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Argento e ambra: il corredo della tomba 60 di Serra del Cedro

Siris 11,2010-2011, 5-14 Argento e ambra: il corredo della tomba 60 di Serra Del Cedro di Angelo Bottini Gli oggetti sono sempre stati trasportati, venduti, scambiati, rubati, recuperati e perduti. Le persone hanno sempre fatto regali. Quello che conta è come racconti la loro storia. Edmund de Waal, Un’eredità di avorio e ambra L’altura di Serra del Cedro, culminante a 858 m s.l.m., sorge ad un paio di chilometri in linea d’aria a Nord Est della cittadina medioevale di Tricarico, in posizione all’incirca simmetrica rispetto alla più nota collina della Civita, di cui condivide le vicende per quanto riguarda la fase lucana, allorchè venne dotata di una cinta muraria, peraltro studiata finora solo in modo preliminare 2. Lungo le pendici meridionali è stata individuata ed a più riprese indagata un’area adibita ad abitato con i relativi nuclei di necropoli, databili fra VI e IV sec.; come avviene in tutto questo settore della mesogaia della Basilicata, nelle tombe più antiche gli inumati sono in posizione rannicchiata, supina in quelle più recenti 3. A giudicare dalla ceramica mattpainted in condizioni di essere valutata, in particolare quella del corredo n. 115, attualmente esposto nel Palazzo ducale della stessa Tricarico, sembra trattarsi del più meridionale fra gli insediamenti “nord-lucani” 4, di cui condivide la caratteristica collocazione d’altura, proprio al confine coi siti peuceti del Materano, divenuto in seguito lucano, come si dirà ancora in seguito. Come appena accennato, il ricupero del corredo della tomba n. 60, cui apparteneva la placca in questione, fu in buona parte compromesso da una catena di elementi e contingenze negative, legate alle caratteristiche stesse della sepoltura, alla stagione avanzata, al momento specifico del rinvenimento ed alla mancata percezione delle condizioni di rischio. Di fatto, la tomba venne individuata mercoledì 19 ottobre 1994; l’esplorazione – a causa della grande profondità – si protrasse fino alla mattina di venerdì 21, quando iniziò a tornare in luce il corredo ceramico, ma proprio allora una forte pioggia, destinata a durare anche l’indomani, come risulta anche dall’archivio storico dei dati meteoreologici, costringeva ad 1 Sono estremamente grato ad Anna Maria Patrone, direttrice del Museo Arch. Naz. di Matera D. Ridola, non solo per avermi chiesto a suo tempo di studiare la placca ed il suo contesto, ma per la preziosa collaborazione nella raccolta della documentazione e nella realizzazione delle immagini dei manufatti qui pubblicate, eseguite con la consueta professionalità da M. Calia e N. Armento (fotografie) e N. Montemurro (disegni), tutti della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata. 2 R. De Gennaro, I circuiti murari della Lucania antica (IV-III sec. a.C.), Paestum 2005, p. 82, n. 53. 3 Eredità della Magna Grecia, Atti Taranto XXXV 1995, p. 630; Problemi della chora coloniale dall’Occidente al Mar Nero, Atti Taranto XL 2000, p. 961. I primi rinvenimenti di tombe di IV sec. con ceramica a figure rosse dalla contrada San Felpo, “sotto” la Serra, furono ed. da C. Valente in «NSc» 1949, p. 126 sgg. M. Di Lieto, nella tesi di dottorato (discussa a Perugia nel 2007, relatore M. Osanna, coordinatore M. Torelli) Un popolo senza nome, Identità e cultura nel territorio nord-lucano, p. 213 sgg. avanza l’ipotesi che il costume funerario del rannicchiamento rimanga in uso per almeno una parte del IV secolo, non diversamente da quanto avviene anche in altri siti della stessa cultura, come Baragiano e Oppido Lucano, affiancandosi a quello supino: una circostanza che, alla luce di quanto si dirà più avanti, merita un’attenta verifica. 4 Coerentemente con la forte segmentazione “cantonale” caratteristica della produzione vascolare di queste comunità, le ceramiche in questione si distinguono per forme ed apparati decorativi da quelle dei siti vicini. Nell’autunno del 1994, durante una campagna di scavi organizzata dalla direzione del Museo D. Ridola di Matera, da cui dipendeva – come oggi ancora – la tutela del territorio di Tricarico, nell’area di Serra del Cedro tornava in luce una magnifica placca figurata in ambra: un manufatto esposto e commentato in più occasioni, ma sempre da solo, quasi si trattasse di un oggetto isolato; una scelta determinata tanto dalla sua eccezionalità che dalle sfortunatissime circostanze del suo rinvenimento 1. Nelle pagine che seguono si proverà a colmare tale lacuna, proponendone l’inquadramento per quanto riguarda sia il corredo di appartenenza che il contesto culturale in cui s’inserisce: un aspetto che riserva qualche motivo di inatteso interesse. SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Angelo Bottini 6 interrompere il lavoro, impedendo di