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ELENA RICCIO - CARLO VERRI Siciliani al fronte Lettere dalla Grande Guerra PASSAGGI DI TEMPO saggi di storia moderna e contemporanea Comitato scientifico: Giulia Albanese, Tommaso Baris (co-direttore), Antonino Blando, Michele Colucci, Matteo Di Figlia (co-direttore), Giovanna Fiume, Valeria Galimi, Salvatore Lupo, Arturo Marzano. Elena Riccio - Carlo Verri Siciliani al fronte. Lettere dalla Grande Guerra Istituto Poligrafico Europeo | Casa editrice Marchio registrato di Gruppo Istituto Poligrafico Europeo Srl sede legale: via Frate P. Sarullo, 4 - 90144 | Palermo sede operativa: via Degli Emiri, 57 - 90135 | Palermo tel./fax 091 7099510 casaeditrice@gipesrl.net www.istitutopoligraficoeuropeo.com © 2017 Gruppo Istituto Poligrafico Europeo Srl. Tutti i diritti riservati. In copertina: Mazze usate dall’Esercito Austro-Ungarico per finire i feriti al fronte italiano fotolitografia, cm 30x41, 1917 Biblioteca Universitaria Alessandrina - Fondo Guerra A.XXX.III.II.6 su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo. ISBN 978-88-96251-62-1 Riccio, Elena <1991-> Siciliani al fronte : lettere dalla Grande Guerra / Elena Riccio, Carlo Verri. – Palermo : Istituto poligrafico europeo, 2017. ISBN 978-88-96251-62-1 1. Guerra Mondiale 1914-1918 – Partecipazione [dei] Soldati siciliani – Lettere. I. Verri, Carlo <1979->. 940.481458 CDD-23 SBN PAL0296121 CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” INTRODUZIONE di Elena Riccio e Carlo Verri «Il dolore è uno stato d’animo; la perdita una condizione. L’uno e l’altra sono mediati dal lutto, un insieme di azioni e di gesti tramite i quali chi sopravvive esprime la sua pena e passa per le varie fasi della privazione. [...] La guerra fece a pezzi le famiglie [...]. Ma dopo il 1914 si registrarono anche degli sforzi per raccogliersi insieme, allorché tanti, legati da rapporti di sangue o da vicissitudini comuni, tentarono di farsi forza l’un l’altro nel corso del conflitto e dopo»1. Da alcuni decenni la corrispondenza è sempre più utilizzata come fonte in diversi ambiti d’indagine per la sua caratteristica di trovarsi a metà tra sfera pubblica e privata2. Le lettere di siciliani dal fronte della Prima guerra mondiale, contenute nel volume, presentano doppiamente questa collocazione, in generale in quanto testi epistolari e nel particolare per la genesi del corpus di cui fanno parte. Le storie che le lettere3 raccontano sono soprattutto le storie del sentire di chi le ha scritte (i mili1 J. Winter, Il lutto e la memoria. La Grande Guerra nella storia culturale europea, Il Mulino, Bologna, 1998, p. 45. 2 Qui, per necessaria brevità, a mo’ di esemplificazione, si citano solamente i seguenti saggi: per la storia moderna R. Bizzocchi, Cicisbei. Morale privata e identità nazionale in Italia, Laterza, Roma-Bari, 2008; per la linguistica italiana e la storia della lingua G. Antonelli, C. Chiummo, M. Palermo (a cura di), La cultura epistolare nell’Ottocento. Sondaggi sulle lettere del CEOD, con CD-ROM contenente i testi dei carteggi, Bulzoni, Roma, 2004; per la storia del primo Novecento E. Sereni, E. Sereni, Politica e utopia. Lettere. 1926-1943, a cura di D. Bidussa e M. G. Meriggi, La Nuova Italia, Milano, 2000 (per le riflessioni teoriche cfr. il saggio introduttivo D. Bidussa, La nostalgia del futuro); C. Verri, Caro Nenni. Appunti per un epistolario di Silvio Trentin in «Annali della Fondazione Ugo La Malfa. Storia e politica», 2009; naturalmente per l’esemplare caso di studio delle lettere della Prima guerra mondiale cfr. i testi citati lungo tutto il presente libro. Per il secondo Novecento italiano cfr. A. Moro, Lettere dalla prigionia, a cura di M. Gotor, Einaudi, Torino, 2009. 