Estetica e artefatti tecnologici:
verso una nuova usabilità.
Università degli Studi di Bari - Facoltà di Scienze
Corso di Laurea in Informatica e Comunicazione Digitale
Anno Accademico 2004/2005
Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Giovanna Castellano
Laureando: Gaetano Lopez
Indice
Introduzione
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1. Nuovi media: strumento di comunicazione, nuova socialità
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1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
Media e società
L’evoluzione dei nuovi media
I nuovi paradigmi: l'ubiquitous computing
Artefatti tecnologici, da strumenti di elaborazione ad oggetti personali
Emozioni e artefatti
2. L'interazione uomo-macchina
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
3. Usabilità e metodi di valutazione
3.1
3.2
3.3
3.4
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Usabilità e accettabilità
Metodi di valutazione
Usabilità web e design della comunicazione
Un modello per la valutazione di siti web
4. L’Estetica
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
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La storia dell’interazione uomo-macchina
L’interfaccia e la progettazione centrata sull’utente
Modelli di interazione
I princìpi del design
L’affordance
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Cos’è l’estetica
User-experience ed esperienza estetica
Usabilità apparente, estetica e contesto culturale
Estetica dell’interazione e nuovi metodi per il design dell’interazione
Metodi per la valutazione dell’estetica
5. Un caso di studio: il sito del Dib
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5.1 Parte prima. Misurazione dell’estetica e sperimentazione
5.2 Parte seconda. Valutazione e redesign
Conclusioni
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Bibliografia
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Introduzione
La crescente diffusione e l'utilizzo sempre maggiore di strumenti tecnologici da parte della
società pone in maniera pressante il problema dell'importanza dello sviluppo centrato sull’utente.
In una società evoluta in cui i bisogni primari sono stati soddisfatti, l'esigenza di esperienze
appaganti risulta centrale. L'esperienza utente, nella definizione di Pine e Gilmoure, per
essere memorabile deve essere “ricca” e comprendere un insieme di aspetti, tra cui quello
“estetico”.
Questo lavoro di tesi si pone l'obiettivo di analizzare la relazione tra estetica ed usabilità
nella progettazione e produzione di un artefatto tecnologico, ma soprattutto di comprendere
come il concetto più articolato di accettabilità di un sistema debba tenere in considerazione
anche la dimensione estetica.
Il percorso effettuato, ritenendo lo sviluppo tecnologico un fenomeno situato (dice
Paccagnella (2000), “La relazione tra artefatti tecnologici, bisogni individuali e sistema
socioculturale non è mai di causalità lineare, ma si presenta come una relazione circolare e
complessa”), parte nel primo capitolo dalla descrizione dei nuovi media, analizza l'impatto
degli stessi a livello sociale e cerca di individuare le variabili che intervengono nella costruzione della user-experience.
Spesso, la ancora breve storia dell'interaction design ha posto in antitesi l'usabilità, ovvero
la funzionalità di un artefatto, con la sua dimensione estetica e il visual design.
Non è raro assistere a relazioni di addetti ai lavori che parlano di come la richiesta del bello
da parte di un cliente possa inficiarne l'efficienza.
La prospettiva proposta è quella di comprendere quale sia il ruolo di queste dimensioni
progettuali nella costruzione di un'interfaccia sottolineando la loro reciprocità e lasciando
intravvedere, addirittura, una loro dipendenza.
In tutti i campi del design, dalla moda all'arredamento, dalle auto agli oggetti di uso quotidiano, funzionalità e forma, caratteristiche ed estetica, sono considerate componenti indissolubili entrambe necessarie.
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Anche nella progettazione di un qualsiasi artefatto tecnologico tali componenti possono
essere considerate in modo unitario e solo la loro integrazione può far nascere un prodotto
percepito favorevolmente da un utente. È importante sottolineare che questa analisi sul
ruolo dell’estetica e del visual design non ha nessuna intenzione di teorizzare la loro
supremazia, piuttosto vuole rimarcare la complessità di un artefatto tecnologico che deve
essere utilizzato da un utente con un elevato livello socio-culturale.
Non è in discussione l’importanza dell'usabilità, ma semmai si pone il problema di considerarla in una prospettiva più ampia, che consideri gli artefatti non solo sulla base del loro
utilizzo ma anche di significato e di “presenza” nella vita di ognuno di noi.
Si pensi ad un sito web. È un artefatto complesso e multidimensionale in quanto è un
software, un servizio, ma anche uno strumento di comunicazione. Come tale deve soddisfare i requisiti di ognuna di queste componenti e deve essere in grado di guardare all’utente
mettendolo al centro del processo di design.
In particolare, in un’ottica di corporate identity deve essere coerente con le linee guida che
caratterizzano lo stile comunicativo aziendale; deve consentire di svolgere attività complesse e delicate quali transazioni bancarie per acquisti e prenotazioni di servizi; deve
fornire un’informazione puntuale e sempre aggiornata. Ulteriore elemento, di carattere
prettamente tecnico, le sue infrastrutture tecnologiche devono essere in grado di garantire
prestazioni accettabili che funzionino correttamente anche in condizioni di sovraccarico.
Questo scenario richiede professionalità trasversali con competenze informatiche, di marketing e di comunicazione.
Nel secondo capitolo si ripercorre la storia dell’interazione uomo-macchina e vengono
illustrati alcuni concetti essenziali per il design quali l'affordarce e il mapping.
Il terzo capitolo è dedicato all’usabilità, di cui sono date definizioni formali e intuitive, ai
metodi di valutazione e agli aspetti che caratterizzano in particolar modo i siti web.
Il quarto capitolo considera e analizza in che modo l'aspetto emozionale concorra ad una
predisposizione positiva dell'utente nei confronti dell'artefatto. In particolare, i risultati di
uno studio realizzato dai giapponesi Kurosu e Kashimura evidenziano in maniera inconfutabile il ruolo giocato dall’estetica e la necessità di ridefinire e completare le teorie
sull’interazione.
Lo sviluppo di applicazioni centrate sull'utente, non può, quindi, prescindere dal considerare
gli aspetti emozionali che sono indissolubilmente legati all'usabilità.
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Solo l’utilizzo della dimensione estetica combinato ai dettami dell’ingegneria dell’usabilità,
e non in alternativa, fa sì che un artefatto possa essere percepito “friendly” e concorrere, in
un’ottica più ampia, all’accettabilità del sistema assicurando la corretta user-experience.
L’ultimo capitolo, infine, mostra i risultati di un caso di studio, strutturato in due parti,
riguardante la valutazione di alcuni parametri legati all’estetica e un progetto di redesign del
sito del dipartimento di informatica di Bari.
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1. Nuovi media: strumento di comunicazione, nuova socialità
Lo sviluppo dei nuovi media, e la loro diffusione nei vari contesti in cui l’uomo svolge le
proprie attività, impone una riflessione sul loro impatto sociale ed economico, allo scopo di
comprendere il ruolo che assumono progettazione e valutazione nel ciclo di vita degli
artefatti tecnologici. Quindi per poter comprendere l’orientamento che gli studi sull’interazione uomo-macchina dovrebbero intraprendere è necessario analizzare in che modo i
nuovi media influenzano la comunicazione umana e le relazioni sociali in generale.
1.1 Media e società
L’analisi dell’impatto dei nuovi media sulla comunicazione e le relazioni sociali non può
prescindere dall’assunto, eredità delle teorie psicologiche della scuola di Palo Alto, che tutti
gli essere umani – ma anche le aziende, le istituzioni, lo stato – comunicano. La scelta è
relativa alla modalità con la quale farlo. Non è possibile non comunicare, anche la scelta di
non comunicare è un modo per comunicare.
I media rappresentano un modo con il quale poter scegliere di comunicare. I media (Riva
2004) possono essere definiti come uno strumento in grado di permettere ai soggetti di
superare i vincoli della comunicazione faccia a faccia, la situazione interattiva più
naturale. Sono stati diversi gli strumenti utilizzati dall’uomo in qualità di media per
comunicare: la scrittura, il telefono, internet.
Possiamo dire che la storia dell’uomo è caratterizzata dall’evoluzione dei media.
L’introduzione di un nuovo media provoca dei cambiamenti a livello sociale e individuale.
Le caratteristiche di un media influenzano l’esperienza degli utenti che modificano alcuni
comportamenti dipendentemente da tali caratteristiche.
In realtà, sulla relazione esistente tra utenti e media, esistono essenzialmente due posizioni,
la prima – il determinismo tecnologico che ha in McLuhan il più importante sostenitore –
sostiene che l’impiego di un media modifica le interazioni e il modo di sentire e pensare dei
propri utenti, per McLuhan il media è il messaggio; la seconda – il costruzionismo sociale
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di cui Williams è il più noto sostenitore – rovescia l’analisi e considera il media il risultato
di forze sociali e culturali.
Esistono tuttavia, come accennato nell’introduzione, delle posizioni in grado di integrare
questi due poli estremi, che considerano la relazione tra artefatti, società e individuo di tipo
circolare. Hughes e Wright, sostengono infatti che la tecnologia si sviluppa ed evolve
attraverso varie fasi in cui l’influenza sociale prevale su quella tecnologica. Allorché è
penetrata all’interno della società, consolida la sua presenza nella vita delle persone, cambia
il suo ruolo e da determinata diventa determinante.
1.2 L’evoluzione dei nuovi media
Possiamo definire i nuovi media come strumenti che consentono di comunicare attraverso
un’elaborazione digitale dell’informazione. La caratteristica digitale dell’informazione
trasmessa con i nuovi media ha prodotto nuove applicazioni comunicative che hanno
modificato l’esperienza comunicativa degli utenti.
Non siamo interessati ad approfondire i diversi nuovi media, ricordiamo solo lo sviluppo
dei media testuali asincroni come la posta elettronica (la cui nascita determinò il passaggio
dalle reti di calcolo alle reti di comunicazione: la telematica non collegava più solo
macchine, ma anche persone), gli sms, i news group, e dei media testuali sincroni quali le
chat e i mud (Multi User Dungeons) veri e propri ambienti virtuali condivisi. Senza entrare
nel dettaglio possiamo dire che le caratteristiche di ognuno di questi media ha delle ricadute
sullo scambio comunicativo, ad esempio, i media asincroni consentono di poter “scegliere”
il momento in cui dar seguito alla relazione; in quelli sincroni, la necessità di rendere
sufficientemente veloce lo scambio ha portato all’utilizzo di un registro linguistico sintetico,
simile a quello della comunicazione faccia a faccia. Ad ogni modo, indipendentemente da
quali siano le caratteristiche proprie di ogni singolo media testuale, il loro tratto comune è la
riduzione dei canali comunicativi che contraddistinguono la comunicazione che prevede la
compresenza fisica, ovvero la comunicazione non verbale e paraverbale. L’assenza di
queste componenti comporta, come detto, delle modificazioni nelle relazioni, c’è un campo
di studi che ha già espresso posizioni diverse, ad indagare sulle implicazioni di carattere
sociologico della “comunicazione mediata dal computer”.
Non c’è dubbio che nel panorama evolutivo dei nuovi media grande importanza ha rivestito
e continua a rivestire il world wide web e la tecnologia che la sottende. Il web non
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costituisce una tecnologia di comunicazione interpersonale, quanto piuttosto un sistema di
interfaccia.
La tecnologia alla base della odierna internet trova le sue radici nel secondo dopoguerra. La
prima rete telematica, chiamata Arpanet, nasce come progetto del Ministero della Difesa
americano che voleva dotarsi di una struttura in grado di poter comunicare anche in
presenza di emergenza e guasti presso alcuni dei suoi nodi.
Le caratteristiche di Arpanet erano la ridondanza – grazie ad una tecnologia di scambio dei
dati denominata “commutazione di pacchetto”, due punti qualsiasi della rete potevano
essere messi in comunicazione attraverso percorsi diversi – e l’architettura policefala, senza
un unico nodo centrale. Nella prima metà degli anni ’70 fu coniato il termine “Internet” da
Inter-Networking. Internet è quell’insieme di reti e computer collegate tra loro attraverso
canali trasmissivi diversi (cavi, onde radio, satelliti) e unite dal gruppo di protocolli Tcp/Ip.
Nel 1996 nasce NsfNet, gestito dal National Science Foundation (l’equivalente Usa del
Cnr), che introduce gli strumenti telematici negli ambienti accademici. Nel ’91 la Nsf toglie
le restrizioni sull’uso commerciale della rete mentre al Cern vengono elaborati i fondamenti
del World Wide Web. Nel ’93 viene creato e diffuso Mosaic, il primo browser dotato di
interfaccia grafica.
Oggi il web consente di effettuare una moltitudine di operazioni, da transazioni economiche
per l’acquisto di beni e servizi a ricerche in ogni dominio. Tutte le aziende e le istituzioni
hanno individuato nella rete una componente essenziale delle loro strategie di
comunicazione atte a sviluppare e intrattenere “relazioni” con i propri “pubblici”.
Accanto ad internet stanno nascendo e sviluppando ulteriori nuovi media che stanno
ridefinendo vecchi media quali la televisione, la radio e il telefono e che vanno nella
direzione (Riva, 2004) della creazione di un sistema di comunicazione allargato in cui
stanno convergendo tutti i media specifici indipendentemente dal tipo di tecnologia
utilizzata. Intanto nuovi paradigmi di interazione si vanno affermando e nuovi scenari si
delineano.
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1.3 I nuovi paradigmi dell’interazione: l’Ubiquitous Computing
Alla fine degli anni ‘80 Weiser introduce il concetto di “ubiquitous computing” per indicare
la possibilità per ogni persona di essere in interazione continua con innumerevoli mezzi di
calcolo interconnessi.
Il principale intento dell’ubiquitous computing è quello di spostare l’interazione fuori dagli
spazi in cui abitiamo. Altri approcci indirizzano gli sforzi su come integrare risorse
computazionali con il mondo fisico e rendere la combinazione qualcosa di significativo,
usabile e piacevole con cui vivere, lavorare e giocare.
Weiser inizialmente immagina tre tipi di oggetti: un enorme schermo interattivo; un notepad, visto come un foglio di carta che l’utente può usare in modo naturale ed un “tiny computer”, simile ad un post it.
L’idea di ubiquitous computing si è sviluppata in seguito e oggi si parla di pervasive computing, invisible computing, wearable computing, embedded computing.
Ci sono due modi per rendere ubiqui i mezzi di calcolo: immaginare mezzi di calcolo diffusi
nell’ambiente o esasperare l’idea di personal computer, ovvero il pc diventa parte integrante
degli oggetti che si indossano. L’interazione fra persone e tecnologia cambia di conseguenza e i sistemi assumono un’autonomia maggiore.
Questa idea di strumenti di calcolo diffusi consente di poter fruire di tutti i media attraverso
internet in maniera indipendente dalle variabili spazio e tempo.
Il risultato è la completa separazione tra tecnologia e contenuti. Ciò consente di poter
consultare lo stesso contenuto indipendentemente dalla tecnologia utilizzata. Uno stesso
servizio comunicativo potrà essere fruito attraverso l’utilizzo di tecnologie diverse.
Gli oggetti più comuni potranno essere, ed in parte già lo sono, strumenti di calcolo, le
etichette dei vestiti, ad esempio, potranno controllare posizione e modalità di lavaggio, gli
interruttori saranno in grado di disattivarsi per risparmiare energia quando non c’è nessuno
in camera, le penne potranno digitalizzare tutto ciò che scriveranno.
Questo scenario pone la centralità del ruolo dell’interfaccia. È delegata all’interfaccia il
compito di consentire all’utente di sfruttare tutte le opportunità, scegliendo di volta in volta
la tecnologia che gli permette di raggiungere i propri obiettivi. Interfacce diverse potrebbero
consentirci di utilizzare, a seconda del contesto, una capacità di calcolo invisibile e
distribuita nell’ambiente. Aumentando drasticamente la quantità di informazione disponibile è l’interfaccia a determinare la capacità di analisi dell’utente consentendogli di trovare
l’informazione che gli interessa.
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Negli studi effettuati con l’intento di disegnare nuovi scenari è significativo il concetto di
“calm technology” (Weiser e Seely Brown 1996), vale a dire di una tecnologia che ci presenti continuamente informazioni nello stesso modo non intrusivo in cui, per esempio, una
finestra ci offre informazioni su ciò che avviene all’esterno. L’idea centrale è quella di
un’interfaccia che muova tra il primo piano e lo sfondo della nostra attenzione. Questa è
stata anche una delle idee principali del progetto di ambienti per la visualizzazione delle
informazioni. Ovviamente questi esperimenti non hanno esplorato nuove funzionalità ma
nuove forme di apparenza dei computer. Possiamo dire che l’intento di questi esperimenti è
stato quello di far “scomparire” il computer.
“Il computer invisibile” è il titolo di un saggio di Norman del 1998 in cui l’autore auspica la
“scomparsa della tecnologia”, in quanto la tecnologia migliore è quella che non si vede. Gli
oggetti devono essere così semplici da usare da rendere la tecnologia trasparente. Per poter
raggiungere questo obiettivo Norman riprende il concetto di infodomestici (Raskin 1988).
L’infodomestico è un elettrodomestico specializzato, in grado di compiere elaborazioni, con
la caratteristica di riuscire a condividere le informazioni. Un oggetto di questo tipo, adatto a
compiti specifici, potrebbe abbattere la complessità intrinseca dei computer. Il computer per
sua natura risulta essere complesso e difficile da usare, la sua caratteristica di strumento
multifunzione ne impedisce la semplicità. Inoltre il modello di business proposto
dall’industria informatica impone una continua evoluzione della complessità. Qualunque
dispositivo che deve compiere compiti diversi deve raggiungere dei compromessi per
quanto riguarda la gestione dei singoli compiti. Gli infodomestici, invece, progettati per
assolvere uno specifico compito potrebbero rappresentare un’inversione di tendenza ed un
modello che prevede un determinato apparecchio tagliato su misura per un determinato
lavoro. L’inserimento del computer all’interno dello strumento non costringe l’utente ad
essere cosciente della sua presenza. In questo modo l’apprendimento dell’utilizzo dello
strumento diventa inscindibile dall’apprendimento dell’attività. L’attuale sviluppo dell’industria informatica rende possibile pensare ad infodomestici in grado di offrire prestazioni
ed affidabilità ad un prezzo ragionevole.
Sebbene rendere il computer invisibile potrebbe essere un passo nella giusta direzione dal
punto di vista letterale, dal punto di vista fenomenologico è più complesso. Gli oggetti
invisibili sono quelli accettati come tali, quando usiamo un martello oppure camminiamo
non pensiamo a come farlo, ma lo facciamo. Il martello non è invisibile, ma scompare in
quanto noi lo utilizziamo in modo naturale senza riflettere. In realtà, molti oggetti sono
considerati parti naturali nella nostra vita. Quando qualcosa di nuovo compare nella nostra
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vita sarà accettata gradualmente come parte naturale della nostra vita. Quindi, gli oggetti
appaiono e scompaiono come parti del nostro quotidiano. La maggior parte del tempo gli
oggetti presenti nella nostra vita non richiederanno la nostra attenzione per la loro presenza.
Per costruire un solido approccio alla progettazione, dobbiamo comprendere questi atti di
accettazione, rispetto alla piena comprensione di cosa sono gli artefatti tecnologici di ogni
giorno.
1.4 Artefatti tecnologici, da strumenti di elaborazione ad oggetti personali
Come detto l’evoluzione dei sistemi di calcolo impone una ridefinizione delle caratteristiche
da progettare e delle variabili da valutare. Infatti, il progetto e la valutazione di un artefatto
sono spesso fatti in relazione ad alcuni intenti d’uso. La valutazione dell’usabilità, come
vedremo in dettaglio nel terzo capitolo, è fatta in relazione a criteri quali, efficienza,
semplicità d’uso e facilità d’apprendimento. Una descrizione delle cose secondo questi
criteri, è una “descrizione funzionale” basata sulla nozione generale di uso.
Nelle analisi delle prospettive con le quali considerare gli artefatti, nello scenario
dell’ubiquitous computing, è interessante la differenza introdotta da Hallnäs e Redström
(2002) del concetto di “uso” (qualcosa che deve essere usato per qualcosa) e “presenza”
(qualcosa che deve essere presente nella vita di qualcuno) di un oggetto.
Uso e presenza, quindi, rappresentano due diverse prospettive di cosa è un oggetto. Mentre
il concetto di “uso” fa riferimento ad una descrizione di un oggetto nei termini degli scopi
per cui è usato, il concetto di “presenza” fa riferimento alle “espressioni delle cose” basata
sul modo in cui le accettiamo come parte della nostra vita.
A differenza di una descrizione basata sulla generica nozione di uso, una descrizione in
termini di presenza è legata a un particolare significato dato ad uno specifico oggetto.
Quando gli artefatti cambiano da essere strumenti per uno specifico uso ad oggetti presenti
nella nostra vita, dobbiamo spostare il focus dal progettare per l’efficienza d’uso al
progettare per la significatività della presenza. Questo spostamento di prospettiva pone
l’estetica al centro del processo di design cambiando il significato di usabilità.
L’estetica, in quest’ottica, non ha a che vedere con la dimensione creativa degli artefatti, ma
con la modalità con cui la loro espressione definisce un’identità che può renderli significativi nella vita di qualcuno. Quindi l’estetica, come logica dell’espressione, fornisce un
contesto metodologico per la definizione dell’espressione degli artefatti tecnologici.
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Molti artefatti, definiti per mezzo del loro uso, in realtà sono parte della vita di qualcuno in
modo più profondo, sono presenti nella nostra vita come parte di quello che siamo, di come
viviamo e di come esprimiamo la nostra personalità.
La descrizione della presenza di un artefatto nei termini di come esprime se stesso allorché
veniamo a contatto nella vita di tutti i giorni, ci consente di pensare agli artefatti come
portatori di espressioni piuttosto che di funzioni.
I due modi di descrivere e definire un artefatto, in termini di uso e presenza, sono
prospettive complementari. Quando valutiamo un qualsiasi oggetto quale un abito, un
telefonino, un mobile, consideriamo sia la sua funzionalità che le sue epressioni. Hallnäs e
Redström concludono che pensare in termini di presenza ci apre nuove prospettive per il
design in vista della “scomparsa” del computer.
1.5 Emozioni e artefatti
La prospettiva di oggetti descritti attraverso la loro presenza nella vita di qualcuno induce
ad una riflessione sulle modalità con la quale scegliamo e attribuiamo valore agli oggetti.
La scelta di un oggetto dipende da diverse componenti quali il contesto, l’occasione, lo stato
d’animo. Un oggetto va al di là della sua funzione pratica, può avere, ad esempio, un
significato ed una componente personale che nessun designer o produttore può fornire.
Spesso noi attribuiamo un valore simbolico ad un oggetto per essere legati a momenti che
hanno un’importanza nel nostro vissuto.
In quest’ottica Norman (2004) individua nel design di un prodotto diverse componenti:
l’usabilità, l’estetica, la sua praticità, e riconosce una forte componente emozionale nel
modo in cui i prodotti vengono progettati e utilizzati. Chiama queste componenti design
viscerale, design comportamentale, design riflessivo.
•
Il design viscerale è il primo livello, è quello che fa la natura. Legato all’apparenza, non
•
dipende da aspetti culturali
•
tamento quotidiano, è quindi basato sull’utilizzo e riguarda il piacere e l’efficacia d’uso
Il design comportamentale è legato ai processi cerebrali che controllano il compor-
Il design riflessivo è il livello più alto. Considera il significato del prodotto e concerne
con l’immagine che abbiamo di noi stessi. È culturalmente dipendente.
Norman afferma inoltre che queste dimensioni, ancorché profondamente diverse tra loro
vanno intrecciandosi in ogni design. L’aspetto importante di questa relazione tra le com-
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ponenti del design risiede nel fatto che che le emozioni e il processo cognitivo sono inscindibili. Le emozioni accompagnano ogni momento della nostra vita, delle nostre azioni e
delle nostre relazioni. La componente emozionale ci condiziona e a volte ci guida nei comportamenti. Questa stretta interconnessione tra emozioni e processi cognitivi, peraltro oggetto di nuovi sviluppi scientifici nella comprensione del cervello, pone il problema dell’inadeguatezza di un approccio al design che si occupi solo di utilità e usabilità.
L’ulteriore fattore che va considerato accanto alle emozioni è quello dell’estetica, dell’attrazione, della bellezza.
“Se dovessimo seguire la ricetta di Norman, tutti i nostri oggetti sarebbero usabili – ma risulterebbero anche brutti”, è la critica rivolta dai designer a Norman all’indomani dell’uscita de “La caffettiera del masochista” (splendido volume i cui contenuti sono ripresi più
volte in questo lavoro di tesi). Lo stesso Norman considera legittima questa critica, sottolinea che un oggetto usabile non è necessariamente piacevole da usare e un design attraente non è necessariamente facile da usare e conclude che funzionalità, estetica e usabilità
devono poter coesistere in un prodotto.
