Giurisprudenza
Famiglia
Casa familiare
CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 22 novembre 2010, n. 23591 - Pres. Luccioli - Rel. Cultrera - P.M.
Ciccolo - D.R.L. (avv.ti Sinesi, Tondini) c. C.G. (avv. Balatroni)
In tema di separazione, l’assegnazione della casa familiare postula l’affidamento dei figli minori o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti; in assenza di tale condizione non può essere disposta a favore del coniuge proprietario esclusivo, neppure qualora l’eccessivo costo di gestione ne renda opportuna la vendita, se i figli sono affidati all’altro coniuge in quanto eventuali interessi di natura economica assumono rilievo nella misura in cui non sacrifichino il diritto dei figli a permanere nel loro habitat domestico.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cassazione civile, sez. un., 28 ottobre 1995 n. 11297, in Fam. e dir. 1995, 523; Cass. civ., sez. I, 22
novembre 1995, n. 12083, in Giust. civ. Mass. 1995, 11; Cass. civ., 24 agosto 1999, n. 8705, in Giust.
civ. Mass., 1999, 1608; Cass. Civ., 15 gennaio 1999, n. 386, in Fam. e dir., 1999, 45
Difforme
Cass. civ., sez. I, 24 agosto 1990, n. 8705, in Giust. civ. Mass. 1990, 8; Cass. civ., sez. I, 30 agosto
1995, n. 9163, in Giur. it. 1996, I, 1, 4..
....Omissis...
Motivi della decisione
Col primo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine all’assegnazione della casa coniugale e
violazione dell’art. 155 c.c., comma 4.
Sostiene che la motivazione è illogica ed insufficiente in
quanto il provvedimento in oggetto si basa su considerazioni di ordine economico, identificate in un presumibile
depauperamento dell’asse ereditario, e tralascia di contro
la necessaria valutazione sull’interesse della prole. È inoltre contraddittoria in quanto nel contempo le riconosce il
contributo alimentare in ragione della necessità di assistere la prole, in specie la piccola An., seriamente impedita.
Ascrive al giudicante errore di diritto per non aver preso
in considerazione una eventuale assegnazione parziale
dell’abitazione familiare in attesa della sua vendita. Formula quesito di diritto con cui chiede se la disciplina degli interessi della prole, con riguardo alla conservazione
dell’habitat domestico, possa ammetterne la non assegnazione al genitore affidatario, privo di reddito proprio e
tenuto ad assistere un figlio infermo, per ragioni di natura patrimoniale.
Il resistente replica che la decisione rende conto, con
ampia e puntuale motivazione, della disapplicazione del
criterio invocato da controparte che, lungi dal dettare
qualsivoglia automatismo, è solo preferenziale.
La censura perciò non avrebbe fondamento giuridico.
Il motivo è fondato.
Assume la Corte territoriale che l’assegnazione della casa
coniugale alla D.R., affidataria dei figli, non è praticabile
ragionevolmente poiché le spese di gestione e mantenimento dell’alloggio, rappresentato da una villa, non si
giustificano e paiono contrarie all’interesse dei figli futuri eredi per il costante prevedibile depauperamento dell’asse ereditario che conseguirebbe a continui e cospicui
esborsi, presumibilmente in aumento.
L’approdo consuma violazione della norma contenuta
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nell’art. 155 c.c., comma 4 nel testo applicabile ratione
temporis che, secondo esegesi consolidata (per tutte Cass.
n. 3030/2006, n. 1545/2006, n. 25686/2009), disponendo
che l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza,
e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli,
non detta effettivamente una regola assoluta secondo cui
l’assegnazione sarebbe automatica conseguenza del provvedimento di affidamento, ma orienta piuttosto il potere
discrezionale del giudice di provvedere all’assegnazione
secondo criterio preferenziale, la cui applicazione non
può però mai prescindere dalla valutazione del persistente interesse dei figli affidati a risiedere nella casa familiare, che, tenendo conto della ratio dell’istituto, va riferito
all’esigenza di assicurare loro la permanenza nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti ed ove s’incentrano interessi e consuetudini della famiglia.
Pur avendo riflessi economici, valorizzati dall’art. 6 L. n.
898 del 1970, in materia di divorzio, l’assegnazione non è
subordinata ad interessi di natura economica. Sicuramente non può mirare a sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole ponendosi quale componente
dell’assegno previsto dall’art. 156 c.c.; in senso opposto
ma speculare, non può essere subordinata alle esigenze
connesse all’onere finanziario gravante per la manutenzione dell’immobile sul coniuge proprietario esclusivo
della casa, ma non affidatario. La scelta cui il giudice è
chiamato, in conclusione, non può prescindere dall’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli
maggiorenni non ancora autosufficienti che funge da presupposto inderogabile dell’assegnazione. Il criterio preferenziale posto dalla norma in esame esclude infatti che il
coniuge non affidatario possa pretendere l’assegnazione
se tutti i figli sono stati affidati all’altro coniuge. Suddetta scelta, inoltre, neppure può essere condizionata dalla
ponderazione tra gli interessi di natura solo economica
dei coniugi o tanto meno degli stessi figli, in cui non entrino in gioco le esigenze della permanenza di questi ultimi nel quotidiano loro habitat domestico.
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Deve invece ed assolutamente essere subordinata a suddetta ultima imprescindibile esigenza, sulla quale possono interferire ma non certo prevalere interessi di carattere economico, ancorché riferiti, indirettamente, alla sfera patrimoniale degli stessi figli.
L’assegnazione della casa familiare in conclusione è uno
strumento di protezione della prole e non può conseguire
altre e diverse finalità.
Il Collegio ritiene di dover confermare tale orientamento, non ravvisando né nelle argomentazioni del controricorrente né nella stessa motivazione della sentenza impugnata sufficienti ragioni per discostarsene. L’assegnazione
della casa coniugale a favore del C. disposta dalla Corte
territoriale prescinde immotivatamente dal fatto che egli
non aveva l’affidamento dei figli, che pur rappresentava
condizione necessaria ancorché non sufficiente per la
concessione del beneficio; si giustifica inoltre in base a
considerazioni di esclusivo carattere patrimoniale, omettendo qualsiasi riferimento all’esigenza di protezione dei
figli affidati alla madre non proprietaria della casa, in particolare, della minore inferma, abituata a muoversi nell’abitazione familiare nonostante la patologia motoria da
cui è affetta, che pur rappresentava imprescindibile criterio di valutazione, alla cui luce occorreva condurre il pre-
dicato bilanciamento tra gli interessi economici considerati.