3 Per comodità chiameremo qui lettere tutte le tipologie di documenti interne al corpus, che sono descritte di seguito in Nota al testo. V tari), di chi le ha ricevute (i parenti e gli amici dei militari) e di chi, nel dicembre 1917, le ha raccolte con il fine di pubblicarle (la Società Siciliana per la Storia Patria di Palermo). Questi documenti mostrano con particolare trasparenza uno spaccato di come è stata vissuta e percepita la Grande Guerra da parte di rappresentanti della cosiddetta borghesia patriottica italiana, nelle sue due componenti generazionali di genitori e figli4, originari – tutti – di un’unica porzione di territorio nazionale: la Sicilia. L’isola, nel triennio 1915-1918, lontana dal fronte, lascia assai scarsa traccia di sé nel racconto della storia della Prima guerra mondiale; nelle principali opere di sintesi di storia regionale questo epocale evento è molto poco considerato5. Per certi aspetti e con le dovute cautele, siamo spettatori di una circostanza in cui, all’inizio del XX secolo, il viaggio che le letture omeriche, virgiliane, dantesche avevano descritto come doloroso distacco torna ad essere tale. Quella tra il fronte della Grande Guerra e la Sicilia è vissuta dagli autori dei nostri testi come una lontananza necessaria e salvifica in nome della patria. Questo corpus racconta i pensieri di alcuni militari di origine siciliana che combatterono al fronte ed i cui cari, in ricordo e in onore del loro “sacrificio”, decisero di renderne pubblica la memoria attraverso scritti privati. Tramite la redazione di questo volume, a distanza di cento anni viene portato in parte a compimento il progetto pensato – e mai realizzato – da colui che nel dicembre 1917 era presidente della Società Siciliana per la Storia Patria, Alfonso Sansone. Nelle sue intenzioni6 non era 4 Cfr. tra gli altri E. Papadia, Di padre in figlio. La generazione del 1915, Il Mulino, Bologna, 2013. 5 M. Aymard, G. Giarrizzo (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’unità a oggi. La Sicilia, Einaudi, Torino, 1987, non presenta alcuna parte che tratti della Prima guerra mondiale; solo tre pagine in M. Ganci, La Sicilia contemporanea, in Storia della Sicilia, vol. VIII, Società Editrice Storia di Napoli e del Mezzogiorno continentale e della Sicilia, Palermo, 1977, pp. 221-223; un po’ di spazio in più in F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, vol. II. Dalla caduta della Destra al fascismo, Sellerio, Palermo, 1985, pp. 305-330. 6 Cfr. Nota al testo. VI certamente contemplata alcuna edizione critica, né uno studio di carattere storico sui testi oggetto della nostra analisi; la pubblicazione da lui auspicata nasceva con l’idea di perpetrare la memoria degli “eroici” militari siciliani attraverso la costituzione di un monumento epistolare. Dopo un secolo, questi testimoni divengono opportunità di studio. I testi presentati e i loro temi, a differenza di ciò che aspirava ad essere il progettato volume del 1917, non sono la rappresentazione del paese in guerra né della memoria pubblica di quell’esperienza. La collective remembrance, la memoria che si può studiare sotto un profilo storico, è la memoria di chi ha stabilito di rendere pubblico il proprio ricordo ed è, perciò, una memoria necessariamente soggettiva. «Dopo l’agosto del 1914 commemorare divenne un atto civico. Ricordare aveva il senso di riaffermare la comunità, far valere la sua tempra morale, ed escluderne valori, gruppi o individui che la mettevano a rischio»7. Nel complesso meccanismo che avvia il processo di generazione della memoria, gli attori principali sono distinguibili in due comunità, che in parte si sovrappongono: la comunità dei vettori della memoria e quella dei soggetti riceventi il ricordo che, spesso, ne rendono pubblica la fruizione. Nel nostro caso la prima comunità è composta da soggetti che promuovono la diffusione del ricordo attraverso azioni psicologiche dinamiche di recupero di quest’ultimo: i soggetti che veicolano la memoria sono coloro i quali partecipano direttamente al conflitto e i familiari di combattenti. I vettori di cui si parla non sempre sono politicamente disinteressati e quindi pienamente attendibili; inoltre, anche quando l’atto di espressione del ricordo è spontaneo e non esplicitamente politicizzato, è comunque condizionato dal contesto socio-culturale di appartenenza, dal filtro censorio, dalla condizione di shock e/o trauma di