Gli studi delle scienze cognitive riconoscono l’emozione quale componente essenziale della
vita, in grado di influenzare il modo di pensare, di sentire, di comportarsi degli esseri umani. “L’emozione ci rende più intelligenti”: è il risultato delle attuali ricerche di Norman, le
emozioni attraverso i mediatori chimici, modificano la percezione, la capacità di prendere
decisioni e il comportamento. Vi è, dunque, la prova che gli oggetti piacevoli ci consentono
di lavorare meglio ed ottenere risultati migliori con prodotti che ci fanno stare bene e con i
quali ci sentiamo a nostro agio. Un oggetto esteticamente piacevole può migliorare le nostre
prestazioni.
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2. L’interazione uomo-macchina
L’interazione tra l’uomo e la macchina rappresenta la comunicazione tra l’utente e il
sistema. Tale comunicazione può avvenire in diversi modi con diversi livelli di interattività.
Come tutti i processi di comunicazione, l’interazione richiede due partecipanti, utente e
sistema, che sono profondamente diversi nel modo di comunicare e di percepire compiti e
dominio.
L’interfaccia ha il compito di ridurre le distanze tra i due partecipanti alla comunicazione
traducendo correttamente i concetti dell’utente in quelli del sistema.
Prima di parlare dell’interfaccia e del suo ruolo, riportiamo i passaggi essenziali nella storia
dell’interazione uomo-macchina.
2.1 La storia dell’interazione uomo-macchina
Dourish identifica quattro fasi nella storia dell’interazione uomo-macchina: elettrica, simbolica, testuale, grafica.
Nella fase elettrica, caratterizzata dalla presenza di computer analogici – in cui i dati sono
rappresentati da grandezze fisiche continue come la pressione e il voltaggio – e dalla mancanza di distinzione tra hardware e software, per poter interagire con il computer bisognava
modificarne i circuiti.
Successivamente, l’introduzione dei computer digitali ha comportato la separazione tra
hardware e software che in una prima fase è scritto in linguaggio macchina.
Il passaggio tra il linguaggio macchina e l’assembly – un linguaggio che sostituisce i numeri binari con codici – segna l’inizio della fase simbolica nella storia dell’interazione uomomacchina. In questa fase l’interazione avviene con una combinazione di questi codici. Il
limite essenziale dell’assembly è il suo legame con il linguaggio macchina che varia dipendentemente dal tipo di processore.
L’evoluzione dei linguaggi simbolici, sempre meno vicini al linguaggio macchina e la
nascita dei sistemi operativi che, fornendo un ambiente per l’esecuzione dei programmi,
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rappresentano l’interfaccia tra utente e hardware si entra nella fase testuale. In questa fase il
linguaggio non è più utilizzato per scrivere solo programmi ma anche per interagire con il
computer. Nascono le cosiddette interfacce a linea di comando, in cui l’utente per mezzo di
comandi impartisce delle direttive, è il periodo in cui il sistema operativo Ms-Dos conosce
una forte diffusione.
In questa evoluzione delle interfacce, uno degli eventi di svolta è stato, senza dubbio,
l’introduzione dei sistemi operativi basati su interfaccia grafica. Siamo, per l’appunto, nella
fase grafica, l’utente interagisce mediante la manipolazione di elementi grafici, le icone; ma
soprattutto, lo spazio di interazione diventa a due dimensioni, consentendo di sfruttare una
serie di caratteristiche della nostra capacità di organizzazione spaziale (Nielsen 1999;
Raskin 2000).
La bidimensionalità consente la distribuzione dell’informazione in modo mirato, ad
esempio dividendo le aree per l’interazione da quelle dei comandi, e l’utilizzo di metafore
cognitive. I sistemi operativi più diffusi, Apple MacOs X e Windows Xp, utilizzano la metafora della scrivania i cui elementi iconici, che rappresentano cartelle, documenti e un
cestino, ricordano una scrivania.
Questi elementi sono puntati attraverso un dispositivo chiamato mouse, prolungamento del
braccio dell’utente. Le interfacce grafiche caratterizzano anche altri strumenti, quali i
chioschi multimediali, nei quali i comandi vengono espressi mediante la pressione esercitata
con la mano sul monitor.
Le interfacce grafiche che hanno il vantaggio di essere facili da imparare, ma lo svantaggio
di essere complesse da realizzare, sono anche dette a “manipolazione diretta” perché sono
basate sul criterio che l’utente invii al sistema i comandi manipolando dei control che
rappresentano sull’interfaccia i task realizzabili. L’idea centrale della manipolazione diretta
è quella di rappresentare gli oggetti dell’interfaccia in modo che l’utente possa agire su di
essi allo stesso modo con cui agisce con oggetti fisici. Questa caratteristica sottende lo scopo di sfruttare gli schemi percettivo-motorî che fanno parte del nostro patrimonio cognitivo.
Le altre due forme di interazione dominanti sono quella in linguaggio naturale e quella con
un agente animato.
Nell’interazione in linguaggio naturale l’utente specifica le proprie richieste al sistema con
un linguaggio pseudo-naturale. Il sistema risponde in linguaggio naturale o multimediale. In
questa forma di interazione il sistema deve essere in grado di interpretare le richieste
dell’utente, questo comporta una difficoltà di implementazione e il vantaggio della facilità
di apprendimento.
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L’idea di un’interazione attraverso un agente animato nasce invece con l’intento di attribuire un volto alle macchine. Infatti, si è scoperto che esistono delle analogie tra interazione
umana e tra uomini e mezzi. Bisogna, quindi, badare non solo alla facilità d’uso ma anche ai
fattori umani.
Secondo Cassell (2000) un agente animato deve essere capace sia di riconoscere le mosse
dell’utente nel dialogo che di rispondere, a sua volta, con una mossa coerente, integrando
parte verbale a parte non verbale in modo da essere considerato credibile dall’utente. La
credibilità è considerata essere componente essenziale dell’usabilità di un’interfaccia ad
agenti.
Gli agenti animati si propongono, quindi, di realizzare una nuova modalità di interazione
che dia all’utente l’illusione di interagire con un assistente intelligente. Un agente per poter
essere considerato intelligente deve essere in grado di comprendere anche messaggi ambigui e deve essere in grado di proporre aiuto anche quando non è stato richiesto. Un agente
animato possiede, quindi, autonomia. Questa caratteristica comporta che il rischio maggiore
risieda nella possibilità di essere intrusivi. È quanto accaduto all’agente realizzato dalla
Microsoft nell’ambito del progetto “Lumiere”, il primo esperimento di agente animato.
Anche l’interazione con agenti animati presenta il vantaggio di una fase di apprendimento
breve.
2.2 L’interfaccia e la progettazione centrata sull’utente
Spesso con il termine interfaccia si fa riferimento alle interfacce grafiche, dette “Gui”
(Graphical User Interface), con le quali siamo abituati ad interagire nel lavoro quotidiano
caratterizzate dalla metafora della scrivania e dalla presenza di finestre e menu.
In realtà già esistono dei prototipi di interfacce vocali e in un futuro prossimo potremo
dialogare con artefatti tecnologici mediante l’utilizzo della voce.
Raskin definisce “interfaccia” il modo in cui si fa qualcosa con uno strumento: le azioni e il
modo in cui lo strumento risponde.
Uno degli obiettivi primari della tecnologia e quindi dei progettisti di sistemi ed interfacce
deve essere quello di semplificare le cose. La tecnologia dovrebbe aiutare le persone nello
svolgimento dei compiti.
Purtroppo progetti sbagliati non solo non riescono in questo intento, ma sono, addirittura, in
grado di rendere complesso ciò che, in realtà, è semplice.
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Basti pensare alle difficoltà che gli utenti incontrano nell’utilizzo di strumenti quali il
videoregistratore del quale conoscono ed utilizzano, in modo errato, una percentuale
marginale delle funzioni a disposizione.
Il primo passo in un processo centrato sull’utente dovrebbe essere quello di includere gli
aspetti di psicologia umana.
Esistono delle caratteristiche comuni a ogni essere umano, caratteristiche psicologiche
universali che dovrebbero essere tenute presenti in ogni progetto e dovrebbero precedere
l’analisi delle tipologie di utenti di un determinato strumento.
A questo proposito è interessante ricordare Jung (1936) e la sua “teoria degli archetipi dell’inconscio collettivo”. Jung sostiene che esiste uno strato profondo dell’inconscio che non
deriva da esperienze e acquisizioni personali, ma che è innato. Questo inconscio non è di
natura individuale, ma “collettiva”, ha contenuti e comportamenti che sono gli stessi dappertutto e per tutti gli individui. Mentre i contenuti dell’inconscio personale costituiscono
l’intimità personale della vita psichica, i contenuti dell’inconscio collettivo sono i cosiddetti
“archetipi” cioè forme determinate e immagini primordiali autoctone, capaci cioè di
generarsi da sole, esistenti nella psiche.
Raskin sostiene che i progettisti piuttosto che considerare questi aspetti psicologici
universali dell’uomo tendono ad uniformarsi a quelli che sono gli standard di mercato
perpetuando sistemi mal progettati e i paradigmi esistenti. Strumenti quali Visual Basic e
Visual C++, ancorché utili, limitano di fatto la libertà d’azione del progettista.
Bisogna sottolineare che i cambiamenti di abitudini mentali ormai radicate nell’utente ed
entrate a far parte del suo patrimonio cognitivo comportano un costo dovuto allo sforzo
richiesto per apprendere la nuova modalità. Questo significa che, in questi casi, non solo
bisogna ottenere un miglioramento dell’usabilità, ma anche, valutare la tipologia di utente.
In un sistema caratterizzato da utenti saltuari, è preferibile privilegiare la familiarità,
viceversa in una situazione in cui l’apprendimento rappresenta un aspetto marginale
nell’uso dello strumento da parte dell’utente è preferibile riprogettare puntando ad una
maggiore produttività.
La progettazione centrata sull’uomo, dunque, deve tenere presente sia il funzionamento
degli esseri umani che delle macchine, considerando attentamente le difficoltà che gli
uomini incontrano nell’interazione con dispositivi automatici.
Nell’analisi e nella comprensione dei meccanismi umani nell’utilizzo di un sistema bisogna
considerare che gli essere umani quando si abituano a fare qualcosa in un determinato modo
danno per scontato che il funzionamento debba essere quello.
17
L’utente è abituato ad alcuni comportamenti anomali dei sistemi informatici a tal punto da
considerarli inevitabili. A tal proposito Raskin menziona il tempo di boot, ovvero il tempo
di attesa al momento dell’accensione di un computer. La sua riduzione, dal punto di vista
tecnico ad un computer per funzionare servono solo pochi secondi, aumenterebbe l’usabilità, ma mai nessuno si è posto questo problema.
Un utente non deve né attendere senza motivo, né sentirsi costretto a compiere delle azioni
in un determinato tempo, i tempi dell’interazione devono essere dettati dall’utente stesso
che deve sentirsi libero di adeguare l’interazione ai suoi ritmi senza vincoli di tempo.
Nello svolgimento dei propri compiti quotidiani gli esseri umani tendono a sviluppare
abitudini, ovvero a compiere azioni in modo inconscio senza prestare attenzione ai dettagli.
Quando guidiamo, non lo facciamo pensando che ad un certo punto dobbiamo ruotare lo
sterzo per compiere una curva, ma lo facciamo grazie all’abitudine.
Raskin sostiene che il dovere dei progettisti è creare interfacce che impediscano la
formazione di abitudini che causino problemi agli utenti, in particolare le interfacce devono:
•
•
sfruttare l’attitudine umana alla acquisizione di abitudini
ingenerare abitudini che aiutino il lavoro degli utenti
La gran parte dei problemi che gli utenti incontrano nell’utilizzo di un sistema hanno
origine da interfacce che non tengono in considerazione la capacità di adattamento degli
esseri umani, non distinguono, quindi, tra gli aspetti positivi e quelli dannosi dello sviluppo
di abitudini.
La progettazione dell’interfaccia va effettuata nell’analisi dei requisiti, non appena è stato
definito lo scopo del prodotto, e non nella prima fase dello sviluppo. L’implementazione deve poi discendere dall’interfaccia. Dal punto di vista dell’utente, l’interfaccia è il prodotto.
Il ciclo di vita della progettazione
La filosofia progettuale che si è andata affermando nei primi anni ’80 con l’introduzione
delle interfacce a manipolazione diretta, allorché si comprende la centralità dell’utente,
viene denominata “User Centered Design” (UCD).
L’UCD considera la progettazione dell’interfaccia un processo iterativo (figura 2.1) che
parte da un’analisi dell’utenza attuale, potenziale o futura, dei compiti che questi utenti
svolgono, degli oggetti implicati nello svolgimento di questi compiti e delle relazioni
esistenti fra utenti, compiti e oggetti.
Analisi, progettazione e verifica si succedono, spesso con il coinvolgimento diretto dell’utente, fino a quando non si ottiene un risultato accettabile per gli standard definiti
18
all’inizio. L’applicazione delle metodologie Hci (Human Computer Interaction) ha lo scopo
di ottimizzare il processo di sviluppo riducendo il numero di iterazioni.
Figura 2.1. Il ciclo di vita nella progettazione di interfacce (De Rosis 2004).
La personalizzazione dell’interazione
La possibilità di personalizzare l’interazione rappresenta una modalità di sicuro interesse
per la progettazione centrata sull’utente.
La separazione tra l’interfaccia e il software - resasi necessaria con l’aumentare della complessità legata all’introduzione delle Gui - ha comportato due vantaggi complementari: da
un lato la possibilità di adattare l’interazione all’utente collegando diverse interfacce alla
stessa applicazione, dall’altro la possibilità di introdurre cambiamenti in una delle due
componenti senza dover modificare l’altra.
Vedremo nel prossimo capitolo come la flessibilità rappresenti una proprietà di un’interfaccia usabile. Il livello più sofisticato di flessibilità prevede la capacità da parte del sistema
di riconoscere le caratteristiche dell’utente e di adattarsi automaticamente fornendo in
questo modo una “personalizzazione” dell’interazione. Questa forma di personalizzazione,
detta “personalizzazione adattiva”, assume una grande importanza in ambiti quali la
pubblicità e l’erogazione di servizi sul web e attraverso dispositivi diversi. Servizi, contenuti e messaggi hanno significato se incrociano gli interessi dell’utente risultando rilevanti
per lui e, quindi, in grado di essere percepiti come valore aggiunto.
19
La personalizzazione adattiva avviene attraverso due fasi.
Nella prima il sistema crea un “profilo” dell’utente sulla base della richiesta di alcune
informazioni personali. È importante che le informazioni richieste non richiedano un
impegno gravoso in termini di tempo e non siano percepite come invadenti della sfera
personale. Una buona modalità, utilizzata ad esempio nelle registrazioni ad alcuni siti web,
consiste nel dare la possibilità di poter rispondere all’insieme di domande anche in momenti
successivi, richiedendo all’utente nella fase iniziale solo alcune informazioni fondamentali.
Ad ogni modo esistono essenzialmente due approcci per l’acquisizione di tali informazioni:
-
l’acquisizione esplicita che raccoglie le informazioni necessarie alla personalizzazione
attraverso una serie di domande;
-
l’acquisizione implicita che limita le domande iniziali attivando un primo modello
approssimativo.
Nella seconda fase il profilo creato viene aggiornato sulla base del comportamento, delle
scelte e delle preferenze mostrati dall’utente nel corso delle interazioni. Questa modalità che
sfrutta metodi di intelligenza artificiale consente di monitorare anche i cambiamenti di
interessi dell’utente nel corso del tempo.
Un sistema di questo tipo (figura 2.3), in grado di generare dinamicamente l’interfaccia ad
ogni profilo deve prevedere:
-
una base di conoscenza sui metodi di generazione delle interfacce
-
un modulo per il riconoscimento dell’utente
-
un modulo di generazione dell’interfaccia.
Applicazione
Profili
utente
Personalizzazione
Metodi
di generazione
Riconoscimento dell’utente
Generazione dell’interfaccia
Up 1
Up 2
.
.
.
Up m
Interfaccia
Figura 2.3. Architettura di un sistema per la generazione dinamica di interfacce (De Rosis 2004).
20
2.3 L’affordance
La psicologia dell’interazione tra persone e oggetti è regolata da alcuni princìpi quali, ad
esempio, l’importanza di informazioni sullo stato e del feedback delle nostre azioni. L’individuazione di tali princìpi non può fare a meno di considerare il concetto di affordance.
Lo psicologo cognitivo Gibson introdusse per primo il termine affordance nel 1979. Un’affordance è una risorsa che l’ambiente offre a un soggetto che è in grado di coglierla. Gibson
ritiene che ogni oggetto è caratterizzato da un insieme di proprietà che supportano un particolare tipo di azioni e non altre.
Quindi, l’affordance rappresenta l’“invito” che un determinato oggetto, materiale, dispositivo esprime nei confronti di un soggetto.
Una sedia è fatta per sedersi, le superfici lisce consentono di camminarci. Una superficie di
vetro può invitare alla frantumazione quelle di legno a scriverci sopra.
Questo è quanto accaduto in Inghilterra alle pensiline presenti nelle stazioni ferroviarie: fin
quando sono state di vetro, i vandali le hanno sfondate, successivamente, quando sono state
sostituite con pannelli in compensato, hanno incominciato a scriverci sopra e intagliarle con
i temperini.
Questa visione dell’affordance è di tipo adattativa nella quale il corpo trae dall’ambiente le
informazioni che gli sono necessarie.
Mantovani e Norman, tuttavia, propongono una prospettiva che considera anche gli aspetti
contestuali e culturali nella relazione tra soggetto e affordance.
Per chiarire questo aspetto Riva (2004), fa l’esempio di una banconota di 500 euro che per
un abitante dell’amazzonia ha la principale affordance di proteggere un frutto tropicale, per
noi occidentali, potrebbe rappresentare una settimana bianca.
Questo esempio evidenzia come l’affordance di un oggetto possa essere non diretta, cioè
legata alla struttura fisica, ma mediata dal significato che gli attribuiamo e dal contesto in
cui viviamo.
È possibile, quindi, distinguere tra:
•
affordance mediata: risultato dell’interpretazione dell’ambiente da parte del soggetto.
Tale interpretazione è determinata da due componenti: significato attribuito all’oggetto
e contesto. Queste caratteristiche, fanno sì che l’affordance mediata sia relativa e
•
mutevole;
affordance diretta: risultato del flusso di informazioni che l’ambiente fornisce all’organismo. Questo tipo di affordance fa quindi riferimento alle proprietà fisiche dell’oggetto
21
e quindi è stabile, in quanto cambia solo con la modificazione delle proprietà fisiche
dell’oggetto.
Va sottolineato come il concetto di affordance sia legato a quello di interazione, quindi è
legato ad uno degli aspetti che caratterizzano fortemente i media digitali.
Potremmo dire che l’affordance è una misura del grado di interattività e una indicazione
sull’interazione offerta all’utente.
Con riferimento alla psicologia dei nuovi media Riva (2004) sostiene che non è possibile
prescindere dalle opportunità offerte dall’analisi delle affordances esibite da un medium e
delle conseguenze psicosociali ad esso collegate.
Sulla base di queste considerazioni sulle proprietà degli oggetti possiamo definire
l’affordance come l’insieme di operazioni consentite da un oggetto, “to afford” in inglese
significa permettersi.
È possibile fare un’ulteriore distinzione tra affordance reale, ovvero l’insieme delle operazioni che è possibile compiere con un oggetto e affordance percepita, che fa riferimento
alle operazioni che sono percepite da un utente come consentite.
Possiamo concludere che un oggetto esibisce un insieme di opportunità di utilizzo, solo
alcune di queste sono percepite dall’utente.
Questa discrepanza è estremamente interessante per lo studio e l’individuazione degli
elementi utili ad uno sviluppo per l’utente.
Una interfaccia ben progettata deve mirare a minimizzare la forbice tra affordance reale e
percepita fornendo all’utente in modo univoco l’insieme delle funzionalità espresse.
2.4 I princìpi del design
L’attività di design, come abbiamo avuto modo di accennare, individua tra i suoi obiettivi
primari quello di assecondare la mente umana per consentire all’utente di comprendere nel
modo più semplice possibile le affordaces offerte e di poter raggiungere i suoi intenti senza
frustrazione e sforzi cognitivi.
Esistono alcuni princìpi, ineludibili per il raggiungimento di tali obiettivi, che fanno di un
design un “buon design”.
22
Il mapping
Il termine mapping indica tecnicamente la relazione esistente tra due cose.
L’attività di design deve utilizzare al meglio le relazioni tra le cose per convogliare
informazioni sul funzionamento di un dispositivo all’utente.
Sfruttare le correlazioni spaziali che intervengono in un’azione, si pensi ad esempio a quelle
che intervengono in una sterzata in cui per far girare la macchina a destra si ruota il volante
in senso orario, consente di assecondare quella che appare la scelta naturale per ottenere un
determinato risultato.
Un mapping di questo tipo, che sfrutti analogie fisiche e modelli culturali e che Norman
chiama mapping naturale, conduce alla comprensione immediata e al ricordo nel tempo.
Si possono usare analogie di tipo spaziale, un oggetto può essere sollevato attraverso un
comando che si muova verso l’alto e abbassato con un movimento verso il basso.
Per comandare i fuochi di una cucina possiamo disporre le manopole sulla cucina secondo
lo stesso schema. Una correlazione di questo tipo consente di evitare la conservazione
dell’informazione in memoria. La mancanza di una correlazione spaziale tra fuochi e
manopole non consente all’utente di decidere la corretta corrispondenza. Una disposizione
arbitraria costringe l’utente ad imparare i singoli comandi e conservare in memoria l’informazione oppure richiede l’utilizzo di etichette che indichino la corrispondenza.
La maggior parte delle cucine utilizza dei comandi a coppie, in cui le manopole di sinistra
comandano i fuochi di sinistra e quelle di destra i fuochi di destra. Questa soluzione riduce
drasticamente il numero di combinazioni possibili, non più 24, ma solo due, in quanto parte
dell’informazione è contenuta nella disposizione spaziale, ma richiede ancora indicazioni,
se avanti o dietro.
Un buon design deve evitare l’utilizzo di etichette e scritte, un oculato utilizzo di correlazioni naturali, generalmente, può ridurne al minimo l’utilizzo. Quanto più un dispositivo
utilizza le correlazioni naturali nei propri comandi maggiore sarà la semplicità d’uso da
parte dell’utente che non dovrà compiere sforzo né nell’apprendimento, né nella conservazione delle informazioni in memoria.
D’altro canto, l’utilizzo del mapping naturale evita il ricorso ad etichette ed indicazioni.
Quest’ultimo aspetto riduce la complessità visiva, va incontro ad esigenze di tipo estetico e
risponde ad uno dei princìpi del design che prevede l’utilizzo di tutti e soli gli elementi
necessari.
23
Il feedback
Il feedback rappresenta l’informazione di ritorno in un qualunque processo di comunicazione. Anche nella comunicazione interpersonale è possibile parlare di feedback,
ovvero della risposta da parte del nostro interlocutore ad un nostro atto comunicativo.
Quando dialoghiamo formuliamo delle richieste in termini relazionali che rimoduliamo e
adattiamo a seconda delle risposte del nostro interlocutore.
Analogamente anche nel dialogo con un sistema l’informazione che caratterizza la risposta
del sistema ad una nostra specifica richiesta risulta fondamentale per poter valutare gli
effetti delle azioni intraprese e l’eventuale successo delle stesse.
Questa informazione di ritorno alle azioni intraprese da un utente possono essere esibite da
un sistema in modi differenti dipendentemente dal tipo di sistema e di interazione, quello
che risulta di fondamentale importanza è il comunicare in modo chiaro il nuovo stato
raggiunto dal sistema e il compimento di una determinata azione. Può avvenire attraverso
messaggi sonori, in linguaggio naturale oppure visuale.
L’aspetto del feedback risulta dunque centrale per la bontà della relazione tra utente e
sistema qualificando l’interazione.
In ambito web questo principio assume una notevole importanza e risulta determinante per
molti aspetti dell’esperienza utente. In primo luogo costituisce la modalità con la quale
fornire meccanismi di orientamento nell’ambito del processo di navigazione attraverso
titoli, elementi grafici e url. Ancora più importante, evidentemente, è il ruolo che assume il
feedback nell’espletamento di operazioni rischiose quali le transazioni economiche. Un sito
di commercio elettronico che usa appropriatamente il feedback ha la possibilità di costruire
un rapporto di fiducia con il visitatore cliente con ovvie ricadute sulla costruzione di una
relazione di lungo termine e sulla percezione della affidabilità dell’azienda.
2.5 Modelli di interazione
Disporre di un modello d’interazione, vale a dire di uno schema che definisce e specifica le
fasi in cui si articola il dialogo tra un utente ed una macchina rispetto ad un determinato task
da compiere, consente di poter individuare i problemi e la loro origine in un’interfaccia. Un
buon modello di interazione discende dai princìpi del buon design ed esistono delle
relazioni tra le fasi dei cicli interattivi e tali princìpi.
