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Argento e ambra:
il corredo della tomba 60 di Serra Del Cedro
di Angelo Bottini
Gli oggetti sono sempre stati trasportati, venduti, scambiati, rubati, recuperati e perduti.
Le persone hanno sempre fatto regali. Quello che conta è come racconti la loro storia.
Edmund de Waal, Un’eredità di avorio e ambra
L’altura di Serra del Cedro, culminante a 858 m
s.l.m., sorge ad un paio di chilometri in linea d’aria a
Nord Est della cittadina medioevale di Tricarico, in
posizione all’incirca simmetrica rispetto alla più nota
collina della Civita, di cui condivide le vicende per
quanto riguarda la fase lucana, allorchè venne dotata
di una cinta muraria, peraltro studiata finora solo in
modo preliminare 2.
Lungo le pendici meridionali è stata individuata
ed a più riprese indagata un’area adibita ad abitato
con i relativi nuclei di necropoli, databili fra VI e IV
sec.; come avviene in tutto questo settore della mesogaia della Basilicata, nelle tombe più antiche gli
inumati sono in posizione rannicchiata, supina in
quelle più recenti 3. A giudicare dalla ceramica mattpainted in condizioni di essere valutata, in particolare
quella del corredo n. 115, attualmente esposto nel Palazzo ducale della stessa Tricarico, sembra trattarsi
del più meridionale fra gli insediamenti “nord-lucani” 4, di cui condivide la caratteristica collocazione
d’altura, proprio al confine coi siti peuceti del Materano, divenuto in seguito lucano, come si dirà ancora in seguito.
Come appena accennato, il ricupero del corredo
della tomba n. 60, cui apparteneva la placca in questione, fu in buona parte compromesso da una catena
di elementi e contingenze negative, legate alle caratteristiche stesse della sepoltura, alla stagione avanzata, al momento specifico del rinvenimento ed alla
mancata percezione delle condizioni di rischio.
Di fatto, la tomba venne individuata mercoledì 19
ottobre 1994; l’esplorazione – a causa della grande
profondità – si protrasse fino alla mattina di venerdì
21, quando iniziò a tornare in luce il corredo ceramico, ma proprio allora una forte pioggia, destinata a
durare anche l’indomani, come risulta anche dall’archivio storico dei dati meteoreologici, costringeva ad
1
Sono estremamente grato ad Anna Maria Patrone, direttrice
del Museo Arch. Naz. di Matera D. Ridola, non solo per avermi
chiesto a suo tempo di studiare la placca ed il suo contesto, ma
per la preziosa collaborazione nella raccolta della documentazione e nella realizzazione delle immagini dei manufatti qui pubblicate, eseguite con la consueta professionalità da M. Calia e N.
Armento (fotografie) e N. Montemurro (disegni), tutti della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata.
2
R. De Gennaro, I circuiti murari della Lucania antica (IV-III
sec. a.C.), Paestum 2005, p. 82, n. 53.
3
Eredità della Magna Grecia, Atti Taranto XXXV 1995, p.
630; Problemi della chora coloniale dall’Occidente al Mar Nero,
Atti Taranto XL 2000, p. 961. I primi rinvenimenti di tombe di IV
sec. con ceramica a figure rosse dalla contrada San Felpo, “sotto”
la Serra, furono ed. da C. Valente in «NSc» 1949, p. 126 sgg. M.
Di Lieto, nella tesi di dottorato (discussa a Perugia nel 2007, relatore M. Osanna, coordinatore M. Torelli) Un popolo senza
nome, Identità e cultura nel territorio nord-lucano, p. 213 sgg.
avanza l’ipotesi che il costume funerario del rannicchiamento rimanga in uso per almeno una parte del IV secolo, non diversamente da quanto avviene anche in altri siti della stessa cultura,
come Baragiano e Oppido Lucano, affiancandosi a quello supino:
una circostanza che, alla luce di quanto si dirà più avanti, merita
un’attenta verifica.
4
Coerentemente con la forte segmentazione “cantonale” caratteristica della produzione vascolare di queste comunità, le ceramiche in questione si distinguono per forme ed apparati
decorativi da quelle dei siti vicini.
Nell’autunno del 1994, durante una campagna di
scavi organizzata dalla direzione del Museo D. Ridola di Matera, da cui dipendeva – come oggi ancora – la tutela del territorio di Tricarico, nell’area
di Serra del Cedro tornava in luce una magnifica
placca figurata in ambra: un manufatto esposto e
commentato in più occasioni, ma sempre da solo,
quasi si trattasse di un oggetto isolato; una scelta determinata tanto dalla sua eccezionalità che dalle
sfortunatissime circostanze del suo rinvenimento 1.
Nelle pagine che seguono si proverà a colmare
tale lacuna, proponendone l’inquadramento per
quanto riguarda sia il corredo di appartenenza che il
contesto culturale in cui s’inserisce: un aspetto che
riserva qualche motivo di inatteso interesse.
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Angelo Bottini
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interrompere il lavoro, impedendo di portare a compimento lo scavo.
Si decise quindi di rimandare l’intervento al lunedì successivo: una scelta certamente obbligata, ma
che si doveva rivelare del tutto improvvida, aggravata anche dalla rinuncia ad eseguire una documentazione fotografica dello stato di fatto.