portare a compimento lo scavo. Si decise quindi di rimandare l’intervento al lunedì successivo: una scelta certamente obbligata, ma che si doveva rivelare del tutto improvvida, aggravata anche dalla rinuncia ad eseguire una documentazione fotografica dello stato di fatto. Nonostante il richiesto – ed ottenuto – coinvolgimento dei Carabinieri del posto, e dopo un fallito sopralluogo tentato sabato 22, la mattina di lunedì 24, alla ripresa, si doveva così prendere atto dell’avvenuta manomissione sia della tomba 60 che della vicina 61, con la perdita, per la prima, di tutto il corredo vascolare (e non solo): lo confermano anche gli atti di ufficio relativi alle successive vicende giudiziarie, peraltro senza esito. Quanto detto risulta descritto nel giornale di scavo, redatto con molta precisione da A. M. Caravelli, che seguiva i lavori in loco; grazie ad esso, siamo dunque in grado di ricostruire la situazione, anche per quanto riguarda i manufatti perduti. La tomba, al pari della vicina 61, era del tipo a fossa semplice, di grandi dimensioni (cm 240 x 130) e profonda ben 340, come si conviene alla sepoltura di un personaggio di rilievo, con una serie di grosse pietre sistemate sul fondo, quantomeno lungo i due lati lunghi, indicati in modo non proprio preciso come Est ed Ovest. Il corpo, conservato solo nella parte inferiore, era in posizione supina, con la testa a Sud-Ovest, e doveva occupare solo la parte occidentale della fossa, mentre quella opposta, alla sua destra, era stata riservata ad accogliere il corredo, in adesione ad un rituale osservato di recente anche nel nucleo a quanto sembra coevo rinvenuto in val d’Agri, a Tempa Cagliozzo 5. Questo il contenuto, comparabile nella sua ampiezza a quello deposto nell’importante complesso di sepolture lucane tornato in luce in passato nei pressi del Basento, nella non lontana località di Seroto, in comune di Albano di Lucania 6; a partire da Nord: una pelike ed un cratere a campana a figure rosse, un kottabos in piombo, “un’olletta acroma con due anse a nastro”, probabilmente in ceramica d’uso, una hydria 5 A. Russo, M. A. Vicari Sottosanti, Tra Enotri e Lucani: le necropoli del V e IV secolo a.C. in località Tempa Cagliozzo di San Martino d’Agri (PZ), «Fasti online» 2009; cfr. la nota 25. 6 I corredi, in parte esposti al Museo Arch. Naz. di Potenza, a figure rosse, affiancata dalla piccola oinochoe in pasta di vetro (sopravvissuta), una epichysis a vernice nera, una lekane a figure rosse ed un “piatto” a vernice nera. È facile osservare che i due recipienti prevalentemente femminili, lekane e hydria, erano prossimi al torso, mentre ai piedi si trovava il cratere, recipiente divenuto ormai cerimoniale e non più simbolo di condizione maschile in quanto legato alla pratica simposiaca, la cui valenza ormai solo simbolica è provata dalla riduzione del complesso funzionale in ferro a modelli in scala ridotta in piombo (il kottabos appena menzionato, rubato, oltre che gli spiedi ed alari al contrario conservatisi, probabilmente rinvenuti accanto). Per una contingenza risultata provvidenziale – il fatto che la tomba si fosse completamente riempita d’acqua – i depredatori non poterono manomettere la deposizione; non solo si salvò così l’intera parure, ma sappiamo così che la placca in ambra era posta “in corrispondenza della parte sinistra del bacino”, sotto due fibule in ferro, due fibule in argento ad arco doppio e doppia curva si trovavano invece sul petto, quattro ad arco semplice all’altezza del collo. Sia la asserita corrispondenza con la tomba 61 (certamente maschile, data la presenza dei resti di una spada, di cuspidi arma lunga e di un morso di cavallo, in ferro) che il tipo stesso di corredo induce a considerare certo che la deposizione fosse femminile; per quanto riguarda infine la sua collocazione cronologica, una datazione ad un momento successivo agli inizi del IV sec., suggerita dalla posizione supina del corpo, trova piena conferma nella presenza di un intero set di vasi a figure rosse, inclusa una forma come la lekane, praticamente sconosciuta alla produzione più antica dei ceramisti sia di Metaponto che di Taranto; un indizio in più è probabilmente rappresentato dalla notata presenza di sovraddipinture in bianco sulla pelike. Quanto ne è sopravvissuto è descritto e commentato in appendice. Il rilievo della defunta, già indicato dalle dimensioni della tomba e dall’ampiezza del corredo nel suo insieme, è confermato dall’abbigliamento, composto sono tuttora inediti; ved. al momento: E. Pica, in «StEtr» LII 1984, p. 464, scheda 17; A. Bottini, I Lucani, in Magna Grecia. Lo sviluppo politico, sociale ed economico, Milano 1987, pp. 259-280, in part. figg. 352 e 354. SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Argento e ambra: il corredo Emiliano dellaCruccas tomba 60 di Serra Del Cedro 7 secondo