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Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale nell'impero romano tra IV e VI sec. d. C.

Riassunto: Tra il IV e il VI secolo d.C., con la comminazione delle pene vengono perseguiti, consapevolmente, non soltanto obiettivi di difesa dell'ordine sociale e di prevenzione generale ma, a differenza di quanto sin qui ritenuto dalla communis opinio, anche una funzione di emenda, da intendersi in una gamma molteplice di significati che va da quello, minimale, presente già nella riflessione dei giuristi severiani, di effetto positivo della condanna per il reo a quello, ben più pregnante, riscontrabile nella legislazione imperiale, di correzione e ravvedimento del delinquente. Alla luce di questo più ampio disegno complessivo di politica criminale si può comprendere meglio, allora, la ratio dei provvedimenti di indulgentia che gli imperatori adottarono sempre più di frequente, dando luogo ad una vera e propria consuetudine, in occasione della Santa Pasqua: anche attraverso di essi, infatti, il legislatore mira, per l'appunto, all'emenda del reo, in piena adesione ai principi della religione cattolica. Il perseguimento di tale finalità fa sì che gli atti di clemenza imperiale di quest'epoca non siano espressione di mero arbitrio politico del sovrano bensì ma giustificano e fondano l'indulgenza del princeps coerentemente con l'assetto valoriale su cui si fonda il sistema penale dell'epoca. Abstract: Between the 4th and 6th centuries AD, with the punishment of the crimes, had consciously pursued not only objectives of defense of the social order and of general prevention but, unlike what is considered by the communis opinio, also a function of amend, to be understood in a wide range of meanings ranging from the minimal, already present in the reflection of the Severian jurists to that much more significative, found in imperial legislation, as correction and repentance of the delinquent. In the light of this broader drawing of criminal policy, we can better understand the ratio of the indulgence measures that emperors adopted more and more frequently, to make it a habitual custom, during Holy Easter: even through them, in fact, the legislator aims at the delinquent amend, in full compliance with the principles of Catholic religion. The pursuit of this purpose means that the acts of imperial clemency of this era are not an expression of the mere political arbitrariness of the sovereign but they justify and base the indulgence

INDULGENTIA PRINCIPIS ED EMENDA: ASPETTI DELLA POLITICA CRIMINALE NELL’IMPERO ROMANO TRA IV E VI SEC. D.C. Fecha de recepción: 15 junio 2017 / Fecha de aceptación: 2 julio 2017 Francesco Fasolino Università degli Studi di Salerno ffasolino@unisa.it Riassunto: Tra il IV e il VI secolo d.C., con la comminazione delle pene vengono perseguiti, consapevolmente, non soltanto obiettivi di difesa dell’ordine sociale e di prevenzione generale ma, a differenza di quanto sin qui ritenuto dalla communis opinio, anche una funzione di emenda, da intendersi in una gamma molteplice di significati che va da quello, minimale, presente già nella riflessione dei giuristi severiani, di effetto positivo della condanna per il reo a quello, ben più pregnante, riscontrabile nella legislazione imperiale, di correzione e ravvedimento del delinquente. Alla luce di questo più ampio disegno complessivo di politica criminale si può comprendere meglio, allora, la ratio dei provvedimenti di indulgentia che gli imperatori adottarono sempre più di frequente, dando luogo ad una vera e propria consuetudine, in occasione della Santa Pasqua: anche attraverso di essi, infatti, il legislatore mira, per l’appunto, all’emenda del reo, in piena adesione ai principi della religione cattolica. Il perseguimento di tale finalità fa sì che gli atti di clemenza imperiale di quest’epoca non siano espressione di mero arbitrio politico del sovrano bensì ma giustificano e fondano l’indulgenza del princeps coerentemente con l’assetto valoriale su cui si fonda il sistema penale dell’epoca. Parole chiave: Funzione della pena; emenda; indulgentia principis; amnistia Abstract: Between the 4th and 6th centuries AD, with the punishment of the crimes, had consciously pursued not only objectives of defense of the social order and of general prevention but, unlike what is considered by the communis opinio, also a function of amend, to be understood in a wide range of meanings ranging from the minimal, already present in the reflection of the Severian jurists to that much more significative, found in imperial legislation, as correction and repentance of the delinquent. In the light of this broader drawing of criminal policy, we can better understand the ratio of the indulgence measures that emperors adopted more and more