Nonostante il richiesto – ed ottenuto – coinvolgimento dei Carabinieri del posto, e dopo un fallito sopralluogo tentato sabato 22, la mattina di lunedì 24,
alla ripresa, si doveva così prendere atto dell’avvenuta manomissione sia della tomba 60 che della vicina 61, con la perdita, per la prima, di tutto il corredo
vascolare (e non solo): lo confermano anche gli atti di
ufficio relativi alle successive vicende giudiziarie, peraltro senza esito.
Quanto detto risulta descritto nel giornale di
scavo, redatto con molta precisione da A. M. Caravelli, che seguiva i lavori in loco; grazie ad esso,
siamo dunque in grado di ricostruire la situazione,
anche per quanto riguarda i manufatti perduti.
La tomba, al pari della vicina 61, era del tipo a
fossa semplice, di grandi dimensioni (cm 240 x 130)
e profonda ben 340, come si conviene alla sepoltura
di un personaggio di rilievo, con una serie di grosse
pietre sistemate sul fondo, quantomeno lungo i due
lati lunghi, indicati in modo non proprio preciso
come Est ed Ovest.
Il corpo, conservato solo nella parte inferiore, era
in posizione supina, con la testa a Sud-Ovest, e doveva occupare solo la parte occidentale della fossa,
mentre quella opposta, alla sua destra, era stata riservata ad accogliere il corredo, in adesione ad un rituale osservato di recente anche nel nucleo a quanto
sembra coevo rinvenuto in val d’Agri, a Tempa Cagliozzo 5.
Questo il contenuto, comparabile nella sua ampiezza a quello deposto nell’importante complesso di
sepolture lucane tornato in luce in passato nei pressi
del Basento, nella non lontana località di Seroto, in
comune di Albano di Lucania 6; a partire da Nord: una
pelike ed un cratere a campana a figure rosse, un kottabos in piombo, “un’olletta acroma con due anse a
nastro”, probabilmente in ceramica d’uso, una hydria
5
A. Russo, M. A. Vicari Sottosanti, Tra Enotri e Lucani: le necropoli del V e IV secolo a.C. in località Tempa Cagliozzo di San
Martino d’Agri (PZ), «Fasti online» 2009; cfr. la nota 25.
6
I corredi, in parte esposti al Museo Arch. Naz. di Potenza,
a figure rosse, affiancata dalla piccola oinochoe in
pasta di vetro (sopravvissuta), una epichysis a vernice nera, una lekane a figure rosse ed un “piatto” a
vernice nera.
È facile osservare che i due recipienti prevalentemente femminili, lekane e hydria, erano prossimi al
torso, mentre ai piedi si trovava il cratere, recipiente
divenuto ormai cerimoniale e non più simbolo di condizione maschile in quanto legato alla pratica simposiaca, la cui valenza ormai solo simbolica è provata
dalla riduzione del complesso funzionale in ferro a
modelli in scala ridotta in piombo (il kottabos appena
menzionato, rubato, oltre che gli spiedi ed alari al
contrario conservatisi, probabilmente rinvenuti accanto).
Per una contingenza risultata provvidenziale – il
fatto che la tomba si fosse completamente riempita
d’acqua – i depredatori non poterono manomettere la
deposizione; non solo si salvò così l’intera parure,
ma sappiamo così che la placca in ambra era posta
“in corrispondenza della parte sinistra del bacino”,
sotto due fibule in ferro, due fibule in argento ad arco
doppio e doppia curva si trovavano invece sul petto,
quattro ad arco semplice all’altezza del collo.
Sia la asserita corrispondenza con la tomba 61
(certamente maschile, data la presenza dei resti di una
spada, di cuspidi arma lunga e di un morso di cavallo,
in ferro) che il tipo stesso di corredo induce a considerare certo che la deposizione fosse femminile; per
quanto riguarda infine la sua collocazione cronologica, una datazione ad un momento successivo agli
inizi del IV sec., suggerita dalla posizione supina del
corpo, trova piena conferma nella presenza di un intero set di vasi a figure rosse, inclusa una forma come
la lekane, praticamente sconosciuta alla produzione
più antica dei ceramisti sia di Metaponto che di Taranto; un indizio in più è probabilmente rappresentato dalla notata presenza di sovraddipinture in
bianco sulla pelike.
Quanto ne è sopravvissuto è descritto e commentato in appendice.
Il rilievo della defunta, già indicato dalle dimensioni della tomba e dall’ampiezza del corredo nel suo
insieme, è confermato dall’abbigliamento, composto
sono tuttora inediti; ved. al momento: E. Pica, in «StEtr» LII
1984, p. 464, scheda 17; A. Bottini, I Lucani, in Magna Grecia.
Lo sviluppo politico, sociale ed economico, Milano 1987, pp.
259-280, in part. figg. 352 e 354.
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Argento e ambra: il corredo
Emiliano
dellaCruccas
tomba 60 di Serra Del Cedro
7
secondo un costume – come vedremo non esclusivamente femminile – che possiamo tentare di ricostruire
soprattutto sulla base di una piccola serie di contesti
di varia provenienza e cronologia, di cui si riasumono
gli elementi salienti.
