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Maria Antonietta Grignani, Una mappa cangiante

Il saggio analizza gli apporti della prosa alla poesia di Vittorio Sereni

Maria Antonietta Grignani, Una mappa cangiante. Studi su lingua e stile di autori italiani contemporanei Pacini editore, Pisa, 2017, pp. 23-33 Cap. 2 Le voci «pausate e ritmiche» di Sereni: tra prosa e poesia È appena il caso di ricordare che prosa e poesia nel corso del Novecento hanno conosciuto incroci decisivi, orientati di volta in volta verso l’uno o l’altro polo. I Vociani hanno amato il cosiddetto frammento lirico all’insegna della caduta di confini tra i generi letterari, l’epoca del Neorealismo invece ha privilegiato un orientamento della produzione in versi sbilanciato verso la prosasticità, se non la prosa. Di romanzizzazione della poesia e all’inverso di liricizzazione del romanzo del resto parla diffusamente Michail Bachtin in Epos e romanzo, mentre Ronald De Rooy ne Il narrativo nella poesia moderna ha osservato, soprattutto nei primi decenni del secolo scorso, lo smottamento del profilo stilistico della poesia, in rapporto alla crisi della lirica e del linguaggio poetico M. Bachtin, Epos e romanzo. Sulla metodologia dello studio del romanzo, in G. Lukács et al., Problemi di teoria del romanzo, Torino, Einaudi, 1976, pp. 180-221; R. De Rooy, Il narrativo nella poesia moderna. Proposte teoriche e esercizi di lettura, Firenze, Carocci, 1997.. Le ragioni sono innumerevoli e note: fra tutte la crisi di una soggettività forte, reperibile a vari livelli del pensiero, dalla psicanalisi alla filosofia, dalle arti alle nuove modulazioni del diritto e la messa in discussione dei generi tradizionali. In Italia si è aggiunto nella seconda metà del Novecento un influsso notevole della tradizione anglosassone del light verse e della poesia narrativa L. Lenzini, Interazioni. Tra poesia e romanzo: Gozzano, Giudici, Sereni, Bassani, Bertolucci, Firenze, Cadmo, 2012, soprattutto l’Introduzione; A. Berardinelli, La poesia verso la prosa. Controversie sulla lirica moderna, Torino, Bollati Boringhieri, 1994.. In Sereni, dove il fenomeno è vistoso, si osserva l’affermarsi progressivo di una tendenza narrativa e dialogica, la presenza di versi intercalati alle prose e, se pure più di rado, di prose inserite in libri di versi; infine una teatralizzazione del discorso poetico, più o meno rimarcata Nell’edizione del Saggiatore 1980 la poesia La pietà ingiusta chiude L’opzione e fa da raccordo con Il sabato tedesco; in quest’ultimo figurano quattro poesie, quasi certamente tutte del 1975 (Poeta in nero, Revival, Domenica dopo la guerra, La malattia dell’olmo), che poi entrano in Stella variabile.. Ora che abbiamo a disposizione alcuni importanti carteggi, possiamo verificare come la ‘tentazione della prosa’ abbia accompagnato fin dai tempi di Frontiera la mente di Vittorio Sereni, destinato alla notorietà soprattutto come poeta. Nelle lettere a Giancarlo Vigorelli tra il 1937 e il 1942, dunque all’epoca della prima raccolta, si sente il preannuncio di un cambio di direzione, che in parte avverrà già nel Diario d’Algeria. Sereni non ama il canto; teme di restare oscuro e nel contempo non rifiuta le scorie, non aderisce alla distinzione di poesia-non poesia; il rapporto tra gli oggetti e il soggetto non deve battere sul secondo termine, occorrendo una necessaria intimità con la propria materia e una altrettanto necessaria distanza Giornale di «Frontiera», a cura di D. Isella, Milano, Archinto, 1991; molte osservazioni d’autore anche in V. Sereni, Poesie, a cura di D. Isella, Milano, Mondadori, 1995. Molto utile l’edizione commentata di Frontiera e Diario d’Algeria, a cura di G. Fioroni, Milano, Fondazione Pietro Bembo / Guanda, 2013.. Nel carteggio