e registri notarili) che da tempo ho esaminato nel
contesto di una più ampia ricostruzione dell’economia e società orvietana
quattrocentesche, oggetto della mia tesi di dottorato4.
1
Cfr., ad esempio, A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Einaudi, Torino 1963, p. 121;
A. ESPOSITO, La presenza ebraica in una regione pontificia nel tardo medioevo: il Patrimonio
di S. Pietro in Tuscia e Viterbo, in Gli ebrei nello Stato pontificio fino al Ghetto (1555). Atti
del VI convegno internazionale «Italia Judaica» (Tel Aviv, 18-22 giugno 1995), Ministero
per i Beni culturali e ambientali, Roma 1998, pp. 187-203, in part. pp. 188-189.
2
P. PELLEGRINI, Le origini della comunità ebraica di Orvieto: note e documenti (12971312), “Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano”, 61-64(2005-2008), pp. 121145; C. TREQUATTRINI, Una comunità ebraica nella Orvieto tre-quattrocentesca: immigrati
ed emigranti, “Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria”, 110/1-2(2013),
pp. 161-176.
3
A. TOAFF, The Jews in Umbria, 3 v., Brill, Leiden-New York-Köln 1993-1994.
4
Orvieto da Martino V a Paolo II (1420-1471). Istituzioni, economia, società, svolta
nell’ambito del Dottorato di ricerca in “Società, politica e culture dal tardo medioevo all’età
contemporanea” (presso La Sapienza Università di Roma), tutor la prof.ssa Ivana Ait.
81
PRESENZE EBRAICHE IN UMBRIA MERIDIONALE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
Tornando allo specifico oggetto di questo contributo, va in primo luogo
notato che tra la fine del Trecento e i primi del Quattrocento a Orvieto
non vi è sostanzialmente più traccia dei discendenti di quel nucleo di
prestatori ebrei, provenienti da Roma, che alla fine del XIII secolo aveva
fondato l’originaria comunità ebraica a Orvieto5. È proprio nell’ottica di
attirare un certo numero di prestatori ebrei e di consolidarne la presenza
in città che devono essere viste le favorevoli condizioni della condotta del
14 marzo 1396, recentemente analizzata da Cristina Trequattrini, condotta
stipulata tra il comune e alcuni ebrei provenienti da Viterbo6; tra questi
ultimi è opportuno menzionare due nomi, Dattilo (o Dattolo) di Consiglio
e Sabatuccio di Venturello, in quanto capostipiti di due nuclei stabilmente
presenti a Orvieto per buona parte del Quattrocento (i loro figli, come vedremo, alla metà del secolo rappresentavano la comunità locale nei suoi
rapporti con il comune)7.
Questa condotta si presentava in primo luogo nella forma di immunità
ed esenzione dagli oneri reali (quali imposte dirette, prestanze, gabelle) e
personali (come il servizio di guardia cittadina, sia diurno che notturno),
in maniera simile a quella prevista per i forestieri che volevano venire ad
abitare a Orvieto, ma con una durata superiore (dieci anni invece di otto);
a tale immunità ed esenzione venne aggiunta una serie di capitula che
avrebbero dovuto regolare l’esistenza stessa di questo nucleo ebraico, a
cominciare da una serie di protezioni giuridiche (ad esempio, gli ufficiali
cittadini non avrebbero potuto costringere gli ebrei a esercitare il prestito o
a svolgere qualunque attività nei giorni in cui celebravano le loro festività);
ma senza dubbio – come rileva Trequattrini – l’elemento che più colpisce
nella condotta del 1396 è l’altissimo tasso di interesse concesso dal comune
a questi feneratori, che potevano prestare con un interesse massimo di
6 soldi al fiorino al mese, pari dunque all’80% annuo8. Ora, se a quanto
PELLEGRINI, Le origini della comunità ebraica di Orvieto cit., pp. 123-125.
TREQUATTRINI, Una comunità ebraica nella Orvieto tre-quattrocentesca cit., pp. 170-173.
7
E, per quanto riguarda Sabatuccio di Venturello, la presenza stabile dei suoi nipoti
Angelo e Gaio a Orvieto, figli di Manuele di Sabatuccio, risulta sicuramente attestata per
gli anni sessanta e settanta: Angelo è presente nell’estimo datato al 1466, dove è allibrato
per 110 lire (SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI ORVIETO (d’ora in poi, ASO), Archivio storico
comunale di Orvieto (d’ora in poi, ASCO), Catasti, vol. 424, c. 118r) e proprio alla fine di
quell’anno ottiene dal comune il permesso per l’acquisto di una vigna (ibid., Riformagioni
(d’ora in poi, Rif.), vol. 217, c. 429r). Gaio compare invece in due atti notarili del 1475
(ibid., Notarile di Orvieto, I versamento (d’ora in poi, Not. di Orvieto I), notaio ser Battista
di Matteo, prot. 65, cc. 1189v-1190r e 1203rv).
8
Ibid., ASCO, Rif., vol. 183/1, cc. 88r-89v; TREQUATTRINI, Una comunità ebraica nella
Orvieto tre-quattrocentesca cit., pp. 171-172. Va notato che nel 1425 i prestatori ebrei attivi
a Rieti presentarono una petizione a quel comune – che aveva deciso di abbassare il tasso
di interesse massimo per i prestiti da 26 a 12 denari a fiorino – «per avere il medesimo
trattamento ottenuto dagli altri ebrei feneranti e dimoranti nel territorio e nelle città
5
6
82
GLI EBREI A ORVIETO NELLA PRIMA METÀ DEL QUATTROCENTO
pare gli ebrei non richiesero mai un interesse così alto, almeno stando a
quanto da loro affermato in una supplica del 14089, che analizzeremo tra
poco, la sola esistenza di una simile possibilità era comunque piuttosto
significativa della assoluta necessità che il comune di Orvieto attribuiva
in quegli anni alla presenza di prestatori ebrei in città.
La base di garanzie e protezioni fornita alla comunità ebraica dalla
condotta del 1396 fu ulteriormente ampliata nel 1408, a seguito di una
supplica al comune discussa nel consiglio generale orvietano del 13 maggio, e finora mai segnalata10. Nella supplica, gli ebrei, molti dei quali già
presenti nell’elenco di coloro che avevano stipulato la condotta del 1396,
si lamentavano per il comportamento degli ufficiali cittadini nei loro confronti, in particolare riguardo a quattro ambiti:
- l’imposizione arbitraria di taglias, prestantias et dativas pecuniarium;
- il prestito forzoso di letti, suppellettili e aliquas massaritias;
- la tendenza, da parte degli ufficiali, a trasformare le cause civili, in
cui una delle parti era un ebreo, in cause criminali;
- infine, l’obbligo per gli ebrei di portare il segno distintivo sui propri
abiti.