24
Il ciclo di valutazione ed esecuzione di Norman
Lo scopo di un sistema interattivo è aiutare un utente a raggiungere i propri obiettivi in un
determinato dominio applicativo. L’utente, per raggiungere i propri obiettivi, formula un
piano, lo esegue tramite l’interfaccia e valuta i risultati per proseguire con nuove azioni.
Questo schema di ciclo interattivo ci consente di individuare, essenzialmente due fasi:
esecuzione e valutazione che seguono la definizione di uno scopo.
Il modello di interazione di Norman (figura 2.2) suddivide ulteriormente esecuzione e
valutazione in tre fasi ciascuna. Abbiamo così, sette fasi, una per lo scopo, tre per
l’esecuzione, tre per la valutazione, ognuna delle quali è un’attività dell’utente.
1. Stabilire l’obiettivo
2. Concepire l’intenzione
3. Specificare la sequenza d’azione
4. Eseguire l’azione
5. Percepire lo stato del sistema
6. Interpretare lo stato del sistema
7. Valutare lo stato del sistema rispetto agli obiettivi e alle intenzioni
Norman sottolinea che questo modello va considerato approssimativo e non una teoria
psicologica completa. Gli stadi non sono entità distinte e la gran parte dei comportamenti
non richiede che si ripassino nell’ordine tutti gli stadi. Spesso gli scopi sono riformulati, i
risultati di alcune attività diventano l’input di altre attività con scopi collaterali.
Scopi
Intenzione di agire
Valutazione
delle interpretazioni
Sequenza di azione
Interpretazione
della percezione
Esecuzione
della sequenza di azione
Percezione
dello stato del mondo
Sistema
Figura 2.2. Il ciclo di valutazione ed esecuzione di Norman (Norman 1988).
25
Il golfo dell’esecuzione e della valutazione
Spesso fare qualcosa risulta oltremodo difficile, anche quando lo scopo è ben definito.
Tali difficoltà consistono nell’individuazione delle relazioni tra le intenzioni e le
interpretazioni mentali e le azioni e gli stati del mondo fisico.
Ognuno dei golfi che separa gli stati mentali da quelli fisici riflette un singolo aspetto della
distanza fra le rappresentazioni mentali del soggetto e gli stati fisici dell’ambiente.
Un gran numero di semplici dispositivi di uso quotidiano (rubinetti, videoregistratori,
frigoriferi), con una struttura non complessa mettono in crisi anche persone molto
competenti a causa dei golfi presenti. Le difficoltà sono invisibili e gli utenti tendono a dare
la colpa alla propria incapacità di svolgere azioni semplici.
Il golfo dell’esecuzione è la differenza tra le azioni possibili sul sistema e le intenzioni,
quindi la sua misura è determinata dalla quantità di azioni che il sistema non consente di
eseguire direttamente senza sforzo supplettivo all’utente.
Il golfo della valutazione, invece, è una misura della quantità di sforzo necessario per
interpretare lo stato fisico del sistema e comprendere fino a che punto corrisponda alle
aspettative ed intenzioni.
La capacità di un sistema di presentare il suo stato in una forma facilmente decodificabile
dall’utente e, comunque, in linea con il modello che l’utente si è costruito del sistema
produce un golfo piccolo.
Come detto, un modello d’interazione consentendo l’individuazione dei problemi risulta un
aiuto nel processo di progettazione. In particolare, la struttura multistadiale prospettata da
Norman fornisce una lista di domande (figura 2.3) per assicurarsi che i golfi dell’esecuzione
e della valutazione possano essere attraversati in modo sicuro.
Quanto è facile:
Determinare la funzione dell’apparecchio?
Dire quale azioni sono possibili?
Dire se il sistema è nello stato desiderato?
Determinare la corrispondenza tra
Determinare le corrispondenze fra stato del
intenzione e movimento fisico?
sistema e interpretazione?
Eseguire l’azione?
Dire in che stato è il sistema?
Figura 2.3. Uso dei sette stadi in sede di progetto (Norman 1988).
Come si può osservare dalla figura le domande per ogni stadio sono semplici e si possono
ricondurre ai princìpi del design quali visibilità, mapping, feedback.
26
L’Interaction framework
Un’estensione di questo modello, proposta da Abowd e Beale, affronta il problema della
comunicazione del sistema attraverso l’interfaccia non limitandosi a considerare solo il
punto di vista che l’utente ha nell’interazione.
Questo modello detto dell’interaction framework include il sistema interattivo che è
suddiviso in quattro componenti: sistema, utente, input, output, ognuno dei quali ha un
proprio linguaggio.
Il ciclo interattivo descritto dall’interaction framework prevede quattro fasi, ognuna delle
quali traduce i concetti da un componente ad un altro.
Il ciclo interattivo ha inizio con la formulazione di un obiettivo da parte dell’utente e di un
compito per raggiungere tale obiettivo.
Il compito deve essere codificato con il linguaggio di input che rappresenta il solo modo in
cui l’utente può manipolare la macchina.
I comandi dell’utente vengono tradotti nel linguaggio di base man mano che vengono
eseguiti dal sistema. Il sistema raggiunge un nuovo stato, a seconda delle richieste,
presentato all’utente con concetti che rappresentano l’output.
La fase d’esecuzione del ciclo è conclusa, la valutazione dell’output da parte dell’utente
rispetto agli obiettivi che si era posto conclude il ciclo interattivo.
L’interazione ha, quindi, quattro processi di traduzione: articolazione, esecuzione,
presentazione e osservazione.
L’utente articola il proprio compito, per raggiungere un determinato obiettivo, nel
linguaggio di input. Perché l’articolazione del compito sia semplice per l’utente è necessario
che l’input sia capace di svolgere azioni corrispondenti ai compiti e che i compiti si possano
tradurre chiaramente nel linguaggio di input.
Il concetto di mapping risulta utile nella definizione di un linguaggio di input in grado di
semplificare l’articolazione del compito da parte dell’utente.
La fase successiva consiste nella traduzione dell’input in stimoli per il sistema.
In questa traduzione bisogna valutare la sua capacità di raggiungere tutti gli stati del sistema
ottenibili usando direttamente gli stimoli del sistema.
Ad esempio, il controllo remoto di alcuni lettori di cd non consentono di spegnere il lettore,
tale operazione può essere compiuta con il pulsante che controlla l’alimentazione sul
pannello frontale.
In questa fase la facilità di traduzione da input a sistema va valutata in termini del costo di
implementazione, lo sforzo non è dell’utente ma del progettista e del programmatore.
27
La transizione di stato all’interno del sistema completa la fase di esecuzione. Inizia, così, la
fase di valutazione, il nuovo stato del sistema deve essere comunicato all’utente attraverso
la traduzione delle risposte del sistema in stimoli per l’output.
A seconda dell’espressività dell’output si avrà una traduzione dei concetti del dominio del
sistema più o meno vicina alle esigenze dell’utente.
L’ultimo passo consiste nella interpretazione da parte dell’utente della risposta dell’output.
Tale risposta viene tradotta in stimoli per l’utente che determinano la valutazione finale. La
facilità e la copertura di questa traduzione finale determina la traduzione complessiva
dell’osservazione e quindi la valutazione da parte dell’utente degli effetti della sua azione.
A tal proposito si pensi a quanto potrebbe essere difficile sviluppare un sito web in html
senza poter vedere l’output tramite un browser.
Nonostante il modello interaction framework sia stato introdotto per la valutazione generale
di un sistema interattivo, l’analisi di questo modello dipende dal compito corrente in cui
l’utente è impegnato. D’altro canto solo attraverso l’esecuzione di un determinato compito
di un dominio si può valutare l’usabilità di uno strumento.
Per ogni compito si potrebbe optare per lo strumento migliore per quel determinato
compito. Dovendo scegliere un solo strumento, la scelta cadrà sullo strumento più adeguato
ai compiti svolti più frequentemente.
28
3. L’usabilità
Nel capitolo precedente sono state descritte le quattro fasi che hanno caratterizzato la storia
dell’interazione uomo-macchina e l’evoluzione del software che da essere utilizzato dai suoi
stessi progettisti ha progressivamente interessato un pubblico più vasto ed eterogeneo. Negli
anni ’80 nasce il concetto di “usabilità” che diventa uno dei fattori di qualità dei sistemi
software.
Dal punto di vista concettuale, l’usabilità misura la distanza tra il “designer model”, cioè il
modello del sistema posseduto dal progettista, e lo “user model”, ovvero il modello mentale
che si costruisce chi usa il sistema.
Nell’approccio con un qualunque sistema, l’utente si costruisce un modello delle funzionalità che tale sistema è in grado di compiere, tale modello comprende anche le modalità con
le quali tali funzionalità possono essere svolte.
Evidentemente, quanto minore è la distanza tra questi due modelli, tanto maggiore potrà
essere considerata l’usabilità del sistema.
In questo capitolo viene presentato da più punti di vista il concetto di usabilità, le proprietà
delle interfacce usabili e i principali metodi per la sua valutazione.
3.1 Usabilità e accettabilità
In letteratura esistono diverse definizioni di usabilità delle interfacce. Consideriamone due:
quella formale dell’Iso 9002, che considera la misura di usabilità in relazione a degli scopi
da conseguire in un determinato contesto d’uso, ed un’altra proposta da Nielsen che colloca
l’usabilità nel più ampio concetto di accettabilità di un sistema.
La definizione di usabilità data dall’Iso 9002 afferma che l’usabilità misura il grado di
efficacia, efficienza e soddisfazione con cui specifici utenti perseguono i propri obiettivi in
un determinato contesto d’uso.
L’efficacia rappresenta l’accuratezza e la completezza con cui gli utenti possono raggiungere specifici obiettivi.
29
L’efficienza è l’accuratezza e la completezza degli obiettivi ottenuti in relazione alle risorse
impiegate.
La soddisfazione è il comfort e l’accettabilità nell’uso del sistema.
La figura 3.1 mostra le relazioni tra gli aspetti considerati rilevanti dallo standard.
Obiettivi
Utenti
Scopi
Usabilità
grado di efficacia, efficienza e soddisfazione
con cui si raggiunge lo scopo
Compiti
Ambiente
tecnologico
Efficacia
Organizzazione
Risultato
dell’interazione
Contesto d’uso
Prodotto software
Efficienza
Soddisfazione
Misure dell’usabilià
Figura 3.1. Gli aspetti rilevanti dello standard Iso 9002
Nielsen fornisce una descrizione dettagliata degli attributi dell’usabilità definendola come la
misura della qualità dell’esperienza di un utente nell’interazione con un artefatto e
collocandola, come detto, in una prospettiva più ampia di accettabilità del sistema per la
quale propone un modello gerarchico:
accettabilità del sistema
accettabilità sociale
accettabilità pratica
utilità
utilità (funzionalità)
usabilità
facilità di apprendimento
efficienza d’uso
facilità di memorizzazione
evitamento degli errori
soddisfacimento soggettivo
costo
compatibilità
affidabilità
30
Nel modello proposto da Nielsen, l’usabilità è considerata una proprietà multidimensionale
di un sistema, caratterizzata da cinque attributi:
•
Facilità di apprendimento: la facilità di apprendere le funzionalità ed il comportamento del sistema. In un certo qual senso è l’attributo fondamentale, basti pensare
che la prima esperienza che la maggior parte della gente ha con un nuovo sistema è
•
quello di comprenderlo ed imparare ad adoperarlo
•
stato progettato per consentire alti livelli di produttività
Efficienza: una volta terminata la fase di apprendimento, il sistema dovrebbe essere
Facilità di memorizzazione: la facilità di ricordare le funzionalità del sistema affinché
l’utente non debba aver bisogno di capire nuovamente come utilizzarlo nel caso si tratti
di un utente casuale. La categoria degli utenti casuali è la terza in ordine di grandezza
dopo quella dei novizi e degli esperti. Gli utenti casuali sono persone che utilizzano un
sistema software in incostante. L’attributo di facilità di memorizzazione è di
fondamentale importanza per questo tipo di utente e per tutti quelli che per vari motivi
•
ritornano ad utilizzare un sistema dopo un periodo di inattività.
Basso livello di errori: la capacità intrinseca del sistema di aiutare gli utenti a non
commettere errori durante l’interazione e, nel caso questi si verificassero, di dare la
•
possibilità di risolverli agevolmente
Soddisfazione: la misura di quanto un sistema sia gradito all’utente, ossia quanto ne
soddisfa le necessità e le richieste aiutandolo a svolgere il proprio compito con facilità e
appagamento. Quest’ultimo è un attributo di notevole spessore giacché è indiscusso che
un sistema gradevole aumenti la produttività degli utenti.
Proprietà delle interfacce usabili
Un’interfaccia usabile deve esibire un’insieme di proprietà che sono strettamente legate ai
princìpi fondamentali del design. Tali proprietà possono essere verificabili attraverso alcuni
metodi di valutazione che descriveremo nel prossimo paragrafo. Le principali sono le
seguenti:
•
Naturalezza: “L’interazione con un’applicazione è naturale quando non richiede
all’utente di alterare in modo significativo il suo modo di eseguire un determinato
task.”
31
Poiché, generalmente, un sistema automatizza processi lavorativi eseguiti secondo
alcune modalità, perché risulti semplice è auspicabile comporti il minor rnumero
possibile di cambiamenti rispetto a tali modalità. Tuttavia, un processo di automazione
non può non considerare l’opportunità di rendere più razionale il modo di operare,
quindi, laddove necessario, si preferirà modificare le abitudini pregresse a favore di una
razionalizzazione dell’attività svolta.
Quando l’automazione, invece, introduce una nuova funzione, la naturalezza va
•
considerata in relazione a funzioni esterne simili.
Completezza: “L’interazione è completa quando permette di effettuare tutti i task
previsti nella fase di progettazione.”
Ogni categoria di utenti deve poter accedere ai task ai quali è abilitato, in ogni fase
dell’interazione in cui l’accesso al task è necessario. L’interfaccia, inoltre, non deve
contenere situazioni in cui non è possibile uscire dall’esecuzione di un task senza
•
completarlo.
Consistenza: “L’interazione è consistente quando l’esperienza acquisita dall’utente
con l’uso di una parte del sistema non viene contraddetta da cambiamenti ingiustificati
introdotti da altre parti del sistema.”
L’idea che sottende questa proprietà è quella che un utente debba poter imparare un
sistema quasi esclusivamente con l’esperienza (al limite utilizzando l’help). Il sistema
deve essere progettato in modo che la conoscenza acquisita nell’uso di una parte del
sistema possa aiutare ad intuire le modalità di utilizzo di parti non ancora conosciute.
La consistenza può essere interna – quando è riferita ad una singola applicazione,
oppure esterna – quando è riferita all’insieme di applicazioni disponibili in un ambiente
(ad esempio Office, o Windows, oppure tutti i sistemi ad interazione grafica).
Può inoltre essere visiva – legata alla collocazione degli oggetti grafici e, più in
generale, alla dimensione visuale del layout e al linguaggio dei messaggi di errore,
oppure funzionale – riferita alla sequenza dei comandi elementari necessari per
effettuare un determinato task. Un’interfaccia per potersi considerare consistente dovrà
possedere tutte le proprietà descritte, analogamente è possibile riscontrare diverse
•
tipologie di inconsistenza.
Non complessità: “Un’interazione è non complessa quando permette di effettuare le
funzioni previste con un ragionevole grado di efficienza.”
La complessità influenza il carico cognitivo dell’utente influenzando l’efficienza del
lavoro svolto. La complessità è funzione sia della complessità visiva che di quella
32
funzionale. La prima dipende dal numero di oggetti presenti simultaneamente in un
display, la seconda dipende dal numero di azioni elementari che l’utente deve eseguire
per completare un task. Per ridurre la complessità visiva di un’interfaccia, si possono
“nascondere” gli oggetti corrispondenti alle funzioni meno frequenti, rendendoli visibili
soltanto su richiesta dell’utente. Una bassa complessità visiva consente all’utente di
individuare con facilità gli oggetti di cui ha bisogno per eseguire un task. Una bassa
complessità funzionale gli permette di completare il task con poche azioni. C’è un
trade-off tra complessità visiva e complessità funzionale. Nei messaggi in linguaggio
•
naturale, la complessità è legata alla lunghezza del messaggio e alla sua chiarezza.
Non ridondanza: “Un’interazione è non ridondante quando richiede all’utente di
fornire il minimo indispensabile d’informazione necessaria per attivare ciascuna delle
funzioni disponibili e presenta soltanto le informazioni realmente necessarie.”
La richiesta di data di nascita ed età quando la data attuale è nota, la richiesta di
conferma per operazioni “non rischiose” (come il salvataggio di dati nuovi) o di dati che
possono essere definiti “per default” (come il tipo di stampante da utilizzare) sono
esempi di ridondanza che determinano un’aumento della complessità funzionale e
•
visiva.
Assistenza: “Un’interazione deve assistere l’utente fornendo diversi tipi di aiuto
durante l’esecuzione:
-
elenco delle funzioni attivabili
-
messaggi di errore
-
richiesta di conferma delle richieste rischiose
-
informazione sullo stato del sistema
-
possibilità di annullare uno o più comandi errati”
Un tipico esempio di assistenza è rappresentato dai “tooltip”, descrizioni delle funzioni
associate ad un’icona o un bottone mostrati al passaggio del mouse. I messaggi sullo
stato del sistema - ad esempio il tempo rimanente per il completamento di un’operazione e la notifica di errori sono ulteriori esempi di assistenza.
I messaggi di stato è bene presentino un pulsante per consentire l’annullamento della
stessa operazione, l’utente potrebbe decidere di non effettuare o rimandare operazioni
particolarmente lunghe.
Nei messaggi di notifica errore, infine, un pulsalte di ok consente al sistema di avere
conferma che l’utente abbia effettivamente letto il messaggio.
Si noti come tali strumenti rappresentino modalità per fornire feedback all’utente.
33
•
Flessibilità: “Un’interazione è flessibile quando è in grado di cambiare il suo comportamento in relazione alle caratteristiche di diverse categorie di utenti.”
Un’interfaccia flessibile è in grado di adattarsi alle esigenze di classi diverse di utenti
offrendo modalità di interazione diverse, in linea con le loro caratteristiche e abilità.
Si pensi alla possibilità di compiere le stesse operazioni sia con la manipolazione di
oggetti grafici che con comandi da tastiera, oppure di scegliere la configurazione degli
oggetti presenti nelle toolbar. Un sistema con queste caratteristiche è detto “adattabile”
all’utente. Abbiamo visto nel capitolo precedente che la forma più sofisticata di
flessibilità è la personalizzazione adattiva dell’interazione.
3.2 Metodi di valutazione
È possibile effettuare valutazioni nelle diverse fasi del ciclo di vita della progettazione. I
metodi che consentono di fare valutazioni prima della realizzazione di prototipi si chiamano
pre-empirici, i metodi sperimentali di valutazione di prototipi sono invece chiamati metodi
empirici.
Una valutazione è sempre comparativa, l’ipotesi valutata va confrontata con uno standard
definito oppure con un’alternativa. Lo standard va definito per ogni task in termini di valori
accettabili per ognuna delle variabili dipendenti considerate.
I valori sono stabiliti in base all’analisi di come gli utenti svolgono il loro lavoro, dipendono
dalla frequenza con cui il task viene eseguito, dalle condizioni in cui si svolge, dall’importanza di ciascuno degli obiettivi definiti.
Se l’obiettivo è estendere le funzioni esistenti l’obiettivo minimo è che il tempo di esecuzione dopo l’automazione non peggiori; se l’obiettivo è accelerare i tempi di esecuzione, gli
standard saranno più stringenti. Il tempo di apprendimento sarà un parametro critico di
valutazione per i task meno frequenti. La gradevolezza dell’interazione sarà importante in
applicazioni che sono orientate ad attività voluttuarie oppure nelle applicazioni di edutainment. Nei sistemi di supporto alle decisioni, il livello di persuasione sarà il parametro
fondamentale da misurare.
Se l’interazione è realizzata seguendo il metodo della progettazione iterativa, dopo la prima
fase di user e task analysis sarà necessario intrecciare fasi di progettazione e di realizzazione di prototipi con fasi di valutazione.
34
Esistono diversi metodi di valutazione dell’usabilità, ognuno con caratteristiche specifiche
che lo rendono adeguato in relazione agli obiettivi di valutazione.
I metodi esistenti possono essere classificati, essenzialmente, in due diversi approcci: i
metodi analitici o ispettivi, in cui un esperto valuta l’applicazione (inspection method o
export review) e i metodi sperimentali o empirici (user-based method o user-testing
method).
I metodi analitici o ispettivi
Questi metodi coinvolgono un campione costituito da esperti e non da potenziali utenti.
I due principali metodi ispettivi sono l’“usability walktrough” e la valutazione basata su
“euristiche”.
L’usability walktrough
Prevede la valutazione, dei diversi task dell’applicazione, da parte di un gruppo di “esperti”
che scorre le pagine, simulando l’uso da parte degli utenti. Vengono annotati i problemi di
usabilità riscontrati e si produce un rapporto.
Esistono diversi varianti di usability walkthrough, che possono essere effettuati non appena
sono disponibili le prime bozze di interfaccia, anche di tipo cartaceo. Uno dei più noti è il
“cognitive walkthrough”, basato sulla teoria dell'apprendimento esplorativo di Polson e
Lewis.
Il cognitive walkthrough prevede che l'autore del prodotto fornisca, ad un gruppo di
valutatori, composto da progettisti ed esperti di usabilità, quattro elementi:
-
una specifica o un prototipo del sistema
-
una descrizione dei task consentiti dall’applicazione
-
un elenco delle azioni necessarie per eseguire il compito con il sistema proposto
-
una descrizione delle caratteristiche essenziali sugli utenti
Si eseguono quindi i vari compiti sull'interfaccia e, per ogni passo, il gruppo di esperti
valuta le caratteristiche delle schermate che si presentano e le azioni richieste all'utente
cercando di rispondere alle seguenti quattro domande:
-
L’effetto dell’azione è lo stesso dell’obiettivo dell’utente a questo punto?
Verificare quindi che l’effetto di un’azione corrisponde agli intendimenti dell’utente.
-
L’utente si accorgerà che l’azione è disponibile?
Questo equivale a chiedersi se un certo pulsante è visibile nel momento in cui serve.
-
Trovata l’azione corretta, l'utente comprenderà che è quella di cui ha bisogno?
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La domanda precedente faceva riferimento alla visibilità dell’azione cercata dall’utente,
questa ha il fine di scoprire se il significato e l’effetto sono chiari.
-
Dopo aver eseguito un’azione, gli utenti capiranno il feedback ottenuto?
Quest’ultima domanda valuta se il feedback ottenuto per un’azione compiuta è
sufficiente a far comprendere gli effetti ottenuti.
La valutazione euristica
E' uno dei principali metodi di “usability discount” definiti da Jakob Nielsen per rendere
maggiormente snelle e veloci le attività di verifica dell'usabilità.
La valutazione euristica si basa su princìpi e linee guida, il suo scopo è quello di verificare
che l'interfaccia rispetti tali princìpi.
La valutazione euristica consiste in una serie di navigazioni, effettuate separatamente da
ciascun esperto sul prodotto software, durante le quali vengono valutati sia gli aspetti statici
dell’interfaccia (layout delle finestre, etichette, pulsanti, etc.) che di comportamento (logica
d’interazione, diagnostici, etc.).
Al termine delle singole sessioni, gli esperti discutono congiuntamente i risultati ai quali
sono pervenuti al fine di sintetizzare i principali problemi di usabilità del prodotto valutato e
concordare relativamente ad eventuali discrepanze del giudizio.
Nielsen sostiene che il numero ottimale di esperti da impiegare nella valutazione deve
essere compreso tra tre e cinque, comunque non inferiore a tre. Alcuni studi effettuati,
infatti dallo stesso Nielsen, rivelano che un solo esperto di usabilità diagnostica circa il 35%
dei problemi di usabilità, mentre 5 esperti diagnosticano circa il 75% dei problemi (Nielsen
1994).
Le 10 euristiche di Nielsen
Riportiamo le famose 10 euristiche di Nielsen, estratte dall’autore da un’analisi fattoriale di
249 problemi di usabilità (www.useit.com).
1. Visibilità dello stato del sistema
Il sistema dovrebbe sempre tenere l’utente informato su quanto sta accadendo, fornendo
adeguati feedback in un tempo ragionevole.
2. Accordo tra il sistema e il mondo reale
Il sistema dovrebbe usare il linguaggio dell’utente, quindi parole, frasi e concetti
familiari all’utente e non termini orientati al sistema.
3. Controllo dell’utente e libertà
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Gli utenti sovente scelgono per errore funzioni del sistema e necessitano di una chiara
ed immediata “uscita” per abbandonare lo stato, non desiderato, in cui si trovano.
4. Coerenza e standard
Gli utenti non dovrebbero chiedersi se parole, situazioni o azioni diverse significano la
stessa cosa.
5. Prevenzione degli errori
Il sistema dovrebbe prevenire gli errori.
6. Riconoscimento piuttosto che ricordo
Rendete oggetti, azioni e opzioni visibili. L’utente non deve ricordare informazioni
fornitegli in una parte del dialogo quando è in un’altra. Le istruzioni per l’uso del sistema dovrebbero essere visibili o facilmente recuperabili ogni volta che sia opportuno.
