CENTRO DANTESCO DEI FRATI MINORI CONVENTUALI RAVENNA
QUADERNI DELLA SEZIONE STUDI E RICERCHE
VII
Comitato scientifico
Giancarlo Breschi, Giuseppe Cremascoli, Giuseppe Ledda,
Giuseppe Mazzotta, Carlo Ossola, Francesco Santi,
Ivo Laurentini OFMConv. (Direttore del CentroDantesco)
Il presente Quaderno contiene gli atti del Convegno
DANTE POETA CRISTIANO
E LA CULTURA RELIGIOSA MEDIEVALE
IN RICORDO DI ANNA MARIA CHIAVACCI LEONARDI
Ravenna, 26 novembre 2015
Organizzato da
Sezione Studi e Ricerche del Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali
In collaborazione con
Archidiocesi di Ravenna-Cervia
Comune di Ravenna
Con il patrocinio di
Pontificio Consiglio della Cultura
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Dante Society of America
Regione Emilia Romagna
Provincia di Ravenna
Società Dantesca Italiana
Magyar Dantisztikai Társaság
Asociación Complutense de Dantología
Deutsche Dante-Gesellschaft
Con il contributo di
Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna
DANTE POETA CRISTIANO
E LA CULTURA RELIGIOSA MEDIEVALE
IN RICORDO DI
ANNA MARIA CHIAVACCI LEONARDI
Atti del Convegno internazionale di Studi
Ravenna, 28 novembre 2015
A cura di Giuseppe Ledda
RAVENNA
CENTRO DANTESCO DEI FRATI MINORI CONVENTUALI
2018
In copertina:
Ravenna, Mausoleo di Galla Placida, particolare della cupola con croce latina
e cielo stellato.
© 2018
Provincia Bolognese dei Frati Minori Conventuali
Centro Dantesco onlus
Via Dante Alighieri 4 – 48121 Ravenna, Italia
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Tel. 0544.217026 – fax 0544.217554
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ISBN 978-88-89501-12-2
ISSN 2036-0541
Tutti i contributi pubblicati nel presente volume sono stati sottoposti a double blind peer review
(doppio referaggio cieco).
INDICE
Programma
9
Francesco Santi
Il contributo agli studi danteschi di Anna Maria Chiavacci Leonardi
(Camerino, 22 settembre 1927 - Firenze, 7 aprile 2014)
11
Paola Nasti
Le stimmate d’amore del poverello d’Assisi: riscritture dantesche
di un topos medievale
25
Anna Pegoretti
«Civitas diaboli». Forme e figure della religiosità laica nella Firenze
di Dante
65
Stefano Prandi
«Ad intuitum supercelestium formarum»: Alain de Lille
e la Commedia
117
Theodore J. Cachey, Jr.
La verità (e l’imbarazzo) della Questio
137
Elisa Brilli
Profeti, veri e falsi, e “quasi profeti”. Il profetismo (non solo dantesco)
secondo Giovanni Villani
167
Nicolò Maldina
Dante cortigiano e la retorica della verità
199
Giuseppe Ledda
Poesia e agiografia nella Commedia
215
Zygmunt G. Barański
Teologia degli affetti e della beatitudine nel Paradiso
259
Indice dei nomi
313
PROGRAMMA
Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali di Ravenna
Sezione Studi e ricerche
Convegno internazionale di Studi
Ravenna, 28 novembre 2015
Centro Dantesco, Sala Severino Ragazzini
Dante poeta cristiano
e la cultura religiosa medievale
In ricordo di Anna Maria Chiavacci Leonardi
Apertura del Convegno: ore 9.00 - 9. 30
Prima sessione: ore 9.30 - 11.00
Francesco Santi (Università di Cassino)
Il contributo di Anna Maria Chiavacci Leonardi agli studi danteschi
Paola Nasti (University of Reading, UK)
Il sigillo e il sangue: Francesco e il miracolo delle stigmate in Paradiso XI
Anna Pegoretti (University of Warwick, UK)
Forme di spiritualità laica nella Firenze di Dante
Seconda sessione: ore 11.30 - 12.30
Steven Botterill (University of California, Berkeley, USA)
Il discorso teologico del Paradiso tra storia, dottrina, ed etica*
Stefano Prandi (Università di Berna, Svizzera)
«Ad intuitum supercelestium formarum»: Alain de Lille e la Commedia
Terza sessione: ore 14.30 - 16.00
Theodore Cachey (University of Notre Dame, USA)
La Questio di Dante e la cosmologia cristiana medievale
Elisa Brilli (University of Toronto, Canada).
Indovini, profeti e quasi-profeti. Il profetismo dantesco secondo Giovanni Villani
Nicolò Maldina (University of Edimburgh, UK)
Dante e l’enciclopedismo medievale. Il caso delle Summae de virtutibus et
vitiis
Quarta sessione: ore 16.30 - 17.30
Giuseppe Ledda (Università di Bologna)
Poesia e agiografia nella Commedia
Zygmunt Barański (University of Notre Dame, USA - University of
Cambridge, UK)
Teologia degli affetti e della beatitudine nel Paradiso
Discussione conclusiva - ore 17.30-18.00
Il Prof. Steven Botterill, pur avendo presentato oralmente la propria relazione al Convegno, non ha
potuto completare, a causa di gravi problemi di salute, la versione scritta da inserire nel volume degli
Atti. Mentre ci accingiamo a inviare il volume in stampa, apprendiamo con grande dolore della sua
scomparsa. Al ricordo della sua figura di studioso brillante e di amico generoso desideriamo dedicare
questo volume.
*
ANNA PEGORETTI
«CIVITAS DIABOLI» FORME E FIGURE
DELLA RELIGIOSITÀ LAICA
NELLA FIRENZE DI DANTE*
I. “Bonjour tristesse”: possibilità e limiti di un approccio storicista negli studi danteschi
Molti tra gli studi danteschi più recenti insistono sulla necessità di una
piena contestualizzazione dell’opera di Dante nei luoghi e nelle circostanze storiche in cui essa maturò.1 Una simile impostazione è rintracciabile in un numero
sempre crescente di contributi, i quali – pur affrontando gli aspetti più diversi
della produzione dantesca – si domandano in quali contesti storici e intellettuali
si formò la vasta e composita cultura del poeta, quali furono i testi con i quali
* Questo lavoro è nato all’interno del progetto AHRC «Dante and Late Medieval Florence: Theology
in Poetry, Practice, and Society» condotto dalle Università di Leeds e Warwick. Ho potuto portarlo
a termine anche grazie al sostegno dell’Università Ca’ Foscari Venezia. Desidero ringraziare per
l’attenta lettura, l’aiuto e i preziosi suggerimenti Marina Gazzini, Enrico Faini, Lorenzo Dell’Oso.
Nello scegliere il tema della sua tesi di laurea («Ecce ancilla Dei»: The Virgin Mary in Dante’s «Commedia» and the Servites in Duecento Florence) Yue Huang, studente di Vittorio Montemaggi a Notre
Dame, ha voluto condividere con me parte della sua esperienza di ricerca a Firenze e dintorni. A
Yue vanno un pensiero e un ringraziamento speciali.
1
Significativi a questo riguardo il recente Dante in Context, a cura di Z.G. Baran’ski e L. Pertile, Cambridge, Cambridge University Press, 2015, e la riedizione del Codice diplomatico dantesco, a cura di
T. De Robertis, G. Milani, L. Regnicoli, S. Zamponi, in DANTE ALIGHIERI, Le opere, vol. VII, Opere di
dubbia attribuzione e altri documenti danteschi, t. III, Roma, Salerno Editrice, 2016. Ripercorrono
bene le vicende della tendenza storicizzante negli studi danteschi dell’ultimo secolo G. MILANI e
A. MONTEFUSCO, «Prescindendo dai versi di Dante»? Un percorso negli studi tra testi, biografia e documenti, in Dante attraverso i documenti. I. Famiglia e patrimonio (secolo XII-1300 circa), a cura di Eid.,
«Reti Medievali. Rivista (sezione monografica)», XV, 2 (2014), pp. 167-188, <http://rivista.retimedievali.it>.
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ANNA PEGORETTI
egli poté effettivamente entrare in contatto e in quali forme,2 senza tralasciare gli
avvenimenti che hanno influito sulla sua poetica e sulle sue intenzioni di intellettuale.3 Una sempre maggiore attenzione è inoltre dedicata all’esperienza biografica e alle circostanze storiche e sociali in cui egli si trovò a vivere.4 Al di là di
quella che gli storici definirebbero histoire événementielle, si fanno spazio in questo
paradigma la storia sociale e l’obiettivo di recuperare almeno in parte un patri-
2
3
4
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Per la coerente e influente riflessione condotta negli anni, si ricorderà l’importante lavoro di Z.G.
BARAŃSKI, ben rappresentato dal volume Dante e i segni: saggi per una storia intellettuale di Dante
Alighieri, Napoli, Liguori, 2000, e, da ultimo, dai saggi Sulla formazione intellettuale di Dante: alcuni
problemi di definizione, in «Studi e problemi di critica testuale», 90, vol. monografico Dante. Per
Emilio Pasquini (2015), pp. 31-54; ID., «With Such Vigilance!, Which Such Effort!» Studying Dante
“Subjectively”, in «Italian Culture», XXXIII, 1 (2015), pp. 55-69. Si veda inoltre ID., On Dante’s Trail,
in «Italian Studies» 72, 1 (2017), pp. 1-15, che condivide molte delle preoccupazioni esposte in
questo primo paragrafo. Per quanto riguarda la cosiddetta “biblioteca di Dante”, si citeranno almeno i recenti L. GARGAN, Dante, la sua biblioteca e lo studio di Bologna, Roma-Padova, Antenore,
2014; S. GENTILI, Letture dantesche anteriori all’esilio: filosofia e teologia, in Dante fra il settecentocinquantenario della nascita (2015) e il settecentenario della morte (2021). Atti delle Celebrazioni in Senato, del Forum e del Convegno internazionale di Roma: maggio-ottobre 2015, a cura di E. Malato
e A. Mazzucchi, Roma, Salerno editrice, 2016, t. I, pp. 303-325; una utile panoramica è offerta da
R. ZANNI, Una ricognizione per la biblioteca di Dante in margine ad alcuni contributi recenti, in «Critica
del Testo», XVII/2, (2014), pp. 161-204. Di particolare rilevanza è poi la riflessione condotta in
A.R. ASCOLI, Reading Dante’s Readings: What? When? Where? How?, in Dante and Heterodoxy: The
Temptations of 13th Century Radical Thought, a cura di M.L. Ardizzone e T. Barolini, Newcastle upon
Tyne, Cambridge Scholars Publishing, 2014, pp. 126-144. Segnalo inoltre, a utile correzione di
alcuni luoghi comuni riguardo a Dante filosofo, L. BIANCHI, Dante e l’averrosimo, in «Le Tre Corone.
Rivista internazionale di studi su Dante, Petrarca, Boccaccio», II (2015), pp. 71-109; C. MARMO,
Had the Modistae Any Influence on Dante? Thirty years after Maria Corti’s proposal, in Dante and Heterodoxy, cit., pp. 1-17.
Si vedano a tal proposito almeno U. CARPI, La nobiltà di Dante, Firenze, Polistampa, 2004; G. FIORAVANTI, Introduzione a DANTE ALIGHIERI, Convivio, a cura di Fioravanti, Milano, Mondadori, 2014
(DANTE, Opere, dir. M. Santagata, vol. II); M. TAVONI, Qualche idea su Dante, Bologna, il Mulino,
2015, in particolare l’Introduzione e i capp. III e IV.
Si vedano almeno i lavori raccolti in G. INDIZIO, Problemi di biografia dantesca, Ravenna, Longo,
2013 e, da prospettive ben diverse, le recenti biografie di M. SANTAGATA, Dante. Il romanzo della sua
vita, Milano, Mondadori, 2012 e G. INGLESE, Vita di Dante. Una biografia possibile, Roma, Carocci,
2015. R. CESERANI, Storicizzare, in Il testo letterario. Istruzioni per l’uso, a cura di M. Lavagetto, RomaBari, Laterza, 1996, pp. 79-102, elenca una serie di filoni di storiografia letteraria rivolti al contesto
(più che al testo o a una tramontata “storia dello spirito”), tutti più o meno presenti nella dantistica attuale: biografia, storia delle istituzioni, degli intellettuali, della lingua, della circolazione
delle opere. La scommessa individuata da Ceserani, ovvero quella di non disgiungere da queste
direttrici la storia delle “forme” della letteratura, resta attualissima, così come le parole di F. ORLANDO, Per una teoria freudiana della letteratura, Torino, Einaudi, 1973, p. 14: «nulla caratterizza il
discorso degli impreparati come l’equivoco continuo fra il testo di un’opera, la vita del suo autore,
la sua fortuna nel tempo, il suo rapporto con l’epoca propria, il suo posto nel sistema letterario,
e le vicende della sua trasmissione».
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
monio comune di realtà quotidiane, pratiche ed elementi culturali condivisi in
un dato tempo, in un dato luogo e, nel nostro caso, intorno a un determinato individuo: il cittadino fiorentino Dante Alighieri. Un punto di riferimento a questo
proposito è certamente il New Historicism, che a partire dagli anni Ottanta del
Novecento reagiva alla grande stagione dello strutturalismo e del decostruzionismo riportando l’attenzione sui dati biografici e di contesto, secondo un approccio comunque mai del tutto venuto meno in ambito italiano.5 Certo, il limite tra
l’erudizione microstorica fine a se stessa e l’obiettivo della comprensione dell’esperienza dantesca è difficile da tracciare, ma alcuni lavori recenti – penso in
particolare alla ricostruzione di cosa sia effettivamente stata la battaglia della Lastra da parte di Mirko Tavoni6 – rendono evidenti i pregi e la necessità dello scavo
storico, tanto minuto da spingere Santagata a parlare (con riferimento ai lavori
di Indizio e Carpi) di «atteggiamento [...] da neo-scuola storica».7
È peraltro di un certo interesse il fatto che una simile apertura a discipline
diverse dalla critica e a un approccio dichiaratamente storicizzante abbiano di recente preso piede nel contesto anglosassone. Se dagli Stati Uniti prese le mosse
un Charles Davis, ai cui lavori sull’Italia e sulla Firenze dantesca dobbiamo ancora
tanto un’impostazione metodologica, quanto una miriade di dati essenziali, è altrettanto vero che la maggior parte della dantistica anglosassone e in particolare
americana degli ultimi decenni non ha certo privilegiato studi di tipo storico. Proprio per questo mi pare particolarmente significativo l’incitamento di Teodolinda
Barolini a only historicize, a privilegiare cioè una lettura marcatamente storicizzata
dei testi di Dante, che argini la tendenza a una “allegorizzazione selvaggia”.8 Per
quanto in una prospettiva molto più influenzata dai cultural studies che dalle Annales, Barolini esplora per esempio il linguaggio della privazione fisica e l’area se-
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8
Penso almeno, anche su suggerimento dell’amico Nicolò Maldina, alla biografia di Shakespeare
di S. GREENBLATT, Will in the World: How Shakespeare Became Shakespeare, New York-London, Norton, 2004.
M. TAVONI, Qualche idea su Dante, cit., cap. III.
M. SANTAGATA, Presentazione, in G. INDIZIO, Problemi di biografia dantesca, cit., pp. 5-7, a p. 6.
T. BAROLINI, «Only Historicize»: History, Material Culture (Food, Clothes, Books), and the Future of Dante
Studies, in «Dante Studies, with the Annual Report of the Dante Society», 127 (2009), pp. 37-54.
67
ANNA PEGORETTI
mantica del mangiare come caso per l’analisi della cultura materiale nei testi. Ovvero (e il caso lo pongo io, per semplificare): di fronte a un penitente affamato
tendiamo di solito a richiamare il supplizio di Tantalo, trattazioni teologiche sull’eucarestia e il pane della Sapienza, ma non ci chiediamo cosa significasse avere
fame nell’Italia di Dante.
Il complesso di sollecitazioni e traiettorie metodologiche in questione, dunque, può ben venire archiviato sotto l’etichetta della “contestualizzazione”, ma
finisce con l’essere, alla prova dei fatti, qualcosa di estremamente stratificato e
complesso, alle prese con pratiche economico-sociali, storia della mentalità e della
spiritualità, vita quotidiana e storia materiale, modalità di elaborazione, condivisione e trasmissione del sapere, storia delle idee e così via, inclusi i caveat di
ognuno di questi ambiti di ricerca. La mole di conoscenze e problematiche in
ballo spaventerebbe chiunque e la gestione (anche sul piano della didattica) di
ciò che passa sotto l’abusata etichetta di “interdisciplinarità” pone numerosi problemi. Da qui il titolo di questo paragrafo, ispirato a un saggio che Henri-Irénée
Marrou pubblicò sotto pseudonimo nel fatale 1939, Tristesse de l’historien, sottotitolato nell’edizione italiana Possibilità e limiti della storiografia: un lavoro, questo,
in cui emerge una chiara consapevolezza tanto dell’inevitabile artificiosità di ogni
ricostruzione storica, quanto della sua indefettibile necessità. Si capirà come il richiamo al romanzo di Françoise Sagan, Bonjour tristesse, diventasse a quel punto
irresistibile e, tutto sommato, nemmeno troppo esornativo. Non credo che le difficoltà poste dalla sempre crescente e necessaria specializzazione della ricerca e
dall’endemico tsunami bibliografico che caratterizza gli studi umanistici si possano
risolvere con un pur condivisibile e benvenuto appello a un aggiornamento interdisciplinare. Nemmeno un ritorno, comunque impossibile, all’epoca in cui –
con espressione particolarmente felice – «tutti leggevano tutto»9 risponderebbe
alle esigenze di quella ricostruzione stratificata, dichiaratamente imperfetta e inevitabilmente prospettica (situata, verrebbe da dire) alla quale la moderna ricerca
storica ci ha abituati. Proprio la consapevolezza della parzialità di ogni sguardo,
9
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Cfr. G. MILANI e A. MONTEFUSCO, «Prescindendo dai versi di Dante»?, cit., p. 168. Cfr. anche ivi, pp.
180-181.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
unita alle peculiari condizioni della ricerca contemporanea, impediscono di parlare di un neo-positivismo dantesco, persino al di là delle intenzioni dei singoli
studiosi.10 Del resto, nemmeno il rapporto tra “testo e contesto” (con etichetta
post-strutturalista) è facile da prevedere o gestire. Certamente esso non è di tipo
monodirezionale e nemmeno bi-direzionale. Assomiglierà caso mai – almeno
nello svilupparsi della ricerca – a una spirale, comunque determinata dal perimetro
dello scavo, basato per lo più, nel caso dei nostri studi, sull’“età” e sui “luoghi” di
Dante.
La considerazione dei confini temporali e geografici della dantistica dovrà
poi riconoscere un’ulteriore ben nota difficoltà, ovvero la pesante ipoteca che proprio Dante ha imposto sulla sua epoca e sulla sua città natale. Che la storiografia
sia stata profondamente influenzata dagli scritti del Nostro, tanto da arrivare a
farne un attore politico di primissimo piano e un cronista fededegno, è abbaglio
ben noto agli studiosi. Meno acuta, invece, mi pare la percezione di ciò che Dante
oblitera, di ciò che più o meno significativamente omette e che resta silente nel
mare magnum di un’opera normalmente considerata, e con qualche ragione, enciclopedica, onnicomprensiva, specchio del suo tempo, addirittura summa del
mondo medievale. Mi domando: è lecito chiedersi cosa e chi manca in un corpus
di scritti (il poema in particolare) che squaderna il cosmo dal suo punto più infimo fino alle incommensurabili altezze dell’Empireo, sistemando in esso centinaia di personaggi e discutendo un numero altissimo di questioni, con quell’urgente attenzione alla contemporaneità che ha fatto del suo autore un monumento
della storia d’Italia? È anche su questo che il presente contributo spera di offrire
un minimo specimen, per provare a ripensare sotto altra luce il noto.11 Si cercherà
10
11
Z.G. BARAŃSKI, On Dante’s Trail, cit., p. 3: «Historically inflected research, analysis, and interpretation inescapably involves a mediated and, ultimately, yes, an anachronistic act of reconstruction
[…]. The problem is whether and how far we, as filologi or historicists, are willing to acknowledge
the limitations of our approach and the partiality of our scholarship».
«E poiché tanti hanno parlato di quel che c’è, mi sia lecito spender qualche parola su quel che
non c’è, non per impacciar cose nuove, ma per presentare il già noto sotto un nuovo aspetto» (F.
TOCCO, Quel che non c’è nella «Divina Commedia» o Dante e l’eresia, con documenti e con la ristampa
delle questioni dantesche, Bologna, Nicola Zanichelli, 1899, p. 1). Ça va sans dire, l’approccio di
Tocco era del tutto positivista. Ad ogni modo, la domanda su «quel che non c’è» resta a mio parere
valida e interessante.