Gli ebrei concludevano la loro supplica con una non troppo velata
minaccia di lasciare la città, se non fosse stata loro concessa una nuova
immunitas di dieci anni basata sulla condotta del 1396, cui andavano
aggiunte precise prescrizioni contro gli abusi anzidetti commessi dagli
ufficiali cittadini. Nel consiglio generale la supplica fu integralmente accolta, e venne stabilita una multa di 100 fiorini contro quegli ufficiali che
avessero persistito nei comportamenti denunciati dagli ebrei11.
soggette alla Chiesa. A sostegno della loro richiesta presentarono i capitoli vigenti nelle
città di Spoleto, Narni, Terni, Todi e Orvieto» (F. PUSCEDDU, Presenze ebraiche a Rieti nei
secoli XIV-XV, in Gli ebrei nello Stato pontificio fino al Ghetto cit., p. 113).
9
I supplicanti facevano notare che avevano esercitato il prestito pro multo minori et
habiliori pretio fenore quam promissum et concessum fuerit in dictis capitulis, ut est notum
ipsis civibus et incolis civitatis et comitatus eiusdem (ASO, ASCO, Rif., vol. 187, c. 104r).
10
Ibid., cc. 103r-105r.
11
Ibid., c. 106v. Il parere di ser Bonaventura ser Nicolai fu approvato per 62 voti a 18.
Sull’uso del segno distintivo cfr. quanto scrive L. POLIAKOV, I banchieri ebrei e la Santa Sede
dal XIII al XVII secolo, Newton Compton, Roma 1974 [ed. or.: SEVPEN, Paris 1965], p.
145: «si tratta dunque di evitare che i cristiani siano tormentati come ebrei, oppure che
gli ebrei siano onorati come cristiani. In altre parole di relegare gli ebrei al loro giusto
posto canonico di minoranza disprezzata. Così gli ebrei impiegavano grandi energie, in
tutti i paesi della cristianità, per sottrarsi all’obbligo del distintivo. Alla fine del medioevo
avevano dovuto inchinarsi ovunque, salvo eccezioni individuali; è soltanto in Italia che le
deroghe si generalizzano […]; nel caso dei banchieri e dei loro dipendenti (a questi bisogna
aggiungere i medici e altri personaggi protetti) le deroghe sembrano essere state più diffuse
che l’osservazione della regola». Cfr. anche U. ROBERT, I segni d’infamia nel Medioevo, intr.
e trad. a cura di S. Arcuti, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000 [ed. or.: Champion, Paris
1891], con aggiornata bibliografia.
83
PRESENZE EBRAICHE IN UMBRIA MERIDIONALE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
Prima di continuare, è opportuno approfondire la questione del segno
distintivo, perché da essa si possono trarre spunti interessanti sui rapporti tra gli orvietani e la locale comunità ebraica in questa fase storica. Il
segno distintivo era stato imposto agli ebrei di Orvieto da Marco Correr,
nipote di papa Gregorio XII e dal 1407 rettore generale del Patrimonio
di San Pietro in Tuscia. A quanto pare gli ebrei di Orvieto, malgrado tale
prescrizione, non portavano il segno e per questo erano stati convocati
dalla curia del rettore del Patrimonio per spiegare il mancato rispetto
dell’obbligo. In una lettera a Marco Correr del 18 marzo 1408, i conservatori della pace (che dal 1390 rappresentavano la principale magistratura comunale) sollevarono soprattutto una questione di competenza
giurisdizionale, che però stava molto a cuore a Orvieto, tradizionalmente
esente (almeno dall’epoca di papa Urbano V) dalla curia del Patrimonio:
un privilegio che tra l’altro, facevano notare i conservatori della pace, era
stato confermato dallo stesso Marco Correr in una sua recente visita in
città. Gli ebrei residenti a Orvieto, dunque, come i cittadini e gli abitanti
del contado, non potevano essere giudicati dalla curia del Patrimonio; se
gli ebrei – concludevano i conservatori – avevano compiuto qualche reato,
dovevano comunque essere giudicati dalla curia del podestà di Orvieto12.
Marco Correr, in una successiva lettera del 22 aprile 1408, comunicava ai
conservatori di aver deciso di revocare l’imposizione del segno distintivo
per gli ebrei residenti a Orvieto. Nella sua decisione può aver pesato la
volontà di evitare un possibile conflitto giurisdizionale con il comune,
anche se l’esplicita motivazione che egli presenta per giustificare la sua
decisione è il fatto che nonnulli cristiani, dictorum ebreorum amici, nobis
supplicaverunt di revocare detto ordine13.
Questo clima essenzialmente favorevole per gli ebrei che abitavano
a Orvieto conobbe un brusco cambiamento agli inizi del 1427, quando
in città giunse Bernardino da Siena con cinque confratelli francescani14.
Dopo più di un mese di predicazioni, Bernardino, nel sermone del 16
febbraio 1427, ammonì nuovamente gli orvietani dall’astenersi dalle bestemmie, dai giochi proibiti e dal lavorare nel giorno del Corpus Domini
e in quello dell’Assunzione. Ma soprattutto, ed è ciò che maggiormente
interessa in questa sede, egli esortava da un lato i cristiani a non avere più
rapporti con gli ebrei e dall’altro invitava il comune ad annullare tutte le
immunità e i privilegi loro concessi, in particolare la facoltà di prestare a
interesse. Bernardino aveva poi concluso la sua predicazione chiedendo
esplicitamente al consiglio generale di emanare una formale deliberazione
ASO, ASCO, Rif., vol. 187, cc. 72v-73r.
Ibid., c. 108r (mio il sottolineato).
14
L’unico contributo specificatamente dedicato a questa visita è il breve saggio di L.
FUMI, San Bernardino da Siena in Orvieto e in Porano, Tip. Arciv. S. Bernardino, Siena 1888.
12
13
84
GLI EBREI A ORVIETO NELLA PRIMA METÀ DEL QUATTROCENTO
al riguardo; cosa che avvenne lo stesso giorno, nell’ambito di un generali,
publico et maiori consilio balye populi, quindi un consiglio allargato rispetto
al solito, in cui la proposta di annullare tutti gli atti in favore degli ebrei
fu approvata per 114 voti a 315.