7. Flessibilità ed efficienza d’uso
Acceleratori - non visti da utenti “novizi” - sono spesso in grado di aumentare la velocità dell’interazione per l’utente esperto, cosicché il sistema può venire incontro sia agli
utenti inesperti che a quelli esperti. Permettere all’utente d’individuare scorciatoie per
azioni frequenti.
8. Design estetico e minimalista
I dialoghi non dovrebbero contenere informazioni irrilevanti o solo di rado utili.
Ogni informazione “extra” in un dialogo entra in competizione con le informazioni
rilevanti e diminuisce la loro visibilità relativa.
9. Aiutare gli utenti a riconoscere, diagnosticare, porre rimedio agli stati di errore
I messaggi di errore dovrebbero essere espressi in un linguaggio semplice, senza codici,
indicando con precisione qual è il problema e suggerendo una soluzione in modo
costruttivo.
10. “Help” e documentazione
Per quanto sarebbe meglio che il sistema venisse usato senza documentazione
esplicativa, può essere necessario fornirla. Ogni informazione di aiuto dovrebbe essere
facile da trovare, centrata sull’azione dell’utente, elencare i passi precisi da compiere
per risolvere il problema e non essere troppo lunga.
I vantaggi dei metodi ispettivi risiedono nell’economicità: è possibile fare una prima
valutazione del sistema già in fase di progetto, prima di fare prototipi. Una tale valutazione
non richiede attrezzature speciali, come per esempio laboratori di usabilità.
37
Gli svantaggi, invece, sono nella difficoltà di prevedere come realmente gli utenti utilizzeranno il sistema, gli errori che faranno, i percorsi che utilizzeranno.
Generalmente si valutano aspetti dell’interfaccia a livello di pagina e non affrontano il problema dell’usabilità dell’intera struttura dell’applicazione; inoltre dipendono dalle capacità
e dalle conoscenze del dominio dell’ispettore.
I metodi sperimentali o empirici
Come detto i metodi ispettivi, utili in fase di progetto, non possono sostituire l’effettiva
verifica di usabilità con gli utenti finali.
Questo tipo di valutazione avviene attraverso diverse tipologie di metodi sperimentali che
coinvolgono un numero significativo di soggetti rappresentativi dell’utenza potenziale.
Hanno lo svantaggio principali di essere lunghi e costosi, e il vantaggio che esaminano
situazioni reali fornendo risultati quantitativi.
Bisogna distinguere tra due diversi stili di valutazione, gli studi di laboratorio e gli studi
effettuati nelle effettive condizioni di lavoro.
Negli studi di laboratorio gli utenti, presi dai loro normali ambienti di lavoro, partecipano a
test controllati, in ambienti dotati di strumenti d’analisi sofisticati che non possono essere
riprodotti nell’ambiente di lavoro, con l’opportunità di non avere interruzioni.
Questa situazione innaturale, tuttavia, ha lo svantaggio di non considerare il contesto che,
soprattutto in situazioni di lavoro collaborativo, ha grande rilevanza.
Gli studi di laboratorio sono, comunque, appropriati quando si vuole deliberatamente
manipolare il contesto per individuare problemi o osservare procedure meno usate, oppure
voler confrontare progetti alternativi all’interno di un contesto controllato.
Negli studi sul campo, il valutatore osserva il sistema nell’ambiente di lavoro dell’utente.
Interruzioni frequenti e rumori ambientali sono lo svantaggio principale; la possibilità di
valutare le interazioni tra sistemi e tra persone, quindi il contesto, il vantaggio; inoltre si
possono studiare attività lunghe che non potrebbero essere studiate in laboratorio.
Anche queste situazioni si discostano leggermente dalla situazione naturale per la presenza
di dispositivi di analisi e registrazione che influenzano i partecipanti.
La valutazione sperimentale
Un esperimento controllato è un metodo di valutazione efficace che fornisce una prova
empirica per supportare un’ipotesi. Si sceglie un’ipotesi da valutare, si analizzano varie
condizioni sperimentali che differiscono solo nei valori di certe variabili controllate. I
38
cambiamenti nelle stime comportamentali vengono attrbuite a condizioni diverse. Perché
l’esperimento sia affidabile occorre considerare alcuni fattori:
•
Le variabili. Le scienze sperimentali distinguono tra variabili indipendenti, che
vengono manipolate e influenzano l’andamento di un fenomeno, e variabili dipendenti,
che vengono misurate e descrivono il fenomeno stesso. Tali manipolazioni e
misurazioni, effettuate in condizioni controllate, hanno lo scopo di verificare un’ipotesi.
Le variabili indipendenti sono gli elementi dell’esperimento che vengono manipolati per
creare condizioni differenti da confrontare.
Le variabili dipendenti possono, invece, essere misurate nell’esperimento, il loro valore
dipende dai cambiamenti apportati alla variabile indipendente.
Per quanto riguarda l’usabilità, tempo e tasso di errore nello svolgimento di un task,
gradevolezza dell’interfaccia sono variabili dipendenti; invece, naturalezza, completezza, consistenza, non ridondanza, assistenza e flessibilità, sono le principali variabili
indipendenti.
•
Le ipotesi. Un’ipotesi è una previsione del risultato di un esperimento, formulata in
termini di variabili indipendenti e dipendenti, indicando come una variazione nella
variabile indipendente provocherà una differenza nella variabile dipendente.
L’obiettivo dell’esperimento è mostrare che la previsione è corretta; questo viene svolto
invalidando l’ipotesi nulla, che dice che non c’è nessuna differenza nella variabile
dipendente tra i livelli della variabile indipendente. Se un risultato è significativo
mostra, al livello di certezza dato, che le differenze riscontrate non si sono verificate per
caso (cioè che l’ipotesi nulla non è corretta).
•
Il disegno sperimentale. In un disegno sperimentale bisogna, in primo luogo, scegliere
l’ipotesi in modo da chiarire il rapporto tra le variabili identificando cosa si ha
intenzione di manipolare e quali cambiamenti ci si aspetta.
La seconda fase consiste nella scelta del metodo sperimentale.
Esistono due metodi principali:
-
between-subjects, a ogni partecipante viene assegnata una condizione diversa.
Le condizioni devono essere almeno due: la condizione sperimentale (in cui la variabile
indipendente è stata manipolata) e il controllo (identico alla condizione sperimentale
39
senza la manipolazione) che serve per assicurare che sia la manipolazione a causare le
differenze riscontrate.
Il disegno between-subject ha il vantaggio che viene controllato qualsiasi effetto
d’apprendimento che deriva dall’utente che opera prima in una condizione e poi
nell’altra: ogni utente agisce solo in una condizione.
Gli svantaggi sono che è necessario un numero maggiore di partecipanti e che una
differenza significativa tra i gruppi può invalidare qualsiasi risultato. Inoltre, differenze
tra i singoli utenti possono influenzare negativamente i risultati.
Per gestire questi problemi bisogna scegliere i partecipanti in modo che siano
rappresentativi della popolazione e confrontando i soggetti tra i gruppi.
-
within-subject, prevede che ogni utente agisca in una condizione diversa. Questa
tecnica potrebbe risentire degli effetti d’apprendimento, per ridurre questo effetto si può
cambiare tra gli utenti l’ordine in cui le condizioni vengono affrontate. È meno costoso
perché servono meno utenti, inoltre sono meno probabili effetti indesiderati dovuti alle
differenze tra i partecipanti.
La valutazione mediante osservazione
Una tecnica utile alla raccolta di informazioni sull’uso effettivo di un sistema consiste
nell’osservare gli utenti nella loro interazione con esso. Viene valutato il comportamento
del soggetto e vengono valutati tempi e frequenze di errore; queste misure possono essere
effetuate in modo trasparente al soggetto (da programma) oppure impiegando un osservatore esterno.
Nel web si tiene traccia dei tempi di osservazione di ogni pagina (misurano la complessità
di ogni nodo) e il percorso di navigazione (permette di rilevare errori nella navigazione e,
quindi, dà indicazioni sulla naturalezza dell’interazione.
La principale tecnica di valutazione attraverso l’osservazione del comportamento degli
utenti è il thinking aloud. Viene chiesto all’utente di descrivere a parole ciò che sta
facendo, quello che pensa che potrà accadere, quello che sta cercando di fare. È molto
semplice e può essere utilizzato in tutte le fasi del ciclo di vita del processo di design. Le
informazioni date sono spesso soggettive e possono dipende dal tipo di compiti assegnati.
Non solo, il dover descrivere quello che si fa può modificare il modo in cui lo si fa.
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Valutazione mediante simulazione (mago di Oz)
Applicato prima di realizzare un prototipo, consiste nel simulare l’uso da parte di un
campione di utenti che crede di utilizzare un sistema implementato mentre un programmatore che opera in una stazione remota inserisce le risposte manualmente.
Studi basati su questo metodo richiedono la realizzazione di un software basato su
un’architettura client-server. Sul client viene mostrata l’interfaccia da valutare, sul server le
risposte fra le quali il mago deve scegliere. Alla fine dell’esperimento, al soggetto viene
chiesto di compilare un questionario.
Ha lo svantaggio che richiede una mole di lavoro di programmazione. Consente di poter
valutare design alternativi senza procedere con l’effettiva implementazione.
Valutazione mediante interrogazione
Basate sull’interrogazione diretta dell’utente, queste tecniche consentono di scoprire
dettagli sul punto di vista dell’utente e raccogliere informazioni sulle sue esigenze. Sono
tecniche economiche in cui, però, si ottengono informazioni soggettive. Le principali
tecniche di interrogazione sono:
•
I questionari. Le variabili indipendenti e dipendenti sono misurate mediante un
questionario che valuta ricordo, apprendimento, gradevolezza eccetera.
La stima soggettiva di questi parametri viene quantificata in una scala numerica (detta
di Likert) i cui valori interi variano in un intervallo la cui ampiezza dipende dalla
precisione con cui si vuole effettuare la valutazione.
Domande con risposte chiuse possono essere utilizzate, invece, per valutare il grado di
ricordo o di apprendimento.
•
Le interviste. Hanno il vantaggio di modificare il livello delle domande per adattarlo al
contesto. Nell’intervista solitamente si segue un approccio top-down. Si incomincia con
una domanda generale su un compito, si procede con domande che indagano gli aspetti
interessanti della risposta dell’utente. Le interviste risultano efficaci per una valutazione
ad alto livello, consentono di ottenere informazioni su preferenze, impressioni e
atteggiamenti mentali dell’utente. È utile pianificare preliminarmente l’intervista in
modo da focalizzarne lo scopo (che potrebbe concentrarsi, ad esempio, su un particolare
aspetto) e assicurare la coerenza tra diversi utenti.
41
La scelta del metodo di valutazione
Come detto, esistono diverse tecniche di valutazione, ognuna delle quali presenta vantaggi e
svantaggi e risulta adeguata a seconda delle situazioni.
Possiamo segmentare i metodi in categorie considerando alcuni fattori:
-
la fase del ciclo di vita in cui viene eseguita la valutazione
-
lo stile di valutazione
-
il livello di soggettività o oggettività
-
il tipo di misure fornite
-
le informazioni fornite
-
l’immediatezza della risposte
-
il livello di interferenza implicito
-
le risorse necessarie
Tecniche soggettive e oggettive
Le tecniche di valutazione si differenziano rispetto la loro oggettività. Quelle più soggettive
come il walkthrough cognitivo e il thinking aloud si basano sulla competenza del valutatore.
Si può ovviare all’influenza soggettiva usando più di un valutatore. Risultano molto efficaci
se usate in modo corretto e forniscono risultati non deducibili con metodi oggettivi.
Misure qualitative e quantitative
Il tipo di misurazione ha la sua importanza. Una misurazione può essere: quantitativa,
solitamente è numerica e può essere analizzata usando tecniche statistiche; qualitativa, non
è numerica e quindi più difficile da analizzare, può fornire però, un ventaglio di aspetti
importanti, non descrivibili numericamente.
C’è una relazione tra tipo di misura e soggettività o oggettività della tecnica. Le tecniche
soggettive tendono a fornire misure qualitative, quelle oggettive, misure quantitative.
Tuttavia è possibile quantificare informazioni qualitative collegandole a una scala
quantitativa, ad esempio le preferenze degli utenti. Anche nel disegno sperimentale, fattori
come la qualità delle prestazioni dell’utente vengono usati come variabili dipendenti e
misurati su una scala quantitativa.
Le tecniche oggettive come gli esperimenti controllati danno risultati confrontabili, evitano
influenze negative, ma non rilevano problemi imprevisti e non forniscono un feedback
sull’esperienza dell’utente. L’utilizzo di entrambi gli approcci, soggettivo e oggettivo,
consente evidentemente di ottenere risultati più accurati.
42
3.3 Usabilità web e design della comunicazione
Il concetto di usabilità e i relativi princìpi hanno valore per qualunque artefatto, tuttavia le
caratteristiche fisiche e del constesto d’uso del singolo dispositivo possono introdurre
ulteriori elementi, ad esempio in un touch-screen i tasti per l’interazione devono essere
sufficientemente grandi da consentire di essere pigiati; oppure, dato il particolare contesto
d’uso, la complessità visiva di un Pda deve essere ridotta.
I siti web richiedono sicuramente un’attenzione specifica data dall’importanza crescente che
hanno assunto per persone e aziende. Quindi, come detto nell’introduzione, un sito web non
può essere pensato solo nei termini di codice scritto dai programmatori, ma, piuttosto nelle
sue molteplici dimensioni di artefatto comunicativo e di servizio.
Queste considerazioni sulla multidimensinalità di un sito web hanno una ricaduta sulla
definizione di usabilità dello stesso. L’usabilità, nel caso di un sito web quindi, dovrà tenere
conto degli intenti comunicativi e di servizio del sito.
In questo contesto, anziché ricordare in maniera dettagliata, a livello micro, le indicazioni e
le linee guida per l’usabilità, si pensi alle caratteristiche dei link che devono essere
sottolineati e di colore blu quando non ancora visitati, viola, se sono già stati visitati; oppure
al testo che preferibilmente va suddiviso in paragrafi brevi, chiaramente distinguibili, con
l’utilizzo di elenchi puntati, abbiamo preferito porre l’accento sulla dimensione comunicativa di un sito web.
La scrittrice Van Der Gest nel suo “Web Sites Design is Communication Design” sottolinea
l’importanza, per le aziende, della dimensione comunicativa del proprio sito web. Tale
dimensione dovrà integrarsi, diventando componente essenziale, nella comunicazione toutcourt dell’azienda.
La Van Der Gest dice “Le organizzazioni stanno diventando consapevoli che devono dare
ai loro visitatori buoni motivi per visitare il loro sito, e buoni motivi per ritornarvi. In modo
crescente, le organizzazioni trovano che la creazione di siti web non è semplicemente
l’hobby dei loro tecnici informatici, ma una parte essenziale della loro comunicazione
interna ed esterna.”
Questa prospettiva del sito web inteso come strumento di comunicazione viene rappresentato da Cantoni, Di Blas, Bolchini, attraverso un modello costituito da quattro componenti (figura 3.2):
43
1. Contenuti e funzionalità
2. Strumenti di accessibilità
3. Persone che producono e gestiscono il sito
4. Persone che fruiscono
Alle quali aggiungono le dimensioni di progettazione e di valutazione.
Queste due ulteriori dimensioni sono utili a valutare contesto, posizionamento, analisi della
concorrenza, rischi ed opportunità.
Figura 3.2. Modello di sito inteso come comunicazione (Cantoni, Di Blas, Bolchini)
Il contesto, infatti, così come accade in qualsiasi processo comunicativo che non sia
analizzato da un punto di vista meramente ingegneristico, risulta determinante per
significare il flusso di messaggi insistenti nello scambio comunicativo.
Nel modello di comunicazione di Jacobson, infatti, agli elementi emittente, ricevente,
canale di comunicazione, bisogna aggiungere il contesto che assume valore fondamentale.
Nel loro modello Cantoni, Di Blas e Bolchini definiscono l’usabilità come:
“un’adeguatezza dei contenuti/funzionalità e degli strumenti tecnici (pilastri A e B) fra di
loro, e rispetto ai fruitori (pilastro D) e al contesto (mondo). Tale adeguatezza va peraltro
misurata tenendo in considerazione gli obiettivi di chi commissiona, progetta, realizza,
promuove e gestisce il sito (pilastro C)”.
Perché una comunicazione sia efficace deve essere adeguata rispetto a ciò che viene
comunicato e alle persone coinvolte nell’atto comunicativo.
44
Per essere adeguata una comunicazione deve essere anzitutto vera, deve cioè veicolare
contenuti che corrispondono alla realtà. Una comunicazione mendace non è percepita come
affidabile dal ricevente il quale tenderà a non considerarla.
La comunicazione, inoltre, deve essere coerente con le aspettative del destinatario, tale
corrispondenza tra atto comunicativo e aspettative viene detta pertinenza o rilevanza.
Evidentemente verità e pertinenza hanno ambiti disgiunti e sono distinti, infatti se
rispondessimo ad una domanda con un dato vero ma non rispondente alle rischieste
dell’interlocutore, avremmo effettuato una comunicazione vera ma non pertinente.
Riassumendo perché una comunicazione sia efficace, occorra che ci siano entrambe le
componenti di realtà e pertinenza, chi comunica, quindi, deve dire la verità e deve
considerare le esigenze e le aspettative dell’interlocutore al fine di poterle soddisfare.
Per poter soddisfare, infine, le aspettative dell’interlocutore, bisogna essere pertinenti ma
anche interessati al bene dell’interlocutore (questo è fortemente vero in ambito medico e
pedagogico) e capaci di esprimersi in modo chiaro e adeguato alle conoscenze del destinatario.
Quando comunichiamo dobbiamo compiere due operazioni, la prima di traduzione dei
nostri pensieri in un discorso, la seconda, di adeguamento del discorso all’interlocutore e
alle sue caratteristiche socio, culturali ed esperienziali.
Da quanto detto si può desumere che la bontà di una comunicazione è maggiormente
influenzata dalla capacità di essere compresa dal ricevente che dal come è stata formulata.
La comunicazione va dunque misurata dal punto di vista del ricevente e non del mittente,
una comunicazione ha luogo solo allorquando è stata compresa dal ricevente.
Questa caratterizzazione della comunicazione fa sì che uno scambio comunicativo possa
avvenire tra attanti che condividono un mondo comune, o quanto meno che tale mondo
comune faciliti la comunicazione che altrimente avrebbe maggior possibilità di insuccesso.
Infatti, gli scambi comunicativi si basano fortemente sull’insieme di conoscenze condivise
precedentemente su cui si costruisce il nuovo.
È evidente come gli aspetti legati alle conoscenze pregresse e al terreno condiviso
condizionano fortemente l’impostazione del discorso da parte dell’emittente.
In quest’ottica, il progetto della comunicazione di un sito web dovrà, necessarimente,
individuare le tipologie di utenti allo scopo di poter comprendere la caratterizzazione del
terreno di conoscenze pregresse per ognuno di loro.
45
3.4 Un modello per la valutazione di siti web
Definire un modello di qualità significa individuare un insieme di elementi caratterizzanti
dell’oggetto di valutazione e un criterio con il quale attribuire un voto a tali elementi
caratterizzanti. La media, eventualmente pesata, di tali voti potrebbe rappresentare il valore
di qualità.
Poiché non c’è modo di definire in modo univoco il voto e il peso di una caratteristica, la
qualità non può essere considerata una misura assoluta, ma relativa alla capacità di
soddisfare obiettivi e esigenze poste all’inizio. Risulta evidente che un siffato modello di
qualità risulta arbitrario, tuttavia è uno strumento utile per confrontare siti web e artefatti
comunicativi. Nella definizione di un modello di valutazione dobbiamo, innanzitutto,
impostare il processo di valutazione nella sua interezza.
Vogliamo ricordare il modello di qualità proposto da Polillo che si basa sulle seguenti sette
macro-caratteristiche: (architettura, comunicazione, funzionalità, contenuto, gestione, accessibilità, usabilità).
Approfondiremo il significato e il ruolo di queste caratteristiche nel capitolo cinque, in cui
viene adottato questo modello per la valutazione del sito del Dipartimento di Informatica di
Bari.
Disporre di un tale modello consente di poter rappresentare la qualità di un sito attraverso
un grafo di Kiviat, che mappa su sette assi i valori posseduti da ciascuno degli attributi. Ad
ogni attributo viene attribuito un valore in una scala numerica con una certa ampiezza, sulla
base di considerazioni di vario tipo.
Figura 3.3. Esempio di rappresentazione della qualità di un sito attraverso un grafo di Kiviat.
46
Il grafo di figura 3.3 mostra chiaramente che, rispetto agli obiettivi, alla tipologia dei suoi
utenti e al contesto d'uso previsto, il sito presenta dei limiti dal punto di vista delle funzionalità, cioè non offre tutte le funzioni che gli utenti, per quegli scopi e in quel contesto
d'uso, hanno necessità di avere. Si vede invece che il sito risolve bene gli aspetti di comunicazione, è molto usabile e ha una valutazione buona ma non massima per quanto riguarda
i contenuti, la gestione e l'accessibilità.
Un altro vantaggio di questo modello è quello di consentire valutazioni comparative di siti
diversi. Perché un confronto di questo tipo sia significativo, deve essere effettuato su siti
con scopi, tipologia di utenti e contesti d'uso uguali.
Bisogna sottolineare, come lo stesso Polillo ricorda, che la dimensione dell’usabilità
discende ed è influenzata da tutte le altre. In questo modello, quindi, l’usabilità è strettamente relata alle altre dimensioni e può esserne considerata la sintesi.
Questa considerazione è tanto più vera, allorché, si considera l’usabilità in un’ottica estesa e
non solo da un punto di vista meramente ingegneristico.
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4. L’estetica
La definizione del concetto di estetica è stata oggetto di diversi studi, il suo stesso dominio
risulta difficilmente circoscrivibile in modo preciso. Oltre ad essere univocamente accettata
come branca della filosofia è strettamente legata alla psicologia, alla linguistica e alla
sociologia.
Anche la collocazione storica e la nascita dell’estetica sono oggetto di dibattito.
Nonostante gli intenti di questo lavoro prescindano dal voler contribuire a tale dibattito
culturale e dal voler essere esaustivi sulla sua storia, si è voluto comunque tratteggiare in
maniera sintetica i passaggi fondamentali nel corso dei secoli, cercando di dare una
definizione di estetica per arrivare a comprendere il significato che questa parola possa
avere nell’ambito della Hci e della progettazione di artefatti in generale.
4.1 Cos’è l’estetica
Aisthētikós, è questo il termine greco dal quale proviene estetica, significa sensazione.
Partiamo, quindi, dal suo significato etilomologico per approcciare una possibile
definizione. Le sensazioni sono percepite dai sensi ed hanno a che vedere con la nostra
sensibilità, cioè con la facoltà che consente di elevare i fatti a livello della coscienza dove
entra in gioco il “sentire”.
Dice Givone, un conto è sentire caldo o freddo, sertirsi bene o male, processi psichici il cui
paradigma (se non sono malato o pazzo) è la realtà esteriore, altro è il sentire che pone la
domanda del senso delle cose, quindi la conoscenza sensibile.
Posto l’estetica essere teoria della conoscenza sensibile, e quindi dell’esperienza, con il
sentire elemento centrale, attorno a quest’ultimo vedremo disporsi infinite prospettive che
coinvolgono l’arte, il costume, le modificazioni sociali. Tutto ciò è dominio della disciplina
dell’estetica, ma non solo.
48
Il termine estetica, ad ogni modo, indica la disciplina filosofica che si occupa del bello e
dell’arte. Questo significato è stato attribuito al termine estetica dal filosofo tedesco
Baumgarten nel settecento nell’opera intitolata appunto “Aesthetica”.
Questa identificazione di bello e arte non ha però riscontro nell’antichità classica in cui il
bello, considerato un fatto della natura, era considerato altro dall’arte – che come momento
dell’attività produttiva dell’uomo – era ritenuta oggetto della scienza poetica (gr. Poiêin,
fare, produrre).
Gli studi sull’estetica
Nel corso dei secoli l’estetica è stata studiata essenzialmente con due differenti metodi
investigativi: l’approccio filosofico e quello empirico.
•
Gli studi filosofici
Tra le molte prospettive con le quali la filosofia ha affrontato lo studio dell’estetica, due
sono state le questioni che hanno interessato maggiormente i filosofi.
L’intenzionalità dell’atteggiamento estetico: ovvero quando prestiamo attenzione ad un
oggetto, è il soggetto guidato da un intento oppure un insieme di distinte proprietà
possedute dall’oggetto interessano il soggetto? La teoria funzionalista sostiene che se un
oggetto è fatto per funzionare bene e si adatta adeguatamente al compito da svolgere, allora
sarà anche bello. “Form follows function” dice Louis Sullivan. All’estremo opposto Kant
sostiene che l’interesse per un oggetto risiede nelle sue proprietà intrinseche e non in quelle
strumentali, quindi l’atteggiamento estetico si sviluppa senza nessun intento.
