ELENA RICCIO - CARLO VERRI
Siciliani al fronte
Lettere dalla Grande Guerra
PASSAGGI DI TEMPO
saggi di storia moderna e contemporanea
Comitato scientifico: Giulia Albanese, Tommaso Baris (co-direttore), Antonino
Blando, Michele Colucci, Matteo Di Figlia (co-direttore), Giovanna Fiume, Valeria
Galimi, Salvatore Lupo, Arturo Marzano.
Elena Riccio - Carlo Verri
Siciliani al fronte. Lettere dalla Grande Guerra
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In copertina:
Mazze usate dall’Esercito Austro-Ungarico per finire i feriti al fronte italiano
fotolitografia, cm 30x41, 1917
Biblioteca Universitaria Alessandrina - Fondo Guerra A.XXX.III.II.6
su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
Divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo.
ISBN 978-88-96251-62-1
Riccio, Elena <1991->
Siciliani al fronte : lettere dalla Grande Guerra / Elena Riccio, Carlo Verri. –
Palermo : Istituto poligrafico europeo, 2017.
ISBN 978-88-96251-62-1
1. Guerra Mondiale 1914-1918 – Partecipazione [dei] Soldati siciliani – Lettere.
I. Verri, Carlo <1979->.
940.481458 CDD-23
SBN PAL0296121
CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”
INTRODUZIONE
di Elena Riccio e Carlo Verri
«Il dolore è uno stato d’animo; la perdita una condizione. L’uno e l’altra sono mediati dal lutto, un insieme
di azioni e di gesti tramite i quali chi sopravvive esprime
la sua pena e passa per le varie fasi della privazione. [...]
La guerra fece a pezzi le famiglie [...]. Ma dopo il 1914
si registrarono anche degli sforzi per raccogliersi insieme,
allorché tanti, legati da rapporti di sangue o da vicissitudini comuni, tentarono di farsi forza l’un l’altro nel corso
del conflitto e dopo»1.
Da alcuni decenni la corrispondenza è sempre più utilizzata
come fonte in diversi ambiti d’indagine per la sua caratteristica
di trovarsi a metà tra sfera pubblica e privata2. Le lettere di siciliani dal fronte della Prima guerra mondiale, contenute nel
volume, presentano doppiamente questa collocazione, in generale in quanto testi epistolari e nel particolare per la genesi
del corpus di cui fanno parte. Le storie che le lettere3 raccontano
sono soprattutto le storie del sentire di chi le ha scritte (i mili1
J. Winter, Il lutto e la memoria. La Grande Guerra nella storia culturale europea, Il
Mulino, Bologna, 1998, p. 45.
2
Qui, per necessaria brevità, a mo’ di esemplificazione, si citano solamente i
seguenti saggi: per la storia moderna R. Bizzocchi, Cicisbei. Morale privata e identità
nazionale in Italia, Laterza, Roma-Bari, 2008; per la linguistica italiana e la storia della
lingua G. Antonelli, C. Chiummo, M. Palermo (a cura di), La cultura epistolare nell’Ottocento. Sondaggi sulle lettere del CEOD, con CD-ROM contenente i testi dei carteggi, Bulzoni, Roma, 2004; per la storia del primo Novecento E. Sereni, E. Sereni,
Politica e utopia. Lettere. 1926-1943, a cura di D. Bidussa e M. G. Meriggi, La Nuova
Italia, Milano, 2000 (per le riflessioni teoriche cfr. il saggio introduttivo D. Bidussa,
La nostalgia del futuro); C. Verri, Caro Nenni. Appunti per un epistolario di Silvio Trentin
in «Annali della Fondazione Ugo La Malfa. Storia e politica», 2009; naturalmente
per l’esemplare caso di studio delle lettere della Prima guerra mondiale cfr. i testi
citati lungo tutto il presente libro. Per il secondo Novecento italiano cfr. A. Moro,
Lettere dalla prigionia, a cura di M. Gotor, Einaudi, Torino, 2009.
3
Per comodità chiameremo qui lettere tutte le tipologie di documenti interne
al corpus, che sono descritte di seguito in Nota al testo.