69
ANNA PEGORETTI
di delineare – davvero per sommi capi, viste le difficoltà discusse sopra12 – alcuni
nodi essenziali della religiosità dei laici,13 in particolare di quelli che chiameremo
“laici devoti” nella Firenze duecentesca e dantesca, una religiosità saldamente fondata su un insieme di convinzioni condivise e di pratiche individuali e sociali che
costituivano parte integrante della vita quotidiana del tempo e che definivano
l’approccio di uomini e donne all’esperienza spirituale e devozionale. Il tentativo
sembrerà al letterato sproporzionato rispetto ai risultati; allo storico di professione
risulterà forse naïf, per lo più compilativo e fatalmente deficitario. Esso, comunque, viene condotto nella convinzione che certe conoscenze e alcuni interessi,
ben presenti ad esempio agli studiosi delle laude,14 vadano reimmessi anche nella
discussione su Dante, persino a costo di digressioni consistenti. L’obiettivo non
sarà certo fornire un panorama completo di questioni intricate su cui sono corsi
fiumi d’inchiostro, quanto testare la validità di una ricerca dantesca che provi a
partire innanzitutto dal contesto.
Per quanto la spiritualità, le pratiche devozionali, gli interessi di un singolo
individuo restino difficili da scandagliare, la constatazione dello status laicale di
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A causa del numero di questioni trattate, della loro ampiezza e specificità, della vastità delle ricerche storiografiche su ognuna di esse e, last but not least, dei limiti di chi scrive, la bibliografia
citata in queste pagine sarà inevitabilmente e dichiaratamente lacunosa. Oltre a contributi irrinunciabili, mi limiterò a citare studi il più possibile recenti e aggiornati, che mi siano stati d’aiuto
nella definizione di un panorama che avrà comunque come obiettivo Dante e la sua opera. Molto
utili al dantista che voglia un agile panorama della Chiesa e della religiosità nella Firenze dantesca
sono i recenti contribuiti di G.W. DAMERON, Church and Orthodoxy, e P.S. HAWKINS, Religious Culture,
in Dante in Context, cit., rispettivamente alle pp. 84-105 e 319-340. Cfr. anche G.W. DAMERON, Florence and Its Church in the Age of Dante, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2005, pp.
164-216. Punto di riferimento per lo studio della devozione laica nei Comuni italiani è A. THOMPSON, Cities of God: The Religion of the Italian Communes, 1125-1325, University Park, Pennsylvania,
Pennsylvania State University Press, 2010.
Il titolo della comunicazione letta al convegno ravennate faceva riferimento a forme di spiritualità
laica. Ho optato per religiosità meditando su G.G. MERLO, Spiritualità e religiosità, in «Studi medievali», s. III, XXVIII/1 (1987), pp. 41-48.
Riassume con grande eleganza e in pochissimo spazio il contesto spirituale e sociale in cui si sviluppa la lauda fiorentina M. LEONARDI, Paraliturgie laiche della parola nel laudario fiorentino del Santo
Spirito, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», CXCII, 640 (2015), pp. 481-501, alle pp.
481-485. Importante nella prospettiva della lauda B. WILSON, Music and Merchants: The Laudesi
Companies of Republican Florence, Oxford, Oxford University Press, 1992. Cfr. inoltre, F. SUITNER,
Alle origini della lauda, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», CLXXIII, 563 (1996), pp.
321-347.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
Dante è alla base di un simile tentativo.15 Al commento alla Commedia di Anna
Maria Chiavacci Leonardi – alla quale era dedicato questo convegno ravennate –
più che ad altre esegesi moderne si deve una continua e profonda riflessione sull’aspetto personale dell’esperienza del pellegrino Dante nel suo viaggio oltremondano, non solo al fine di sottolinearne la scandalosa voce profetica, priva di ogni
riconosciuta autorità terrena, ma anche e soprattutto per seguirne la crescita spirituale. Quale fosse il contesto religioso, devozionale, spirituale, quali le “forme”
della pratica e del sentire religiosi nella città in cui il poeta nacque e trascorse pur
sempre la maggior parte della vita, mi pare di qualche interesse. L’attenzione sarà
dunque concentrata sulla Firenze duecentesca, sui suoi laici devoti più importanti,
sui modelli di santità laica e sulle pratiche associative confraternali lì fiorite, nel
peculiare declinarsi di tendenze altrimenti generali nel centro-nord Italia, se non
addirittura in Europa. Per ragioni che credo risulteranno infine chiare, ho conservato come centrali l’insediamento e l’influenza mendicante in città, con l’eclatante
nascita fiorentina di una delle religiones novae: l’Ordine dei Servi di Maria. Uno
spazio rilevante, inoltre, verrà dato alla religiosità femminile e alla figura di Umiliana de’ Cerchi, la cui agiografia presenta qualche sorprendente punto di contatto
con i testi danteschi.
II. Premesse per un Duecento dei laici
Così come la riflessione teologica e filosofica dantesca è impensabile senza
la fioritura della Scolastica nel XIII secolo, l’esperienza in senso lato religiosa del
poeta cristiano Dante non è genericamente collocabile in un basso Medioevo dai
contorni sfumati, bensì in un Duecento che si caratterizza per quella che è stata
15
Uso laico nel senso corrente di persona non appartenente alle gerarchie ecclesiastiche, per quanto
il termine nel basso medioevo potesse accogliere anche valutazioni riguardanti il livello di istruzione. Al problema terminologico e allo status laicale di Dante in relazione alla sua formazione e
al suo impegno filosofico ha dedicato pagine importanti R. IMBACH, Dante, la filosofia e i laici, a
cura di P. Porro, Genova-Milano, Marietti 1820, 2003 [1996]. Cfr. inoltre ID.-C. KÖNIG-PRALONG,
La sfida laica. Per una nuova storia della filosofia medievale, Roma, Carocci, 2016 [2013], pp. 38-44.
71
ANNA PEGORETTI
autorevolmente definita una «svolta pastorale», una «riscoperta della Chiesa come
popolo di Dio, e non soltanto come organismo gerarchicamente strutturato».16
Svolta che trova vigore a inizio secolo nella decisa azione di Innocenzo III, al
quale si deve la proclamazione a santo del mercante, dedito alla devozione, alla
lotta antiereticale e all’aiuto ai poveri, Omobono da Cremona, primo «laico non
nobile canonizzato nel Medioevo».17 A Innocenzo si ascrive inoltre la riabilitazione degli Umiliati, gruppo di laici fino ad allora gravati dal sospetto di eresia,
riunitisi a Milano già alla fine del XII secolo intorno agli ideali di umiltà, carità,
moderazione, pazienza, preghiera.18 Con il propositum del 1201 il papa compie un
gesto fondamentale: per la prima volta l’istituzione ecclesiastica «riconosce ufficialmente la validità del movimento penitenziale in una delle sue realizzazioni»,19
non dunque in termini generici, ma nella concreta realtà storica di un’iniziativa
sostanzialmente privata e marcatamente laica. Il quarto Concilio Lateranense,
convocato da Innocenzo nel 1215, non si sottrae alla ridefinizione e rivalutazione
del ruolo del laicato nella Chiesa, imponendo la confessione e la comunione annuali (cadenza ben modesta per un praticante odierno). La condotta terrena dei
laici, alla quale è inesorabilmente legato il destino oltremondano, assume un
posto di primo piano nelle preoccupazioni della pastorale coeva.
La spinta verso una vita di penitenza, già ben presente nel XII secolo, è uno
dei fenomeni più vistosi della religiosità duecentesca. Per quanto l’idea della poena
come espiazione compensativa sia sempre ben presente, la penitenza è vissuta in
questo periodo anzitutto come un atteggiamento, un comportamento nuovo, una
16
17
18
19
72
A. VAUCHEZ, I laici nel Medioevo. Pratiche ed esperienze religiose, trad. it., Milano, Il Saggiatore, 1989
[1987], p. 105, e pp. 150-161 per la «svolta pastorale».
Ivi, p. 84. L’esempio di santità di Omobono era stato preceduto da quello offerto da Ranieri di
Pisa, morto nel 1160, figlio di mercanti datosi alle opere di misericordia: cfr. ID., La santità nel
Medioevo, Bologna, il Mulino, 1989 [1981], p. 160. Su Omobono cfr. soprattutto pp. 339-341. Su
Ranieri cfr. anche A. THOMPSON, Cities of God, cit., ad indicem.
Sulle nebulose origini degli Umiliati e per ulteriori notizie sulle caratteristiche e lo sviluppo del
movimento cfr. almeno M.P. ALBERZONI, Gli inizi degli Umiliati, in La conversione alla povertà nell’Italia dei secoli XII-XIV. Atti del XXVII Convegno Storico Internazionale (Todi, 14-17 Ottobre
1990), Spoleto, CISAM, 1991, 187-237; EAD., A. AMBROSIONI e A. LUCIONI, Sulle tracce degli Umiliati,
Milano, Vita e Pensiero, 1997.
A. VAUCHEZ, I laici nel Medioevo, cit., p. 117. A questo propositum farà seguito il Memoriale propositi
del 1221, che stabilirà statuto e obblighi dei gruppi penitenziali.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
forma di conversione – secondo il valore originario di metànoia – alla vita evangelica.20 Lo stesso Francesco d’Assisi nel lapidario incipit del Testamento inscrive gli
inizi della propria vocazione nei termini di un evangelico “fare penitenza” vissuto
come grazia: «Dominus ita dedit mihi fratri Francisco incipere faciendi poenitentiam».21 Inizialmente penitente tra i penitenti,22 Francesco induit humilitatem, si
veste dell’abito dimesso che contraddistingue penitenti, conversi, pauperes di varia
natura, Umiliati e infine Minori. Ma l’analogia si fermerà prudentemente qui, a
salvaguardia dell’eclatante alterità del santo di Assisi, della sua sostanziale irriducibilità alle coeve esperienze di matrice pauperistico-evangelica. La profondità
teologica della sua riflessione sull’Incarnazione porta infatti Francesco all’elaborazione di una vera e propria «antropologia cristologica» che lo distingue dal panorama dei movimenti religiosi due-trecenteschi; un modello antropologico
esemplare, di cui umiltà, obbedienza e povertà sono non presupposti, e nemmeno
conseguenze, ma semplicemente «ovvi corollari».23
Attorno all’Ordine francescano graviterà ciò che nel 1289 il frate minore
Niccolò IV sancirà definitivamente come Terz’Ordine, una realtà di cui il Santo
viene indicato addirittura come fondatore. Nel Terzo Ordine trova definitiva con-
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Cfr. G.G. MEERSSEMAN, Penitenza e penitenti nella vita e nelle opere di Dante, in ID., «Ordo fraternitatis».
Confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, Roma, Herder editrice e libreria, 1977 («Italia sacra»,
24-26), pp. 513-534.
FRANCESCO D’ASSISI, Testamentum, in Fontes Franciscani, a cura di E. Menestò et al., Assisi, Edizioni
Porziuncola, 1995, pp. 227-232, § 1.
Cfr. G. CASAGRANDE, Un Ordine per i laici. Penitenza e penitenti nel Duecento, in M.P. ALBERZONI et
alii, Francesco d’Assisi e il primo secolo di storia francescana, Torino, Einaudi, 1997, pp. 239-255, alle
pp. 237-238. Sulla base della nota testimonianza di Jacques de Vitry sui primi gruppi di francescani (1216), Luigi Pellegrini sottolinea i «caratteri dell’eremitismo laico itinerante» (L. PELLEGRINI,
A proposito di eremiti laici d’ispirazione francescana, in I frati minori e il terzo Ordine. Problemi e discussioni storiografiche. Atti del XXIII convegno del Centro di studi sulla spiritualità medievale [Todi,
17-20 ottobre 1982], Spoleto, CISAM, 1985, pp. 115-142, a p. 124).
O. CAPITANI, Verso una nuova antropologia e una nuova religiosità, in La conversione alla povertà nell’Italia
dei secoli XII-XIV, cit., pp. 447-471, alle pp. 459-460, sulla scorta di G. MICCOLI, La proposta cristiana
di Francesco d’Assisi, in «Studi Medievali», s. III, XXIV, 1 (1983), pp. 17-73: il rovesciamento dei
valori comuni implicito nella logica dell’Incarnazione e della croce «trova la sua necessaria materializzazione nella povertà» (ivi, p. 55). Una riflessione sul valore teologico dell’esperienza di
Francesco e sul presupposto antropologico del concetto di minorità può utilmente integrare l’importante riflessione filosofico-giuridica condotta in G. AGAMBEN, Altissima povertà. Regole monastiche
e forma di vita. Homo sacer, IV, 1, Vicenza, Neri Pozza, 2011.
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ANNA PEGORETTI
sacrazione quella forma di «“conciliazione” tra vita religiosa e vita nel mondo»24
cercata dai penitenti laici duecenteschi, flessibile a sufficienza da consentire sia
scelte penitenziali estreme, sia (e così fu certo per i più) una vita consacrata che
non obbligasse al celibato e alla povertà. Il terziario poteva infatti continuare ad
abitare con la propria famiglia nella propria casa e possedere beni, al punto da
farsi spesso tramite giuridico per le transazioni commerciali e finanziarie dei frati.
Pur essendo parte importante dell’universo penitenziale duecentesco, la realtà delle confraternite religiose – espressione di un più vasto movimento corporativo e associazionistico, che includeva gilde commerciali, brigate di giovani, associazioni di cavalieri, universitates studentium –25 è ancora differente e solo in parte
sovrapponibile ad esso. Le confraternite sono genericamente definibili come associazioni volontarie ad accesso limitato e vincolato, principalmente composte
da laici, dedite non solo (e non obbligatoriamente) alla penitenza, ma anche ad
attività devozionali ed eventualmente sociali (tra cui l’istruzione) e/o caritatevoli,
aventi il doppio obiettivo di promuovere sia il legame diretto con Dio, sia quello
orizzontale tra gli uomini, a cominciare dai membri della confraternita stessa.26
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G. CASAGRANDE, Un Ordine per i laici, cit., alle pp. 249 e 251. Le vicende che portarono alla definizione giuridica dell’Ordine della Penitenza sono intricate e hanno animato un notevole dibattito
storiografico, che ha escluso un atto di fondazione da parte di Francesco (su questo concordava
già G.G. MEERSSEMAN, Dossier de l’Ordre de la Pénitence au XIIIe siècle, Fribourg, Éditions universitaires Fribourg Suisse, 19822 [1961], pp. 5-7). Il Santo costituì caso mai un modello per tutti i penitenti duecenteschi. Certo è che la leggenda permise al francescano Niccolò IV di legare l’Ordo ai
Minori, sbarrando la strada alla costituzione di Ordini laici legati ad altri Mendicanti. I domenicani attesero il 1405 per un’approvazione ufficiale del proprio Terzo Ordine. Si vedano almeno
G. CASAGRANDE, Religiosità penitenziale e città al tempo dei Comuni, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1995, e la sintesi proposta in EAD., Un Ordine per i laici, cit.
Cfr. almeno P. MICHAUD-QUANTIN, Universitas. Expressions du mouvement communautaire dans le
Moyen-Âge Latin, Paris, Vrin, 1970.
Cfr. J. HENDERSON, Piety and Charity in Late Medieval Florence, Oxford, Clarendon Press, 1994, p. 2
(il volume è stato tradotto: ID., Pietà e carità nella Firenze del basso Medioevo, Firenze, Le Lettere,
1998). Prima di questo lavoro andrà ricordato almeno R.F.E. WEISSMAN, Ritual Brotherhood in Renaissance Florence, New York, Academic Press, 1982. Sui problemi terminologici, sulla distinzione
fra confraternite religiose e altre con scopi differenti, e sulla «polivalenza funzionale» (p. VII) delle
stesse compagnie religioso-devozionali, si vedano la messa a punto e l’ampio panorama storiografico e bibliografico offerti da M. GAZZINI, Confraternite e società cittadina nel Medioevo italiano,
Bologna, CLUEB, 2006, in particolare pp. 3-81. A p. 4 viene offerta questa definizione, volutamente
ampia, di confraternita: «gruppo variamente composto da laici e chierici, da uomini e donne,
consociatisi nelle città come nelle campagne per scopi di edificazione religiosa, di solidarietà devota, di impegno liturgico, di pratica penitenziale e caritativa, di socializzazione, di crescita peda-
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
Il fenomeno confraternale raggiunge uno stadio di sviluppo eccezionale nel TreQuattrocento, segnando una ulteriore spinta alla «democratizzazione della vita
spirituale»27 e garantendo un ennesimo spazio di autonomia e autodeterminazione spirituale per i non consacrati.28 Fra gli obiettivi di pressoché tutte le confraternite religiose vi era la salvezza delle anime dei propri membri:29 questo significava spesso la garanzia di una degna sepoltura e, soprattutto, della preghiera
di suffragio. Nel 1274 la dottrina dei suffragi viene confermata dal Concilio di
Lione, durante il quale è proclamato anche il dogma relativo all’esistenza del Purgatorio. Regno oltremondano della penitenza ed esercizio della preghiera per i
defunti si saldano in una forma di mutuo soccorso spirituale che oltrepassa i confini della morte: la preghiera per le anime del Purgatorio sigilla il legame tra l’ecclesia terrena dei fedeli e l’ecclesia in via del regno intermedio.30 Proprio ai sodalizi
confraternali si deve inoltre la proliferazione del genere della lauda e della sacra
rappresentazione.
Sarebbe vano, e comunque esorbitante rispetto agli scopi di queste pagine,
cercare di tracciare confini troppo netti tra confratelli, penitenti, terziari, spesso
affiliati a più di un gruppo e mal definiti sul piano giuridico per larga parte del
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30
gogica, di sostegno reciproco». Cfr. inoltre Bibliografia medievistica di storia confraternale, a cura di
Ead., in «Reti Medievali. Rivista», V/1 (2004), http://www.dssg.unifi.it/_RM/rivista/biblio/Gazzini.htm; Studi confraternali: orientamenti, problemi, testimonianze, a cura di Ead., Firenze, Firenze
University Press, 2009. Cfr. anche, almeno per la parte introduttiva, G. ROSSER, The Art of Solidarity
in the Middle Ages: Guilds in England 1250-1550, Oxford, Oxford University Press, 2015.
M.B. BECKER, Aspects of Lay Piety in Early Renaissance Florence, in The Pursuit of Holiness in Late Medieval and Renaissance Religion: Papers from the University of Michigan Conference, a cura di C.
Trinkaus e H.A. Oberman, Leiden, Brill, 1974, pp. 177-199, a p. 184.
Uno spazio verosimilmente maggiore rispetto a quello concesso ai penitenti, da fine Duecento
inquadrati nell’Ordo poenitentium: cfr. G. CASAGRANDE, Religiosità penitenziale, cit., pp. 150 ss.
Cfr. G.G. MEERSSEMAN, Per la storiografia delle confraternite nel Medioevo, in ID., «Ordo fraternitatis»,
cit., pp. 3-34, a p. 8.
Il riferimento d’obbligo è a J. LE GOFF, La nascita del Purgatorio, Torino, Einaudi, 1982 [1981], al
quale si può utilmente affiancare la recensione di C. DELCORNO, Il Purgatorio e l’immaginario medievale, in «Intersezioni», III (1983), pp. 401-409. Cfr. di recente, negli atti dei convegni ravennati,
E. ARDISSINO, «Pregar pur ch’altri prieghi» («Purg.» VI 26). Richieste di suffragio nel «Purgatorio», in
Preghiera e liturgia nella «Commedia». Atti del convegno internazionale di studi (Ravenna, 12 Novembre 2011), a cura di G. Ledda, Ravenna, Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali, 2013,
pp. 45-66, che a p. 50 precisa: «a partire dall’insegnamento di Pietro Lombardo, tra il XII e il XIII
secolo, grazie anche alla speciale attenzione attribuita dai cistercensi di Citeaux, Bernardo in primis,
la pratica dei suffragi aveva ricevuto un forte, sostanziato impulso».
