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Pubblicato nel libro ‘Spazi Fuori dal Comune’, di Elena Ostanel, 2018, Bologna: Il Mulino. Dal Pla Buits al Patrimonio Cittadino di Uso e Gestione Comunitaria Durante la sua storia democratica, l’attiva e rivendicativa società civile barcellonese ha sempre contribuito alla definizione e ridefinizione delle politiche delle sue istituzioni. O se non altro ha sempre lottato per questo. Fatta eccezione dei quattro anni di governo liberal-democristiano (2011-2015), dalle prime elezioni democratiche, quando molti leader del movimento anti-franchista occuparono posizioni di governo, Barcellona è sempre stata governata da coalizioni di forze progressiste che hanno permesso la costruzione di un costante dialogo (e confronto) tra movimenti sociali e governo locale. Questa stretta relazione ha rappresentato una costante della governance della città, il cosiddetto “Modello Barcellona”, caratterizzato dalla collaborazione tra settori pubblici, privati e comunitari (Blanco, 2015). Ovviamente questa relazione non ha seguito un andamento uniforme ma si è evoluta secondo una periodizzazione (Blanco, 2009; Borja, 2004; Montaner, 2004) che parte dai primi anni di complicità tra i movimenti antifranchisti e l’elite democratica e arriva al discontento precrisi in cui i nuovi movimenti sociali denunciavano da tempo la deriva neoliberale delle politiche pubbliche del governo. Tuttavia, nonostante questa evoluzione, si può sostenere che le politiche dell’amministrazione locale siano state costantemente influenzate dalla società civile barcellonese che non ha mai smesso di far sentire la sua voce. Ne sono una dimostrazione la miriade di meccanismi di partecipazione e collaborazione pubblico-comunitaria che durante gli anni, anche durante la deriva neoliberale, sono stati istituiti dal Comune. Con l’arrivo della crisi e l’implementazione delle politiche di austerità questa relazione si è profondamente incrinata. Il movimento del 15M1 è quanto mai noto ed ha visto una delle maggiori concentrazioni proprio a Barcellona, in Piazza Catalunya. Contestando la politica istituzionale piegata alle logiche neoliberali e la distanza della politica rappresentativa, il 15M riuscì a dare vita, in diverse città spagnole, alle cosiddette “candidature del cambio”, coalizioni civiche di forze progressiste e movimenti sociali che con le elezioni municipali del 2015 hanno raggiunto il potere. A Barcellona, la vittoria di Barcelona en Comù ha portato Ada Colau, una precedente rappresentate del movimento anti-sfratti (PAH), a diventare la prima sindaca della città. Nuovamente, come nell’epoca post-franchista, molti attivisti si trovano ora nelle posizioni di governo, ridefinendo la relazione tra istituzioni e movimenti, ma soprattutto l’influenza di questi ultimi sulle politiche pubbliche. Questa nuova fase di governo rappresenta un cambio importante rispetto alle precedenti gestioni socialiste, un cambio che è stato interpretato come una nuova fase del municipalismo barcellonese, e molto probabilmente anche del “Modello Barcellona”, definita “municipalismo 1 Il 15M, detto anche movimento degli Indignados, fu il movimento sociale che scese in piazza in diverse città spagnole per protestare contro il governo a seguito della grave condizione economico-finanziaria in cui versava il paese. Le proteste iniziarono il 15 maggio 2011 in occasione delle elezioni amministrative. Pubblicato nel libro ‘Spazi Fuori dal Comune’, di Elena Ostanel, 2018, Bologna: Il Mulino. del bene comune” (Blanco e Gomà, 2016). Il nome fa riferimento proprio ai lineamenti della sua governance che pongono l’accento sulla relazione pubblico-comunitaria dove l’agenda urbana non si esaurisce nelle politiche pubbliche ma vuole anche rafforzare e dare spazio alle pratiche cittadine. In realtà, proprio per la stretta relazione tra movimenti e istituzioni, queste hanno sempre convissuto a Barcellona anche prima dell’arrivo del nuovo governo. La sfida, come sottolineano Blanco e Gomà (2016, p.182) è passare dalla coesistenza