La seconda questione, peraltro legata alla necessità dell’intenzionalità per la formazione di
un atteggimento estetico, riguarda l’oggettività dell’estetica. Durante il Rinascimento, la
bellezza era assunta essere una proprietà oggettiva delle cose e le prime nozioni di bellezza
di un prodotto hanno enfatizzato proprietà come l’ordine, la proporzione, la simmetria.
L’approccio soggettivo, rappresentato da Hume e Kant, sostiene che l’analisi dell’estetica
vedrebbe la bellezza nel soggetto e non nell’oggetto. Essa vede una connessione tra la
bellezza e l’emozione. Data la difficoltà di attribuire esplicitamente ad un’esperienza valore
oggettivo o soggettivo, le più comuni teorie sono posizionate al centro e considerano la
percezione estetica dipendere sia dalle capacità cognitive che che dallo stimolo individuale.
•
Gli studi empirici
Gli studi empirici possono essere divisi essenzialmente in due categorie.
49
La prima, detta “estetica sperimentale”, con un approccio scientifico cerca di provare
sperimentalmente ipotesi sugli effetti di elementi isolati di un oggetto o una forma sulle
preferenze dell’uomo e di identificare leggi generali di qualità estetiche che possono essere
riscontrate nell’oggetto valutato. Secondo i ricercatori di estetica sperimentale esistono
leggi universali che governano la reazione all’estetica e le eventuali differenze individuali
sono marginali. Questa scuola di pensiero, associata per lo più a Daniel Berlyne, asserisce
che il progresso nella comprensione dell’estetica può essere ottenuto solo isolando e
manipolando gli elementi (per es. i poligoni) o le caratteristiche artistiche (per es. la
complessità e l’incapacità di attirare l’attenzione) di opere d’arte e studiarle sugli effetti
delle preferenze dell’osservatore.
I maggiori critici agli assunti dell’estetica sperimentale e ai suoi metodi sostengono
l’importanza della percezione dell’intero oggetto o significato della forma piuttosto che gli
elementi isolati (Arnheim, 1992). In forte contrasto con l’approccio sperimentale, la Gestalt
theory sostiene che le caratteristiche di ordine superiore sono viste direttamente nelle cose
quando le guardiamo come ad un intero, ma non essere riferite alle parti atomiche in cui
questo può essere decomposto. Analogamente Arnheim (1988) sostiene che le forze
dinamiche, piuttosto che gli elementi isolati, determinano la nostra esperienza estetica.
La seconda categoria di studi empirici, che identificano “l’approccio esporativo”, tentano
di delineare un ordine più forte dei fattori che rappresentano la percezione delle persone
degli oggetti valutati. L’approccio esporativo valuta più gli stimoli naturali (per es., opere
d’arte, costruzioni, paesaggi) che quelli controllati e relativamente semplici delle condizioni
sperimentali. Probabilmente questa caratteristica ha fatto sì che l’approccio esplorativo sia
divenuto il metodo scelto nella ricerca sull’estetica negli studi ambientali e architetturali.
Questo approccio è interessato alla percezione soggettiva dell’estetica piuttosto che alle
proprietà oggettive delle cose.
Estetica e Hci
Nel design di prodotto, a partire dall’inizio del XX secolo, grazie soprattutto a Loewy e
Dreyfuss, si incominciò ad attribuire importanza all’estetica nella produzione di massa sulla
base della convinzione che potesse essere strumento di marketing.
L’attuale scenario, in cui una moltitudine di prodotti che offrono la stessa funzionalità,
affollano il mercato, è delegato proprio alla dimensione estetica e agli aspetti intangibili il
compito di differenziare agli occhi del consumatore il tipo di offerta. Infatti è stato rilevato
50
come la piacevolezza dell’estetica abbia una un’influenza positiva sulle preferenze della
gente e quindi possa risultare determinante nelle decisioni d’acquisto. Quindi l’estetica può
aumentare la desiderabilità di un prodotto.
Per Ashford (1969), dal punto di vista del progettista, un approccio estetico può anche
rivelare soluzioni a problemi nascosti, in quanto pensare in termini visuali conduce alla
chiarificazione delle forme e la loro organizzazione in modelli integrati.
Tuttavia l’approccio richiesto al designer nell’attività di progetto è quello di orientare i suoi
sforzi in modo da strutturare la forma sulla base di quelle che sono le funzionalità del
prodotto stesso. Il designer utilizza i “vincoli di progetto”, imposti dal budget, dal
committente e dai requisiti funzionali, per ottenere una forma in grado di risultare attraente.
Questo approccio all’attività di progetto è strettamente legato al ruolo del designer, che a
questo punto risulta importante chiarire. Il designer non è un artista, opera per un
commitente allo scopo di risolvere dal punto di vista ingegneristico un’esigenza di tipo
pratico. Persegue questo obiettivo preoccupandosi costantemente della dimensione estetica
e della gradevolezza visuale. I due obiettivi, soddisfacimento degli aspetti pratici ed estetici,
risultano indissolubili e sono percepiti dal progettista come un unico intento.
Le caratteristiche descritte tratteggiano la figura del designer e qualificano l’attività di
progetto nei diversi campi del design e non solo nell’industrial design.
“Un grafico bravo è forse proprio chi sa fondere i due momenti in uno solo: ha introiettato
le competenze progettuali e le regole al punto di darle per scontate, e magari violarle;
sfrutta un talento artistico che non è mai appesantito ma solo facilitato, dalle conoscenze
tecniche. In nessun caso un buon progetto grafico sarà il frutto della sola applicazione di
regole, metodi, esperienze – o, viceversa, della sola intuizione. La risoluzione ottusa di una
questione progettuale può portare a un lavoro presentabile, ma fatalmente privo di originalità e vita. A sua volta la pura intuizione, per quanto geniale, non porta da nessuna parte,
se non in lavori di complessità minima. È una delle differenze tra grafica e arte: la prima è
sempre, in misura maggiore o minore, vincolata da qualche esigenza pratica.” (Tedesco –
Alias, supplemento al Manifesto del 3 settembre 2005). È quanto dice Tedesco a proposito
del graphic designer.
Esistono almeno due considerazioni che dovrebbero indurci a considerare quanto detto sul
ruolo dell’estetica e del designer applicabili al dominio dell’interazione uomo-macchina e al
web design.
51
La prima è che gli artefatti tecnologici per la loro natura multidimensionale e per la
caratteristica dell’interattività sono del tutto assimilabili a prodotti dell’industrial-design. Il
concetto di ergonomia che studia i rapporti tra uomo, strumenti e ambiente nella
progettazione e valutazione di sistemi utilizzati dall’uomo negli ambienti in cui vive è del
tutto analogo a quello di interazione uomo-macchina che orienta però i propri sforzi allo
studio di sistemi interattivi. La seconda risiede nell’appartenenza di questa disciplina
all’ambito del design e quindi fa propri gli assunti, gli obiettivi e l’approccio di tale ambito.
Purtuttavia l’interesse dell’Hci per gli aspetti estetici dell’interazione è sempre stato
fuggevole se non del tutto assente. I ricercatori hanno privilegiato considerazioni riguardanti l’efficienza enfatizzando criteri oggettivi di performance come il tempo di apprendimento, la percentuale d’errore, il tempo per completare un task. Le linee guida e i princìpi
proposti dagli esperti relegano l’estetica ad un ruolo marginale. Si pensi all’approccio a
quella che viende definita “consistenza visiva”: viene chiesto che uno stesso simbolo
grafico abbia lo stesso significato ogni qualvolta compaia, quindi che task analoghi siano
rappresentati visivamente dallo stesso simbolo. Non una parola sulla dimensione
comunicativa di tale simbolo grafico.
I più importanti testi non riportano riferimenti a considerazioni sull’estetica del progetto.
Non solo, i rari esempi di discussione sull’estetica sono caratterizzati dagli avvertimenti per
i suoi effetti dannosi.
Anche per i siti web, le analisi e le linee guida assomigliano a quelle usate nella Hci in
generale e si tende spesso a contrapporre estetica e usabilità.
Nielsen (2000) sostiene che esistono due approcci base al web design: l’“ideale artistico”
che rivela l’espressione di sé del designer e l’“ideale ingegneristico” che fornisce soluzioni
agli utenti. Laddove “c’è bisogno di arte, divertimento e generalmente piacevolezza sul
web,” Nielsen sostiene che “il principale fine della maggior parte dei progetti web dovrebbe
rendere semplice per il cliente effettuare compiti utili”. Rendere veloce l’accesso alle
informazioni è l’unico principio progettuale da seguire sul web. Tuttavia, cosa gli utenti
realmente preferiscano non è così chiaro. Alcune evidenze sperimentali suggeriscono che la
bellezza è stata la causa determinante più importante nella preferenza di un sito web
(Schenkman, e Jonsson, 2000) oppure che è stata influente nella percezione di altre qualità
del sito (van der Heijden, 2003) Infatti, in forte contrasto con i princìpi e le linee guida
sostenute da guru e ricercatori di usabilità, qualsiasi esame di siti web suggerisce che le
considerazioni estetiche sono dominanti nella progettazione per il web.
52
In questo lavoro di tesi il termine estetica sarà utilizzato, nell’ambito della progettazione di
artefatti tecnologici, dando a questo termine il significato di misura, in termini percettivi,
della gradevolezza dell’ambiente e dell’interazione per l’utente, capace – come dimostrato
da alcuni recenti studi che riportiamo – di motivare e soddisfare. Quindi l’estetica è legata
all’apparenza, alla forma, alle modalità di interazione offerte e, successivamente, alla
funzionalità dell’artefatto.
Si intende quindi fare riferimento ad aspetti di configurazione visiva che sono oggetto del
visual design. L’interesse è stato volto, quindi, a comprendere e a valutare l’estetica nei
termini della sua duplice capacità di attrarre e di gerarchizzare l’informazione allo scopo di
convogliarla.
In quest’ottica risulta evidente la coincidenza di obiettivi tra visual design ed usabilità, la
dimensione estetica e le regole del visual design utilizzate per migliorare e facilitare la
comprensione delle affordances offerte e del messaggio comunicativo.
Riteniamo che i concetti che sono alla base del visual design possano essere utilizzati nella
progettazione e nella valutazione della dimensione di artefatti che utilizzano un media che
non è quello cartaceo, ma, piuttosto il web oppure un oggetto, ormai di uso quotidiano,
quale il telefonino.
Purtuttavia, non possiamo non sottolineare anche le differenze sostanziali tra il prodotto
cartaceo e quello fruito attraverso il “mezzo” interfaccia.
Queste differenze possono essere individuate, essenzialmente, in due fattori che influenzano
l’esperienza estetica:
•
l’interazione, nel senso che abbiamo visto nei paragrafi precedenti, quindi la possibilità
da parte dell’utente di intraprendere delle azioni allo scopo di raggiungere degli
•
obiettivi
l’impalpabilità, non disponiamo del supporto fisico della carta con la quale abbiamo la
possibilità di comunicare alcuni aspetti. Pensiamo alle svariate tipologie di carte
presenti sul mercato (vergate, patinate, traslucide, perlate). Inoltre, l’altrettanto ampio
spettro di tecniche di stampa, in grado di poter essere opportunamente utilizzate dal
progettista per comunicare, non sono a disposizione dello user interface designer.
Questo secondo aspetto di differenziazione dello strumento cartaceo da quello elettronico
consiste quindi nell’impossibilità (al momento) di poter utilizzare anche il canale tattile,
oltre a quello visivo, nella comunicazione.
53
Riassumendo, in questo lavoro per estetica si intende la dimensione visuale dell’interfaccia
e la ricchezza dell’interazione alle quali sono demandate la funzione di contribuire
all’accettabilità del sistema utilizzando un insieme di variabili che alcuni studi stanno
cercando di individuare e che saranno utilizzate nello studio di valutazione presentato nel
capitolo 5.
4.2 User-experience ed esperienza estetica
“Un'esperienza è un processo che ha un inizio ed una fine e consiste in una sequenza di
eventi interconnessi che provocano in una persona una sensazione finale di soddisfazione o
insoddisfazione.” (John Dewey)
È la definizione di esperienza data da Dewey che la colloca come un evento non routinario.
Siamo interessati all’esperienza dell’utente nell’interazione con un artefatto e alle dimensioni progettuali che devono intervenire per poterla migliorare.
L'approccio promosso dalla teoria del design per l'esperienza induce a considerare l'intero
contesto dove ha luogo l'uso di un prodotto o un servizio come elemento di interesse
fondamentale per l'apprezzamento del prodotto/servizio stesso.
Si concentra sull’esperienza d’uso degli artefatti nel contesto sociale ed ambientale dove
essa ha luogo, proponendosi di comprenderla, migliorarla e progettarla, con particolare
attenzione per gli aspetti di coinvolgimento emotivo.
Progettare per l’esperienza rappresenta il nuovo focus dell’approccio “user-centered” e propone una riflessione multidisciplinare sull'interazione uomo-ambiente in generale e uomomacchina in particolare attraverso l'uso di servizi e prodotti.
Il focus di progetto si sposta dalla prestazione del prodotto (assunta questa come data) alla
qualità dell’interazione durante l’uso.
L’economia delle esperienze
Il concetto di esperienza è affrontato e considerato in ottica economica da Pine e Gilmoure
che parlano di “Economia delle esperienze”. Nella loro analisi della cosiddetta nuova
economia, alle due condizioni della scarsità della domanda/sovrabbondanza dell’offerta e
della pervasività della tecnologia, aggiungono quella dell’evoluzione dei contenuti della
domanda.
54
La loro prospettiva propone un modello per stadi evolutivi della domanda di mercato.
Secondo questo modello, contemporaneamente alla saturazione della domanda di un certo
tipo di prodotti/servizi si sviluppa un nuovo tipo di domanda di tipo superiore. Dopo le
commodity – materiali di base ricavati dal mondo naturale, ci sono stati i beni – articoli
tangibili ottenuti dalla trasformazione delle commodity, i servizi – attività intangibili volte a
formulare offerte economiche che qualifichino i beni allo scopo di soddisfare meglio i
clienti. L’economia dei servizi, anche a causa di internet, considerata “la più grande forza
di massificazione nota all’uomo”, sta raggiungendo il suo punto di saturazione e sta
emergendo una nuova forma di economia, quella delle esperienze per l’appunto.
“La nuova offerta, quella delle esperienze si verifica ogni qualvolta un’impresa utilizzi
intenzionalmente i servizi come palcoscenico e i beni come supporto per coinvolgere un
individuo. Le esperienze sono eventi che coinvolgono gli individui sul piano personale.”
Qundi le esperienze devono essere in grado di coinvolgere e lasciare un ricordo, perché ciò
accada ed un’esperienza sia “ricca” deve coinvolgere gli “ospiti” (così gli autori definiscono
i clienti) nell’ambito di dimensioni diverse (Figura 4.1).
Assorbimento
Intrattenimento
Educazione
Partecipazione
passiva
Partecipazione
attiva
Esperienza
estetica
Evasione
Immersione
Figura 4.1. Gli ambiti dell’esperienza (Pine e Gilmore, 1999).
La dimensione della partecipazione (asse orizzontale) è passiva quando i clienti non
agiscono in modo diretto sulla performance, attiva quando viceversa agiscono personalmente sull’evento. La seconda dimensione definisce il rapporto che i clienti hanno con
l’evento, questa relazione può essere di assorbimento quando l’esperienza occupa l’atten55
zione di una persona, oppure di immersione quando si partecipa fisicamente o virtualmente
all’esperienza, ad esempio in un gioco di realtà virtuale.
Queste due dimensioni definiscono i quattro ambiti dell’esperienza:
•
•
intrattenimento: modalità con la quale catturare l’attenzione di una persona divertendo,
ad esempio con performance di attori, musicisti, ballerini.
educazione: a differenza dell’intrattenimento, l’educazione richiede una partecipazione
attiva dell’individuo, perché solo in questo modo è possibile aumentare le conoscenze
di una persona. È chiamato edutainment il campo di applicazioni che si pongono
•
l’obiettivo di formare divertendo.
evasione: queste esperienze richiedono un’immersione più profonda delle precedenti,
ed è richiesta una partecipazione attiva, si pensi ai parchi a tema oppure alle chat.
Consentono alle persone di sperimentare ruoli diversi dai loro, la rete rappresenta il
“luogo” ideale per questo tipo di esperienze, in quanto internet è un mezzo attivo in cui
•
è possibile (come abbiamo rilevato nel capitolo 1) vivere una nuova socialità.
esperienza estetica: in queste esperienze gli individui si immergono ma non hanno un
ruolo attivo. I partecipanti ad un’esperienza estetica hanno l’unico intento di essere lì.
Indipendentemente dal fatto che un’esperienza estetica sia naturale – guardare le cascate
del niagara, oppure simulata – un parco Disney, le esperienze sono sempre “reali”, non
esistono esperienze artificiali. Gli ambienti sono artificiali, ma le esperienze immersive
che gli individui vivono sono reali.
Analogamente quando viviamo le nostre esperienze di carattere sociale in rete, ad esempio
negli scambi comunicativi attraverso le e-mail oppure in una chat, noi viviamo in un
ambiente virtuale, esperienze reali.
Il ruolo del designer è quello di creare degli ambienti simulati buoni che appaiano reali ai
loro ospiti.
Pine e Gilmore concludono che per ideare un’esperienza ricca bisogna integrare tutti i
campi dell’esperienza menzionati, chiedendosi cosa fare per migliorare ognuno di essi.
Per l’evasione cosa gli ospiti dovrebbero essere incoraggiati a fare per diventare partecipi
dell’esperienza in maniera attiva?
Per la componente educativa, cosa si vuole gli ospiti apprendano, quindi quali informazioni
o attività contribuiranno a coinvolgerli nell’esplorazione della conoscenza?
Per l’intrattenimento, dovremmo chiederci cosa fare in termini di intrattenimento, come
rendere piacevole e divertente l’esperienza.
56
Infine, per l’estetica, considerata l’elemento che invita gli ospiti ad entrare e fermarsi,
bisognerebbe chiedersi cosa fare per creare “un’atmosfera in cui gli ospiti si sentano liberi
di essere”.
Queste caratteristiche rivestono, evidentemente, importanza allorché si progetta un’interfaccia web, cioè quando allestiamo la scena di un sito. Dobbiamo chiederci come rendere
piacevole ed invitante “l’ambiente” in modo da trattenere l’ospite.
Si tenga presente che prima di esperire un qualsiasi sito web, e di effettuare un qualsiasi
task è proprio con la dimensione estetica che veniamo in contatto.
Un ambiente che non è in grado di accogliere e di mettere a proprio agio potrebbe farci
desistere dal compiere qualsiasi tentativo di raggiungere i nostri intenti informativi oppure,
ad esempio, di acquisto.
La teoria dei bisogni del design
I motivi per i quali sta nascendo questa nuova forma di economia sono da rintracciare nella
tecnologia, nella crescente competizione, nella naturale progressione del valore economico
da merce a esperienza; ma anche, ovviamente, nella crescente ricchezza.
Queste componenti, che caratterizzano lo scenario socio-economico, ci invitano a considerare la gerarchia dei bisogni del design mutuata da quella più generale teorizzata da
Maslow, il quale rappresenta i bisogni umani attraverso una piramide caratterizzata da
livelli gerarchici. Gli uomini, dice Maslow, ambiscono a soddisfare i propri bisogni. Per
poter soddisfare i bisogni di un certo livello occorre che prima siano stati soddisfatti quelli
di livello inferiore.
Ricordiamo che questo quadro concettuale prospettato da Maslow è collocato all’interno del
dominio del Marketing, scienza sociale definita da alcuni come “l’individuazione dei
bisogni allo scopo di poterli soddisfare”.
Analogamente il principio della gerarchia dei bisogni del design afferma che un design deve
soddisfare i bisogni elementari prima di quelli di livello superiore. Per un design, il valore
percepito corrisponde alla posizione che occupa nella gerarchia, cioè a livelli gerarchici
superiori corrispondono livelli di valore percepito maggiori.
Per produrre effetti positivi un design deve soddisfare, innanzitutto i bisogni primari e solo
in secondo luogo qualli di livello superiore.
Secondo questa teoria un design inefficace soddisfa le varie esigenze senza partire da quelle
primarie.
I livelli della gerarchia dei bisogni del design sono:
57
•
Funzionalità. Capacità di soddisfare i requisiti essenziali di un progetto. Un telefonino
•
deve quanto meno consentire di effettuare una telefonata.
•
ter essere effettuata sempre e con lo stesso livello di qualità ad esempio della ricezione.
Affidabilità. Capacità di garantire prestazioni stabili e costanti. Un telefonata deve po-
Usabilità. Facilità d’uso. Se la difficoltà d’uso è eccessiva o se le conseguenze di errori
semplici diventano gravi, i criteri di usabilità non sono soddisfatti. L’impegno dell’uten-
•
te per l’uso delle funzioni messe a disposizione dal telefono deve essere basso.
Miglioramento delle competenze. Capacità da parte degli utenti di eseguire determinate attività con maggiore efficienza rispetto al passato. A questo livello il ruolo del de-
•
sign è elevato.
Creatività. Livello a cui gli utenti iniziano ad interagire con il design in modo innovativo. Una volta soddisfatte tutte le altre esigenze, il design consente di creare ed esplorare
aree che vanno al di là del singolo prodotto e della persona che lo utilizza. A questo livello il ruolo del design è massimo e si generano effetti di fidelizzazione tra gli utenti.
Creatività
Miglioramento
delle competenze
Usabilità
Affidabilità
Funzionalità
Figura 4.2. Gerarchia dei bisogni del design.
Questo modello mostra chiaramente che l’usabilità e la creatività non risultano contrapposte, ma possono coesistere. Anzi, devono coesistere allorché il design ambisce a raggiungere livelli di sofisticazione. Contemplare creatività ed estetica significa, in primo luogo
aver già soddisfatto i criteri di usabilità, ma anche inserire il processo di design in una
prospettiva di più ampio respiro.
58
4.3 Usabilità apparente, estetica e contesto culturale
Kurosu e Kashimura (1995) hanno effettuato un’analisi sperimentale delle cause determinanti l’usabilità apparente, ovvero dell’usabilità percepita dall’utente prima dell’utilizzo
di un sistema, allo scopo di mostrare un’eventuale relazione tra l’estetica e l’atteggiamento
degli utenti nei confronti di artefatti tecnologici.
Hanno confrontato diverse versioni di uno stesso sistema bancomat in cui variavano solo la
posizione dei tasti sull’interfaccia.
Questo studio ha rivelato che l’usabilità apparente è influenzata maggiormente dagli aspetti
estetici che dall’usabilità effettiva (valutabile secondo parametri di efficienza operativa e
cognitiva) che gli autori chiamano usabilità inerente.
Variabili
Furono considerate due variabili dipendenti: usabilità apparente e estetica. Fu chiesto ai
partecipanti di attribuire un valore compreso tra 1 e 10 alla facilità d’uso e alla bellezza.
Sette, invece, le variabili indipendenti, considerate essere le cause determinanti dell’usabilità inerente.
Per queste cause, furono elencati i fattori che i gui designer ritengono migliorare l’usabilità
inerente e che rappresentano le strategie di progettazione effettivamente utilizzate. Questi
fattori sono riportati raggruppati secondo tali strategie. In questo elenco sono riportate, in
parentesi, anche i metodi di misurazione adottati nell’analisi:
Strategie per l’efficienza cognitiva
1. Sequenza dello sguardo (Distanza in centimetri tra il centro del display principale e
l’angolo superiore sinistro dello schermo). Il display principale dovrebbe essere posto
nell’angolo superiore sinistro, in quanto l’utente procede, nel guardare il monitor, da
quella posizione fino a quella a destra in basso. Poiché il display principale mostra
l’informazione necessaria per l’operazione seguente, dovrebbe essere visto dall’utente
per primo nella sequenza delle operazioni.
2. Familiarità (Tipo di tastiera). I tasti numerici dovrebbero essere disposti come nelle
tastiere dei telefoni, in quanto la forma è più familiare per l’utente ordinario.
3. Raggruppamento (Numero di raggruppamenti di tasti). I tasti dovrebbero essere raggruppati coerentemente con le loro funzioni.
Questo concetto è derivato dai dettami sulla percezione della Gestalt Theory.
59
Strategie per l’efficienza operativa
4. Sequenza operativa 1 (Tipo di sequenza)
I tasti numerici speciali dovrebbero essere posti dal valore più alto a quello più basso,
sulla base del concetto dell’ordine dell’operazione.
5. Dominanza della mano (Distanza in centimetri tra il centro del tasto 5 e il bordo destro
dello schermo). I tasti numerici dovrebbero essere posti sul lato destro dello schermo.
6. Sequenza operativa 2 (Distanza in centimetri tra il centro del tasto Yen e l’angolo
inferiore destro). Il tasto Yen dovrebbe essere posto nel lato inferiore destro.
7. Strategia di sicurezza (Distanza in centimetri tra il centro del tasto cancel e il centro del
tasto 5). Il tasto cancella dovrebbe essere posto lontano dal blocco dei tasti principali
per evitare errori.