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ANNA PEGORETTI
Duecento.31 Importa caso mai comprendere appieno l’enorme portata del fenomeno penitenziale e della crescita della pietà laicale nel suo complesso. L’ascesa
dei laici nella vita della Chiesa, cui si assiste tra la fine del XII secolo fino a tutto
il Quattrocento – l’«età d’oro dei laici», come l’ha definita Vauchez –32 trova giustificazioni teologiche nella rivalutazione dell’Incarnazione, dell’esperienza
umana del Cristo e dell’umanità di Maria, e premesse filosofiche nel rinnovato
interesse nei confronti dell’uomo e dello studio dei fenomeni naturali, già ben
rappresentato dalla produzione della scuola di Chartres.33 La formidabile espansione economica del Duecento induce inoltre nei fedeli, preoccupati del proprio
destino ultraterreno, il bisogno di bilanciare il proprio impegno nel mondo e le
eventuali fortune con i richiami a una vita evangelica. La congiuntura storica che
vede in campo le forze contrastanti di una strepitosa crescita finanziaria e commerciale e il richiamo del Vangelo innesca una profonda riflessione sulla povertà
e sulla legittimità della ricchezza, tant’è che l’elaborazione di un pensiero economico estremamente articolato occupa per lungo tempo i chierici, in particolare
gli ordini mendicanti e più di tutti i francescani.34 Lo stesso concetto di povertà si
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«Quando si parla di ordine della Penitenza ci si riferisce, in qualche modo, ad una realtà già definita, in specie dal Memoriale in poi, ma se si vuole allargare il discorso allo stato penitenziale e/o
a forme di vita che si richiamano al termine poenitentia [...] si entra in un universo dai fluidi confini. [...]. Il termine penitenti è generico: si tratta di persone che hanno cambiato il loro stile di
vita, ma le soluzioni potevano essere le più diverse» (G. CASAGRANDE, Religiosità penitenziale e città,
cit., p. 113). Nella vasta bibliografia in materia, cfr. anche S. GIEBEN, Confraternite e penitenti dell’area
francescana, in Francescanesimo e vita religiosa dei laici nel ’200. Atti dell’VIII Convegno Internazionale (Assisi, 16-18 ottobre 1980), Assisi, Università degli studi di Perugia, 1981, pp. 169-201; M.
D’ALATRI, Il fenomeno penitenziale sotto l’aspetto ecclesiologico e teologico nella seconda metà del Duecento
[1984], in ID., «Aetas Poenitentialis». L’antico Ordine francescano della penitenza, Roma, Istituto Storico
dei Cappuccini, 1993, pp. 11-24.
A. VAUCHEZ, I laici nel Medioevo, cit., p. 13. Sulla presenza di spinte verso una religiosità laica anche
nel XII secolo, non recepite o inserite in una retorica di tipo ancora monastico durante la «restaurazione postgregoriana», cfr. G. MICCOLI, La storia religiosa, in Storia d’Italia, 2. Dalla caduta dell’Impero romano al secolo XVIII, Torino, Einaudi, 1974, pp. 431-1079, alle pp. 559-608.
Cfr. A. VAUCHEZ, I laici nel Medioevo, cit., pp. 9-42. Cfr. anche ID., La spiritualità dell’Occidente medievale, Milano, Vita e pensiero, 1978 [1975], pp. 89 ss.
Cfr. almeno G. TODESCHINI Ricchezza francescana. Dalla povertà volontaria alla società di mercato, Bologna, Il Mulino, 2004. Sullo sviluppo nel tardo Medioevo di una teoria economica e di un’etica
del denaro, cfr. ID., Come Giuda. La gente comune e i giochi dell’economia all’inizio dell’età moderna,
Bologna, Il Mulino, 2011. Fa il punto su queste ricerche R. LAMBERTINI, Povertà volontaria ed “economia mendicante” nel basso Medioevo. Riflessioni sui risultati di recenti indagini, in «Cristianesimo nella
storia», 33 (2012), pp. 519-540.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
trova al centro di forti tensioni, ancipite fra lo status di virtù evangelica, coltivata
al massimo grado dagli ordini per l’appunto detti mendicanti, e il disprezzo e la
paura provocati dall’inurbamento crescente e dal conseguente aumento dell’indigenza nelle città.35 Proprio nella Firenze duecentesca si registra l’esperienza di
un Comune che, se da un lato finanzia generosamente i poveri volontari, ovvero i
frati, d’altra parte non identifica mendicità e indigenza come problemi strutturali,
dando una prova di quel mancato inquadramento teorico degli squilibri socioeconomici che caratterizzò ancora a lungo la storia europea. Ecco dunque che,
nello stesso torno di tempo (c. 1294) in cui si finanzia la costruzione della basilica
di Santa Croce, si provvede senza troppi complimenti a espellere da Firenze gli
indigenti ciechi.36 Così come l’Ordo poenitentium (o Terz’Ordine) istituzionalizza
la penitenza, gli Ordini mendicanti diventano i poveri per antonomasia, giusti e
meritevoli di aiuto.37
Se dunque la povertà evangelica tende a trasformarsi in istituzione, la carità
viene praticata su soggetti e corpi sociali ben individuati e riconosciuti, inquadrati
e legittimati in vista del bene comune e di una pace sociale controllabile. Questa
«conciliazione paradossale fra lo scandalo della miseria vissuta e la stima spiri-
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Sulla questione della povertà nel Medioevo, si può ora vedere il recentissimo volume di G. ALBINI,
Poveri e povertà nel Medioevo, Roma, Carocci, 2016. Si veda inoltre il classico lavoro di B. GEREMEK,
La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp. 3-67.
J. HENDERSON, Piety and Charity, cit., p. 244. Questo modello amministrativo è ben presente negli
Statuti bolognesi del 1288, che accomunano storpi, ciechi e lebbrosi a indovini e imbroglioni: una
compagine sociale variopinta accomunata dal divieto di stare dentro le mura: fr. P. DELCORNO, Lazzaro e il ricco epulone. Metamorfosi di una parabola fra Quattro e Cinquecento, Bologna, Il Mulino, 2014,
p. 69. Quanti fossero i poveri mendicanti in Firenze all’epoca non è facile stabilirlo: chi non pagava
tasse usciva infatti dal perimetro dei censiti. Ad ogni modo ci sono buone ragioni per credere che
– salvo che nei momenti di crisi, come gli anni che precedono la peste del 1348 – il fenomeno
fosse relativamente limitato. Ben più preoccupanti, invece, dovevano essere le condizioni delle famiglie dei salariati non specializzati, sempre pericolosamente vicine alla soglia della sussistenza:
cfr. C.-M.B. DE LA RONCIÈRE, Pauvres et pauvreté à Florence au XIVe siècle, in Études sur l’histoire de la
pauvreté, a cura di M. Mollat du Jourdin, Paris, Publications de la Sorbonne, 1974, pp. 661-745.
Sull’istituzionalizzazione e clericalizzazione della povertà cfr. G.G. MERLO, La conversione alla povertà nell’Italia dei secoli XII-XIV, in La conversione alla povertà nell’Italia dei secoli XII-XIV. Atti del
XXVII convegno storico internazionale (Todi, 14-17 Ottobre 1990), Spoleto, CISAM, 1991, pp. 132. Già negli anni Trenta a Treviso si individuavano i veri poveri nei frati, l’aiuto ai quali forniva
al Comune un’opportunità di garantirsi salvezza e prosperità: cfr. A. RIGON, Frati Minori e società
locali, in M.P. ALBERZONI et alii, Francesco d’Assisi e il primo secolo di storia francescana, cit., pp. 259281, a p. 270.
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ANNA PEGORETTI
tuale della povertà»38 non prevede a ben vedere alcuna azione deliberatamente e
principalmente volta a un miglioramento effettivo delle condizioni di vita degli
indigenti urbani e rurali, e si basa piuttosto sull’accettazione di un dato di fatto
sempre declinato in rapporto al destino individuale oltremondano. Scrive Mollat:
per il povero, essa [scil. la povertà] consiste nell’accettazione della sua condizione; per il ricco, nella disponibilità alla perdita eventuale della sua fortuna e nel consenso di spogliarsi di una parte dei suoi beni in favore dei
diseredati; per il religioso, nella scelta liberamente acconsentita della condizione di vita del povero.39
Fatta salva la terza categoria, tale casistica di atteggiamenti individuali, predicata dalla pastorale medievale nel suo complesso, è incarnata dai personaggi
della parabola di Lazzaro e del ricco epulone. Lazzaro riassume in sé tutte le caratteristiche del pauper Christi: indigente, malato, reietto, degno di quelle opere
di misericordia negategli dal ricco. Il risarcimento per lo scandalo della sua condizione è rinviato all’aldilà, con l’avaro epulone destinato a un luogo infernale
da cui contemplare il povero, assurto alla condizione di beato. Tutto il discorso
sulla povertà si risolve dunque in un’esortazione alla carità per l’uno e alla pazienza per l’altro, «a garanzia (anche) della stabilità sociale», in una sorta di «“conservatorismo compassionevole” ante litteram».40 Lazzaro, insomma, non si sogni
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M. MOLLAT, Il concetto della povertà nel Medioevo: problematica [1966], in La concezione della povertà nel
Medioevo. Antologia di testi e scritti, a cura di O. Capitani, Bologna, Pàtron, 1974, pp. 1-34, a p. 29.
Ivi, p. 7. Mi pare che l’affermazione regga per tutta l’epoca dantesca, nonostante l’approfondirsi
della riflessione sulla povertà in generale, e sulla povertà di Cristo in particolare, in occasione
delle dispute che dilaniarono l’Ordine francescano e che raggiunsero la loro climax sotto il papato
di Clemente V e Giovanni XXII. Cfr. A. TABARRONI, «Paupertas Christi et apostolorum»: l’ideale francescano in discussione (1322-1324), Roma, Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 1990. Sull’evoluzione di una dottrina minoritica della povertà nel primo secolo di storia francescana, cfr. almeno
M. LAMBERT, Povertà francescana. La dottrina dell’assoluta povertà di Cristo e degli apostoli nell’Ordine
francescano: 1210-1323, Milano, Edizioni biblioteca francescana, 19952 [1961].
P. DELCORNO, Lazzaro e il ricco epulone, cit., p. 10. Si veda anche J. HANSKA, «And the Rich Man Also
Died; and He Was Buried in Hell»: The Social Ethos in Mendicant Sermons, Helsinki, Finnish Literature
Society, 1997, in cui si analizza il formarsi di un’etica socio-economica nei sermoni mendicanti
su Lazzaro fra il Duecento e l’inizio del Trecento. Nonostante la condanna della ricchezza e l’innalzamento spirituale dei poveri, la scelta volontaria della povertà appare in questo corpus di scritti
come indice di indiscussa superiorità morale.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
di migliorare la propria condizione terrena; procuri anzi di non dare troppo disturbo, pena l’espulsione. Il ricco, invece, badi a conformarsi ai dettami della carità. Su questa linea sembra porsi anche la predicazione fiorentina del Duecento
e del primo Trecento, tanto francescana quanto domenicana, che propone un discorso in cui la carità è parte di un percorso personale di avvicinamento a Dio e
garanzia di coesione sociale.41
Tra le eccezioni a questa visione ampiamente condivisa, andrà citata – per
l’indubbia vicinanza a Dante – la riflessione di Bono Giamboni su che fare dei
beni che erano dei Vizi dopo la loro sconfitta. La Carità
per volontà delle Virtudi tutta questa roba tra’ poveri dispensò, dando a
ciascun più e meno secondo la sua povertade. E quando ebbe fedelmente
dispoensato ogni cosa, non si trovò neun uomo nel mondo che fosse mendico, perché ciascuno avea pienamente reggimento della vita sua.42
I beni derivanti da un uso vizioso delle ricchezze vengono dunque ridistribuiti
fra i poveri, secondo una prospettiva che va nella direzione di una concreta equità
e di una emancipazione reale dei più disagiati, vista come base per una convivenza
pacifica.
Quale il collegamento di tutto questo con Dante? Ebbene, non sembra un
caso che la monografia più recente dedicata al rapporto fra il poeta e il francescanesimo, a firma di Nick Havely, identificasse nell’esilio e nella conseguente povertà
del Nostro una cesura netta nella concezione dantesca della povertà, assunta come
valore spirituale e base evangelica dell’autorità papale solo in seguito all’esperienza
diretta. Solo allora la «dolorosa povertade» (Conv. I III 5) diventa addirittura sigillo
dell’autorità della voce autoriale nell’Epistola ai cardinali italiani: «nulla pastorali
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Cfr. D.R. LESNICK, Preaching in Medieval Florence: The Social World of Franciscan and Dominican Spirituality, Athens, University of Georgia Press, 1989, in part. cap. 6 e p. 174. Ma sul volume nel suo
complesso si vedano le importanti osservazioni di J. KIRSCHNER nella recensione pubblicata in
«The Journal of Religion», 71, 2 (1991), pp. 261-262.
BONO GIAMBONI, Il libro de’ vizî e delle virtudi e il trattato di virtù e di vizi, a cura di C. Segre, Torino,
Einaudi, 1968 (Libro, cap. LXI).
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ANNA PEGORETTI
auctoritate abutens, quoniam divitie mecum non sunt» (Ep. XI 5). Per il periodo
fiorentino, Fiore incluso, andrà invece seriamente valutata l’adesione di Dante a
quella che con ogni evidenza appare come una pervasiva e largamente condivisa
ideologia della povertà, tutta declinata sul piano del destino individuale.
III. Penitenti e confraternite nella Firenze duecentesca
Nel fiorire dell’“età dei laici” la Toscana è in prima fila per posizione geografica, centralità politica e, non ultimo, per lo strepitoso successo economico
della regione.43 Quando nel 1221 i domenicani si insediano nella zona fuori le
antiche mura di Firenze, dove oggi si apre piazza dell’Unità italiana, era probabilmente già presente in zona un gruppo di penitenti che nel 1230 è attestato con
il nome di fratres de vita de penitentia. Si tratta di esponenti spesso agiati del ceto
medio, inclusi giudici e notai, votatisi a una vita di penitenza laica e via via garantiti da privilegi e immunità: spicca agli esordi il nome di Berlinghieri de’ Girolami.44 È questo il gruppo, di orientamento politico guelfo, che si lega inizialmente ai domenicani, alimentandone e finendo col gestirne le cospicue ricchezze
patrimoniali.45 Si tratta almeno in parte di rappresentanti di quella «gente nuova»
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Per un quadro di riferimento sulla storia fiorentina si tiene presente J. NAJEMY, A History of Florence
1200-1575, Malden-Oxford, Blackwell, 2006 (trad. it. ID., Storia di Firenze 1200-1575, Torino, Einaudi, 2014).
Cfr. A. BENVENUTI PAPI, Fonti e problemi per la storia dei penitenti a Firenze nel secolo XIII, in L’Ordine
della penitenza di san Francesco d’Assisi nel secolo XIII. Atti del convegno di studi francescani (Assisi,
3-5 Luglio 1972), a cura di O. Schmucki, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1973, pp. 279301, alle pp. 285-286; EAD., «In castro poenitentiae»: santità e società femminile nell’Italia medievale,
Roma, Herder, 1990 («Italia sacra», 45), pp. 17-56. Il volume contiene saggi ripubblicati in versione riveduta e aggiornata: nel citare faccio riferimento al libro nel suo complesso, non ai singoli
titoli. Ben poche sono le donne sorores de poenitentia che emergono dai documenti relativi a questo
gruppo di penitenti, poco dopo metà secolo: cfr. ivi, pp. 89-90, 97, 621.
Nel novembre 1304 il priore di Santa Maria Novella Giovanni di Falco d’Oltrarno si attiva per ottenere dai poenitentes la restituzione di alcune terre e beni da loro amministrati: cfr. G.G. MEERSSEMAN, Dossier, cit., pp. 264-267; E. PANELLA, Priori di Santa Maria Novella di Firenze 1221-1325,
in «Memorie Domenicane», 17 (1986), pp. 253-284, s.v. Almeno durante il priorato di Giovanni
da Salerno (1221-32?), i penitenti si votarono di fatto al mantenimento dei frati (A. BENVENUTI
PAPI, Fonti e problemi, cit., pp. 288-289).
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
(Inf. XVI 73) alla quale Dante rimprovera la scomparsa della Firenze del buon
tempo antico, chiusa nell’antica cerchia muraria (Par. XVI 46 ss.). Ospedali di
loro gestione erano San Niccolò a Fonte Manzina sulla strada della Futa e quello
che verrà chiamato Spedale di San Paolo dei Convalescenti, realtà assistenziale di
prima grandezza già nel Duecento e lungo tutto il Rinascimento.46 Su questi fratres
fa conto anche il domenicano Pietro da Verona (meglio noto come san Pietro
Martire) nel 1244-45 per la lotta antiereticale già intrapresa dal confratello inquisitore Ruggero de’ Calcagni:47 un momento cruciale nella vita politica e religiosa
della città. L’azione e la predicazione di Pietro – tanto incisiva da richiedere l’allargamento della piazza davanti a Santa Maria Novella (non ancora la sontuosa
basilica che vediamo oggi) a scapito di alcune residenze dei penitenti –48 si carat-
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Oggi sede del Museo Alinari di Fotografia sulla piazza di Santa Maria Novella, in un edificio che
riprende i moduli architettonici dello Spedale degli Innocenti.
Giovanni Villani lega esplicitamente la presenza di domenicani e francescani in città alla lotta antiereticale. Nel capitolo V 30 della Nuova cronica il cronista parla degli incendi che colpirono Firenze nel 1115-17, considerati una punizione divina per l’eresia che infestava la città, «intra l’altre
della setta degli epicuri [sic] per vizio di lussuria e di gola, e era sì grande parte che intra’ cittadini
si combatteva per la fede con armata mano in più parti di Firenze, e durò questa maladizione in
Firenze molto tempo infino alla venuta delle sante religioni di santo Francesco e di santo Domenico, le quali religioni per gli loro santi frati, commesso loro l’oficio della eretica pravità per lo
papa, molto la stirparo in Firenze, e in Milano, e in più altre città di Toscana e di Lombardia al
tempo del beato Pietro martiro, che da’ paterini in Milano fu martirizzato, e poi per gli altri inquisitori» (G. VILLANI, Nuova cronica, a cura di G. Porta, Parma, Fondazione Pietro Bembo-Guanda,
1990, vol. I, p. 214, 11-22). F. TOCCO, Quel che non c’è nella «Divina Commedia», cit., nota giustamente come Villani obliteri il discorso sulla lotta all’eresia in Firenze a metà Duecento relegandolo
ai tempi antichi.
G.G. MEERSSEMAN, Le confraternite di San Pietro Martire [1951], ora in ID., «Ordo fraternitatis», cit.,
pp. 754-920, alle pp. 754-757. L’eclatante allargamento della piazza è ricordato da ultimo da E.
FUMAGALLI, I Domenicani nella letteratura italiana, in L’Ordine dei Predicatori. I Domenicani: storia, figure e istituzioni (1216-2016), a cura di G. Festa e M. Rainini, Bari-Roma, Laterza, 2016, pp. 389413, che nota: «Che cosa si potesse udire in un luogo immenso e aperto rimane poco chiaro,
come poco chiara resta l’effettiva comprensibilità di una predicazione, in volgare, pronunciata da
un frate di provenienza veneta: e del resto di quelle prediche fiorentine, come di tutte le altre sue,
non è stata conservata alcuna traccia documentaria» (p. 391). Pietro venne martirizzato a Barlassina, vicino a Milano, nell’aprile del 1252 e canonizzato l’anno successivo, primo santo domenicano dopo il fondatore. Il suo assassinio ebbe non poche ripercussioni sull’organizzazione della
lotta anti-ereticale: cfr. R. PARMEGGIANI, Frati Predicatori e Inquisizione nel Medioevo, ivi, pp. 325350, a p. 342 ss. Sul culto di san Pietro Martire cfr. G.G. MERLO, Pietro da Verona – S. Pietro Martire.
Difficoltà e proposte per lo studio di un inquisitore beatificato, in Culto dei santi, istituzioni e classi sociali
in età preindustriale, a cura di S. Boesch Gajano e L. Sebastiani, L’Aquila-Roma, Japadre, 1984, pp.
471-488.
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ANNA PEGORETTI
terizza in particolare per l’enfasi sul culto mariano con funzione di contrasto al catarismo, diffuso soprattutto fra le schiere ghibelline. Spicca su tutti il nome di Farinata
degli Uberti, condannato nel 1283 a quasi vent’anni dalla morte. Nel corso di questa
turbolenta stagione di lotte e condanne, in cui fazioni e consorterie alimentano una
rissosità endemica, i penitenti fiorentini agiscono da presidio antiereticale e da fattore
di stabilità: il 19 gennaio 1247 Innocenzo IV invia loro un accorato appello affinché
«civitatis populum ad unitatis ac pacis reducatur affectum».49
Gruppi di devoti sono legati anche ai francescani, che nel 1218 si erano insediati in un ospizio, quello di San Gallo, donato loro da due laici con la mediazione del cardinale protettore Ugolino da Ostia (poi Gregorio IX), il quale nello
stesso anno si era adoperato al fine di ottenere il terreno di Monticelli per le clarisse (o meglio, a quell’altezza, damianite). Nel 1221, lo stesso aveva anche fatto
in modo di ottenere la chiesetta di Santa Maria per i domenicani.50 Agli ultimi
anni del Duecento va ricondotta la presa in carico da parte dei Minori dei fratres
de poenitentia, a seguito di una complessa vicenda che non poche dispute provocò
in città. A partire almeno dal 1275 si contavano in città due gruppi di fratres, uno
di abito nero, l’altro grigio. Per quanto Meersseman ritenesse che essi fossero affiliati ai domenicani da un lato (i neri) e ai francescani dall’altro (i grigi),51 si è
chiarito come si trattasse più probabilmente di una spaccatura interna ai fratres
de poenitentia, travolti anch’essi dalle dispute sulla povertà che animarono non
solo i minoriti, ma anche i domenicani (pare anzi che proprio Santa Maria Novella sia stata «la sede principale delle controversie pauperistiche in seno all’ordine
domenicano»52 fino addirittura al 1321). Un gruppo di penitenti più radicali si
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La lettera è pubblicata in Documenti dell’antica costituzione del Comune di Firenze, a cura di P. Santini,
Firenze, Viesseux-Cellini, 1895, pp. 493-494 (cit. a p. 494).
