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Sul fondamento del primato pontificio. La ricezione della "petrinità" della sede romana in Oriente

2015, Gregorianum

[«Sul fondamento del primato pontificio. La ricezione della "petrinità" della sede romana in Oriente», in Gregorianum 96/2 (2015) 265-284. ] Un significativo passo nel dialogo ecumenico tra le Chiese cattolica e ortodossa è costituito dal cosiddetto "Documento di Ravenna" (2007) 1. Come noto, la tesi centrale è la necessaria e indissolubile congiunzione tra autorità e comunione ad ogni livello della vita ecclesiale, locale, regionale e universale: "Primato e conciliarità sono reciprocamente interdipendenti. Per tale motivo il primato ai diversi livelli della vita della Chiesa, locale, regionale e universale, deve essere sempre considerato nel contesto della conciliarità e, analogamente, la conciliarità nel contesto del primato" (n. 43) 2. In questa prospettiva, Cattolici e Ortodossi "concordano sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che 'presiede nella carità', secondo l'espressione di Sant'Ignazio d'Antiochia (Ai Romani, Prologo), occupava il primo posto nella taxis, e che il Vescovo di Roma è pertanto il protos tra i patriarchi" (n. 41). Va però ulteriormente studiato il ruolo di quest'ultimo nella comunione di tutte le Chiese, verificando la "funzione specifica del vescovo della "prima sede" in un'ecclesiologia di koinonia» (n. 45). E proprio questo è il punto chiave dell'attuale intercorso ecumenico 3. Infatti, anche se "il primato, a tutti i livelli è una pratica fermamente fondata nella tradizione canonica della Chiesa", e benché "il fatto del primato a livello universale" sia "accettato dall'Oriente e dall'Occidente, esistono delle differenze nel comprendere sia il modo secondo il quale esso dovrebbe essere esercitato, sia i suoi fondamenti scritturali e teologici" (n. 43). In merito a questi "fondamenti", e proprio al fine di contribuire a comprendere insieme e nei medesimi termini la natura e la missione del primato pontificio, vorremmo additare qui una imprescindibile pista da percorrere nella speranza che tale comprensione giovi poi a rinvenire una modalità condivisa di esercizio primaziale. La realtà chiave che a nostro parere va assolutamente recuperata e alla quale dedichiamo il presente intervento, è la dimensione squisitamente petrina del primato. Accenneremo solo in coda al corollario che consegue alla "petrinità", ossia all'indole e modalità "pastorale" che il servizio del prôtos ha da assumere. Va subito rimarcato che il testo di Ravenna, che pur giudichiamo molto positivo, elude la fondamentale e previa questione circa l'origine e la natura del primato universale nella Chiesa. È sintomatico che il nome 1 "Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della chiesa comunione ecclesiale, conciliarità e autorità". Documento approvato dai membri della "Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa" (eccetto la delegazione russa) durante la decima sessione plenaria della Commissione a Ravenna (8-14 ottobre 2007). (Cf p.e. B. FORTE, «Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità nel dialogo cattolico-ortodosso», in www.chiesacattolica.it/cci_new_v3/.../17/forte.doc). 2 Si trova qui l'eco del decisivo Canone apostolico 34 citato ben tre volte nel documento (ai nn. 10, 24, 26): "I vescovi di ciascuna nazione (ethnos) debbono riconoscere colui che è il primo (protos) tra di loro, e considerarlo il loro capo (kephale), e non fare nulla di importante senza il suo consenso (gnome); ciascun vescovo può soltanto fare ciò che riguarda la sua diocesi (paroikia) ed i territori che dipendono da essa. Ma il primo (protos) non può fare nulla senza il consenso di tutti. Poiché in questo modo la concordia (homonoia) prevarrà, e Dio sarà lodato per mezzo del Signore nello Spirito Santo". Cf J. SYTY, Il primato nella ecclesiologia ortodossa attuale. Il contributo dell'ecclesiologia eucaristica di Nicola Afanassieff e John Zizioulas, Roma 2002, 174-175; D. COGONI, Il mistero della Chiesa e il primato del vescovo di Roma nella prospettiva della teologia ortodossa della sobornost' (Analisi e valutazione), Vicenza 2005, 364s. Vedi pure H. ALFEYEV, «Primauté et conciliarité dans la tradition orthodoxe», in Istina 54 (2009) 29-36. 3 Dopo previ incontri (Cipro 2009, Roma 2011 e Parigi 2012), dal 15 al 23 settembre 2014, la Commissione mista cattolico-ortodossa presieduta dal card. K. Koch e dal Metrop. Giovanni di Pergamo, si riunisce ad Amman per discutere un testo su "Conciliarità e Primato".

Sul fondamento del primato pontificio. La ricezione della “petrinità” della sede romana in Oriente. Carlo Lorenzo Rossetti [«Sul fondamento del primato pontificio. La ricezione della “petrinità” della sede romana in Oriente», in Gregorianum 96/2 (2015) 265-284. ] Un significativo passo nel dialogo ecumenico tra le Chiese cattolica e ortodossa è costituito dal cosiddetto “Documento di Ravenna” (2007)1. Come noto, la tesi centrale è la necessaria e indissolubile congiunzione tra autorità e comunione ad ogni livello della vita ecclesiale, locale, regionale e universale: “Primato e conciliarità sono reciprocamente interdipendenti. Per tale motivo il primato ai diversi livelli della vita della Chiesa, locale, regionale e universale, deve essere sempre considerato nel contesto della conciliarità e, analogamente, la conciliarità nel contesto del primato” (n. 43)2. In questa prospettiva, Cattolici e Ortodossi “concordano sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che ‘presiede nella carità’, secondo l’espressione di Sant’Ignazio d’Antiochia (Ai Romani, Prologo), occupava il primo posto nella taxis, e che il Vescovo di Roma è pertanto il protos tra i patriarchi” (n. 41). Va però ulteriormente studiato il ruolo di quest’ultimo nella comunione di tutte le Chiese, verificando la “funzione specifica del vescovo della “prima sede” in un’ecclesiologia di koinonia» (n. 45). E proprio questo è il punto chiave dell’attuale intercorso ecumenico3. Infatti, anche se “il primato, a tutti i livelli è una pratica fermamente fondata nella tradizione canonica della Chiesa”, e benché “il fatto del primato a livello universale” sia “accettato dall'Oriente e dall'Occidente, esistono delle differenze nel comprendere sia il modo secondo il quale esso dovrebbe essere esercitato, sia i suoi fondamenti scritturali e teologici” (n. 43). In merito a questi “fondamenti”, e proprio al fine di contribuire a comprendere insieme e nei medesimi termini la natura e la missione del primato pontificio, vorremmo additare qui una imprescindibile pista da percorrere nella speranza che tale comprensione giovi poi a rinvenire una modalità condivisa di esercizio primaziale. La realtà chiave che a nostro parere va assolutamente recuperata e alla quale dedichiamo il presente intervento, è la dimensione squisitamente petrina del primato. Accenneremo solo in coda al corollario che consegue alla “petrinità”, ossia all’indole e modalità “pastorale” che il servizio del prôtos ha da assumere. Va subito rimarcato che il testo di Ravenna, che pur giudichiamo molto positivo, elude la fondamentale e previa questione circa l’origine e la natura del primato universale nella Chiesa. È sintomatico che il nome “Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della chiesa comunione ecclesiale, conciliarità e autorità”. Documento approvato dai membri della “Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa” (eccetto la delegazione russa) durante la decima sessione plenaria della Commissione a Ravenna (8-14 ottobre 2007). (Cf p.e. B. FORTE, «Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità nel dialogo cattolico-ortodosso», in www.chiesacattolica.it/cci_new_v3/.../17/forte.doc). 