V
tari), di chi le ha ricevute (i parenti e gli amici dei militari) e di
chi, nel dicembre 1917, le ha raccolte con il fine di pubblicarle
(la Società Siciliana per la Storia Patria di Palermo). Questi
documenti mostrano con particolare trasparenza uno spaccato
di come è stata vissuta e percepita la Grande Guerra da parte
di rappresentanti della cosiddetta borghesia patriottica italiana,
nelle sue due componenti generazionali di genitori e figli4, originari – tutti – di un’unica porzione di territorio nazionale: la
Sicilia. L’isola, nel triennio 1915-1918, lontana dal fronte, lascia
assai scarsa traccia di sé nel racconto della storia della Prima
guerra mondiale; nelle principali opere di sintesi di storia regionale questo epocale evento è molto poco considerato5.
Per certi aspetti e con le dovute cautele, siamo spettatori di
una circostanza in cui, all’inizio del XX secolo, il viaggio che le
letture omeriche, virgiliane, dantesche avevano descritto come
doloroso distacco torna ad essere tale. Quella tra il fronte della
Grande Guerra e la Sicilia è vissuta dagli autori dei nostri testi
come una lontananza necessaria e salvifica in nome della patria.
Questo corpus racconta i pensieri di alcuni militari di origine
siciliana che combatterono al fronte ed i cui cari, in ricordo e
in onore del loro “sacrificio”, decisero di renderne pubblica la
memoria attraverso scritti privati. Tramite la redazione di questo volume, a distanza di cento anni viene portato in parte a
compimento il progetto pensato – e mai realizzato – da colui
che nel dicembre 1917 era presidente della Società Siciliana per
la Storia Patria, Alfonso Sansone. Nelle sue intenzioni6 non era
4
Cfr. tra gli altri E. Papadia, Di padre in figlio. La generazione del 1915, Il Mulino,
Bologna, 2013.
5
M. Aymard, G. Giarrizzo (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’unità a oggi.
La Sicilia, Einaudi, Torino, 1987, non presenta alcuna parte che tratti della Prima
guerra mondiale; solo tre pagine in M. Ganci, La Sicilia contemporanea, in Storia della
Sicilia, vol. VIII, Società Editrice Storia di Napoli e del Mezzogiorno continentale e
della Sicilia, Palermo, 1977, pp. 221-223; un po’ di spazio in più in F. Renda, Storia
della Sicilia dal 1860 al 1970, vol. II. Dalla caduta della Destra al fascismo, Sellerio, Palermo, 1985, pp. 305-330.
6
Cfr. Nota al testo.
VI
certamente contemplata alcuna edizione critica, né uno studio
di carattere storico sui testi oggetto della nostra analisi; la pubblicazione da lui auspicata nasceva con l’idea di perpetrare la
memoria degli “eroici” militari siciliani attraverso la costituzione di un monumento epistolare. Dopo un secolo, questi testimoni divengono opportunità di studio.
I testi presentati e i loro temi, a differenza di ciò che aspirava ad essere il progettato volume del 1917, non sono la rappresentazione del paese in guerra né della memoria pubblica
di quell’esperienza. La collective remembrance, la memoria che si
può studiare sotto un profilo storico, è la memoria di chi ha
stabilito di rendere pubblico il proprio ricordo ed è, perciò,
una memoria necessariamente soggettiva. «Dopo l’agosto del
1914 commemorare divenne un atto civico. Ricordare aveva il
senso di riaffermare la comunità, far valere la sua tempra morale, ed escluderne valori, gruppi o individui che la mettevano
a rischio»7. Nel complesso meccanismo che avvia il processo
di generazione della memoria, gli attori principali sono distinguibili in due comunità, che in parte si sovrappongono: la comunità dei vettori della memoria e quella dei soggetti riceventi
il ricordo che, spesso, ne rendono pubblica la fruizione. Nel
nostro caso la prima comunità è composta da soggetti che promuovono la diffusione del ricordo attraverso azioni psicologiche dinamiche di recupero di quest’ultimo: i soggetti che
veicolano la memoria sono coloro i quali partecipano direttamente al conflitto e i familiari di combattenti. I vettori di cui
si parla non sempre sono politicamente disinteressati e quindi
pienamente attendibili; inoltre, anche quando l’atto di espressione del ricordo è spontaneo e non esplicitamente politicizzato, è comunque condizionato dal contesto socio-culturale di
appartenenza, dal filtro censorio, dalla condizione di shock e/o
trauma di cui il soggetto è vittima e da moltissimi altri elementi
destabilizzanti il ricordo e, quindi, la sua trasmissione. La se7
J. Winter, Il lutto e la memoria, cit., p. 119.
VII
conda comunità che concorre al sistema di creazione della memoria sociale8 è invece composta da soggetti che ricevono, organizzano e gestiscono l’informazione-ricordo: sono spettatori
degli scontri bellici e si rendono parte attiva del processo di
cui si discute, agendo come singoli, gruppi, associazioni ed istituzioni militari e non9.