Iniziamo da due sepolture femminili di Braida di
Vaglio. Nella prima (106), databile nel primo quarto
del V sec. e relativa ad una donna anziana, in corrispondenza del petto sono state ritrovate due belle
protomi figurate in ambra (un Sileno ed una Menade), affiancate da altrettante fibule in argento; doveva essere inoltre presente una cintura, non
conservatasi, da cui pendevano due dischi in avorio
ed una serie di vaghi in ambra, rinvenuti fra le
gambe. La seconda (102), chiusa nei decenni finali
del secolo precedente, conteneva com’è noto il
corpo di una bambina dotata di una parure di straordinaria ricchezza, concentrata sulla parte superiore del corpo; ne facevano parte circa 300
elementi in ambra, in parte sommariamente figurati,
una placca della stessa materia di grandi dimensioni
raffigurante una Sfinge, collegate ad una quarantina
di fibule in argento; anche in questo caso era presente un piccolo disco d’avorio 7.
In entrambe, una serie di vaghi in oro rinvenuti
alla nuca fa pensare ad una acconciatura complessa,
forse alla presenza di una rete o di un velo, completata da una coppia di trecce laterali fermate da un un
filo, sempre d’oro, ripiegato e poi avvolto in più spire
fino a formare una grande anello. Sulla fronte della
bambina era stato infine posto, caso finora unico in
tutto il mondo italico, un magnifico diadema aureo
di tipo rodio.
In ambito daunio, si deve aggiungere in primo
luogo la coppia di tombe di loc. Pisciolo di Melfi,
maschile (43) e femminile (48), della fine del V
sec. 8; in entrambe, sono state rinvenute numerose fi-
bule (e spilloni) in materiale prezioso e di foggia
complessa in corrispondenza della parte superiore
del corpo, cui si accompagnano le ambre, impiegate
come pendenti di collana o accessori delle vesti; sia
l’uomo che la donna indossavano inoltre con ogni
probabilità una cintura, da cui nel primo caso pendevano solo tre dischi in avorio, nel secondo una
coppia dei medesimi dischi ed una grande placca in
ambra, raffigurante un guerriero alato, forse Perseo,
come suggerito nel catalogo di una recente esposizione napoletana 9.
Ad esse si possono aggiungere due tombe femminili da Lavello, collocabili verso il 370 a.C.: la ben
nota n. 955 10, pertinente ad una donna adulta, in cui
la disposizione delle fibule e delle ambre è esattamente la stessa della corrispondente melfese appena
citata, e la n. 952, dotata di fermatrecce in oro, orecchini in pasta vitrea, collanine con vaghi in ambra,
pasta vitrea ed osso. Secondo il costume appena descritto, alle numerose fibule in argento e ferro sul
petto corrispondevano tre protomi in ambra deposte
sotto la vita, quindi con ogni probabilità pendenti
dalla cintura (fig. 1).
Ancora, la tomba 534 di Banzi, maschile, databile
verso la fine del V sec. Alle fibule di pregio che, nelle
parole di R. Ciriello «trattenevano i lembi della stoffa
entro cui era stato avvolto il defunto» 11 si unisce un
disco di avorio in corrispondenza della parte inferiore
del corpo e, fatto del tutto inusuale, una corona aurea
in lamina stretta avvolta a spirale 12.
Per la Peucezia, a Rutigliano, la coeva tomba maschile 9, affiancata dalla corrispondente femminile
(10), in un ulteriore esempio di sepolture “gemelle”;
il corredo include due placche d’ambra di notevoli
dimensioni (la c.d. Danaide ed il “guerriero”), insieme con un certo numero di fibule.
Il complesso è tuttora sostanzialmente inedito 13;
7
A. Bottini, E. Setari, La necropoli italica di Braida di Vaglio in Basilicata. Materiali dallo scavo del 1994 («MonAnt»
serie misc. VII), Roma 2003, pp. 32 sgg. e 63 sgg.
8
Pianta della prima in D. Adamesteanu, La Basilicata antica,
storia e monumenti, Cava dei Tirreni 1974, pieghevole dopo p.
168; pianta della seconda ed elenco delle ambre di entrambe in
A. Bottini, Le ambre intagliate a figura umana del Museo archeologico naz. di Melfi, «Archaelogia Warszawa» XLI 1990,
pp. 57-66.
9
Ambre, p. 233.
10
Due donne dell’Italia antica - Corredi da Spina e Forentum
(Catalogo della Mostra, Comacchio), Limena 1993, ricostruzione
della disposizione a p. 67.
11
R. Ciriello, Banzi, l’esplorazione della necropoli di Piano
Carbone. Campagna di scavo 1993-1995, in M. Osanna, B. Serio
(a cura di), Progetti di archeologia in Basilicata: Banzi e Tito,
«Siris» Suppl. II 2008, pp. 27-32 (da cui la cit.); Ead., in S. Settis, M.C. Parra (a cura di), Magna Grecia. Archeologia di un sapere (Catalogo della Mostra, Catanzaro), Milano 2005, pp.
433-438.
12
È probabile che sia quindi da interpretare come corona
anche il “torques” aureo della T. A, venuta in luce nel 1934: G.
Pesce, «NSc» 1936, pp. 428-439, 437 in part. n. 118.
13
Ambre, p. 245; Nessuna indicazione utile nella relazione di
F.G. Lo Porto in Locri Epizefirii, Atti Taranto XVI 1976, p. 742
sgg., ma alla tav. CXV sono riprodotti la grande fibula discussa
qui di seguito, su cui è infilata una protome silenica in ambra, e
la c.d. Danaide.