Ma, come in generale accadeva nelle città quando si annullava una
condotta con i prestatori ebrei, e come accadrà nella medesima Orvieto
nell’aprile 1463 dopo la predicazione antiusuraria di frate Bartolomeo di
Colle Val d’Elsa (preparatoria all’istituzione del Monte di Pietà)16, la mancanza dell’attività feneratizia ebraica dopo la decisione del 1427 cominciò
ben presto a sortire i suoi effetti negativi sull’economia orvietana. Nel consiglio generale del 27 giugno 142817, infatti, si discusse sulle lamentele che
molti cittadini avevano espresso in quanto, non essendo possibile chiedere
prestiti in cambio di pegni agli ebrei residenti a Orvieto, erano costretti
a ottenerli in altre città, ad esempio Bagnoregio, con grande disagio e
ulteriori spese. I conservatori richiedevano dunque che si permettesse
agli ebrei di Orvieto di tornare a prestare a interesse in base a nuovi patti
e capitoli. La proposta passò con una certa difficoltà, per 55 voti a 27 (va
ricordato che in questa fase storica, per essere approvato nel consiglio generale orvietano, un provvedimento doveva ottenere almeno i 2/3 dei voti
dei consiglieri presenti), il che attesta un fatto evidente: la predicazione
di Bernardino da Siena aveva prodotto i suoi effetti anche a Orvieto, per
cui la situazione per gli ebrei locali era indubbiamente cambiata rispetto
agli anni passati.
Ciò si nota anche se si analizzano i capitula della nuova condotta tra
comune ed ebrei, che fu stipulata il 13 settembre 1428 (e anch’essa mai
segnalata in precedenza)18: se da un lato, infatti, veniva estesa la validità
dell’accordo a ben 29 anni e per tutto il periodo della loro permanenza gli
ebrei sarebbero stati considerati come cittadini orvietani, dall’altro erano
previste alcune clausole restrittive: gli ebrei, ad esempio, non potevano
più richiedere come pegno un bene immobile, né potevano acquistarne di
nuovi senza espressa licenza del consiglio generale. Inoltre, per aumentare
ASO, ASCO, Rif., vol. 200, cc. 417r-418r; FUMI, San Bernardino da Siena in Orvieto e in
Porano cit., pp. 15-16 (la trascrizione dell’atto alle pp. 31-33). Cfr. anche POLIAKOV, I banchieri
ebrei e la Santa Sede dal XIII al XVII secolo cit., p. 159; J.-C. MAIRE VIGUEUR, Bernardino et
la vie citadine, in CENTRO DI STUDI SULLA SPIRITUALITÀ MEDIEVALE, Bernardino predicatore nella
società del suo tempo. Atti del XVI Convegno internazionale di studi (Todi, 9-12 ottobre
1975), Accademia Tudertina, Todi 1976, p. 264. In generale, sull’attività di predicazione di
Bernardino da Siena, cfr., ad esempio, M.G. MUZZARELLI, Pescatori di uomini. Predicatori e
piazze alla fine del Medioevo, il Mulino, Bologna 2005, in part. cap. I (Come si fa una predica).
16
Vedi infra, nota 44. Su frate Bartolomeo da Colle, cfr. A. TERZI, Lippi, Bartolomeo
(Bartolomeo da Colle), in Dizionario biografico degli italiani (d’ora in poi, DBI), LXV, Istituto
della Enciclopedia Italiana, Roma 2005, pp. 186-189.
17
ASO, ASCO, Rif., vol. 201, cc. 17r-18r.
18
Ibid., cc. 59r-61r. Vedi infra, Appendice documentaria.
15
85
PRESENZE EBRAICHE IN UMBRIA MERIDIONALE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
le possibilità che il mutuatario riuscisse a riscattare il proprio pegno, era
previsto che l’ebreo mutuante fosse obbligato a tenere presso di sé il pegno
stesso per almeno 19 mesi (contro un anno stabilito nella condotta del
1396), più un mese di pubblici bandi al riguardo, prima di poter vendere
liberamente l’oggetto in caso di mancata restituzione del denaro prestato.
Quanto all’interesse, esso venne fissato nella misura di un baiocco a fiorino al mese, un tasso dunque del 24% annuo (visto che all’epoca il fiorino
valeva 50 baiocchi), assai più basso di quello stabilito nel 1396.
A stipulare la condotta, anche a nome degli altri ebrei presenti a Orvieto, furono Sumato (o Sumata) di Manuele e maestro Gaio di Musetto,
due personaggi dei quali è il caso di approfondire le figure. Sumato di
Manuele è presente sia tra gli ebrei provenienti da Viterbo che stipularono
l’accordo del 1396, sia tra quelli che presentarono la successiva supplica
del 140819; quanto alla sua attività, accanto all’esercizio del prestito, in
alcuni documenti risulta essere dedito alla compravendita del bestiame
con cristiani (anche per cifre notevoli: in un atto del 29 ottobre 1426, Sumato era tenuto a dare 485 fiorini a Matteo Putii di Perugia per l’acquisto
di un certo numero di bovini20) e all’allevamento con il ricorso a contratti
di soccida. Sumato aveva un nipote, Abramo di maestro Dattolo di Visso, che allo stato attuale della ricerca risulta essere una delle figure che
meglio incarnano i concetti di mobilità e di ampia rete di relazioni che in
generale caratterizzano i membri delle comunità ebraiche nel medioevo.
Va anzitutto notato che Abramo, che per diversi anni risiede a Orvieto e
che fa da procurator a Sumato in molti atti, si lega a una famiglia della
Marca, attraverso il suo matrimonio con Chiaruccia figlia di Manuele di
Musetto di Recanati, la quale aveva portato in dote la somma di 250 fiorini
aurei, più certos anulos actos ad subarrandum e altri beni mobili per un
valore stimato di 40 fiorini21. Ma l’atto che indubbiamente si presenta più
interessante, in relazione a questa figura, è quello del 25 agosto 1429, in
cui Abramo stipula una societas fenerationis con Diodato di Salamone di
Montefiascone, ma abitante a Bagnoregio22, che prevedeva l’apertura di
un banco (o apotecham fenoris, come definita nel documento) proprio in
Rispettivamente in ASO, ASCO, Rif., vol. 183/1, c. 88r e vol. 187, c. 103r.
Ibid., Not. di Orvieto I, notaio ser Matteo di Cataluccio, prot. 127, c. 395v. Tra gli atti
relativi a soccide e altre compravendite di bestiame, cfr., ad esempio, ibid., cc. 121v-122r
(27 agosto 1420) e c. 562r (7 settembre 1429). Sul contratto di soccida, cfr., ad esempio, A.
CORTONESI, L’allevamento nella Campagna Romana alla fine del medioevo, in B. SAITTA (a cura
di), Città e vita cittadina nei paesi dell’area mediterranea. Secoli XI-XV. Atti del Convegno
Internazionale in onore di Salvatore Tramontana (Adano-Bronte-Catania-Palermo, 18-22
novembre 2003), Viella, Roma 2006, pp. 224-228.
21
ASO, Not. di Orvieto I, notaio ser Matteo di Cataluccio, prot. 127, cc. 346v-347r.