frequently, to make it a habitual custom, during Holy Easter: even through them, in fact, the legislator aims at the delinquent amend, in full compliance with the principles of Catholic religion. The pursuit of this purpose means that the acts of imperial clemency of this era are not an expression of the mere political arbitrariness of the sovereign but they justify and base the indulgence 180 Francesco Fasolino of the emperors in a coherent manner with the value system on which the criminal system is founded in that historical period. Keywords: Punishment function; amend, indulgentia principis; amnesty 1. IL PLURIFUNZIONALISMO DELLA PENA NEL TARDO ANTICO: LO SCOPO DELL’EMENDA QUALE PRINCIPIO DEL SISTEMA DI REPRESSIONE CRIMINALE Come ho già avuto modo di affermare1, la legislazione criminale dell’età tardo antica offre un quadro estremamente articolato in cui coesistono tutte le principali funzioni solitamente attribuite alla pena, benché si possa rilevare una maggiore incidenza di quella cd. preventiva/deterrente2 che si accompagna, tuttavia, alla sempre più crescente diffusione e concettualizzazione di quella correttiva, rivolta all’emenda del colpevole. Quest’ultima, originatasi nell’ambito del dibattito culturale che ebbe luogo a Roma tra il I sec. a.C. e il II sec. d.C., sull’onda del recepimento di teorie filosofiche ellenistiche, e in specie del pensiero platonico3, ebbe invero vasta diffusione nella legislazione del tardo antico, a partire 1 Mi sia consentito, in argomento, il rinvio a FASOLINO, F., Pena, amnistia, emenda: una prospettiva storico-giuridica, Napoli 2016, in part. pp. 87 ss. 2 Con specifico riferimento alla legislazione giustinianea, ed in specie alle Novelle, ciò è già stato sottolineato da SITZIA, F., Aspetti della legislazione criminale nelle Novelle di Giustiniano: il problema della giustificazione della pena, in Novella Constitutio. Studies in honour of Nicolaas van der Wal, Groningen 1990, pp. 211 ss. L’A. ha sostenuto che le varie funzioni della pena sono tutte coesistenti nella normazione di Giustiniano, anche se prevale quella di prevenzione generale, sulla quale si insiste specialmente nelle Novelle degli anni 535-53θ, nelle quali l’imperatore ritiene che alla riorganizzazione dell’amministrazione imperiale sia maggiormente funzionale una concezione della pena intesa come ammonimento per la collettività a non commettere delitti, allo scopo di mantenere l’ordine all'interno dell'impero. In senso analogo, BONINI, R., «Alcune considerazioni sulla funzione della pena nelle Novelle giustinianee», in DILIBERTO, O. (cur.), Il problema della pena criminale tra filosofia greca e diritto romano. Atti del deuxième colloque de philosophie pénale (Cagliari, 20-22 aprile 1989), Napoli 1993, pp. 397 ss. Cfr., altresì, BUONAMICI, F., «Il concetto della pena nel diritto giustinianeo», in Studi Pessina II, Napoli 1899, pp. 185 ss., il quale ritiene che la funzione principale della pena, nel periodo in esame, sia stata quella intimidatoria, come sarebbe dimostrato, in particolar modo, dalle Novelle 8.8; 17. 5; 25.11; 88.1. 3 Sulle posizioni che caratterizzarono tale dibattito si veda DILIBERTO, O., «La pena tra filosofia e diritto nelle Noctes Atticae di Aulo Gellio», in DILIBERTO, O. (cur.), Il problema della pena criminale tra filosofia greca e diritto romano..., cit. pp. 121 ss. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... soprattutto dall’età teodosiana, per effetto, in particolare, dell’influenza della religione cattolica e delle dottrine dei Padri della Chiesa4. Tra il IV e il VI secolo d.C. trova, pertanto, ampio riscontro nell’ordinamento giuridico romano la concezione medico-curativa della pena; la condanna a morte viene sempre più ad essere considerata eseguibile soltanto nei confronti dei criminali ritenuti definitivamente irrecuperabili; “indirizzi platonici e dottrine cristiane appaiono, dunque, nel periodo convergenti in merito alla funzione della pena indirizzata, nella prospettiva cristiana, alla redenzione del peccatore, conseguibile mediante la sua volontaria rieducazione (metanoia)”5. I diversi scopi assegnati alla sanzione penael in quest’epoca sono però molto spesso strettamente intrecciati, il che rende impossibile il ricorso a schemi dogmatici predefiniti, anche in considerazione del fatto che, come è noto, il concetto di funzione della pena non è qualcosa di assoluto e immutabile bensì di variabile e storicamente relativo6. 4 Per approfondimenti si rinvia a FASOLINO, F., Pena, amnistia, emenda..., cit. pp. 145 ss. Riporto le parole di BARONE ADESI, G., «Religio e polifunzionalità della pena tardo antica», in CALORE, A., SCIUMÈ, A. (curr.), La funzione della pena in prospettiva storica e attuale. Atti del convegno della Società Italiana di Storia del Diritto (Brescia 16-17 ottobre 2009), Milano, 2011, pp. 33 ss., il quale, a p. 90, così sintetizza le conclusioni del suo ampio ed interessante saggio. 