2 Si trova qui l’eco del decisivo Canone apostolico 34 citato ben tre volte nel documento (ai nn. 10, 24, 26): “I vescovi di ciascuna nazione (ethnos) debbono riconoscere colui che è il primo (protos) tra di loro, e considerarlo il loro capo (kephale), e non fare nulla di importante senza il suo consenso (gnome); ciascun vescovo può soltanto fare ciò che riguarda la sua diocesi (paroikia) ed i territori che dipendono da essa. Ma il primo (protos) non può fare nulla senza il consenso di tutti. Poiché in questo modo la concordia (homonoia) prevarrà, e Dio sarà lodato per mezzo del Signore nello Spirito Santo”. Cf J. SYTY, Il primato nella ecclesiologia ortodossa attuale. Il contributo dell’ecclesiologia eucaristica di Nicola Afanassieff e John Zizioulas, Roma 2002, 174-175; D. COGONI, Il mistero della Chiesa e il primato del vescovo di Roma nella prospettiva della teologia ortodossa della sobornost’ (Analisi e valutazione), Vicenza 2005, 364s. Vedi pure H. ALFEYEV, «Primauté et conciliarité dans la tradition orthodoxe», in Istina 54 (2009) 29-36. 3 Dopo previ incontri (Cipro 2009, Roma 2011 e Parigi 2012), dal 15 al 23 settembre 2014, la Commissione mista cattolico-ortodossa presieduta dal card. K. Koch e dal Metrop. Giovanni di Pergamo, si riunisce ad Amman per discutere un testo su “Conciliarità e Primato”. 1 1 di s. Pietro non sia mai menzionato, né si spieghi la ragione per cui la sede romana fosse considerata primaziale. Ora, tale quesito è, di fatto, inaggirabile e pone la seguente alternativa: o il primato dipende dalla volontà del Signore espressa nei detti evangelici riferiti a Pietro, ovvero esso si radica solo in una tradizione conciliare che integrò ecclesiasticamente l’autorità civile della capitale dell’Impero. Ricordiamo che, non a caso, proprio questa problematica emerse ripetutamente durante un rilevante convegno tenutosi a Roma nel 20044. Essa si enuncia così: “una questione di base è stata sollevata da parte ortodossa: è possibile concepire un primato del vescovo di Roma senza riferimento al ministero di Pietro?”5. Ed ecco alcune affermazioni emblematiche in senso negativo: “La tradizione ortodossa conosce il concetto di primato, senza tuttavia fare nessun diretto riferimento al ministero di Pietro. Tale riferimento al ministero petrino è necessario per dotare la Chiesa di un reale primato? Apparentemente, la risposta è sì per i cattolici e no per gli ortodossi”. “Alcuni ortodossi (…) hanno espresso dei dubbi sulla tesi cattolica circa la chiesa di Roma quale Chiesa fondata dagli apostoli Pietro e Paolo. Secondo il loro punto di vista, il Nuovo Testamento non offre basi sufficienti per giungere ad una tale conclusione”. “La Chiesa d’Oriente pone tutta la dialettica circa il primato del papa nel contesto dell’istituzione canonica della Pentarchia dei Patriarchi. Essa rifiuta anche, come non fondati, o addirittura orgogliose, le rivendicazioni del papa qualsiasi esse fossero, senza però comprendere l’evoluzione parallela e nascosta del rapporto tra il primato papale e la teoria del ministero di Pietro, di cui nessun documento rivolto all’Oriente fa ufficialmente menzione” (V. Phidas). “La concezione ‘petrina’ che la chiesa romana sostiene della funzione del papato rimane estranea alla tradizione esegetica e ecclesiologica della Chiesa ortodossa” sicché sarebbe forse “possibile pensare un primato basato soltanto sulla legge canonica e non su un dogma” (J.-C. Larchet )6. Tali affermazioni smantellano, di fatto, l’impianto del dogma cattolico sul primato, basato appunto sulla successione petrina, il quale nella sua essenza recita così: “credendum…est sanctam apostolicam sedem et Romanum pontificem in universum orbem tenere primatum, et ipsum pontificem romanum successorem esse beati Petri principis apostolorum, et veri Christi vicarium…et ipsi in beato Petro pascendi, regendi ac gubernandi universalem ecclesiam a domino nostro Iesu Christo plenam potestatem traditam esse” 7. Il punto radicale e dirimente della discussione è quindi, come dicevamo, di verificare se, in fin dei conti, l’autorità del vescovo di Roma sia solo di natura onorifica e tradizionale (fosse pure canonico-conciliare), ovvero se essa si ricolleghi ad un’istituzione divina, proprio perché riconducibile al peculiare ministero di Pietro. Si impone perciò la necessità di indagare il carattere specificamente “petrino” del primato della chiesa romana (considerato pacifico in Occidente)8, e di appurarne in particolare la ricezione in Oriente9. Ed è proprio quello che vorremmo istruire con questo breve, ma, crediamo, essenziale dossier. 1. Dal primo al quinto secolo 4 Cf W. KASPER (ed.), Il ministero petrino. Cattolici e ortodossi in dialogo, Roma 2004. Fondamentali su questo tema sono: M. MACCARRONE (ed.), Il Primato del Vescovo di Roma nel primo millennio, Città del Vaticano 1991 e Kl. SCHATZ, Il primato del Papa. La sua storia dalle origini ai nostri giorni, Brescia 1996. Per la questione ecumenica: cf G. CERETI, Le Chiese cristiane di fronte al papato. Il ministero petrino del vescovo di Roma nei documenti del dialogo ecumenico, Bologna 2006 e ID. “Il papato al servizio dell’unità delle chiese”, in Credere Oggi 27 (2007) 5168. Ulteriore bibliografia in Th. CORNIÉ, La primauté de l’évêque de Rome dans la théologie francophone du vingtième siècle. Les études de Pierre Batiffol, Charles Journet et Jean-Marie Tillard, Roma 2010, 315-341. 5 KASPER, (ed.), Il ministero petrino, cit. 70. 6 Citiamo rispettivamente da ibid. pp. 91; 131; 83-84; 225 e 247. 7 Cf Conc. Fiorentino, sess. Vi, 6.97.1439; Laetentur caeli [DH 1307], Conc. Vaticano I, sess. iv, 18.07.1870, Pastor aeternus, cap. 2 e 4 (DH 3050-3058; nostri il corsivo). 8 Abbiamo sviluppato questo tema in C.L. ROSSETTI, “Il primato pontificio alla luce della natura “petrina” e “pericoretica” della Chiesa”, in Sudi ecumenici 21/1-2 (2003) 31-62/199-219. 9 O. CLEMENT, Roma diversamente. Un ortodosso di fronte al papato, Milano 1998, 29-36 ; J. LIKOUDIS, The divine Primacy of the Bishop of Rome and Modern Eastern Orthodoxy: Letters to a Greek Orthodox on the Unity of the Church, New Hope (Kent) 2002, specie pp. 113-119. 