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Angelo Bottini
Fig. 1. - Ricostruzione della deposizione della tomba 955 di Lavello (disegno di R. Pontolillo).
soccorre tuttavia quanto scritto in un dépliant distribuito nel 2002, in occasione dell’esposizione a Rutigliano stessa di alcuni corredi di particolare rilievo,
laddove si osserva che la deposizione appariva «contornata da fibule in argento decorate da vaghi in
ambra» 14. Il riferimento è ad un gruppo di esemplari
grandi dimensioni, fra cui almeno uno, molto elaborato, con arco a doppia curva, prossimo dunque alle
due del nostro corredo, ma con arco triplo e staffa desinente in un’apofisi in avorio.
Proviamo a riassumere. Siamo, a quanto sembra,
in presenza di quelle che possiamo considerare varianti di un tipo di costume al momento documentato
almeno dai decenni finali del VI a quelli iniziali del
IV sec., non legato ad una particolare appartenenza
etnico-culturale, a conferma di quanto sappiamo sulle
strette relazioni, quantomeno di scambio, intessutesi
in età arcaica fra nomina o almeno fra le relative élites, si direbbe dotato di uno specifico valore cerimoniale, che prevede l’ostentazione di fibule in
materiale prezioso appartenenti a tipi particolari e
come tali di una certa rarità, e di ambre di altrettanto
pregio, in parte usate come ornamenti delle vesti, in
parte – specie se di grandi dimensioni – appese alla
cintura, talora insieme con quelle esotiche sezioni di
zanna di elefante cui non è stata finora riservata
un’attenzione adeguata 15.
Egualmente palese appare la sua adozione da
parte di personaggi di rango assai elevato di entrambi
i generi; un dato quest’ultimo che merita una qualche attenzione particolare: se infatti sul versante femminile non appare difficile ricollegare questo genere
di abbigliamento ad una tradizione di matrice protostorica particolarmente ben documentata proprio in
Basilicata 16, su quello maschile si manifesta un de-
14
Ornarsi d’ambra. Tombe principesche da Rutigliano (le virgolette sono nel testo); è qui riprodotto il guerriero; inoltre, nella
foto d’insieme del corredo vascolare si distinguono almeno sei
piccoli recipienti in pasta vitrea.
15
Oltre che nelle tombe qui citate, dischi o anelli comunque
ottenuti da una sezione di zanna di elefante ricorrono anche in alcune sepolture di Ordona (R. Iker, Ordona VII/1. Les tombes
dauniennes. Les tombes du VIIIe au début du IV siècle avant
notre ère, Bruxelles-Rome 1984, T. 32, p. 119 sgg., fig. 66, n. 19;
T. 33, p. 134 sgg., fig. 67; T. 56, p. 219 sgg., fig. 126; si segnala
per particolare rilevanza la prima, in cui il manufatto fa parte
del corredo, databile alla fine del primo terzo del VI sec., mentre nelle altre due si tratta di quanto rimane di deposizioni rimosse per far posto, secondo un tipico costume daunio, ad altre
successive) e in almeno una di Minervino Murge (F.G. Lo Porto,
Corredi di tombe daunie da Minervino Murge, «MonAnt» serie
misc. VI-2, Roma 1999, T. OC.10, p. 20, tav. II, d, nn. 62-65: da-
tazione alla prima metà del VI sec.). I più antichi esemplari finora noti di dischi trasformati in grandi anelli sembrano essere
quelli etruschi di Marsiliana d’Albegna, dei decenni centrali del
secolo precedente; cfr. M. Celuzza, C. Cianferoni (a cura di), Signori della Maremma. Elites etrusche fra Populonia e Vulci (Catalogo della Mostra, Firenze), Firenze 2010: Circolo degli avori,
p. 163 sgg., n. 4.26 (non ill.); immagine in Etrusker in der Toskana. Etruskische Gräber der Frühzeit (Catalogo della Mostra,
Malmöhus), Firenze 1987, p. 163, nn. 223-225. Devo alla cortesia di C. Cianferoni la notizia che uno o due altri esemplari, finora inediti, appartengono al corredo (maschile!) del circolo di
Perazzeta.
16
M. Pacciarelli, Identità di genere e corredi femminili nelle
grandi necropoli della prima età del Ferro dell’Italia meridionale, in Le ore e i giorni delle donne. Dalla quotidianità alla sacralità tra VIII e VII secolo a.C. (Catalogo della Mostra,
Verucchio), Verucchio 2007, pp. 117-124.
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Argento e ambra: il corredo
Emiliano
dellaCruccas
tomba 60 di Serra Del Cedro
9
ciso mutamento rispetto ad un passato nemmeno
troppo remoto, in cui l’esibizione del privilegio era
demandata esclusivamente all’armamento ed alla
bardatura equeste da un lato, al vasellame ed allo
strumentario da banchetto dall’altro, senza alcuna
adesione ai canoni della habrosyne “ionica” di matrice orientale 17.
Sia che si tratti di un qualcosa che si aggiunge,
come mostrano alcuni degli stessi corredi appena citati, ovvero si sostituisce all’esibizione delle armi
(peraltro assenti anche altri contesti di altissimo livello, quale la celebre tomba di Monte Pruno 18,
priva però di monili) appare difficile sottrarsi all’impressione che si esprima così – verrebbe da dire
alla maniera etrusca 19 – una più complessa articolazione del ruolo maschile, forse l’emergere di funzioni più propriamente “politiche”: un argomento su
cui sarà il caso di ritornare, tenendo conto del fatto
che non si tratta di una tendenza univoca e nemmeno prevalente, dal momento che l’ostentazione
della panoplia difensiva è ad es. il tratto più tipico
dei combattenti lucani della prima generazione insediata a Poseidonia e raggiunge un suo nuovo
picco nei decenni finali del IV secolo tanto in area
apula che fra Lucani e Brezii.