alla loro reciproca coproduzione. Un esempio di questa sfida può essere analizzata nell’ambito socio-spaziale della gestione di spazi pubblici, come centri civici e vuoti urbani. In questo paragrafo si mostra la coesistenza storica di politiche pubbliche e pratiche cittadine in relazione ai centri civici e ai vuoti urbani e successivamente si analizza la sfida raccolta dal nuovo governo nel passare dalla loro coesistenza alla loro co-produzione. Dopo il periodo di transizione post-franchista, l’istituzione di centri di aggregazione sociale fu una rivendicazione incalzante dei comitati di quartiere che chiedevano al governo di autogestire gli spazi attraverso il supporto pubblico. Il Comune rispose a questa richiesta ma con una logica top-down creando una rete di 52 Centri Civici di gestione pubblica: spazi culturali a scala di quartiere aperti a tutti i cittadini. Il primo centro fu inaugurato nel 1982 ma senza molte celebrazioni, schiacciato dalle proteste dei movimenti che lo interpretarono come una forma di partecipazione normalizzata (Sánchez Belando, 2015). A partire dal 1992 in poi, la gestione dei Centri subì un processo di esternalizzazione dove la maggior parte, il 65%, passarono gradualmente da una gestione pubblica ad una privata (Sánchez Belando, 2015). Tuttavia, sempre nello stesso periodo, si sono sviluppati diversi casi, sebbene minoritari, in cui la gestione è stata affidata ad associazioni di cittadini attraverso diversi modelli partecipativi che possono essere suddivisi secondo i gradi di cessione (Castro e al, 2017). Il primo è la co-gestione modello che implica la corresponsabilità tra un’associazione e l’amministrazione nella gestione del centro; il secondo è la gestione civica, dove la struttura viene gestita da un’associazione ma l’offerta culturale viene stabilita dall’amministrazione; la terza, la gestione comunitaria dove l’associazione non solo gestisce ma anche decide l’offerta culturale; da menzionare per la sua diffusione, anche se nessuno dei Centri Civici rientra in questa categoria, è l’occupazione che risponde alla logica di autonomia totale nei confronti dell’amministrazione. I Centri Civici di gestione pubblica sono sorti grazie alle rivendicazioni della società civile, ma anche le diverse gestioni partecipative sono frutto della spinta di questa società che non si è mai accontentata della semplice offerta pubblica. Tuttavia, alla pluralità di gestioni partecipative non corrisponde una pluralità normativa. Attualmente, l’unica cornice giuridica di riferimento è quella della gestione civica, approvata solo nel 2015 sotto la pressione della Piattaforma di Gestione Cittadina (Plataforma de Gestiò Ciutadana). Questo non significa che precedentemente queste pratiche non fossero riconosciute, ma che si trovassero in un limbo giuridico dove ogni contratto di gestione veniva risolto singolarmente come se fosse un’anomalia. Pubblicato nel libro ‘Spazi Fuori dal Comune’, di Elena Ostanel, 2018, Bologna: Il Mulino. Ovviamente, la pluralità dei modelli di gestione non può esaurirsi nella gestione civica. Soprattutto negli ultimi anni, la necessità di autonomia è ritornata fortemente nell’agenda urbana dei movimenti sociali. L’utilizzo di vuoti urbani per mano di cittadini organizzati come spazi di partecipazione, integrazione sociale ed educazione ambientale ha una lunga tradizione a Barcellona. Tuttavia è sicuramente con lo scoppiare della crisi economica che queste pratiche si sono moltiplicate nella miriade di terreni rimasti abbandonati per l’arresto dell’attività costruttiva. A questa domanda cittadina di gestione degli spazi inutilizzati che non incontrava nessuna risposta nelle politiche pubbliche dell’amministrazione, il Comune liberal-democristiano rispose nel 2012 con la creazione del Pla Buits (Piano dei Vuoti). Il Pla Buits “ha lo scopo di stimolare i terreni inutilizzati nella città di Barcellona, attraverso attività di interesse pubblico di natura provvisoria, guidate da entità pubbliche o non profit, favorendo il coinvolgimento della società