6 Ne dà atto, in particolar modo, SITZIA, F., Aspetti della legislazione criminale nelle Novelle di Giustiniano... cit. pp. 219 s. Per comune opinione si ritiene che l’unico tratto distintivo generale sia il carattere retributivo-afflittivo della pena stessa, in quanto mancherebbe nel diritto romano un sistema premiale; tuttavia, contra, si veda LURASCHI, G., Diritto premiale e sistema penale romano, in Atti del VII Simposio di studi di diritto e procedura penali, Milano 1983, pp. 53 ss, cit. pp. 53 ss., il quale sostiene che nell’ordinamento giuridico romano la ricompensa ed il premio costituivano due strumenti che, al pari della punizione, fungevano da correttivo sociale. Sul complesso tema della funzione della pena nell’esperienza giuridica romana si veda, con l’indicazione della principale bibliografia e delle fonti, DE ROBERTIS, F. M., «La funzione della pena nel diritto romano», in Studi in onore di Siro Solazzi, Napoli 1948, pp. 169 ss., ora in ID., Scritti varii di diritto romano, III, Diritto penale, Bari 1987, pp. 5 ss., che qui si cita; dello stesso autore si vedano pure “La variazione della pena nel diritto romano” e “La variazione della pena ‘pro modo admissi’”, ora raccolti in Scritti varii di diritto romano, III, Diritto penale..., cit. pp. 403 ss. e pp. 525 ss.. Cfr., altresì, BRASIELLO, U., «s.v. Pena», in Novissimo digesto italiano XII (1965) pp. 808 ss.; DILIBERTO, O. (cur.), Il problema della pena criminale tra filosofia greca e diritto romano..., cit. passim; SANTALUCIA, B., «Pena criminale», in Enciclopedia del Diritto XXXII (1982), pp. 734 ss., ora in ID., Studi di diritto penale romano, Roma 1994, pp. 233 ss., che qui si cita; CALORE, A., «La ‘pena’ e la ‘storia’», in Diritto@storia 3 (2004), pp. 1 ss.; ZABŁOCKI, J., «La pena del taglione nel diritto romano», in CASCIONE, C. & MASI DORIA, C., Fides Humanitas Ius. Studii in onore di Luigi Labruna, VIII, Napoli 2007, pp. 5991 ss.; CANTARELLA, E., «La ‘ulciscendi libido’», in Index 37 5 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 181 182 Francesco Fasolino Si può cogliere, tuttavia, la tendenziale prevalenza della funzione intimidatrice e deterrente della pena, ispirata a ragioni, di cui peraltro la cancelleria imperiale mostra di avere piena consapevolezza, volte a garantire l’ordine e la difesa sociale: solo per citare qualche esempio, basti ricordare Nov. 17.5, del 535, ove l’imperatore sancisce una estrema severità nell’irrogazione di alcune pene “ut paucorum supplicio reliquos omnes serves”, nonché Nov. 30.11, emanata nell’anno seguente, laddove la pena è prevista “ut paucorum hominum poena reliqui omnes continuo emendentur”, precisando, altresì, che “non enim inhumanitas, sed maxima potius humanitas est, si paucorum castigatione multi servantur”. Con l’affermarsi della concezione generalpreventiva della pena, l’ideale classico di giustizia retributiva, che esige la proporzione tra crimine e sanzione, diventa pressoché residuale; quella che si richiede, infatti, è una maggiore severità nei confronti del reo, finalizzata a cercare di scoraggiarlo dal commettere delitti, terrorizzandolo con la previsione di pene esemplari,: in tal modo, evidentemente, l’interesse del singolo, in un certo qual senso, viene ad essere sacrificato per il bene di tutta la comunità. Nel periodo del tardo antico, dunque, la comminazione della pena ebbe sempre più marcatamente uno scopo dissuasivo e monitorio, mirante a trattenere chiunque dal compiere il male mediante la paura suscitata dalla previsione di pene sempre più aspre e severe, secondo i dettami di una vera e propria “pedagogia del terrore”7. (2009), pp. 132 ss.; WACKE, A., «Le finalità della sanzione penale nelle fonti romane», in Index 37 (2009), pp. 137 ss.; GUTIÉRREZ MASSON, L., «Control de las mentes, función paradigmática de la pena y función simbólica del derecho en la experiencia jurídica romana», in AARC. 19 (2013), pp. 616 ss. Sul punto, inoltre, cfr. SANTALUCIA, B., Metu coercendos esse homines putaverunt. Osservazioni sulla funzione della pena nell’età del Principato», in CALORE, A. & SCIUMÈ, A. (curr.), La funzione della pena in prospettiva storica ed attuale..., cit. pp. 15 ss. in CALORE, A. & SCIUMÈ, A. (curr.), La funzione della pena in prospettiva storica ed attuale..., cit. dove, con specifico riferimento all’esperienza greca e romana, si vedano anche i saggi, rispettivamente, di CANTARELLA, E., I greci e la funzione della pena, pp. 1 ss., e di BARONE ADESI,G., «Religio e polifunzionalità della pena tardo antica...», cit. pp. 33 ss. 7 L’espressione è di CASAVOLA, F., «Cultura e scienza giuridica nel secondo secolo d.C.: il senso del passato», ora in Giuristi adrianei, Napoli 1980, p. 