Entrando nei particolari antiquari, appare evidente
che la sistemazione delle due tombe maschili si presentava simile, col corpo avvolto in un tessuto, chiuso
lungo il bordo da una serie di fibule.
Più che ad un sudario o ad una coperta come
quella distesa sulla defunta raffigurata sulla parete di
una tomba pestana 20, anche sulla scorta di quanto
mostra la tomba tarquiniese “del morto” 21, proprio
l’uso di fermagli fa pensare alla presenza di un mantello, chiuso utilizzando gli stessi monili che lo impreziosivano; nello stesso modo è stato peraltro
ricostruita anche una più antica deposizione femminile di Pontecagnano 22.
Nel campo dei realia, è possibile chiamare a confronto gli straordinari rinvenimenti di Verrucchio, in
particolare la tomba 89/1972, che ci ha restituito due
mantelli, antecedenti della toga, ed un terzo “piegati,
ornati da fibule e sistemati con cura sull’urna”; dalla
minuta analisi cui sono stati sottoposti emerge infatti
la presenza di una serie di impunture, l’ampiezza di
alcune delle quali «fa ritenere che sia stato adoperato
un filo di notevole spessore o addirittura un filo metallico, il che rimanda all’uso di applicazioni in materiale prezioso di un certo peso» 23, quali appunto,
nei casi apuli, le grandi fibule o le placche in ambra.
Senza voler presumere troppo da analogie con realtà
abbastanza lontane, è del resto certo il rapporto fra
funzione sacrale ed uso di un mantello con cappuccio
presso i Veneti 24.
Se ci volgiamo ancora una volta alle immagini,
questa volta femminili, troviamo un mantello molto
ampio indosso alle danzatrici dell’omonima tomba
di Ruvo come a molte donne italiche della ceramografia a figure rosse 25, uno di taglia più ridotta dalla
“sacerdotessa” su quadriga ritratta in una tomba di
Arpi 26.
Potrebbe essere stata impiegata per fermare sulle
spalle la coppia di fibule rinvenuta in corrispondenza
del collo della donna di cui ci stiamo occupando, al
pari di quelle che adornavano il corpo della defunta
della tomba 9 di Roccagloriosa 27; una posizione analoga, ma per esemplari in bronzo, si può peraltro osservare anche in altre tombe a deposizione supina di
Serra del Cedro 28.
La collocazione nella zona del bacino della
placca in ambra da cui prende origine questo stesso
studio ci conferma invece il suo impiego quale pen-
17
A. Bottini, Il mondo greco arcaico. Moda, costume società,
in Moda, costume e bellezza nell’Italia antica (Catalogo della
Mostra, Firenze), Livorno 2003, pp. 31-39.
18
R.R. Holloway, N. Nabers, The Princerly Burial of Roscigno (Monte Pruno), Salerno, «RAArtLouvain» XV 1982, pp. 97163.
19
Per l’uso maschile di collane e bracciali vistosi ved. F. Gilotta, Il sarcofago “del magistrato ceretano” nel museo gregoriano etrusco, «RIA» XII 1989, pp. 69-90, in particolare p. 75.
20
T. 2 sequestro GdF: A. Pontrandolfo, A. Rouveret, Le tombe
dipinte di Paestum, Modena 1992, p. 402.
21
S. Steingräber, Catalogo ragionato della pittura etrusca,
Milano 1984, n. 89.
22
Ved. il disegno in Ambre, p. 220.
23
P. von Eles (a cura di), Guerriero e sacerdote. Autorità e
comunità nell’Età del Ferro a Verucchio. La tomba del Trono,
Firenze 2002, rispettivamente i contributi di L. Bentini, D. Neri,
Il rituale funerario e la struttura della tomba 89/1972 Lippi, pp.
13-21 e di A. Stauffer, Abiti cerimoniali, pp. 196-219.
24
E. Di Filippo Balestrazzi, Spazi pubblici e prassi rituali nel
Veneto tra IV e I secolo a.C. Vecchi orizzonti e nuovi assetti disegnano continuità e discontinuità nel Veneto tra IV e I secolo
a.C., in A. Ancillotti, A. Calderini (a cura di), La città italica
(Atti del II convegno internazionale sugli antichi Umbri, Gubbio 2003), Perugia 2009, pp. 123-156.
25
G. Gadaleta, La Tomba delle Danzatrici di Ruvo di Puglia,
Napoli 2002, p. 128 sgg.
26
Italia omnium terrarum alumna, Milano 1988, fig. 604.
27
Poseidonia e i Lucani, p. 106, n. 42.
28
È il caso ad es. della T. 133, rinvenuta nel 1999.