civile nella rigenerazione del tessuto urbano della città” (Ayuntamiento de Barcelona, 2012). Sono state condotte due edizioni del programma nel 2012 e nel 2015. In entrambi i casi è stato fatto un censimento dei vuoti urbani di proprietà pubblica. Attraverso un concorso pubblico, organizzazioni senza scopo di lucro hanno richiesto la gestione presentando un progetto. La valutazione è stata fatta da un comitato, composto da politici e rappresentanti delle associazioni, che misurava la qualità del progetto in relazione alla sua implicazione con il quartiere, all’ autosufficienza economica, alla sostenibilità ambientale e all’impatto sociale. I terreni venivano quindi ceduti temporalmente per tre anni nella prima edizione e per quattro nella seconda con possibilità di proroga. A livello economico, il Comune si assumeva le spese di adeguamento del terreno e delle forniture di energia elettrica, acqua, ecc. Il Pla Buits non è stato esente da critiche. Sono stati denunciati sia i limiti di queste politiche provvisorie incapaci di creare dinamiche di appropriazione collettiva durature (Blanco e Gomà, 2016), sia la deresponsabilizzazione dell’amministrazione nella gestione del patrimonio pubblico (Magrinyà, 2015). Tuttavia sicuramente esso rappresenta, come la gestione civica, un altro caso di apprendimento istituzionale dove l’amministrazione disegna una politica pubblica mossa dalla necessità di riconoscere e istituzionalizzare una pratica cittadina ormai fin troppo diffusa per lasciarla nell’illegalità. Anche in questo caso non tutte le pratiche di gestione dei vuoti urbani sono confluite in questo programma e molte sono quelle che continuano in autonoma ai margini dell’amministrazione pubblica, mantenendo quella coesistenza tra politiche e pratiche. Il nuovo governo di Barcellona en Comù sta raccogliendo la sfida di trasformare la coesistenza storica di pratiche cittadine e politiche pubbliche in un processo di co-produzione. Uno degli obiettivi del suo programma di governo era di produrre una rigenerazione dei modelli di gestione, assicurandone la democrazia e la partecipazione diretta per mano dei cittadini, potenziando le gestioni partecipative di spazi pubblici, siano essi centri civici che vuoti urbani, per supportarne lo sviluppo. Pubblicato nel libro ‘Spazi Fuori dal Comune’, di Elena Ostanel, 2018, Bologna: Il Mulino. Secondo il Piano di Attuazione Municipale (PAM) il governo si impegna a "supportare, promuovere e consolidare progetti comunitari - economie e gestione dei comuni urbani esplorando nuovi modelli di governance sotto i principi di autonomia e sostenibilità e proponendo politiche pubbliche che partono dalle richieste territoriali e dalle organizzazioni sociali" (Ayuntamiento de Barcelona, 2016). Il primo passo della nuova amministrazione è stato quello di costruire una nuova cornice normativa capace di sottendere tutte le pratiche partecipative riconoscendone il valore e la legittimità, ma mantenendo le diversità e i gradi di autonomia. In questa maniera si è voluto migliorare le politiche pubbliche già esistenti come il Pla Buits o la Gestione Civica, ma anche generare nuove forme di istituzionalità che includano la dimensione comunitaria. Per questo viene utilizzato il concetto di commons: in esso possono rientrare le varie forme di governo di risorse pubbliche o private che sono possedute o utilizzate collettivamente a vantaggio della comunità (Castro e al, 2017). Questa istituzionalizzazione è tuttavia ancora in fase di sviluppo. Attualmente è stato commissionato uno studio da parte dell’amministrazione per definire quelle che potranno rappresentarne le linee guida. Questo studio (Castro e alt, 2016) propone di far rientrare le esperienze di gestione partecipativa sotto il concetto di “Patrimonio Cittadino di uso e gestione comunitaria”, dove la gestione e l’uso di questi beni deve rispondere ai seguenti criteri: interesse generale; ritorno sociale; accessibilità, universalità e libera iscrizione; democrazia diretta e auto-determinazione; trasparenza nella gestione