Il prodotto trasmesso dai vettori della memoria e l’assimilazione di quest’ultimo da parte dei soggetti riceventi sono,
sempre e comunque, da analizzare in funzione del loro contesto
di produzione e di ricezione. Nella nostra prospettiva di analisi,
è interessante osservare l’aspetto di redazione di questi testi in
relazione al livello ricettivo degli stessi: il prodotto scrittorio, il
testo largamente inteso, è un oggetto temporale sfaccettato,
che non offre lo stesso volto a tutti i fruitori in tutte le fasi storiche. L’oggetto-testo non può, in effetti, essere osservato in
sé come un fatto storico compiuto, deve piuttosto essere interpretato come la rappresentazione concreta di una «modellizzazione culturale»10 che può essere letta in modo profondamente
diverso a seconda del contesto di produzione e ricezione11. In
particolare per testi di carattere estremamente dinamico e instabile, prodotti in condizioni di premura con il fine di ricevere
e offrire conforto, passati per le mani di chi li ha ricevuti (che
li ha spesso trascritti), quali queste lettere sono, vale come assunto il concetto base della semiotica, per cui non si scrive di
qualcosa, bensì per qualcuno; il mittente orienta contenuti, metodi e stili della sua comunicazione in relazione al suo destina-
Intesa qui, nella definizione di M. Halbwachs, La memoria collettiva, Unicopli,
Milano, 2001, pp. 155-162, come il frutto di una mediazione tra ricordo individuale
e quadro sociale.
9
J. Winter, E. Sivan, Setting the framework, in J. Winter, E. Sivan (edited by), War
and Remembrance in the twentieth century, Cambridge University Press, Cambridge, 1999,
pp. 6-39.
10
J. M. Lotman, B. A. Uspenskij, Tipologia della cultura, Bompiani, Milano, 2001,
p. 51.
11
Cfr. H. R. Jauss, Perché la storia della letteratura?, Guida, Napoli, 2001.
8
VIII
tario. Come ha sostenuto Paul Grice nella sua proposta teorica
sul modello di comunicazione “cooperativa”, il pensiero del
mittente nel corso di un atto comunicativo è sempre fortemente
influenzato dalla destinazione del messaggio12. Nei documenti
che sono il centro di questo volume il mittente delle missive
vive una condizione di shock da cui scaturisce la necessità di
una sdrammatizzazione: tale dinamica si configura, psicologicamente13 e politicamente, nella professione di un sentimento
nazionale esasperato e nell’adesione al modello comportamentale dell’eroe. D’altro canto, il destinatario necessita di un filo
(che è rappresentato dalla lettera nella sua concretezza) che lo
tenga legato alla temporanea speranza di sapere sano e salvo
l’affetto lontano e in generale di ricevere una rassicurazione
sulle condizioni in cui versano i militari al fronte. La mediazione
del messaggio scrittorio attraversa perciò diverse fasi: l’idea di
narrarsi, anzitutto, non è spontanea ma indotta e ciò implica,
per ovvie ragioni, l’applicazione di un filtro psicologico da parte
del mittente; in secondo luogo interviene un freno inibitorio,
quello generato dalla censura, dai cui uffici i messaggi dovranno
passare; poi c’è un terzo filtro, derivante dalla presa in considerazione dell’aspettativa di un destinatario che desidera ricevere,
costantemente, notizie e al quale non si vuole certo dare l’impressione di essere malconci, spaventati e traumatizzati. Questi
filtri condizionano in modo pervasivo il messaggio, sia sotto il
profilo del contenuto, sia sotto il profilo della forma e quindi
della struttura e dello stile, riducendo ad una particolare sche12
P. Grice, Logica e conversazione. Saggi su intenzione, significato e comunicazione, Il
Mulino, Bologna, 1993, p. 60.
13
A descrivere questa tipologia di reazione difensiva è lo psicologo sociale F.