con Luciano Anceschi si leggono passi come il seguente: «Ma intanto credo che la mia strada non sia più nella poesia, ma nella prosa: più precisamente nel racconto. Le mie ultime poesie lo dicevano già, e anche le ultimissime due in tutto [sono Immagine e In me il tuo ricordo]» (5 novembre 1940) Vittorio Sereni. Carteggio con Luciano Anceschi 1935-1983, a cura di B. Carletti, Prefazione di N. Lorenzini, Milano, Feltrinelli, 2013, pp. 68-70.. In effetti Immagine alterna diversi tempi verbali, «dall’imperfetto del ricordo (che si ripercuote sul presente) all’immaginazione del futuro», con nomi di luoghi e citazione di un passo di canzonetta. Da questa spinta alla narrazione sono derivati nel tempo - ma a lungo in un rango di importanza o visibilità minore - molti racconti, talora anche lunghi, che avrebbero trovato una sede complessiva soltanto in un progetto non concluso e in un volume postumo, ma avrebbero nutrito di slarghi dialogici e di respiro narrativo le poesie più mature La citazione è dal commento a Frontiera di Fioroni cit., pp. 164-165; V. Sereni, La tentazione della prosa, progetto editoriale a cura di Giulia Raboni, Introduzione di Giovanni Raboni, Milano, Mondadori, 1998. Le prose ‘narrative’ di Sereni pubblicate in vita cominciano nel 1946 (Male del reticolato), si intensificano negli anni degli Strumenti umani, per giungere all’edizione dei Cento Amici del Libro di Stella variabile del 1979 (con il racconto Ventisei) e al progetto della Traversata di Milano.. Il gioco e le interazioni tra gli estremi del ventaglio compositivo e stilistico di Sereni forse si possono comprendere meglio se si bada alle funzioni attive che lo scambio con esperienze formali altrui e la pratica della citazione assumono nelle loro declinazioni cangianti. L’intertestualità, intesa come varia fenomenologia e intreccio della citazione e dell’allusione, si fa in Sereni sempre più frequente, ma sempre più tende a atteggiarsi a interdiscorsività, secondo la terminologia di Michail Bachtin, mediante la maschera di una voce - traudita o interiorizzata o onirica - e quella, grafica, del corsivo intercalare. Anche il motto di oraziana memoria piace a Sereni e infatti compare in esergo a versi e prose, dal Kavafis di Ventisei al Salvatore di Giacomo del Sabato tedesco al Montaigne posto in cima a Stella variabile, e si tratta di allusioni o citazioni integrative e non ironiche. Penso qui alla distinzione di Gian Biagio Conte tra allusione integrativa e allusione riflessiva, la prima vicina alla metafora, la seconda invece alla similitudine. La citazione integrativa produce un’unica immagine a due facce, che rigenera all’unisono la memoria del poeta e quella del lettore in rapporto a «una situazione poetica cara ad entrambi», si pone come significante del significato secondario indicato per allusione, opponendosi alla trasparenza semantica del discorso di consumo. Simile a un vetro quando si appanna e mostra opacità, scrive Conte, essa richiede collaborazione interpretativa per diventare trasparente, rivelando sotto la superficie le «radicazioni filamentose che distendono […] una rete (peculiare per quel contesto) di richiami associati, di reminiscenze, imitazioni, allusioni». Il lettore deve riconoscere la lettera e il senso, il metaforizzante e il metaforizzato ai fini della significazione e interpretazione G.B. Conte, Memoria dei poeti e sistema letterario, Torino, Einaudi, 1974, nuova edizione con prefazione di C. Segre, Palermo, Sellerio, 2012; le citazioni dalle pp. 48 e 52.. Come suole accadere nella poesia del Novecento a vocazione ‘civile’, il riuso dantesco funge da classico contraltare alla lirica monodica di filiera latamente petrarchesca. L’alone purgatoriale del Diario d’Algeria nelle zone tematiche della