La decisione è in conclusione affetta da errore di diritto.
…Omissis…
Tanto premesso, il primo motivo deve essere accolto e gli
altri devono essere rigettati. La sentenza impugnata deve
essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio
alla Corte d’appello di Venezia che dovrà pronunciare alla stregua del seguente principio:
l’assegnazione della casa familiare non può prescindere
dall’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i
figli maggiorenni non ancora autosufficienti che funge da
presupposto inderogabile dell’assegnazione, e per l’effetto
non può essere disposta a favore del coniuge proprietario
esclusivo se tutti i figli sono stati affidati all’altro coniuge.
Gli interessi di natura strettamente economica dei coniugi ovvero degli stessi figli assumono rilievo nella misura
in cui non prevalgano, comportandone sacrificio, sulle
esigenze della permanenza di questi ultimi nel quotidiano
loro habitat domestico.
Sarà compito del giudice d’appello provvedere altresì al
governo delle spese del presente giudizio.
...Omissis....
L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE: UN DIFFICILE
BILANCIAMENTO DI INTERESSI
di Francesco Galluzzo
L’Autore, ripercorrendo l’iter argomentativo della decisione in commento, esamina le posizioni espresse in
giurisprudenza e in letteratura con riguardo al rapporto tra i differenti interessi - tutela esistenziale della prole ed esigenze economiche del coniuge non affidatario - che il giudice è chiamato a vagliare nel pronunciare
i provvedimenti di assegnazione della casa familiare.
L’esame della sentenza della Suprema Corte offre anche uno spunto per approfondire la portata del nuovo
art. 155-quater c.c. e per verificare se la lettura che postula la “prevalenza” dell’interesse “esistenziale” dei
figli rispetto agli interessi economici del coniuge non affidatario - impostasi nel vigore dell’art. 155, comma
4, c.c., nella versione vigente prima dell’entrata in vigore della L. 8 febbraio 2006, n. 54 - possa ritenersi applicabile anche alla nuova norma.
Il fatto
Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha
affrontato il tema della gerarchia dei criteri che il
giudice di merito è chiamato a valutare ai fini dell’assegnazione della casa familiare in sede di separazione.
La controversia sottesa alla decisione in commento
è transitata, in primo grado, per una pronuncia del
Tribunale di Belluno, che aveva disposto la separazione fra i coniugi con addebito alla moglie, cui venivano affidate le figlie minori nate in costanza di
matrimonio (una delle quali affetta da grave patologia). Pur a fronte dell’affidamento delle figlie alla
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moglie, il giudice riteneva di non assegnare a quest’ultima la casa familiare, in proprietà del marito,
«stante l’eccessivo costo di gestione che ne rendeva
opportuna la vendita». Come la stessa Corte di cassazione ha rilevato nella pronuncia in commento, la
decisione del Tribunale era fondata su ragioni di ordine economico: il provvedimento d’assegnazione
della casa familiare avrebbe reso più difficile l’alienazione dell’immobile in favore di terzi, gravando
altresì il coniuge proprietario dei consistenti oneri
di gestione allo stesso relativi, con presumibile conseguente depauperamento dell’asse ereditario paterno di cui i figli sarebbero in futuro stati beneficiati.
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Le esigenze abitative della famiglia venivano dunque tutelate attraverso l’imposizione, a carico del
marito e in favore della moglie affidataria della prole, dell’obbligo di versamento di un contributo mensile per il pagamento del canone di locazione di un
appartamento sostitutivo.
Il provvedimento di primo grado, impugnato da entrambi i coniugi, con differenti motivi di doglianza,
veniva parzialmente modificato dalla Corte d’appello di Venezia, che - per quel che qui rileva osservare
- confermava la decisione con riguardo alla casa familiare: la Corte confermava che l’assegnazione alla
moglie non apparisse ragionevolmente praticabile
poiché le spese di manutenzione dell’alloggio, rappresentato da una villa, non si giustificavano e apparivano anzi contrarie all’interesse dei figli futuri eredi, per il costante prevedibile depauperamento dell’asse ereditario che sarebbe conseguito «a continui e
cospicui esborsi, presumibilmente in aumento».
Anche la sentenza della Corte d’appello di Venezia
veniva impugnata dalla moglie affidataria della prole, la quale chiedeva la riforma della decisione, fondata, a dire della ricorrente, su un vizio di motivazione e su una violazione dell’art. 155, comma 4, c.c.
La ricorrente si doleva della circostanza per cui il
provvedimento in oggetto fosse esclusivamente basato su considerazioni di ordine economico, tralasciando invece ogni a suo dire necessaria valutazione dell’interesse “esistenziale” della prole a conservare il proprio habitat, attraverso la concessione del
richiesto provvedimento di assegnazione.
La Corte di cassazione ha accolto, con la decisione
qui in commento, il motivo di ricorso, rilevando come il provvedimento della Corte d’Appello veneziana si risolvesse in una violazione dell’art. 155, comma 4, c.c. Benché la norma - nel disporre che l’abitazione nella casa familiare spetta «di preferenza, e ove
sia possibile» al coniuge cui vengono affidati i figli non detti una «regola assoluta secondo cui l’assegnazione sarebbe automatica conseguenza del provvedimento di affidamento», limitandosi invece a orientare «il potere discrezionale del giudice di provvedere
all’assegnazione secondo criterio preferenziale», essa,
a dire della Corte, non consente comunque di «prescindere dalla valutazione del persistente interesse
dei figli affidati a risiedere nella casa familiare, che,
tenuto conto della ratio dell’istituto, va riferito all’esigenza di assicurare loro la permanenza nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti ed ove s’incentrano interessi e consuetudini della famiglia». I
giudici di legittimità hanno chiarito dunque che la
valutazione sottesa alla pronuncia del provvedimento di assegnazione non può essere condizionata dalla
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ponderazione tra “interessi di natura solo economica
dei coniugi” in cui non entrino in gioco le esigenze
della permanenza dei figli nel quotidiano loro habitat
domestico. Tale decisione deve invece tenere prioritariamente conto, secondo i giudici di legittimità, di
tale «imprescindibile esigenza, sulla quale possono
interferire ma non certo prevalere interessi di carattere economico, ancorché riferiti, indirettamente,
alla sfera patrimoniale degli stessi figli».