2 Fra le primissime attestazioni della coscienza orientale del primato romano si trova, la già menzionata definizione da parte di IGNAZIO di Antiochia († 107 ca) della chiesa romana come prokathêménê tês agápês10. Il martire ‘Teoforo’ non spiega su cosa si fondi tale primazia. Egli accenna però alla peculiare eredità apostolica comunità quando soggiunge: “Io non vi do ordini come Pietro e Paolo: essi erano liberi, e io fino ad ora sono uno schiavo”11. In ogni modo è senz’altro la sollecitudine e presidenza romana a spiegare l’intervento di Papa CLEMENTE († 99/100) per riportare pace nella comunità dei Corinti. Nella sua lettera, il vescovo di Roma esorta i fedeli greci ad accogliere con disciplina il suo rimprovero12. Si tratterebbe qui del primo documento attestante un autorevole intervento di tipo pastorale della chiesa romana al di fuori dell’Urbe13. Nel II sec., a fronte di un pullulare di eresie e rischio di frammentazione dottrinale ed ecclesiale, s. IRENEO di Lione († 203) offre ad esempio normativo di ortodossia la traditio della Chiesa di Roma, dotata di una “autorità superiore” in forza dell’origine apostolica testimoniata dall’elenco dei suoi vescovi risalente fino a Clemente e Lino (cf 2Tm 4,21)14. Il grande teologo aveva già indicato papa Igino (ca 140) come “il nono vescovo dopo gli apostoli” e altrove notifica la redazione ebraica del vangelo di Matteo “quando Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e vi fondavano la Chiesa” mentre “Marco, discepolo e interprete di Pietro, mise per iscritto ciò che Pietro aveva insegnato”15. Passando al III sec., risulta molto significativa una lettera datata del 256 scritta da FIRMILIANO († 268) vescovo di Cesarea al suo collega e futuro martire Cipriano di Cartagine († 258)16. In essa, pur criticando la prassi romana di non imporre la ripetizione del battesimo agli eretici, Firmiliano documenta chiaramente di conoscere la consapevolezza che Papa Stefano I († 257) aveva di essere successore sulla cattedra di Pietro: “Stephanus qui per successionem cathedram Petri habere se praedicat”17. La notizia è di grande interesse perché attesta la coscienza che se la Chiesa romana poteva fungere da punto di riferimento dottrinale era a motivo della sua cathedra. Cipriano stesso (che pur si oppose a Stefano sulla questione del battesimo) non contestava che a Roma fosse presente “la cattedra di Pietro, la Chiesa principale dalla quale è sorta l’unità del sacerdozio”18. La forza della chiesa romana stava nelle sue fondamenta: il martirio degli apostoli. In ambito magisteriale e dogmatico, la più antica e famosa attestazione di responsabilità romana verso la Chiesa universale si trova nella lettera di papa DIONIGI († 268) indirizzata nel 262 al suo collega e 10 IGNAZIO di Antiochia, Ep. ad Romanos, Inscr. Ep. ad Romanos, 4, 3. 12 CLEMENTE di Roma, Ep. ad Corinthos, 59, 63. 13 E. CATTANEO ha di recente proposto di retrodatare la lettera, cf «I vota della Chiesa di Roma per l’adventus di Vespasiano nel 69 d.C. (1Clem 60,4-61,3)», in Rassegna di teologia 52 (2011) 533-553. 14 “La chiesa più grande e più antica, conosciuta da tutti; chiesa fondata e costituita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo (a gloriosissimis apostolis Petro et Paulo Romae fundatae et constitutae). Possiamo confondere così tutti coloro che in qualsiasi modo, o per presunzione, o per vanagloria, o per cecità e gusto dell’errore, fondano conventicole. Con questa chiesa, per la sua esimia superiorità (propter potentiorem principalitatem), deve accordarsi la Chiesa universale, cioè i fedeli che sono ovunque; in essa infatti viene conservata, da coloro che sono dovunque, la tradizione derivante dagli apostoli” (Adv. Haer. III, 3, 2-3). 15 Cf Adv. Haer. I, 27, 1; III, 1, 1. La derivazione petrina di Marco è importante per il prestigio che poi assumerà la chiesa alessandrina da lui fondata (cf infra). 16 Cipriano conosceva le celebri affermazioni di Tertulliano († 220): “Questa Chiesa di Roma, quanto è beata! Furono gli apostoli stessi a versare a lei, col loro sangue, la dottrina tutta quanta (quam felix ecclesia cui totam doctrinam apostoli cum sanguine suo profuderunt). E’ la Chiesa, dove Pietro è parificato, nella passione, al Signore; dove Paolo è coronato del martirio di Giovanni [Battista]” (De praescr. haer., 36). La congiunzione tra martirio e insegnamento, cui questo bel testo accenna, darà luogo allo sviluppo della dottrina circa la presenza e sussistenza della Cathedra Petri nella chiesa di Roma. 17 DH 111. Testo integrale in CSEL 3/2, 822 o PL 3, 1218A. 18 CIPRIANO, Ep. 59, 14: “ad Petri cathedram adque Ecclesiam principalem unde unitas sacerdotalis exorta est” (PL 3, 844-846). Sul Primatus Textus del De unitate cf P. A. GRAMAGLIA, “Cipriano e il primato romano”, in Rivista di Storia e Letteratura Religiosa 28 (1992) 185-213, che vi scorge una falsificazione avvenuta sotto Pelagio II (579590). A favore invece dell’autenticità ciprianea cf la tesi del Bévenot, ripresa da H. M ONTGOMERY, “Subordination or Collegiality. St. Cyprian and the Holy See”, in Studia graeca et latina Gothogurgensia 54 (1990) 41-54. 11 3 omonimo di Alessandria19. Il vescovo romano si fa garante dell’ortodossia evitando sia il modalismo sabelliano che il triteismo: la divinità è ineffabile Unità (Monas) che in quanto unità paterna ha in se stessa il Logos e il Pneuma che non contraddicono l’unicità del principio – la monarchia – ma ne dicono l’indole comunionale e triadica. Se Clemente scrivendo ai Corinzi esprimeva la sollecitudine pastorale di Roma, Dionigi manifesta invece la premura dottrinale della sede apostolica Nella prima metà del IV sec., basandosi sulle testimonianze a lui note del prete Gaio (ca 210) e del vescovo Dionigi di Corinto (II sec.), lo storico EUSEBIO di Cesarea († 340) riporta le più antiche tradizioni sul martirio romano e sul luogo di sepoltura (rispettivamente sul Vaticano e sulla via Ostiense) di Pietro e Paolo: “Paolo fu decapitato nella stessa Roma e Pietro invece fu crocifisso sotto Nerone. La tradizione è confermata dal fatto che tuttora i nomi di Pietro e di Paolo hanno un vero predominio nei monumenti cimiteriali di quella città”. Sicché a Roma sono noti “i trofei dei fondatori di questa Chiesa” i quali “subirono il martirio nello stesso tempo”20. Numerose altre testimonianze documentano la coscienza del carattere petrino della sede romana. Il concilio di Sardica (342/343), de facto occidentale, ma successivamente avallato dal tipicamente orientale ‘Quinisesto’ (692), riconosce la chiesa romana come istanza petrina di cassazione in caso di conflitti o dispute tra chiese particolari: “Nel caso in cui un vescovo è condannato per un affare qualunque, ma crede che egli abbia ragione in misura sufficiente perché si possa ricominciare la procedura, se piace alla vostra carità, onorando quindi la memoria dell’apostolo Pietro (Petrou tou apostolou tên mnêmên timêsômen), coloro che sono giudicati, scrivano dunque al vescovo di Roma Giulio affinché, se ciò è necessario, il tribunale sia rifatto dal vescovo della provincia vicina, e che lui stesso (il vescovo di Roma) nomini dei giudici; ma se egli non può affermare che la questione necessiti d’un secondo giudizio, la sentenza già resa, non sarà riveduta ma sarà considerata come valida” (can. 3). Il can. 4 impone che prima del responso del vescovo di Roma cui un vescovo deposto abbia fatto appello, non venga istituito un altro vescovo sulla sua sede21. In piena crisi ariana, s. ATANASIO il Grande († 377) si avvale del sostegno di papa Giulio e riconosce il coraggio antiariano di papa Liberio († 366), posto sul “trono apostolico” (apostolikos thronos), e ribadisce che nella chiesa di Roma sussistono vive “le tradizioni del beato e grande apostolo Pietro” (paradoseis para tou makariou kai megalou apostolou Petros)22. Nel 381, il can. 3 del concilio di Costantinopoli pretende di equiparare la nuova Roma imperiale all’antica suscitando la reazione