2ι. L’A., tuttavia, la utilizza in relazione VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... Accanto a tale orientamento, e strettamente ad esso correlato, sussistette, tuttavia, un altro, che via via andò sempre più diffondendosi, volto a rimarcare la funzione emendatrice della sanzione penale: l’espiazione della pena come strumento di rieducazione del reo compare, ad esempio, in Nov. 77, del 535, e in Nov. 141, del 559, entrambe in tema di luxuria contra naturam e bestemmia, nelle quali l’imperatore dichiara che la pena è finalizzata al recupero del reo, in piena consonanza con il principio evangelico secondo cui Dio non vuole la morte bensì la redenzione del peccatore, di frequente paragonato ad un infermo bisognoso di cure adeguate. L’ampia e profonda riflessione filosofica e culturale sulle caratteristiche e gli scopi della pena che, come si è accennato, aveva permeato gli ambienti culturali romani, quantomeno a partire dagli inizi del I sec. a.C., si era tradotta, già in epoca severiana, in regole giuridiche chiaramente ispirate al principio dell’emenda8, intesa come conseguenza positiva dell’espiazione della pena per il reo, ed aveva preparato il terreno per la concettualizzazione e il consolidamento di tale funzione nella legislazione imperiale del tardo antico, per effetto dell’influsso diretto e preponderante della dottrina cattolica, la quale, ovviamente, accentuò il carattere della correzione come strumento di recupero morale finalizzato alla salvezza (dell’anima) del colpevole. Come due facce della stessa medaglia, dunque, la funzione emendatrice e quella deterrente si compenetrano nel medesimo scopo finale che entrambe le all’età arcaica nella quale, a suo parere, sarebbe stata prevalente la concezione della pena monitoria, meramente esemplare, mentre la società evoluta del II secolo d. C., invece, avrebbe teorizzato una sanzione proporzionata al delitto commesso, nell’ambito di una concezione retributiva e non intimidatoria. Al riguardo, sembra da condividere, invece, l’opinione di DE ROBERTIS, F., La funzione della pena, cit., p. 24, secondo cui: “…il diritto classico, lungi dal cristallizzarsi in una concezione univoca della funzione della pena e, pur generalmente informandosi ai principi della retribuzione, attuò con certa larghezza anche quelli della prevenzione, ammettendo finanche il concorso simultaneo delle due funzioni in una determinazione di stessa pena”. Per un’efficace dimostrazione del persistere, nella Roma repubblicana e nel primo Principato, della concezione della esemplarità della pena in funzione deterrente, cfr., tuttavia, da ultimo, SANTALUCIA, B., Metu coercendos esse homines putaverunt..., cit. pp. 24 ss. 8 Cfr., al riguardo, LOVATO, A., «Legittimazione del reo all’accusa e funzione emendatrice della pena», in SDHI 55 (1989), pp. 423 ss., nonché FASOLINO, F., Pena, amnistia, emenda..., cit. 124 ss. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 183 184 Francesco Fasolino giustifica: determinare, mediante la pena, rispettivamente espiata o minacciata, il futuro comportamento del colpevole e la condotta a venire di tutti i consociati. È proprio nella logica del riscatto e della redenzione del reo che si comprende allora come, accanto a misure tanto severe e repressive convivono, nella legislazione giustinianea, frequenti richiami all’humanitas: si veda, ad esempio, Nov. 134.13, del 556, che dispone di attenuare la gravità sia delle sanzioni corporali sia di quelle patrimoniali, in considerazione della infirmitas humani generis9, da intendersi, a mio modo di vedere, come fragilità morale che merita indulgenza e perdono10. Analizzando il testo della legge più nel dettaglio, l’imperatore dichiara che, poiché è necessario considerare la debolezza del genere umano, sono vietate le pene corporali da cui derivino menomazioni, come tagliare entrambe le mani o i piedi o infliggere punizioni dello stesso genere che comportino la rottura delle articolazioni, dal momento che ciò, precisa il legislatore, è più grave del taglio di entrambe le mani. Si comanda inoltre, se è stato commesso un reato per cui le leggi prescrivono la pena di morte, che i colpevoli subiscano le pene secondo il tenore delle leggi; se invece il crimine non è così grave da prevedere l’uccisione del reo, si ordina che sia castigato in altro modo o sia mandato in esilio; ma se la qualità del crimine esige la mutilazione di un arto, Giustiniano stabilisce che sia tagliata solo una mano. Si tratta di una legge estremamente innovativa, che, data la sua importanza, viene riportata per esteso nei Basilici (B. 6.19.13). Alcuni accenni a questa Novella si trovano in PATLAGEAN, D., «Byzance et le blason penal du corps», in Du châtiment dans la cité. Supplices corporals et peine de mort dans le monde antique, Roma 1984, p. 408. La legge