Il tema oggetto del provvedimento sollecita, invero,
alcune considerazioni, poiché, con specifico riguardo ai criteri cui il soggetto giudicante è chiamato a
ispirarsi nella decisione circa la concessione o meno
del provvedimento di assegnazione della casa familiare, la stessa Suprema Corte ha dimostrato talune
incertezze e ripensamenti, essendo anche giunta, come infra meglio chiarito, a soluzioni diametralmente
opposte alle conclusioni formulate nel provvedimento in commento.
L’argomento tocca il difficile bilanciamento degli
interessi sottesi al provvedimento di assegnazione e
mantiene intatto il suo interesse anche a seguito
della modifica dell’art. 155, comma 4, c.c. introdotta della legge 8 febbraio 2006, n. 54, che, come noto, ha trasfuso la disciplina dell’assegnazione della
casa familiare nel nuovo art. 155-quater c.c. Anche
la nuova disciplina, infatti, al pari del precedente articolo 155, comma 4, c.c., non traccia alcun automatismo tra affidamento e assegnazione della casa
familiare, limitandosi a suggerire criteri e principi
cui il Giudice è chiamato a ispirarsi in argomento,
sicché il pronunciamento qui in oggetto pare costituire una possibile fonte di interpretazione anche
della novella appena citata, orientando l’interprete
nella sua applicazione.
Al fine di un più agevole inquadramento della decisione in esame, può risultare utile una sintetica ricostruzione della disciplina dell’assegnazione della casa familiare nel nostro sistema.
Nozione di casa familiare
Pur nel succedersi dei testi normativi appena evocato, il sistema non ha mai fornito una nozione chiara,
legislativamente delineata, di “casa familiare”, disciplinando solo i presupposti e le conseguenze dell’assegnazione.
Come è stato sottolineato in dottrina, la casa familiare costituisce un “bene nuovo”, non sussumibile in
nessuna delle categorie dogmatiche tradizionali, finalizzato a garantire, anche dopo la separazione dei coniugi, la persistenza, da un punto di vista fisico-geografico, del centro di interessi economici, morali ed
esistenziali presente prima dell’evento interruttivo
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della communio vitae (1). La locuzione in oggetto indica, secondo la letteratura (2), una “entità” non riconducibile al «consueto catalogo dei beni giuridici».
La Suprema Corte, prestando attenzione alla ratio legis, ha affermato che la casa familiare debba essere intesa come habitat domestico, ovvero come «centro
degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui
si esprime e si articola la vita familiare ed al quale l’ordinamento riconosce essenziale rilevanza sin dall’inizio del rapporto coniugale» rilevando che la finalità
dell’istituto «impone di determinare l’oggetto dell’assegnazione in senso restrittivo, con riguardo unicamente a quell’immobile che abbia costituito il centro
di aggregazione della famiglia durante la convivenza,
e quindi con esclusione di ogni altro immobile di cui
i coniugi avessero la disponibilità, o che comunque
usassero in via temporanea o saltuaria» (3).
Vigente l’art. 155, comma 4, c.c., parte della giurisprudenza di merito riteneva che non fosse necessario riferirsi, ai fini della individuazione della casa familiare, oltre che all’esistenza di una famiglia basata
sul matrimonio (4), al dato contingente costituito
dal luogo in cui la dimora familiare era stata fissata
stabilmente, ritenendo invece indispensabile accertare la destinazione “volontaristica” ad abitazione familiare (5), con prevalenza del dato psicologico della scelta sul momento materiale-fattuale. Secondo
l’orientamento prevalente prima dell’introduzione
dell’art. 155-quater c.c. (6), la casa familiare andava
identificata con l’immobile che con continuità ed
abitualità fungeva, durante la convivenza, come
centro aggregante della famiglia o come emblema
della vita familiare. Gli indici necessari a qualificare
una casa come familiare avevano, dunque, almeno
fino all’introduzione dell’art. 155-quater c.c., matrice oggettiva e funzionale (7).
Dottrina e giurisprudenza si sono inoltre chieste se
nella nozione di casa familiare debbano rientrare, in
senso lato, anche i mobili che la arredano. È stato in
proposito affermato che, in quanto centro di interessi e di riferimento, anche affettivo ed esistenziale,
della famiglia, la casa familiare non possa coincidere
con il solo immobile “nudo”, dovendo, al contrario,
essere considerata come una più ampia e complessa
organizzazione di beni, comprensiva anche dei beni
mobili quali gli arredi in essa presenti, esclusi i soli
beni personali delle persone che la abitano (8).
Va inoltre registrato che, sin dalla riforma del 1975,
sono sorte in dottrina e giurisprudenza accese discussioni circa la natura del diritto di abitazione nella casa familiare. In giurisprudenza, in ragione della
qualificazione della casa familiare come bene funzionale alle esigenze familiari, è stata infatti prospetta-
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ta dai giudici di legittimità la concezione della casa
Note:
(1) Maggio, L’assegnazione della casa familiare nelle fasi patologiche della vita coniugale, in Giur. it., 1988, I, 1, 628.
(2) Breccia, Separazione personale dei coniugi, in Digesto, disc.
priv., sez. civ., XVIII, Torino 1998, 404.
(3) Cfr., ex plurimis, Cass. civ., 16 luglio 1992, n. 8867, in Giust.
Civ., 1992, 3002; Cass. civ., 17 marzo 1994, n. 2574, in Fam. dir.,
1994, 265. Sulla scorta di tali considerazioni, autorevole dottrina
fa coincidere la casa familiare con la residenza della famiglia C.M.