reclusione e della guerra ‘girata altrove’ richiama atmosfere dantesche. Nel Male d’Africa, aggiunto alla seconda edizione del Diario e inserito anche negli Strumenti umani, nonché in altri testi della raccolta del 1965, si leggono passi più aspri e di rinvio intertestuale più sicuro Si veda nel presente libro il cap. VII.. Ma è la vocalità o conferimento di voce, nel senso di un fantasma della percezione e dell’enunciazione, a elementi del tutto cartacei ma convocati come fatti interdiscorsivi, che si sviluppa esplicitamente nel corso del Sabato tedesco (1980) dove, poco dopo l’inizio, si legge: Certe voci risalite da lontano mi hanno scortato in viaggio; o meglio mi hanno tirato la corsa, quasi fosse in quelle la forza propulsiva del viaggio stesso. Pausate e ritmiche, non troppo diverse da uno scambio di battute da una finestra all’altra colte su una strada solitaria. Voci così s’insediano nella memoria, animano un momento dell’esistenza e lo fissano […]. L’alternanza di sequenze ‘narrative’ in tondo e di inserti in corsivo guida la lettura suggerendo due piani complementari. Verso la fine il secondo segmento corsivato riprende e sviluppa una lettera all’eroina eponima Nefertiti sul tema della bellezza, ripigliando anche il tema delle voci: Ancora non le ho parlato di certe voci pausate e ritmiche che di tanto in tanto mi tirano via […] Sono scappatoie alla fissità che da qualche tempo mi ha preso A proposito della fissità va ricordato che proprio il titolo Fissità è conferito a un pezzo del 1981, uno dei testi cronologicamente più tardi di Stella variabile: prova di un passaggio incrociato tra parole-tema del Sabato tedesco e poesie coeve.. Subito nel pressi del primo passo citato sulle voci «pausate e ritmiche» troviamo brani in corsivo della traduzione sereniana di Le voyageur di Apollinaire, ma con occultamento della fonte; come più tardi tracce di traduzioni da René Char. Quella che parla davvero è la lezione della poesia, declinata con la forza e la modestia di una interlocuzione Sulla struttura polifonica del Sabato tedesco cfr. M.A. Grignani, Le sponde della prosa di Sereni in Ead., Lavori in corso. Poesia, poetiche, metodi nel secondo Novecento, Modena, Mucchi, 2007, cap. 1; il ricco contributo di L. Barile, Polifonia e poesia: il «palpito contrario» che risale dal fondo nel «Sabato tedesco» di Vittorio Sereni, in «Per leggere», XIII, n. 25 (2013), pp. 165-186, che rinvia a studi e osservazioni di chi scrive, Luisa Previtera, Roberto Galaverni, Renato Nisticò.. I trapassi da un motivo all’altro, da un ipotesto all’altro caratterizzano la narrazione tipica di Sereni: non racconto, si badi, ma narrazione, come ha chiarito Gabriele Frasca, dove chi narra fa rivivere con effetti di voce un procedimento in atto, un attraversamento percettivo G. Frasca, Il luogo della voce, in Per Vittorio Sereni, Convegno di poeti, Luino 25-26 maggio 1991, a cura di D. Isella, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1992, pp. 20-31.. Naturalmente si pensa ai due pezzi ritoccati a distanza del Diario d’Algeria, dai quali scompare la condensazione che li aveva resi decontestualizzati, mentre il nucleo di narrazione instaurato vale «a memoria del preciso rapporto tra la circostanza (momento o situazione) di fatto e un testo scritto» Due ritorni di fiamma, in Gli immediati dintorni, Nota introduttiva di G. Debenedetti, Milano, Il Saggiatore, 1962.. Si tratta in definitiva del rovesciamento direzionale del proverbiale correlativo oggettivo, cioè dell’uscita dal carattere centripeto a implicazione narcisistica che, nonostante la metafisica dell’oggetto, ineriva alla relazione montaliana (e eliotiana) tra un pensiero-sentimento privato e la sua proiezione sull’alterità degli oggetti. Ci si domanda: che cosa