Heider, Social perception and phenomenal causality, in «Psychological Review», n. 51,
1944, pp. 358-374; lo studioso sostiene, attraverso la “teoria dell’equilibrio cognitivo”, che un gruppo sociale, trovandosi nella condizione di percepire una mancanza
di armonia tra desiderio (nel nostro caso la quotidianità prebellica) e realtà (nel nostro caso la brutalità della guerra), tenderà a cercare un equilibrio cognitivo accorciando la distanza che intercorre tra desiderio e realtà ed arrivando, nella propria
percezione, a far convivere le due dimensioni.
IX
maticità le caratteristiche di tutto il corpus. Si considerino nei
testimoni a nostra disposizione l’occorrenza di alcune parole e
la loro rappresentazione grafica (qui, a titolo esemplificativo,
lo scarto tra la percentuale di occorrenze delle varianti «Patria»
e «patria» nella totalità del corpus)14; l’architettura stereotipata
dei testi15; lo stile enfatico di composizione di alcuni documenti
che descrivono “le gesta” dei militari al fronte; il ricorso ad un
lessico aulico utilizzato per conferire alla lettura un tono solenne16. È presente un ultimo filtro, che accomuna 64 documenti
e li distingue dai rimanenti trentotto: il filtro della trascrizione.
Sessantotto testimoni, secondo il nostro esame, non sono in
effetti autografi. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta
di documenti composti dai militari al fronte, caduti e non, copiati dai familiari. Sono trascrizioni, altresì, le lettere dei commilitoni dei deceduti che ne narrano gli ultimi momenti di vita,
gli articoli di giornale ed i discorsi commemorativi dei morti
pronunciati in occasioni pubbliche. Questa preponderanza numerica delle copie deriva con gran probabilità dal bisogno
emotivo, del tutto comprensibile, di non separarsi dalle carte
originali, che sono oggetti rimandanti più o meno direttamente
alla persona cara, fisicamente assente, ancora lontana al fronte
e comunque in situazione di costante e grande pericolo.
«Patria» occorre 71 volte; «patria» 36 volte.
Le differenti tipologie testuali interne al corpus mantengono strutture architettoniche funzionali statiche e stereotipate; le lettere presentano il tipico modello
apertura-corpo-chiusura (cfr. tra gli altri, G. Genovese, La lettera oltre il genere. Il libro
di lettere, dall’Aretino al Doni, e le origini dell’autobiografia moderna, Antenore, Roma-Padova, 2009, p. 24) che risponde a diverse esigenze: velocità nella composizione,
chiarezza espositiva, attenzione al modello conosciuto e pertanto comunicazione
diretta, concisa e scarsamente creativa.
16
A titolo esemplificativo, Antonino Granatelli, EpMs 1, 1: «Avvolta in nembi di
fumo, mentre il barbaro detentore fuggiva come un forsennato sotto l’incalzare della
pressione delle nostre truppe, sembrava come si godesse la soavità del dolce profumo
d’incenso, mentre il sol morente la baciava in fronte, felice di vedere sventolare sullo
storico castello il vessillo glorioso d’Italia, che l’aveva strappata si felicemente agli
artigli del mostro bicipite che spennacchiato e bruciacchiato fugge tuttora».
14
15
X
Soprattutto le lettere di figli, nipoti, fratelli e fidanzati sono
simbolo di unione e congiungimento nella distanza, ma sono
anche ipostasi di un vuoto, perché la corrispondenza, in genere, agisce come promessa di vicinanza e opportunità di colmare spazi immensi e al medesimo tempo rivela una mancanza
ineliminabile nell’atto stesso con cui il ricevente raccoglie la
posta. Ciò genera effetti tutt’altro che confortanti e, da questo
punto di vista, ritroviamo nelle lettere di guerra il carattere intrinsecamente contraddittorio del messaggio epistolare17. Comunque, a differenza delle altre tipologie di lettere, l’epistola
bellica offre al destinatario non solamente il conforto nella lontananza, ma anche prova della non-morte del mittente, seppur
sempre riferita ad un passato assai prossimo.