economica e nella presa di decisioni; rendicontazione di conti e comunicazione; vincolo territoriale; non–lucro; condizioni di dignità del lavoro, di genere e di sostenibilità. Ovviamente il cammino per la creazione di tale Patrimonio è ancora lungo e nello stesso studio vengono sottolinearti diversi punti necessari alla sua messa in atto come un censimento degli spazi già ceduti, un catalogo partecipato degli spazi pubblici inutilizzati della città e la creazione di un ufficio tecnica specializzata. Tuttavia, questo documento rappresenta l’intenzione di riscrivere una nuova forma di essere istituzione e di fare istituzione (Castro e alt, 2016) dove la dimensione comunitaria viene messa al centro del discorso. Sicuramente la regolazione delle pratiche può essere interpretata anche come un loro addomesticamento, ma risulta necessaria per due ragioni. In primo luogo, può facilitarne il loro supporto da parte dell’amministrazione che altrimenti dovrebbe trattarle come un’anomalia al margine della legalità ordinaria. E, in secondo luogo, può contribuire a modificare la visione dicotomica del mondo basato sul pubblico e il privato. Per passare dalla coesistenza alla co-produzione c’è bisogno, infatti, non solo di un cambio della norma, ma anche di un cambio culturale che riporti al centro la dimensione comunitaria nella sua legittimità e integrità, tanto nelle politiche pubbliche che nelle pratiche. Una dimensione che è stata sempre oscurata, perché per molti anni la gestione di ciò che è pubblico si è esaurito principalmente nella gestione statale. Tuttavia, come sottolinea il politologo Subirats (2011), la nuova sfida democratica significa andare oltre questo paradigma del pubblico-istituzionale creando nuove istituzioni che non siano necessariamente gestite dai poteri pubblici, ma rispondano al principio di universalità di questo concetto. Pubblicato nel libro ‘Spazi Fuori dal Comune’, di Elena Ostanel, 2018, Bologna: Il Mulino. Passare dalla coesistenza alla co-produzione di politiche pubbliche e pratiche cittadine spogliando la dimensione comunitaria dalla sua anomalia è la scommessa del nuovo governo. La sua vittoria non è assicurata e molto probabilmente non potrà essere decretata alla fine di questo mandato. Tuttavia, l’attiva e rivendicativa società civile barcellonese, con la sua tradizione di influenza sulle istituzioni, rappresenta sicuramente un attore determinante per delineare un cambio di paradigma la cui esperienza potrà aprire varchi politici, istituzionali e normativi anche altrove. Pubblicato nel libro ‘Spazi Fuori dal Comune’, di Elena Ostanel, 2018, Bologna: Il Mulino. Bibliografia Ayuntamiento de Barcelona (2012) Pla Buits. Accessibile a: http://ajuntament.barcelona.cat/ecologiaurbana/ca/pla-buits Ayuntamiento de Barcelona (2016) Programa de Actuación Municipal (PAM) 2016-2019. Accessibile a: http://governobert.bcn.cat/estrategiaifinances/sites/default/files/Documents/PDF/PAM2016.pdf Blanco, I. (2009). Does a ‘Barcelona Model’ really exist? Periods, territories and actors in the process of urban transformation. Local Government Studies, 35, 355–369. Blanco, I. (2015) Between democratic network governance and neoliberalism: A regime-theoretical analysis of collaboration in Barcelona. Cities, 44, 120-130 Blanco, I. and Gomà, R. (2016). El municipalisme del bé comú. Barcelona: Icaria Borja, J. (2004). Barcelona y su urbanismo. Éxitos pasados, desafíos presentes, oportunidades futuras. In J. Borja y Z. Muixí (Eds.), Urbanismo en el siglo XXI: Una vision crítica (pp. 171–181). Barcelona: Edicions UPC. Castro, M. e alt. (2016) Comuns Urbans. Patrimoni Ciutadà. Marc conceptual i propostes de línies d’acció. Accessibile a: http://lahidra.net/wp-content/uploads/2017/07/Patrimoni-Ciutada-Marc-Conceptual-v.3.01.pdf Montaner, J. M. (2004). La evolución del modelo Barcelona (1979–2002). In J. Borja & Z. Muixí (Eds.), Urbanismo en el siglo XXI: Una vision crítica (pp. 203–219). Barcelona: Edicions UPC. Sánchez Belando, V. (2015). 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