si era verificato nel frattempo? Nel frattempo Sereni aveva tradotto La musica del deserto di William Carlos Williams, di cui commentò accuratamente la poetica nell’introduzione al volume da lui curato con Cristina Campo nel 1961 Prefazione a W.C. Williams, Poesie, Torino, Einaudi, 1961, anche in «aut aut», n. 61-62 (1961), pp. 110-118 con titolo Una proposta di lettura, poi con titolo La musica del deserto in Letture preliminari, Padova, Liviana, 1973, pp. 65-76.. Come sempre un poeta, quando parla di altri poeti, dice parecchio di sé e infatti la «costante inclinazione a sviluppare fin dove possibile la potenzialità della cosa» di Williams e la «proliferazione, per acquisizioni e dilatazioni successive, degli oggetti che hanno costituito la sua esperienza sensibile» sono spie della poetica di Sereni stesso, che non a caso in questo saggio parla di poesia come energia e della dimensione epica che si sviluppa dalla dimensione lirica e viceversa, non essendo la lirica, per Williams, mai una finalità. In certe lettere coeve a Luciano Anceschi, polemiche contro il dimostrativismo e l’asintattismo schizomorfo dei Novissimi, fiancheggiati come è ben noto dall’amico, Sereni manda innanzi il raggiungimento della lingua comune contemporanea, l’accrescimento di vitalità o energia e la riduzione dell’io da parte del poeta anglosassone e di sé medesimo: «sono cose che io sento da sempre e ho sperimentato in proprio e che non ho mai detto così chiaramente come nella nota su W.C. Williams» Si vedano due lettere ad Anceschi, la prima databile al gennaio 1961, la seconda in data 8 agosto 1962, in Vittorio Sereni. Carteggio, cit, pp. 212 e 229.. Il fastidio per i Novissimi e poi per la Neoavanguardia fu condiviso, tra parecchi altri, da Andrea Zanzotto, ma in Sereni la lezione che promana dall’esterno, da cose e persone, si accompagna ancor prima degli anni Sessanta con la scoperta del tono parlato e con l’attenuazione del pronome soggetto di prima persona, reperibile tanto nella produzione autonoma in italiano quanto nel modello anglosassone. La repulsione per lo sbandieramento di novità dei poeti ‘novissimi’ cari a Anceschi risulta particolarmente acuta e giustificata, se si pensa che già nella prima raccolta Frontiera il pronome di prima è spesso oscurato da un noi collettivo (Terre rosse, Canzone lombarda, Zenna, il finale di Immagine). A mostrare quanto Sereni prestasse un orecchio vigile e critico alle tendenze del momento vale una sua lettera all’editore Vanni Scheiwiller in occasione dell’uscita de L’opzione (1964), che commenta le ragioni della scelta di un «io parlante argomentante e congetturante» in quel testo così fuori da qualsiasi genere letterario riconoscibile; il cui stile smozzicato e magnetofonico riproduce sì il bavardage della Fiera del libro di Francoforte, ma anche fa il verso a una maniera in voga: Ma torniamo a questa cosa più modesta che è L’opzione, per la quale mi sono valso – come primo effetto dell’auscultazione di quel ronzio o bavardage – di un mezzo in cui eccellono alcuni odierni narratori di professione: voglio dire di quel “parlato” che ha già dato tante prove ai vari livelli d’intonazione dal cosiddetto monologo interiore alla prosa magnetofonica – come dicono ora. Adottandolo in questa sede ho adottato né più né meno che una maniera, mi sono insomma trovato a rifare il verso a quegli esempi più o meno illustri nella misura in cui quasi lo imponevano, a tutta prima, le esigenze di traduzione del più volte nominato ronzio o bavardage; e, in secondo luogo, la situazione o congiuntura specifica che si andava rivelando di pari passo col rivelarsi del profilo potenziale. Della forma possibile di quella storia implicita e congetturata La tentazione della prosa, cit., pp. 443-448.. Sereni