Bianca, La famiglia, cit., 220; L.A. Scarano, La casa familiare, in
Familia, 2001, I, 131 ss.; ma contra Cass. 23 giugno 1980, n.
3934, in Dir. fam., 1980, 1, 1121, che ha ritenuto inammissibile
l’identificazione della casa familiare con gli istituti del domicilio,
della residenza e della dimora di cui agli art. 43-47 cod. civ. Il riferimento a parametri quali quello della stabilità e dell’abitualità
hanno peraltro l’effetto di escludere dal novero delle case familiari case di villeggiatura o immobili utilizzati saltuariamente per
soggiorni temporanei (Cass. civ., 20 marzo 1993, n. 5793, in Giur.
it., 1994, I, 242; Cass. civ. 23 maggio 2000, n. 6707, in Giust. civ.
Mass. 2000, 1091; Cass. civ. 9 settembre 2002, n. 13065, in
Fam. e dir. 2002, 587 con nota di Liuzzi), così come case che non
rappresentino più l’habitat naturale per essersi i figli già irrimediabilmente sradicati dal luogo in cui si svolgeva l’esistenza della
famiglia (Cfr. Zanetti Vitali, La separazione personale dei coniugi,
in Il Codice Civile, Commentario Schlesinger-Busnelli, Milano,
2006, 350; Cass. civ. 9 settembre 2002, n. 13605, cit.).
(4) Prima della riforma del 2006, la giurisprudenza ha negato il
carattere di casa familiare alla dimora avesse accolto un nucleo
familiare non fondato sul matrimonio. In questo senso Cass.
civ., 21 giugno 2002, n. 9071, in Giur. it. Mass., 2002; Cass. civ.,
23 maggio 2000, n. 6706, in Giur. it. Mass., 2000. A seguito della riforma, ai sensi e per gli effetti dell’art. 4, comma 2, della L.
n. 54/2006, la dottrina ritiene invece superato l’orientamento
che ha ritenuto condicio sine qua non per la concreta configurabilità della casa familiare l’esistenza di una famiglia fondata sul
matrimonio. cfr., ex plurimis, Quadri, Affidamento dei figli e assegnazione della casa familiare: la recente riforma, Familia,
2006, 395; cfr. nota 6.
(5) Cfr., ex plurimis, Trib. Bari 12 luglio 1978, Giur. it., 1981, I, 1, 93.
(6) Nel vigore del nuovo art. 155-quater c.c. sembra invece corroborata la prospettiva volontaristica, almeno secondo gli Autori
che evidenziano che la norma siccome novellata prevede che il
giudice debba prendere atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori inclusi anche quelli relativi alla determinazione della casa familiare: cfr. A. Spadafora,
L’assegnazione della casa familiare nel progetto di legge n. 66,
Dir. fam., 2005, 747; Frezza, La casa (già) familiare, in Dir. Fam.,
2006, 02, 718.
(7) F. Catalano, La nozione di casa coniugale, in La separazione
dei coniugi nel diritto italiano e internazionale, Padova, 2004,
132; Cass. civ., 16 luglio 1992, n. 8667, in Giust. civ., 1992, I,
3002.
(8) Cass. Civ., 26 settembre 1994, n. 7865, in Fam. dir., 1995, 28;
Villa, Assegnazione e poteri del giudice in materia di casa familiare, in Giur. it., 2001, 1175; contra A. Finocchiaro, I mobili sono
compresi nell’assegnazione della casa familiare?, in Giust. civ.,
1984, I, 705, secondo cui ove il legislatore avesse voluto ricomprendere i mobili nel concetto di casa familiare, lo avrebbe fatto
richiamandoli espressamente, analogamente a quanto avvenuto
con l’art. 540, comma 2, c.c). Quanto al “posto macchina”, secondo la Suprema Corte, stante il rapporto pertinenziale che lo
lega all’abitazione principale, ove questa sia oggetto di assegnazione, il “posto macchina”, sebbene bene concettualmente autonomo, non può che seguire la sorte della cosa principale (Cass.
civ. 23 maggio 2000, n. 6706, in Giust. civ. Mass. 2000, 1091).
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familiare come bene destinato ad uno scopo (9).
Anche la Consulta ha definito la casa familiare come bene gravato da uno speciale vincolo di destinazione (10). La ricostruzione non sembra invece soddisfare la dottrina che ha ritenuto improprio il richiamo al vincolo di destinazione (11).
Con specifico riguardo alla natura del diritto dell’assegnatario della casa familiare, la Corte di Cassazione ne
ha affermato la natura non reale, escludendo peraltro
ogni analogia con la fattispecie dell’art. 540 c.c.. (12).
Benché opponibile ai terzi, infatti, il diritto dell’assegnatario, secondo l’opinione prevalente anche in dottrina, configurerebbe più che un diritto reale, un diritto personale di godimento (13), definito “atipico“ (14)
e assimilato al diritto del conduttore in un contratto di
locazione (15). Stante la natura personale del diritto
di abitazione, va comunque affermato che esso consente di godere in via esclusiva della casa, ma non autorizza, comunque, l’assegnatario a disporre del diritto,
potendo lo stesso usare l’abitazione esclusivamente per
le proprie esigenze abitative, ma non potendo ad
esempio concederla in locazione a terzi (16).
Valutazione di fattori economici ai fini della
decisione sull’assegnazione: valore del
“diritto di abitare” la casa familiare e oneri
a tale diritto connessi
Le argomentazioni svolte dalla Corte di cassazione
nella decisione in commento si incentrano sul tema
del peso da attribuire - nel contemperamento di interessi che il giudice è chiamato a operare ai fini della pronuncia del provvedimento di assegnazione - a
fattori economici strettamente connessi alla condizione patrimoniale dei coniugi, e avulsi, invece, dal
dato della tutela degli interessi dei figli affidati.
L’argomento transita per l’esame del rapporto tra (la
diversa matrice de) i criteri cui il giudice è chiamato
a conformare le proprie decisioni in argomento. In
tale contesto la sentenza in commento sembra assumere un particolare significato: si ribadisce, infatti,
che l’interesse “esistenziale” dei figli non può essere
posto sullo stesso piano di quello “patrimoniale” dei
coniugi; la considerazione della posizione economica dei coniugi non può dunque portare a comprimere il superiore interesse esistenziale della prole.