un costume – come vedremo non esclusivamente femminile – che possiamo tentare di ricostruire soprattutto sulla base di una piccola serie di contesti di varia provenienza e cronologia, di cui si riasumono gli elementi salienti. Iniziamo da due sepolture femminili di Braida di Vaglio. Nella prima (106), databile nel primo quarto del V sec. e relativa ad una donna anziana, in corrispondenza del petto sono state ritrovate due belle protomi figurate in ambra (un Sileno ed una Menade), affiancate da altrettante fibule in argento; doveva essere inoltre presente una cintura, non conservatasi, da cui pendevano due dischi in avorio ed una serie di vaghi in ambra, rinvenuti fra le gambe. La seconda (102), chiusa nei decenni finali del secolo precedente, conteneva com’è noto il corpo di una bambina dotata di una parure di straordinaria ricchezza, concentrata sulla parte superiore del corpo; ne facevano parte circa 300 elementi in ambra, in parte sommariamente figurati, una placca della stessa materia di grandi dimensioni raffigurante una Sfinge, collegate ad una quarantina di fibule in argento; anche in questo caso era presente un piccolo disco d’avorio 7. In entrambe, una serie di vaghi in oro rinvenuti alla nuca fa pensare ad una acconciatura complessa, forse alla presenza di una rete o di un velo, completata da una coppia di trecce laterali fermate da un un filo, sempre d’oro, ripiegato e poi avvolto in più spire fino a formare una grande anello. Sulla fronte della bambina era stato infine posto, caso finora unico in tutto il mondo italico, un magnifico diadema aureo di tipo rodio. In ambito daunio, si deve aggiungere in primo luogo la coppia di tombe di loc. Pisciolo di Melfi, maschile (43) e femminile (48), della fine del V sec. 8; in entrambe, sono state rinvenute numerose fi- bule (e spilloni) in materiale prezioso e di foggia complessa in corrispondenza della parte superiore del corpo, cui si accompagnano le ambre, impiegate come pendenti di collana o accessori delle vesti; sia l’uomo che la donna indossavano inoltre con ogni probabilità una cintura, da cui nel primo caso pendevano solo tre dischi in avorio, nel secondo una coppia dei medesimi dischi ed una grande placca in ambra, raffigurante un guerriero alato, forse Perseo, come suggerito nel catalogo di una recente esposizione napoletana 9. Ad esse si possono aggiungere due tombe femminili da Lavello, collocabili verso il 370 a.C.: la ben nota n. 955 10, pertinente ad una donna adulta, in cui la disposizione delle fibule e delle ambre è esattamente la stessa della corrispondente melfese appena citata, e la n. 952, dotata di fermatrecce in oro, orecchini in pasta vitrea, collanine con vaghi in ambra, pasta vitrea ed osso. Secondo il costume appena descritto, alle numerose fibule in argento e ferro sul petto corrispondevano tre protomi in ambra deposte sotto la vita, quindi con ogni probabilità pendenti dalla cintura (fig. 1). Ancora, la tomba 534 di Banzi, maschile, databile verso la fine del V sec. Alle fibule di pregio che, nelle parole di R. Ciriello «trattenevano i lembi della stoffa entro cui era stato avvolto il defunto» 11 si unisce un disco di avorio in corrispondenza della parte inferiore del corpo e, fatto del tutto inusuale, una corona aurea in lamina stretta avvolta a spirale 12. Per la Peucezia, a Rutigliano, la coeva tomba maschile 9, affiancata dalla corrispondente femminile (10), in un ulteriore esempio di sepolture “gemelle”; il corredo include due placche d’ambra di notevoli dimensioni (la c.d. Danaide ed il “guerriero”), insieme con un certo numero di fibule. Il complesso è tuttora sostanzialmente inedito 13; 7 A. Bottini, E. Setari, La necropoli italica di Braida di Vaglio in Basilicata. Materiali dallo scavo del 1994 («MonAnt» serie misc. VII), Roma 2003, pp. 32 sgg. e 63 sgg. 8 Pianta della prima in D. Adamesteanu, La Basilicata antica, storia e monumenti, Cava dei Tirreni 1974, pieghevole dopo p. 168; pianta della seconda ed elenco delle ambre di entrambe in A. Bottini, Le ambre intagliate a figura umana del Museo archeologico naz. di Melfi, «Archaelogia Warszawa» XLI 1990, pp. 57-66. 9 Ambre, p. 233. 10 Due donne dell’Italia antica - Corredi da Spina e Forentum (Catalogo della Mostra, Comacchio), Limena 1993, ricostruzione della disposizione a p. 67. 11 R. Ciriello, Banzi, l’esplorazione della necropoli di Piano Carbone. Campagna di scavo 1993-1995, in M. Osanna, B. Serio (a cura di), Progetti di archeologia in Basilicata: Banzi e Tito, «Siris» Suppl. II 2008, pp. 27-32 (da cui la cit.); Ead., in S. Settis, M.C. Parra (a cura di), Magna Grecia. Archeologia di un sapere (Catalogo della Mostra, Catanzaro), Milano 2005, pp. 433-438. 12 È probabile che sia quindi da interpretare come corona anche il “torques” aureo della T. A, venuta in luce nel 1934: G. Pesce, «NSc» 1936, pp. 428-439, 437 in part. n. 118. 