Nel Novecento si assiste al fenomeno della comunicazione
epistolare di massa, determinato in prima istanza dall’incremento dell’alfabetizzazione e più in generale dal fatto che, nel
secolo della scoperta della psicoanalisi e della paura sempre
presente della fine imminente, si senta la necessità di esorcizzare la morte e quindi di lasciare traccia di sé su carta18. Il timore della morte è un sentimento provato da tutte le classi
sociali nel XX secolo, in particolare durante le due guerre mondiali; effettivamente le lettere di guerra, mezzo utile ad esorcizzare e metabolizzare il lutto, sono state composte da tutti.
È stata naturalmente presente la produzione di intellettuali e
letterati, tradizionalmente molto studiata19.
Cfr. V. Kaufman, L’équivoque épistolaire, Les editions de Minuit, Paris, 1990.
Non a caso la corrispondenza è definita come «istituzione scrittoria primaria finalizzata alla comunicazione in absentia» (G. Genovese, La lettera oltre il genere, cit., p. 25).
18
A. Petrucci, Scrivere lettere. Una storia plurimillenaria, Laterza, Roma-Bari, 2008,
p. 159.
19
Cfr. in ambito letterario a titolo esemplificativo G. Genovese, E. Giammattei,
Il racconto italiano della Grande guerra. Narrazioni, corrispondenze, prose morali (1914-1921),
Riccardo Riccardi Editore, Milano-Napoli, 2015; in ambito storico non si può non
citare M. Isnenghi, Il mito della Grande Guerra, Il Mulino, Bologna, 2014 (si cita in
questa sede solo l’ultima delle molte edizioni).
17
XI
Dagli anni settanta20 in poi, però, si è acquisita la consapevolezza che anche chi aveva scarsa o quasi nulla dimestichezza
con la penna ha utilizzato la comunicazione epistolare nel
corso della Prima guerra mondiale e gli studi più recenti si
sono concentrati soprattutto su quella che è stata definita la
«epistolarità bellica di origine subalterna»21, la scrittura dei semicolti22. Quello che qui si presenta, invece, è un corpus che si
distingue dagli ultimi e più comuni studi sull’epistolografia
bellica: si tratta di documenti elaborati da persone pienamente
alfabetizzate e colte, ma non per forza appartenenti alla categoria degli intellettuali. Oltre che da una ricerca di notizie biografiche sugli scriventi, sin dalla prima lettura delle missive si
è potuta evincere la collocazione linguistica delle composizioni,
che non si configura, chiaramente, nella categoria del cosiddetto
italiano popolare23, bensì in quella della lingua di colti di area
siciliana d’inizio XX secolo. È bene precisare, in questa sede,
che la varietà della lingua presa in esame nel presente volume
è ancora poco descritta dai linguisti in ambito italiano24; al
pari di quanto oggi accade in ambito storico, nell’indagine linguistica italiana sul genere epistolare sono state più spesso approfondite le due estremità della lingua: l’italiano letterario e
quello dei semicolti (l’italiano popolare). La zona intermedia
tra questi due poli opposti, quella cioè pensata, parlata e scritta
dalle persone genericamente colte d’inizio Novecento, rimane
20
Fondamentale è stata la pubblicazione in Italia di L. Spitzer, Lettere di prigionieri
di guerra italiani (1915-1918), Bollati Boringhieri, Torino, 1976.
21
A Petrucci, Scrivere lettere, cit., p. 187.
22
Cfr. p. es.: G. Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella grande guerra, con una
raccolta di lettere inedite, Bollati Boringhieri, Torino, 2000; A. Gibelli, La guerra
grande. Storie di gente comune, Laterza, Roma-Bari, 2015; Q. Antonelli, Storia intima della
grande guerra, Donzelli, Roma, 2014.
23
Per la definizione di italiano popolare unitario, cfr. T. De Mauro, Per lo studio
dell’italiano popolare unitario, in A. Rossi (a cura di), Lettere da una tarantata, De Donato,
Bari, 1970, pp. 43-75.
24
G. Antonelli, Tipologia linguistica del genere epistolare nel primo Ottocento. Sondaggi
sulle lettere familiari di mittenti cólti, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 2004, pp. 8-10.