22
Su Diodato di Salamone cfr. A. LUZZATTO e A. TAGLIACOZZO, Gli ebrei in Bagnoregio,
“Archivio della Società romana di storia patria”, 101(1978), pp. 225, 233-236, 276-277.
19
20
86
GLI EBREI A ORVIETO NELLA PRIMA METÀ DEL QUATTROCENTO
quest’ultima città, gestito direttamente da Abramo e finanziato in buona
parte da Diodato, che avrebbe ricevuto un terzo degli utili (così come
avrebbe partecipato a un terzo delle spese). L’accordo aveva la durata di
quattro anni, con un capitale iniziale di 450 fiorini aurei in denaro, pegni
e altri beni; da segnalare, in quanto sembra delineare gli specifici interessi
commerciali dei due soci, la clausola per la quale Abramo prometteva a
Diodato di non vendere senza sua licenza res pertinentes ad merciarias,
pizzicarias et spetiarias, mentre invece Abramo poteva vendere liberamente pannos lane urbevetanos, pannos veteres et pannos de lino purché non
li avesse acquistati causa revendendi (è da ritenersi dunque che la libera
vendita riguardasse esclusivamente i panni ricevuti in pegno da Abramo
e poi non riscattati)23.
Ma, per tornare agli ebrei che stipularono la condotta del 1428, il
personaggio indubbiamente più rilevante nell’ambito della comunità presente a Orvieto nella prima metà del Quattrocento, nonché di gran lunga
il feneratore più attivo in città, è maestro Gaio di Musetto. Infatti, in base
a una serie di dati che ora andremo a considerare, la sua figura (forse
legata all’originario gruppo di ebrei viterbesi del 139624) risulta godere
di un riconosciuto prestigio sia presso i cristiani sia presso la comunità
ebraica; anzi, rispetto a quest’ultima, egli sembra rimarcare una consapevole superiorità, con comportamenti tali da distinguerlo dagli altri ebrei
locali. In questo senso dobbiamo anzitutto analizzare una supplica che
lo stesso Gaio presenta al consiglio generale il 25 aprile 1408; dall’atto, in
cui viene definito in maniera significativa circumspectus vir, risulta che
Gaio era medico e chirurgo, e prestava la sua importante opera in favore
di cittadini, forestieri e abitanti del contado di Orvieto. Nella supplica, il
medico ebreo si lamentava con le autorità comunali perché lui e la sua
famiglia, benché godessero di una immunitas concessa dal comune, erano
costretti a portare il segno distintivo, per cui chiedeva di essere liberato
da tale obbligo e di non essere costretto ad solutionem vel compositionem
aliquam persolvendam25. Ora, come si ricorderà, gli altri ebrei residenti
a Orvieto presentarono poche settimane dopo (il 13 maggio 1408) una
supplica alquanto simile, in cui però lamentavano molte più vessazioni
di quelle denunciate da Gaio, che in sostanza nella propria richiesta poneva all’attenzione del comune soprattutto la questione del segno, più
un accenno a generici pagamenti arbitrari. È evidente dunque che Gaio
ASO, Not. di Orvieto I, notaio ser Matteo di Cataluccio, prot. 127, cc. 560r-561v.
Maestro Gaio potrebbe essere infatti figlio di Musetto di Dattilo di Viterbo, uno degli
stipulanti della condotta del 1396 (ibid., ASCO, Rif., vol. 183/1, c. 88r); peraltro, due anni
dopo, il comune concede una immunitas, con i medesimi patti e capitoli del 1396, anche
a un Musetto di Vitale di Roma (ibid., vol. 184/1, cc. 76r-77v).
25
Ibid., vol. 187, c. 95rv.
23
24
87
PRESENZE EBRAICHE IN UMBRIA MERIDIONALE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
godeva di un trattamento diverso, più favorevole, nei suoi rapporti con i
cristiani26; un trattamento di favore destinato a perpetuarsi anche negli
anni seguenti, come dimostra un atto del 24 agosto 1426, quando fu l’unico
ebreo a essere escluso da un prestito forzoso di 30 fiorini d’oro richiesto
dal comune alla comunità locale.
La questione da porre è perché Gaio godesse di questo trattamento
più favorevole rispetto ai suoi correligionari: la risposta più evidente è da
ricercarsi nella sua professione di medico, come del resto da lui stesso specificato nella supplica. Come è noto, «i privilegi e il prestigio, che sovente
si accompagnavano alla professione medica, costituivano un richiamo non
indifferente per gli ebrei, alla ricerca di una dignità sociale»27.
Tale discorso è ancora più valido se il medico ebreo godeva di una fama
che, a differenza di maestro Gaio, si estendeva ben oltre il ristretto ambito
cittadino. Nel consiglio segreto del 24 giugno 1434, considerato che l’amplissimus scientie vir magister Moyses hebreus permanens nuper in civitate
urbevetana multa sue artis experimenta praebuerit, videatur quod sua mansio
esse huic civitati si proponeva di assumerlo come medico condotto. Circa
un mese dopo i conservatori con sei cittadini deliberavano la nomina del
virum doctissimum in arte medicine magistrum Moysem phisicum de Reate
con il cospicuo salario di 100 fiorini d’oro per un anno28. In considerazione
degli appellativi che vengono usati nei suoi confronti, del luogo di origine
(Rieti) e del salario attribuitogli, è lecito identificare questo personaggio
con Mosè di Gaio (Moses ben Isaac) da Rieti, famoso non solo come
medico e banchiere, ma anche come poeta e cultore di studi filosofici e
medici29. È noto che dal 1431 in poi Mosè fu solito soggiornare – spesso
per brevi periodi di tempo – in diverse città dello Stato della Chiesa: la
26
La proposta del consigliere Angelo da Orvieto (non viene specificato il patronimico),
approvata da una netta maggioranza (80 a 19), prevedeva infatti che cogantur hebrey ad
mutuandum dictam quantitatem [...] excepto magistro Gayo medico cui nulla cohactio fiat
nec molestia de mutuo predicto (ibid., vol. 200, c. 341v, mio il sottolineato).
27
A. TOAFF, Il vino e la carne. Una comunità ebraica nel Medioevo, il Mulino, Bologna
1989, p. 265. Significativamente, l’autore intitola il relativo paragrafo La caccia alla condotta
medica. Cfr. anche MILANO, Storia degli ebrei in Italia cit., pp. 626-627.