13 Ambre, p. 245; Nessuna indicazione utile nella relazione di F.G. Lo Porto in Locri Epizefirii, Atti Taranto XVI 1976, p. 742 sgg., ma alla tav. CXV sono riprodotti la grande fibula discussa qui di seguito, su cui è infilata una protome silenica in ambra, e la c.d. Danaide. SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 8 Angelo Bottini Fig. 1. - Ricostruzione della deposizione della tomba 955 di Lavello (disegno di R. Pontolillo). soccorre tuttavia quanto scritto in un dépliant distribuito nel 2002, in occasione dell’esposizione a Rutigliano stessa di alcuni corredi di particolare rilievo, laddove si osserva che la deposizione appariva «contornata da fibule in argento decorate da vaghi in ambra» 14. Il riferimento è ad un gruppo di esemplari grandi dimensioni, fra cui almeno uno, molto elaborato, con arco a doppia curva, prossimo dunque alle due del nostro corredo, ma con arco triplo e staffa desinente in un’apofisi in avorio. Proviamo a riassumere. Siamo, a quanto sembra, in presenza di quelle che possiamo considerare varianti di un tipo di costume al momento documentato almeno dai decenni finali del VI a quelli iniziali del IV sec., non legato ad una particolare appartenenza etnico-culturale, a conferma di quanto sappiamo sulle strette relazioni, quantomeno di scambio, intessutesi in età arcaica fra nomina o almeno fra le relative élites, si direbbe dotato di uno specifico valore cerimoniale, che prevede l’ostentazione di fibule in materiale prezioso appartenenti a tipi particolari e come tali di una certa rarità, e di ambre di altrettanto pregio, in parte usate come ornamenti delle vesti, in parte – specie se di grandi dimensioni – appese alla cintura, talora insieme con quelle esotiche sezioni di zanna di elefante cui non è stata finora riservata un’attenzione adeguata 15. Egualmente palese appare la sua adozione da parte di personaggi di rango assai elevato di entrambi i generi; un dato quest’ultimo che merita una qualche attenzione particolare: se infatti sul versante femminile non appare difficile ricollegare questo genere di abbigliamento ad una tradizione di matrice protostorica particolarmente ben documentata proprio in Basilicata 16, su quello maschile si manifesta un de- 14 Ornarsi d’ambra. Tombe principesche da Rutigliano (le virgolette sono nel testo); è qui riprodotto il guerriero; inoltre, nella foto d’insieme del corredo vascolare si distinguono almeno sei piccoli recipienti in pasta vitrea. 15 Oltre che nelle tombe qui citate, dischi o anelli comunque ottenuti da una sezione di zanna di elefante ricorrono anche in alcune sepolture di Ordona (R. Iker, Ordona VII/1. Les tombes dauniennes. Les tombes du VIIIe au début du IV siècle avant notre ère, Bruxelles-Rome 1984, T. 32, p. 119 sgg., fig. 66, n. 19; T. 33, p. 134 sgg., fig. 67; T. 56, p. 219 sgg., fig. 126; si segnala per particolare rilevanza la prima, in cui il manufatto fa parte del corredo, databile alla fine del primo terzo del VI sec., mentre nelle altre due si tratta di quanto rimane di deposizioni rimosse per far posto, secondo un tipico costume daunio, ad altre successive) e in almeno una di Minervino Murge (F.G. Lo Porto, Corredi di tombe daunie da Minervino Murge, «MonAnt» serie misc. VI-2, Roma 1999, T. OC.10, p. 20, tav. II, d, nn. 62-65: da- tazione alla prima metà del VI sec.). I più antichi esemplari finora noti di dischi trasformati in grandi anelli sembrano essere quelli etruschi di Marsiliana d’Albegna, dei decenni centrali del secolo precedente; cfr. M. Celuzza, C. Cianferoni (a cura di), Signori della Maremma. Elites etrusche fra Populonia e Vulci (Catalogo della Mostra, Firenze), Firenze 2010: Circolo degli avori, p. 163 sgg., n. 4.26 (non ill.); immagine in Etrusker in der Toskana. Etruskische Gräber der Frühzeit (Catalogo della Mostra, Malmöhus), Firenze 1987, p. 163, nn. 223-225. Devo alla cortesia di C. Cianferoni la notizia che uno o due altri esemplari, finora inediti, appartengono al corredo (maschile!) del circolo di Perazzeta. 16 M. Pacciarelli, Identità di genere e corredi femminili nelle grandi necropoli della prima età del Ferro dell’Italia meridionale, in Le ore e i giorni delle donne. Dalla quotidianità alla sacralità tra VIII e VII secolo a.C. (Catalogo della Mostra, Verucchio), Verucchio 2007, pp. 117-124. SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Argento e ambra: il corredo Emiliano dellaCruccas tomba 60 di Serra Del Cedro 9 ciso mutamento rispetto ad un passato nemmeno troppo remoto, in cui l’esibizione del privilegio era demandata esclusivamente all’armamento ed alla bardatura equeste da un lato, al vasellame ed allo strumentario da banchetto dall’altro, senza alcuna adesione ai canoni della habrosyne “ionica” di matrice orientale 17. Sia che si tratti di un qualcosa che si aggiunge, come mostrano alcuni