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10
Angelo Bottini
dente da una cintura, come detto secondo un costume “emergente” riscontrato in vari altri casi; la
proposta, le cui motivazioni sono esposte nella
scheda relativa, di riconoscervi una figura di (dea)
kourotrophos, può peraltro contribuire a chiarire il
significato di un’altra ambra, facente parte del corredo “principesco” rinvenuto nel 1896 a Sala Consilina ed ora a Parigi, raffigurante una donna-ape che
stringe a sé un neonato 29. Come ha messo in evidenza a più riprese da Marco Giuman, esiste infatti
uno stretto rapporto fra tale funzione – specie da
parte di Artemis – e miele, con un particolare riferimento al difficile momento dello svezzamento 30:
l’ape diviene così una sorta di figura allegorica delle
cure materne.
Torniamo infine al complesso nel suo insieme.
Si è già rilevato come vada certamente datato ad
un momento successivo agli inizi del IV sec. ed appartenga al novero delle sepolture lucane; ciò implica dunque che il costume cerimoniale appena descritto sia stato adottato anche da parte di una
compagine in cui non era finora così chiaramente
documentato; d’altra parte, la placca in ambra appartiene ad una classe di origine tardo-arcaica e suggerisce quindi una possibile forma di tesaurizzazione, non priva di precedenti – sebbene abbastanza
remoti – in alcuni contesti enotri di Chiaromonte:
una circostanza in astratto facilmente postulabile, ma
che esige una spiegazione specifica, alla luce della
sostanziale discontinuità fra le precedenti comunità
“nord-lucane” ed i Lucani scaturiti dall’etnogenesi.
In altre parole, la defunta sepolta nella tomba 60,
a quanto sembra legata da una stretta affinità ad un
guerriero lucano, detiene almeno un manufatto di
particolare pregio che è legittimo immaginare in possesso di una donna vissuta nel secolo precedente e
viene sepolta indossando un sistema di vesti ed accessori altrettanto antico, diffuso presso diverse comunità fra Basilicata e Puglia.
29
A. Mastrocinque, L’ambra e l’Eridano (Studi sulla letteratura e sul commercio dell’ambra in età preromana), Este 1991,
fig. 44.
30
M. Giuman, Il dolce miele delle orsette. I krateriskoi di Artemis Brauronia, una rilettura, in S. Fortunelli, C. Masseria (a
cura di), Ceramica attica da santuari della Grecia, della Ionia e
dell’Italia (Atti del convegno internazionale. Perugia, 14-17
marzo 2007), Venosa 2009, pp. 103-118; e, più in generale, Melissa. Archeologia delle api e del miele nella Grecia antica, Roma
2008, p. 75 sgg.
31
A. Bottini et alii, Forentum, II. L’acropoli in età classica,
Venosa 1991, p. 44 sgg.
Senza voler proporre una “microstoria” tanto suggestiva quanto priva di conferme, ma ricordando il
caso delle due defunte della tomba 607 di Lavello,
l’una supina, l’altra rannicchiata 31, non sembra a questo punto impossibile quantomeno ipotizzare che la
nostra ignota matrona fosse legata (per nascita?) ad
un gruppo gentilizio di retaggio “nord-lucano” e che
la sua sepoltura in un abbigliamento di tradizione più
antica o con almeno un oggetto prezioso che potremmo forse definire come facente parte dei “gioielli di famiglia” ne sia il segno, così come la
sistemazione in posizione supina del suo corpo ne
prova l’integrazione (per matrimonio?) nella nuova
comunità lucana.
CATALOGO DEL CORREDO
Pasta vitrea
1. Oinochoe trilobata (169679), alt. massima cm 10,8; ricomposta, lacunosa, priva della base (fig. 2).
Corpo conico, collo stretto e modanato, becco molto pronunciato. Ansa a nastro sormontante, costolata. Decorazione su fondo blu: sul corpo pseudobaccellature campite
a piumaggio in blu, giallo-ocra e bianco; filettatura in
giallo sul labbro, in bianco sul collo. Tecnica di lavorazione su nucleo: ad es. G. Bandinelli (a cura di), Vitra an-
Fig. 2. - Oinochoe in pasta vitrea.
SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it
Argento e ambra: il corredo
Emiliano
dellaCruccas
tomba 60 di Serra Del Cedro
tiqua. Mille anni di lavorazione del vetro (Catalogo della
Mostra, Colle Val d’Elsa), Siena 2003, p. 23; B. Basile et
alii (a cura di), Glassway. Il vetro: fragilità attraverso il
tempo (Catalogo della Mostra, Ragusa), Palermo 2004, p.
21. Una decorazione analoga ricorre su manufatti di altra
forma, datati ad epoca più recente; ved. ad es. l’aryballos
dal Mediterraneo orientale Berlino 30219: Antike Gläser
(Catalogo della Mostra, Berlino), Berlin 1976, p. 14, n. 13,
e gli alabastra in J.W. Hayes, Roman and Pre-Roman
Glass in the Royal Ontario Museum, A Catalogue, Toronto
1975, p. 121 s., nn. 23/25, tutti con datazione al IV-III sec.;
una decorazione dello stesso tipo ricorre anche su esemplari con corpo a forma di bottiglia: D. B. Harden, Catalogue of Greek and Roman Glass in the British Museum,
I, London 1981, p. 119, tav. XVIII, n. 313 sgg.; hj"
", « h
h» 7, 1993, pp. 207-214, 209 s. in part., fig. 4 (
870).
Ferro
Due fibule ad arco semplice:
2. 169670, lungh. massima cm 4,8; si conservano l’arco e
la staffa, con l’attacco di un’apofisi sormontante (fig. 3).