L’esame della questione non è nuovo né in dottrina
né in giurisprudenza.
Ampia in letteratura è l’attenzione dedicata, in primo
luogo, al “valore economico” del diritto di abitare la casa familiare (17) e, in secondo luogo, alla rilevanza, per il
coniuge non assegnatario, dell’onere rappresentato
dalla perdita della libera disponibilità dell’appartamento assegnato, nonché dai costi della sua gestione.
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Per quanto attiene al rilievo dei vantaggi economici
goduti dal beneficiario del provvedimento di assegnazione (quantomeno come risparmio dei costi
connessi al reperimento di altro immobile da condurre in locazione), la dottrina ha condiviso le osservazioni di quella giurisprudenza (ora seguita anche dal legislatore nel sistema normativo, attraverso
l’introduzione del secondo comma dell’art. 155-quater c.c.) che tra gli «elementi fattuali di ordine economico (...) suscettibili di incidenza sulle condizioni
delle parti» teneva conto, in vista della definizione
dei provvedimenti economici conseguenti alla crisi
familiare, anche del «vantaggio derivante al coniuNote:
(9) Cass., sez. un., 21 luglio 2004 n. 13603, Dir. fam, 2005, 53;
cfr. anche Cass. civ. 29 agosto 2003, n. 12705, in Giust. civ.
Mass. 2003, 7-8.
(10) Trattasi della nota decisione con cui la Corte costituzionale
ha sancito la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 261, 147 e 148, 2643, n. 8, 2652, 2653 e
2657 c.c., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost., Corte
cost., 21 ottobre 2005 n. 394, in questa Rivista, 2005, 12, 1675
con nota di V. Carbone.
(11) Autorevole dottrina ha infatti osservato che, non rinvenendosi nel nostro ordinamento un sistema organico di norme costitutive dei vincoli di destinazione, l’unico modo di ricostruire in
maniera coerente e sistematicamente organica il diritto de quo
sembra dover poggiare sul riferimento al regime della contribuzione solidale, o sul principio della solidarietà coniugale (A. Di
Majo, Doveri di contribuzione e regime dei beni nei rapporti patrimoniali tra i coniugi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, 365-366),
che, tuttavia, non sarebbe sufficiente a imporre sulla casa un vincolo di destinazione ad abitazione familiare: è stato ritenuto, dunque, inesatto, sul piano tecnico, l’accostamento al modello dello
Zwechvermögen (bene destinato ad uno scopo), affermandosi
che la giurisprudenza che qualifica la casa come bene destinato
a uno scopo utilizza l’espressione in modo atecnico (Frezza, I
luoghi della famiglia, cit., 202 ss.).
(12) Cass. Civ., n. 4529 del 1999, in Nuova giur. civ. comm.,
2000, I, 103 ss., con nota di Quadri, Trascrizione e opponibilità
della assegnazione della casa familiare; Gabrielli, I problemi dell’assegnazione della casa familiare al genitore convivente con i
figli dopo la dissoluzione della coppia, in Riv. dir. civ., 2003, I,
128; Fortino, Diritto di famiglia, I valori, i principi, le regole, Milano, 2004, 304.
(13) Breccia, Separazione personale dei coniugi, cit. 406.
(14) Cass. Civ., 17 ottobre 1992, n. 11424, Giust. civ. Mass.
1992; Cass. Civ. 17 settembre 2001, n. 11630 in Giust. civ.,
2002, I, 55, con nota critica di M. Finocchiaro.
(15) Cfr., Gazzoni, La trascrizione immobiliare, in Il Codice Civile,
Commentario Schlesinger-Busnelli, sub art. 2643, t. I, Milano,
1998, 343; in giurisprudenza Cass. civ. 3 giugno 1994, 5374, in
Giust. civ., 1995, I, 195. Minoritario invece l’indirizzo secondo cui
il coniuge, non proprietario dell’immobile, in forza del provvedimento di assegnazione della casa familiare, diventi titolare di un
diritto reale; cfr., ad esempio, Jannarelli, Incerta sorte per la casa
familiare, Foro It., 1986, I, 1318.
(16) Cfr., ex plurimis, Bonilini-Tommaseo, Lo scioglimento del
matrimonio, cit., 797.
(17) Al Mureden, Scioglimento della comunione, attribuzione
della casa coniugale e computo del preesistente diritto ad abitarla, in Familia 2002, 3, 872.
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Giurisprudenza
Famiglia
ge beneficiario dell’assegno dal godimento della casa familiare» (18), nonché l’indirizzo che sottolineava la vera e propria funzione integrativa «di quel godimento rispetto all’assegno, al fine dell’eventuale
riconoscimento e liquidazione dell’assegno» stesso
(19).
Specularmente, la giurisprudenza di legittimità si è
interrogata sulla rilevanza, o meno, ai fini della decisione, della gravosità dell’onere sopportato dal coniuge proprietario dell’appartamento assegnato,
chiedendosi se tale parametro debba influire nella
decisione del Tribunale di addivenire o meno all’assegnazione dell’appartamento in favore del coniuge
affidatario della prole (20).
La Corte di cassazione non ha assunto una posizione
univoca sul tema, addivenendo a decisioni spesso altalenanti. Il dibattito è stato ricco di incertezze e revirement. Se, infatti, si è ritenuto, inizialmente, che
il presupposto esclusivo per l’assegnazione della casa
familiare al coniuge separato non titolare di un diritto, reale o personale, di godimento sulla stessa, sia
rappresentato dall’affidamento a questi dei figli minori (o maggiorenni conviventi, in quanto non auto-sufficienti economicamente e/o moralmente)
(21), a prescindere dunque dal sacrificio sopportato
dal proprietario dell’immobile assegnato, la giurisprudenza ha successivamente mostrato tentennamenti sul punto.