degli stessi corredi appena citati, ovvero si sostituisce all’esibizione delle armi (peraltro assenti anche altri contesti di altissimo livello, quale la celebre tomba di Monte Pruno 18, priva però di monili) appare difficile sottrarsi all’impressione che si esprima così – verrebbe da dire alla maniera etrusca 19 – una più complessa articolazione del ruolo maschile, forse l’emergere di funzioni più propriamente “politiche”: un argomento su cui sarà il caso di ritornare, tenendo conto del fatto che non si tratta di una tendenza univoca e nemmeno prevalente, dal momento che l’ostentazione della panoplia difensiva è ad es. il tratto più tipico dei combattenti lucani della prima generazione insediata a Poseidonia e raggiunge un suo nuovo picco nei decenni finali del IV secolo tanto in area apula che fra Lucani e Brezii. Entrando nei particolari antiquari, appare evidente che la sistemazione delle due tombe maschili si presentava simile, col corpo avvolto in un tessuto, chiuso lungo il bordo da una serie di fibule. Più che ad un sudario o ad una coperta come quella distesa sulla defunta raffigurata sulla parete di una tomba pestana 20, anche sulla scorta di quanto mostra la tomba tarquiniese “del morto” 21, proprio l’uso di fermagli fa pensare alla presenza di un mantello, chiuso utilizzando gli stessi monili che lo impreziosivano; nello stesso modo è stato peraltro ricostruita anche una più antica deposizione femminile di Pontecagnano 22. Nel campo dei realia, è possibile chiamare a confronto gli straordinari rinvenimenti di Verrucchio, in particolare la tomba 89/1972, che ci ha restituito due mantelli, antecedenti della toga, ed un terzo “piegati, ornati da fibule e sistemati con cura sull’urna”; dalla minuta analisi cui sono stati sottoposti emerge infatti la presenza di una serie di impunture, l’ampiezza di alcune delle quali «fa ritenere che sia stato adoperato un filo di notevole spessore o addirittura un filo metallico, il che rimanda all’uso di applicazioni in materiale prezioso di un certo peso» 23, quali appunto, nei casi apuli, le grandi fibule o le placche in ambra. Senza voler presumere troppo da analogie con realtà abbastanza lontane, è del resto certo il rapporto fra funzione sacrale ed uso di un mantello con cappuccio presso i Veneti 24. Se ci volgiamo ancora una volta alle immagini, questa volta femminili, troviamo un mantello molto ampio indosso alle danzatrici dell’omonima tomba di Ruvo come a molte donne italiche della ceramografia a figure rosse 25, uno di taglia più ridotta dalla “sacerdotessa” su quadriga ritratta in una tomba di Arpi 26. Potrebbe essere stata impiegata per fermare sulle spalle la coppia di fibule rinvenuta in corrispondenza del collo della donna di cui ci stiamo occupando, al pari di quelle che adornavano il corpo della defunta della tomba 9 di Roccagloriosa 27; una posizione analoga, ma per esemplari in bronzo, si può peraltro osservare anche in altre tombe a deposizione supina di Serra del Cedro 28. La collocazione nella zona del bacino della placca in ambra da cui prende origine questo stesso studio ci conferma invece il suo impiego quale pen- 17 A. Bottini, Il mondo greco arcaico. Moda, costume società, in Moda, costume e bellezza nell’Italia antica (Catalogo della Mostra, Firenze), Livorno 2003, pp. 31-39. 18 R.R. Holloway, N. Nabers, The Princerly Burial of Roscigno (Monte Pruno), Salerno, «RAArtLouvain» XV 1982, pp. 97163. 19 Per l’uso maschile di collane e bracciali vistosi ved. F. Gilotta, Il sarcofago “del magistrato ceretano” nel museo gregoriano etrusco, «RIA» XII 1989, pp. 69-90, in particolare p. 75. 20 T. 2 sequestro GdF: A. Pontrandolfo, A. Rouveret, Le tombe dipinte di Paestum, Modena 1992, p. 402. 21 S. Steingräber, Catalogo ragionato della pittura etrusca, Milano 1984, n. 89. 22 Ved. il disegno in Ambre, p. 220. 23 P. von Eles (a cura di), Guerriero e sacerdote. Autorità e comunità nell’Età del Ferro a Verucchio. La tomba del Trono, Firenze 2002, rispettivamente i contributi di L. Bentini, D. Neri, Il rituale funerario e la struttura della tomba 89/1972 Lippi, pp. 13-21 e di A. Stauffer, Abiti cerimoniali, pp. 196-219. 24 E. Di Filippo Balestrazzi, Spazi pubblici e prassi rituali nel Veneto tra IV e I secolo a.C. Vecchi orizzonti e nuovi assetti disegnano continuità e discontinuità nel Veneto tra IV e I secolo a.C., in A. Ancillotti, A. Calderini (a cura di), La città italica (Atti del II convegno internazionale sugli antichi Umbri, Gubbio 2003), Perugia 2009, pp. 123-156. 25 G. Gadaleta, La Tomba delle Danzatrici di Ruvo di Puglia, Napoli 2002, p. 128 sgg. 26 Italia omnium terrarum alumna, Milano 1988, fig. 604. 27 Poseidonia e i Lucani, p. 106, n. 42. 