A. BENVENUTI PAPI, Fonti e problemi, cit., p. 286. Secondo la Benvenuti Papi, la chiesetta si chiamava
S. Maria inter vineas e venne solo successivamente designata “Novella”. Su questo punto, ad ogni
modo, si attendono novità dalle ricerche in corso di Enrico Faini.
G.G. MEERSSEMAN, Dossier, cit., pp. 16-19 e 30-36.
A. BENVENUTI PAPI, Fonti e problemi, cit., p. 295; ma l’affermazione, priva di rimandi bibliografici,
andrà almeno contemperata con gli studi più recenti riguardanti in particolare la riflessione sull’usura e il bene comune condotta da Remigio de’ Girolami e le prediche di Giordano da Pisa. Mi
limito a segnalare per un primo orientamento S. GENTILI, Remigio de’ Girolami, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1960- [d’ora in poi DBI], s.v., e D.R. LESNICK,
Preaching in Medieval Florence, cit. Di certo, la questione meriterebbe i dovuti approfondimenti. Al
saggio della Benvenuti Papi si deve la ricostruzione delle vicende che spaccarono i penitenti.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
sarebbe staccato, assumendo un abito diverso e avvicinandosi al frate minore
Caro, il quale avrebbe tentato di imporre a tutti i penitenti la guida francescana.
In queste tensioni si assommano tanto differenti visioni della vita religiosa,
quanto giochi di potere e influenza tra ordini mendicanti e sede episcopale, acuitisi con l’elezione a vescovo nel 1286 di Andrea de’ Mozzi, condannato da Dante
al girone dei sodomiti per i «mal protesi nervi» (Inf. XV 114). È proprio Andrea a
fomentare la ribellione dei penitenti neri (tra i quali annoverava un parente)53
contro quella riconduzione dell’Ordine dei Penitenti nell’orbita minoritica che
la Supra montem di Niccolò IV sancisce nel 1289. La controversia fra i neri, il vescovo e il soglio pontificio si protrasse a lungo: nel 1295 Bonifacio VIII trasferì
Andrea a Vicenza («colui […] che dal servo dei servi / fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione», con le parole di Dante: Inf. XV 112-113) nominando al suo posto Francesco Monaldeschi. A suon di minacce di scomunica, il nuovo vescovo si adoperò
per la riunificazione anche amministrativa dei due gruppi, raggiunta nel 1296 (a
partire dall’anno successivo, uno dei due ministri diventa Giuseppe Saltarelli:
forse parente di quel Lapo attaccato da Cacciaguida in Par. XV 128?). La pacificazione definitiva, tuttavia, si ebbe solo nel 1298, quando Matteo d’Acquasparta
promulgò lo statuto di tutti i penitenti toscani. Un documento fra gli altri fa emergere al contempo la complessa vicenda dei Penitenti fiorentini, la presenza mendicante in città, la sede vescovile e le pratiche di carità dei magnati locali, e le connette alla politica cittadina e allo sviluppo edilizio delle realtà assistenziali in città,
per il tramite di un personaggio non del tutto trascurabile. Si tratta del testamento
di Consiglio, figlio di Ulivieri de’ Cerchi, redatto il 30 agosto 1291: in caso di
mancata discendenza legittima, Consiglio lascia una parte cospicua dei suoi beni
all’edificazione «super terras suas» di un ospedale
ad hospitandum, recipiendum et alendum pauperes et religiosos et spirituales personas; et ad ipsum hospitale faciendum et hedificandum et fieri
faciendum reliquit suos executores episcopum florentinum, priorem Pre-
53
Guido Spigliati: cfr. A. BENVENUTI PAPI, Fonti e problemi, cit., p. 297.
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ANNA PEGORETTI
dicatorum et guardianum fratrum Minorum et ministros fratrum de Penitentia nigri habitus civitatis Florentie pro tempore existentes.54
Passiamo ora alle confraternite, per le quali Firenze offre abbondante documentazione.55 Nel corso del Duecento (fino al 1302, anno dell’esilio di Dante),
si contano a Firenze nove fondazioni confraternali.56 Al 1244-45 datano due compagnie di laudesi: quella della Vergine Maria delle Laude presso il convento di
Santa Croce e quella della Vergine Maria presso Santa Maria Novella, la cui tipologia costituisce una significativa novità, probabilmente legata – almeno nel caso
domenicano – all’azione di Pietro da Verona per l’invigorimento del culto mariano.57 Del resto, le compagnie fiorentine non fanno eccezione rispetto al più
generale movimento confraternale legato ai Predicatori:
Nei primi decenni questi gruppi scelsero a loro patrona la Vergine, la cui
devozione, allora in crescita in tutta Europa, era stata centrale nella spiritualità di san Domenico e continuava ad essere la celeste protettrice dell’Ordine. Non per nulla la gran parte delle chiese domenicane di nuova costruzione sono a lei intitolate (da Santa Maria Novella a Firenze a Santa
Maria sopra Minerva a Roma).58
Al 1244 risale anche l’importante Compagnia del Bigallo,59 che divenne rapidamente un pilastro della carità istituzionale fiorentina. Nel 1249-50 si regi54
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G.G. MEERSSEMAN, Dossier, cit., p. 207.
Sulla distribuzione geografica del fenomeno confraternale e sui casi storiograficamente felici di
Firenze e Venezia, cfr. M. GAZZINI, Confraternite e società cittadina, cit., pp. 8-10.
L’elenco è stato predisposto sulla base del censimento offerto da J. HENDERSON, Piety and Charity,
cit., pp. 443-474. Per ogni confraternita si segnala il numero corrispondente nella lista lì fornita.
Ivi, nn. 156 e 138. A oltre 20 anni più tardi risale la nota compagnia di laudesi promossa da Ambrogio Sansedoni a Siena (1267). Queste compagnie con ogni probabilità contribuiscono alla
nascita del genere. Sorgeranno in seguito, in tutta Italia e anche a Firenze, confraternite intitolate
allo stesso Pietro Martire, esplicitamente votate alla difesa dell’ortodossia.
G. BARONE, L’età medievale (XIII-XV secolo), in L’Ordine dei Predicatori. I Domenicani, cit., pp. 5-29,
a p. 24.
J. HENDERSON, Piety and Charity, cit., pp. 443-474, n. 28. Nel Quattrocento la Compagnia confluì
nella Misericordia, tuttora operante.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
strano gli esordi della Compagnia di Sant’Agnese e Santa Maria delle laude (poi
legata ai Carmelitani) e della Compagnia di Santa Maria delle laude e di San
Marco.60 Agli anni entro il 1273 risale la prima compagnia legata ai Servi di Maria,
una confraternita di laudesi denominata di San Sebastiano e delle laude della Vergine Maria e dei Santi Filippo e Gherardo.61 Gli statuti serviti per gli affiliati alle
confraternite costituiscono un buon esempio delle attività tipiche dei diffusi sodalizi a vocazione mariana:
I fratelli si riuniscono l’ultima domenica del mese e partecipano ad una
messa solenne cantata all’altare maggiore dedicato alla Madonna, versando
un contributo per luminari che devono ardere in onore della stessa Vergine;
in suffragio di un fratello defunto devono recitare 25 Pater e altrettante Ave
Maria; tutti dovranno digiunare nelle vigilie delle quattro feste della Madonna o, non potendolo, far dire una messa per i defunti della società o
presentare un’offerta per le loro anime all’altare della Vergine; nelle riunioni
mensili il predicatore dovrà narrare uno o due miracoli mariani.62
Al 1278 si data l’esordio di un’altra compagnia di laudesi, detta «la Crocetta», intitolata a sant’Egidio e presto legata all’importante ospedale di Santa
63
Maria Nuova, fondato nel 1288 da Folco Portinari, lì sepolto. Difficile sminuire
l’importanza di questo istituto, che arrivò a curare circa trecento persone l’anno
nel corso del XIV secolo e godette di notevoli sovvenzioni comunali e private.64
Al 1279, anno dell’inizio della costruzione della nuova basilica di Santa Maria
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Ivi, nn. 2 e 107. Riporto i nomi completi, spesso modificatisi “per accrescimento” nei decenni e
secoli successivi alla fondazione.
Ivi, n. 146, con fondazione nel 1263. La notizia però appare incerta, così come la fondazione da
parte di Filippo Benizi, sul quale vedi infra. F.A. DAL PINO, Madonna santa Maria e l’Ordine dei suoi
Servi nel primo secolo di storia (1245-1317 ca.) [1967], ora in ID., Spazi e figure lungo la storia dei
Servi di Santa Maria (secoli XIII-XX), Roma, Herder, 1997 («Italia sacra 55»), pp. 69-147, alle pp.
126-127.
Ivi, p. 128. Sulle serie di padrenostri e avemarie come “salterio laico”, precedente diretto del rosario, cfr. A. THOMPSON, Cities of God, cit., p. 10.
J. HENDERSON, Piety and Charity, cit., pp. 443-474, n. 61.
Cfr. L. PASSERINI, Storia degli stabilimenti di beneficenza e d’istruzione elementare gratuita della città di
85
ANNA PEGORETTI
Novella, si data la fondazione di due compagnie di flagellanti legate al convento
domenicano: la Compagnia di san Lorenzo in Palco e quella dei Pellegrini d’Oltremare.65 Se fino a quel momento i laudesi avevano imperversato – con la notevole eccezione del Bigallo, con scopi caritatevoli –, la comparsa dei flagellanti
segna l’irrompere di una spiritualità di tipo nuovo, marcatamente penitenziale,
per quanto esso non prenda subito il sopravvento nella vita confraternale cittadina.66
Al 1280-81 risalgono la compagnia di artigiani (quindi laici connotati da
un preciso status socio-professionale) di S. Onofrio (Nofri) dei Tintori e un’altra
fraternita di laudesi (S. Zanobi o di S. Reparata dei Laudesi).67 Al 1291 (17 agosto)
data poi la fondazione della celeberrima compagnia della Madonna di Orsanmichele, una misericordia dedita anche alla pratica della lauda, a seguito della serie
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Firenze, Firenze, Le Monnier, 1853, pp. 301-345. R. DAVIDSOHN, Forschungen zur Geschicht von Florenz, IV. 13. und 14. Jahrhundert, Berlin, Mittler, 1908, pp. 394-395 (cfr. p. 389 ss. per gli ospedali
fiorentini). Su Santa Maria Nuova, cfr. anche E. DIANA, Il patrimonio immobiliare cittadino dell’ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze tra XIV e XV secolo, in «Archivio Storico Italiano», CLXI/3
(2003), pp. 425-454; EAD., Tra cielo e terra, tra devozione e scienza: l’artista, mediatore d’eccezione
negli ospedali fiorentini (secc. XIV-XVIII), in «L’arco di Giano», 81 (2014), pp. 9-29. Impossibile sottovalutare il ruolo degli ospedali nello sviluppo delle istituzioni di carità nel corso del Basso Medioevo e del Rinascimento fiorentino, fino al picco costituito dallo Spedale degl’Innocenti, il cui
caso è ben noto e studiatissimo. Un orientamento, anche bibliografico, è fornito da M. GAZZINI,
Ospedali nell’Italia medievale, in «Reti Medievali. Repertori», maggio 2014, <http://rm.univr.it/repertorio/rm_gazzini_ospedali_ medioevo.html - Autore>. Va però detto che, almeno per quanto
riguarda il Duecento fiorentino, districarsi fra informazioni contraddittorie non è facile. Il non
specialista (com’è chi scrive) si troverà alle prese con pubblicazioni datate come quella del Passerini, accenni sparsi in contributi sui penitenti e confraternite di ogni tipo e così via.
J. HENDERSON, Piety and Charity, cit., pp. 443-474, nn. 88 e 135. Cfr. A. BENVENUTI PAPI, «In castro
poenitentiae», cit., p. 40: «le forme eremitiche di vita penitente compaiono qua e là e sembrano legate ad altre esigenze religiose, come nel caso di una strana confraternita detta di San Lorenzo in
Palco o della Vesteria, che la voce popolare diceva di fraticelli».
Altre città assistono al formarsi di confraternite di battuti già all’indomani del movimento di devotio del 1260, durante il quale un notevole numero di flagellanti percorsero la penisola a due a
due fustigandosi «per allontanare dall’umanità l’ira di Dio e per impetrare pace e misericordia attraverso la mediazione della madre di Cristo» (M.C. ROSSI, Vescovi e confraternite (secoli XIII-XVI),
in Studi confraternali, cit., pp. 125-165, a p. 134). Cfr. G. DE SANDRE GASPARINI, Movimento dei disciplinati, confraternite e ordini mendicanti, in I frati minori e il terzo Ordine, cit., pp. 77-114, che alle
pp. 80-81 afferma: «immuni dal contagio [della devotio] risultano, oltre all’Italia meridionale,
grosse città come Firenze».
J. HENDERSON, Piety and Charity, cit., pp. 443-474, nn. 132 e 162. Sulle confraternite di artigiani
cfr. anche I. TADDEI, «Per la salute dell’anima e del corpo». Gli artigiani e le loro confraternite, in La
grande storia dell’artigianato, 2. Il Quattrocento, a cura di F. Franceschi, G. Fossi, Firenze,
Giunti, 1999, pp. 128-147.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
di miracoli operati da una Madonna collocata su uno dei pilastri della loggia. Il
successo fu tale da richiamare pellegrini da fuori città68 e all’immagine sacra è dedicato il sonetto di Cavalcanti Una figura della Donna mia.
Negli ultimi anni del Duecento e i primissimi del Trecento si contano le
compagnie di San Giovanni Decollato dei Portatori di Norcia (di artigiani), quelle
di Raviggiolo e di San Jacopo Maggiore della notte (presso San Jacopo Soprarno),
S. Maria delle Laude di S. Trinita e quella femminile di San Lorenzo delle Donne.69
In totale, sono almeno una ventina le compagnie certamente fondate entro il
1302, alcune delle quali destinate a grande fortuna e impatto sulla società fiorentina. È inoltre possibile che agli ultimi vent’anni del XIII secolo risalga la fondazione della Compagnia di S. Maria delle laude e del Santo Spirito (detta «del piccione»), che produsse quel magnifico laudario “di rappresentanza” che è il manoscritto primo-trecentesco della Nazionale di Firenze, Banco Rari 18.70
Rispetto alla pratica tardo-medievale della carità nei confronti dei poveri
volontari, orientata alla salvezza dell’anima e lontana da qualsivoglia intervento
strutturale nei confronti dell’indigenza, Firenze non fa eccezione. Il catasto del
1427 registra elemosine e lasciti per un ammontare pari a circa un sesto della ricchezza dei cittadini, al quale andranno aggiunti gli altrettanto ricchi introiti di
chiese e fondazioni pie. Nonostante ciò, nemmeno le maggiori misericordie fiorentine (comprese il Bigallo e Orsanmichele) ebbero un impatto sostanziale nel
migliorare le condizioni degli strati più poveri della popolazione.71 La devozione
e la carità, invece, condizionano la vita collettiva della città e la percezione del
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Ivi, n. 92. Il complesso venne ricostruito dopo i gravi danni provocati da un incendio nel 1304.
A quella data, gli ex voto presentati alla Vergine dovevano essere un numero esorbitante. Cfr. G.
VILLANI, Nuova cronica, cit., VIII 155.
J. HENDERSON, Piety and Charity, cit., pp. 443-474, nn. 68, 142, 81, 111, 87.
Sulla fondazione, cfr. B. WILSON, Music and Merchants, cit., pp. 132-139. J. HENDERSON, Piety and
Charity, cit., pp. 443-474, n. 110, annota il primo riferimento sicuro alla compagnia, risalente al
1329. Sul laudario “di rappresentanza”, cfr. M. LEONARDI, Paraliturgie laiche, cit.
Ivi, pp. 44, 241-96; M.B. BECKER, Aspects of Lay Piety, cit. Per i dibattiti sull’efficacia dell’azione assistenziale confraternale e relativa bibliografia, cfr. T. FRANK, Confraternite e assistenza, in Studi confraternali, cit., pp. 238, a p. 235 ss. Per quanto riguarda Firenze, gli studi di Henderson appaiono
più che persuasivi. Inoltre, al di là dei risultati, resta la tendenza a un crescente irrigidirsi delle
strutture della carità e della categorizzazione dei poveri, suddivisi in più e meno meritevoli.
87
ANNA PEGORETTI
suo destino. È ancora una volta all’iniquità dei fiorentini che Giovanni Villani attribuisce le sconfitte e le calamità dei primi anni del Trecento, aggiungendo, a
proposito dell’alluvione del 1333: «poco duroè la rovina per non lasciarne al tutto
perire, per li prieghi delle sante persone e religiose abitanti nella nostra città e
d’intorno, e per le grandi limosine che·ssi fanno in Firenze».72
IV. L’“assedio” mendicante e le origini dei Servi di Maria
Fin dagli inizi del secolo, dunque, Firenze offre un esempio di prim’ordine
del legame istituitosi a vari livelli fra laici devoti e ordini mendicanti, i quali,
espressione almeno in parte dalle medesime esigenze spirituali, sanno immediatamente dialogare con la società. Se esaminiamo lo sviluppo dell’insediamento
fratesco in città, assistiamo a una sorta di progressivo “assedio”73 che cinge le antiche mura da ogni lato. Abbiamo già visto come tra il 1218 e il 1221 francescani
e domenicani si insedino, con l’aiuto sostanziale di Ugolino da Ostia e di alcuni
laici, ai capi opposti della città. Alla fine del mese di luglio del 1219 le consorelle
di Chiara ricevono l’approvazione per il monastero di Monticelli a Bellosguardo:74
la fondazione originaria si collocava vicino a una fonte che la leggenda voleva
fatta sgorgare dallo stesso Francesco. Nel 1268 alcuni Carmelitani pisani fondano
la chiesa della Beata Vergine del Carmelo (a fine secolo inizierà la costruzione di
S. Maria del Carmine). L’anno successivo gli Eremitani di S. Agostino intraprendono la ricostruzione di S. Spirito nell’ancora poco abitata zona d’Oltrarno. L’in-
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G. VILLANI, Nuova cronica, cit., XII 2. Una considerazione simile è a XIII 16.
Per il quadro offerto sull’insediamento mendicante a Firenze, cfr. soprattutto A. BENVENUTI PAPI,
«In castro poenitentiae», cit., pp. 3-16. Da qui prendo l’idea dell’“assedio”.