28
ASO, ASCO, Rif., vol. 206, cc. 115v e 126v-127r. Il salario era indubbiamente molto
alto rispetto alla normale condotta di un medico a Orvieto in quegli anni, a maggior ragione
se si considera che le croniche difficoltà finanziarie del comune vennero accentuate dalle
spese per i mercenari assoldati a difesa della città e del contado, a causa della situazione
creatasi nelle terre della Chiesa dopo l’elezione di Eugenio IV. Gli stessi conservatori e i sei
cittadini eletti erano ben consapevoli dello sforzo finanziario a cui il comune si sarebbe
dovuto sottoporre, ma videntes non posse cum minori pretio dictum magistrum Moysem
conducere avevano deliberato per quella cifra, che sarebbe stata garantita dagli introiti
della gabella del pedaggio (più precisamente le paghe mensili di agosto e settembre che
l’appaltatore avrebbe dovuto pagare al comune); cfr. ibid., cc. 126v-127r.
29
Su questo personaggio, cfr. anzitutto A. ESPOSITO, Mosè da Rieti (Moses ben Isaac), in
DBI, LXXVII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2012, pp. 318-320; alcuni cenni in
88
GLI EBREI A ORVIETO NELLA PRIMA METÀ DEL QUATTROCENTO
sua presenza a Orvieto nel 1434 consente dunque di individuare un’altra
tappa nell’ambito dei suoi vari trasferimenti di quegli anni30. Per il resto
le riformagioni e le altre fonti consultate non offrono molte altre notizie
sul soggiorno di Mosè; l’unico atto, peraltro piuttosto significativo, in cui
viene citato è del 7 ottobre 1435, quando in un consiglio generale venne
deliberato a carico degli ebrei un prestito forzoso di 30 ducati, dal quale
però doveva essere escluso proprio Mosé31, ovvero lo stesso trattamento di
favore che fu stabilito, come si è visto, anche per Gaio di Musetto.
E tornando proprio a quest’ultimo, il suo atteggiamento di superiorità
nell’ambito della comunità ebraica locale – già evidente nella sua scelta
di presentare una supplica personale, invece di aderire a quella collettiva del 13 maggio 1408 – si può riscontrare anche da un altro episodio;
nella condotta del 1428 era stato deciso, come detto in precedenza, che
gli ebrei non potessero più acquistare beni immobili, ma si permetteva
loro di detenere liberamente le proprietà già in loro possesso. Nel relativo
capitulum32 si specificava che tale possibilità riguardava soprattutto due
terreni, destinati dagli ebrei a luoghi di sepoltura: il primo, posto nel rione
di Sant’Egidio, rappresentava il cimitero tradizionale degli ebrei a Orvieto
(ubi antiquitus fuit et est eorum sepultura, come scritto nel documento),
in quanto adibito a questa funzione almeno dal 136333. Il secondo, invece,
era stato acquistato nel medesimo rione da maestro Gaio e da Sumato di
Manuele, che in esso avrebbero potuto facere sepulturas ad eorum libitum
voluntatis; dunque un terreno da destinare a cimitero personale per loro e
le loro famiglie, distinto da quello degli altri ebrei della comunità. Vedremo
meglio le vicende di questi due terreni negli anni successivi: al momento è
importante che qualche anno dopo, nel 1431, maestro Gaio – in relazione
MILANO, Storia degli ebrei in Italia cit., pp. 629 e 657-658, e in A. TOAFF, Gli ebrei a Perugia,
Deputazione di storia patria per l’Umbria, Perugia 1975, pp. 82-85.
30
TOAFF, Gli ebrei a Perugia cit., p. 83.
31
ASO, ASCO, Rif., vol. 206, cc. 263v-264r.
32
Ibid., vol. 201, c. 60rv.
33
L. RICCETTI, La città costruita. Lavori pubblici e immagine in Orvieto medievale, Le
Lettere, Firenze 1992, p. 174. È interessante notare che, a differenza di altre città umbre
(cfr. TOAFF, Il vino e la carne cit., p. 54, che fa gli esempi di Perugia, Foligno, Assisi, Spello,
Spoleto), a Orvieto il cimitero ebraico non si trovava dunque extra muros, ma all’interno
delle mura cittadine; un tentativo del comune di porre il luogo di sepoltura ebraico fuori
dalla città, nel 1459, viene vanificato da uno specifico capitulum della condotta del 1460
(vedi infra, nota 49). Sui cimiteri ebraici presenti in altre città nel medioevo cfr., ad esempio,
P. PELLEGRINI, I cimiteri ebraici di Terni: siti e vicende (secc. XIV-XX), “Memoria storica”,
24(2004), pp. 46-51; L. GRAZIANI SECCHIERI, Ebrei italiani, askenaziti e sefarditi a Ferrara:
un’analisi topografica dell’insediamento e delle sue trasformazioni (secoli XIII-XVI), in M.
CAFFIERO e A. ESPOSITO (a cura di), Gli ebrei nello Stato della Chiesa. Insediamenti e mobilità
(secoli XIV-XVIII), Esedra, Padova 2012, pp. 167-169 e 186-190.
89
PRESENZE EBRAICHE IN UMBRIA MERIDIONALE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
al primo terreno, il tradizionale luogo di sepoltura degli ebrei – rinunciò a
un suo profitto personale per recare vantaggio a tutta la comunità ebraica.
Un prestigio, quello di Gaio, che sembra essere riconosciuto non solo
nell’ambito della comunità ebraica a Orvieto, ma anche nel più ampio
contesto della natio ebraica, per riprendere un concetto espresso da Michele Luzzati34. Una testimonianza al riguardo viene fornita dall’atto del
3 gennaio 1429, quando Gaio – nella sua stessa casa di Orvieto, posta nel
rione Santa Pace – funge da arbitro, insieme a Consiglio di Salamone di Viterbo, su richiesta di Bonaventura di Giannettano di Volterra da una parte
e Salamone di Manuele di Norcia, abitante a Rimini, e Mosé di Consiglio
di Ascoli (rappresentati da Vitelluccio di Manuele di Perugia) dall’altra,
che avevano posto in essere una societas con un capitale stimato in 2.800
fiorini aurei, poi ridotti a 2.600. Dall’atto risulta però che i soci avevano
perduto una causa contro il nobile Giacomo Vitelleschi di Corneto, il che
li aveva obbligati a pagare un totale di 3.400 fiorini aurei, ponendo di fatto
fine alla società stessa. I due arbitri dovettero quindi svolgere il delicato
compito di individuare l’esatta entità dei crediti, dei debiti e delle eventuali
compensazioni che le parti vantavano l’una nei confronti dell’altra35.