XII
nell’ombra. Ci limiteremo perciò a descrivere gli elementi attraverso cui abbiamo potuto constatare la distanza che intercorre tra la lingua dei testi che qui pubblichiamo (quella linea
intermedia, il continuum che fa da “ammortizzatore” tra lingua
letteraria e italiano popolare)25 e quella delle epistole in italiano
popolare. Così, a lasciarci intendere che ci troviamo di fronte
a testi redatti da persone con un alto livello d’istruzione, è la
quasi totale assenza nel corpus di elementi caratterizzanti l’italiano
popolare. Per esempio: errori nell’uso (quando non addirittura
disuso) dei segni d’interpunzione e delle doppie; semplificazione
della resa grafica delle parole e avvicinamento di quest’ultima
alla percezione fonetica; utilizzo di forme errate di flessione
verbale o di costruzione del periodo ipotetico (doppi congiuntivi o doppi condizionali); estensione dell’uso del “che polivalente” e utilizzo smodato di parole generiche (roba, cosa); uso
di malapropismi26.
Questo volume presenta testi trattati sotto il profilo filologico come testimoni documentari, sotto il profilo storico come
fonti per lo studio della Prima guerra mondiale. Di questa dimensione della ricerca si occupa il saggio di Carlo Verri, Elena
Riccio ha curato l’edizione critica. Il libro è comunque frutto
di un’elaborazione e di un lavoro comuni ai due autori. Si è ricorso allo strumento filologico pensando che esso possa dare
risposte fondate a quesiti relativi a natura, genesi, paternità,
redazione, tradizione dei testi. Con i dati raccolti, come si
vedrà in Nota al testo, si è provato a tracciare una storia della
tradizione dei singoli testimoni e del corpus nella sua totalità,
per mezzo della quale si è giunti alla ricostruzione proposta.
La filologia dei testi è un approccio pluridisciplinare che fonda
il proprio operato su concetti di precisione, concretezza, attenzione al dato di fatto e le edizioni critiche sono il prodotto
Ivi, p. 9.
P. D’Achille, L’italiano dei semicolti, in L. Serianni, P. Trifone (a cura di), Storia
della lingua italiana, vol. II, Einaudi, Torino, 1994, pp. 41-79.
25
26
XIII
scientifico che cerca, più di ogni altro, di garantire un avvicinamento – al massimo livello di approssimazione – alla forma
originaria dei testi. È per questa ragione che è stato superato il
timore di rendere questi documenti meno fruibili di quanto
non sarebbero stati in una edizione trascrittiva (diplomatica o
interpretativa), in favore della redazione di un testo critico di
buona leggibilità, che offre, però, al lettore più curioso, l’accesso
a contenuti interni ai testi che restano, senza gli apparati e le
note propri dell’edizione critica, inespressi. L’esito di un’analisi
filologica è un prodotto dinamico e soggetto a variabili di diversa natura. La validità delle edizioni può, infatti, mutare con
il passare degli anni, sia per l’avanzamento della ricerca sui
metodi e le tecniche procedurali interni alla disciplina, sia per
la scoperta di eventuali altri testimoni fino alla pubblicazione
dell’edizione ignoti e dotati di autorevolezza. Nello specifico,
sono state condotte varie ricerche ritenute necessarie al fine di
interpretare al meglio gli oggetti-testo e tra qualche anno potrebbero venire alla luce nuovi dati informativi o testimoni
utili all’indagine sul corpus.
XIV
INDICE
v
INTRODUZIONE
di Elena Riccio e Carlo Verri
NOTA AL TESTO
di Elena Riccio
Le testimonianze
Tavola delle abbreviazioni
Tavola di descrizione dei testimoni
Criteri editoriali
Apparato
Formalizzazione delle varianti
TESTI
Gregorio Bruno
Giovanni Chimenti
Cristoforo Colombo
Giulio Crescimanno
Riccardo De Luca
Vito Favara Emanuele
Antonino Granatelli
Pasqaule Greco
Calogero Guarino
Rosario La Bella
Vincenzo Livoti Ziino
Salvatore Manoli
Ettore Masnata
Salvatore Misuraca
Diego Mormino
Vincenzo Palminteri
Felice Politi
Bartolomeo Signorelli
Martino Teri
Giuseppe Vittorio Ugo
Gaetano Varvaro
Terenzio Volpes
Filippo Zuccarello
GUERRA E NAZIONE
di Carlo Verri
La questione
Usi e riusi delle lettere
Risorgimento e Caporetto
Figli e genitori per la patria
Italia divina
Personaggi: il nemico cattivo, il buon soldato, le donne
e i maschi
Raccontare rimuovendo
La nazione e il suo futuro
BIBLIOGRAFIA
RINGRAZIAMENTI