qui potrebbe alludere ad esempio alla disposizione contenuta in Nov. 42.1.2 del 53θ, che stabilisce l’abscissio manus a carico di colui che trascrive i libri eretici. In generale, la pena della truncatio è prevista nella legislazione novellare in varie forme: si parla di amputazione della mano in Nov. 17.8. pr. nei confronti degli exactores inadempienti nella compilazione delle ricevute; Nov. 30.8.1 sancisce l’amputazione delle mani, al plurale, per chi espone le tavole con i nomi dei debitori; in Nov. 42.1.2 prevede l’abscissio manus per i trascrittori di opere del patriarca monofisita Severo; Nov. 134.13 prevede il taglio di una mano (ma solo una) per i delitti contro i quali tale pena risulti adeguata; viene comminata la castrazione da Nov. 142.1 a chi facit eunuchos; l’asportazione di un membro o parte del corpo è prevista da Nov. 13.θ. pr. in generale e senza riferimento a specifici reati, ed è citata da Nov. 128.20, in cui si stabilisce che i magistrati possono nominare dei vicari, i quali li sostituiscono in ogni attività tranne che nell’inflizione di pene mutilanti o della pena capitale; essa è, infine, prevista da Nov. 154.1 per chi contrae nozze incestuose: cfr. VAN der WAL, N., Manuale Novellarum Justiniani..., cit. p. 49. Sulle pene mutilanti e sull’interpretazione dell’espressione poena gladii data dai tardi giuristi bizantini si veda GORIA, F., «Ricerche su impedimento da adulterio e obbligo di ripudio da Giustiniano a Leone VI», in SDHI 39 (1973), p. 354, nt. 53. 10 Sulla Novella in questione cfr. MANFREDINI, A. D., «Giustiniano e la mutilazione delle mani e dei piedi», in SDHI 61 ( 1995), pp. 463 ss., il quale ipotizza che quella a cui allude l’imperatore in Nov. 134 sia una debolezza non spirituale ma fisica, per cui le pene mutilatorie vanno evitate in quanto causano inabilità al lavoro, con evidenti ripercussioni sull’assistenza pubblica ed ecclesiastica. L’A., per avallare la propria tesi secondo cui la disposizione normativa in esame avrebbe vietato l’amputazione degli arti inferiori, osserva, in primo luogo, che, secondo il tenore letterale della legge, i delinquenti o sono condannati a morte o a un’altra sanzione quale l’esilio o, 9 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... La prospettiva indicata dal legislatore è quella di moderare le pene privilegiando lo scopo dell’emenda: ai magistrati viene così vietato di infliggere pene corporali a coloro che sono condannati per reati che non prevedono la pena capitale, dovendo invece, in tali ipotesi, comminare delle pene correttive oppure l’esilio11. In ogni caso, le pene corporali vengono mitigate mediante l’introduzione del divieto di abscissio di entrambe le mani o di entrambi i piedi e di frattura delle articolazioni12; quanto alle pene patrimoniali, si sancisce che la sanzione della confisca dei beni debba essere ristretta ai soli casi in cui il reo non abbia discendenti, ascendenti fino al terzo grado o coniuge. Per ciò che riguarda, invece, le pene pecuniarie, la publicatio bonorum era già stata limitata da Giustiniano in Nov. 17.12, del 535, sulla base della considerazione che la punizione spetta solo all’autore del reato e non ai suoi eredi incolpevoli13: si ribadisce, così, il fondamentale principio di personalità della pena che era già stato in precedenza oggetto di riflessione da parte della giurisprudenza severiana, la quale giunse ad affermare che l’espiazione della pena produceva sul condannato conseguenze se si tratta di reati che esigono la mutilazione di un arto, deve essere loro tagliata una sola mano: tale affermazione dimostrerebbe, quindi, che era vietato il taglio anche di un solo piede. Del resto, anche nelle leggi precedenti a Nov. 134 non compaiono ipotesi di mutilazione degli arti inferiori e, per quanto riguarda le mani, si parla sempre di amputazione di una sola di esse. A conferma di quanto detto si vedano le Novellae 17.8. pr. e 42.1.2 in cui si parla di amputazione di una sola mano. Va tuttavia ricordato che esiste nella compilazione giustinianea un caso di amputazione del piede: si tratta della pena prevista contro il servo fuggitivo da una costituzione di Costantino riportata, inalterata, in CI. θ.1. Su Nov. 134 si veda anche l’ampia disamina di BARONE ADESI, G., «Religio e polifunzionalità della pena tardo antica...», cit. pp. 74 s. e pp. 84 ss. 11 In tal senso, come osserva condivisibilmente al riguardo BARONE ADESI, G., «Religio e polifunzionalità della pena tardo antica...», cit. p. 74 e nt. 117, in Nov. 134.13 appare emblematico l’uso della voce verbale σωφρονίζεσ α che esprime, per l’appunto, l’idea di moderazione nella punizione, indicando così le modalità del castigo, che deve essere diretto alla correzione e non all’annientamento del colpevole. 