I. OMAECHEVARRÍA, Clarisse, in Dizionario degli istituti di perfezione, Roma, Edizioni, Paoline, 19742003, vol. II, coll. 1116-1131, a col. 1118. Un filone storiografico sostanzioso, che informa anche
la voce di R. PRATESI su Agnese d’Assisi, santa nel DBI, s.v., vuole Monticelli fondato dalla sorella di
Chiara, Agnese. In realtà, Agnese si spostò verosimilmente a Monteluce di Perugia: cfr. M.P. ALBERZONI, Chiara di Assisi e il francescanesimo femminile, in EAD. et alii, Francesco d’Assisi e il primo
secolo di storia francescana cit., pp. 203-235, a p. 210. Su Monticelli nel Duecento si può vedere,
pur con notevole cautela, M.G. BEVERINI DEL SANTO, Piccarda Donati nella storia del Monastero di
Monticelli, Firenze, Edizioni Polistampa, 2007.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
sediamento periferico – tale per poco, posto che entro il 1333 tutti verranno inclusi nella nuova cinta muraria – soddisfa al contempo l’esigenza di marginalità
e quella di incidere sul corpo sociale.75 Fatta eccezione per i domenicani, costituzionalmente orientati alla presenza nelle città,76 l’insediamento urbano dei frati
è frutto di una complessa negoziazione fra un’originaria vocazione tendenzialmente eremitica e la volontà di prestare servizio e svolgere il proprio apostolato
nel contesto urbano, in particolare fra i più diseredati. L’esperienza del viaggio
interiore viene allora valorizzata: il deserto ambito dai Padri e vissuto dagli eremiti
viene introiettato (Benvenuti Papi parla efficacemente di «adeguamento delle tebaidi della tradizione ai nuovi deserti urbani»)77 e trasformato in opportunità spirituale diffusa e praticabile anche dai laici. Il diavolo tentatore è la vita cittadina
quotidiana; il rifugio è costituito dalla cella o, per i laici, dall’affiliazione a un
gruppo di pinzocheri, o dalla reclusione volontaria, come nel caso della beata
Umiliana.78
Contrariamente a quanto il quadro indurrebbe a pensare, le masse dei
nuovi inurbati che premono su Firenze e costringono il Comune al massiccio
sforzo di allargamento delle mura non sono per forza di bassa estrazione: oltre a
quella classe media agiata che costituisce il nerbo dei primi fratres de poenitentia,
troviamo tra essi piccoli e medi artigiani e proprietari terrieri con importanti agganci nel contado, spesso accomunati dall’aspirazione a imitare modelli cavalleresco-aristocratici ben presenti, ancora un secolo più tardi, nelle novelle del Boccaccio. Lo abbiamo già detto: si tratta insomma, almeno in parte, di quella «gente
nuova» (Inf. XVI 73) alla quale Dante, specie per bocca di Cacciaguida, rimprovera
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Non andranno sottovalutati anche la maggior disponibilità di spazi per gli orti e i costi minori,
tanto nel caso degli Ordini, quanto in quello dei gruppi maschili e femminili di pinzocheri: cfr.
A. BENVENUTI PAPI, «In castro poenitentiae», cit., p. 631.
Sulla fondazione e sulla prima evoluzione dei Predicatori, cfr. da ultimo G. BARONE, L’età medievale
(XIII-XV secolo), cit., che puntualizza come il voto di povertà sia arrivato solo nel 1220, quattro
anni dopo l’approvazione dell’Ordine: «la povertà domenicana non escluse comunque mai la
proprietà delle chiese e dei conventi, rifiutata invece dai seguaci di Francesco. È bene ricordare
che è con la decisione domenicana del 1220 e con l’approvazione della Regola francescana del
1223 che i nuovi ordini assunsero la caratteristica di “Mendicanti”, termine con cui verranno però
definiti solo alcuni decenni dopo» (p. 9).
A. BENVENUTI PAPI, «In castro poenitentiae», cit., p. 593.
Cfr. infra, § 5.
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ANNA PEGORETTI
la scomparsa della Firenze del buon tempo antico, chiusa nell’antica cerchia muraria (Par. XVI). Alle aspirazioni e ai bisogni spirituali di questa compagine sociale
gli ordini mendicanti seppero rispondere con prontezza, non ultimo con la promozione, tramite le confraternite, di quei «vincoli mutualistici»79 tra singoli, e tra
singolo e comunità, che il nuovo tumultuoso inurbamento metteva a rischio. Non
a caso, nel 1282 il vescovo80 garantì un’indulgenza speciale ai laudesi legati a Santa
Maria Novella e a tutti coloro che avessero seguito l’intero ciclo quaresimale di
sermoni presso i domenicani.81
A Ubertino da Casale dobbiamo poi la preziosa testimonianza della presenza di un gruppo di laici devoti legati a Santa Croce, la cui santità di vita e carica
mistica è tale da meritare loro il titolo di magistri practici, complementari (forse
virtuosamente opposti) al doctor speculativus Pietro di Giovanni Olivi:
[...] ad provinciam Tuscie veniens sub titulo studi, inveni in multis viris virtutis spiritum Iesu fortiter ebulire. Inter quos, vir deo plenus Petrus de Senis
Pectenarius et devotissima virgo Cecilia de Florentia sic me introduxerunt
ad arcana Iesu, quod stupendum esset si scriberetur perspicacitas spiritus
eorundem. Nam prefata virgo, que nunc simul cum prefato Petro, regnat
in celis, totum processum superioris contemplationis de vita Iesu et arcana
cordis mei et alia multa de parvulo Iesu sepissime me instruxit [...]. Affuit
tunc, cum predictis magistris practicis, seraphice sapientie doctor speculativus et Christi vite defensor precipuus Deo kharissimo frater Ioannes Olivi
[...].82
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A. BENVENUTI PAPI, «In castro poenitentiae», cit., p. 10.
Potrebbe trattarsi del francescano Filippo da Perugia, vescovo di Fiesole dal 12 febbraio 1282 e
per quattro anni vicario per la diocesi di Firenze. Cfr. G.G. MEERSSEMAN, Dossier, cit., p. 18.
J. HENDERSON, Piety and Charity, cit., p. 88.
UBERTINO DA CASALE, Arbor vitae crucifixae Jesu, con Introduzione di C.T. Davis, Torino, Bottega
d’Erasmo, 1961 (ristampa della princeps, Venezia 1485), c. 1vb. Su questo passo, cfr. le riflessioni
di A. MONTEFUSCO, Autoritratto del dissidente da giovane. Gli anni della formazione di Ubertino nel
primo prologo dell’«Arbor Vitae», in Ubertino Da Casale. Atti del XIL Convegno Internazionale (Assisi,
18-20 Ottobre 2013), Spoleto, CISAM, 2014, pp. 27-81; a p. 59 ss. una considerazione del rapporto
tra Ubertino e Olivi negli anni fiorentini, per come emerge dal celebre primo prologo.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
Di Cecilia, che introduce Ubertino alla contemplazione della vita di Cristo,
alla devozione per Gesù bambino e alle profondità del cuore, non sappiamo
nulla. Possiamo però verosimilmente ascriverla alle comunità di pinzochere insediatesi nei pressi del convento francescano, e che fornirono ad esso un importante sostegno economico grazie soprattutto ai lasciti testamentari83 (poiché
spesso queste donne, magari vedove, provenivano da famiglie illustri ed estremamente facoltose, i loro lasciti costituivano di fatto un canale per il trasferimento
della ricchezza dalle maggiori casate cittadine ai conventi – dove spesso loro membri entravano come frati e suore84 – con conseguente rafforzamento dei legami tra
ceti alti e medio-alti e ambienti ecclesiastici). Il nome di Pier Pettinaio, invece, ricompare nelle parole dell’invidiosa Sapia, che lo ritrae intento a una delle attività
tipiche dei laici devoti, la preghiera di suffragio per i defunti, in questo caso lei
medesima:
[...] e ancor non sarebbe
lo mio dover per penitenza scemo
se ciò non fosse, ch’a memoria m’ebbe
Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
a cui di me per caritate increbbe. (Purg. XIII 125-129)
Esempio di santità laica proposto fin da subito ai membri delle Arti in virtù
dei suoi esordi da mercante dedito a un commercio giusto ed eticamente responsabile, Pietro è in tutto legato alla sua città, Siena, dove è attestato più volte in documenti che datano tra il 1258 e il 1289, anno della sua morte. La testimonianza
di Ubertino, che è da collocarsi nella seconda metà degli anni Ottanta, rimanda
a un possibile soggiorno a Firenze di Pietro, che sarà stato comunque breve e do83
84
Un documento del fondo notarile di S. Croce del luglio 1277 nomina «domine qui sunt iuxta ecclesiam S. Crucis que vestite sunt cum corda fratrum minorum» (G.G. MEERSSEMAN, Dossier, cit.,
p. 20, nota 1). A. BENVENUTI PAPI, «In castro poenitentiae», cit., parla di «conventini di pinzochere,
vero e proprio arcipelago intorno all’isola madre di Santa Croce» (p. 92), presenti almeno dal
1266. Cfr. anche ivi, pp. 619-620.
Fra le pinzochere e mantellate legate a francescani e domenicani non mancano sorelle e madri
vedove di frati: cfr. A. BENVENUTI PAPI, «In castro poenitentiae», cit., p. 621.
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ANNA PEGORETTI
vuto all’influenza che egli esercitò «sui gruppi di amici spirituali che si erano costituiti tra i laici di Siena, Pistoia e Firenze».85 Inoltre, essa conferma la vicinanza
del beato ai francescani, dei quali diventò verosimilmente terziario.86 La menzione
da parte di Dante non fa che rafforzare l’autorevolezza e la fama del laico Pietro,
esempio di quel rovesciamento «della gerarchia tradizionale degli stati di perfezione in seno alla Chiesa» che «costituisce senz’ombra di dubbio quello che la
spiritualità medievale conobbe di più avanzato e di più “moderno”».87
Il sodalizio tra frati e laici, al quale si dovrà guardare per meglio comprendere anche i rapporti di Dante con i conventi (inclusa la dichiarata frequentazione
delle «scuole delli religiosi», Conv. II XII 7),88 si concretizza inoltre in straordinari
esempi di arte sacra. Nel 1285 i laudesi di Santa Maria Novella commissionano
a Duccio di Buoninsegna la Madonna Rucellai, presumibilmente collocata nella
basilica ancora in costruzione. Si tratta di «una tra le più significative commissioni
del XIII secolo (e non solo)»,89 che rimane impressa nella memoria storica di Firenze al punto da meritare alquanto spazio nelle Vite del Vasari, pur gravata dall’attribuzione a Cimabue:
Fece [scil. Cimabue] poi nella chiesa di Santa Maria Novella una tavola, dentrovi una Nostra Donna […]. Fu quest’opera di tanta maraviglia ne’ populi
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A. VAUCHEZ, Pietro Pettinaio, beato, in Bibliotheca Sanctorum, Roma, Istituto Giovanni XXIII della
Pontificia Università Lateranense - Città Nuova editrice, 1961-, vol. X, coll. 719-722, a col. 721.
R. MANSELLI, Pier Pettinaio (o Pettinagno), in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, 1970-78, vol. IV, pp. 492-493, sulla sola base della testimonianza ubertiniana desume
arbitrariamente che «P. restò qualche tempo, circondato da rispettosa venerazione, in Santa Croce
di Firenze, ove visse come terziario francescano» (p. 493). Che cosa esattamente siano gli «amici
spirituali» di cui parla Vauchez, e se si tratti addirittura di terziari, non è dato sapere, almeno a
quanto mi consta. Vista la menzione di Cecilia, andrà tenuto presente che «i convitti di pinzochere
e la confraternita dei frati di penitenza non sono […] parte di una stessa comunità, ma vivono
due tipi di esperienza penitenziale diversa. A partire dalla fine del Dugento i documenti sui pinzocheri di entrambi i sessi si moltiplicano, anche se molti rimangono dispersi nei fondi più disparati, rendendo quindi estremamente difficile una raccolta completa ed esauriente per la storia
della Penitenza a Firenze» (A. BENVENUTI PAPI, Fonti e problemi, cit., p. 285).
A. VAUCHEZ, La santità nel Medioevo, cit., pp. 166-167.
Cfr. da ultimo A. PEGORETTI, Filosofanti, in «Le tre corone. Rivista internazionale di studi su Dante,
Petrarca e Boccaccio», II (2015), pp. 11-70.
L. SEGREBONDI, Arte confraternale, in Studi confraternali, cit., pp. 337-367, a p. 339.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
di quel tempo, per non esservi veduto infino allora meglio, che di casa sua
con le trombe perfino in chiesa fu portata, con solennissima processione,
et egli premio straordinario ne ricevette.90
Addirittura l’avrebbe vista Carlo d’Angiò ancora in fase di realizzazione. Certo
fantasioso, il racconto vasariano meritò di essere trasposto nell’ancor più immaginifica tela di Franz-Adolf von Sturler, La Madonna di Cimabue condotta in processione a Santa Maria Novella (1859).
Alla fine degli anni ’80 del Duecento si deve inoltre, per la medesima basilica,
il crocifisso di Giotto. Pur non trattandosi di un caso di arte confraternale, l’opera
certamente offre un luminoso esempio dell’interazione fra predicatore, uditorio e
immagini sacre. Studi recenti hanno appurato come il crocefisso fosse montato non
immediatamente sopra il tramezzo, ma più in alto, legato alla volta da catene.91 Il
predicatore, che parlava al di qua del tramezzo in modo da potersi rivolgere ai convenuti nella navata, si collocava sotto al crocifisso così fissato; ad esso fa riferimento
più volte Giordano da Pisa.92 Non c’è dubbio che simili performance e scenografie
sacre abbiano impattato a fondo la religiosità laica del tempo, costruendo un immaginario collettivo tanto arduo da ricostruire quanto pervasivo. Proprio il tramezzo,
inoltre, costituiva il confine architettonico tra lo spazio dei laici e quello dei chierici,
il cui superamento era (almeno in teoria) consentito solo in base a regole precise.93
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G. VASARI, Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri.
Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550, a cura di L. Bellosi, A. Rossi, Torino,
Einaudi, 1991, pp. 105-106. L’episodio si ritrova nella Giuntina del 1568, pur moderatamente addomesticato nelle scelte linguistiche.
F. SCHWARTZ, «In medio ecclesiae»: Giottos Tafelkreuz in Santa Maria Novella, in «Wiener Jahrbuch für
Kunstgeschichte», LIV (2006), pp. 95-114.
Gli studi sull’interazione fra predicazione, arte e architettura sacra sono molti. Per il caso specifico
del crocifisso di Giotto in Santa Maria Novella rimando a D. COOPER, Preaching amidst Pictures:
Visual Contexts for Sermons in late medieval Italy, in Optics, Ethics, and Art in the Thirteenth and Fourteenth Centuries: Looking into Peter of Limoges’s Moral Treatise on the Eye, a cura di H.L. Kessler e R.G.
Newhauser, con la collaborazione di A.J. Russell, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies,
2018, pp. 30-45 e 168-172 (ringrazio Donal Cooper per aver condiviso il suo lavoro con me).
A. THOMPSON, Cities of God, cit., p. 237. Sui tramezzi, cfr. D. COOPER, Access All Areas? Spatial Divides in the Mendicant Churches of Late Medieval Tuscany, in Ritual and Space in the Middle Ages.
Proceedings of the 2009 Harlaxton Symposium, a cura di F. Andrews, Donington, Shaun Tyas,
2011, pp. 90-107.
93
ANNA PEGORETTI
Questo dunque, per capi davvero sommi, il panorama di penitenti, confraternite e Ordini mendicanti maggiori nella Firenze del Duecento. Ma è proprio al
contesto fiorentino che va ascritto il caso eclatante di un gruppo di laici fondatori
essi stessi di un Ordine mendicante, quello dei frati Servi di Maria. Per quanto
poco si sappia dei loro esordi, è certo che sotto il vescovado di Ardingo (123147) un gruppo di mercanti fiorentini, inizialmente penitenti nel contesto urbano
(probabilmente nella zona di Cafaggio), si costituisce in comunità eremitica
presso Monte Senario (originariamente Asinario, a nord-est del capoluogo toscano) sotto la Regola agostiniana.94 Prima di questa scelta, la Legenda de origine
Ordinis95 lega i fondatori alla compagnia di laudesi promossa da Pietro da Verona
presso Santa Maria Novella e li descrive dediti ad attività assistenziali.96 Inizialmente, dunque, i fondatori fanno parte di quel variegato gruppo di penitenti fiorentini provenienti da un ceto agiato ed espressione di una fetta consistente della
religiosità laica cittadina. La vocazione mariana è presente fin da subito, proba-
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94
I cosiddetti sette santi fondatori vennero canonizzati nel 1888 da Leone XIII. Si tratta di: Bonfiglio
de’ Monaldi, Bonagiunta Manetti, Manetto Antellensis, Amadio degli Amedei, Uguccio degli Uguccioni, Sosteneus de Sosteneis e Alessio Falconieri. Sulla loro identità e sul loro effettivo numero
gravano però fitte nebbie. Al 1667 data invece la canonizzazione di Filippo Benizi, quinto generale
dell’Ordine (1267-85). Cfr. F.A. DAL PINO, Sette santi fondatori, in Dizionario degli istituti di perfezione,
cit., vol. VIII, coll. 1442-1453. Cfr. inoltre ID., Servi di Maria, 1. Dalle origini all’approvazione definitiva (1240/1-ca 1304), ivi, coll. 1398-1405. Queste voci del Dizionario compendiano il monumentale ID., I Frati Servi di S. Maria dalle origini all’approvazione (1233 ca. - 1304), I. Storiografia Fonti - Storia, 2 tomi, Louvain, Publications Universitaires del Louvain, 1972. Materiali e bibliografia sulla storia, spiritualità e liturgia servita sono reperibili anche sul sito http://servidimaria.net
(ultimo accesso: 27 luglio 2018). Si potrà inoltre consultare (meglio di quanto abbia potuto fare
chi scrive) anche L’ordine dei Servi di Maria nel primo secolo di vita. Atti del convegno storico di Firenze 1986, Firenze, Convento della SS. Annunziata, 1988.
Il primo nucleo della Legenda venne probabilmente redatto da Filippo Benizi tra il 1256 e il 1274,
per poi essere incluso, dopo il 1317, nella Legenda de origine ordinis fratrum Servorum virginis Marie o
Legenda beati Philippi, narrazione che va dagli anni di preparazione dei futuri sette fondatori (ca.
1240-1245) al costituirsi della comunità e dell’Ordine sul Monte Senario (1245-1256), concorde
con i dati offerti dai documenti archivistici contemporanei» (F.A. DAL PINO, I primi due secoli di storia
costituente dei frati Servi di Maria dell’Ordine di Sant’Agostino (1245/47-1431), in ID., Spazi e figure, cit.,
pp. 3-67, a p. 12). In scritti precedenti dello stesso Dal Pino si trovano al proposito informazioni
che mi paiono parzialmente contrastanti: mi attengo a questi risultati, in quanto più recenti.
F.A. DAL PINO, Madonna santa Maria, cit., p. 124: i primi laici penitenti assumono «la cura dell’ospedale di S. Maria di Fonte viva nel popolo di S. Quirico di Ruballa».
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
bilmente propiziata, oltre che dall’azione di Pietro da Verona, anche dall’influenza
dei Cistercensi, chiamati nel 1236 a Firenze proprio da Ardingo,97 ed è in linea
con una tendenza che non è solo fiorentina, ma che qui conosce uno sviluppo
ragguardevole con la fondazione di un nuovo Ordine. Nella Legenda, Maria figura
addirittura come fondatrice dei Serviti per il tramite di Pietro, al quale sarebbe
apparsa indicando i sette laici fondatori.
Tra 1250 e il 1255 si colloca la fondazione dei primi due conventi serviti:
quello fiorentino del Cafaggio98 – zona in cui i frati verosimilmente ritornarono
dopo la parentesi esclusivamente eremitica – e quello senese. Un atto stipulato
presso il Cafaggio nell’ottobre del 1251 sancisce la scelta pauperistica del gruppo,
già denominato dei «Servi di santa Maria»99 e insignito di lì a poco di protezione
pontificia. Agli anni Cinquanta e Sessanta risale la progressiva estensione dei compiti pastorali del gruppo (confessione, sepoltura dei laici), sul modello degli altri
Ordini mendicanti, con conseguente istituzionalizzazione e clericalizzazione dei
Servi e allentamento degli obblighi di povertà. Nel 1256 il priorato generale si
sposta da Monte Senario al convento di Cafaggio, che diventa così la casa principale dell’Ordine. Al 1263-73 data – lo si è già visto – l’istituzione in Firenze di
una compagnia di laudesi legata ai Servi,100 caratterizzata da quella devozione mariana che impronta tutto l’Ordine, come attestano anche le Maestà di Coppo di
Marcovaldo (Siena, 1261; Orvieto, 1268), Cimabue (Bologna, c. 1287), Duccio
(Montepulciano, in data imprecisata), Simone Martini (Orvieto, c. 1325), Ber-
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Non a caso, la formula servita che vede in Maria una «mediatrice e avvocata» trova riscontro nella
Vergine patrona et advocata dei Cistercensi.
Al 1250 data una lettera in cui si concede al vescovo di Siena delega per la consegna ai frati della
prima pietra di una chiesa da costruirsi al di fuori delle mura di Firenze. Cfr. la bibliografia a nota
94.
Sulle variazioni nella denominazione ufficiale del gruppo cfr. P.M. BRANCHESI, L’Ordine dei Servi di
Maria e il culto mariano (secoli XIII-XV), in Gli studi di mariologia medievale: bilancio storiografico, a
cura di C.M. Piastra, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2001, pp. 113-158.
A questi anni datano anche «i primi atti di “oblazione” in favore della comunità, nei quali laici
di età adulta o avanzata pongono se stessi e i loro beni al servizio del convento» (F.A. DAL PINO, I
Frati Servi di S. Maria dalle origini all’approvazione, cit., p. 940). Fra essi è in prima fila Arrigo di
Baldovino, già legato ai Minori di Santa Croce (cfr. anche pp. 943-944, e 951 ss.).