cui il soggetto è vittima e da moltissimi altri elementi destabilizzanti il ricordo e, quindi, la sua trasmissione. La se7 J. Winter, Il lutto e la memoria, cit., p. 119. VII conda comunità che concorre al sistema di creazione della memoria sociale8 è invece composta da soggetti che ricevono, organizzano e gestiscono l’informazione-ricordo: sono spettatori degli scontri bellici e si rendono parte attiva del processo di cui si discute, agendo come singoli, gruppi, associazioni ed istituzioni militari e non9. Il prodotto trasmesso dai vettori della memoria e l’assimilazione di quest’ultimo da parte dei soggetti riceventi sono, sempre e comunque, da analizzare in funzione del loro contesto di produzione e di ricezione. Nella nostra prospettiva di analisi, è interessante osservare l’aspetto di redazione di questi testi in relazione al livello ricettivo degli stessi: il prodotto scrittorio, il testo largamente inteso, è un oggetto temporale sfaccettato, che non offre lo stesso volto a tutti i fruitori in tutte le fasi storiche. L’oggetto-testo non può, in effetti, essere osservato in sé come un fatto storico compiuto, deve piuttosto essere interpretato come la rappresentazione concreta di una «modellizzazione culturale»10 che può essere letta in modo profondamente diverso a seconda del contesto di produzione e ricezione11. In particolare per testi di carattere estremamente dinamico e instabile, prodotti in condizioni di premura con il fine di ricevere e offrire conforto, passati per le mani di chi li ha ricevuti (che li ha spesso trascritti), quali queste lettere sono, vale come assunto il concetto base della semiotica, per cui non si scrive di qualcosa, bensì per qualcuno; il mittente orienta contenuti, metodi e stili della sua comunicazione in relazione al suo destina- Intesa qui, nella definizione di M. Halbwachs, La memoria collettiva, Unicopli, Milano, 2001, pp. 155-162, come il frutto di una mediazione tra ricordo individuale e quadro sociale. 9 J. Winter, E. Sivan, Setting the framework, in J. Winter, E. Sivan (edited by), War and Remembrance in the twentieth century, Cambridge University Press, Cambridge, 1999, pp. 6-39. 10 J. M. Lotman, B. A. Uspenskij, Tipologia della cultura, Bompiani, Milano, 2001, p. 51. 11 Cfr. H. R. Jauss, Perché la storia della letteratura?, Guida, Napoli, 2001. 8 VIII tario. Come ha sostenuto Paul Grice nella sua proposta teorica sul modello di comunicazione “cooperativa”, il pensiero del mittente nel corso di un atto comunicativo è sempre fortemente influenzato dalla destinazione del messaggio12. Nei documenti che sono il centro di questo volume il mittente delle missive vive una condizione di shock da cui scaturisce la necessità di una sdrammatizzazione: tale dinamica si configura, psicologicamente13 e politicamente, nella professione di un sentimento nazionale esasperato e nell’adesione al modello comportamentale dell’eroe. D’altro canto, il destinatario necessita di un filo (che è rappresentato dalla lettera nella sua concretezza) che lo tenga legato alla temporanea speranza di sapere sano e salvo l’affetto lontano e in generale di ricevere una rassicurazione sulle condizioni in cui versano i militari al fronte. La mediazione del messaggio scrittorio attraversa perciò diverse fasi: l’idea di narrarsi, anzitutto, non è spontanea ma indotta e ciò implica, per ovvie ragioni, l’applicazione di un filtro psicologico da parte del mittente; in secondo luogo interviene un freno inibitorio, quello generato dalla censura, dai cui uffici i messaggi dovranno passare; poi c’è un terzo filtro, derivante dalla presa in considerazione dell’aspettativa di un destinatario che desidera ricevere, costantemente, notizie e al quale non si vuole certo dare l’impressione di essere malconci, spaventati e traumatizzati. Questi filtri condizionano in modo pervasivo il messaggio, sia sotto il profilo del contenuto, sia sotto il profilo della forma e quindi della struttura e dello stile, riducendo ad una particolare sche12 P. Grice, Logica e conversazione. Saggi su intenzione, significato e comunicazione, Il Mulino, Bologna, 1993, p. 60. 