negativa di s. DAMASO papa († 384), il quale, in occasione del concilio romano del 382, confuta siffatta decisione del costantinopolitano e insiste sull’apostolicità per eccellenza della sede romana, il cui primato dipende non da una decisione sinodale, bensì dalla volontà di Cristo e dalla testimonianza di Pietro e di Paolo: “Sebbene tutte le chiese cattoliche sparse per il mondo siano l’unico talamo di Cristo, nondimeno, non è in virtù di decisioni sinodali che la chiesa romana fu posta al di sopra delle altre chiese; essa ha invece ricevuto il primato dalla parola del nostro Signore e salvatore, contenuta nel vangelo (nullis synodicis constitutis ceteris Ecclesiis praelata sit, sed evangelica voce Domini et Salvatoris primatum obtinuit). A ciò si aggiunge la comunione del beatissimo Paolo apostolo, vaso di elezione, che non in un momento diverso (come sostengono gli eretici), ma morendo nel medesimo tempo e nello stesso giorno di Pietro, fu coronato di gloriosa morte nella città di Roma sotto Cesare Nerone: ed insieme consacrarono la chiesa romana a Cristo Signore, e con la loro presenza e con il loro venerabile trionfo le diedero primato rispetto a tutte le altre [chiese] del mondo intero. La prima sede dell’apostolo Pietro è dunque la chiesa romana ‘la quale non ha macchia né ruga, né 19 Cf il testo in ATANASIO, De Decretis nicenae synodis 26, 2 e De sententia Dionysii, V, 13. Su questa lettera vedi H. PIETRAS, “La difesa della monarchia divina da parte del papa Dionigi”, in Archivum Historiae pontificiae 28 (1990) 335-342. 20 EUSEBIO, Historia ecclesiastica, 2, 25, 5-8; vedi anche G IOVANNI Crisostomo, In ep. ad Roman., 33, 2. 21 Cf P.-P. JOANNOU, Les canons des Synodes Particuliers, Grottaferrata 1962, 162-163 (= Mansi 3, 7-10); cf CLEMENT, Roma diversamente, cit. 30. 22 Cf ATANASIO, Hist. Arian. 35-36 (PG 25, 733C; 735A). 4 altra cosa simile’ (Ef 5,27). La seconda sede è stata consacrata ad Alessandria, in nome di Pietro da Marco suo discepolo…La terza sede del beato apostolo Pietro è onorata ad Antiochia perché egli vi ha risieduto prima di venire a Roma, ed è là che per la prima volta ha risuonato il nome del nuovo popolo dei cristiani”23. Questo testo riappare immutato agli inizi del VI sec. nel Decretum gelasianum24 e la menzione della “petrinità” delle tre sedi Roma-Alessandria-Antiochia citate nel can. 6 di Nicea (325) sarà spesso ripresa in ambito romano25. Da parte orientale, numerosi documenti ufficiali attestano la ricezione del nesso tra Pietro e Roma. Gli Imperatori di Costantinopoli, che si considerano sempre Romani, non mancano di confermare, almeno in teoria, il primato (petrino) della sede dell’antica Roma. Così nel 380, lo storico editto di Tessalonica di TEODOSIO il Grande († 395) dichiara come unica legittima fede quella cattolica romano-petrina: “tutto il popolo deve confessare la religione che l’apostolo Pietro stesso ha trasmesso ai Romani e che è stata continuata fino ai giorni presenti nella religione che propone il Papa Damaso” 26. Gallia Placida († 450) ammette la derivazione petrina del primato del vescovo di Roma 27 e nel 445 Valentiniano III († 455) dà valore legale alle decisioni della sede romana28. Se si ricorda l’importanza della figura del basileus cristiano in Oriente, questi pronunciamenti hanno tutto il loro peso. Quando i delegati romani al terzo concilio ecumenico di Efeso (431) sostengono l’autorità del loro vescovo, il papa Celestino, lo fanno esplicitamente in nome dell’eredità di s. Pietro29. Ma è con s. LEONE I Magno († 461) che giunge a piena maturità la consapevolezza e l’espressione ecclesiale che la chiesa romana sia l’autorevole depositaria dell’eredità petrina30. E tale consapevolezza è testimoniata da entrambi i sensi: comunicata da Roma all’Oriente e da esso recepita. Così, il quarto Concilio ecumenico di Calcedonia (451) riconosce nella dottrina dell’autore del Tomus ad Flavianum, le parole stesse del Primo apostolo. La Lettera conciliare definisce papa Leone “interprete della voce di Pietro” (Petrou phonês hermêneus) e capo del corpo episcopale (hôs kephalê melôn)31. Da parte sua, il vescovo di Roma insegna con estrema chiarezza (ed anche in numerosi testi rivolti all’Oriente) la propria coscienza di servire l’indefettibilità della Cathedra Petri (cf Mt 16,18) e la cura pastorale universale affidata al primo apostolo (cf Gv 21,15ss). Il proprium di Pietro è un primato di servizio nel consesso del corpo apostolico (cf Lc 22,32). Alla luce di ciò ricordiamo la sintomatica netta opposizione di s. Leone al canone 28 di Calcedonia32 espressa in tre lettere del 452 rivolte rispettivamente ai sovrani Marciano e 23 PL 13, 374C-376A. Cf J. PALANQUE, in Storia della Chiesa, III/2. Dalla pace costantiniana alla morte di Teodosio (313-395), Torino 1972, 706. Su tuta la vicenda vedi M. GHILARDI – G. PILARA, La città di Roma nel pontificato di Damaso (366-384), Roma 2010, 5-95. 24 Alla explanatio fidei di Damaso, il testo ‘gelasiano’ aggiungerà la lista dei quattro concili ecumenici riconosciuti da Roma (PL 59, 160A). 25 Cf s. Bonifacio I († 422) (cf Ep. 14; DH 233), s. Leone I († 461) (cf Ep. 106, 5), s. Gelasio I († 496) (Decretum Gelasianum, DH 350), s. Gregorio Magno († 604) (cf Regist. V, 42 e VI, 61; X, 21) e s. Nicola I († 867; cf Ep. ad Imperat. Michaelem III [863/865], PL 119, 949B). Cf V. GROSSI, “Testimonianze patristiche su Pietro, vescovo della Chiesa di Roma. Coordinate di una lettura storico-teologica”, in KASPER (ed.), Il ministero petrino, cit. 93-130, specie 111ss. 26 Codex theodosianum, XVI, 1,2. Il Codice giustinianeo confermerà la coscienza imperiale orientale del primato della sede romana come “capo di tutte le chiese” (cf Ep. ad Papam Ioannem II in Codex Iustinianeum, lib. I. tit. 1). 27 Cf LEONE M., Ep. 58 (PL 54, 266). 28 “Hoc illis omnibusque pro lege sit quidquid sanxerit apostolicae sedis auctoritas”, Leges novellae ad Theodosianum pertinentes, ed. Th. MOMMSEN - P. M. MEYER, Berlin 1905, 103. 29 Cf ACO I/1,3, 60. 30 Ciò è testimoniato, tra l’altro, dalle lettere a papa Leone di Teodoreto di Ciro († 457). 31 Mansi 6, 148. Riecheggia qui la dottrina di s. Bonifacio per cui al ruolo capitale di Pietro nel collegio apostolico corrisponde quello della chiesa romana tra le chiese (cf Ep. 14; DH 233). 