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OLTRE LO SPECCHIO L’ADOLESCENTE “RESILIENTE” L’asma o la malattia cronica come risorsa educativa ANNA LISA FERRANTE1, PATRIZIA GARISTA2 1 Cattedra di Igiene, CIESS, Università Politecnica delle Marche 2 Centro Sperimentale per l’Educazione Sanitaria, Università di Perugia L’ espressione “asma come risorsa educativa” può sembrare contraddittoria. In realtà, acquista un senso nel momento in cui la si considera il risultato di un’azione educativa intenzionale, metodica e progettuale. Un’azione educativa che diventa scommessa qualora si indirizzi a un adolescente, investimento qualora si indirizzi a un adolescente con malattia cronica come l’asma. Se educare un adolescente è una scommessa, educare un paziente adolescente si prefigura come un processo fatto di ribellioni e resistenze che potrebbero risultare fatali per la salute. Ma la malattia e le resistenze possono diventare risorse preziose per lo sviluppo dell’adolescente, se incanalate in un percorso per educare a resistere, a diventare “resiliente”, come quei materiali che dopo aver subito un urto riescono a recuperare la loro forma senza spezzarsi per le sollecitazioni subite. L’adolescenza, una sconosciuta L’adolescenza rappresenta un periodo caratterizzato da profonde inquietudini, soprattutto per il vissuto di “abitare” un corpo che si trasforma e non si riconosce. Improvvisamente l’essere umano non è più un bambino. Improvvisamente è goffo, impacciato, l’equilibrio dinamico è in crisi. Quello dell’adolescente non è un camminare, ma un caracollare con le mani in tasca, le spalle curve, alla ricerca di una lattina da calciare quasi volesse scaricarvi oscure tensioni. È il suo corpo che, dopo una breve stagione di stasi, ricomincia a lavorare. Un lavoro che in superficie appare un semplice processo di aumento di forme e di dimensioni. In profondità è invece un processo di continua, stressante riorganizzazione dei rapporti fra le diverse parti e i diversi organi2. Questo incredibile lavoro “notturno” ha conseguenze visibili. L’adolescente perde il controllo dinamico che aveva da bambino, i lineamenti del volto si modificano. Si dilatano gli “arti sociali”, piedi e mani, gambe e braccia, quasi a cercare una presa maggiore sulla realtà esterna, un appoggio diverso sulla terra. È come se tutto ciò che lo circonda fosse precario, instabile. In questa stagione il suo corpo è padrone. Ma nel periodo adolescenziale cambiano non solo le caratteristiche fisi- 660 che: si modifica anche il rapporto che il soggetto in via di sviluppo intrattiene con il proprio corpo. Verso gli 8-9 anni, infatti, lo “schema corporeo”, che restituisce informazioni circa le proprie percezioni sensoriali legate all’attività corporea, si accompagna alla “immagine corporea” di derivazione psicoanalitica, in cui emerge la crucialità della rappresentazione inconscia del corpo con le sue componenti esistenziali ed emozionali, luogo in cui si costruisce la propria immagine di sé, in cui si incontrano desideri e affetti, e la percezione dello sguardo altrui3. Rousseau diceva che “la caratteristica dell’adolescente è di non avere caratteristiche”. In effetti, in questo momento della vita egli vive in una terra di nessuno, in una zona di frontiera. Per la medicina appare come un “no men land”, ovvero come un paziente che vive la conflittualità dell’assenza di una figura professionale medica appropriata: il pediatra cura i bambini e il medico di medicina generale gli adulti. E l’adolescente non è più un bambino, ma non è ancora un adulto. Figure, il bambino e l’adulto, dalle quali egli si allontana progressivamente4. La lontananza, l’estraneità, la solitudine, lo spaesamento. Questa sua dimensione profonda è l’esito di un abbandono e di un distacco. Come quando, anni prima, visse nel parto il distacco dal corpo di sua madre per vivere all’interno di una famiglia, così ora registra il distacco dalla famiglia e cerca nel gruppo dei coetanei nuovi significati e nuova protezione. Solo loro gli interessano. Sono gli unici che vivendo i suoi stessi problemi possono capirlo. Sono loro i suoi unici compagni di strada. Con loro condivide la crisi di identità tipica di questo periodo. L’adolescenza come stagione della crisi d’identità in cui troppe sono le domande e scarse le risposte. Ma anche come stagione in cui si costruisce l’identità sessuale, a partire da un nuovo corpo, quello del desiderio e del piacere, che “attacca la mente”, mette