3. 169671, lungh. massima cm 4,3; si conserva solo l’arco,
cui aderisce un tratto dell’ardiglione (?).
11
Fig. 3. - Fibula in ferro.
Piombo
4. Gruppo di cinque spiedi miniaturistici integri e frammenti di almeno altri due (169678), lungh. massima cm
26,2. Verga a sezione quadrangolare, ritorta all’estremità,
sotto l’anello di sospensione, in cui è inserito un breve
tratto del sostegno (fig. 4, sopra).
5. Coppia di alari miniaturistici, in frammenti (169678),
lungh. massima del frammento maggiore cm 26. Lamina a
nastro alle cui estremità è inchiodato un piede, formato da
una lamina analoga ripiegata ad U rovesciata (fig. 4).
Fig. 4. - Gruppo di spiedi in piombo e alari.
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12
Fig. 5. - Peso in piombo.
Angelo Bottini
Fig. 6. - Quattro fibule in argento.
6. Peso piramidale (169681), alt. cm 2,2; integro. Un grosso foro passante nella parte superiore (fig. 5).
Argento
Quattro fibule ad arco semplice con ardiglione breve, inserito in una staffa laminata a profilo quadrangonale, dalla cui
parte superiore si protende una lunga apofisi in verga a sezione progressivamente minore; nella parte mediana l’arco
appare leggermente ingrossato, a sezione piano-convessa:
7. 169675, lungh. massima cm 7,3; integra.
8. 169676, lungh. massima cm 7,3; integra.
9. 169677, lungh. massima cm 7,3; integra.
10. 169674, lungh. massima cm 4,7; staffa deformata,
priva dell’apofisi (fig. 6).
Appartengono al tipo X, A della classificazione proposta in
Guzzo 1993, p. 26 sgg., documentata in area “nord-lucana”
e peuceta e soprattutto lucana, come provano gli esemplari
del tutto simili dalla già ricordata tomba 9 di Roccagloriosa (ibid., p. 159, 5-11; M. Gualtieri, Rituale funerario di
una aristocrazia lucana (fine V-inizio III sec. a.C.), in Italici in Magna Grecia: lingua, insediamenti, strutture, Ve-
nosa 1990, pp. 161-214, figg. 11 e 13, tav. LXI, 2 e 3; Poseidonia e i Lucani, p. 108, n. 42.37).
Due fibule ad arco doppio e doppia curva, con sferette applicate all’unione delle due curve ed agli estremi degli
archi, dove fissano la fascia decorativa che colma lo spazio fra i due archi; staffa media a profilo pentagonale con
lunghissima apofisi della stessa forma e dimensione dell’ardiglione, desinente con un piccolo disco applicato.
Le sferette sono precedute da un anello perlinato; la fascia
è suddivisa – nella parte più in vista – in quattro file parallele di trattini obliqui con opposta inclinazione, ad imitazione di fili che tendono ad unirsi e confondersi nella
sezione che scende verso la molla, dopo la sferetta posteriore.
Sulla faccia superiore della staffa è inciso un motivo ripetuto due volte, formato da denti di lupo contrapposti; in
mezzo una doppia fila di trattini obliqui con opposta inclinazione; sulla faccia posteriore un motivo a fiore di loto
stilizzato:
11. 169672, lungh. cm 12,8; alt. cm 3,1; integra (fig. 7).
12. 169673, lungh. cm 10,3; alt. cm 3; apofisi spezzata (fig.
8).
Fig. 7. - Fibula in argento.
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Argento e ambra: il corredo
Emiliano
dellaCruccas
tomba 60 di Serra Del Cedro
Fig. 8. - Fibula in argento.
Appartengono, in via molto generale, al tipo VI della
medesima classificazione Guzzo 1993, senza tuttavia
rientrare in nessuna delle varianti note (fig. 9); al pari
della c sono a doppio arco pieno, ma recano una fascia
applicata fra i due come negli esemplari aurei del noto
complesso lucano da Roccanova a Taranto (indicati
come variante d, apparentemente più recenti), dove tuttavia gli archi sono foliati: S. Bianco et alii (a cura di),
13
Greci, Enotri e Lucani nella Basilicata meridionale
(Catalogo della Mostra, Policoro), Napoli 1996, p. 201.
Le medesime caratteristiche delle nostre ritornano anche
in altre fibule, in primo luogo dalla stessa Serra del Cedro
(all’interno di corredi inediti), dal ben noto deposito votivo di Timmari (F.G. Lo Porto, Timmari. L’abitato, le
necropoli, la stipe votiva, Roma 1991, p. 176, tav. 82, n.
269) e dal sito di Cancellara (inedita, conservata al museo
prov. di Potenza); semplificate, in almeno altre quattro
appartenenti alla tomba 20 di Paestum, datata al 380/370
a.C. (A. Pontrandolfo, Su alcune tombe pestane: proposta di una lettura, «MEFRA» LXXXIX, 1 1977, pp. 3198; 56 sgg. in particolare nn. 48-51; fig. 30, 1-2);
esemplari affini sono inoltre presenti in altri contesti di
carattere votivo della Basilicata: in argento da Rossano di
Vaglio (L. Vacca, Oggetti di ornamento personale, in I.
Battiloro, M. Osanna (a cura di), Brateís datas. Pratiche
rituali, votivi e strumenti del culto dai santuari della Lucania antica (Atti delle giornate di studio sui Santuari
Lucani. Matera, 19-20 febbraio 2010), Venosa 2011, pp.