13 A descrivere questa tipologia di reazione difensiva è lo psicologo sociale F. Heider, Social perception and phenomenal causality, in «Psychological Review», n. 51, 1944, pp. 358-374; lo studioso sostiene, attraverso la “teoria dell’equilibrio cognitivo”, che un gruppo sociale, trovandosi nella condizione di percepire una mancanza di armonia tra desiderio (nel nostro caso la quotidianità prebellica) e realtà (nel nostro caso la brutalità della guerra), tenderà a cercare un equilibrio cognitivo accorciando la distanza che intercorre tra desiderio e realtà ed arrivando, nella propria percezione, a far convivere le due dimensioni. IX maticità le caratteristiche di tutto il corpus. Si considerino nei testimoni a nostra disposizione l’occorrenza di alcune parole e la loro rappresentazione grafica (qui, a titolo esemplificativo, lo scarto tra la percentuale di occorrenze delle varianti «Patria» e «patria» nella totalità del corpus)14; l’architettura stereotipata dei testi15; lo stile enfatico di composizione di alcuni documenti che descrivono “le gesta” dei militari al fronte; il ricorso ad un lessico aulico utilizzato per conferire alla lettura un tono solenne16. È presente un ultimo filtro, che accomuna 64 documenti e li distingue dai rimanenti trentotto: il filtro della trascrizione. Sessantotto testimoni, secondo il nostro esame, non sono in effetti autografi. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di documenti composti dai militari al fronte, caduti e non, copiati dai familiari. Sono trascrizioni, altresì, le lettere dei commilitoni dei deceduti che ne narrano gli ultimi momenti di vita, gli articoli di giornale ed i discorsi commemorativi dei morti pronunciati in occasioni pubbliche. Questa preponderanza numerica delle copie deriva con gran probabilità dal bisogno emotivo, del tutto comprensibile, di non separarsi dalle carte originali, che sono oggetti rimandanti più o meno direttamente alla persona cara, fisicamente assente, ancora lontana al fronte e comunque in situazione di costante e grande pericolo. «Patria» occorre 71 volte; «patria» 36 volte. Le differenti tipologie testuali interne al corpus mantengono strutture architettoniche funzionali statiche e stereotipate; le lettere presentano il tipico modello apertura-corpo-chiusura (cfr. tra gli altri, G. Genovese, La lettera oltre il genere. Il libro di lettere, dall’Aretino al Doni, e le origini dell’autobiografia moderna, Antenore, Roma-Padova, 2009, p. 24) che risponde a diverse esigenze: velocità nella composizione, chiarezza espositiva, attenzione al modello conosciuto e pertanto comunicazione diretta, concisa e scarsamente creativa. 16 A titolo esemplificativo, Antonino Granatelli, EpMs 1, 1: «Avvolta in nembi di fumo, mentre il barbaro detentore fuggiva come un forsennato sotto l’incalzare della pressione delle nostre truppe, sembrava come si godesse la soavità del dolce profumo d’incenso, mentre il sol morente la baciava in fronte, felice di vedere sventolare sullo storico castello il vessillo glorioso d’Italia, che l’aveva strappata si felicemente agli artigli del mostro bicipite che spennacchiato e bruciacchiato fugge tuttora». 14 15 X Soprattutto le lettere di figli, nipoti, fratelli e fidanzati sono simbolo di unione e congiungimento nella distanza, ma sono anche ipostasi di un vuoto, perché la corrispondenza, in genere, agisce come promessa di vicinanza e opportunità di colmare spazi immensi e al medesimo tempo rivela una mancanza ineliminabile nell’atto stesso con cui il ricevente raccoglie la posta. Ciò genera effetti tutt’altro che confortanti e, da questo punto di vista, ritroviamo nelle lettere di guerra il carattere intrinsecamente contraddittorio del messaggio epistolare17. Comunque, a differenza delle altre tipologie di lettere, l’epistola bellica offre al destinatario non solamente il conforto nella lontananza, ma anche prova della non-morte del mittente, seppur sempre riferita ad un passato assai prossimo. Nel Novecento si assiste al fenomeno della comunicazione epistolare di