Prima del pronunciamento risolutivo delle Sezioni
Unite della Corte di cassazione infra richiamato, i
giudici di legittimità (22) avevano infatti ritenuto
che, in tema di separazione personale dei coniugi,
poiché la norma di cui all’art. 155 comma 4 cod. civ.
prevedeva che l’assegnazione della casa familiare
fosse disposta in favore del genitore affidatario dei figli solo “ove possibile” e “di preferenza”, essa, lungi dal
porre una regola assoluta, idonea a qualificare l’assegnazione della casa familiare come una automatica
conseguenza del provvedimento di affidamento, esigesse una valutazione della necessità, o anche della
semplice opportunità, di imporre al coniuge titolare
del diritto reale o personale di godimento dell’immobile il sacrificio della sua situazione soggettiva
per soddisfare l’interesse del figlio minore (o maggiorenne non autosufficiente) alla conservazione
dell’habitat domestico. Secondo tale ricostruzione,
l’art. 155, comma 4, c.c. impone(va) dunque soltanto un criterio preferenziale, inidoneo a escludere
«che il giudice del merito, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali possa assegnare la casa familiare al
coniuge non affidatario dei figli minori, ovvero possa limitare l’assegnazione ad alcuni soltanto dei locali che costituiscono la casa, quando le caratteristi-
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che funzionali e strutturali ne consentano il godimento come autonoma unità abitativa (Cass. 257494, 11787-90, 8705-90, 6570-86, 3934-80)».
È stato in tal senso sancito che l’assegnazione della
casa familiare in favore del coniuge affidatario (non
proprietario dell’immobile, né titolare di altro diritto reale od obbligatorio implicante la facoltà di godimento del bene) «pone un criterio preferenziale,
suscettibile di deroga non soltanto quando l’interesse dei minori sconsigli una loro permanenza in detta
casa, ma anche quando il vantaggio di tale permanenza, alla luce delle peculiarità del caso concreto,
non sia proporzionato alla gravosità della soluzione
per il coniuge non affidatario» (23).
Successivamente, le Sezioni Unite del Suprema Corte, accogliendo un diverso indirizzo, hanno formulato
il principio per cui condizione necessaria (ancorché
non sempre sufficiente) (24) per la assegnazione della
casa coniugale, è l’affidamento dei figli minori, in
mancanza del quale il giudice non avrebbe potuto disporre l’assegnazione della casa coniugale in favore del
coniuge debole non affidatario. In altre parole, l’alternativa all’assegnazione in favore del coniuge affidatario-convivente non consiste nell’assegnare la casa all’altro coniuge, privo di tale qualifica, ma nell’astenersi da qualunque decisione, lasciando l’abitazione nella
disponibilità del coniuge proprietario o titolare di altro diritto di godimento. Per quanto concerne il tenore letterale dell’art. 155, comma 4, c.c., è stato dunque
osservato (25) che l’inciso “di preferenza” e “ove possibile” non depone nel senso del contemperamento tra
Note:
(18) Ex plurimis, cfr. Cass. civ., 4 aprile 2002, n. 4800, su Giur. it.
2003, 686.
(19) Ex plurimis, cfr. Cass. civ., 1° luglio 1987, n. 5750, Dir. fam.,
1988, 183.
(20) In dottrina, infatti, è stata, ad esempio, rilevata l’onerosità
del provvedimento di assegnazione, almeno ove il destinatario
del provvedimento abbia nella proprietà (o comproprietà) dell’immobile “assegnato” il proprio principale cespite patrimoniale: cfr. Quadri, Affidamento dei figli e assegnazione, cit., 400.
(21) Sul punto cfr., ex plurimis, Cass. 22 novembre 1995 n.
12083, Giust. civ. Mass. 1995. Così, all’indomani della riforma
del diritto di famiglia, Cass. 2 marzo 1976 n. 692, Giust. civ.
Mass. 1976; Cass. 27 luglio 1978 n. 3777, Giust civ. Rep. 1978;
Cass. 29 ottobre 1977 n. 4163, Giust civ. Mass. 1977.
(22) Cassazione civile, sez. I, 22 novembre 1995, n. 12083,
Giust. civ. Mass. 1995, fasc. 11.
(23) Cassazione civile, sez. I, 24 agosto 1990, n. 8705, Giust. civ.
Mass. 1990, fasc. 8; cfr. anche Cassazione civile sez. I, 30 agosto 1995, n. 9163, Giur. it. 1996, I, 1, 4, con nota di Frezza.
(24) Cassazione civile, sez. un., 28 ottobre 1995 n. 11297, Fam.
dir. 1995, 523, con nota di V. Carbone.
(25) Liberti, L’assegnazione della casa familiare: un contrasto
perpetuo, in Dir. fam. 2001, 2, 548.
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interessi esistenziali della prole e interessi economici
del coniuge non assegnatario, perché la discrezionalità
concessa dalla norma va interpretata solo nel senso
che la casa non vada assegnata in tutti i casi e ad ogni
costo al coniuge affidatario-convivente (26), potendo,
in alcuni casi, la relativa tutela essere perseguita altrimenti, soprattutto quando lo stesso interesse dei minori sconsigli la loro permanenza in detta casa; tale discrezionalità non opera, invece, nel senso, opposto, fino a consentire che la casa venga assegnata al coniuge
non affidatario della prole (27).
L’unico contemperamento che la Suprema Corte sembra ammettere rispetto alle esigenze del coniuge non
affidatario, al fine di comprimerne il meno possibile il
diritto di proprietà, pare quello di limitare l’assegnazione alla porzione della casa familiare idonea a garantire
il mantenimento dell’habitat per i figli affidati (28).