La metodologia
1) Generazione dei layout
Nella prima fase furono generati, utilizzando gli stessi elementi grafici, i layout per lo
studio dell’usabilità apparente.
Fu considerato un bancomat con 10 tasti numerici, 2 tasti numerici speciali (migliaia e
decine di migliaia), il tasto yen come delimitatore, il tasto cancel, il tasto correzione, un
display primario per svolgere le funzioni e uno secondario, con una figura di donna come
elemento grafico, che forniva un feedback sullo stato del sistema.
Un campione di ventisei soggetti costituito da 9 gui designer, 6 industrial designer, 8 ingegneri e 3 segretarie, dispose quegli elementi sul schermo del computer nel modo che ritenevano ottimale. Le 26 configurazioni emerse furono utilizzate nella fase di valutazione (la
figura 4.3 mostra due esempi di layout).
2) Valutazione
I 26 layout furono valutati, sia dal punto di vista funzionale che estetico, con una scala di
Likert di ampiezza 10, da un campione di 252 soggetti costituito da 156 studenti di una
scuola di design e 96 studenti di un corso di psicologia.
Poiché entrambi i gruppi mostrarono una stretta correlazione nei giudizi (0.679 per
l’usabilità apparente e 0.783 per la bellezza) i dati furono fusi e analizzati. Il coefficiente di
correlazione tra queste due scale risultò relativamente alto (0.589), evidenziando che
l’usabilità apparente è in qualche modo legata all’aspetto estetico del layout, quindi
un’interfaccia giudicata bella era considerata usabile e facile da usare.
60
Figura 4.3
Due tipici esempi di layout, quello a sinistra il meno bello e meno usabile, quello a destra fu considerato il più
usabile e il più bello, (KK 1995).
Nella fase seguente dello studio, volta ad individuare le cause determinanti l’usabilità apparente, furono calcolati i coefficienti di correlazione e i coefficienti di contingenza (per le variabili indipendenti a scala nominale) dei valori dell’usabilità inerente dei vari layout generati nella prima fase (quindi l’effettivo grado di usabilità dettato dall’applicazione delle
strategie), con i valori dell’usabilità apparente assegnati nella seconda fase.
I valori ottenuti furono inaspettatamente bassi in molti casi come mostrato dalla seguente
tabella 4.1
1.1
sequenza dello sguardo
0.000
1.2
familiarità
0.730
1.3
raggruppamento
0.075
2.1
sequenza operativa 1
0.113
2.2
dominanza della mano
-0.127
2.3
sequenza operativa 2
-0.306
2.4
strategia di sicurezza
0.137
Tabella 4.1. Valori di correlazione tra usabilità inerente e apparente. (KK 1995).
Questi risultati mostrano che l’usabilità apparente dipende più dalla bellezza, che aveva
mostrato un coefficiente di correlazione di 0,589, che dall’usabilità inerente.
Gli utenti, quindi, sono fortemente influenzati dagli aspetti estetici dell’interfaccia anche
quando essi provano a valutare gli aspetti funzionali. Alla luce di questi risultati un
miglioramento dell’usabilità inerente potrebbe essere inutile se il prodotto non risulta
61
sufficientemente attraente da giustificarne l’acquisto, si può quindi affermare che lo sforzo
degli interface designer dovrebbe essere indirizzato non solo nel migliorare l’usabilità
inerente ma anche nel rivedere l’usabilità apparente e gli aspetti estetici dell’interfaccia.
Sulla base di queste considerazione gli autori della sperimentazione conclusero che i
prodotti dovrebbero essere apparentemente usabili almeno nella misura in cui lo sono
inerentemente.
Possibili influenze del contesto culturale
Con il duplice intento di validare gli studi di Kurosu e Kashimura e di comprendere il ruolo
giocato dalle differenze culturali nella percezione estetica e quindi nella relazione tra
estetica e percezione della facilità d’uso a priori del sistema, Traktinski e Lavie replicarono
gli studi dei ricercatori giapponesi e condussero tre esperimenti in un diverso contesto
culturale.
Per misurare la robustezza dei risultati ottenuti da Kurosu e Kashimura, Traktinski ritenne
opportuno, altresì, apportare alcune modifiche metodologiche al loro disegno sperimentale.
In questo studio furono usate le stesse variabili dell’esperimento in giappone: le sette
variabili indipendenti considerate essere le cause determinanti dell’usabilità inerente e le
due variabili dipendenti: usabilità apparente e estetica per le quali fu chiesto ai partecipanti
di attribuire un valore compreso tra 1 e 10.
I 26 layout in giapponese, forniti da Kurosu e Kashimura, furono tradotti, laddove necessario, in ebraico e utilizzati per lo studio (figura 4.4). Questo passaggio pose alcuni problemi di traducibilità. L’obiettivo era quello di assicurare l’aspetto naturale dell’interfaccia agli
occhi degli israeliani preservando l’originale versione giapponese. Nella maggior parte dei
casi fu privilegiato il primo aspetto. In particolare parecchi controlli nell’interfaccia
giapponese sono rappresentati da un carattere, mentre in ebraico richiedono un’intera parola
(il simbolo di moneta yen, che nelle interfacce giapponesi è un carattere, fu tradotta con il
corrispondente ebraico di “confirmation” che denota la stessa operazione per i bancomat
israeliani).
Fu, inoltre, sostituita l’immagine di una donna, presente sull’interfaccia giapponese, che si
inchinava ripetutamente per indicare che il sistema stava eseguendo un’operazione con una
clessidra che risultava più familiare, per gli israeliani, per la rappresentazione di un sistema
attivo.
62
Figura 4.4. Un esempio di layout originale giapponese e la sua controparte israeliana. Questo layout è stato
valutato con un punteggio alto per l’usabilità apparente e l’estetica sia in Giappone che in Israele. (Traktinsky
1997).
L’esperimento 1 fu progettato per valutare la robustezza dei risultati di KK rispetto alle
variazioni del contesto culturale.
Vide la partecipazione di 104 studenti del primo anno di ingegneria di un’università
israeliana. Fu usata la stessa procedura di KK: i 26 layout furono proiettati in una grande
aula usando un proiettore. Ogni layout fu visualizzato per circa 20 secondi. In questo
intervallo di tempo, i partecipanti votavano ogni layout per facilità d’uso e bellezza su una
scala da uno a dieci. Fu fatta la media dei voti, per ognuno dei 26 layout rispetto alle due
variabili considerate. Il punteggio medio per tutti i 26 layout fu simile a quello dello studio
di KK (5.9 contro 6.0 per l’estetica e 5.4 contro 5.8 per l’usabilità apparente in Israele e
Giappone rispettivamente).
La variabilità dei punteggi fu più alta in Israele che in Giappone: per l’estetica variavano tra
3.5 e 8.5 in Israele, e tra 5.2 e 6.8 in Giappone; quelli per l’usabilità apparente, in Israele
variavano tra 2.7 e 8.5, mentre in Giappone tra 4.4 e 6.5.
Le relazioni con l’usabilità apparente usando il coefficiente di correlazione per le scale di
intervalli e il coefficiente di contingenza per le variabili indipendenti sono presentati in
figura 1, accanto ai corrispondenti di KK. In generale le relazioni assomigliarono a quelle
ottenute da KK. Tuttavia, la correlazione tra l’estetica e l’usabilità apparente (r=0.921) fu
più alta in Israele.
Qundi, ancor più della loro controparte giapponese, per gli israeliani, la facilità d’uso
percepita e l’estetica mostravano di essere strettamente legate.
63
Correlazioni
con l’usabilità apparente
Variabili
KK
Estetica
.589
.921
.832
.920
Distanza
.000
.001
.042
.129
Tipo di tastiera
.730
.671
.751
.760
Raggruppamento
.075
.462
.529
.667
Sequenza 1
.113
.352
.197
.397
Dominanza mano
.127
.002
.125
.203
Sequenza 2
.306
.233
.137
.153
Sicurezza
.137
.019
.006
.061
Esp. 1 Esp. 2 Esp. 3
Tabella 4.2. Correlazioni e coefficienti di contingenza di estetica e delle sette variabili sull’usabilità inerente con
l’usabilità apparente per l’esperimento in Giappone e per i tre esperimenti in Israele.
Tra le cause che determinano l’usabilità inerente, solo il tipo di tastiera e il numero di
elementi raggruppati furono correlati con l’usabilità apparente.
La Tabella 4.2 presenta una tavola di contingenza in cui 4 intervalli di categoria uguali sono
usati per valutare i 26 progetti rispetto al loro punteggio dell’usabilità apparente.
A dispetto della somiglianza dei coefficienti di contingenza tra i partecipanti giapponesi e
israeliani, un più attento sguardo alla tabella di contingenza rivela che, mentre i giapponesi
associavano meglio l’usabilità con i layout con tastiera orizzontale, gli israeliani la
collegavano alla tastiera telefonica.
L’esperimento 2 fu progettato per valutare la potenziale dipendenza tra le risposte dovuta
al metodo.
La modalità utilizzata nell’esperimento 1, che prevedeva i partecipanti votassero contemporaneamente bellezza e facilità d’uso di ognuno dei 26 layout su due consecutive scale da
1 a 10 prima di procedere nell’esperimento avrebbe potuto influenzare la correlazione
riscontrata tra le due variabili a causa di una potenziale dipendenza tra le risposte. Fu,
quindi, modificato il procedimento: i 26 layout furono proiettati in due differenti sessioni.
L’ordine di presentazione dei layout fu determinato casualmente per ogni sessione.
Parteciparono a questo studio un differente gruppo di 81 studenti del primo anno di
ingegneria. Gli studenti furono assegnati casualmente ad una di due diverse condizioni.
Nella prima condizione, i partecipanti valutavano l’estetica per i 26 layout nella prima
sessione, e l’usabilità apparente nella seconda sessione. Nell’altra condizione, l’ordine di
valutazione era invertito. Poiché era necessaria solo una valutazione, il tempo di
presentazione globale risultò ridotto di circa 15 secondi.
64
I risultati (mostrati in tabella 4.2) risultarono simili a quelli dell’esperimento 1, le relazioni
tra l’estetica e l’usabilità apparente non erano, quindi, il prodotto di una dipendenza dalle
risposte causata dal metodo usato da KK e nell’esperimento 1. Anche i risultati sulla
relazione tra l’usabilità apparente e il tipo di tastiera e il numero di raggruppamenti furono
analoghi a quelli dell’esperimento 1. L’esperimento 2 confermò, dunque, la forte correlazione tra usabilità apparente e l’estetica, e le differenze in queste relazioni, tra israeliani e
giapponesi.
L’esperimento 3 fu progettato per verificare se i giudizi fossero dipesi dal tipo di mezzo di
visualizzazione e se fossero cambiati se i progetti fossero stati visualizzati su un monitor di
un terminale.
I primi due esperimenti, così come quello di KK, utilizzavano un proiettore per visualizzare
i layout su un ampio schermo. I partecipanti avevano visto i layout da differenti distanze
(generalmente ampie), e differenti angoli. L’utilizzo di personal computer uniformò le
condizioni di visualizzazione, consentì ai partecipanti di lavorare secondo la propria
velocità e permise la totale casualità della presentazione degli stimoli (per esempio l’ordine
delle domande e dei progetti). I partecipanti, 108 studenti del terzo anno di ingegneria,
furono fatti sedere di fronte ad un pc. Un programma, scritto in Visual-basic, presentava gli
stimoli materiali, accettava le risposte degli utenti e misurava i tempi di risposta.
Il programma partiva con una breve introduzione on-line, dopo cui venivano presentati ai
partecipanti, in ordine casuale, i 26 layout di bancomat. Nella parte inferiore dello schermo
veniva presentata una delle due domande su estetica e usabilità. I partecipanti potevano
rispondere alle domande con una scala da 1 a 10 selezionando uno tra dieci bottoni
disponibili. Per procedere con il layout seguente, dovevano premere un bottone continua.
Dopo aver risposto alla prima domanda di ognuno dei 26 layout, i layout erano presentati in
un nuovo ordine casuale e i partecipanti dovevano rispondere all’altra domanda.
I risultati dell’esperimento 3 (mostrati in tabella 4.2) sono consistenti, per la gran parte, con
quelli ottenuti negli esperimenti 1 e 2. L’uso di personal computer in questo esperimento ha
consentito la misurazione dei tempi utilizzati dai partecipanti per valutare i progetti.
Mediamente, la gente impiegava più tempo a valutare l’usabilità che l’estetica. (i tempi di
valutazione medi furono 8.68 sec. e 7.58 sec. rispettivamente). Sebbene non molto ampia la
differenza nella latenza supporta l’aspettativa intuitiva che la valutazione dell’usabilità
apparente è più complessa, e di qui il maggior tempo impiegato che nella valutazione
dell’estetica dell’interfaccia.
65
I risultati di studi confermarono l’alta correlazione tra l’usabilità apparente e l’estetica
riscontrata da KK, evidenziando altresì una dipendenza culturale tra la percezione estetica e
le sue relazioni con i relativi costrutti Hci.
Tale dipendenza, peraltro, andò nella direzione opposta a quella attesa. L’ipotesi che i
giapponesi fossero più sensibili all’estetica degli israeliani e avrebbero enfatizzato
maggiormente il ruolo dell’estetica nel progetto delle interfacce non ebbe riscontro
nell’esperimento, infatti, in Israele, la correlazione tra usabilità apparente e estetica risultò
considerevolmente più alta che in Giappone.
Dopo aver ribadito la necessità di un approccio più globale all’Hci e alla comprensione di
come le persone sperimentano e giudicano i sistemi in quanto le misure oggettive del
comportamento e uso dei sistemi potrebbero non essere sufficienti a predire l’accettabilità
del sistemi, Traktinsky conclude sottolineando la necessità di definire metodi per
l’identificazione e la misurazione di componenti estetiche rilevanti che potrebbero aiutare a
spiegare e valutare la nostra esperienza con i computer.
Gli studi di KK e di Traktinsky mostrano chiaramente l’importanza dell’estetica nella
progettazione di artefatti, sottolineando in particolare la relazione esistente tra estetica e
usabilità percepita.
Un altro studio (Parizotto) ha confermato tale relazione e mostrato come anche in ambienti
d’apprendimento virtuali la dimensione estetica dei layout giochi un ruolo chiave influendo
sulle motivazioni degli studenti all’apprendimento.
Dopo aver effettuato uno studio analogo a quelli di KK e Traktinsky, quindi volto a
verificare la relazione tra usabilità apparente ed estetica, in un ambiente di apprendimento
virtuale, la ricercatrice brasiliana ha ritenuto opportuno replicare lo studio dopo l’effettivo
utilizzo del sistema da parte del campione. La valutazione di estetica e usabilità avveniva
dopo l’interazione dopo l’effettuazione di due task su quattro diverse condizioni ottenute
incrociando estetica e usabilità alte e basse. Ognuno dei partecipanti appartenenti ad un
gruppo di 98 studenti brasiliani sperimentava solo una delle quattro condizioni e attribuiva
un punteggio ad estetica e usabilità dopo il completamento dei due task assegnati.
Ancora una volta i coefficienti di correlazione confermarono la relazione tra estetica e
usabilità, questa volta esperita.
66
D’altro canto l’estetica non rappresenta la soluzione per l’accettabilità di un sistema e la
costruzione della corretta user-experience. Bisogna infatti sottolineare come, in realtà, la
qualità dell’interazione sia determinata dal concorrente apporto di un numero elevato di
dimensioni in relazione tra di loro. Ad esempio nel web, metafora, modello mentale,
architettura delle informazioni, ingegneria dell’usabilità sono tutti elementi utili per un
prodotto centrato sull’utente.
Inoltre gli studi presentati hanno valutato l’estetica del layout senza considerare la
componente dell’interazione (nell’esperimento della Parizotto si trattava di completare due
task routinari) che caratterizza e differenzia gli artefatti tecnologici da quelli cartacei. È di
sicuro interesse indagare sulle relazioni tra estetica e ricchezza dell’interazione.
4.4 Estetica dell’interazione e nuovi metodi per il design dell’interazione
Estetica e interazione sono strettamente intrecciate, l’estetica di un prodotto deve essere
definita in relazione alle sue funzioni e la sua interazione deve essere giudicata per le sue
qualità estetiche, sia sensoriali che concettuali. Questo conduce ad un’estetica dell’interazione, in cui l’enfasi è spostata da un’apparenza controllata esteticamente ad un’interazione
controllata esteticamente di cui l’apparenza è una parte. L’estetica dell’interazione sposta
l’attenzione dalla facilità d’uso al piacere dell’esperienza.
L’apparenza può attrarre gli utenti ad agire attraverso l’aspettativa di una bella interazione,
ma è necessaria una ricchezza nell’interazione perché la relazione tra utente e sistema possa
essere interessante e variabile. I sistemi dovrebbero proporre una ricchezza di funzionalità,
cioè apparenza, interazione e funzioni che devono riflettere la complessità socioculturale di
chi lo usa. I dispositivi hanno un ruolo nella vita di chi li usa, attraverso apparenza, interazione e funzionalità ogni prodotto racconta una storia sul suo utente e sulla loro relazione.
Allo scopo di indagare e comprendere nuovi metodi - basati sull’estetica piuttosto che sulla
facilità d’uso - per il design dell’interazione, Frens ne propone uno “Designing for extreme
characters” che aiuta i designer a comprendere gli aspetti socio-culturali dei loro progetti.
Frens illustra questa tecnica per mezzo del design di un’agenda elettronica che per poter
essere di aiuto agli utenti deve avere un’idea delle preferenze e dei sentimenti dell’utente su
ogni appuntamento.
67
Progettare, in genere con l’ausilio di scenari, per personalità prototipo ignora l’aspetto
emozionale e l’intero spettro delle emozioni umane. “Designing for extreme characters”
capovolgendo l’approccio progettuale basato su prototipi appartenenti ad un target group, è
una tecnica che progetta per personalità che hanno atteggiamenti emozionali estremi. Le
caratteristiche, peculiari di personalità estreme, sebbene comuni, rimangono nascoste
perché sono antisociali.
Frens ha progettato per tre personalità estreme: uno spacciatore, il papa e una ventenne con
più partner. Le personalità erano non solo descritte in parole, ma anche visualizzati sotto
forma di collages che descrivevano una loro giornata, allo scopo di comprendere i legami,
difficilmente esprimibili con le parole, tra personalità, apparenza, azioni e ruolo.
Ognuna delle tre personalità ha un atteggiamento unico nei confronti degli appuntamenti.
Riportiamo quello della ventenne.
Profilo
È una donna con una moltitudine di contatti sociali, tra cui molti partner. Ha avuto una
normale giornata lavorativa come insegnante, ma, è sempre nell’attesa spasmodica di essere
libera dopo il lavoro e nel week-end. Ha sempre voglia di divertirsi. Quando esce è sempre
tesa perché ha timore che i vari partner la possano incontrare con qualcun altro. Ha bisogno
di gente intorno a sé in quanto non è capace di divertirsi da sola.
Il suo atteggiamento nei confronti degli appuntamenti è caratterizzato dal piacere che la
donna trae dal destreggiarsi tra gli appuntamenti in modo tale che i propri partner non
scoprano l’esistenza di altri uomini. Quando ha più richieste di appuntamento si chiede
quale sia l’uomo che vada meglio per quella serata.
Il concept
L’agenda per la ventenne usa cinque schermi circolari che si ripiegano come un ventaglio
utilizzabile in due modi. Nel primo, detto “pubblico”, tutti gli schermi sono piegati
all’interno e solo quello principale è visibile. È possibile dare una sbirciata veloce agli altri.
Nel secondo, detto “privato”, gli schermi sono tutti visibili ed è possibile controllare tutte le
informazioni sensibili. Attraverso un appropriato posizionamento degli schermi, la donna
poteva valutare e comparare i suoi partner sulla base di un divertente profilo con misure
quali, cena, shopping, sesso.
Il ventaglio per appuntamenti si adatta all’atteggiamento della ventenne. La aiuta a
mantenere il suo stile di vita edonistico ricordandole le caratteristiche dei partner e
68
permettendole di ordinarli attraverso una semplice interfaccia. La doppia modalità, le
consente di utilizzare il dispositivo in pubblico senza rinunciare al suo speciale bisogno di
privacy.
Frens tradusse la frivolezza della personalità nella piacevolezza dell’interazione. Nella
gestione dell’invito multiplo, l’interfaccia, del tutto illustrata, utilizza fotografie scattate con
una fotocamera integrata, della persona, del luogo e del soggetto dell’appuntamento.
Sebbene la personalità della ventenne può essere considerata frivola, il ventaglio per
appuntamenti può essere introdotto per applicazioni più serie, ad esempio sostituendo i
partner con “incontri d’affari” si potrebbe giudicare la priorità. Per un free-lance, la
modalità “pubblico” potrebbe diventare un modo per proteggere l’associazione ad un cliente
mentre ne visita una altro.
Questo approccio “estremo” ha consentito in questo progetto considerare caratteristiche
della personalità quali la segretezza, lo status e l’autonomia, che non sono normalmente
enfatizzate negli appuntamenti dei manager. Sebbene sono considerati come concetti
separati, per Frens hanno forza sinergica e influenzano gli aspetti della personalità.
Progettare per la ventenne ha permesso di rompere con la nozione esistente di estetica e
interazione con un Pda. In realtà, il ventaglio è più probabilmente adatto ad una ventenne in
termini di estetica, funzionalità e significato culturale di un Pda. Questo è l’aspetto centrale
del progettare per personalità estreme: gli estremi fanno comprendere che il modo in cui le
cose sono non è l’unico possibile. Consentono di comprendere la ricchezza estetica, funzionale e interattiva che i prodotti dovranno essere in grado di offrire.
Questo progetto può spronare i designer a trarre ispirazione dai film, dall’editoria e dal
mondo della moda che utilizzano questi stereotipi. Potrebbe essere anche interessante
pensare a stereotipi che escono dai clichè, come un professore che si droga o uno spacciatore introverso.
Inoltre espone quelle emozioni e caratteristiche della personalità che rimangono nascoste
negli scenari ritenendole sconvenienti e imbarazzanti. In realtà, per progettare prodotti per
gli umani, non possiamo scindere queste emozioni indesiderabili in quanto sono quelle che
ci rendono umani.
69
4.5 Metodi per la valutazione dell’estetica
Appurato il ruolo giocato dall’estetica nell’interface design, assume importanza il poter
disporre di metodi che siano in grado di misurare la dimensione estetica in maniera oggettiva. Nessuno sa come misurare i valori dell’estetica, alcuni dubitano anche che ciò sia
possibile. Lo sviluppo di misure valide è un prerequisito per studi futuri e per il progetto
della dimensione estetica di artefatti e siti web. La disponibilità di tali misure facilita una
migliore comprensione dei fenomeni dell’Hci, quali la relazione tra la percezione dell’estetica e l’usabilità.
Un modello computazionale
Ngo, Samsudin e Abdullah (2000) propongono un modello computazionale, di tipo
quantitativo, che utilizza cinque misure estetiche per la progettazione di interfacce grafiche:
•
Bilanciamento
è ottenuto posizionando sullo schermo gli elementi che compongono il layout in modo
tale che il peso visivo delle componenti risulti equilibrato. Si può ottenere un layout
bilanciato non necessariamente attraverso una disposizione simmetrica, ma anche
asimmetrica, attraverso un’opportuna distribuzione dei pesi degli oggetti lungo gli assi
orizzontali e verticali del layout per ottenere configurazioni visive caratterizzate da
maggior dinamicità.
In particolare si ottiene un layout bilanciato quando la misura del bilanciamento
BM = (wL – wR, wT – wB) è uguale a zero.
In questa formula wL è il peso del lato sinistro del layout (rispetto all’asse di simmetria
verticale), wR è il peso del lato destro, wT è il peso della parte superiore del layout
(rispetto all’asse di simmetria orizzontale) e wB è il peso della parte inferiore.
Il peso di un layout è dato dalla somma algebrica dei pesi degli elementi che lo
compongono:
w = Σ aidi
dove ai è l’area di un oggetto e di è la distanza tra i suoi assi centrali (orizzontali e
verticali) e i corrispondenti assi di simmetria.
70
x1
a1
x3
y1
a3
x2
y2
y3
a2
Figura 4.5. Un layout bilanciato (Ngo, Samsudin e Abdullah 2000).
•
Equilibrio
è definito come l’uguale bilanciamento tra forze opposte. Qualsiasi oggetto costituisce
un centro di forze. La relazione tra i vari elementi come centro delle forze è la base
della composizione. Un layout è in equilibrio quando il suo centro coincide con il centro
del frame.
La formula è
EM = (xc, yc) – (x0, y0) o EM = (xc – x0) – (yc – y0)
in cui EM è la misura dell’equilibrio, (x0, y0) è il centro di un layout, e (xc, yc) è il centro
del frame. Il centro di un insieme di oggetti di area a1, a2, a3…
nei punti (x1, y1), (x2, y2), (x3, y3) nel piano xy è
(x0, y0) = ((Σ aixi / Σ ai), (Σ aiyi / Σ ai))
Equilibrio e bilanciamento coincidono quando:
xc = x0 e yc = y0 oppure wL = wR e wT = wB
a1
(x1, y1)
a3
(xc, yc)
(x3, y3)
a2
(x2, y2)
Figura 4.6. Un layout in equilibrio (Ngo, Samsudin e Abdullah 2000).