12 MANFREDINI, D. A., op. loc. ult. cit. 13 Authenticum: Ut autem non solum corporales poenae, sed etiam pecuniariae mediocriores fiant, sancimus eos qui in criminibus accusantur, in quibus leges mortem aut proscriptionem definiunt, si convincantur aut condemnentur, eorum substantias non fieri lucrum iudicibus aut eorum officiis, sed neque secundum veteres leges fisco eas applicari: sed si quidem habeant descendentes, ipsos habere substantiam, si vero non sint descendentes, sed ascendentes usque ad tertium gradum, eos habere. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 185 186 Francesco Fasolino positive, benché in un’accezione dei termini emendatio/correctio scevra di qualunque implicazione religiosa. Nonostante la direttrice segnata dall’evidente influenza dei principi della religione cattolica, la legislazione giustinianea non è, tuttavia, esente da contraddizioni: i frequenti richiami all’humanitas e alla moderazione nel comminare le pene14 convivono con il mantenimento di sanzioni ispirate ad una finalità prettamente retributiva15, quando non addirittura a primitive forme di vendetta: basti ricordare, in proposito, quanto stabilito da Nov. 142.1, del 558, a proposito del reato di castrazione: infatti, coloro che rendono eunuchi i propri schiavi dovranno subire la medesima mutilazione16. Parimenti, la propensione per l’indulgenza e il perdono17, indotta dalla consapevolezza della naturale inclinazione dell’uomo a peccare, coesiste con la previsione della pena di morte. In Nov. 77, ad esempio, il supplizio capitale trova, infatti, la sua giustificazione nell’idea che una reazione blanda dell’imperatore provocherebbe il diffondersi dei comportamenti empi e criminosi, scatenando così, Giustiniano ribadisce in più occasioni che egli non vuole l’inasprimento delle pene, anzi dichiara che niente gli è tanto gradito quanto l’humanitas: cfr. CI. 1.3.55(57)pr. Sul concetto di humanitas in Giustiniano, si veda il recente saggio di GAROFALO, L., «L’humanitas tra diritto romano e totalitarismo hitleriano», in TSDP., 2015. AMARELLI, F., Vetustas-innovatio. Un’antitesi apparente nella legislazione di Costantino, Napoli 1978, p. 128, rimarca la difficoltà di conciliare i frequenti richiami nelle costituzioni imperiali all’humanitas (o a termini analoghi quali clementia, caritas, lenitas, serenitas, moderatio, mansuetudo) con la inaudita severità e ferocia delle pene previste per alcuni crimini. 15 Cfr., a tale riguardo, CENTOLA, D. A., «Poena reciproci», in DE GIOVANNI, L., (a cura di), Società e diritto nella tarda antichità..., cit. pp. 105 ss. 16 Si ricordi, altresì, che all’interno del Corpus iuris civilis persiste l’antichissimo e feroce castigo, anche se non più applicato, del culleum: Inst. IV.18.6. Sulla poena cullei, cfr. LUCREZI, F., Senatuscomsultum Macedonianum..., cit. pp. 173 ss. 17 Consapevolezza che traspare chiaramente, ad esempio, in Nov. 133.5.1, del 539, in cui l’imperatore riconosce che multa sunt humana, et nullus poterit naturam sic retinere ut non peccet nihil: hoc enim proprium est solum dei: “nessuno potrà controllare la propria natura al punto da non commettere alcun peccato, giacché solo Dio lo può fare”. Dalla presa di coscienza della debolezza umana discende anche l’affermazione di Giustiniano, in Nov. 129. pr., dell’anno 551, secondo cui non esiste delitto, anche grave, che non possa meritare la clemenza imperiale. Anche se l’imperatore sottolinea con forza in Nov. 1ι.5 che non vi può essere perdono per coloro che si sono macchiati di reati gravissimi quali l’omicidio, l’adulterio e il ratto: questi delitti, in quanto non solo contrari alla legge, ma soprattutto nefandi ed esecrabili dal punto di vista morale, vanno perseguiti con la massima severità, benché in relazione ad essi le sanzioni previste debbano applicarsi humaniter (Nov. 24.2 del 535). 14 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... come nel racconto biblico di Sodoma e Gomorra, l’ira di Dio e terribili sventure sulla collettività: un’ulteriore finalità della pena, quella “catartica” o purificatrice, va così ad aggiungersi alle altre già viste, contribuendo con ciò a rendere ancora più complesso il quadro generale della materia. Nell’età che va dal III secolo d.C. all’età giustinianea. in definitiva, gli orientamenti sulla funzione della pena, riscontrabili tanto nelle elaborazioni giurisprudenziali quanto nella normativa imperiale, si concretizzarono in statuizioni volte a perseguire, consapevolmente, non soltanto obiettivi di difesa dell’ordine sociale e di prevenzione generale, ma anche, in maniera ben più frequente ed incisiva di quanto non possa sembrare ad un esame superficiale delle fonti, una funzione di emenda in prospettiva futura, da intendersi in una gamma di significati che va da quello, minimale, presente già nella riflessione dei giuristi severiani, quale effetto positivo della