a dura prova il Sé. E forse è per questo che spesso gli adolescenti lo attaccano5. Si manipola il corpo all’estremo per attaccarlo o per costruirsi una maschera, a sua volta strumento per proteggersi o per attaccare, per nascondersi o per inventarsi. Qualcuno ha scritto che l’adolescenza è la stagione della teatralità. E il ragazzo costruisce la sua identità tra maschera e volto, tra immagine del corpo ideale e immagine del corpo reale. Tra ideale e reale l’adolescente cerca coerenza, cerca esempi, cerca adulti che siano ciò che dicono di essere anche se poi entra in conflitto con loro6. Medico e Bambino 10/2004 OLTRE LO L’adolescente in compagnia dell’asma La presenza dell’asma nel quotidiano biologico, psicologico, relazionale dell’adolescente genera situazioni particolari 7. L’adolescente asmatico è stato un bambino che ha sperimentato e vissuto la sensazione di soffocamento, un’esperienza che può provocare uno stato di panico o fobie per la paura di rimanere senz’aria. L’adolescente asmatico è stato un bambino che ha sperimentato la perdita della capacità di controllo su se stesso e sul mondo esterno, dopo averla faticosamente conquistata. L’adolescente asmatico è stato un bambino che può avere sperimentato l’iperprotettività genitoriale, la quale, lungi dall’averlo aiutato realmente, ha determinato in lui reazioni diverse. Ansia e rabbia, per le limitazioni soprattutto motorie che gli sono state imposte e per lo sbilanciamento dell’asse dipendenza-indipendenza verso il primo di tali poli. E insicurezza, per l’eccessiva indulgenza da parte dei genitori e conseguentemente per la mancata “consistenza” di un mondo adulto che avrebbe dovuto fungere da supporto nell’affrontare la malattia8. L’adolescente asmatico è stato, a volte, un bambino che insieme alla sua famiglia ha dovuto far fronte a fattori stressanti, quali l’incertezza riguardo a futuri episodi asmatici, la paura di dover ricorrere a prestazioni mediche di emergenza o di essere ricoverato in ospedale, l’interferenza della malattia con la frequenza scolastica, il sonno, le attività fisiche, ricreative e sociali8. L’adolescente asmatico è un adolescente che (come tutti gli adolescenti) deve costruirsi un’identità, un’immagine di se stesso a partire da un corpo carente, lontano ancor di più da quell’immagine di corpo ideale con cui tutti gli adolescenti si confrontano9. L’adolescente asmatico è un adolescente che sa (come tutti gli adolescenti) che la sua natura, caratterizzata dal gusto del rischio, dal fascino del pericolo, dalla propensione a vivere alla giornata, dal bisogno di infrangere i limiti e di opporsi agli adulti, può complicare il trattamento della malattia e ostacolare una condizione di benessere. Ma, come tutti gli adolescenti con malattia cronica, deve mostrare di essere “normale”. E il modo migliore per dimostrare la sua normalità è emulare alcuni comportamenti a rischio come parte del proprio processo di maturazione. Essere normale significa fare le stesse cose che fanno i suoi pari10. L’adolescente asmatico è un adolescente che, pur manifestando per sua natura momenti di opposizione marcata e di ricerca di indipendenza, si scontra inevitabilmente con la malattia che lo costringe a essere dipendente dai farmaci: l’adolescente “indipendenMedico e Bambino 10/2004 SPECCHIO te” e l’asma “farmacodipendente”. Un apparente paradosso, per cui l’osservanza terapeutica diventa un problema serio. L’adolescente asmatico può vivere l’asma come un handicap, come l’impossibilità di “essere come gli altri”. È colui che cerca di sfuggire alle costrizioni imposte dai medici e a quelle provenienti dai genitori. Abbandonare l’assunzione dei farmaci, fumare, frequentare ambienti inquinati, assumere comportamenti a rischio sono considerati segni di indipendenza e di vittoria sulla malattia. È colui che soffre più per le conseguenze sociali della malattia che per la malattia stessa. L’asma come risorsa L’adolescente asmatico è anche colui che potrebbe essere stato diverso. L’adolescente asmatico potrebbe infatti essere stato un bambino che ha avuto una formazione precoce a realtà pedagogiche molto importanti che lo differenziano dai suoi coetanei. Per Novalis le malattie croniche possono diventare “anni di apprendistato nell’arte di vivere e nella formazione del carattere”11. Una prima realtà pedagogica riguarda il rispetto delle regole, la somministrazione di specifici farmaci, la misurazione periodica del picco di flusso, l’assunzione