71
•
Simmetria
rappresenta la distribuzione bilanciata degli elementi lungo gli assi di simmetria. Oltre
alla simmetria orizzontale e verticale, possiamo avere quella radiale che consiste nel
bilanciamento degli elementi su due o più assi che si intersecano in un punto centrale.
La formula è:
SM = {[gUL - gLL], [gUR - gLR], [gUL - gUR], [gLL - gLR], [gUL - gLR], [gUR - gLL]},
in cui SM è la misura della simmetria, i valori di gXY rappresentano il peso dei quattro
quadranti.
Il peso di un layout è la somma algebrica delle sue componenti:
g = Σ (| xi –xc|,| yi –yc|, li, bi)
in cui li è la lunghezza di un oggetto, bi è la larghezza dell’oggetto, (xi, yi) è il centro
dell’oggetto, e (xc, yc) è il centro del frame.
Si noti come la misura di peso per la simmetria è differente da quella per il
bilanciamento.
La simmetria crea bilanciamento, la differenza è che il bilanciamento può essere
ottenuto senza simmetria.
l1
b1
l2
b2
(x1, y1)
l3
b3
(x2, y2)
(xc, yc)
l4
b4
(x3, y3)
(x4, y4)
Figura 4.7. Un layout simmetrico (Ngo, Samsudin e Abdullah 2000).
•
Sequenza
questa misura fa riferimento alla facilità con cui l’occhio percepisce gli elementi sullo
schermo sulla base della loro disposizione e della loro dimensione. Normalmente gli
occhi, come nella lettura, si muovono dall’angolo superiore sinistro e spostandosi avanti
e indietro arrivano in basso a destra. Per individuare un percorso visuale occorre:
72
1. partire dall’elemento che riesce ad attrarre la vista;
2. spostarsi all’elemento attrattore sullo stesso livello o ad un livello inferiore;
3. ripetere il passo 2 fino al raggiungimento dell’ultimo nodo.
L’attrattività di un oggetto dipende dal suo peso. È data da:
axq
dove a è l’area di un oggetto e q è il valore del quadrante in cui l’oggetto è situato (qUL
ovvero il quadrante in alto a sinistra ha valore 4, qUR vale 3, qLL 2, qLR 1).
Un layout ottimale facilita i movimenti oculari e riduce lo scanning visivo.
La formula per la sequenza è:
SQM = (p, d) con le seguenti definizioni
p = 1 se esiste un percorso – 0 altrimenti
d = ne
dove SQM è la misura della sequenza, p è l’esistenza di un percorso completo, d è la
lunghezza di un percorso e ne è il numero di passi.
In Layout ottimali,
SQM = ( 1, <= 3)
UL
UR
LL
LR
Figura 4.8. Un layout che presentando un SQM = (1,1) risulta ottimale. (Ngo, Samsudin e Abdullah 2000).
•
Ordine e Complessità
si può massimizzare l’ordine tramite il bilanciamento, l’equilibrio, la simmetria e la
sequenza, e minimizzare la complessità riducendo il numero di elementi.
È definita matematicamente come:
M = (OBM + OEM + OSM + OSQM) / C
(C>0)
dove dove M è la misura di ordine e complessità, OBM , OEM, OSM , OSQM rappresentano
bilanciamento, equilibrio, simmetria e sequenza, mentre C è la complessità,
73
e deriva dalla misura di valore estetico data da Birkhoff basata sulla formula
M = O/C
In cui si fa riferimento all’ordine di un oggetto in una determinata classe di oggetti, e
alla complessità dell’oggetto in quella classe.
Nella formula per il calcolo di M valgono le seguenti definizioni
OBM = 0,5
se wL = wR and wT = wB
0,25 se wL = wR or wT = wB
0
OEM = 0,5
altrimenti
se xc = x0 and yc = y0
0,25 se xc = x0 or yc = y0
0
OSM = 1,5
altrimenti
se (gUL = gUR and gLL = gLR) and
(gUL = gLR and gUR = gLR) and
(gUL = gUR and gUR = gLL)
1
se (gUL = gUR and gUR = gLR) and
(gUL = gLL and gUR = gLR)
0,5
se (gUL = gUR and gLL = gLR) or
(gUL = gLR and gUR = gLR) or
(gUL = gUR and gUR = gLL)
0
OSQM =0,5
0
altrimenti
se SQM >= 5
altrimenti
Gli autori hanno condotto due studi: il primo, a cui hanno partecipato sei gui-designer
irlandesi, per valutare la relazione tra le misure estetiche del loro modello; il secondo, a cui
hanno partecipato 22 studenti di ingegneria malesi, per valutare la robustezza dei risultati
ottenuti. Lo studio è consistito nella valutazione dell’estetica, attraverso una scala con valori
da zero a tre, di sette modelli di layout con gli stessi elementi. Tali layout differivano solo
per la disposizione degli elementi sullo schermo.
74
La valutazione dei layout da parte dei designer produsse valori molto simili a quelli ricavati
con l’applicazione delle formule per ognuna delle dimensioni dell’estetica, in particolare il
coefficiente di correlazione fu r = 0,99 (tabella 4.3).
I risultati della seconda parte dell’esperimento, nonostante avesse visto la partecipazione di
persone senza una specifica formazione nel visual design e proveniente da un altro contesto
culturale, furono anch’essi sorprendentemente vicini ai valori trovati nel primo esperimento
e quindi a quelli matematici derivati dalle formule di Ngo e Abdullah.
O
Test 1
Test 2
Entrambi
0,99
0,96
0,97
Tabella 4.3. I coefficienti di correlazione per i due test. (Ngo, Samsudin e Abdullah 2000).
Questo esperimento e il relativo modello computazionale proposto risultano di sicuro
interesse in quanto mostrano la possibilità di un approccio oggettivo all’estetica che, in
questo modo, potrebbe essere misurata.
Tuttavia, per ammissione degli stessi autori, un simile disegno richiede ulteriori sviluppi ed
approfondimenti. Infatti, in questo modello non sono considerati altre componenti che
possono giocare un ruolo importante nei risultati di ognuna delle misure proposte.
Colori, scelta del lettering, stile comunicativo sono tutte componenti che influenzano la
percezione e la decodifica delle informazioni sullo schermo da parte dell’utente.
Non solo, così come è sostenuto dalla psicologia della gestalt, la percezione è il risultato
delle relazioni esistenti tra le varie parti e componenti che strutturano l’“intero”. Ogni
“unità di senso” presente sullo schermo è sì percepita come tale, ma influenza in modo
reciproco tutte le altre unità.
Non bisogna peraltro trascurare il ruolo che può avere la cultura nella determinazione dei
giudizi estetici.
Misure per l’estetica percepita dei siti web
Traktinsky e Lavie (2002) hanno condotto uno studio allo scopo di sviluppare uno
strumento di misurazione dell’estetica percepita di un sito web, e individuare i fattori che
determinano i giudizi estetici di un’interfaccia web da parte degli utenti .
Lo studio, utilizzando un approccio esplorativo per la scarsità di ricerche precedenti in
questa area, si è svolto attraverso tre successive sessioni. Dopo la generazione di un insieme
75
preliminare di voci che riflettono la percezione dell’estetica, gli autori hanno proceduto
raffinando le scale emergenti e valutando la loro affidabilità e validità.
L’efficacia di questi studi risiede nel fatto che sono stati effettuati in due diverse condizioni:
studenti universitari in laboratorio e utenti ordinari nel loro usuale ambiente. Gli utenti
hanno valutato sia siti israeliani che inglesi, minimizzando così la potenziale influenza di
componenti culturali e linguistiche. Inoltre sono stati utilizzati vari tipi di siti web in modo
da non limitare lo strumento ad uno specifico genere di siti web.
Le misure estetiche proposte possono servire in ricerche empiriche future non solo rispetto
l’estetica dei siti web, ma anche per l’intera user experience.
Traktinsky e Lavie hanno individuato due principali dimensioni che hanno chiamato
“estetica classica” ed “estetica espressiva”, ognuna delle quali è rappresentata da cinque
voci.
La dimensione estetica classica enfatizza l’ordine e la chiarezza del design ed è rappresentata dai seguenti attributi di un sito web:
•
•
estetico
•
pulito
•
piacevole
•
chiaro
simmetrico
Corrisponde alla dimensione “chiarezza visuale”dei siti web (Nassar, 1999).
La dimensione estetica espressiva riflette la creatività e originalità dei designer e la loro
abilità di rompere le convenzioni. È rappresentata dai seguenti attributi dei siti:
•
•
creativo
•
con uso di effetti speciali
•
affascinante
•
originale
sofisticato
Corrisponde alla “ricchezza della dimensione visuale” (Nasar, 1999) dei siti web, che include abbellimento e espressione dello stile, creatività e originalità dei designer.
Queste due dimensioni di estetica percepita mostrarono un’alta consistenza interna, risultando tuttavia fattori distinti.
76
Si noti come la dimensione dell’estetica classica sia più strettamente legata all’usabilità
percepita di quanto lo sia la dimensione dell’estetica espressiva. Questo legame potrebbe
spiegare i risultati ottenuti sulla relazione delle percezioni di estetica e usabilità.
Inoltre queste due dimensioni corrispondono ai concetti di ordine e complessità, come
descritte da Arhneim (1966), e assomigliano ai risultati di altri campi, quali ad esempio il
design di paesaggi. “L’ordine può essere definito come il tipo e il grado di legittimità che
governano le relazioni tra le parti di un’entità… La complessità è la molteplicità di
relazioni tra le parti di un’entità.”. Analogamente, Kaplan (1988) suggerisce che la
preferenza umana per i paesaggi è influenzata dal grado in cui i paesaggi “hanno senso”
(per es., è chiaro e leggibile) e il grado in cui sono stimolanti. Le relazioni tra queste due
qualità non sono predefinite, e il buon design dovrebbe condurre al loro bilanciamento dato
un contesto di design. In questo modo, “la complessità senza ordine produce confusione;
l’ordine senza complessità risulta noioso” (Arnheim, 1966).
77
5. Un caso di studio: il sito del Dib
In questo capitolo sono presentati i risultati di uno studio effettuato sul sito del Dipartimento di Informatica di Bari (Dib).
Lo studio è stato strutturato in due diverse parti.
Nella prima, basata sull’applicazione delle cinque misure di estetica proposte da Ngo –
Samsudin – Abdullah (illustrate nel capitolo precedente), è stata valutata la home page del
sito del Dib e proposta una ridefinizione dell’interfaccia con un miglioramento di tali
misure. È importante sottolineare che in questa prima parte, nel design dell’interfaccia non
sono state apportate variazioni su componenti quali colori, immagini, lettering, bensì sono
solo stati riorganizzati gli stessi elementi allo scopo di migliorare il bilanciamento, la
simmetria e l’equilibrio. È stato, altresì, effettuato un esperimento in cui è stata valutata
l’estetica dell’interfaccia prima e dopo gli interventi. L’esperimento ha confermato
l’importanza dell’applicazione delle cinque misure nella determinazione dell’estetica.
La seconda parte dello studio è consistita nel proporre un nuovo progetto per il sito del Dib
che è stato valutato non solo nella sua componente estetica, ma anche in altri fattori
rilevanti del design di un sito web, quali l’architettura dell’informazione e l’usabilità.
78
5.1 Parte prima. Misurazione dell’estetica e sperimentazione
La prima parte dello studio aveva l’obiettivo di valutare l’attuale home page del sito lungo
le misure dell’estetica bilanciamento, simmetria, equilibrio, sequenza, ordine e complessità,
quindi la valutazione delle componenti dell’estetica oggettivamente misurabili.
Bisogna ricordare che queste misure e il modello computazionale ad esse legato è stato
progettato per “multi-screen interfaces” (ad esempio applicazioni multimediali), tuttavia
può essere ragionevolmente utilizzata per la nostra home page che è invece un esempio di
“multi-pane interfaces” (gli altri due modi per usare le finestre sono le “multi-window
interfaces” – per esempio windows xp , e le “multi-document interfaces – ad esempio word
o excel).
Il layout ha mostrato di avere valori non soddisfacenti per le misure dell’estetica.
Sono state quindi apportate delle variazioni che hanno prodotto un miglioramento sensibile
di tali valori senza peraltro intervenire su altri aspetti del visual design quali lettering e
colori e lasciando inalterato il testo.
Sono stati solamente modificati i pesi e di conseguenza la disposizione dei macro elementi
della pagina, producendo un miglioramento del bilanciamento, dell’equilibrio e della
simmetria. Questa ridefinizione del layout ha sfruttato una griglia di impaginazione con un
modulo base quadrato di base 20 pixel che ha consentito di ancorare in modo regolare e
incrementale gli elementi della pagina.
Nelle figure 5.1 e 5.2 sono mostrati i layout e una loro rappresentazione schematica rispetto
agli assi di simmetria, prima e dopo gli interventi.
Poiché i miglioramenti quantitativi delle misure sono evidenti ed è immediato percepirli,
non si è proceduto all’applicazione delle formule calcolando i valori matematici.
79
a1
y1
x1
x2
x4
a2
a3
y2
x3
y3
a5
a4
y4
y5
x5
Figura 5.1. Versione attuale della Home page del Dipartimento di Informatica e relativa rappresentazione
schematica rispetto agli assi di simmetria.
80
a1
y1
x1
x2
a2
a3
y2
y3
x4
x3
a4
a5
y4
y5
x5
Figura 5.2. Redesign della Home page del Dipartimento di Informatica e relativa rappresentazione schematica
rispetto agli assi di simmetria.
81
Si è voluto sottoporre ad un esperimento il nuovo layout per verificarne l’effettivo
miglioramento dell’estetica e quindi la bontà del modello quantitativo considerato. Condotto in condizioni controllate l’esperimento è consistito nel far valutare ad un campione di 23
soggetti, studenti dell’ultimo anno dell’istituto professionale (indirizzo pubblicità) “Gorjux”
di Bari, l’estetica dei due layout. Il campione, come è possibile rilevare nel prossimo
paragrafo, appartiene agli stakeholder utenti del sito.
L’interfaccia originaria e quella modificata sono state mostrate su un pc, identico per ogni
partecipante, e non sono stati imposti limiti di tempo per dichiarare la propria preferenza.
I risultati hanno mostrato, confermando quelli ottenuti da Ngo, Samsudin, Abdullah,
l’importanza dell’estetica ed in particolare dei cinque princìpi adottati nel redesign
dell’interfaccia. I partecipanti all’esperimento hanno preferito l’interfaccia che esibiva
valori migliori per le misure dell’estetica. I risultati, mostrati in figura 5.3, evidenziano in
maniera netta, 19 dei 23 partecipanti quindi l’82,6%, le preferenze per il layout estetico.
25
Studenti
20
19
15
10
4
5
0
principi applicati
principi non applicati
Figura 5.3. Percezione delle misure dell’estetica da parte del campione.
82
5.2 Parte Seconda. Valutazione e redesign
La seconda parte dello studio è consistita nella valutazione del sito del Dib.
Per effettuare tale valutazione è stato adottato il modello multidimensionale, proposto da
Polillo (2004), illustrato nel capitolo tre. Oltre allo studio di valutazione, finalizzato ad
indicare eventuali problemi riscontrati, è stato proposto un possibile redesign. Questo progetto di redesign, evidentemente guidato dai risultati della valutazione, non è consistito nel
semplice miglioramento delle misure quantitative dell’estetica. Un’interfaccia completamente nuova, anche nei colori, nella regole di messa in pagina e nell’utilizzo del lettering,
ha dato forma ad una nuova navigazione e ad una riorganizzazione dei contenuti. È
presentato, altresì, un progetto di nuovo logo (presentato in fondo al capitolo), che prospetta
un sistema segnico rinnovato.
La valutazione
Prima di procedere con la valutazione del sito www.di.uniba.it, non disponendo della
documentazione relativa all’analisi dei requisiti e degli utenti, sono stati individuati quelli
che generalmente e ragionevolmente sono gli obiettivi e i principali utenti ai quali si rivolge
un’istituzione universitaria.
Requisiti generali del sito
Il sito del dipartimento ha i seguenti obiettivi:
-
presentare il dipartimento, la sua faculty, le attività di ricerca, i servizi offerti
-
presentare il tipo di offerta formativa, le caratteristiche di ogni corso e le prospettive
professionali allo scopo di orientare
-
consentire ai docenti di inserire informazioni e materiale didattico relativo ai corsi da
loro tenuti
-
consentire agli studenti di raccogliere tutte le informazioni sulle attività didattiche e la
fruizione dei servizi erogati del dipartimento.
-
consentire agli studenti di effettuare un insieme di operazioni, come acquisire materiale
didattico, prenotare esami, prenotare l’utilizzo dei laboratori
-
consentire alle aziende di accedere ad informazioni sui progetti di ricerca e ai giovani
laureati
83
Quindi si rivolge essenzialmente ai seguenti utenti (figura 5.4):
-
Studenti
-
Studenti potenziali
-
Docenti
-
Dottorandi e assegnisti di ricerca
-
Personale non docente e amministrativo
-
Aziende
-
Laureati
Utenti
Studenti
Studenti
potenziali
Docenti
Dottorandi
Personale
e assegnisti non docente
di ricerca
e amministr.
Aziende
Laureati
Figura 5.4. Stakeholder utenti per il sito del Dib.
Obiettivi della valutazione
Il check up effettuato ha preso in considerazione tutte le parti del sito eccetto l’area riservata
docenti. Gli sforzi della valutazione sono stati volti essenzialmente all’individuazione delle
principali aree di intervento, trascurando alcuni aspetti ad un maggiore livello di approfondimento.
L’architettura
L’architettura rappresenta, dopo la definizione degli obiettivi, il primo fondamentale passo
nella costruzione di un sito web. È proprio l’architettura a “guidare” il visual concept.
Quest’ultimo non può prescindere dall’organizzazione dei contenuti e dalle modalità di navigazione. In realtà, architettura, navigazione, usabilità e visual design sono componenti
strettamente collegate e dipendenti, tutte necessarie per la costruzione della user-experience.
Analizzare l’architettura significa esaminare l’organizzazione delle parti e delle pagine che
costituiscono un sito, vale a dire la struttura del sito e le modalità di navigazione ossia le
possibilità di accesso alle varie informazioni offerte. Un’architettura, per poter essere efficiente, dovrà essere coerente con gli scopi del sito ed utilizzare una categorizzazione delle
informazioni adeguata a tali scopi.
84
Per quanto concerne la struttura, la più diffusa nei siti web è quella gerarchica: da una home
page, è possibile raggiungere le pagine di secondo livello e da queste le pagine di terzo
livello e così via. La struttura gerarchica è efficacemente rappresentabile attraverso un diagramma ad albero. Spesso il sito non presenta una struttura gerarchica pura, ma si utilizzano
scorciatoie per determinate pagine del sito che si desidera referenziare in modi differenti.
Analogamente, anche se meno frequentemente, possono essere utilizzati tour guidati, ovvero sequenze di pagine da scorrere in sequenza; questa modalità può essere utile quando si
desidera che il visitatore fruisca un contenuto distibuito su più pagine per intero, ad esempio
può essere usato per una serie di immagini in sequenza, va detto che tale modalità è più
adatta a prodotti ipermediali a carattere didattico in cui assume senso l’erogazione di un
contenuto nella sua completezza.
La struttura di un sito può convenientemente essere rappresentata attraverso una mappa.
Una mappa consente all’utente di avere una visione di quella che è la struttura del sito, ha
una funzione simile a quella che ha l’indice in un libro e consente di raggiungere velocemente la sezione cercata.
Il sito del Dib non fornisce una mappa del sito. Per costruire un diagramma della struttura
del sito è stato necessario ripercorrere, a partire dalla home page, tutte le strade. Il primo
diagramma ottenuto è rappresentato in figura 5.5.
Link esterno
uniba.it
Home
English
Dichiaraz di
accessibilità
Il Dib
Personale
Servizi
Offerta
formativa
Organizzazione
Area
riservata
person. Dib
Ricerca
Attività
Cos’è
Professori
ordinari
laboratori
didattici (Silad)
Lauree
Direttore
Login
Laboratori di
ricerca
Congressi e
Workshop
Come
raggiungerlo
Professori
associati
Laboratorio
Manuzio
Dottorato di
ricerca
Segretario
amministrativo
Situazione
aule odierna
(C.I.L.A.)
Seminari
Professori
stabilizzati
Biblioteca
Certificazione
ECDL
Giunta
Ricercatori
Isola didattica
Certificazione
EUCIP
Consiglio
Assegnisti
di ricerca
Isola didattica
per disabili
Premi di
studio
Dottorandi
Tecnici e
amministrativi
Figura 5.5. Diagramma dei primi livelli di navigazione del sito del Dib.
85
Questo diagramma mostra quelli che possono essere considerati i primi due livelli gerarchici del sito del Dib. In realtà le voci di secondo livello sono tutte esposte in home page.
Attraverso una modalità simile ad un menù, tali pagine sono raggiungibili con un click.
Questa struttura e questa modalità di accesso potrebbe essere considerata coerente con gli
obiettivi del sito.
Le difficoltà sorgono quando accediamo ad una qualsiasi delle pagine di secondo livello.
Inoltre, si scopre che il link “Lauree” conduce in quello che viene considerato il minisito
“Corsi di studio”, questo nuovo ambiente viene sì comunicato attraverso un variazione
cromatica ma presenta inconsistenze e modalità di navigazione difficilmente predicibili. In
questa sezione viene riproposta la modalità della home page, attraverso voci di menù si può
accedere alle pagine di secondo livello. Riportiamo il diagramma (figura 5.6) di quella che
viene etichettata “Home corsi di studio”.
Home
Link esterno
uniba.it
Informatica
Informazioni
comuni
Cos’è
l’informatica
Bacheca
ultime novità
Quando nasce
a Bari
Seminari con
CFU
Sbocchi
professionali
Offerta di
stage
Lauree
triennali
Home
Corsi di studio
In informatica
Laurea
specialistica
Certificazio
ni
Dichiaraz di
accessibilità
Dottorato
Corsi di
studio
disattivati
Area
riservata
studenti
Tutorato
Studiare
all’estero
Msdn academic
alliance
Isola didattica
disabili al Dib
Isola didattica
disabili al Dib
Laboratori
didattici al Dib
Modulistica
Figura 5.6. Diagramma “Home corsi di studio”.
86
Il diagramma mostra il secondo livello solo per le voci “Informatica?” e “Informazioni
comuni” che sono raggiungibili anche quando accediamo alle pagine di secondo livello di
“Lauree” e “Lauree specialistiche”.
Rimandiamo al paragrafo della valutazione dell’usabilità la discussione di quelli che a mio
avviso sono i problemi incontrati. Operiamo questa scelta in quanto le problematiche
dell’architettura riverberano, evidentemente, sull’usabilità.
Per quanto la strutturazione dell’informazione possa essere considerata plausibile, un
sistema di navigazione inappropriato rende di difficile comprensione la stessa struttura.
Struttura e navigazione possono essere considerate due componenti che concorrono al
raggiungimento di un unico intento, fornire modalità “logiche” per la fruizione dell’informazione. Risulta evidente come questo risulti strettamente legato al concetto di usabilità.
Comunicazione
La home page di un sito riveste una grande importanza, poiché in breve tempo deve essere
in grado di far comprendere all’utente lo scopo del sito. Infatti studi empirici hanno
mostrato che nella navigazione il tempo di permanenza è molto breve e raramente si
analizzano con attenzione le informazioni presenti o le pagine interne.
La home del Dib mostra chiaramente nell’intestazione la dicitura “Dipartimento di
informatica”, l’appartenenza all’Università di Bari viene comunicata dalla presenza del logo
in alto sinistra.
Inoltre, anche se, come mostrato nell’esperimento condotto in precedenza, si potrebbero
migliorare le misure dell’estetica, i contenuti di primo livello sono facilmente percepibili.
Il logo del Dib, però, risulta poco leggibile. L’acronimo, sganciato dalla sua specifica, può
risultare non facilmente decodificabile. Il segno grafico, inoltre, risulta incerto e non in
grado di comunicare identità. In fondo al capitolo è proposto il nuovo logo del Dib.
La grafica delle pagine interne del sito mostra l’assenza di un progetto, non sono soddisfatti
i concetti di ordine e complessità. La dimensione visuale non riesce né ad attrarre per la sua
componente “espressiva” né utilizza quella “classica” per facilitare la consultazione dei
contenuti.
87
Funzionalità
Il sito non dispone di una funzione di ricerca informazioni. È possibile, tuttavia, cercare
docenti e laureati. La ricerca dei laureati ha mostrato, però, di essere non soddisfacente.