massa, determinato in prima istanza dall’incremento dell’alfabetizzazione e più in generale dal fatto che, nel secolo della scoperta della psicoanalisi e della paura sempre presente della fine imminente, si senta la necessità di esorcizzare la morte e quindi di lasciare traccia di sé su carta18. Il timore della morte è un sentimento provato da tutte le classi sociali nel XX secolo, in particolare durante le due guerre mondiali; effettivamente le lettere di guerra, mezzo utile ad esorcizzare e metabolizzare il lutto, sono state composte da tutti. È stata naturalmente presente la produzione di intellettuali e letterati, tradizionalmente molto studiata19. Cfr. V. Kaufman, L’équivoque épistolaire, Les editions de Minuit, Paris, 1990. Non a caso la corrispondenza è definita come «istituzione scrittoria primaria finalizzata alla comunicazione in absentia» (G. Genovese, La lettera oltre il genere, cit., p. 25). 18 A. Petrucci, Scrivere lettere. Una storia plurimillenaria, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 159. 19 Cfr. in ambito letterario a titolo esemplificativo G. Genovese, E. Giammattei, Il racconto italiano della Grande guerra. Narrazioni, corrispondenze, prose morali (1914-1921), Riccardo Riccardi Editore, Milano-Napoli, 2015; in ambito storico non si può non citare M. Isnenghi, Il mito della Grande Guerra, Il Mulino, Bologna, 2014 (si cita in questa sede solo l’ultima delle molte edizioni). 17 XI Dagli anni settanta20 in poi, però, si è acquisita la consapevolezza che anche chi aveva scarsa o quasi nulla dimestichezza con la penna ha utilizzato la comunicazione epistolare nel corso della Prima guerra mondiale e gli studi più recenti si sono concentrati soprattutto su quella che è stata definita la «epistolarità bellica di origine subalterna»21, la scrittura dei semicolti22. Quello che qui si presenta, invece, è un corpus che si distingue dagli ultimi e più comuni studi sull’epistolografia bellica: si tratta di documenti elaborati da persone pienamente alfabetizzate e colte, ma non per forza appartenenti alla categoria degli intellettuali. Oltre che da una ricerca di notizie biografiche sugli scriventi, sin dalla prima lettura delle missive si è potuta evincere la collocazione linguistica delle composizioni, che non si configura, chiaramente, nella categoria del cosiddetto italiano popolare23, bensì in quella della lingua di colti di area siciliana d’inizio XX secolo. È bene precisare, in questa sede, che la varietà della lingua presa in esame nel presente volume è ancora poco descritta dai linguisti in ambito italiano24; al pari di quanto oggi accade in ambito storico, nell’indagine linguistica italiana sul genere epistolare sono state più spesso approfondite le due estremità della lingua: l’italiano letterario e quello dei semicolti (l’italiano popolare). La zona intermedia tra questi due poli opposti, quella cioè pensata, parlata e scritta dalle persone genericamente colte d’inizio Novecento, rimane 20 Fondamentale è stata la pubblicazione in Italia di L. Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani (1915-1918), Bollati Boringhieri, Torino, 1976. 21 A Petrucci, Scrivere lettere, cit., p. 187. 22 Cfr. p. es.: G. Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella grande guerra, con una raccolta di lettere inedite, Bollati Boringhieri, Torino, 2000; A. Gibelli, La guerra grande. Storie di gente comune, Laterza, Roma-Bari, 2015; Q. Antonelli, Storia intima della grande guerra, Donzelli, Roma, 2014. 23 Per la definizione di italiano popolare unitario, cfr. T. De Mauro, Per lo studio dell’italiano popolare unitario, in A. Rossi (a cura di), Lettere da una tarantata, De Donato, Bari, 1970, pp. 43-75. 