insiste sulla adozione di quella maniera, ma subito dopo spunta una critica importante: essa «indurrebbe semmai a meravigliarsi che possa tuttora passare come tecnica moderna e assunta una volta per tutte a mezzo d’espressione questa che è di fatto una convenzione in più, ormai raggelata al punto d’intersezione tra universo linguistico e universo interpretativo» Altra lettera, mutila, a Scheiwiller dopo la correzione delle bozze dell’Opzione ricusa parentele con il nouveau roman che delocalizza, elimina nomi e toponimi per partito preso, per ragioni di ‘poetica’. Sereni ribadisce di dover chiedere scusa «ad alcuni autori contemporanei» italiani e stranieri «per aver loro fatto il verso»; dice che non aveva altro mezzo «per far vivere quel ronzio o bavardage che per circa una settimana ogni anno lo ossessiona nella città innominata».. Donde il correttivo suo all’andamento di simulazione del parlato, nelle fughe verticali di tutta la prosa. È un fatto che a partire dall’Opzione e fino al Sabato tedesco frequentissime sono le pause d’esitazione tipiche del parlato, tra monologo interiore e voci altrui, ma il tutto resta controbilanciato da torsioni sintattiche che vanno contro l’ordine non marcato della frase e perciò innalzano il tenore, quali gli iperbati e la posizione letteraria del sintagma aggettivo più sostantivo. Ancora nel Sabato e in Stella variabile voci di fuori e voci di dentro si intrecciano, perché chi sviluppa una situazione - e cioè la narrativizza sia nei versi che nella prosa - fa appunto rivivere al lettore un procedimento in atto, un attraversamento percettivo, evitando le polemiche di principio, di scuola, di gruppo. La modulazione della prosa risulta elaborata quanto la poesia. In poesia compaiono intrecci di locutori e una postazione mobile della voce accanto a quelle iterazioni, riprese e specularità individuate tempestivamente da Mengaldo P.V. Mengaldo, Iterazione e specularità in Sereni, in «Strumenti critici», VI, n. 17 (1972), pp. 19-48, poi in Id., La tradizione del Novecento. Da D’Annunzio a Montale, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 359-386.. La prosa narrativa, dove l’io è atteggiato come personaggio in una postura più fittizia, vede molta sintassi nominale, molta sprezzatura, quinte discorsive con lineette, corsivi, ma anche estrema cura e emergere di figure retoriche ben sperimentate nei versi. Lavoro etimologico, paraetimologico, iterazioni, chiasmi e riprese sono frequenti già nell’Opzione: «con lo stile d’un benefattore di stile»; «il telefono suona a vuoto per un pezzo […] da un pezzo il telefono suona a vuoto, ma non sulla sua camera vuota […] e telefono a vuoto in un vuoto immenso e abbagliante», «le cangianti striature della più e meno bionda biondezza … Già, il cangiante dall’acciaio all’acqua marina»; «ramble fiorite e canore, nubi gonfie di luce […] alcune architetture stralunate», con tre riprese in variazione aggettivale poco più avanti: «ha messo in moto in me ramble nuvole architetture […] al di là delle ramble nuvole architetture allucinanti […] ramble nuvole architetture folli». Nel Sabato tedesco segnalo tra i molti un paio di casi: «immutata e immutabile»; «la pioggia fredda sulla guerra fredda». Anche l’andamento triadico concorre a rendere ritmica la prosa: «un’esitazione, un’insoddisfazione, una riluttanza […] e poi i piccoli, i minimi, gli oscuri senz’altra tensione che quella dei piccoli minimi oscuri affari»; «una loro affinità o contiguità o associazione spontanea, per di più fertili di altre affinità contiguità associazioni spontanee». Nel Sabato tedesco si incrementano valori ritmici e procedure astrattive, con sostantivazione di aggettivi e participi, anch’essi molto vicini alle caratteristiche della poesia: «lame d’acqua