28 È il caso ad es. della T. 133, rinvenuta nel 1999. SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 10 Angelo Bottini dente da una cintura, come detto secondo un costume “emergente” riscontrato in vari altri casi; la proposta, le cui motivazioni sono esposte nella scheda relativa, di riconoscervi una figura di (dea) kourotrophos, può peraltro contribuire a chiarire il significato di un’altra ambra, facente parte del corredo “principesco” rinvenuto nel 1896 a Sala Consilina ed ora a Parigi, raffigurante una donna-ape che stringe a sé un neonato 29. Come ha messo in evidenza a più riprese da Marco Giuman, esiste infatti uno stretto rapporto fra tale funzione – specie da parte di Artemis – e miele, con un particolare riferimento al difficile momento dello svezzamento 30: l’ape diviene così una sorta di figura allegorica delle cure materne. Torniamo infine al complesso nel suo insieme. Si è già rilevato come vada certamente datato ad un momento successivo agli inizi del IV sec. ed appartenga al novero delle sepolture lucane; ciò implica dunque che il costume cerimoniale appena descritto sia stato adottato anche da parte di una compagine in cui non era finora così chiaramente documentato; d’altra parte, la placca in ambra appartiene ad una classe di origine tardo-arcaica e suggerisce quindi una possibile forma di tesaurizzazione, non priva di precedenti – sebbene abbastanza remoti – in alcuni contesti enotri di Chiaromonte: una circostanza in astratto facilmente postulabile, ma che esige una spiegazione specifica, alla luce della sostanziale discontinuità fra le precedenti comunità “nord-lucane” ed i Lucani scaturiti dall’etnogenesi. In altre parole, la defunta sepolta nella tomba 60, a quanto sembra legata da una stretta affinità ad un guerriero lucano, detiene almeno un manufatto di particolare pregio che è legittimo immaginare in possesso di una donna vissuta nel secolo precedente e viene sepolta indossando un sistema di vesti ed accessori altrettanto antico, diffuso presso diverse comunità fra Basilicata e Puglia. 29 A. Mastrocinque, L’ambra e l’Eridano (Studi sulla letteratura e sul commercio dell’ambra in età preromana), Este 1991, fig. 44. 30 M. Giuman, Il dolce miele delle orsette. I krateriskoi di Artemis Brauronia, una rilettura, in S. Fortunelli, C. Masseria (a cura di), Ceramica attica da santuari della Grecia, della Ionia e dell’Italia (Atti del convegno internazionale. Perugia, 14-17 marzo 2007), Venosa 2009, pp. 103-118; e, più in generale, Melissa. Archeologia delle api e del miele nella Grecia antica, Roma 2008, p. 75 sgg. 31 A. Bottini et alii, Forentum, II. L’acropoli in età classica, Venosa 1991, p. 44 sgg. Senza voler proporre una “microstoria” tanto suggestiva quanto priva di conferme, ma ricordando il caso delle due defunte della tomba 607 di Lavello, l’una supina, l’altra rannicchiata 31, non sembra a questo punto impossibile quantomeno ipotizzare che la nostra ignota matrona fosse legata (per nascita?) ad un gruppo gentilizio di retaggio “nord-lucano” e che la sua sepoltura in un abbigliamento di tradizione più antica o con almeno un oggetto prezioso che potremmo forse definire come facente parte dei “gioielli di famiglia” ne sia il segno, così come la sistemazione in posizione supina del suo corpo ne prova l’integrazione (per matrimonio?) nella nuova comunità lucana. CATALOGO DEL CORREDO Pasta vitrea 1. Oinochoe trilobata (169679), alt. massima cm 10,8; ricomposta, lacunosa, priva della base (fig. 2). Corpo conico, collo stretto e modanato, becco molto pronunciato. Ansa a nastro sormontante, costolata. Decorazione su fondo blu: sul corpo pseudobaccellature campite a piumaggio in blu, giallo-ocra e bianco; filettatura in giallo sul labbro, in bianco sul collo. Tecnica di lavorazione su nucleo: ad es. G. Bandinelli (a cura di), Vitra an- Fig. 2. - Oinochoe in pasta vitrea. SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Argento e ambra: il corredo Emiliano dellaCruccas tomba 60 di Serra Del Cedro tiqua. Mille anni di lavorazione del vetro (Catalogo della Mostra, Colle Val d’Elsa), Siena 2003, p. 23; B. Basile et alii (a cura di), Glassway. Il vetro: fragilità attraverso il tempo (Catalogo della Mostra, Ragusa), Palermo 2004, p. 21. Una decorazione analoga ricorre su manufatti di altra forma, datati ad epoca più recente; ved. ad es. l’aryballos dal Mediterraneo orientale Berlino 30219: Antike Gläser (Catalogo della Mostra, Berlino), Berlin 1976, p. 14, n. 13, e gli alabastra in J.W. Hayes, Roman and Pre-Roman Glass in the Royal Ontario Museum, A Catalogue, Toronto 1975, p. 121 s., nn. 23/25, tutti con datazione al IV-III sec.; una decorazione dello stesso tipo ricorre anche su esemplari con corpo a forma di bottiglia: D. B. Harden, Catalogue of Greek and Roman Glass in the British Museum, I, London 1981, p. 119, tav. XVIII, n. 313 sgg.;        hj" ", «   h   h» 7, 1993, pp. 207-214, 209 s. in part., fig. 4 ( 870). Ferro Due fibule ad arco semplice: 2. 