Un altro aspetto che caratterizza la figura di maestro Gaio è l’acquisizione e la gestione di un significativo patrimonio immobiliare, come
risulta dai registri notarili esaminati; un aspetto che sembra anche in
questo caso distinguerlo dagli altri ebrei presenti a Orvieto in questa fase
storica. Gli atti notarili permettono di delineare le strategie seguite da
Gaio nella gestione di questo patrimonio: tra il 1407 e il 1428, ad esempio,
egli dà in locazione almeno dieci diverse proprietà terriere, tra vigne e
terreni coltivabili, richiedendo di solito al conduttore la metà del raccolto
annuale36. Allo stato attuale della ricerca non è possibile delineare tutte
le fasi che gli consentirono di creare questo patrimonio immobiliare; si
può ritenere comunque che almeno in parte tali proprietà rappresentino
M. LUZZATI, Banchi e insediamenti ebraici nell’Italia centro-settentrionale fra tardo
Medioevo e inizi dell’Età moderna, in C. VIVANTI (a cura di), Storia d’Italia, Annali, 11, Gli
ebrei in Italia, I, Dall’alto Medioevo all’età dei ghetti, Einaudi, Torino 1996, p. 222.
35
ASO, Not. di Orvieto I, notaio ser Matteo di Cataluccio, prot. 127, cc. 531v-534v.
36
A titolo di esempio: ibid., notaio Giovanni di Paoluccio, prot. 33/3, c. 441rv, 23
ottobre 1407 (Gaio loca una vigna in pertinentiis Urbisveteris per un anno a Giovanni e
Petruccio Vannutii in cambio di metà dei frutti raccolti); ibid., notaio ser Marco di Luca,
prot. 37, cc. 381v-382r, 25 novembre 1411 (Gaio loca ai precedenti proprietari una vigna
appena acquistata, per un anno in cambio di un orcio d’olio e due salme di mosto al
tempo della vendemmia); ibid., cc. 1937v-1938r, 23 gennaio 1428 (Gaio loca una vigna
in pertinetiis Urbisveteris, in contrata Sancti Laurentii, per sei anni a Francesco magistri
Machtei de Abatia Acqualte habitatore Urbisveteris per la metà dell’uva raccolta al tempo
della vendemmia).
34
90
GLI EBREI A ORVIETO NELLA PRIMA METÀ DEL QUATTROCENTO
pegni non riscossi derivanti dalla sua rilevante attività di prestito37, più
che il risultato di compravendite: ne è un esempio il terreno posto nella
contrada Molendini, che Giovanni Antonii de Saracinellis di Orvieto gli cede,
non essendo in grado di restituirgli in contanti un prestito di 40 fiorini38.
Tuttavia, alla metà del Quattrocento, di maestro Gaio e del suo cospicuo patrimonio immobiliare non c’è più traccia: è certo che sia morto nei
primi anni Trenta del Quattrocento (in un atto del 1434 risulta essere già
defunto39), ma negli anni successivi non abbiamo notizie relative ai suoi
eredi. Il loro nominativo infatti non risulta nell’estimo del 1447 (che, a
differenza dei frammenti superstiti del catasto dei primi anni del Quattrocento, è quasi completo) e neanche in una lista di pagamenti di libra e
fuochi relativa al 144940. In teoria per tutti gli ebrei al momento residenti
a Orvieto, all’epoca della redazione di questo estimo erano ancora valide
le esenzioni previste nella condotta del 1428 che, come si ricorderà, aveva una durata di 29 anni; essi non sarebbero dovuti comparire in queste
registrazioni fiscali, ma in realtà sono presenti i nomi di almeno quattro
ebrei (in particolare Abramo e Consiglio di Dattilo, figli di quel Dattilo di
Consiglio che per primo giunse a Orvieto da Viterbo nel 1396).
In base alle fonti appena citate, la situazione della comunità ebraica
a Orvieto alla metà del Quattrocento si presenta differente rispetto agli
Su cui cfr. soprattutto ibid., notaio ser Marco di Luca, prot. 37, passim. Ringrazio
Paolo Pellegrini per avermi messo a disposizione la schedatura di una novantina di atti
redatti soprattutto da ser Marco di Luca, che risulta essere il notaio a cui maggiormente
ricorrono, in questa fase storica, gli ebrei di Orvieto in generale e maestro Gaio di Musetto
in particolare.
38
Ibid., cc. 1543v-1544r. A questo proposito, ci si può richiamare a quanto scrive
A. VERONESE, La presenza ebraica nel ducato di Urbino nel Quattrocento, in Gli ebrei nello
Stato pontificio fino al Ghetto cit., p. 269, in relazione alla proprietà immobiliare ebraica
a Urbino nel XV secolo: «non sempre, per altro, l’acquisto di immobili corrispondeva ad
una precisa volontà da parte ebraica: in molti casi si ha la netta impressione che talune
acquisizioni di terre o case fossero per gli ebrei urbinati l’unico mezzo per ottenere la
restituzione, almeno parziale, di un debito».
39
ASO, Not. di Orvieto I, notaio ser Giacomo di Pietro, prot. 28, c. 85v (7 dicembre
1434), in cui vengono menzionati gli eredi di Gaio con riferimento a un credito vantato
da quest’ultimo. È forse possibile anticipare di un anno la data della morte del medico
ebreo; infatti, in occasione di un prestito di 25 ducati d’oro richiesto dal comune agli ebrei
residenti a Orvieto, il 30 novembre 1433 (ibid., ASCO, Rif., vol. 206, cc. 18v-19r), i mutuanti
sono Bonaventura di Abramo e Abramo di Dattilo vice et nomine universitatis hebreorum,
mentre non si fa alcuna menzione di Gaio.
40
Rispettivamente ibid., Catasti, voll. 416-418 e vol. 419. Nell’estimo del 1447 (ibid.,
vol. 417, c. 121r), tra le proprietà dichiarate da Abramo e Consiglio di Dattilo vi è anche
il già menzionato orto nel rione Sant’Egidio, il tradizionale luogo di sepoltura degli ebrei
di Orvieto. Ibid., vol. 419, c. 19r, Abramo di Dattilo, con 165 lire, risulta essere l’ebreo
allibrato per la cifra più alta nel 1449. Dello stesso Abramo esiste un inventario dei beni
redatti dopo la sua morte (cfr. ibid., Not. di Orvieto I, notaio ser Matteo di Cataluccio, prot.
127, cc. 906r-908v, 30 novembre 1449).