condanna per il reo a quello, progressivamente più denso e pregnante, riscontrabile nella legislazione imperiale, di correzione, riscatto e purificazione del colpevole (e talvolta anche dell’intera comunità), in vista della salvezza dell’anima. È in questo più ampio disegno complessivo di politica criminale che si inseriscono le manifestazioni di indulgentia dell’imperatore: nella normazione imperiale da Costantino in poi, come vedremo, diventano, infatti, sempre più numerosi e frequenti i provvedimenti di clemenza concessi dal sovrano in occasione della Santa Pasqua. Il legislatore, invero, attraverso l’amnistia pasquale mira al perseguimento non soltanto di finalità politiche ma, in primo luogo, in piena consonanza con la centralità della ricorrenza liturgica pasquale nella dottrina cattolica, egli persegue l’emenda del reo e, dunque, un suo radicale rinnovamento sul piano etico; attribuendo una particolare rilevanza alla suddetta festività, l’imperatore, sostanzialmente, trasfonde in termini normativi il significato escatologico della Redenzione che trova il suo fulcro nella Pasqua cristiana. Il periodo di preparazione alla Pasqua, infatti, come è noto, rappresenta per i fedeli della religione cattolica un VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 187 188 Francesco Fasolino tempo di grazia, un’occasione di rinnovamento interiore e di conversione concesso affinché tutti possano degnamente partecipare alla festa per la Resurrezione del Cristo. E tuttavia l’indulgentia principis non si spiega esclusivamente per l’adesione ai valori e ai principi del cristianesimo. Essa, infatti, viene a rappresentare uno strumento attraverso il quale l’imperatore amministra la giustizia e più in generale, esercita la sua sovranità assoluta: è sul binomio auctoritas – obsequium che viene a fondarsi, in altri termini, una nuova concezione dell’attività amministrativa e di governo in età tardo antica. Proprio lo stretto e palese collegamento dei provvedimenti di amnistia con l’obiettivo finale dell’emenda, però, impedisce di considerare gli atti di clemenza imperiale di quest’epoca quali espressione di puro arbitrio del sovrano: il ravvedimento del reo, infatti, conferisce un senso intellegibile all’esercizio dell’indulgenza da parte del princeps, giustificandolo e fondandolo su un preciso principio di politica criminale e, in definitiva, non rendendolo incoerente con il complesso dei valori su cui poggia il sistema penale di quell’epoca. 2. I PROVVEDIMENTI IMPERIALI DI AMNISTIA PASQUALE TRA IV E VI SEC. D.C. Nella prospettiva appena delineata, non desta meraviglia che, per quanto di nostra conoscenza, il più risalente accenno alla funzione dell’emenda nella legislazione imperiale del tardo antico sia contenuto non in una disposizione incriminatrice bensì nella parte finale di una costituzione del 381 d. C., emanata dagli imperatori Graziano e Valentiniano II, ora raccolta in CTh. 9.38.6, con la quale, in occasione della solennità Pasquale, viene concessa un’amnistia18: Sulla natura, le caratteristiche e, in particolare, l’efficacia temporalmente circoscritta in una alla attitudine alla generalis observantia di questi provvedimenti graziosi, raccolti nel tit. 9, 38 del codice teodosiano, si vedano le interessanti considerazioni di BIANCHINI, M. G., Caso concreto e “lex generalis”. Per lo studio della tecnica e della politica normativa da Costantino a Teodosio II, Milano 1979, pp. 153 s. 18 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... CTh. 9,38,6 imppp. Gra(tian)anus, Val(entini)anus et Theod(osius) aaa. ad Antidium v. c. vic(ari)um. Paschalis laetitiae dies ne illa quidem gemere sinit ingenia, quae flagitia fecerunt; pateat insuetis horridus carcer aliquando luminibus. Alienum autem censemus ab indulgentia, qui nefariam criminum conscientiam in maiestatem superbe animaverit, qui parricidali furore raptus sanguine proprio manum tinxit, qui cuiusque praeterea hominis caede maculatus est, qui genialis tori ac lectuli fuit invasor alieni, qui verecundiae virginalis raptor extitit, qui venerandum cognati sanguinis vinculum profano caecus violavit incestu, vel qui noxiis quaesita graminibus et diris inmurmurata secretis mentis et corporis venena conposuit, aut qui sacri oris imitator et divinorum vultuum adpetitor venerabiles formas sacrilegio eruditus inpressit. His ergo tali quoque sub absolutione damnatis indultum nostrae serenitatis eo praecepti fine concludimus, ut remissionem veniae crimina nisi semel commissa non habeant, ne in eos liberalitatis augustae referatur humanitas, qui inpunitatem veteris admissi non emendationi potius quam consuetudini deputarunt. Recitata XII kal. Aug. Romae Syagro et Eucherio conss19. La disposizione imperiale, indirizzata al vicario Antidius, si inserise nel solco di una prassi sorta qualche anno prima, e precisamente nel 367, con una costituzione di Valentiniano I, ora raccolta in CTh. 9.38.320, con la quale viene concessa la prima amnistia di cui abbiamo notizia in occasione della solennità pasquale21. 