169670, lungh. massima cm 4,8; si conservano l’arco e la staffa, con l’attacco di un’apofisi sormontante (fig. 3). 3. 169671, lungh. massima cm 4,3; si conserva solo l’arco, cui aderisce un tratto dell’ardiglione (?). 11 Fig. 3. - Fibula in ferro. Piombo 4. Gruppo di cinque spiedi miniaturistici integri e frammenti di almeno altri due (169678), lungh. massima cm 26,2. Verga a sezione quadrangolare, ritorta all’estremità, sotto l’anello di sospensione, in cui è inserito un breve tratto del sostegno (fig. 4, sopra). 5. Coppia di alari miniaturistici, in frammenti (169678), lungh. massima del frammento maggiore cm 26. Lamina a nastro alle cui estremità è inchiodato un piede, formato da una lamina analoga ripiegata ad U rovesciata (fig. 4). Fig. 4. - Gruppo di spiedi in piombo e alari. SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 12 Fig. 5. - Peso in piombo. Angelo Bottini Fig. 6. - Quattro fibule in argento. 6. Peso piramidale (169681), alt. cm 2,2; integro. Un grosso foro passante nella parte superiore (fig. 5). Argento Quattro fibule ad arco semplice con ardiglione breve, inserito in una staffa laminata a profilo quadrangonale, dalla cui parte superiore si protende una lunga apofisi in verga a sezione progressivamente minore; nella parte mediana l’arco appare leggermente ingrossato, a sezione piano-convessa: 7. 169675, lungh. massima cm 7,3; integra. 8. 169676, lungh. massima cm 7,3; integra. 9. 169677, lungh. massima cm 7,3; integra. 10. 169674, lungh. massima cm 4,7; staffa deformata, priva dell’apofisi (fig. 6). Appartengono al tipo X, A della classificazione proposta in Guzzo 1993, p. 26 sgg., documentata in area “nord-lucana” e peuceta e soprattutto lucana, come provano gli esemplari del tutto simili dalla già ricordata tomba 9 di Roccagloriosa (ibid., p. 159, 5-11; M. Gualtieri, Rituale funerario di una aristocrazia lucana (fine V-inizio III sec. a.C.), in Italici in Magna Grecia: lingua, insediamenti, strutture, Ve- nosa 1990, pp. 161-214, figg. 11 e 13, tav. LXI, 2 e 3; Poseidonia e i Lucani, p. 108, n. 42.37). Due fibule ad arco doppio e doppia curva, con sferette applicate all’unione delle due curve ed agli estremi degli archi, dove fissano la fascia decorativa che colma lo spazio fra i due archi; staffa media a profilo pentagonale con lunghissima apofisi della stessa forma e dimensione dell’ardiglione, desinente con un piccolo disco applicato. Le sferette sono precedute da un anello perlinato; la fascia è suddivisa – nella parte più in vista – in quattro file parallele di trattini obliqui con opposta inclinazione, ad imitazione di fili che tendono ad unirsi e confondersi nella sezione che scende verso la molla, dopo la sferetta posteriore. Sulla faccia superiore della staffa è inciso un motivo ripetuto due volte, formato da denti di lupo contrapposti; in mezzo una doppia fila di trattini obliqui con opposta inclinazione; sulla faccia posteriore un motivo a fiore di loto stilizzato: 11. 169672, lungh. cm 12,8; alt. cm 3,1; integra (fig. 7). 12. 169673, lungh. cm 10,3; alt. cm 3; apofisi spezzata (fig. 8). Fig. 7. - Fibula in argento. SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Argento e ambra: il corredo Emiliano dellaCruccas tomba 60 di Serra Del Cedro Fig. 8. - Fibula in argento. Appartengono, in via molto generale, al tipo VI della medesima classificazione Guzzo 1993, senza tuttavia rientrare in nessuna delle varianti note (fig. 9); al pari della c sono a doppio arco pieno, ma recano una fascia applicata fra i due come negli esemplari aurei del noto complesso lucano da Roccanova a Taranto (indicati come variante d, apparentemente più recenti), dove tuttavia gli archi sono foliati: S. Bianco et alii (a cura di), 13 Greci, Enotri e Lucani nella Basilicata meridionale (Catalogo della Mostra, Policoro), Napoli 1996, p. 201. Le medesime caratteristiche delle nostre ritornano anche in altre fibule, in primo luogo dalla stessa Serra del Cedro (all’interno di corredi inediti), dal ben noto deposito votivo di Timmari (F.G. Lo Porto, Timmari. L’abitato, le necropoli, la stipe votiva, Roma 1991, p. 176, tav. 82, n. 269) e dal sito di Cancellara (inedita, conservata al museo prov. di Potenza); semplificate, in almeno altre quattro appartenenti alla tomba 20 di Paestum, datata al 380/370 a.C. (A. Pontrandolfo, Su alcune tombe pestane: proposta di una lettura, «MEFRA» LXXXIX, 1 1977, pp. 3198; 56 sgg. in particolare nn. 48-51; fig. 30, 1-2); esemplari affini sono inoltre presenti in altri contesti di carattere votivo della Basilicata: in argento da Rossano di Vaglio (L. Vacca, Oggetti di ornamento personale, in I. Battiloro, M. Osanna (a cura di), Brateís datas. Pratiche rituali, votivi e strumenti del culto dai santuari della Lucania antica (Atti delle giornate di studio sui Santuari Lucani. Matera, 19-20 febbraio 2010), Venosa 2011, pp. 233-243, fig. 5e), in argento