di comportamenti di salute. Inoltre, la coscientizzazione dell’irreversibilità delle scelte sbagliate. L’adolescente asmatico ha sperimentato sin da piccolo il limite e la “finitudine” della condizione umana. Per dirla con Sartre, “ha scoperto l’impossibilità delle possibilità”. Inoltre ancora, la capacità di dire no, che si traduce nella rinuncia al branco ma non al gruppo. Infine, lo sviluppo delle emozioni che imprime un temperamento e uno stile comportamentale caratterizzati da una forte sensibilità. E la sensibilità è l’emozione più adatta per tirare fuori - nel senso di educare - le risorse necessarie per non lasciarsi devastare dalle avversità. Souffrir mais se costruire è il titolo di un libro di Poilpot, per cui la terapia non corrisponde più esclusivamente alla cura, ma -per dirla con Heidegger- al “prendersi cura di”12. Le malattie non vanno considerate solo come perdita e limitazione, ma possono essere vissute come una sfida. Il coping style Nel prendersi cura dell’adolescente asmatico bisogna tener presente un aspetto attentamente studiato dalla psicologia e dalla sociologia della medicina del XX secolo, il coping. Il termine inglese (letteralmente “far fronte a qualcosa, tener testa”) indica il modo di reagire del paziente nei confronti della malattia, della medicina, di come si affronta la vita dopo che uno stato di malessere o la malattia l’ha modificata. La reazione del paziente alla malattia è influenzata dalla percezione della malattia, dal giudizio su di essa, dal comportamento. Si può suddividere in quattro forme: enfatizzazione (paziente “esagerante”) o sottovalutazione (paziente “minimizzante”), rifiuto (paziente “negante”) o accettazione (paziente “accettante”). 661 OLTRE LO L’appartenenza a ognuna di queste categorie e il possibile passaggio da una all’altra dipendono dalla natura della patologia -acuta, cronica o mortale- e dallo stadio evolutivo in cui il paziente si trova11. Secondo Lipowski13 la malattia può assumere per il malato significati diversi: sfida, nemico, punizione, debolezza, alleviamento, possibilità strategica, perdita, danno, aumento del valore. Nella relazione con l’adolescente è fondamentale che la malattia assuma il significato di sfida. Una sfida che il paziente non può non accettare perché l’adolescenza è per definizione l’età della sfida. La reazione del paziente alla medicina dipende da molti fattori. Dalla terapia, che può essere dolorosa, spiacevole o semplicemente accettabile; dal medico, che può limitarsi semplicemente a prescriverla o può anche darne spiegazioni; dal paziente, che può seguirla, trascurarla o rifiutarla. La non osservanza delle indicazioni terapeutiche ha un significato rilevante per il paziente, per il medico e non da ultimo per la società. Sia la compliance che la non-compliance hanno una loro collocazione nell’approccio orientato al coping. Nel rapporto con la medicina, un posto importante spetta all’immagine che il paziente ha del medico. Ricerche recenti hanno dimostrato che il paziente, anche adolescente, desidera dal medico, oltre alla qualificazione professionale che fa scattare la fiducia, una relazione di partnership, che comporta una completa informazione e un tempo sufficiente per la comunicazione. Elementi tali da coinvolgerlo attivamente in ogni fase del rapporto con il medico, dall’anamnesi alla diagnosi, alla prescrizione concordata della terapia. Jaspers, noto medico e filosofo, mette in guardia sia da un’esaltazione che da un appiattimento del rapporto: “Il medico non è né un tecnico né un salvatore, bensì un‘esistenza che risponde a un’esistenza, un essere umano caduco, il quale negli altri, con gli altri e in se stesso attua la libertà e la dignità, e le riconosce come criterio”14. Il modo di affrontare la vita dopo che la malattia l’ha modificata può essere distruttivo o costruttivo e dipende da numerose variabili, ambientali (famiglia, amici, tempo libero) e non (personalità, autostima, temperamento). Tali fattori sono fra loro interagenti all’interno di un quadro complessivo e dinamico. Ma come promuoverli educando l’adolescente paziente a resistere alla malattia? E quale ruolo riveste il pediatra nel duro lavoro di intrecciare tali fattori per favorire la capacità di far fronte, o meglio ancora di resilienza? 