32 Il canone motiva il primato “perché la città era città imperiale (dia to basileuein tên polin). Per lo stesso motivo i Centocinquanta vescovi diletti da Dio [i Padri del Concilio di Costantinopoli] concessero alla sede della santissima nuova Roma, onorata di avere l’imperatore e il senato, e che gode di privilegi uguali a quelli dell’antica città imperiale di Roma, eguali privilegi (hisa presbeia) anche nel campo ecclesiastico e che fosse seconda dopo di quella…” (Conciliorum oecumenicorum decreta, ed. G. Alberigo et al. = COD 99-100). Su tutta l’importante vicenda cf S. WESSEL, Leo the Great and the Spiritual Rebuilding of a Universal Rome, Leiden-Boston 2008, 282ss e già A. DE 5 Pulcheria e al vescovo Anatolio di Costantinopoli33. Di particolare importanza l’ultima, del 22 maggio 452 (ms. Vat. Gr. 1455), i cui toni, insieme paterni ed evangelici, annunciano quelli che Gregorio Magno userà con Giovanni il Digiunatore. Nella prima, Leone ribadisce con forza che non si può assimilare una città regia con una sede apostolica (Ep. 104, 3); nella seconda, egli cassa la decisione disciplinare di equiparare Costantinopoli a Roma “per auctoritatem beati Petri apostoli” (Ep. 105, 3). Nella missiva al patriarca, il papa ne rimprovera apertamente l’ambizione (Ep. 106, 1), che contrasta con le decisioni del primo e decisivo concilio di Nicea (ibid. 2), il quale menzionò le tre sedi in forza del loro rapporto a s. Pietro (ibid. 5). Il medesimo paragrafo testimonia pure che il canone 3 di Costantinopoli, cui Anatolio si riferiva, non era stato ricevuto da Roma (“numquamque a praedecessoribus tuis ad apostolicae sedis transmissa notitiam”). Anche nella lettera del 21 marzo 453 rivolta ai vescovi che presero parte a quel concilio34 si trova lo stesso avallo della dottrina teologica di Calcedonia con, nel contempo, l’identico rifiuto del canone 28; di fatto preludio alla “Pentarchia” di epoca giustinianea, ovvero il governo universale della Chiesa riconducibile alle Cinque sedi di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme 35. La prospettiva era esclusivamente politica e la dimensione apostolica e petrina non entrava minimamente in conto. Tramite i suoi legati, i vescovi Pascasino e Lucenzio e il presbitero Bonifacio, papa Leone, (alla stregua di Damaso verso il canone 3 di Costantinopoli), rifiutò questo canone che, di fatto, equiparava l’importanza civile della nuova capitale all’apostolicità della prima. In questa scia, anche papa GELASIO († 496), respinse il canone 28 e lo statuto metropolitano di Costantinopoli, ribadendo la ‘triarchia petrina’ di Nicea36. Detto questo, va ribadito che la coscienza del primato attestata da papa Leone non eliminava affatto la consapevolezza della necessaria collegialità e del rispetto della tradizione conciliare37. Nel 484, papa Felice III († 492) ha l’autorità di scomunicare il patriarca Acacio di Costantinopoli († 489) che approvò un documento ambiguo circa l’ortodossia caledonense (l’Henotikon). Allo scisma che ne seguì porrà fine una palese espressione del primato petrino della comunità romana rivolta all’Oriente: papa ORMISDA († 523), nel celebre Libellus (515/518) – giuramento sottoposto ai sacerdoti costantinopolitani –, commenta così il tu es Petrus: “queste parole sono verificate nei fatti: è nella sede apostolica che si è sempre conservata senza macchia la religione cattolica (quia in Sede apostolica immaculata est semper catholica servata religio)”. Questo quindi l’impegno assunto dai presbiteri: “pertanto spero di essere in comunione con la sede apostolica nella quale si trova l’intera e vera e perfetta stabilità della religione cristiana (in qua est integra et verax christianae religionis [et perfecta] soliditas)”38. 2. Testimonianze del periodo bizantino Nel VI sec., l’imperatore GIUSTINIANO († 565) designa l’Urbe come “caput omnium Ecclesiarum”; riconosce in essa la sede dell’ortodossia e, in occasione della disputa con papa Vigilio circa la questione dei Tre capitoli, si premura di confermare che “noi conserviamo l’unione con la Sede apostolica”39. Il patriarca GIOVANNI di Gerusalemme († 593) in una lettera rivolta al Catholicos dei georgiani, si esprime così: “per quel che riguarda la santa chiesa abbiamo la parola del Signore che disse a Pietro, capo degli HALLEUX, “Le décret Chalcédonien sur les prérogatives de la nouvelle Rome”, Ephemerides Theologicae Lovanienses 64 (1988) 288-322 (specie p. 296 sulla ricezione del can. 3 di Costantinopoli); per la bibliografia cf COD 76. 33 Epp. 104-106, PL 54, 995D; 1000B; 1007B-C. Cf CORNIÉ, La primauté, cit. 70 con rimandi a Batiffol. 34 Ep. 114, 2. Medesimo rimando ai canoni di Nicea: “De custodiendis quoque sanctorum Patrum statutis, quae in synodo Nicaena inviolabilibus sunt fixa decretis, observantiam vestrae sanctitatis admoneo” (1031A e gr.1032A). 35 Sui Cinque patriarcati nel Codice giustinianeo, cf la Novella 131 § 2. Sulla pentarchia vedi F.R. G AHBAUER, Die Pentarchietheorie: Ein Modell der Kirchenleitung von den Anfängen bis zur Gegenwart, Frankfurt am Main 1993 e V. PERI, “La pentarchia: istituzione ecclesiale (IV-VII sec.) e teoria canonico-teologica”, in Bisanzio, Roma e l’Italia nell’alto medioevo, Spoleto 1988, 209-311. Sui limiti teologici di tale concetto vedi però SYTY, Il primato nella ecclesiologia ortodossa attuale, 171. Va detto che in seguito, fatte salve le prerogative petrine di Roma, l’ordine delle Cinque Sedi sarà comunque finalmente accolto nel magistero cattolico (cf Costantinopoli IV, 870; Lateranense IV, 1215 e Firenze, 1439; DH 661, 811, 1308). 36 Cf il già citato Decretum Gelasianum, PL 59, 159-160. 37 “Privilegia ecclesiarum, sanctorum patrum canonibus instituta, et venerabilis Nicenae synodi fixa decretis, nulla possunt improbitate convelli, nulla novitate mutari” (Ep. 110, 3 ad Marcianum Augustum; PL 54, 995AB). 38 DH 363.365. 39 Cf rispettivamente PL 66, 15; e Codex I, 1, 7 e Mansi 9, 367. 6 apostoli, quando gli diede il primato della fede per il rafforzamento delle chiese: ‘Tu sei Pietro…’. Allo stesso Pietro egli diede le chiavi del cielo e della terra; ed è seguendo la sua fede che fino a questi giorni i suoi discepoli e i dottori della Chiesa cattolica legano e sciolgono; legano i malvagi e sciolgono dalle loro catene coloro che fanno penitenza. Tale è, al di sopra di tutto, il privilegio di coloro che sono successori di Pietro sulla prima e santissima e venerabile sede, consoni alla fede e in accordo con la parola di Dio”40. Il Liber pontificalis registra la conferma a papa Bonifacio III da parte dell’imperatore Foca († 610) della primazia di Roma come sede di Pietro41. Del grande teologo s. MASSIMO il Confessore († 662) abbiamo due rilevanti testi che riconoscono in modo indubitabile il primato a servizio della fede e la peculiare petrinità attribuiti alla chiesa di Roma che “ha ricevuto da Dio Verbo incarnato stesso, così come da tutti i santi sinodi, secondo i canoni e le sacre definizioni, e possiede in tutto e per tutto, la sovranità, l’autorità e il potere di legare e sciogliere [cf Mt 16,19] su tutte le sante chiese di Dio che sono su tutta la superficie della terra”42. Altrove, menzionando esplicitamente Mt 16 e parlando della “santissima chiesa dei Romani e della sua fede”, s. Massimo dichiara: “dalla discesa a noi del Verbo incarnato, tutte le chiese dei cristiani di qualsiasi luogo hanno avuto e considerato quella grande (chiesa) come unico fondamento (krêpida) e base (themelion), in quanto mai le porte dell’inferno non hanno prevalso contro di essa, secondo la promessa stessa del Salvatore, poiché essa ha le chiavi della fede e della confessione ortodossa in Lui (tas kleis tês eis auton orthodoxou pisteôs), aprendo a coloro che si accostano piamente a ciò che è realmente la sola vera pietà, ma chiudendo e mantenendo ben chiusa ogni bocca eretica che proferisce in grado sommo l’empietà”43. Contemporaneo di Massimo, Sergio di Cipro, scrivendo a papa Teodoro, conferma, citando Mt 16 la consapevolezza orientale che la Sede romana sia «fondamento irremovibile e pilastro della fede»44. Da parte sua, Teodoro Spudeo, riconosce nella persecuzione che colpì papa Martino un attacco contro il “santissimo Padre, beato in Dio, fedele principe degli apostoli e papa apostolico universale”45. Poco più tardi, il concilio di