lampeggianti nello screpolato e arsiccio della steppa […] equiparandoli nell’illimitato, nell’ubiquità a questi spazi nuovi»; «volti […] di fatto rimossi nel mai esistito» Al limite si perseguono scansioni sotterraneamente versali e effetti di rima (miei i segni grafici e i corsivi): E questa città dove fino a non molto tempo fa c’erano ancora rovine; /ma erano rovine ancora umane/, impastate di carne e sangue, /certamente più umane e palpitanti / di questi grattacieli e vetrine Come si è accennato, l’attività saggistica di Sereni fa eco e non di rado preannuncia soluzioni da lui stesso esperite, ma sempre senza ‘dimostrativismi’ o dichiarazioni sbandierate. Il lavoro del poeta, conversazione di estetica tenuta alla Fondazione Corrente nel maggio 1980, insiste sul periodo preliminare e fiancheggiatore rispetto al testo finale e addirittura rispetto alla messa in pagina dei primi abbozzi La conversazione è uscita a stampa per la prima volta in «Incognita», I, n. 1, marzo 1982, pp. 47-62, ora in V. S., Poesie e prose, a c. di G. Raboni, Milano, Mondadori, 2013, pp. 1126-1143.. In questa conversazione, di capitale importanza, Sereni ragiona intorno a Il Tordo di Giorgio Seferis, o meglio intorno alle pagine del diario e a una lettera d’autore sulla genesi del poemetto; dove si illustra il processo creativo per cui il vascello sommerso chiamato appunto Il Tordo si è manifestato a lungo nella mente come vessillo o «immagine opaca», per dar luogo alla successiva tensione o «reazione a catena» che si verifica inaugurando e assecondando il lavoro del testo: Ecco fra l’isoletta e la costa sommerso Il Tordo. Solo il fumaiolo emerge di poche dita dall’acqua. […] L’acqua, appena increspata, e il gioco del sole hanno fatto sì che il vascello sommerso, coi suoi alberi rotti … fluttui come un vessillo, o un’immagine opaca dentro il cervello. Passa poi a Francis Ponge, tra Vita del testo e Il partito preso delle cose, prendendo a lungo in esame Comment une figue de paroles et pourquoi, dossier della fase pre-testuale della «poesia in prosa» La figue sèche F. Ponge, Vita del testo, Milano, Mondadori, 1971, Id., Il partito preso delle cose (edizione francese 1977), introduzione e traduzione italiana di J. Risset, Torino, Einaudi, 1979. . La fase degli avantesti è messa da Ponge alla pari del testo definitivo, perché l’autore è convinto che nessuna enunciazione sia definitiva, mentre è la sequenza dinamica a denotare un ‘passaggio di energia’, postilla Sereni (e si ricordi quanto da lui detto su Williams nel 1961!). Ponge parla anche di «consolazione materialista» del proprio lavoro per la colluttazione tra evidenza della cosa e tentativo della parola di avvicinarsi alla cosa medesima, essendo strettamente embricate la realtà da descriversi e le parole che tentano di descriverla. Sereni, da ultimo, nota con sorpresa che certe stesure intermedie del Fico secco sono più condensate e ‘liriche’ rispetto alle successive e perfino rispetto alla lezione a stampa, il che non è ovvio per la tradizione sostanzialmente idealistica e teleologica italiana, ancora nelle frange tarde di molta critica delle varianti, che risente più di quanto non dica dell’impostazione crociana. Sottolinea infine il concetto di evidenza del corpo e di una sua irriducibilità allo spirito, cioè alla parola. Ponge aggiunge in Vita del testo che il poeta non deve mai proporre un pensiero ma un oggetto, deve cioè far assumere perfino al pensiero una postura di oggetto. Quest’ultima dichiarazione ci riporta alla mente una volta di più una famosa affermazione di Williams, condivisa da Sereni: «No Ideas but in Things». In un tale nodo di riflessione estetica, mai sbandierata ma fermamente ancorata a certe letture, sta la ragione della pervietà del passaggio tra andamento