95
ANNA PEGORETTI
nardo Daddi (Firenze, entro il 1348)101 – l’iconografia della Madonna in Maestà,
certo non esclusiva dei Serviti, è la «più antica tipologia di immagine mariana in
Toscana»102 – oltre ai libri corali miniati di fine Duecento dei conventi di Siena e
Bologna.103 Sopravvissuto alle soppressioni degli ordini mendicanti più piccoli
decise dal secondo Concilio di Lione del 1274, l’Ordine servita ottiene l’approvazione definitiva da parte del pontefice domenicano Benedetto XI nel 1304.104
L’assegnazione del priorato al convento di Cafaggio rimarca la profonda
fiorentinità dell’esperienza servita. Un atto di compravendita del 1269 segnala
in zona l’esistenza di una piazza dei frati che testimonia, già a quell’altezza, tanto
l’ampliamento della chiesa della SS. Annunziata, quanto l’aumentata frequentazione del convento da parte di laici, un successo che porterà questo insediamento a diventare, nel corso del Trecento, il «principale santuario mariano di Firenze».105 Particolarmente rilevante in questi anni è la figura di Filippo Benizi,
quinto generale dell’Ordine fra il 1267 il 1285 (anno della morte a Todi) ed
estensore del primo nucleo della Legenda di fondazione.106 Originario del sestiere
di Oltrarno, Filippo entra nell’Ordine dopo i vent’anni e in seguito a un’esperienza di laico devoto, fatta di perseveranza nella preghiera, penitenza e assi-
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Cfr. Fonti storico-spirituali dei Servi di Santa Maria, I, dal 1245 al 1348, Sotto il Monte (Bergamo),
Servitium editrice, 1998, pp. 387 ss. La Maestà è descritta come «Madre del Signore con il Bambino
in braccio, sede della Sapienza realmente incarnata, Regina di misericordia, sintesi della spiritualità dei Servi che si rapportano a Lei per raggiungere e offrire agli altri il Figlio» (p. 389). In C.
CARGNONI, Due e Trecento. Alle origini della spiritualità italiana, in Storia della spiritualità italiana, a
cura di P. Zovatto, Roma, Città Nuova, 2002, pp. 19-162, a p. 116, si legge che la «spiritualità mariana [dei Servi] visualizza e medita in particolare della Vergine l’episodio dell’Annunciazione e
quello della sua presenza ai piedi della croce, ossia l’Addolorata». L’abito nero dei Servi richiama
proprio il lutto di Maria.
L. SEGREBONDI, Arte confraternale, cit., p. 339.
Il codice del convento dei Servi di Siena, ms. G (XIIIex.), alle cc. 128-149v, contiene «alcune laude
mariane proprie dell’Ordine [...] e costituisce un importante punto di riferimento documentario
attestante la pratica conventuale di canti alla Vergine» (P.M. BRANCHESI, L’Ordine dei Servi di Maria
e il culto mariano, cit., p. 136). Cfr. L. CROCIANI, La liturgia dei Servi nei primi due secoli di vita dell’Ordine, in «Quaderni di Monte Senario», 3 (1980).
L’enfasi posta dell’estensore ultimo della Legenda Ordinis sul ruolo di Pietro Martire nella fondazione dell’Ordine sarà forse da attribuirsi all’affiliazione domenicana di Benedetto XI: cfr. F.A.
DAL PINO, Sette santi fondatori, cit., coll. 1448-1449.
F.A. DAL PINO, I frati Servi di S. Maria dalle origini all’approvazione, cit., p. 957; cfr. pp. 944-945 per
il documento di compravendita.
Cfr. supra, n. 95.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
stenza ai poveri. La prima affiliazione ai Servi deve addirittura essere stata di semplice converso laico.107 Divenuto generale, si adopera per la stabilizzazione e in
seguito la sopravvivenza dell’Ordine, attenuandone il profilo di mendicità con
l’acquisto di possedimenti: grazie al suo impulso, entro il 1274 i Serviti contano
circa venti conventi e 150 frati tra centro e nord-Italia, e persino un’appendice
in Germania.108 Filippo morì a Todi sulla via del ritorno da Roma a Firenze: attorno al feretro, tuttora nel convento tudertino di S. Marco, si registrarono da
subito innumerevoli casi di guarigioni miracolose. È poi lui, assieme alla Vergine,
ad accompagnare le anime dal Purgatorio di San Patrizio alla città di Dio nel
magnifico affresco nel convento di S. Fortunato a Todi, databile al 1346, curiosamente ignaro della fisionomia dantesca del secondo regno.109 Una figura fiorentina di primo piano, dunque, che dovette rafforzare non poco la presenza servita e la spiritualità mariana a Firenze. È ai Servi che si deve del resto l’elaborazione di un “codice liturgico” di spiccata ispirazione mariana, che integra sistematicamente nella liturgia tradizionale il complesso di preghiere e celebrazioni
rivolte alla Vergine elaborate fino ad allora. In base alle più antiche costituzioni
a noi giunte dell’Ordine, in voga fino al 1295 e probabilmente elaborate dal Benizi stesso, l’ufficio delle ore veniva aperto dall’Ave Maria e chiuso dal Salve Regina. Preghiera, questa, particolarmente amata, che concludeva anche la giornata
della comunità: «come atto conclusivo della giornata, nelle comunità dei Servi
[il Salve Regina] ha un aspetto assai solenne: viene cantata e tutti i frati devono
partecipare; il suono della campana si rivolge in primo luogo ai frati, ma ugualmente diviene una memoria per i fedeli».110 Inoltre, se il culto della madre di
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Per la vita e la figura di Filippo, cfr. F.A. DAL PINO, Filippo Benizi, santo, in DBI, s.v.
ID., I primi due secoli cit., p. 15. Cfr. anche ID., Il cardinale dei Minori Matteo d’Acquasparta nei suoi
rapporti con i Servi di Santa Maria dal 1289 al 1300 [1993], in ID., Spazi e figure, cit., pp. 159-200.
Cfr. Dal Purgatorio di S. Patrizio alla città celeste. A proposito di un affresco del 1346 ritrovato a Todi, a
cura di M. Castrichini, Todi, Ediart, 1985; A. PEGORETTI, Allégorie et conscience de l’espace dans le
«Purgatoire» de Dante, in Le Paysage allégorique: entre image mentale et pays transfiguré. Atti del Convegno (Toulouse, 7-9 aprile 2010), a cura di C. Imbert e P. Maupeu, Rennes, Presses Universitaires
de Rennes, 2011, pp. 125-140.
P.M. BRANCHESI, L’Ordine dei Servi di Maria e il culto mariano, cit., p. 124. Il primo capitolo delle costituzioni, tra i più innovativi rispetto a quella domenicana di riferimento, è dedicato a «De reverentiis beate Marie virginis»: cfr. F.A. DAL PINO, Edizioni delle costituzioni dei Servi dal secolo XIII al 1940
[1969], in ID., Spazi e figure, cit., pp. 201-251, in particolare pp. 201 e 205 per ulteriore bibliografia.
97
ANNA PEGORETTI
Maria, sant’Anna, era già di altri ordini, i Servi sono pionieri della devozione a
san Giuseppe.111
Il convento della SS. Annunziata, inoltre, si trova coinvolto nelle importanti
vicende politiche fiorentine di fine secolo, così come in fatti vicini a Dante e alla
sua famiglia. All’indomani del rientro in città, i Servi giocano un ruolo di primo
piano nella «creazione di un forte consenso popolare guelfo particolarmente necessario alla politica pontificia nella regione».112 Nonostante gli stretti rapporti
con Matteo d’Acquasparta, la vicinanza dei frati ai guelfi bianchi dovette arrecare
loro non pochi problemi, non ultimo la reticenza di Bonifacio VIII a concedere
l’approvazione definitiva, che arrivò solo con il pontefice successivo.113
V. Donne religiose a Firenze: Umiliana e le altre
La prepotente ascesa dei laici nella vita religiosa del Duecento e la rivalutazione teologica della figura di Maria aprirono nuovi importanti spazi all’espressione della devozione femminile. Le nuove forme di associazionismo religioso
laico e il contemporaneo revival dell’opzione eremitica permettono alle vocazioni
femminili di esprimersi in una molteplicità di forme, che richiese più volte l’intervento contenitivo e ordinatore di vescovi e sede papale. Tale «esuberanza»114 è
ben visibile anche nel contesto della Firenze del Duecento, dove si affollano
gruppi di ogni tipo, via via concentratisi in alcune zone, ancora una volta periferiche, della città. Al momento in cui scrive la sua cronaca, Giovanni Villani – che
pure arriva in un momento in cui la fioritura si è dispiegata e probabilmente assestata – enumera ventiquattro monasteri femminili per un totale di circa cinquecento donne, cifra solo apparentemente modesta.115 Nella Valdarno duecentesca
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115
98
P.M. BRANCHESI, L’Ordine dei Servi di Maria e il culto mariano, cit., pp. 128-129.
A. BENVENUTI PAPI, Firenze e santa Umiltà, in UMILTÀ DA FAENZA, Sermones. Le lezioni di una monaca,
a cura di L. Montuschi et alii, Firenze, SISMEL - Edizioni del Galluzzo, 2005, pp. 493-505, a p. 500.
Cfr. F.A. DAL PINO, Il cardinale dei Minori Matteo d’Acquasparta, cit.
A. BENVENUTI PAPI, «In castro poenitentiae», cit., p. 575.
Questa la valutazione di A. BENVENUTI PAPI, Firenze e santa Umiltà, cit. Cfr. G. VILLANI, Nuova cronica,
cit., XII, 94.
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
si moltiplicano esperienze quali quelle delle recluse di Figline e Montevarchi, di
Cristiana di Santa Croce e di Giovanna da Signa.116 Nella diocesi di Fiesole era
poi viva la memoria di Brigida, eremita del IX secolo fugacemente menzionata
da Filippo Villani fra i famosi cives nel suo racconto delle origini di Firenze.117 Numerosi erano poi i gruppi sorti in città o inurbatisi per sfuggire ai pericoli del contado, raramente sotto una regola, ma sottoposti comunque a stretti controlli da
parte dell’autorità ecclesiastica. Se dei gruppi di pinzochere intorno a Santa Croce
si è già detto e una menzione è andata anche alle poche donne registrate fra i fratres de poenitentia,118 gruppi di religiose si registrano da metà secolo a San Donato
in Polverosa e a Borgo Pinti, con la trentina di “repentute” (ex prostitute) di San
Giusto. Vanno inoltre menzionate le donne di Marignolle, trasferitesi a Santa
Lucia sul Prato (nella zona degli Orti Oricellari). Negli ultimi due decenni del secolo, Borgo San Lorenzo e la via di San Gallo pullulano di gruppi femminili, con
le romite di Borgo San Lorenzo, le donne di Sant’Andrea di Bibbiena, le recluse
di Campo Corbolini e la fondazione, nel 1301, del «monastero di San Silvestro
delle Santucce, il ramo femminile dei Silvestrini che dalla fine del XIII secolo
erano insediati in San Marco».119
Appena fuori Porta Faenza, presso il Mugnone, si era stabilita nel 1281
Umiltà da Faenza, che fondò il convento di regola benedettino-vallombrosana di
San Giovanni Evangelista, dove morì ottantaquattrenne nel 1310.120 Non è chiaro
perché Umiltà (al secolo Rosanese Negusanti) si sia diretta a Firenze. L’agiografia
parla di un’iniziale meta veneziana, poi modificata dallo stesso san Giovanni apparsole in sogno.121 È probabile che il viaggio a Firenze fosse stato propiziato
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120
121
A. BENVENUTI PAPI, «In castro poenitentiae», cit., ad ind. A ridosso di Firenze si conta anche Lapa, a
Soffiano.
Philippi Villani De origine civitatis Florentiae et de eiusdem famosis civibus, a cura di G. Tanturli, Padova,
Antenore, 1997, I.
Cfr. supra, nota 43. Riporto qui quanto emerge in A. BENVENUTI PAPI, «In castro poenitentiae», cit.,
pp. 593-634, in cui si discute e aggiorna il panorama offerto in R. DAVIDSOHN, Forschungen zur Geschicht von Florenz, IV. 13. und 14. Jahrhundert, Berlin, Mittler, 1908, pp. 411-422.
A. BENVENUTI PAPI, Firenze e santa Umiltà, cit., p. 498.
G.P. PERDERZOLI, Note biografiche, in UMILTÀ DA FAENZA, Sermones, cit., pp. 327-329.
Le Vite di Umiltà da Faenza. Agiografia trecentesca dal latino al volgare, a cura di A. Simonetti, Firenze,
SISMEL - Edizioni del Galluzzo, 1997, cap. XXXIX della versione volgare.
99
ANNA PEGORETTI
dall’ordine vallombrosano, forse deciso a sfruttare il tentativo pacificatore del cardinale Latino Malabranca. Di sicuro, Umiltà è un personaggio di primissimo
piano e grande carisma, che riesce subito a stabilire importanti legami, primi fra
tutti con i fratres de penitentia di Borgo San Paolo, i quali comprano per lei il territorio su cui costruire il monastero. Il reclutamento fra le famiglie più facoltose
è rapido e numerosi – almeno a detta dell’agiografo – sono i miracoli in vita e in
morte.
Non è facile farsi strada nel fenomeno della religiosità femminile fiorentina
del Duecento, velata da fonti agiografiche inevitabilmente parziali e addirittura
creatrici di vere e proprie figure mitiche. Questo sembra essere il caso di Giuliana
da Firenze, presunta sorella di Alessio Falconieri, uno dei sette santi fondatori dei
Servi, celebrata da Paolo Attavanti nel Quattrocento come fondatrice dei terziari
serviti, associata alla francescana Chiara e alla domenicana Caterina (peraltro fondatrice di nulla). Secondo la più recente indagine di Dal Pino, Giuliana sarebbe
una sorta di ologramma derivante dalla sovrapposizione di una tale beata Giovanna, sepolta presso la SS. Annunziata nel 1310, e le donne di casa Falconieri.122
Una Giovanna da Firenze morta nel 1333 (evidentemente un’altra) si ritrova pinzochera nel gruppo di ispirazione domenicana e presto oggetto di culto, tanto da
meritare le ironie di Franco Sacchetti, critico nei confronti della devozione verso
i pullulanti “santi novellini”,123 fra cui spicca la beata Umiliana de’ Cerchi
(1219/20-1246).
Per quanto basata pressoché esclusivamente sulle fonti agiografiche, la fisionomia della figlia di Ulivieri (di primo letto: la madre era probabilmente una
Portinari) è ben solida.124 Sposata in giovane età, Umiliana (probabilmente bat122
123
124
F.A. DAL PINO, Giuliana Falconieri (Giuliana da Firenze), DBI, s.v. BENVENUTI PAPI, «In castro poenitentiae», cit., ad ind., la menziona in modo del tutto generico.
F. SACCHETTI, Lettera V a Iacopo di Conte, in ID., Opere, a cura di A. Borlenghi, Milano, Rizzoli, 1957,
p. 1113 ss. Cfr. A. SIMON, Letteratura e arte figurativa: Franco Sacchetti, un testimone d’eccezione?, in
«Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes», CV/1 (1993), pp. 443479.
De b. Aemiliana seu Humiliana vidua tertii ordinis S. Francisci, in Acta Sanctorum Maii, t. IV, Anversa,
apud Cnobarum, 1685, pp. 385-418. Nel loro dossier, i padri Bollandisti hanno raccolto la Vita
antica scritta da Vito da Cortona (Vita auctore Vito Cortonensi coaevo, pp. 387-403), i miracoli raccolti
da frate Ippolito da Firenze con antifona e preghiera alla beata (Miracula intra triennium ab obitu
100
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
tezzata Emiliana) si dedica incessantemente alle opere di carità, rinuncia a qualunque ricchezza e agio, visita le recluse cittadine e del contado, frequenta assiduamente la chiesa parrocchiale di San Martino, la stessa di Dante. Rimasta vedova nel 1241 e frustrata nel tentativo di entrare nel monastero di Monticelli (lo
stesso da cui sarà allontanata a forza Piccarda), Umiliana si oppone strenuamente
alla volontà del padre di darla nuovamente in sposa, accettando di buon grado le
misere condizioni alle quali Ulivieri la obbliga. Da quel momento si vota non
solo a una vita di servizio ai poveri (volontari e non), ma anche e soprattutto a
una sempre più ricercata reclusione nella torre di famiglia, dove trascorre le ultime
fasi della sua vita assistita da alcune sociae, in un percorso ascetico fatto di digiuni,
preghiere, estasi, apparizioni. La Vita viene stesa all’indomani della morte dal frate
minore Vito da Cortona († 1250), che le cronache vogliono accolto nell’Ordine
dallo stesso Francesco.
Il caso di Umiliana è quello di una reclusa volontaria, in cerca di un’esperienza eremitica svolta in un contesto cittadino, ben all’interno della cerchia antica
patrata auctore Hippolyto Florentino, pp. 403-408), un compendio dell’agiografia, un secondo compendio scritto dal Minore Osservante Raffaele da Volterra, una lettera indirizzata allo stesso Raffaele
nel 1570 e gli atti processuali del 1624-25 per la conferma del culto, corredati da un’appendice ex
Vita italice edita (p. 416). Della leggenda esiste più di una versione in volgare, anche pubblicata,
ma di cui qui non mi occupo. Su Umiliana, cfr. almeno R. DAVIDSOHN, Geschichte von Florenz, Berlin,
Mittler, 1896-1927, vol. 2 t. 1, pp. 129-135; A. BENVENUTI PAPI, Cerchi, Umiliana, beata, in DBI, s.v.;
porzioni della Vita sono riprodotte e tradotte in Scrittrici mistiche italiane, a cura di G. Pozzi e C.
Leonardi, Genova, Marietti, 1988, pp. 80-93 (l’introduzione è ripresa verbaliter in C. CARGNONI,
Due e Trecento, cit., pp. 132-133); A. BENVENUTI PAPI, «In castro poenitentiae», cit., pp. 59-98. Hanno
dedicato alcuni lavori a Umiliana M.R. FRANCO, La beata Umiliana de’ Cerchi, francescana di terz’Ordine in Firenze, 1977, in «Archivum Franciscanum Historicum», LXXI,1-2 (1978), pp. 239-243;
M.C. STORINI, Umiliana e il suo biografo: Costruzione di un’agiografia femminile fra XIII e XIV secolo, in
«Annali d’Italianistica», 13 (1995), pp. 19-39; EAD., Umiliana dei Cerchi: la tradizione della leggenda,
in «Il Veltro», 40, 3-4 (1996), pp. 298-303; A.M. SCHUCHMAN, The Lives of Umiliana de’ Cerchi: Representations of Female Sainthood in Thirteenth-Century Florence, in «Essays in Medieval Studies», 14
(1997), http://www.illinoismedieval.org/ems/VOL14/ schuchmn.html; segnalo anche EAD., Literary
Collaboration in the Life of Umiliana dei Cerchi, in «Magistra: A Journal of Women’s Spirituality in
History», 7, 2 (2001), p. 5-22, che non ho potuto leggere; EAD., «Within the Walls of Paradise»: Space
and Community in the «Vita» of Umiliana de’ Cerchi, in Negotiating Community and Difference in Medieval Europe: Gender, Power, Patronage and the Authority of Religion in Latin Christendom, a cura di S.
Wells e K.A. Smith, Leiden, Brill, 2009, pp. 49-64; EAD., Politics and Prophecy in the Life of Umiliana
de’ Cerchi, in «Florilegium», 17 (2011), pp. 101-114, https://journals.lib.unb.ca/index.php/flor/article/viewFile/15364/20248 (ultimi accessi: 10 marzo 2017).
101
ANNA PEGORETTI
di mura. Un esempio non raro di eremitismo contemplativo urbano,125 accompagnato dal conforto e dalla testimonianza di una serie di attori. Eccetto il consigliere spirituale Michele degli Alberti e altri due francescani, trattasi per lo più di
donne: ben trentuno sono quelle citate dal biografo Vito come testimoni della
santità di Umiliana, ennesimo gruppo, per quanto flessibile e topograficamente
dislocato, di donne religiose: coniugate, vedove, nubili. Umiliana è inoltre un modello perfetto di carità: elemosina e aiuto ai poveri, pur enfatizzati, sono funzionali a un percorso personale, che trova il suo sbocco naturale e più desiderabile
nell’ascesi eremitica. Con le parole dall’agiografo Vito, la beata passa «dalle preoccupazioni di Marta all’affannarsi con Rachele per raggiungere un più stretto abbraccio con Cristo»126 a compimento del percorso di perfezionamento spirituale.