233-243, fig. 5e), in argento e bronzo dal santuario di
Fig. 9. - Disegni delle fibule di cui alle figg 7-8 (N. Montemurro).
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Angelo Bottini
Fig. 10. - Placca in ambra.
Colla di Rivello (P. Bottini (a cura di), Greci e indigeni
tra Noce e Lao (Catalogo della Mostra), Lavello 1988, p.
133, n. 32: in argento, “arco costolato n insellatura centrale; staffa verticale con decorazione incisa (fiore di
loto)”; n. 35: in argento, arco “a losanga con costolature
e decorazione a cordoni di perline”; n. 39: in bronzo,
“arco costolato, con insellatura e apofisi al centro e alle
estremità; staffa verticale”).
La decorazione incisa sulla staffa ritorna su fibule di altro
tipo, ad es. da Ascoli Satriano e da Cuma (Guzzo 1993,
pp. 155 e 159, esemplari VIII, 7-8; X, 1-2; M. Mazzei,
Contributo per la tipologia delle fibule nella Puglia settentrionale e alcune considerazioni sulla Daunia meridionale dalla fine del V al primo quarto del IV sec. a.C.,
«Taras» I, 2 1981, pp. 189-200; tav. LV); per i motivi fitomorfi ved. anche altre fibule di provenienza apula: Guzzo
1993, p. 149, esemplari VI, 9-11.
Ambra
13. Placca configurata (169680), altezza massima cm 13,
integra (fig. 10).
Sulla faccia anteriore è stata intagliata figura femminile
stante, ottenuta a rilievo poco profondo, panneggiata con
chitone ed himation; sorregge sul fianco, cingendone con
la destra la spalla, un personaggio maschile di aspetto giovanile ma di taglia non di molto minore, probabilmente
nudo, con la testa reclinata ma non poggiata direttamente.
Sulla faccia posteriore, lavorata in modo più sommario, il
braccio si confonde con un elemento longitudinale in cui
corre un foro di sospensione, ed il corpo maschile si presenta avvolto in lembo del mantello che si apre da quello
femminile, interrotto da una larga fascia piatta.
La già notata mancanza di ali (Ambre, pp. 232-237) ed il
fatto che il personaggio maschile sia nudo ed appoggi la
mano sinistra sul seno di colei che lo sostiene rende poco
probabile che si tratti di Kephalos rapito da Eos, come pro-
posto sulla scorta della grande diffusione
del mito, di chiara valenza salvifica (A.
Russo, Magie d’ambra. Amuleti e gioielli
della Basilicata antica, Catalogo della
Mostra, Potenza, Lavello 2005, p. 126
sgg.); viene da pensare piuttosto ad una
figura di kourotrophos, anche se non si
può affatto escludere che sulla resa abbia
pesato il modello costituito appunto dalle
scene di ratto “femminili”. Di fatto, il
gesto compiuto dal figlio contraddistingue una serie di raffigurazioni di tipo materno di varia provenienza (Th.
Hadzisteliou - Price, Kourotrophos. Cults
and Rappresentations of the Greek Nursing Deities, Leiden 1978, p. 29, 3, fig.
16; si può aggiungere che il gesto è compiuto dallo stesso Zeus bambino in braccio ad Amaltea su una lastra Campana:
G. Sauron, Il volto segreto di Roma.
L’arte privata tra la Repubblica e l’Impero, Milano 2009, p. 67, n. 42).
Se così è, fra i soggetti di questi particolarissimi intagli,
accanto ai personaggi alati allusivi alla “salvezza”, possiamo quindi annoverare le figure femminili colte nella
loro precipua funzione di garanti della continuità della specie; un aspetto della cui centralità è testimonianza, in Occidente, la precocissima comparsa di raffigurazioni di tipo
votivo, in rapporto a divinità diverse, con esemplari di
grande notorietà, quali la terracotta tarantina conservata a
Trieste – probabilmente l’attestazione più antica – e quella
dall’Heraion di Foce Sele (rispettivamente: M. Borda, Arte
dedalica a Taranto, Pordenone 1979, p. 46, fig. 11; P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion alla foce del
Sele, I, Roma 1951, tav. IV. Di grande interesse l’introduzione della connotazione materna nei noti tipi votivi tarantini incentrati sulla figura maschile recumbente: C.
Iacobone, Le stipi votive di Taranto (scavi 1885 - 1934),
Roma 1988, tav. 69 sgg.).
Sotto il profilo stilistico, le considerazioni riassuntive dell’ampio dibattito precedente svolta da A. Russo appaiono
del tutto condivisibili, e valgono a collocare la piccola
scultura nel ristretto novero delle realizzazioni più significative del pieno V secolo, senza la necessità di ulteriori
commenti.
Abbreviazioni bibliografiche
Ambre = M.L. Nava, A. Salerno (a cura di), Ambre. Trasparenze dell’antico (Catalogo della Mostra, Napoli),
Napoli 2007.
Guzzo 1993 = P.G. Guzzo, Oreficerie della Magna Grecia - Ornamenti in oro e argento dall’Italia Meridionale fra l’VIII ed il I secolo, Taranto 1993.
Poseidonia e i Lucani = M. Cipriani, F. Longo (a cura di),
I Greci in occidente. Poseidonia e i Lucani (Catalogo
della Mostra, Paestum), Napoli 1996.
SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it