Costantinopoli III (680) acclama la lettera di Papa Agatone († 681) sulle due volontà di Cristo46. Un secolo dopo, il Concilio di Nicea II (787) esalta il ruolo decisivo di Papa Adriano († 795), che nella sua Lettera al patriarca Tarasio aveva esposto la dottrina sull’iconodulia e difeso il primato petrino di Roma47. L’Imperatrice IRENE († 803) riconosce il valore petrino della Sede romana indicando nel Papa il “vero primo sacerdote e colui che presiede nel luogo e nella sede del santo e lodatissimo Pietro apostolo” (verus primus sacerdos et is qui in loco et sede sancti et superlaudabilis apostoli Petri praesidet)48. Si ammette anche il principio per cui un Concilio è ecumenico se approvato dal romano pontefice. Motivo per il quale si condanna il Concilio iconoclasta di Hieria (754)49. Si trova così documentata la consapevolezza che le questioni di fede controverse “possono essere risolte definitivamente soltanto in unione con la sede romana e non senza di essa”50. S. TEODORO Studita († 826), grande difensore della venerazione delle icone, aveva scritto una appassionata lettera a papa Leone III, invitandolo a contrastare la crisi iconoclasta e il suddetto sinodo che radunò ben 338 vescovi orientali. La trascriviamo con un grande stralcio per la sua bellezza e potenza retorica: 40 Mansi 12, 196. Cf F. DVORNIK, Byzance et la primauté romaine, Paris 1964, 72-73. Questo fatto sarà ricordato anche da Niceta di Nicomedia nel suo celebre dibattito teologico del 1136 con Anselmo di Havelberg († 1158) (“nam et Bonifacius tertius…obtinuit apud Phocam principem ut sedes apostolica beati Petri apostoli caput esset omnium Ecclesiarum, quia Constantinopolitana tunc temporis se primam omnium scribebat propter translatum imperium”, cf PL 188, 1218A). 42 Opuscula theologica et polemica, XII (PG 91,144C). Testo solo in latino, ma autentico e di importanza capitale, cf J.-C. LARCHET, Maxime le Confesseur, médiateur entre l’Orient et l’Occident, Paris 1998, 141, 145, 177, 185. 43 Theol. et polem. XI, (PG 91, 140A). 44 Ep. ad Theod. lecta in Sess. II Concil. Lat. (649). 45 Mansi 10, 857B. 46 Cf COD 126; Mansi 11, 684s. Si sa che lo stesso Concilio condannò Papa Onorio per monotelismo; il ché sarà poi confermato da Papa s. Leone II (cf COD 125; DH 563). 47 Cf Mansi 12, 1081. 48 Mansi 12, 985c. 49 Cf Mansi 13, 208-209. 50 SCHATZ, Il primato, 104. 41 7 “Poiché è al grande Pietro che Cristo nostro Dio diede le chiavi del Regno dei cieli [cf Mt 16] e affidò la dignità di capo del gregge [cf Gv 21], è a Pietro, cioè al suo successore che bisogna sottomettere ogni innovazione che si fa nella Chiesa cattolica da parte di coloro che vogliono sviarsi dalla verità. È quello che noi, umili e piccoli monaci abbiamo imparato dagli antichi padri…Io ricalco ora il grido del Corifeo degli apostoli, invocando Cristo in suo soccorso quando le onde lo stavano sommergendo [cf Mt 14] e dico a sua beatitudine imitatrice di Cristo: ‘o primo pastore della Chiesa che è sotto i cieli, salvaci adesso, noi periamo’. Imita il Cristo, tuo maestro, stendi la tua mano verso la tua Chiesa come Egli la stese verso Pietro. Pietro iniziò ad affondare nei flutti, mentre la nostra Chiesa è ancora una volta sommersa nelle profondità dell’eresia. Emula, ti supplico, il grande papa di cui porti il nome [i.e. Leone Magno] e proprio come egli si erse spiritualmente come un leone al comparire dell’eresia di Eutiche, con le sue lettere dogmatiche, così, da parte tua (osa parlare così a causa del tuo nome) ruggisci divinamente, o meglio, scaglia i tuoi lampi contro l’eresia attuale. Perché, se essi, usurpando un’autorità che non appartiene loro, hanno osato di radunarsi in un concilio eretico [i.e. quello di Hieria, con 338 vescovi], allorché coloro che seguono gli usi antichi non hanno nemmeno il diritto di convocarne uno ortodosso a tua insaputa, è assolutamente necessario, osiamo dirtelo, che il tuo divino primato convochi un concilio legittimo affinché il dogma cattolico possa eliminare l’eresia e affinché né il tuo divino primato (theia prôtarchia) sia conculcato insieme a tutti gli ortodossi da queste nuove voci senza autorità, né che volontà male intenzionate possano trovare in un siffatto concilio adulterino una scusa per farsi coinvolgere nel peccato. È per obbedire alla tua divina autorità come Pastore capo (theia poimenarchia) che abbiamo espresso queste cose in modo consono alla nostra nullità, noi gli ultimi membri della Chiesa”51. All’imperatore Michele II, lo stesso monaco di Studium ricordava che la chiesa di Costantinopoli potrebbe recuperare la comunione con gli altri tre patriarcati solo tramite l’unione con la sede di Roma ‘capo delle chiese di Dio’. In essa infatti si compie la promessa rivolta da Cristo a Pietro (Mt 16) 52. In un altra lettera egli si rivolge a papa Pasquale († 828) indicandolo come “capo apostolico, pastore delle pecore preposto da Dio, clavigero del Regno dei cieli, roccia della fede sulla quale è costruita la Chiesa cattolica, perché tu sei Pietro, che adorni e governi la sede di Pietro (Petros gar sy ton Petrou thronon kosmôn kai diepôn)”53. Nello stesso periodo, il patriarca NICEFORA di Costantinopoli († 829) celebra la sede romana dichiarando il 7° Concilio pienamente valido, perché “diretto e presieduto” dall’antica Roma: infatti, senza i romani “nessun dogma è discusso nella Chiesa, anche se fosse stato sancito previamente da leggi canoniche e consuetudini ecclesiastiche…Sono loro che possiedono il principato del sacerdozio e che devono questa dignità al corifeo degli apostoli”54. Qualche decennio dopo, in occasione dello scisma foziano (867), il patriarca s. IGNAZIO di Costantinopoli († 877) scrive una eloquente lettera al papa Adriano III in cui presenta la persona del vescovo di Roma come il ‘medico’ voluto da Cristo per guarire le ferite del corpo ecclesiale. Il loghion di Mt 16 serve da autorità. Le parole evangeliche “non sono circoscritte e limitate al principe degli apostoli da solo per una specie di sorte, ma tramite lui, [Cristo] le trasmise a tutti coloro che, dopo di lui, come suoi successori, sarebbero stati fatti Pastori in capo e divini e sacri pontefici dell’antica Roma. Ecco perché, sin dai tempi più remoti, in ogni occasione in cui sorsero eresie e prevaricazioni, i tuoi predecessori su quel trono, cioè, i successori del principe degli apostoli, e imitatori del suo zelo per al fede cristiana, hanno medicato o amputato i membri che erano corrotti o inguaribilmente infettati”55. Dopo lo scisma del 1054 e il trauma del 1204, la coscienza della petrinità di Roma non è stata comunque del tutto dimenticata in Oriente. Andrebbero vagliate le opere di insigni studiosi come Niceforo Blemmida († 1272) e Giovanni Beccos († 1282). Non pare opportuno neppure negare la buona fede al Patriarca di Costantinopoli Giuseppe II († 1439) che poco prima di morire aderì al primato papale in prossimità della 51 PG 99, 1017.1024. Cf J. MEYENDORFF, La teologia bizantina. Sviluppi storici e temi dottrinali, Casale Monferrato (Al.) 1984, 73, con rimando bibliografico a S. Salaville e A. Marin a nota 4. 52 Ib. 1024. 53 Ib. 1152C. 54 PG 100, 597. 55 Mansi 16,47. 