L’esemplarità della vicenda di Umiliana, morta in fama di santità, viene immediatamente capitalizzata dai francescani, che si adoperano per darle sepoltura in
Santa Croce sotto il pulpito127 e per promuoverne il culto, in primis attraverso la
redazione della Vita. Certamente piegata a moduli agiografici preesistenti, essa
diventa a sua volta modello di una serie di legendae a venire.128 Traspare da queste
mosse la chiara volontà di legare le esperienze penitenziali, in particolare femminili, all’ordine dei Minori, secondo una politica che troverà definitivo sbocco nella
sanzione papale del legame fra francescani e terziari, al punto che Umiliana passerà alle cronache come fondatrice del Terz’ordine a Firenze.129 Inoltre, l’esperienza
umilianea si inserisce nella promozione di una santità cittadina130 addirittura
125
126
127
128
129
130
Cfr. L. PELLEGRINI, A proposito di eremiti laici d’ispirazione francescana, in I frati minori e il terzo Ordine,
cit., pp. 115-142, a p. 128: «quando, nella seconda metà del Duecento il processo di inurbamento
dei francescani sta procedendo verso la sua fase conclusiva, l’eremitismo urbano raggiunge le sue
punte massime». La fase eremitica si dispiega compiutamente alla fine della vita di Umiliana,
quando una malattia non le permette più di uscire. Prima di quel momento, le uscite sono in realtà frequenti: la reclusione è in primis nella carne. Per la complessa questione, cfr. A.M. SCHUCHMAN, «Within the Walls of Paradise», cit.
Vita cit., § 13, p. 390.
Miracula cit, § 41. p. 407; parliamo naturalmente della chiesa originaria.
Cfr. A. VAUCHEZ, Santità, cit., pp. 170 e 216 ss.
Cfr. G. CASAGRANDE, Un Ordine per i laici, cit., p. 248. Il mito di Umiliana terziaria – se non addirittura fondatrice dell’ordo poenitentium fiorentino – resiste anche in luoghi insospettati: cfr. A.
VAUCHEZ, Santità, cit., p. 169.
Cfr. ivi, p. 320. Sulla promozione francescana di santi locali, cfr. anche A. RIGON, Frati Minori e società locali, cit., p. 272.
102
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
sfruttata in senso consortile dai fratelli. Al momento della costruzione della nuova
basilica, iniziata nel 1294, i Cerchi finanzieranno la cappella della sorella beata,
le cui reliquie riposano a tutt’oggi in un reliquiario realizzato a fine Trecento, probabilmente dalla bottega del Ghiberti. La sua vita, inoltre, è dipinta nel complesso
sistema iconografico dell’Arbor vitae di Taddeo Gaddi nel refettorio conventuale.131
In un celebre saggio sulla Vita nova, Vittore Branca proponeva, sulle orme
di Schiaffini, una lettura del libello dantesco alla luce dei moduli agiografici degli
esempi di santità coevi, a cominciare da Umiliana e Giuliana Falconieri (quest’ultima additata come importantissima in virtù della presunta parentela con i Portinari).132 L’ipotesi di una lettura della Vita nova come legenda sanctae Beatricis è
stata accantonata con buone ragioni, principalmente in virtù del fatto che manca
la descrizione della morte della donna.133 Tuttavia – a differenza delle Vite di
Umiltà da Faenza – quella di Umiliana offre al dantista notevoli spunti di riflessione, non solo per la oggettiva contiguità degli Alighieri ai Cerchi, vicini di casa
(la torre di Umiliana è a pochi passi da quello che si può considerare il sito della
casa del poeta),134 ma ancor più per l’essere questo il documento agiografico più
prossimo ai luoghi e al tempo di Dante. Colpiscono soprattutto le modalità con
cui la devozione si dispiega e la santità si costruisce, così come il serbatoio di immagini che ne emerge, condiviso da Umiliana, dai testimoni e dagli agiografi Vito
e Ippolito. Tra le apparizioni post mortem si fa notare almeno quella di cui beneficiò un frate minore desideroso di vedere la beata in gloria, che gli appare assisa
al centro di un gruppo di santi su scranni. L’immagine viene certamente dalle
131
132
133
134
Testimonianze della continuità del culto umilianeo a Firenze sono date dai documenti raccolti
dai Bollandisti (cfr. supra. n. 124). La stessa richiesta secentesca di conferma del culto ne è un
esempio.
V. BRANCA, Poetica del rinnovamento e tradizione agiografica nella «Vita Nuova», in «Letture Classensi»,
2 (1969), pp. 29-66. Cfr. anche ID., Tradizione francescana del linguaggio agiografico della «Vita
Nuova», in Atti del Convegno di Nimega su letteratura italiana e ispirazione cristiana, a cura di C. Ballerini, Bologna, Pàtron, 1980, pp. 17-43.
G. GORNI, La Beatrice di Dante, dal tempo all’eterno, in DANTE ALIGHIERI, Vita Nova, a cura di L.C.
Rossi, Milano, Mondadori, 1999, pp. V–LX.
Non interessa qui discutere la proposta – già da altri efficacemente respinta – di un Dante
“uomo dei Cerchi” (cfr. M. SANTAGATA, Dante. Il romanzo della sua vita, Milano, Mondadori, 2012,
p. 95 ss.).
103
ANNA PEGORETTI
tante figurazioni di santi, evangelisti, apostoli nelle glorie dei giudizi universali,
dove frequentemente essi compaiono in trono o comunque seduti: così è anche
nei mosaici duecenteschi del Battistero fiorentino. Colpisce, a differenza della
candida rosa dantesca, quasi piena per la vicinanza dei tempi ultimi (Par. XXX
131-132), la bonaria generosità degli scranni vuoti nella visione del frate:
ipse non dormiendo, sed vigilando vidit ante altare multas sedes pulcherrimas nimis, et quaedam erant ibi caeteras pulchriores, et infra illas sedes
erant animae Sanctorum, et in medio sedebat B. Humiliana super una
earum; et multae ex eis erant vacuae.135
In un’altra apparizione, concessa a una non meglio specificata «religiosa
persona», Umiliana compare con caratteri estremamente elaborati. Uno dei due
diademi di cui è coronata è descritto «coloris albi rubri et viridis» (gli stessi colori
delle vesti di Beatrice al suo riapparire nel paradiso terrestre: Purg. XXX 31-33). Se
i capelli d’oro rientrano nell’elaborazione di prammatica di una femminilità angelica, qualche palpito in più darà la descrizione degli occhi: «oculos clarissimos
habebat, quorum claritas stellarum superabat fulgorem».136 «Lucevan gli occhi
suoi più che la stella», per dirla con Dante (Inf. II 55), che sarà certo «delicata immagine di pretto gusto stilnovistico»,137 come vogliono tutti i commentatori, ma
che trova nell’agiografia umilianea una formulazione più vicina di tutti i luoghi
poetici normalmente citati (al meglio Lapo Gianni: «e gli occhi suoi lucenti come
stella»).138
L’esperienza di Umiliana si modella tutta sulla sequela Christi (e sarà qui
pesata la visione del francescano Vito, oltre alla meditazione tipicamente duecen135
136
137
138
Vita, cit., § 61, p. 401. Tra le apparizioni post mortem se ne conta una ad una certa Cecilia da Firenze
(ibid.). Fin troppo facile sperare si tratti della magistra di Ubertino: l’ipotesi, ad ogni modo, non
è poi troppo peregrina se si considera che Umiliana divenne un modello per le pinzochere legate
a Santa Croce.
Vita, cit., § 60, p. 401.
La Divina Commedia, Inferno (canti I-VIII), a cura di G. Padoan, in Opere di Dante, vol. IX, a cura
di V. Branca, F. Maggini e B. Nardi, Firenze, Le Monnier, 1967, ad loc.
Questa rosa novella, v. 14.
104
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
tesca sulla Passione) e sull’imitazione della Madonna, specchio d’umiltà (la beata
è «imitatrix speculi totius humilitatis, scilicet Vergine gloriosae»),139 secondo un
modulo che presiede anche all’invenzione della Beatrice della Vita nova, devota
della Vergine.140 Di Maria Umiliana possiede una piccola icona, oggetto di continua venerazione: ad essa chiede di poter vedere il Bambino Gesù, secondo una
devozione che abbiamo già trovato nella magistra Cecilia e nel modello iconografico della Maestà. In un’altra occasione, la tavola viene misteriosamente avvolta
da un fuoco «non comburens, sed lucens».141 Umiliana arriva al punto di “programmare” la propria morte nel giorno di sabato, dedicato alla Vergine: «postulavit a Domino mori in Sabbato, Dominae nostrae reverentia».142 Sul letto di
morte scaccia il diavolo richiamando l’immagine di Maria e Cristo in gloria (forse
una Maestà?): «ecce praesto est Domina mea, quae me suo dilectissimo Filio cum
gloria subito praesentabit».143 Non manca nemmeno, fra rapimenti estatici e avvenimenti miracolosi, il pane degli angeli: un solo pezzetto basta a sfamarla per
giorni, permettendole di dare gli altri cibi ai poveri.144 Chi ricordi il pane dell’esordio del Convivio potrà trovare qui non certo una fonte, ma un ulteriore esempio,
ben vicino a Dante, di declinazione del simbolo del pane.
Ma un passaggio davvero eclatante è l’apparizione della Trinità nella forma
di tre sfere luminosissime unitesi in una sola:
[…] exclamare cepit ardentissimo affectu summam et individuam Trinitatem,
quam multis laudibus personabat. Unde factum est, ut nocte quadam post
139
140
141
142
143
144
Vita, cit., § 25, p. 392. Umiliana (nel nome apparentata a Umiltà da Faenza) è l’immagine stessa
dell’umiltà: «erat namque humilis in omni opere suo, ultra quam credi potest, et in omnibus corporis membris humilem aspectum, quia numquam oculos aspiciendo levabat: ibat per viam velut
paupercula mulier, vilis et despecta» (§ 26, p. 392).
Cfr. Vita nova, 2, 6 (ed. Gorni): «Uno giorno avenne che questa gentilissima sedea in parte ove
s’udiano parole della Regina della gloria»; 19, 1: «lo Signore della iustizia chiamòe questa gentilissima a gloriare sotto la ’nsegna di quella Regina benedetta Maria, lo cui nome fue in grandissima
reverenzia nelle parole di questa Beatrice beata».
Vita, cit., § 51, p. 399.
Ivi, § 52, p. 399.
Ivi, § 56, p. 400.
Ivi, § 29, p. 393, e § 41, p. 396, «in una eucarestia divenuta domestica, impersonando un sacerdozio al femminile», scriveva Pozzi in Scrittrici mistiche italiane, cit., p. 81. Cfr. anche M.C. STORINI,
Umiliana dei Cerchi: la tradizione della leggenda, cit., p. 302, per la centralità dell’eucarestia.
105
ANNA PEGORETTI
modicum extincto lumine dum oraret, apparuerint in cella sua tres sphaerae
supra solis candorem fulgentes, qui totam cellam longe magis quam sol iste
materialis, quem videmus corporeis oculis, illustrarunt.[…] Et exiliens de
loco ubi orabat cucurrit ad sphaeras, et apprehendens eas prout poterat, eo
quod erant incorporeae, dicebat: O amor dulcissime et desiderantissime,
benedicant te singuale creaturae. Et ipse tunc conversae protinus sunt in unam
sphaeram: quam cum omni diligentia pectori suo adstringeret, inter amplexus disparere conspexit: quae laudans benedixit Deum, conquerens quod
corporalis et carnalis erat, quia spiritualia non valuit retinere.145
La figurazione dantesca del mistero trinitario, certo ben più complessa nella
sovrapposizione di tre cerchi di tre colori diversi, distinguibili l’uno dall’altro nonostante l’uguale diametro, nel riflettersi del secondo nel primo e nello «spirare»
del terzo dai primi due, è nota:
Ne la profonda e chiara sussistenza
de l’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza;
e l’un da l’altro come iri da iri
parea reflesso, e ’l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri. (Par. XXXIII 115-120)
Una possibile fonte di ispirazione di questa geometrizzazione della Trinità
all’interno della luce eterna dell’essenza divina è stata finora identificata nella celebre raffigurazione di tre cerchi colorati parzialmente sovrapposti nel Liber figurarum di Gioacchino da Fiore, certamente la più celebre fra le pochissime rappresentazioni sferiche note del misterio trinitario.146 Pur con i dovuti distinguo, credo
145
146
Ivi, § 47, p. 398. Corsivi miei.
Gioacchino è richiamato in G. FALLANI, Dante e la cultura figurativa medievale, Bergamo, Minerva
Italica, 19762, p. 129, e nel commento del medesimo studioso. Chiavacci Leonardi riprende la
suggestione nell’introduzione al canto e ad loc. A.N. DIDRON, Christian Iconography, or The History
of Christian Art in the Middle Ages, London, George Bell and Sons, 1907, vol. II, p. 46, riporta un
106
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
che la visione di Umiliana costringa a ipotizzare non tanto un rapporto di fonte,
quanto una maggiore diffusione, almeno a Firenze, dell’iconografia delle sfere trinitarie, evidentemente accessibile alla visione di una devota, tanto quanto alla
comprensione dell’agiografo.147
VI. Dante, tra rumorosi silenzi e giochi di specchi
Se tracciare un panorama della religiosità laica nella Firenze del Duecento
era impresa scoraggiante, men che meno pretenderò di trarre tutte le conseguenze
di quanto proposto nelle pagine precedenti. Mi limiterò a formulare alcune considerazioni, a partire da una: di tutti i nomi brevemente scorsi non resta quasi
traccia nell’opera di Dante. Già Meersseman aveva notato come non emerga dalle
pagine dantesche un solo nome di penitente fiorentino, nemmeno di persone a
lui certamente note quali Lapo Gianni de’ Soldanieri, figlio del Gianni di Inf.
XXXII 121, Ugo Migliore della Bella o Giuseppe Saltarelli.148 Umiliana, da par suo,
era morta in una torre a pochi passi dalla casa di Dante e frequentava la sua stessa
chiesa parrocchiale: gloria non solo fiorentina, dunque, ma persino di sestiere e
pure di parte guelfa.149 Umiltà da Faenza era una veneranda presenza nella Firenze
del poeta, così come Pietro Martire certamente viveva nella memoria dei devoti
come combattente dell’eresia. Per non parlare di Filippo Benizi e dei Servi di
147
148
149
esempio di Trinità a cerchi intrecciati in un ms. di Chartres, Biblioteca Comunale, 1355. Ripercorre
le raffigurazioni geometriche della Trinità, incluse quelle circolari, P. IACOBONE, Mysterium Trinitatis.
Dogma e iconografia nell’Italia medievale, Roma, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1997,
pp. 155-158, ma senza particolari acquisizioni. La visione umilianea non è censita nel volume.
Sul Liber figurarum vanno ora viste le importanti acquisizioni di M. RAININI, Disegni dei tempi. Il
«Liber Figurarum» e la teologia figurativa di Gioacchino da Fiore, Roma, Viella, 2006.
M.C. STORINI, Umiliana e il suo biografo, cit., p. 29, nota giustamente come questa visione appartenga all’ultimo stadio del percorso di Umiliana, quello più propriamente mistico, in cui la manifestazione del divino e la capacità della beata di comprenderlo sono al loro massimo.
Cfr. G.G. MEERSSEMAN, Penitenza e penitenti, cit.
Sull’importanza del sestiere di residenza (Por San Piero) nella biografia di Dante, cfr. S. DIACCIATI,
Dante: relazioni sociali e vita pubblica, in Dante attraverso i documenti, I, cit., pp. 243-270, a cui si
può fare riferimento anche per il ruolo dei Cerchi. Non si può non nominare anche EAD., Popolani
e magnati. Società e politica nella Firenze del Duecento, Spoleto, CISAM, 2011. Sulle connotazioni politiche del culto umilianeo, cfr. A.M. SCHUCHMAN, Politics and Prophecy, cit.
107
ANNA PEGORETTI
Maria, nonostante siano stati proprio loro – tanto per avvicinarli ancor più al Nostro – a officiare, nell’aprile 1287, il funerale di Geri del Bello, dannato nella nona
bolgia dell’inferno (Inf. XXIX 18-36), che ricorda al poeta il proprio assassinio
non ancora vendicato.150 Conseguenza facilmente intuibile è la sostanziale assenza di questi nomi dagli studi su Dante.151
A partire dalla spiegazione fornita da Francesco da Buti alla corda che Dante
si slaccia dai lombi perché con essa Virgilio possa richiamare Gerione (ad Inf. XVI
106), ha goduto di una qualche fortuna l’idea che il poeta fosse membro del terz’ordine francescano, ipotesi recentemente ripresa e non lasciata cadere nel commento di Chiavacci Leonardi.152 In realtà, il Buti mi pare dica un’altra cosa, ovvero
che Dante fu novizio francescano senza poi prendere i voti, cosa ben diversa dall’essere terziario:
Io, cioè Dante, avea una corda intorno cincta, per questa corda che elli avea
cincta significa che elli fu frate minore, ma non vi fece professione nel
tempo de la sua fanciullessa, et con essa, cioè con quella corda, pensai, io
Dante, alcuna volta, cioè quando mi feci frate, prender la lonça a la pelle
dipincta, cioè ‹che› à la pelle dipincta come si dice: «Io abbo uno mantello
ad fregi d’oro», cioè che à li fregi dell’oro. Questa lonça, come fu ’sposto
nel primo canto, significa la luxuria, la quale l’autore si pensò di legare col
voto de la religione di san Francesco.153
L’ipotesi che Dante fosse un terziario è stata esclusa – e con certezza per il
periodo fiorentino – quantomeno per la banale constatazione che il suo nome
150
151
152
153
Sulla vicenda, cfr. M. SANTAGATA, Geri del Bello, un’offesa vendicata, in «Nuova Rivista di Letteratura
Italiana», XIII/1-2. Saggi danteschi per Alfredo Stussi a cinquant’anni dalla sua laurea, (2010), pp. 197207.
Nell’Enciclopedia Dantesca sopravvive curiosamente il nome di Stürler, autore non solo del quadro
sul trasporto della Madonna Rucellai a Santa Maria Novella, ma anche – e a questo è dovuta la
voce – di disegni danteschi. Umiliana è nominata – ma nulla più – fra i figli degni di nota di
Vieri.
Nota integrativa a Inf. XVI.
C. TARDELLI, Il Commento alla «Commedia» di Francesco da Buti. Inferno. Nuova Edizione, Tesi di Perfezionamento, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2011, 2 voll., vol. II, p. 700.
108
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
non compare negli elenchi dell’epoca.154 L’idea poi che fosse stato addirittura frate
in gioventù sembra frutto della fantasia del commentatore, il quale collegava
spontaneamente la corda ai francescani, spiegandosi così il tentativo di catturare
la lonza (ovvero frenare la lussuria), ma dovendo poi dare conto del fatto che il
Dante adulto non fosse un frate.
Meersseman si spiegava l’obliterazione pressoché totale delle esperienze
penitenziali fiorentine (ma anche venete) con una diversa concezione della penitenza da parte del poeta, più legata a quel tipo di conversione lenta e profonda
elaborata nel poema, che introietta elementi della catechesi dell’epoca senza assumerne le istituzioni e le pratiche sociali codificate. Certamente, la menzione in
negativo dell’ordine misto (di coniugati e non) dei cosiddetti Frati godenti, ovvero
i Cavalieri della Milizia della Beata Maria Vergine Gloriosa, sorto al tempo della
crociata contro gli albigesi e rifondato a Bologna nel 1260 da quel Loderingo degli
Andalò condannato assieme a Catalano nella bolgia degli ipocriti,155 fa pendere
la bilancia a favore di una decisa presa di distanza da parte del poeta dalle svariate,
massicce e pervasive forme di religiosità laica e cittadina fin qui descritte.
Che l’opzione di una vita santa da condursi nel secolo fosse non solo presente (il che è ovvio) a Dante, ma da lui anche stimata e perseguita, è esplicitamente acclarato da un passo del Convivio:
E non si puote alcuno escusare per legame di matrimonio, che in lunga etade
lo tegna; ché non torna a religione pur quelli che a santo Benedetto, a santo
Augustino, a santo Francesco e a santo Domenico si fa d’abito e di vita simile,
ma eziandio a buona e vera religione si può tornare in matrimonio stando,
ché Dio non volse religioso di noi se non lo cuore. (Conv. IV XXVIII 9)
154
155
Cfr. G.G. MEERSSEMAN, Penitenza e penitenti, cit.
Su questo piccolo ordine religioso-militare, costituito da laici per lo più impegnati professionalmente in politica cfr. M. GAZZINI, Confraternite e società cittadina, cit., pp. 85-155; EAD., Reti di solidarietà e di religiosità comunali. Gli ordini del Consorzio dello Spirito Santo e della Milizia della beata
Maria Vergine Gloriosa, o dei frati Gaudenti, in Identità cittadine e aggregazioni sociali in Italia. Atti
del convegno di studio (Trieste, 28-30 giugno 2010), a cura di M. Davide, Trieste, CERM, 2012, pp.