Infatti non produce risultati se non si conosce il titolo della tesi. Sarebbe significativo
mostrare tutti i laureati di una data sessione di laurea, indipendentemente dal titolo della
tesi. È ragionevole supporre che nessuno, oltre il laureando, conosca il titolo.
Le altre funzionalità sono segmentate per l’utente docente e quello studente nelle rispettive
aree riservate. Abbiamo potuto verificare solo le funzionalità dello studente che consentono
unicamente la prenotazione di esami. L’interfaccia nonostante l’esiguità dei task disponibili
mostra problemi di usabilità che sono dettagliati nel paragrafo sulla valutazione dell’usabilità.
Contenuto
La classificazione dell’informazione ha un’organizzazine basata sui contenuti. Il labelling
risulta generalmente sufficientemente chiaro. In alcuni casi, tuttavia, potrebbe essere
migliorato. “Informatica?” questa voce ad esempio lascia perplessi. Il testo è costellato di
link e sfrutta le caratteristiche dell’ipertestualità. Tuttavia, spesso il testo risulta difficile da
leggere, ma il problema, come già evidenziato, risiede in un’impaginazione confusa e in una
navigazione che non supporta la strutturazione dei contenuti e non nei contenuti stessi.
Colonne troppo larghe che arrivano sino al bordo senza margine e lunghi scrolling non
aiutano un naturale scanning visivo.
L’informazione sembra essere completa ed è costantemente aggiornata.
Gestione
La valutazione della gestione effettuata è evidentemente riferita esclusivamente ad una visibilità e ad un monitoraggio da utenti. Questo tipo di valutazione ha mostrato un sito sempre
attivo e disponibile ad accessi in diversi orari, non avendo sperimentato interruzioni al
servizio per attività di manutenzione non siamo in grado di riferire sulla qualità della
comunicazione di tali interruzioni agli utenti attraverso opportuni messaggi. Analogamente
non abbiamo dati sul monitoraggio degli accessi e sulla tipologia del profilo degli utenti.
L’aggiornamento, aspetto importante, è costante e puntuale e non è stata riscontrata l’esistenza di broken link. Inoltre le relazioni con i docenti sono più che soddisfacenti, tutti i
docenti interpellati per e-mail hanno prontamente risposto. Quindi possiamo concludere che
il sito del Dib è ben gestito dal punto di osservazione dell’utente.
88
Accessibilità
“La capacità dei sistemi informatici, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze
tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche
da coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistite o configurazioni
particolari”, è la definizione di accessibilità della “Legge Stanca” che contiene le disposizioni per consentire la fruibilità dei servizi web ai soggetti disabili.
Il Wai (Web Accessibility Initiative) ha emesso 14 linee guida, disponibili su
www.w3c.org/WAI/ e tre livelli (A, AA, AAA) di conformità a tali linee guida. L’idea di
base, per consentire a utenti con handicap di tipo diverso – visivi, uditivi, motori, cognitivi
– una normale fruizione è quella di separare lo stile dai contenuti consentendo a dispositivi
speciali (browser che codificano il significato e non l’impaginazione) di decodificare il
contenuto.
Polillo (2004) nel suo modello considera l’accessibilità in un significato più ampio comprendendo altri parametri quali i tempi di accesso, la facilità nel trovarlo e la compatibilità
con diversi sistemi operativi e browser.
Il sito del Dib mostra di soddisfare tutti questi requisiti ed è conforme alle linee guida del
W3C.
89
Usabilità
La valutazione dell’usabilità non è stata effettuata attraverso specifici test eseguiti da utenti
campione, ma ho personalmente analizzato il sito con un “walktrough”. La navigazione mi
ha consentito di rilevare le seguenti problematiche:
•
Pagine di secondo livello
Le pagine di secondo livello (peraltro non tutte, ad esempio “dottorato”, certificazione
“ECDL” e “cila”) presentano una barra di navigazione superiore (figura 5.8) che dovrebbe
consentire l’accesso alle pagine di primo livello (figura 5.7). Questa barra contiene voci di
primo livello (“Personale”, “Organizzazione”, “Laboratori di ricerca”) e una selezione
arbitraria di alcune di secondo livello (“Laboratori didattici”, “Biblioteca”, “Isola didattica”,
“Isola didattica disabili”). Inoltre compare la label “Home corsi di studio”, in home page è
denominata “Offerta formativa”.
Home
Il Dib
Personale
Servizi
Offerta
formativa
Organizzazione
Area
riservata
person. Dib
Ricerca
Attività
Figura 5.7. Navigazione di primo livello.
Home
Personale
Organizzazi
one
Laboratori
di ricerca
Link esterno
ww.uniba.it
Professori
ordinari
Professori
associati
Laboratori
didattici
Biblioteca
Personale
Professori
stabilizzati
Ricercatori
Isola
didattica
Isola
didattica
disabili
Home corsi
di studio
Home
Assegnisti
di ricerca
Dottorandi
Tecnici e
amministrativi
Figura 5.8. Secondo livello. Il menu della navigazione di primo livello non coincide con quello in home page.
90
•
Navigazione tra le pagine di secondo livello
In realtà le pagine di secondo livello, sono inserite in sequenza in un’unica pagina che
costringe l’utente ad un continuo scroll per navigare tra le pagine “sorelle”. Peraltro questa
modalità, per accessi a contenuti che non sono in testa, ad esempio “dottorandi” (figura 5.9)
non consente di visualizzare la navigazione e gli elementi di riferimento per la posizione.
Si noti che anche questo aspetto negativo è riscontrabile con delle eccezioni, quindi ci sono
inconstistenze anche negli aspetti problematici. Infatti “DibåCos’è” e “DibåCome
raggiungerlo” sono due pagine diverse.
Figura 5.9. A sinistra la pagina “Personale” a destra “Personale å Dottorandi”
•
C.I.L.A.
Il Centro interdipartimentale di logica e applicazioni (C.I.L.A.) conduce inaspettatamente e
ingiustificatamente in un ambiente diverso (figura 5.10). L’eventuale esigenza di un sito
dedicato andrebbe gestita in modo diverso.
Figura 5.10. La pagina “Laboratori di ricerca å C.I.L.A.”
91
•
Dottorato
La pagina “dottorato” (figura 5.11), non mutua le caratteristiche di altre pagine (ad esempio
l’intestazione “Dipartimento di Informatica” è scomparsa).
Inoltre questa pagina dovrebbe appartenere al minisito “Corsi di studio in informatica” di
cui parlo in seguito, ma non conserva nemmeno le caratteristiche di quest’ultimo. Si noti
che la pagina appartiene a due percorsi gerarchici diversi:
homeåofferta formativaådottorato e homeålaureeådottorato. Questo succede, come
vedremo avanti perché lauree conduce in offerta formativa che è chiamata però home corsi
di studio.
Figura 5.11. La pagina “Dottorato”. A quale sezione/sito appartiene?
•
“Certificazione ECDL” e “Certificazione EUCIP”
La prima conduce ad un sito esterno, la seconda (figura 5.12) contiene contenuti su
entrambe le certificazioni.
Figura 5.12. La pagina “Certificazione EUCIP”.
92
•
Il sito “Corsi di studio in informatica”
Si accede inaspettatamente cliccando sulla voce di secondo livello “Lauree” del menù di
primo livello “Offerta formativa” (figura 5.13). Ignorando questa inconsistenza che rende
incomprensibile la sua integrazione nella struttura generale, incontriamo una “Home corsi
di studio in informatica” che mette a dura prova, così come tutta questa sezione del sito, le
capacità cognitive degli utenti. Riferimenti visivi, testuali, strutturali e navigazionali del
tutto arbitrari, ripetute inconsistenze, comparsa di simboli incomprensibili rendono difficoltosa la consultazione e la fruizione dei contenuti.
Figura 5.13. La Home “Corsi di studio in informatica”. Si raggiunge da “Offerta formativaåLauree”
Il logo Dib è spostato sulla sinistra, accanto a quello dell’Università di Bari (la contiguità fa
sì che i due logo siano percepiti come un’unica unità di senso). Quest’ultimo è probabilmente una versione precedente ad un restyling, in ogni modo diverso da quello utilizzato in
home page. Sulla destra compare una nuova componente iconica (segno grafico approssimativo non in grado di veicolare informazione) che funge da logo del sito “Corsi di studio
in informatica”.
Un link “Offerta formativa in Informatica” stesso labelling della voce di primo livello in
home page conduce ad una pagina che contiene i contenuti che dovrebbero essere presenti
in questa pagina. La pagina presenta inoltre una variazione cromatica, che potrebbe essere
accettata, laddove si intenda prospettare un nuovo sito; tuttavia alcuni parti di questo
supposto sito riportano alla dimensione visuale del sito genitore, ad esempio la pagina
“Dottorato” mostrata in precedenza.
93
•
Area riservata studenti
Mostriamo due pagine dell’area riservata studenti (figura 5.14). Nel primo, maschera di
accesso per l’inserimento dei dati personali fa la comparsa un’ulteriore bottone per il ritorno
in home page. Si dà per scontato che la home page sia quella del sito “Corsi di studio in
informatica”. Si noti, peraltro, che la stessa funzione è svolta dall’icona in alto a destra che,
almeno esplicita la destinazione.
Questa inutile ulteriore possibilità di ritorno in home page, in altre pagine non è rappresentata attraverso l’utilizzo di un’icona ma con un link ipertestuale (figura 5.15).
Nel secondo, pagina personale, vi è un’etichetta “menu servizi” che precede il nome dello
studente. Il menu, che compare nella parte inferiore del layout, è chiamato questa volta
servizi disponibili. Peraltro è possibile solo prenotare gli esami.
Figura 5.14. Area riservata studenti. Maschera per il login e pagina personale.
Figura 5.15. Pagina homeåhome corsi di studioåbacheca. Link ipertestuale alla home page.
94
Ulteriori inconsistenze nel labelling, nella navigazione e nella grafica simili a quelle già
mostrate sono riscontrabili ad un livello meno macroscopico. Ritengo inutile elencarle tutte.
Riporto, invece, in ultimo, il problema riscontrato nell’effettuazione di uno specifico task.
•
Ricerca laureati
La ricerca laureati (figura 5.15) non produce risultati, se non conoscendo il titolo della tesi.
Figura 5.15. Ricerca laureati: non vengono restituiti risultati.
95
Sintesi della valutazione
Attraverso un grafico di Kiviat (figura 5.16) sintetizziamo visualmente i risultati della valutazione.
Tempi di accesso più che soddisfacenti, indipendenza da browser soddisfatta e conformità
alle linee guida del W3C testimoniano una buona accessibilità. Analogamente, la gestione è
ottima, infatti il sito è sempre disponibile, l’aggiornamento dei contenuti avviene costantemente e la relazione con gli utenti è ben presidiata.
I contenuti di interesse per gli utenti del sito sono presenti. La loro categorizzazione è plausibile anche se il labelling andrebbe rivisto in alcuni casi.
La struttura, non esente da imperfezioni, potrebbe essere considerata coerente con gli obiettivi del sito. Tuttavia, a causa di una navigazione imperfetta, con innumerevoli inconsistenze, la comprensione della struttura risulta difficile. Problematica anche l’integrazione nella
struttura generale della sezione “Offerta formativa” altrimenti detta “Corsi di studio in
informatica”. Manca inoltre una mappa del sito.
Anche la comunicazione registra diverse problematiche. Nonostante la home page risulti
sufficientemente chiara, senza peraltro attrarre, l’assenza di un’identità visiva e di un progetto grafico rendono il sito anonimo, non in grado veicolare gli aspetti di innovazione
tecnologica che contraddistinguono la sua offerta formativa.
Gli aspetti negativi nella navigazione e nella dimensione visuale riverberano pesantemente
sull’usabilità. Comprendere la struttura, leggere i contenuti, muoversi tra le pagine risulta
disagevole e con un livello di soddisfazione molto basso.
Legenda
0: pessimo
1: insufficiente
2: sufficiente
3: buono
4: ottimo
Figura 5.16. Grafico di Kiviat per il sito del Dib.
96
Il progetto di redesign
Il progetto di redesign del sito del Dib non ha potuto beneficiare dell’apporto di dati emersi
da tecniche quali i focus group, o altre forme di elicitazione. Per orientare il progetto sono
stati utilizzati, esclusivamente, i dati della valutazione compiuta attraverso il walktrough
cognitivo. Il progetto proposto tenta di porre rimedio agli aspetti individuati essere i punti
deboli, quindi, prospetta una nuova modalità di navigazione e di accesso ai contenuti, opera
alcune scelte sul labelling e presenta una nuova interfaccia grafica.
Prima di procedere nella progettazione dell'interfaccia e dell'interazione è stata effettuata
una ricerca per individuare le best practices dell’“università on line”.
Gli obiettivi primari sono stati:
•
•
eliminare tutte le inconsistenze visive e funzionali riscontrate
•
zioni, integrando il sito “Corsi di studio” nell’ambiente principale
fornire una struttura di navigazione che consentisse un miglior accesso alle informa-
ridefinire l’interfaccia grafica, in modo da supportare la nuova navigazione, secondo
regole strutturali precise che ne governassero le relazioni tra le parti, facendo propria la
dimensione estetica per risultare più attraente.
Design layout
Una struttura gerarchica definisce la navigazione tra le sezioni del sito. Al primo livello
(navigazione globale), sempre raggiungibile, si è conservata la vecchia classificazione.
L’unica cambiamento è stato lo spostamento dell’item “Organizzazione” al secondo livello,
nella sezione “Il Dib”.
Altri spostamenti e variazioni nel labelling hanno interessato voci di secondo livello:
•
•
•
l’item “Premi di studio”, prima presente nella sezione “Attività”, è stato spostato in
“Offerta formativa”
“Presentazione” ha sostituito “Cos’e” al secondo livello della sezione “Il Dib”
“L’informatica” è stato preferito a “Informatica?” in “Offerta formativa”.
Il flow-chart in figura 5.17 mostra i primi due livelli di navigazione. Si noti l’inserimento di
un motore di ricerca e di una mappa del sito. Tra i tools, la voce login consente l’accesso
alle diverse aree riservate (docenti, studenti, personale tecnico aministrativo). Si è preferito
aumentare la complessità funzionale degli accessi unendoli sotto la stessa voce. Tale accesso è consentito da tutte le pagine del sito.
97
Tools
News
Bacheca
Accessibilità
Cross
Link
Mappa
Cerca
Login
Home
Il Dib
Personale
Servizi
Offerta
formativa
Ricerca
Attività
Presentazione
Professori
ordinari
laboratori
didattici (Silad)
L’informatica
Laboratori di
ricerca
Congressi e
Workshop
Organizzazione
Professori
associati
Laboratorio
Manuzio
Lauree
triennali
(C.I.L.A.)
Seminari
Come
raggiungerlo
Professori
stabilizzati
Biblioteca
Lauree
specialistiche
Contatti
Ricercatori
Isola didattica
Dottorato
Assegnisti
di ricerca
Isola didattica
per disabili
Certificazioni
Dottorandi
Corsi di studio
disattivati
Tecnici e
amministrativi
Seminari con
CFU
Premi di studio
Offerte di stage
Tutorato
Studiare
all’estero
MSDN
Figura 5.17. Flow chart dei primi due livelli.
Si è introdotta la sezione news. Le news possono evidenziare contenuti di altre parti del sito
oppure eventi rilevanti del mondo dell’information technology. La home page è stata strutturata dando ampio rilievo, nella configurazione visiva, a tale sezione.
Sono presenti in home page anche gli avvisi più recenti della bacheca e un insieme di link
trasversali per un accesso veloce ad informazioni - quali orari, date degli appelli, offerte di
stage - di interesse per lo studente. Questi link, accedendo ad informazioni time sensitive,
dovrebbero essere cambiati nel corso dell’anno. In estate non ci sono lezioni.
La parte inferiore della pagina, infine, è stata riservata ad un “claim” che, mutuando il
linguaggio della comunicazione pubblicitaria, sottolinea le caratteristiche e i plus dell’offerta formativa proposta (la figura 5.20 mostra un wireframe ad alta fedeltà della home page).
98
L’home page strutturata in questo modo risulta modulabile e ridefinibile nel tempo. Eventuali variazioni non intaccherebbero la struttura generale.
Al secondo livello, un menù di navigazione locale posto sulla sinistra consente l’accesso ai
contenuti. Ssulla destra è stato introdotto un menù di navigazione contestuale in grado di
fornire ulteriore informazione attinente i contenuti raggiunti oppure l’accesso e la possibilità
di fare il download di documenti e modulistica utili in quel determinato contesto (la figura
5.21 mostra un wireframe di una pagina tipo).
Lo sforzo maggiore è stato richiesto dall’integrazione del sito “Corsi di studio” nella
struttura del sito. Un’ulteriore navigazione locale all’entità corsi di laurea ha consentito tale
integrazione (figura 5.22). La modalità progettata ha permesso una facile navigazione tra le
informazioni relative i singoli corsi di laurea. Si è riusciti, peraltro, ad ottenere una
circolarità dell’informazione associando, ad esempio, piani di studio a schede insegnamento
e schede docente (la figura 5.18 mostra la struttura della scheda corso di laurea).
L’utilizzo della cosiddetta tecnica “bread-crumbs” fornisce ulteriore supporto alla navigazione. In alcuni casi addirittura ridondante, ma utile nei livelli gerarchici più profondi dell’entità offerta formativa, fornisce una migliore comprensione del percorso seguito e consente di “saltare” al livello gerarchico preferito.
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Appelli 04/05
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Area iterativa
Figura 5.18. Struttura della scheda corso di laurea.
99
Visual concept
Per quanto riguarda gli aspetti più strettamente legati al visual design, la messa in pagina è
regolata da una gabbia di impaginazione (figura 5.19) rigorosa che utilizza un modulo quadrato di base 150 pixel e suoi sottomultipli per strutturare le pagine.
I codici colore utilizzati sfruttano variazioni di tonalità fredde. Tali tonalità, che fluttuano
dal blu al grigio, appaiono spesso indefinite, rimandando all’impalpabilità della dimensione
tecnologica. Un arancio poco saturo utilizzato per fornire un immediato feedback di orientamento per l’utente, contrasta con le tonalità dominanti e riesce a scongiurare il rischio di
un’ipotetica monotonia. Uno stile sobrio e rigoroso tuttavia conferisce serietà e comunica
chiaramente i contenuti del sito. Gli story board esemplificativi dell’interfaccia grafica sono
presentati nelle figure 5.23-5.27.
100
Figura 5.19. La gabbia di impaginazione.
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in ICD. Sistemi Operativi (Prof.
Dimauro). Inizio lezioni
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3 LAUREE DI PRIMO LIVELLO, 5 INDIRIZZI SPECIALISTICI, INFINITE OPPORTUNITA'
Figura 5.20. Wireframe della home page.
101
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Il Dipartimento di Informatica č nato nel 1984, inizialmente come Istituto
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docenti dell'area elettronica, cibernetica e informatica, che aveva avviato
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nel 1970 un indirizzo di studi (secondo corso in Italia dopo Pisa nel 1969)
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denominato Corso di Laurea in Scienze dell'Informazione.
Artificial Intelligence & Expert
Systems - Bari, Italy, dal 22-06-
Obiettivo delle attivitą di ricerca applicata, sviluppo e trasferimento di
2005 al 25-06-2005.
tecnologie del Dipartimento di Informatica dell'Universitą degli Studi di
Bari č il sostegno al processo di passaggio dalla odierna realtą verso la
societą dell'Informazione e delle Comunicazioni.
Le azioni strategiche nel breve-medio periodo sono mirate al recupero
dell'efficienza e dell'efficacia degli strumenti di sostegno alla ricerca
scientifica, attraverso la valorizzazione dei risultati.
Sono azioni volte a rafforzare la ricerca di base ed applicata in
Informatica e hanno la finalitą di stimolare la ricaduta di tali studi nella
Figura 5.21. Wireframe di una pagina tipo.
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vari settori dell’informatica e della comunicazione mirate al loro utilizzo nella
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progettazione, sviluppo e gestione di sistemi informatici e multimediali, con
riguardo ad una vasta gamma di domini di applicazione ed in particolare ai
Figura 5.22. Wireframe delle pagine corso di laurea.
102
Figura 5.23. Story board della home page.
103
Figura 5.24. Story board di una pagina tipo.
104
Figura 5.25. Story board Ricerca å Laboratori di ricerca.
105
Figura 5.26. Story board Corso di laurea å Insegnamenti å Anno/Semestre.
106
Figura 5.27. Story board Scheda professori.
107
Il logo
Il logo del Dib presentato è stato progettato e realizzato operando delle lievi modificazioni
sui caratteri che lo compongono.
La lettera "i" è stata sostituita dal numero "uno" al quale è visivamente contiguo. Inoltre é
stato aggiunto un punto e virgola. Queste modificazioni riescono ad attribuire una variabilità di significato al segno proposto. Tali significati rimandano a concetti, simboli e
convenzioni riconducibili al linguaggio dell'information technology.
Infatti la configurazione emersa può significare una stringa alfabumerica. Utilizza l'uno che
sappiamo essere uno dei due simboli del linguaggio binario. Il punto e virgola, infine, può
essere decodificato in due modi: è utilizzato dalla gran parte dei linguaggi di programmazione come simbolo di fine istruzione, ma è anche uno dei simboli (detti emoticons)
della nuova forma linguistica che si è affermata nella comunicazione mediata dal computer.
Significa "fare l'occhiolino".
Dunque, un'istituzione universitaria "amiccante" in grado di parlare un linguaggio moderno
e di proporre una formazione in linea con gli intenti e le ambizioni degli studenti.
Bisogna sottolineare come il simbolo prodotto, nonostante utilizzi solo elementi tipografici,
riesca ad assurgere ad elemento iconico.
Per quanto riguarda gli aspetti tipografici, la specifica dell'acronimo è stata composta in
minuscolo con il carattere di stampa "Garamond", le lettere del logo sono frutto di elaborazioni sui caratteri di stampa "Din" e "Ocr".
108
Conclusioni
Il percorso effettuato mostra chiaramente l’importanza dell’estetica nella progettazione di
artefatti tecnologici. Abbiamo visto che l’estetica può influenzare la percezione della
facilità d’uso da parte dell’utente, migliorare le prestazioni nell’uso di un determinato
sistema, ma soprattutto risultare determinante nelle decisioni d’acquisto. La prospettiva di
oggetti “presenti” nella nostra vita, espressione della nostra personalità, impone una
ridefinizione del concetto stesso di usabilità. Criteri quantitativi quali efficienza, semplicità
d’uso e facilità d’apprendimento potrebbero non essere sufficienti ad assicurare un’esperienza ricca e appagante. La creazione di una tecnologia centrata sull’utente ha bisogno di
esplorare strategie progettuali che producano nuove apparenze e nuove modalità interattive.
Il vuoto teorico che ha caratterizzato la ricerca nell’interazione uomo-macchina ha dunque
bisogno di essere colmato. Tuttavia, si registrano segnali di inversione di tendenza, alcuni
studi riportati in questo lavoro, che non sono certamente gli unici, lo testimoniano.
Permangono, indubbiamente, difficoltà legate alla difficoltà della misurazione. Il modello
computazionale di Ngo rappresenta un primo passo in questa direzione, tuttavia, come detto
in precedenza, tale modello considerando solo un sottoinsieme delle variabili importanti,
risulta parziale e non in grado di descrivere in tutte le sfumature un parametro complesso e
multidimensionale quale è l’estetica.
Riteniamo di poter affermare che la necessità di uno sviluppo centrato sull’utente (così
come lo abbiamo descritto), i nuovi scenari che consentono un’interazione continua, la
ridefinizione della socialità e delle modalità comunicative attribuiscono un valore centrale
alla figura del designer nel suo “ruolo di mediatore fra i reali bisogni dell’utente e l’offerta
tecnologica” (Rojbas 2002).
Tra i suoi compiti quello di utilizzare e orientare le affordances dei diversi dispositivi
tecnologici per soddisfare i bisogni degli utenti. Inoltre, deve adattare adeguatamente
contenuti e servizi alle caratteristiche dei diversi dispositivi in modo da preservarne le
peculiarità. Questo tipo di apporto ha delle affinità e delle analogie con le strategie e le logi-
109
che che sottendono i sistemi segnici ai quali è deputato il compito di veicolare le identità
aziendali.
Delineato in questi termini, il ruolo del designer non può limitarsi a migliorare i parametri
quantitativi dell’usabilità, ma nemmeno un’attenzione all’estetica dell’interfaccia potrebbe
essere sufficiente, il risultato del suo apporto deve eccedere la somma di queste componenti.
La ricerca futura ha, dunque, il compito di prendere atto della necessità di integrare
l’estetica negli studi sull’interazione uomo-macchina che devono essere indirizzati sempre
più alla comprensione degli aspetti intangibili che qualificano l’esperienza dell’utente
nell’interazione con un artefatto tecnologico.
Nuovi concept, servizi innovativi, “forme” imprevedibili e sofisticate in grado di affascinare, sedurre e anticipare i bisogni di un utente evoluto sono necessari allo sviluppo tecnologico perché quest’ultimo possa concorrere allo sviluppo sociale.
110
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