662 SPECCHIO L’adolescente resiliente Il paziente non è solo una persona che ha una malattia; è anche una persona che, avendo una malattia, deve prendere posizione nei confronti della stessa. Promuovere la sua salute significa permettergli di avere più controllo su ciò che la determina. Il termine “resilienza” viene dalla fisica dei solidi, o, se preferite, dalla metallurgia: è la resistenza che un materiale offre all’insulto dinamico; è quindi la misura inversa della sua fragilità. La prospettiva della resilienza, intesa come “arte di navigare sui torrenti”, capacità che hanno alcune persone, grazie ad altre, di “uscirne, malgrado tutto”, traccia il profilo dell’adolescente-paziente resiliente e del suo principale tutore, il pediatra. In un adolescente asmatico può non esserci guarigione, ma può esserci l’impulso alla metamorfosi15. Si tratta di iniziare un cammino - il medico con l’adolescente - costituito da tappe consequenziali. La non risoluzione di una tappa non permette di passare alla successiva. Tale cammino ha valore solo se il pediatra crede veramente nella potenza creatrice del suo paziente, se vede in prima persona alternative possibili allo stato di resa di fronte alla malattia. Il pediatra, tutore di resilienza, lavora per la salute dell’adolescente, non solo sviluppando capacità di resistenza verso la malattia, ma permettendo al soggetto di utilizzare tali capacità, dando un senso, un significato a quello che succede16. La prima tappa consiste nel portare l’adolescente a porsi domande esistenziali. Chi sono, qual è la mia unicità? Ricercare un senso di coerenza tra le trasformazioni dello sviluppo e le prove a cui sottopone la malattia cronica. Nella seconda tappa, il pediatra “accompagna” l’adolescente a scegliere. Saper prendere delle decisioni significa avere il controllo di ciò che determina la propria salute. Se la relazione è vera e autentica, le scelte che l’adolescente farà saranno scelte di salute. Nella terza tappa la “ferita” si rivela. Uno dei maggiori rischi è l’identificazione che l’adolescente fa con la sua malattia: “Io sono il mio asma”. Distinguersi dalla malattia, prendere le distanze significa acquistare coscienza di sé e sentirsi risorsa. “L’azione liberatrice comporta necessariamente la presa di coscienza e l’atto di volontà”, afferma José Luiz Fiori. Quando il nemico, l’asma, è rivelato e ben riconoscibile, allora la resilienza diventa possibile. Perché possiamo resistere a ciò che riconosciamo, a cui sappiamo dare un nome. La rivelazione corrisponde a un “momento sacro” perché segna nella storia del paziente un prima e un dopo, e porta a “metamorfosare” la propria sofferenza in un’opera creativa secondo una specifica strategia educativa di resistenza. La quarta tappa consiste nel dare un senso alla propria malattia. Non basta pensarla, bisogna affrontarla, per fuggirla o trasformarla. Comprendere e agire per innescare il processo di resilienza. Se uno dei due fattori manca, la resilienza non riesce a svilupparsi e Medico e Bambino 10/2004 OLTRE LO il disturbo perdura. Comprendere senza agire favorisce l’angoscia, agire senza comprendere induce comportamenti devianti. La quinta tappa è l’invenzione di un progetto (pedagogia del progetto) che richiede innanzitutto lo sviluppo della fiducia in se stessi, della propria capacità di andare oltre l’evento doloroso e costruire itinerari esistenziali in grado di rispondere ai propri desideri e bisogni di adolescente17. Costruire una relazione con l’adolescente asmatico, nella prospettiva della resilienza, significa educarlo a scoprire il valore della vita e della propria esistenza. Il pediatra non solo favorisce il passaggio da un processo di patogenesi a uno di salutogenesi, ma diventa l’artefice di un processo di liberazione, di potenziamento delle capacità del soggetto, nel senso che gli permette di attivare alcune capacità di resistenza alla malattia, nonché di controllo sulla sua salute, e lo supporta nel dare un senso, nel ritrovare una coerenza tra i bisogni del suo corpo e i desideri della sua anima adolescenziale. Bibliografia 1. de Benedictis FM, Ferrante AL. Asthma in adolescence: a problem. Monaldi Arch Chest Dis 1999;54:381-3. 2. Ferrante AL. Adolescenza: l’ascolto, la comunicazione, i rapporti, le relazioni. La Salute Umana 1997;150:5-8. 3. Sarsini D. Il corpo in Occidente. Pratiche pedagogiche. Roma: Carocci, 2003. 4. Viner R. Transition from paediatric to adult care. Bridging the gap or passing the buck. Arch Dis Child 1999; SPECCHIO 81:271-5. 5. Pietropolli Charmet G. Crisis Center. Milano, Franco Angeli, 2004. 6. Mazzetti L. 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