243-258, che a p. 246 precisa: «I frati della Milizia della Vergine Gloriosa furono vicini alla spiritualità mendicante, da cui ripresero la devozione per il culto di Maria e il tema del gaudium, della
gioia per la visione divina, da cui trassero il proprio appellativo di gaudentes».
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ANNA PEGORETTI
Dante, però, non fa riferimento a forme associate di religiosità laica, anzi: istituisce
un semplice dualismo tra consacrati e non, senza accennare a forme intermedie.
Ma c’è da chiedersi se all’eventuale lettore del trattato non sarebbero immediatamente venuti in mente confraternite, pinzocheri e terziari. Al di là delle affiliazioni, poi, l’annotazione richiama in generale i laici devoti.156 La menzione di
Pier Pettinaio nel poema, inoltre, complica non poco le cose, perché introduce il
nome di un penitente esemplare (come conferma la testimonianza di Ubertino),
forse noto a Dante proprio per il tramite dei pinzocheri fiorentini. Unico ad emergere è insomma un frequentatore di Firenze, ma senese, per di più ricordato da
una sua concittadina in un contesto tutto legato alla loro città.157
Il silenzio di Dante sui molti e rigogliosi aspetti della vita religiosa laicale
della sua città natale è eloquente, persino rumoroso, e andrà indagato, credo, nei
parametri fissati da Elisa Brilli per una riconsiderazione della città sub specie diabolica. Se davvero la rappresentazione dantesca di Firenze aderisce ai canoni della
civitas diaboli – concetto teologico che designa la «compagine metastorica degli
empi, l’insieme cioè di coloro che sono e saranno dannati […] passibile di incarnarsi storicamente in comunità mondane e compagini politiche specifiche»158–
non ci può essere spazio in essa per laici famosi di santa vita. Tanto più che l’analisi socio-politica che Dante fa della decadenza fiorentina ha radici in quella «confusion de le persone» (Par. XVI 67) e in quell’inurbamento che avevano costituito
il terreno fertile della pastorale mendicante, al di fuori della cerchia antica di
mura.159 Ordini e consorzi religioso-devozionali, inoltre, si erano inevitabilmente
156
157
158
159
Al “togliere ogni scusa” ai laici fa riferimento Vito da Cortona nel momento in cui parla del fatto
che Dio stesso non volle per Umiliana una vita da clarissa, bensì l’elaborazione di un esempio di
vita laica nel secolo: «Deus non permisit: coluit enim exemplo eius seculi otiosos trahere […]: ut
nullus a minimo usque ad magnum viam excusationis haberet quod Deo servire non posset iuxta
possibilitatem suam in domo propria et habitu seculari» (Vita, cit., § 13, p. 390).
Per quanto riguarda le figure religiose di primo piano, andrebbe approfondita la memoria che
nella Firenze duecentesca si poteva avere di san Francesco, al quale, almeno a giudicare da qualche
sondaggio, si attribuiva un passaggio in città e la fondazione di Monticelli (con tanto di “innesco”
della vicina fonte, sul modello di Mosè), se non anche quella dei terziari locali (informazione
tuttora curiosamente ripetuta: si veda ad esempio http://www.alinarifondazione.it/popup_leopoldine.html).
E. BRILLI, Firenze e il profeta, cit., p. 123.
A.M. SCHUCHMAN, «Within the Walls of Paradise», cit., p. 53, sottolinea come anche i luoghi in cui
si muove Umiliana nelle sue incursioni caritatevoli e nelle sue visite siano periferici.
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CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
trasformati in strutture di potere, legate a doppio filo alla politica: si pensi alla
lotta antiereticale domenicana, che colpisce le élite ghibelline, al sostegno dei Serviti alla parte bianca, o al ruolo politico ancora poco chiaro, ma certamente anch’esso di stampo guelfo, dei penitenti grigi e neri.160 I dati emersi sulla famiglia
dei Cerchi, esplicitamente nominati da Cacciaguida fra gli inurbati sgraditi, che
sarebbero dovuti restare nel contado («sarieno i Cerchi nel piover d’Acone», Par.
XVI 65), offrono una perfetta cartina di tornasole. Il fratello di Umiliana, Consiglio, si distingue per i suoi legami con i fratres nigri de poenitentia e con i conventi
francescano e domenicano. Andrà poi menzionato Enrico, frate minore in Santa
Croce, che possiamo ben immaginare impegnato nella promozione del culto di
Umiliana, lì sepolta. Nel 1285 lo stesso dona al convento, riservandosene l’uso,
almeno uno dei diciassette magnifici codici (ma probabilmente tutti) che costituiscono la cosiddetta Bibbia Laurenziana (Laur. Pl. I dext. 5-10, III dext. 1-11), e
un Salterio glossato (Laur. Pl. VII dext. 9). Un lascito, se confermato, rilevantissimo, che costituisce il cuore della prima biblioteca francescana di Firenze.161 Si
tratta dunque di un esponente di primo piano di un convento di poveri volontari
che, lungi dall’essere un baluardo del cosiddetto spiritualismo francescano (come
voleva Manselli e come si continua stancamente a ripetere),162 risaltava come un
centro di potere e ricchezza, come ha ben messo a fuoco Sylvain Piron.163 È in
questo delicato equilibrio di politica, denaro, pensiero economico che anche la
160
161
162
163
A. BENVENUTI PAPI, Fonti e problemi, cit., p. 283, richiama la necessità di «stabilire quale eventuale
ruolo i Penitenti abbiano potuto avere nelle scelte “guelfe” della città».
La sottoscrizione che indica il lascito, probabilmente al momento dell’entrata in convento, compare nel solo Plut. III dext. 5, ma gli studiosi tendono ad estendere la nota a tutto il gruppo, vista
la sua compattezza: cfr. da ultimo S. MAGRINI, Production and Use of Latin Bible Manuscripts in Italy
during the Thirteenth and Fourteenth Centuries, in «Manuscripta», 51, 2 (2007), pp. 209-257, a p.
221, n. 24; A. PEGORETTI, «Nelle scuole delli religiosi». Materiali per Santa Croce nell’età di Dante, in
«L’Alighieri», LVII, n. s. 50 (2016), pp. 5-55, alle pp. 18, 27, 45.
R. MANSELLI, Firenze nel Trecento: Santa Croce e la cultura francescana, in «Clio», 9 (1973), pp. 325342; ID., De Dante à Coluccio Salutati: discussions sur la pauvreté à Florence au XIVe siècle, in Etudes
sur l’histoire de la pauvreté, cit., pp. 637-659; ID., Dante e gli spirituali francescani, in «Letture Classensi», 11 (1982), pp. 47-61. A. BENVENUTI PAPI, Fonti e problemi, cit., p. 295, riconduceva anche la
scissione dei penitenti grigi a quel «fervore pauperistico e spirituale», arricchito alla fine degli anni
’80 del Duecento dalla presenza di Ubertino e soprattutto dell’Olivi a Santa Croce.
S. PIRON, Un couvent sous influence. Santa Croce autour de 1300, in Économie et religion. L’expérience
des ordres mendiants (XIIIe-XVe siècle), a cura di N. Bériou e J. Chiffoleau, Lyon, Presses Universitaires
de Lyon, 2009, pp. 331-355.
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ANNA PEGORETTI
produzione letteraria della Firenze due-trecentesca, a partire dall’immaginario antimendicante del Fiore (sia o meno di Dante), andrà riconfigurata.164
La riflessione degli umanisti a fine Trecento e lungo tutto il Quattrocento
andrà in un’altra direzione, quella di una città degli uomini in cui resiste forte l’idea
di una comunità spirituale, esaltata nella Cappella Brancacci (1425-27). Gli apostoli
sono ritratti nel compiere gesti di carità in un ambiente del tutto simile a Firenze e
dintorni, nello spazio di una comunità che si percepisce come sacra; accanto, l’angosciosa rappresentazione della cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden rende evidente
la loro separatezza dalla comunità perfetta.165 Proprio nel nome e intorno all’immagine di un Dante che torna a Firenze si giocherà, poi, nell’Allegoria della Commedia in Santa Maria del Fiore (1465), la redenzione della civitas diaboli, opposta all’inferno e benedetta dalla sapienza del cielo del Sole, splendente sulla cupola del
Brunelleschi.166 Ma se la tendenza consortile è un aspetto cruciale della socialità e
della religiosità del tempo,167 risaltano ancora più radicali le solitudini di Dante: l’esiliato che dopo avere fatto parte almeno di una corporazione e di una fazione politica – oltre che di quel gruppo di fedeli d’amore da lui chiamato a rapporto all’inizio
della Vita nova e parte integrante della dimensione sociale dell’amore per Beatrice,
vissuto in un contesto fortemente cittadino (per quanto evanescente nei suoi con164
165
166
167
Come ha iniziato a fare Antonio Montefusco con una serie di lavori: A. MONTEFUSCO, «sale o mura
/ de le limosine, a le genti strane» (CX.5-6). Esegesi di un passo antifrancescano del «Fiore», in Virtute e
canoscenza. Per le nozze d’oro di Luigi Scorrano con Madonna Sapientia, Galatina (Lecce), Congedo,
2014, pp. 141-150, ID., Dall’università di Parigi a frate Alberto. Immaginario antimendicante ed ecclesiologia vernacolare in Giovanni Boccaccio, in «Studi sul Boccaccio», XLIII (2015), pp. 177-233; ID.R. ZANNI, «O povertà, come tu sei un manto». Stratigrafia di un inedito trecentesco, in Incroci di metodi
e intertestualità per Roberto Mercuri, «Linguistica e Letteratura», XL, 1-2 (2015), pp. 107-134; ID.,
Maestri secolari, frati mendicanti e autori volgari. Immaginario antimendicante ed ecclesiologia in vernacolare, da Rutebeuf a Boccaccio, in «Rivista di Storia del Cristianesimo», 12 (2015), pp. 265-290;
ID., Religious Dissent in the Vernacular. The Literature of the “Fraticelli” in Late Fourteenth-century Florence, in Poverty and Devotion in Mendicant Cultures 1200-1450, a cura di C.J. Mews e A. Welch,
London & New York, Routledge, 2016, pp. 61-76; ID., Banca e poesia al tempo di Dante, presentazione di G.L. Potestà, Milano, Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa - Università Cattolica del Sacro Cuore, 2017.
M.B. BECKER, Aspects of Lay Piety, cit., p. 186.
Cfr. E. BRILLI, Image et autorité au Bas Moyen Age. Pour l’«Allegoria della Commedia» de Domenico di
Michelino (1465), in La performance des images, a cura di G. Bartholeyns, T. Golsenne e A. Dierkens,
Bruxelles, Éditions de l’Université de Bruxelles, 2009, pp. 111-122.
Si veda su questo anche O.G. OEXLE, I gruppi sociali del medioevo e le origini della sociologia contemporanea, in Studi confraternali, cit., pp. 3-17.
112
CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
torni) e decisamente pubblico – decide di “far parte per se stesso” («a te fia bello /
averti fatta parte per te stesso», Par. XVII 68-69); il pellegrino che da solo intraprende
il cammino nell’aldilà («e io sol uno / m’apparecchiava a sostener la guerra / sì del
cammino e sì de la pietate», Inf. II 3-5). Del pari, acquistano ancora più spessore i
legami tra i penitenti che si muovono in gruppo, «come le pecorelle» (Purg. III 79)
nel Purgatorio e che beneficiano di un legame privilegiato con i giusti in terra che
pregano per loro. L’ideale di pace ampiamente propagandato dai movimenti devozionali duecenteschi è qui pienamente realizzato in uno spazio altro, che solo il
cittadino fiorentino Dante ha il privilegio di visitare e in cui potrà ritrovare gli amici
fiorentini: Casella, Belacqua, Forese, magari non famosi, non morti in fama di santità, ma salvi, a differenza di altri volti cari, Brunetto in primis.
Varrà la pena tornare, in conclusione, su Umiliana e sulla religiosità femminile nella Commedia, che emerge in una forma tutta fiorentina tramite l’esempio
di Piccarda. Il gioco di specchi con la beata di casa Cerchi non è da poco. Strappata
con la forza al monastero dal fratello Corso Donati, Piccarda abbandona quella
stessa casa di spiritualità clariana nella quale la beata avrebbe voluto entrare.168 La
vessazione da parte dei parenti di sesso maschile è la stessa nelle due famiglie nemiche dei Cerchi e dei Donati. Croce ebbe a definire Piccarda «fragile creatura di
bontà e di sventura»,169 ma dietro alla donna si nasconde molto di più: un anelito
a una vita di devozione e contemplazione, di pace e coesione sociale, frustrato
dagli interessi di parte e dalla violenza delle lotte politiche. Essa è «esempio in terra
di una carità che non si lascia cancellare dalle violenze del mondo […] è colei che
in cielo figura quella virtù che è l’essenza stessa dell’essere beato, e la condizione
prima della visione di Dio: la carità»170 nel senso paolino del termine, che ha come
fine l’unione mistica e che in terra governa la solidarietà tra gli uomini.
168
169
170
Sul modello di Chiara che traspare nella figura di Piccarda, cfr. L. BATTAGLIA RICCI, Piccarda o della
carità: lettura del III canto del «Paradiso», in «Filologia e Critica», XIV, 1 (1989), pp. 27-70, a p. 54
ss. (poi, rivisto e con il titolo Canto III. «Ne’ mirabili spetti / vostri risplende non so che divino». Nel
cielo della Luna, davanti ai primi beati, in Lectura Dantis Romana. Cento canti per cento anni, III. Paradiso. 1. Canti I-XVII, a cura di E. Malato e A. Mazzucchi, Roma, Salerno Editrice, 2015, pp. 85110).
B. CROCE, La poesia di Dante, Bari, Laterza, 1921, pp. 136-137.
L. BATTAGLIA RICCI, Piccarda o della carità, cit., p. 58.
113
ANNA PEGORETTI
Ma perché scegliere proprio l’oscura Piccarda, priva di quelle credenziali
vantate da Umiliana, oggetto di culto cittadino? Certamente perché portava il lettore dell’epoca a vicende e personaggi più vicini, più pressanti (Corso su tutti),171
ma non solo. Assieme a Casella, Belacqua, al fratello Forese e altri, la donna faceva
parte dell’esperienza personale del poeta, della sua cerchia di amici. In virtù di
questo legame personale, unico a salvarsi nel naufragio dell’esperienza pubblica,
Piccarda subisce una forma di “espansione”, secondo il meccanismo individuato
ancora una volta da Brilli:
Ai fatti e alle voci di dominio pubblico – come si deve ammettere che fossero, a meno di credere che una parte cospicua del poema fosse redatta sapendola del tutto incomprensibile ai suoi lettori – degli anni in cui visse a
Firenze, Dante riserva il posto dell’aneddoto, della rapida allusione, della
battuta sagace. […] Mentre la storia evenemenziale della Firenze della giovinezza di Dante subisce nel poema una contrazione e un ridimensionamento significativi, le storie molteplici e minute che si intrecciarono in città
in quei medesimi anni, intrecciandosi al contempo alla vita di Dante, sperimentano un’espansione notevole nella rivisitazione ultramondana.172
Addirittura parlerei, nel caso dei devoti fiorentini, di meccanismi di obliterazione e sostituzione che intervengono nella raffinata e implacabile selezione
dantesca. A Piccarda spetta di additare nel Cielo della Luna la ben più celebre Costanza d’Altavilla, la «gran Costanza» (Par. III 118) madre di Federico II, rimasta
nella partitura dantesca senza voce propria, introdotta da una figura pressoché
inesistente sul palcoscenico della Storia. Ancora a Piccarda è affidato il compito
addirittura di spiegare «l’essenza stessa della beatitudine»,173 attraverso un discorso
intessuto di termini scolastici e di grande densità semantica.
171
172
173
E. BRILLI, Firenze e il profeta, cit., p. 73: «In prossimità della vicenda che maggiormente segnò la
vita di Dante, i riferimenti nel poema alla storia cittadina divengono puntuali e si moltiplicano
esponenzialmente. È il ritmo stesso della memoria dantesca a mutare».
Ivi, p. 70.
L. BATTAGLIA RICCI, Piccarda o della carità, cit., p. 34.
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CIVITAS DIABOLI. FORME E FIGURE DELLA RELIGIOSITÀ LAICA NELLA FIRENZE DI DANTE
Se il ragionamento può valere – almeno nelle sue grandi linee – per la presentazione fattuale della storia religiosa della comunità fiorentina, va invece indagato fino a che punto aspirazioni, sistemi di relazioni, pratiche devozionali,
iconografie, moduli narrativi vengano sussunti nell’opera di Dante. Penso ad
esempio alla convincente ricostruzione che Nicolò Maldina ha recentemente offerto del retroterra testuale e liturgico del Padre nostro recitato dai superbi (Purg.
XI 1-21), i cui meccanismi di traduzione, farcitura e commento sono reperibili in
codici e testi fiorentini, a conferma di una circolazione a Firenze di componimenti
costruiti con modalità simili e di una «probabile familiarità con questo vero e
proprio genere della letteratura religiosa medievale»174 da parte del Nostro.
Tra le cose da fare, inoltre, si può annoverare l’analisi di se e come l’uso di
immagini devozionali abbia inciso sulla presentazione dei personaggi sacri nella
Commedia. Se ormai lo studio delle fonti iconografiche di Dante è entrato a pieno
diritto negli studi, 175 andranno forse presi in considerazione i modi in cui santi,
beati, angeli, Maria e Cristo compaiono sulla scena, e la reazione degli astanti, al
fine di accertare se la descriptio abbia un qualche debito non solo nei confronti
dell’iconografia, ma anche della pratica devozionale delle immagini o, più in generale, della fruizione di immagini e architetture sacre nel basso medioevo italiano.176 Si dirà che, come per altri casi, la ricerca non dovrà certo essere fiorentino-centrica, ed è vero. Ma è altrettanto vero che la storia fiorentina ci offre notevoli esempi, e vicinissimi a Dante, tanto di immagini giunte sino a noi (le Maestà
nominate, ad esempio: e si ribadisca l’origine toscana dell’iconografia), quanto
di tavole e devozioni narrate: quella di Umiliana, gli ex voto alla sua tomba, quelli
174
175
176
N. MALDINA, Tra predicazione e liturgia. Modelli e fortuna del «Pater noster» di «Purgatorio» XI, 1-21, in
Le teologie di Dante. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Ravenna, 9 novembre 2013), a
cura di G. Ledda, Ravenna, Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali, 2015, pp. 201-233, a
p. 209.
G. FALLANI, Dante e la cultura figurativa medievale, cit.; L. BATTAGLIA RICCI, Immaginario visivo e tradizione letteraria nell’invenzione dantesca della scena dell’eterno, in «Letture Classensi» 29 (2000), pp.
67-103; EAD., Viaggio e visione: tra immaginario visivo e invenzione letteraria, in Dante. Da Firenze all’aldilà. Atti del terzo Seminario dantesco internazionale (Firenze, 9-11 giugno 2000), a cura di
M. Picone, Firenze, Cesati, 2001, pp. 15-73; L. PASQUINI, Iconografie dantesche: dalla luce del mosaico
all’immagine profetica, Ravenna, Longo, 2008.
Esemplare in questo senso G. ROSSER, Beyond Naturalism in Art and Poetry: Duccio and Dante on the
Road to Emmaus, in «Art History», 35 (2012), pp. 474-498.
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ANNA PEGORETTI
alla Madonna di Orsanmichele. Proprio questa immagine sacra irrompe sulla
scena letteraria con il sonetto cavalcantiano Una figura della Donna mia, in sovrapposizione con la donna stilnovistica.
Infine, sia concesso tornare sull’intuizione tuttora valida di Vittore Branca.
Oltre alla massiccia presenza di donne devote nella Firenze di Dante (o meglio
di Beatrice!), in qualche modo sussunte nell’ologramma di Giuliana, l’agiografia
umilianea offre la possibilità di reperire una descrizione di prima mano, e persino
fondante nel panorama dei modelli di genere, dei gesti e degli atteggiamenti di
una santità femminile (e di una femminilità santa) vicinissima al poeta e ai suoi
sodali. Una fonte che varrà la pena recuperare, e non solo agli studi sulla poesia
religiosa. Ed è anche con questo testo e con il contesto che lo ha prodotto, incluse
le movenze liturgiche della devozione mariana a Firenze, che l’analisi dei testi
danteschi potrà utilmente dialogare.177
177
Si veda da ultimo la minuta analisi di C. LE LAY, Marie dans la «Comédie» de Dante. Fonctions d’un
“personnage” féminin, Roma, Aracne, 2016.
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