8 firma dell’accordo di unione del concilio di Firenze: “io sottoscrivo queste parole rivolte ai miei figli. Tutto ciò che crede la Chiesa cattolica ed apostolica di Nostro Signore Gesù Cristo, la Chiesa antica della prima Roma, io lo sottoscrivo, io lo sento e vi aderisco. Io confesso come beato padre dei padri, sovrano pontefice e vicario di Nostro Signore Gesù Cristo, il papa della prima Roma per assicurare la fede di tutti, e il purgatorio delle anime”56. Bisognerebbe pure studiare attentamente le posizioni storico-teologiche in merito alla petrinità della sede romana dei teologi intervenuti allo stesso concilio fiorentino. In particolare pensiamo a Gregorio Mammas († 1459), Bessarione († 1472), a Giuseppe di Modone (Plusiadeno) († 1500) et all57. 3. Epoca moderna e contemporanea (XVII-XXI sec.) Al di fuori dell’epoca bizantina, la questione della ‘petrinità’ della chiesa di Roma riemerge sia nella teologia che in alcuni pronunciamenti ufficiali di pastori orientali. Nel 1645, una figura storica dell’ortodossia come il metropolita di Kiev Pietro MOHILA († 1647) sosteneva che “non siamo capaci di negare che il beato Pietro è stato, come professiamo negli inni della nostra Chiesa, il principe degli apostoli e che il suo successore, il romano pontefice, ha avuto in perpetuo la suprema autorità nella Chiesa di Dio”58. Più vicini a noi, occorre menzionare due cime del pensiero russo: V. SOLOV’ËV († 1900) e S. Bulgakov († 1944). Il primo, dopo un accurato studio sulla questione dichiarava: “la parola di Cristo non poteva restare senza effetto nella storia cristiana; e il principale fenomeno di questa storia doveva avere nella parola di Dio una causa sufficiente. Che si trovi dunque, per la parola di Cristo a Pietro, un effetto corrispondente altro che la cattedra di Pietro, e che si scopra, per questa cattedra, una causa sufficiente altra che la promessa fatta a Pietro”59. Di Bulgakov possediamo un singolarissimo testo nato da un’esperienza di tipo mistico: si tratta della lettera all’amico P. Florenskji scritta da Yalta nel 1922. Essa merita di essere abbondantemente citata60: il papa rappresenta il “primato di san Pietro e il vivo tramite dell’unità della Chiesa, il capo infallibile della chiesa militante, colui che dispone della plena potestas” (§ iv )61, colui al quale il Signore Gesù nei vangeli – interpretati senza pregiudizi – concede delle singolarissime prerogative (cf Mt 16 e Gv 21): “nel Vangelo è scritto del primato dell’apostolo Pietro e vi è dato il seme del dogma sul papato, che da questo seme si sviluppa come una pianta»62. Le quisquiglie sui papi Onorio e Liberio sono senza proporzioni rispetto alla “costante ereticità dell’oriente”63. Al discutibilissimo “san” Fozio (“usurpatore e ambizioso”) Bulgakov dice preferire ormai l’autorità filoromana dei Giovanni Crisostomo, Federico Studita, Massimo il Confessore ecc., e, se nello scisma del Cerulario gli occidentali non furono senza macchia “quanto ai dettagli; l’importante è che avevano ragione nell’essenziale”64. Infine tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa di fatto esiste una vera e propria unità già sancita dal concilio di Firenze che deve essere accolto quale esso veramente fu, ossia l’8° concilio ecumenico, anche se “calunniato spudoratamente” e sconfessato dopo la presa di Bisanzio per una accanita “latinofobia” (§ v) 65. “L’unione delle chiese ebbe luogo, dunque, nel 1439, e sebbene essa non sia stata realizzata né utilizzata a tutt’oggi, noi siamo già uniti ai cattolici»66. Bulgakov si trova quindi in piena sintonia con Solov’ëv (§ vi)67. Il mondo cattolico, dallo 56 57 Cf Storia della Chiesa, Torino 1971, vol. XIV/2, p. 704 (cf Acta, pp. 444s). Cf G. PODSKALSKY, Griechische Theologie in der Zeit der Turkenherrschaft, München 1988, 84ss. Vedi la traduzione francese del “Progetto di unione” curata da B. Dupuy in Istina 1990/1. V. SOLOVEV, La Russia e la Chiesa universale [1889], Milano 1989, 132. È vera anche questa frase di V. R OSANOV (Presso le mura della Chiesa): “il Papa prende consiglio, anch’egli studia (…) Ma al momento decisivo, ex cathedra, Pio o Leone personalmente scompaiono, e non resta che la funzione, il ruolo dell’apostolo, lo Spirito Santo” citata da JOURNET, Primauté de Pierre dans la perspective protestante et dans la perspective catholique, Paris 1953, 123, 127. 60 Una versione italiana si trova in Appendice a COGONI, Il mistero della Chiesa e il primato del vescovo di Roma. 61 Ibid. p. 533 (il grassetto è nel testo). 62 Ibid. p. 533. 63 Ibid. p. 534. 64 Ibid. pp. 534-535. 65 Ibid. pp. 536s. 66 Ibid. p. 538. 58 59 9 stile gotico, da Dante e Tommaso sino all’oratoria e agli ordini religiosi sono per Bulgakov un mondo “completamente diverso e insieme mio”68. Tra Oriente e Occidente si dà diversità di forma e stile, ma la fede è identica ed una. Nella vicenda personale del grande teologo questa posizione conobbe delle attenuazioni, anche a causa di una prospettiva sempre più spiritualistica e sofiologica della Chiesa. Essa è nondimeno interessante e documenta la singolare presa di coscienza da parte di un ortodosso del misteroministero petrino nella Chiesa così come lo intende la teologia cattolica. Una quarantina d’anni dopo, precisamente nel discorso del 25 luglio 1967, il patriarca di Costantinopoli, ATENAGORA († 1972), nel salutare papa Paolo VI in visita al Fanar, lo indicò come “santissimo successore di Pietro, che ha di Paolo il nome e la condotta, messaggero di carità, d’unione e di pace…il Vescovo di Roma, il primo per onore tra di noi, ‘colui che presiede nella carità’ (Ignazio di Antiochia)”69. Il Papa dei Copti Ortodossi d’Egitto e Patriarca di Alessandria, sede di s. Marco, in visita il 10 maggio 2013 a Roma si rivolgeva così a papa Francesco: «l’Italie est également citée dans la sainte Bible, dans les épitres de Paul de Tarse, l’apôtre qui, au premier siècle du christianisme, a fondé avec saint Pierre le siège de l’Église chrétienne à Rome où tous deux ont subi le martyre. C’est à peu près à la même époque que l’apôtre saint Marc a fondé le siège de l’Église copte orthodoxe dans la ville d’Alexandrie»70. Solo poco più di un mese dopo, il 29 giugno, facendosi portavoce della Delegazione del Patriarcato ecumenico, Iannis di Pergamo (Zizioulas) diceva: «The Holy Bible informs us that St. Peter and St. Andrew were brothers in the flesh. They met together the Lord and became also brothers in Christ by believing in Him as the Saviour and the Messiah. This faith they bequeathed to the Churches of Rome and Constantinople through their preaching and martyrdom»71. Infine, nella recente “Dichiarazione congiunta” di Gerusalemme, il 25 maggio 2014, papa Francesco e il patriarca Bartolomeo presentano quel loro incontro come «un ulteriore ritrovo dei Vescovi delle Chiese di Roma e di Costantinopoli, fondate rispettivamente dai due fratelli Apostoli Pietro e Andrea». In definitiva, questo dossier storico che andrebbe ulteriormente approfondito e ampliato – magari anche con riferimenti alla ricezione della ‘petrinità’ della chiesa romana da parte di altre chiese orientali72 – rende ragione di questa affermazione di M.K. Krikorian che contrasta con quelle citate in capo a questo articolo: “il primato, ovvero la posizione preminente, del vescovo di Roma in quanto successore di Pietro è un fatto che nessuno può ignorare o trascurare”73. Si verifica qui, storicamente e nella ricezione orientale che “ciò che era visibile in Pietro è passato nel Primato”74. 