orizzontale della prosa e verticale della poesia. Anche in Sereni la prosa esplicita il contesto genetico della poesia, un po’ come accade in Ponge. Non si tratterà forse di una consolazione materialista come nel fico fatto di parole, ma senz’altro si tratta di una consolazione fenomenologica, che tra l’altro non crede opportuno distinguere in gerarchie di ‘genere’ - e con separazioni rigide prosa-poesia - i risultati formalizzati dalle premesse esperienziali. E Sereni ai suoi anni giovanili fu allievo di Antonio Banfi. Tra il Sabato tedesco, da una parte, e Strumenti umani o Stella variabile dall’altra sono molti gli esempi di mutuo rinvio, punteggiato di tessere formali che slittano senza infingimenti o mascherature a segnare la dialettica tra intimità e distanza in cui consiste il lavoro del testo Deduco il raccordo tra i due termini complementari intimità / distanza dall’intervento di riflessione sul proprio lavoro di poeta di Fabio Pusterla intitolato appunto Intimità e distanza, in «Versants», 60, fasc. 2 (2013), numero monografico su Autrici e autori della Svizzera italiana nel secondo Novecento, a cura di P. De Marchi, pp. 139-146.: Presto una cascata di un bel verde squillante […] avrebbe occultato nomi e targhe. […] La carità. Gira su se stessa e si svia. E così l’ironia e l’allegria […] (Il sabato tedesco) Stecchita l’ironia, stinto il coraggio sfatto il coraggio offesa l’allegria. Ma allora, ma dunque sei tu che mi parli da sotto la cascata di fogliame e fiori, proprio tu che rispondi? (Requiem, datato 1975, Stella variabile) Già, le belve onnivore. Le nuove belve intraviste qualche anno prima a un chiaro di luna riflesso sul pavimento all’ingresso del night […] La ferocia, avevo pensato, che consiste nel mangiare di noi cuore e memoria (Il sabato tedesco) Tutto ingoiano le nuove belve, tutto – si mangiano cuore e memoria queste belve onnivore. A balzi nel chiaro di luna s’infilano in un night. (Nel vero anno zero, datato 1964, Gli strumenti umani) Potrei tutt’al più aspettarmi di veder lampeggiare nella penombra in cui vive il suo sorriso già abbastanza imprendibile […] Addio, dunque, Nefertiti, o arrivederci in un’altra era, passata o futura. Caso mai un qualche sortilegio della macchina del tempo mi facesse sbarcare dove fossi sicuro in ogni caso di trovare lei. Nell’ultimo caso il riferimento è a Madrigale a Nefertiti della sezione Traducevo Char di Stella variabile, intitolato dapprima Madrigale da lontano e datato 1978: Dove sarà con chi starà il sorriso che se mi tocca sembra sapere tutto di me passato futuro ma ignora il presente se tento di dirgli quali acque per me diventa tra palmizi e dune e sponde smeraldine -e lo ribalta su uno ieri di incantamenti scorie fumo o lo rimanda a un domani che non m’apparterrà e di tutt’altro se gli parlo parla? Diciamolo pure: la via italiana per uscire dalla lirica ha sofferto talora di una sindrome da ipercorrezione, rischiando una voluta depressione stilistica. Sereni, invece, ha saputo far passare il mare in un imbuto, prendendo in contropiede il modello ‘magnetofonico’, modulando nei versi e nella narrazione il carattere docilmente ‘vocale’ e dialogante che arricchisce e completa il punto di osservazione. La sua perplessa utopia sul punto da cui potrebbe dipartirsi un futuro che mai è stato, i «cento futuri del passato», un passato rimosso nel presente ma che potrà avere riscatto nel futuro, parte - come scrive nella pagina finale del Sabato tedesco - «dal punto arretrato nascosto in noi stessi», giocando sulla simultaneità delle voci letterarie continuamente ribattute da versi a prosa e da prosa a versi, in quella sorta di contemporaneità perpetuamente rivisitata che è - eliotianamente - il rapporto tra tradizione e talento individuale. 8