e bronzo dal santuario di Fig. 9. - Disegni delle fibule di cui alle figg 7-8 (N. Montemurro). SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 14 Angelo Bottini Fig. 10. - Placca in ambra. Colla di Rivello (P. Bottini (a cura di), Greci e indigeni tra Noce e Lao (Catalogo della Mostra), Lavello 1988, p. 133, n. 32: in argento, “arco costolato n insellatura centrale; staffa verticale con decorazione incisa (fiore di loto)”; n. 35: in argento, arco “a losanga con costolature e decorazione a cordoni di perline”; n. 39: in bronzo, “arco costolato, con insellatura e apofisi al centro e alle estremità; staffa verticale”). La decorazione incisa sulla staffa ritorna su fibule di altro tipo, ad es. da Ascoli Satriano e da Cuma (Guzzo 1993, pp. 155 e 159, esemplari VIII, 7-8; X, 1-2; M. Mazzei, Contributo per la tipologia delle fibule nella Puglia settentrionale e alcune considerazioni sulla Daunia meridionale dalla fine del V al primo quarto del IV sec. a.C., «Taras» I, 2 1981, pp. 189-200; tav. LV); per i motivi fitomorfi ved. anche altre fibule di provenienza apula: Guzzo 1993, p. 149, esemplari VI, 9-11. Ambra 13. Placca configurata (169680), altezza massima cm 13, integra (fig. 10). Sulla faccia anteriore è stata intagliata figura femminile stante, ottenuta a rilievo poco profondo, panneggiata con chitone ed himation; sorregge sul fianco, cingendone con la destra la spalla, un personaggio maschile di aspetto giovanile ma di taglia non di molto minore, probabilmente nudo, con la testa reclinata ma non poggiata direttamente. Sulla faccia posteriore, lavorata in modo più sommario, il braccio si confonde con un elemento longitudinale in cui corre un foro di sospensione, ed il corpo maschile si presenta avvolto in lembo del mantello che si apre da quello femminile, interrotto da una larga fascia piatta. La già notata mancanza di ali (Ambre, pp. 232-237) ed il fatto che il personaggio maschile sia nudo ed appoggi la mano sinistra sul seno di colei che lo sostiene rende poco probabile che si tratti di Kephalos rapito da Eos, come pro- posto sulla scorta della grande diffusione del mito, di chiara valenza salvifica (A. Russo, Magie d’ambra. Amuleti e gioielli della Basilicata antica, Catalogo della Mostra, Potenza, Lavello 2005, p. 126 sgg.); viene da pensare piuttosto ad una figura di kourotrophos, anche se non si può affatto escludere che sulla resa abbia pesato il modello costituito appunto dalle scene di ratto “femminili”. Di fatto, il gesto compiuto dal figlio contraddistingue una serie di raffigurazioni di tipo materno di varia provenienza (Th. Hadzisteliou - Price, Kourotrophos. Cults and Rappresentations of the Greek Nursing Deities, Leiden 1978, p. 29, 3, fig. 16; si può aggiungere che il gesto è compiuto dallo stesso Zeus bambino in braccio ad Amaltea su una lastra Campana: G. Sauron, Il volto segreto di Roma. L’arte privata tra la Repubblica e l’Impero, Milano 2009, p. 67, n. 42). Se così è, fra i soggetti di questi particolarissimi intagli, accanto ai personaggi alati allusivi alla “salvezza”, possiamo quindi annoverare le figure femminili colte nella loro precipua funzione di garanti della continuità della specie; un aspetto della cui centralità è testimonianza, in Occidente, la precocissima comparsa di raffigurazioni di tipo votivo, in rapporto a divinità diverse, con esemplari di grande notorietà, quali la terracotta tarantina conservata a Trieste – probabilmente l’attestazione più antica – e quella dall’Heraion di Foce Sele (rispettivamente: M. Borda, Arte dedalica a Taranto, Pordenone 1979, p. 46, fig. 11; P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion alla foce del Sele, I, Roma 1951, tav. IV. Di grande interesse l’introduzione della connotazione materna nei noti tipi votivi tarantini incentrati sulla figura maschile recumbente: C. Iacobone, Le stipi votive di Taranto (scavi 1885 - 1934), Roma 1988, tav. 69 sgg.). Sotto il profilo stilistico, le considerazioni riassuntive dell’ampio dibattito precedente svolta da A. Russo appaiono del tutto condivisibili, e valgono a collocare la piccola scultura nel ristretto novero delle realizzazioni più significative del pieno V secolo, senza la necessità di ulteriori commenti. Abbreviazioni bibliografiche Ambre = M.L. Nava, A. Salerno (a cura di), Ambre. Trasparenze dell’antico (Catalogo della Mostra, Napoli), Napoli 2007. Guzzo 1993 = P.G. Guzzo, Oreficerie della Magna Grecia - Ornamenti in oro e argento dall’Italia Meridionale fra l’VIII ed il I secolo, Taranto 1993. Poseidonia e i Lucani = M. Cipriani, F. Longo (a cura di), I Greci in occidente. Poseidonia e i Lucani (Catalogo della Mostra, Paestum), Napoli 1996. SIRIS 11,2010-2011. Studi e ricerche della scuola di specializzazione in Archeologia di Matera - ISBN 88-7228-670-8 - © 2012 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it