Pur a fronte della presa di posizione delle Sezioni
Unite, e al consolidarsi dell’indirizzo da ultimo citato nella giurisprudenza di legittimità, la letteratura
ha continuato a postulare la concorrenza paritaria
fra criteri - tutela esistenziale della prole ed esigenze
economiche del coniuge non affidatario - ammettendo l’astratta configurabilità di un provvedimento
di affidamento dei figli che non sia seguito o accompagnato dal provvedimento di assegnazione della relativa casa familiare, anche quando tale conclusione
sia in concreto sorretta, più che dalla tutela “esistenziale” della prole, da specifiche e rilevanti esigenze economiche del coniuge non affidatario. La
dottrina, infatti, pur ricordando la tesi della preminenza dell’interesse della prole postulata dalla giurisprudenza di legittimità, ha insistito nell’affermare
la tesi della concorrenza fra i due parametri, ritenendo indispensabile, ai fini della decisione di assegnazione, anche la valutazione delle condizioni economiche dei coniugi, onde scegliere di tutelare gli interessi che risultino, all’esito di una valutazione concreta e non astratta ed a priori, prevalenti (29). Si è
in tal senso affermato che sebbene l’esigenza di tutela dei figli, soprattutto se minorenni, paia imprescindibile, tuttavia non sia da escludere che fattori
quali la “debolezza” (30), la malattia, le particolari
condizioni di disagio di uno dei coniugi possano incidere sulla decisione (31). Accolta dunque la tesi
secondo la quale la tutela della prole non rappresenti l’unica finalità che giustifica l’assegnazione della
casa familiare, la letteratura, qualora nel caso concreto prevalgano le considerazioni relative al coniuge debole, ha continuato ad ammettere anche la
possibilità di un provvedimento di assegnazione pronunciato a scapito del coniuge affidatario e titolare
del bene (32), a condizione però che il vantaggio de-
1106
Note:
(26) Sul tema cfr. Cass. civ., 24 agosto 1999, n. 8705, in Giust.
civ. Mass., 1999, 1608 e Cass. civ., 15 gennaio 1999, n. 386, in
Fam. dir., 1999, 458.
(27) È stato pertanto coerentemente rilevato che, aderendo all’indirizzo della Suprema Corte, l’inciso «spetta di preferenza» di
cui all’art. 155, comma 4, c.c. non può, evidentemente, essere
riferito al soggetto destinatario del provvedimento di assegnazione, dovendo essere necessariamente riferito allo stesso provvedimento di assegnazione: questo può essere emesso o escluso solo in base ad una valutazione comparativa degli interessi
della prole, da un lato, e dei coniugi dall’altro, ma sempre nel
senso di favorire la soluzione più idonea a salvaguardare l’interesse «preferenziale» dei figli: cfr. Azzaro, Tutela della prole e assistenza al coniuge più debole nella assegnazione della casa coniugale, in Giust. civ. 1996, 9, 2285; G. De Marzo, op. cit., nota a
Cass. 28 gennaio 1998 n. 822, in Fam. dir., 1998, 126
(28) Cfr. Cassazione civile sez. I, 11 novembre 1986, n. 6570,
Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 11, secondo cui il giudice ha il potere di limitare l’assegnazione alla parte occorrente ai bisogni delle
persone conviventi della famiglia, in analogia alla definizione del
diritto di abitazione di cui all’art. 1022 cod. civ., tenendo conto anche delle necessità di vita dell’altro coniuge in relazione alle possibilità di godimento separato ed autonomo dell’immobile; o, ancora, Cassazione civile sez. I, 11 dicembre 1990, n. 11787, Giust.
civ. Mass. 1990, fasc.12, secondo cui il potere del giudice della
separazione di assegnare l’abitazione della casa familiare, in deroga al normale regime privatistico, al coniuge affidatario dei figli
minori include la facoltà di attribuire alcuni soltanto dei locali di
detta casa, quando essi abbiano ampiezza sufficiente per soddisfare le esigenze di detti figli e del genitore cui sono affidati, ed
altresì abbiano caratteristiche strutturali e funzionali tali da consentirne il distacco come autonoma unità abitativa, con modesti
accorgimenti o piccoli lavori, senza opere edili di trasformazione.
Nello stesso senso, da ultimo, Cassazione civile sez. I, 17 dicembre 2009, n. 26586, Red. Giust. civ. Mass. 2009, 12.
(29) Pirilli, L’assegnazione della casa familiare: sussidio economico o strumento di tutela del coniuge “debole” e dei figli?, in
Dir. fam. 2005, 1, 37. Sul punto, G. Frezza, I luoghi della famiglia,
Torino, 2004, 143.
(30) Ove per debolezza si intende la «fragilità del coniuge con riguardo alla difficoltà psicologica e materiale di abbandonare la casa e di trovarne subito un’altra» (Breccia, voce Separazione personale dei coniugi, in Digesto disc. priv., IV ed., Torino, 1998, 406).
(31) La stessa Suprema Corte ha avuto modo di affermare che
«la funzione di tutela della prole riconosciuta all’assegnazione
della casa familiare non è incompatibile con il conseguimento di
altre finalità, quali l’equilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi, l’equità della permanenza di un coniuge nella casa familiare in relazione alle ragioni dell’interruzione della comunione materiale e spirituale, e al favore per il coniuge più debole» (Cass. 9
giugno 1990 n. 5632, in Nuova giur. civ. comm., 1991, I, 91). Ove
tali criteri non siano ritenuti idonei a influire nella decisione circa
il provvedimento di assegnazione, gli stessi potrebbero, quantomeno, interferire sulla modulazione degli oneri connessi al godimento dell’immobile assegnato (ad esempio sull’imposizione
delle spese di amministrazione ordinaria, delle spese condominiali, etc.), atteso che la gratuità dell’assegnazione inerisce all’uso della casa, per il quale non deve essere versato corrispettivo, ma non si estende alle spese che tale uso comporta, dovendo tali spese essere sopportate dal coniuge assegnatario e non
dal proprietario, onde evitare una ulteriore compressione dei diritti di quest’ultimo; cfr. sul tema, Cassazione civile sez. I, 03 giugno 1994, n. 5374, Giust. civ. 1995, I, 195, Vita not. 1994, 1312.
(32) La posizione, difatti, oltre che essere stata postulata prima
della decisione delle Sezioni Unite del 1995 (Maggio, L’assegnazione della casa familiare nelle fasi patologiche della vita coniugale, in Giur. it., 1988, I, 1, 628, 630; Dogliotti, Separazione e di(segue)
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rivante al coniuge debole dal provvedimento di assegnazione prevalga in maniera netta rispetto al beneficio che deriverebbe ai figli dalla permanenza
nella casa familiare (33).