37
91
PRESENZE EBRAICHE IN UMBRIA MERIDIONALE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
inizi del secolo: anzitutto il numero dei nuclei familiari presenti in città
e sicuramente individuati si è dimezzato rispetto a quello dei primi del
Quattrocento (quattro contro almeno otto41); in secondo luogo i tre principali esponenti della comunità dei decenni precedenti (maestro Gaio di
Musetto, Sumato di Manuele e Dattilo di Consiglio) non erano più presenti,
perché morti o emigrati altrove42. I nuovi rappresentanti della comunità,
Consiglio di Dattilo e Manuele di Sabatuccio (figli, come si è detto, dei
due ebrei viterbesi che giunsero a Orvieto nel 1396) sembrano non avere
più una capacità finanziaria tale da spingere il comune a stipulare una
condotta con loro: nel 1459 una loro proposta in tal senso (che costituì
uno dei vari tentativi dei vertici orvietani di giungere a un accordo con
prestatori ebrei in quegli anni) non fu accolta dal comune43, che nel 1460
scelse invece di accettare l’offerta di ebrei provenienti da Viterbo (ovvero
i fratelli Sabato, Angelo e Mele di Aleuccio44). Una condotta, quest’ultima,
che – in seguito alla predicazione di frate Bartolomeo di Colle Val d’Elsa
– verrà annullata dopo soli tre anni e che s’inserisce nella nuova fase dei
rapporti tra comunità orvietana ed ebrei, nel quadro dell’istituzione del
Monte di Pietà a Orvieto nel 146345.
41
Sul numero dei nuclei ebraici a Orvieto agli inizi del Quattrocento, cfr. TREQUATTRINI,
Una comunità ebraica nella Orvieto tre-quattrocentesca cit., p. 176. Anche in un elenco del
1437 – con cui il comune imponeva a circa 200 cittadini di acquistare un certo numero di
salme di frumento ciascuno – si riscontra la presenza di quattro ebrei (ASO, ASCO, Rif.,
vol. 208, cc. 9v-14r), ma dovrebbe trattarsi di un dato parziale, considerando che il numero
totale di soggetti all’imposizione rappresenta al massimo 1/4 del numero complessivo di
fuochi a Orvieto in quegli anni. Gli ebrei nella lista sono: Manuele hebreus (ovvero Manuele
di Sabatuccio), che deve acquistare 4 salme di frumento (ibid., c. 11r), Abramo di Dattilo
(15 salme), Abramo di Bonaventura (10 salme) e Daniele hebreus (2 salme); cfr. ibid., cc.
11r e 12v.
42
Da un atto del 1428 sappiamo, ad esempio, che Dattilo di Consiglio si era trasferito
nella Marca (olim habitator Urbisveteris et nunc in Marchia); cfr. ASO, Not. di Orvieto I,
notaio ser Marco di Luca, prot. 37, c. 1906rv. In quest’ottica vanno visti i vari atti notarili
riguardanti gli interessi che Dattilo aveva ancora a Orvieto, atti in cui in generale venne
rappresentato dal figlio Abramo; il cronista e notaio ser Matteo di Cataluccio, in data
11 gennaio 1431, menziona uno di questi atti nei suoi Ricordi (in L. FUMI (a cura di),
Ephemerides Urbevetanae [RIS², 15-5 (1)], Lapi, Città di Castello 1920, p. 486: ser Matteo
acquista per 30 lire una casa nel rione Santi Apostoli ab Habramo procuratore Dactoli
Consigli eius patris.
43
ASO, ASCO, Rif., vol. 215, cc. 91v-92v (18 ottobre 1459).
44
Lo stesso Aleuccio di Meluccio, il loro padre, risulta ottenere dal comune di Orvieto
la medesima immunitas di cui godevano gli altri ebrei con i capitoli del 1396 e del 1408
(cfr. ibid., vol. 197, cc. 56v-57r); tuttavia allo stato attuale della ricerca non sono state
riscontrate tracce di una sua effettiva presenza a Orvieto, malgrado la sua offerta di
esercitare il prestito a interesse in città (ibid., c. 40v).
45
Questa tematica è stata oggetto di un mio contributo, Prestito ebraico e Monte di
Pietà a Orvieto nella seconda metà del Quattrocento: prime note, “Ricerche umbre”, 3(2014
92
GLI EBREI A ORVIETO NELLA PRIMA METÀ DEL QUATTROCENTO
Il relativo indebolimento che la comunità ebraica di Orvieto conobbe
alla metà del secolo sembra essere attestato anche dalla vicenda che la
contrappose ai frati di San Domenico, in relazione al già menzionato orto
adibito dagli ebrei come tradizionale luogo di sepoltura. Quest’ultimo, posto nel rione Sant’Egidio, confinava su tre lati con un orto appartenente ai
domenicani, e tale vicinanza diede origine ad alcuni contenziosi nel corso
del periodo considerato. In particolare nel 1431 era sorta una lite tra il
capitolo di San Domenico e la comunità ebraica circa il rifacimento del
muro che divideva i due orti, non essendovi accordo su chi fosse tenuto al
pagamento delle relative spese. In questo caso la controversia si concluse
con un accordo che favorì gli ebrei, grazie al già menzionato intervento di
maestro Gaio di Musetto. Il capitolo dei domenicani prometteva infatti di
rifare il muro integralmente a proprie spese, ed era giunto a tale decisione
perché, come esplicitamente spiegato nell’atto, Gaio in cambio rinunciava
a chiedere gli interessi su un prestito di 15 ducati aurei da lui concesso al
capitolo, accontentandosi della restituzione del capitale e restituendo a
sua volta ai frati duos libros sive volumina librorum Biblie in carta pecudina
che aveva ricevuto in pegno46.
Come si vede, dunque, in questo caso il prestigio personale di Gaio e
soprattutto la capacità di usare la propria attività feneratizia come strumento per influenzare gli eventi consentirono alla comunità ebraica orvietana di ottenere un successo nei confronti dei domenicani. Ben diversa si
presenta invece un’altra controversia tra le parti, riguardante ancora una
volta i medesimi orti e che stavolta ebbe luogo nel 1455, quando ormai
non vi era più un Gaio di Musetto a difendere gli interessi della comunità
ebraica. Il 28 ottobre di quell’anno, infatti, il priore e i frati del convento
di San Domenico chiesero e ottennero dal consiglio generale orvietano la
concessione di un retum vicinale (il viottolo d’accesso che rappresentava
uno dei confini della loro proprietà rispetto all’orto degli ebrei) in uso
perpetuo – in modo da chiuderne l’accesso a loro spese e impedire che
estranei potessero penetrare facilmente nel loro orto – affermando che tale
chiusura non avrebbe leso i diritti di nessun altro; la loro supplica venne
accolta dal consiglio generale47.
Ma, in base a una nuova supplica presentata nel consiglio generale
del 21 dicembre 1455 da Manuele di Sabatuccio e Consiglio di Dattolo, a
nome degli altri ebrei di Orvieto, quanto affermato dai domenicani non
[ma 2016]), pp. 39-62, interamente dedicato agli anni che precedettero e seguirono
l’allontanamento dei prestatori ebrei e l’istituzione del Monte.
46
ASO, Not. di Orvieto I, notaio ser Crescimbene di ser Angelo, prot. 128/1, cc.