4. Fondamento “petrino” e modalità “pastorale” del primato 67 Ibid. p. 539. Ibid. p. 542. 69 Tomos Agapis, Vatican-Fanar, 1958-1970, Roma-Istanbul 1971, 170. 70 ORF, 16.05.2013. 71 ORE, 3 July 2013. 72 Sarebbe utile chinarsi sulla posizione di alcune chiese non bizantine: si pensi ai cosiddetti 73 canoni arabi del concilio di Nicea (databili tra la fine del IV e l’inizio del V sec.), il cui can. 39 afferma che “il patriarca presiede sui [vescovi] a lui subordinati così come colui che detiene la sede di Roma è capo e principe di tutti i patriarchi, in quanto egli è il primo come lo era Pietro al quale è dato potere su tutti i prelati cristiani e su tutti i loro popoli” (cf Ph. SCHAFF – H. WALLACE [edd.], Nicene and Post-Nicene Fathers, Second Series, vol. xiv, The Seven Ecumenical Council [1900], NewYork, 2007, 48. I curatori menzionano pure il can. 37 della Nova versio, di matrice antiochena, che riconosce Quattro sedi Patriarcali riferendole a singoli apostoli o evangelisti: Roma a s. Pietro, Alessandria a s. Marco, Efeso a s. Giovanni e Antiochia, altra sede di s. Pietro, ivi). Si pensi ancora al vescovo arabo di Haran, Teodoro AbuQurra (ca 820) (cf LIKOUDIS, The divine Primacy, cit. 113s e 97). 73 M.K. KRIKORIAN, “Il primato del successore dell’apostolo san Pietro visto dalle chiese ortodosse orientali”, in Studi ecumenici 17 (1999) 119 (corsivo nostro). Ciò corrisponde anche alla consapevolezza di taluni teologi della riforma (cf p.e. W. PANNENBERG, “Die lutherische Tradition und die Frage eines Petrusdienstes an der Einheit der Christen” in AAVV., Il Primato del successore di Pietro. Atti del Simposio teologico, Roma 1998, 472ss; vedi pure ARCIC, The gift of authority, 1998 (cf i nn. 46-48). 74 R. PESCH, Die biblischen Grundlagen des Primats, Freiburg 2001, 20. 68 10 Sia lecito concludere questa rassegna storica con una provocazione ecumenica75. Se il primato romano si riallaccia davvero al ministero di Pietro e al mistero della chiamata del prôtos fra gli apostoli, allora esso deve pure essere interpretato, nel suo concreto esercizio, in chiave evangelica e apostolica. Riprendendo qui una intuizione già a suo tempo formulata da J.M. Scheeben ci permettiamo di suggerire che la sfida ecumenica esiga attualmente anche un ripensamento del linguaggio stesso per dire la natura e la modalità del primato: “si potrebbe rinunciare al termine potere di giurisdizione e sostituirgli quello di potere pastorale. Nostro Signore stesso ha usato questa espressione [cf Gv 21,15-17]; essa racchiude tutto ciò che la Chiesa deve fare per condurre ed educare i suoi figli; essa deve pascerli e condurli, pascerli con l’insegnamento della fede, condurli con l’ordinamento delle loro opere”76. Facciamo l’ipotesi che un tale ritorno al Vangelo e al suo vocabolario consentirebbe di muoversi verso un rinnovato modo di pensare e di comprendere il ministero primaziale. Anziché parlare di primato di giurisdizione (come si fa in ambito cattolico), piuttosto che di primato di onore (secondo l’uso ortodosso), la dicitura “primato pastorale” costituirebbe una “piattaforma” da tutti accettabile perché biblica ed insieme realistica. La “pastoralità” quale corollario della “petrinità” include di per sé e naturalmente timê (onore), exousia (potere) ed episkopê (vigilanza). Scopo precipuo e criterio ultimo di esercizio di un siffatto primato è la custodia della unitas fidei et communionis. Esso non dovrebbe imporre nulla di più per quanto riguarda l’Oriente di quanto era in uso nel primo millennio77, tenuto conto soprattutto della peculiarità apostolica delle sedi orientali. L’Occidente dovrebbe da parte sua accettare che fa parte della pienezza di autorità, specie se evangelicamente vissuta (cf Mc 10,42ss), il poter rinunciare a talune prerogative – legittime in caso di necessitas ecclesiae – ricorrendo, dovunque sia possibile, ai principi di sinodalità e sussidiarietà78. Ragion d’essere del primato è la aedificatio della Chiesa visibile nell’unità di comunione, di fede e di missione. Sommario: Il dialogo ecumenico cattolico-ortodosso è giunto alla condivisa accettazione che nella Chiesa debba darsi coesistenza tra primato e conciliarità; e che il primato, a livello universale, competa alla sede romana (Ravenna 2007). Si impone però una verifica, tuttora in corso (cf Ammann 2014), sul vero fondamento di tale primato. Scontato per i cattolici, il radicamento “petrino” del primato del vescovo di Roma non è affatto immediato per un cristiano orientale. Il presente dossier storico mette in luce le principali notificazioni all’Oriente dell’auto-coscienza romana insieme a numerose e variegate testimonianze (Padri, Sinodi, Imperatori…) che documentano quanto tale dimensione “petrina” sia stata, implicitamente o esplicitamente, conosciuta anche dalla teologia orientale nelle diverse epoche storiche. Accogliere la dimensione petrina della primazia romana induce però anche a valorizzare la modalità pastorale e quindi intrinsecamente comunionale della sua autorità. Abstract: Per quanto diremo ora ci permettiamo rimandare al nostro “Quale primato per il terzo millennio? Prospettive ecumeniche intorno ad un importante dibattito”, in Rassegna di teologia 46 (2005) 112ss. 76 M.J. SCHEEBEN: I Misteri del cristianesimo, Brescia 19532, § 80, 406. 77 Cf la spesso citata conferenza di Graz di J. RATZINGER, “Die ökumenische Situation – Orthodoxie, Katholizismus und Reformation”, in Theologische Prinzipienlehre. Bausteine zu einer Fundamentaltheologie, München 1982, 209. 78 Il criterio regolatore dell’esercizio del potere pontificio è di agire sempre “in aedificationem” e mai “in destructionem”. Se il sommo pontefice…esercitasse il suo potere in modo frequente e indiscriminato “nulla habita ratione episcopi”, questo sarebbe in destructionem (Mansi 52, 1105 CD). Questa nota della relazione Zinelli corrisponde al votum di Mons. Landriot che lo riprese a P. Ballerini (cf Mansi 52, 1097 B). “The pope may voluntarily restrict the exercise of his legal authority which he rightly possesses in order to preserve and foster a legitimate diversity among the churches” (P.C. PHAN, “A North American Ecclesiology” in The Gift of the Church. A textbook on Ecclesiology in Honor of Patrick Granfield, The Liturgical Press, Collegeville [Minnesota] 2000, 496). 75 11 The Ecumenical dialogue reached the agreement on the necessity of the coexistence in the Church of primacy and concilarity as well on the fact that such a primacy, at universal level, beholds to the Roman See (Ravenna 2007). Nevertheless, and that’s precisely the very actual debate (cf Ammann 2014), we have to check the very nature of the Roman primacy’s foundation. The “petrine” foundation of papal primacy is evident for a Catholic, but not so obvious for an Eastern Christian. This historical dossier sets in light many notifications of Roman self-understanding to the Eastern World as well as many and manifold Eastern witnessing (Fathers & Theologians, Synods & Emperors). This is to testify that the “petrine” dimension was accepted in an implicit or explicit way during the different centuries. To welcome the petrine dimension of roman primacy leads also to stress the peculiar pastoral way of exercising the authority. 12