24 G. Antonelli, Tipologia linguistica del genere epistolare nel primo Ottocento. Sondaggi sulle lettere familiari di mittenti cólti, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 2004, pp. 8-10. XII nell’ombra. Ci limiteremo perciò a descrivere gli elementi attraverso cui abbiamo potuto constatare la distanza che intercorre tra la lingua dei testi che qui pubblichiamo (quella linea intermedia, il continuum che fa da “ammortizzatore” tra lingua letteraria e italiano popolare)25 e quella delle epistole in italiano popolare. Così, a lasciarci intendere che ci troviamo di fronte a testi redatti da persone con un alto livello d’istruzione, è la quasi totale assenza nel corpus di elementi caratterizzanti l’italiano popolare. Per esempio: errori nell’uso (quando non addirittura disuso) dei segni d’interpunzione e delle doppie; semplificazione della resa grafica delle parole e avvicinamento di quest’ultima alla percezione fonetica; utilizzo di forme errate di flessione verbale o di costruzione del periodo ipotetico (doppi congiuntivi o doppi condizionali); estensione dell’uso del “che polivalente” e utilizzo smodato di parole generiche (roba, cosa); uso di malapropismi26. Questo volume presenta testi trattati sotto il profilo filologico come testimoni documentari, sotto il profilo storico come fonti per lo studio della Prima guerra mondiale. Di questa dimensione della ricerca si occupa il saggio di Carlo Verri, Elena Riccio ha curato l’edizione critica. Il libro è comunque frutto di un’elaborazione e di un lavoro comuni ai due autori. Si è ricorso allo strumento filologico pensando che esso possa dare risposte fondate a quesiti relativi a natura, genesi, paternità, redazione, tradizione dei testi. Con i dati raccolti, come si vedrà in Nota al testo, si è provato a tracciare una storia della tradizione dei singoli testimoni e del corpus nella sua totalità, per mezzo della quale si è giunti alla ricostruzione proposta. La filologia dei testi è un approccio pluridisciplinare che fonda il proprio operato su concetti di precisione, concretezza, attenzione al dato di fatto e le edizioni critiche sono il prodotto Ivi, p. 9. P. D’Achille, L’italiano dei semicolti, in L. Serianni, P. Trifone (a cura di), Storia della lingua italiana, vol. II, Einaudi, Torino, 1994, pp. 41-79. 25 26 XIII scientifico che cerca, più di ogni altro, di garantire un avvicinamento – al massimo livello di approssimazione – alla forma originaria dei testi. È per questa ragione che è stato superato il timore di rendere questi documenti meno fruibili di quanto non sarebbero stati in una edizione trascrittiva (diplomatica o interpretativa), in favore della redazione di un testo critico di buona leggibilità, che offre, però, al lettore più curioso, l’accesso a contenuti interni ai testi che restano, senza gli apparati e le note propri dell’edizione critica, inespressi. L’esito di un’analisi filologica è un prodotto dinamico e soggetto a variabili di diversa natura. La validità delle edizioni può, infatti, mutare con il passare degli anni, sia per l’avanzamento della ricerca sui metodi e le tecniche procedurali interni alla disciplina, sia per la scoperta di eventuali altri testimoni fino alla pubblicazione dell’edizione ignoti e dotati di autorevolezza. Nello specifico, sono state condotte varie ricerche ritenute necessarie al fine di interpretare al meglio gli oggetti-testo e tra qualche anno potrebbero venire alla luce nuovi dati informativi o testimoni utili all’indagine sul corpus. XIV INDICE v INTRODUZIONE di Elena Riccio e Carlo Verri  NOTA AL TESTO di Elena Riccio                        Le testimonianze Tavola delle abbreviazioni Tavola di descrizione dei testimoni Criteri editoriali Apparato Formalizzazione delle varianti TESTI Gregorio Bruno Giovanni Chimenti Cristoforo Colombo Giulio Crescimanno Riccardo De Luca Vito Favara Emanuele Antonino Granatelli Pasqaule Greco Calogero Guarino Rosario La Bella Vincenzo Livoti Ziino Salvatore Manoli Ettore Masnata Salvatore Misuraca Diego Mormino Vincenzo Palminteri                 Felice Politi Bartolomeo Signorelli Martino Teri Giuseppe Vittorio Ugo Gaetano Varvaro Terenzio Volpes Filippo Zuccarello GUERRA E NAZIONE di Carlo Verri La questione Usi e riusi delle lettere Risorgimento e Caporetto Figli e genitori per la patria Italia divina Personaggi: il nemico cattivo, il buon soldato, le donne e i maschi Raccontare rimuovendo La nazione e il suo futuro  BIBLIOGRAFIA  RINGRAZIAMENTI