Nonostante la persistente apertura della dottrina alla lettura della equivalenza dei due criteri da ultimo
citati (tutela della prole e tutela del coniuge debole), la giurisprudenza di legittimità (come anche la
sentenza qui in commento) si è invece univocamente collocata nel solco della citata decisione delle Sezioni Unite, rilevando - con specifico riguardo agli
oneri di gestione - che, pur avendo riflessi economici, l’assegnazione non è comunque subordinata a interessi di natura economica e non può essere condizionata da rilievi connessi all’onere finanziario di
manutenzione dell’immobile incombente sul coniuge proprietario esclusivo della casa, ma non affidatario della prole. In proposito, la Suprema Corte ha
conformemente ritenuto, nel provvedimento de quo,
che la decisione del giudice non «può essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura
solo economica dei coniugi o tanto meno degli stessi figli, in cui non entrino in gioco le esigenze della
permanenza di questi ultimi nel quotidiano loro habitat domestico. Deve invece ed assolutamente essere subordinata a suddetta ultima imprescindibile esigenza, sulla quale possono interferire ma non certo
prevalere interessi di carattere economico, ancorché
riferiti, indirettamente, alla sfera patrimoniale degli
stessi figli».
L’approccio qui evocato sembra invero confermato
anche dalla riforma apportata dalla l. n. 54/2006, disponendo l’attuale testo dell’art. 155-quater c.c. che
il godimento della casa familiare è attribuito tenendo “prioritariamente” conto dell’interesse dei figli
(34), con ciò radicando la lettura della giurisprudenza di legittimità circa la “prevalenza” dell’interesse
“esistenziale” dei figli rispetto alla tesi della “concorrenza” di quest’ultimo con gli interessi economici
dei coniugi.
Evidente che solo l’applicazione giurisprudenziale
della nuova norma consentirà di apprezzare la “tenuta” del principio della prevalenza impostosi nel
vigore dell’art. 155, comma 4, c.c., benché pare sin
d’ora possibile rilevare che le pronunce di legittimità successive all’entrata in vigore della norma,
seppur riferite all’interpretazione dell’art. 155,
comma 4, c.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie devolute in giudizio, sembrano confermare
tale approccio, “atteso che”, come la stessa Suprema
Corte ha avuto modo di osservare, «la nuova disposizione mostra di volere dare consacrazione legislativa proprio al consolidato orientamento giu-
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risprudenziale della Corte di cassazione» (35) sopra
descritto.
Note:
(segue nota 32)
vorzio, Torino, 1988, 115 ss.; Bin, I rapporti di famiglia. Sentenze
di un anno, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, 332;), è stata sostenuta anche all’esito della pronuncia: Bellomia, Intorno al concetto di “casa familiare» ed alla sua assegnazione in sede di divorzio, in Giur. merito 2003, 10, 1943; Giacobbe e Frezza, Ipotesi di
disciplina comune nella separazione e nel divorzio, in Trattato di
diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, 2, Famiglia e matrimonio, Milano, 2002, 1342, 1353.
(33) Cass. 9 giugno 1990, n. 5632, in Giust. civ., 1990, 2296.;
Trib. Catania 31 gennaio 1994, cit.
(34) Frezza, La casa (già) familiare, cit., 718. La considerazione
del prioritario intento del legislatore di tutelare, in ragione dell’assegnazione della casa familiare, la prole piuttosto che il coniuge debole sembra peraltro confermata anche dalla collocazione della norma, che vede l’inserimento dell’articolo in commento tra le norme concernenti la tutela dell’interesse dei figli a
seguito della dissoluzione della convivenza familiare. Quadri,
Nuove prospettive in tema di assegnazione della casa familiare,
in, 206, 1141, 1142. Manca, invece, nel testo della norma in
commento, un espresso riferimento al coniuge “affidatario”,
stante l’ampio spettro di soluzioni relative all’affidamento introdotte con la L. 54/2006, sicché il legislatore, pur inserendosi nel
solco tracciato dalla giurisprudenza prevalente prima della riforma - e in ragione della quale, come visto, l’assegnazione della
casa già familiare debba essere finalizzata prioritariamente alla
tutela della prole e non del coniuge economicamente debole non ha mantenuto il riferimento testuale dell’affidamento della
prole ad uno dei genitori, “limitandosi” a chiarire che l’assegnazione debba comunque essere disposta nell’interesse dei figli. Il
mancato riferimento all’affidamento dei figli minori (o alla convivenza con figli maggiorenni) sembra invece dipendere dal superamento del sistema dell’affidamento monogenitoriale e dalla
necessità di applicare la norma anche alle nuove ipotesi di affidamento articolate dalla riforma del 2006 (Quadri, Affidamento
dei figli, cit., 395). Per il caso di affidamento condiviso, ad esempio, il giudice dovrà disporre l’assegnazione della casa familiare
in relazione alle modalità e ai tempi della presenza dei figli presso ciascuno dei genitori, privilegiando, tendenzialmente, in base
al principio della “prevalente localizzazione”, il genitore con il
quale i figli vivano prevalentemente. Nel caso in cui il numero
dei figli presenti presso ciascun genitore sia lo stesso - nell’escludere l’assegnazione della casa familiare direttamente ai figli, con presenza alternata dei genitori presso l’abitazione (Napolitano, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e di
divorzio, Torino, 2006, 215; contra Finocchiaro, Assegno versato
direttamente ai maggorenni, in Giust. dir. 2006, 11, 40) - la dottrina ha proposto criteri vari, tra i quali l’assegnazione dell’abitazione al coniuge economicamente più debole (cfr. De Filippis,
Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio,
Padova, 2007, 172) o criteri fattuali, quali la vicinanza dell’abitazione alla scuola, che dovrebbe portare l’assegnazione della casa al genitore preposto all’incombente di accompagnare i figli
presso gli istituti scolastici cui sono iscritti (cfr. Napolitano, L’affidamento, cit. 215).
(35) Cfr. Cassazione civile, Sez. I, 22 marzo 2007, n. 6979, in
Giust. civ. 2008, 2, I, 466.
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