107r-108r. Da notare che ser Crescimbene è il consigliere che, il 16 febbraio 1427, propone
di cancellare le immunità e i privilegi degli ebrei come richiesto da Bernardino da Siena
(ibid., ASCO, Rif., vol. 200, c. 417v).
47
Ibid., ASCO, Rif., vol. 213, c. 49r.
93
PRESENZE EBRAICHE IN UMBRIA MERIDIONALE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
corrispondeva a verità. Il retum vicinale serviva infatti anche agli ebrei per
accedere al loro orto adibito a luogo di sepoltura, accesso che ora, in virtù
della chiusura ottenuta dai frati, era loro precluso. Manuele e Consiglio
chiedevano dunque che la concessione ai domenicani venisse annullata
e si tornasse alla situazione precedente, affinché non avessero causam
querelandi de iniustia et indebita tractatione48.
Nelle riformagioni non è riportata la decisione del comune al riguardo,
né si fa alcun riferimento all’orto in questione nella già citata condotta del
1460, stipulata con prestatori ebrei di Viterbo. Vanno però menzionati due
capitula presenti nella condotta e relativi proprio alla questione dei luoghi
di sepoltura per i prestatori stessi, le loro famiglie e i loro collaboratori:
nel primo il comune prometteva a costoro di poter essere sepolti in città,
purché individuassero un locum condecemptem a tale scopo e ottenessero
l’autorizzazione dai conservatori prima dell’acquisto di questo terreno;
nella seconda disposizione, la proprietà dell’orto del rione di Sant’Egidio
a suo tempo acquistato da maestro Gaio di Musetto e Sumato di Manuele
passava ai prestatori ebrei di Viterbo pleno iure, con il divieto, collegato
alla norma precedente, di seppellirvi i propri defunti49.
A prescindere da come sia andata a finire la vicenda del contenzioso
tra domenicani ed ebrei, è interessante notare un aspetto, che in generale
è stato messo in evidenza da Maria Giuseppina Muzzarelli e che in particolare possiamo riscontrare nella medesima fase storica anche in altre
città umbre, come Todi e Terni50: malgrado il relativo indebolimento che la
comunità ebraica di Orvieto conobbe alla metà del secolo, i suoi membri
non erano disposti a cedere passivamente quando ritenevano che i loro
diritti venissero indebitamente violati.
Paolo Pellegrini, circa la reazione degli ebrei di Terni e di Todi verso
le misure restrittive adottate nei loro confronti negli ultimi decenni del
Quattrocento, scrive:
Nell’intraprendenza di questi ebrei, nella scelta degli argomenti portati a proprio
favore, nella minaccia di contromisure, nel tentare tutte le strade messe a disposizione
Ibid., c. 78rv.
Ibid., vol. 215, cc. 208v-209r (capitula 19 e 29). Da notare che due anni prima, nel
consiglio generale del 12 maggio 1458, considerato quod non videatur honestus nec decens
sit iudeos habere seppulturas [sic] in civitate, presentim prope ecclesias, era stato approvato,
per 68 voti a 4, il parere dello spetiarius Pandolfo Francisci, che stabiliva il divieto per
gli ebrei di essere seppelliti all’interno della città, sotto pena di 100 ducati aurei. Tale
deliberazione, ammesso che sia stata effettivamente applicata, venne di fatto superata dal
predetto capitulum della condotta del 1460.
50
M.G. MUZZARELLI, Introduzione, in EAD. (a cura di), Banchi ebraici a Bologna nel XV
secolo, il Mulino, Bologna 1994, p. 8; P. PELLEGRINI, Migrazioni, attività e relazioni di una
dinastia di medici ebrei tra Lazio e Umbria (secc. XIV-XV), in CAFFIERO e ESPOSITO (a cura
di), Gli ebrei nello Stato della Chiesa cit., pp. 63-74, in part. pp. 73-74.
48
49
94
GLI EBREI A ORVIETO NELLA PRIMA METÀ DEL QUATTROCENTO
dal sistema politico-istituzionale, si può scorgere, quanto meno, una determinazione
e una capacità di reazione che talvolta vengono sottovalutate51.
Un’affermazione che trova pieno riscontro anche nel fermo atteggiamento dimostrato dalla comunità ebraica orvietana nella vicenda appena
menzionata.
PELLEGRINI, Migrazioni, attività e relazioni di una dinastia di medici ebrei tra Lazio e
Umbria cit., p. 74.
51
95
Presenze ebraiche in Umbria meridionale dal medioevo all’età moderna
Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea
Spello, Collegiata di Santa Maria Maggiore, Cappella Baglioni. Pinturicchio,
Natività (particolare), afresco (15001501 ca.). Nell’immagine riprodota
è raigurato un esempio delle cosiddete “tovaglie perugine”, manufati
tipici della produzione tessile delle
comunità ebraiche stanziate nel basso
medioevo in Umbria e in altri territori
dell’Italia centrale.
Ati della giornata di studi, Acquasparta 12 giugno 2014
ISBN 978-88-88802-87-9
ISSN 1973-9990
€ 17,00
Editoriale Umbra
Il volume contiene gli ati della giornata di studi
,
tenutasi ad Acquasparta il 12 giugno
2014 e organizzata dall’Associazione
culturale Lynks e dall’Associazione Italia-Israele di Perugia in collaborazione
con l’Istituto per la storia dell’Umbria
contemporanea, l’Istituto per le ricerche storiche sull’Umbria meridionale e
il Dipartimento di Letere, Lingue, Letterature e Civiltà antiche e moderne
dell’Università di Perugia.
Se da un lato i saggi qui raccolti si inseriscono in un ormai consolidato ilone
di ricerche, quelle, appunto, sugli ebrei
nell’Umbria di età medievale e moderna, dall’altro, concentrandosi sulla parte della regione meno studiata, ofrono
nuove acquisizioni e consentono di
ricostruire in modo più circostanziato
le declinazioni locali degli aspeti indagati, confermando, peraltro, quanto
possa rivelarsi ricca di informazioni la
parte di patrimonio documentario ancora da esplorare.
Dall’insieme emerge la centralità che
nella relazione ebraico-cristiana ebbe
il territorio inteso come luogo di arrivi
e partenze e di scelte residenziali, ma
sopratuto come ambito nel quale si
realizzarono gli scambi e le interazioni
fra i due gruppi. L’analisi delle pratiche che concretamente segnarono l’inserimento degli ebrei nelle realtà prese
in esame permete, così, di delineare
non solo gli ateggiamenti assunti verso essi dalla società “ospitante”, ma
anche, di rilesso, la parte giocata dagli
“ospiti” nel confronto con l’ambiente
circostante, di là dalle categorie talvolta fuorvianti di “maggioranza” e “minoranza”.