19 Sulla costituzione in esame, cfr. WALDSTEIN, W., Untersuchungen zum römischen Begnadigungsrecht. Abolitio-Indulgentia-Venia, Innsbruck 1964, pp. 191 ss.; LOVATO, A., Il carcere nel diritto penale romano. Dai Severi a Giustiniano, Bari 1994, p. 203; DI MAURO TODINI, A., Indulgentia principis in età tardo antica. Materiali e prospettive di ricerca, Napoli 1996, pp. 196 ss.; RAIMONDI, M., «Gioia interiore e solennità pubblica: considerazioni sull’introduzione delle ‘amnistie pasuali’», in SORDI, M., Responsabilità perdono e vendetta nel mondo antico, Milano 1998, p. 273 e, più di recente, NAVARRA, M. L., La recidiva nell’esperienza giuridica romana, Torino 2015, pp. 172 ss. 20 Per un esame più approfondito di Cth. 9.38.3 si rinvia a CENTOLA, D. A., «Osservazioni sui provvedimenti imperiali di clemenza in occasione della Pasqua», in Koinonia 39 (2015), pp. 414 ss., nonché DI BERARDINO, A., Tempo cristiano e la prima amnistia pasquale di Valentiniano I, in BARCELLONA, R. & SARDELLA, T. (curr.), Munera amicitiae. Studi di storia e cultura sulla Tarda Antichità offerti a Salvatore Pricoco, Soveria Mannelli 2003, pp. 132 ss. 21 Intravede un diretto collegamento tra l’amnistia pasquale e il cd. beneficium paschale di cui si parla nel Vangelo a proposito della liberazione di Barabba, VENTRELLA MANCINI, C., Tempo divino e identità religiosa. Culto rappresentanza simboli dalle origini all’VIII secolo, Torino 2012, pp. 127 ss. Contra DI BERARDINO, A., Tempo cristiano..., cit. p. 135, il quale, giustamente, fa rilevare come appaiano significative le differenze tra le due fattispecie considerato che, nella seconda, la liberazione riguardava un unico prigioniero, su richiesta del popolo e a discrezione del governatore provinciale. Sul privilegio pasquale cfr. BOVE, L., «“Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù?” (Mt. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 189 190 Francesco Fasolino Seguendo lo stile delle precedenti, anche la costituzione del 381 enuncia sin dal suo inizio l’importanza della gioia della festività pasquale quale fondamento dell’atto di clemenza: in tale giorno di letizia, infatti, afferma l’imperatore, non è permesso lasciare in prigione coloro che hanno commesso dei crimini (flagitia), fatta eccezione per gli autori di alcuni atti scellerati: in particolare, sono esclusi dal beneficio dell’amnistia coloro che si sono resi colpevoli dei reati di lesa maestà, parricidio, omicidio, adulterio, rapimento di una vergine, incesto, avvelenamento e sacrilegio, trattandosi di crimina - concernenti la sfera politica oppure contro la persona o la morale sessuale e religiosa - considerati particolarmente gravi e, in quanto tali, non perdonabili22. L’imperatore precisa, tuttavia, che si poteva beneficiare dell’amnistia (remissio) una volta sola: la remissio non avrebbe potuto, infatti, essere concessa a coloro che, volendo usare una terminologia moderna, erano recidivi, e questo a prescindere se avessero commesso nuovamente lo stesso tipo di reato ovvero uno diverso da quello precedentemente compiuto23. Ai fini di questa indagine risulta estremamente interessante la motivazione addotta a fondamento dell’esclusione dei recidivi: l’indulgentia, come afferma 27,17). Il privilegium paschale», in AMARELLI, F. & LUCREZI, F., Il processo contro Gesù, Napoli 1999, pp. 197 ss., e MIGLIETTA, M., «Pilatus dimisit illis Barabbam», in BONVECCHIO, C., COCCOPLAMERIO, D. (curr.), Ponzio Pilato o del giusto giudice. Profili di simbolica politicogiuridica, Padova 1988, pp. 163 ss., ora in MIGLIETTA, M., I.N.R.I. Studi e riflessioni intorno al processo a Gesù, Napoli 2011, pp. 105 ss. 22 Per l’emersione del concetto di crimini imperdonabili in età tardo antica, cfr. CAIMS, W., ROBINSON, O. & WATSON, A., «Unpardonable Crimes: Fourth Century Attitudes», in Critical Studies in ancient law, comparative law and legal history, Oxford 2001, pp. 117 ss.; NAVARRA, M. L., La recidiva..., cit. p. 173 nt. 103, evidenzia il rapporto di corrispondenza, ma non di derivazione, tra la concezione di alcuni crimini come imperdonabili e quella relativa all’irremissibilità di alcuni delicta (qui veniam non capiunt) elaborata da Tertulliano in de pudic. 2.12.16; 3.3; 9.20; 12.8.11; 19.25. Rimarca come adulterio ed omicidio siano stati considerati reati non amnistiabili soltanto in epoca cristiana, VENTRELLA MANCINI, C., Tempo divino e identità religiosa..., cit. pp. 132 s. Per un’analisi delle singole fattispecie criminose escluse dall’amnistia cfr. DI BERARDINO, A., Tempo cristiano e la prima amnistia pasquale di Valentiniano I..., cit. pp. 138 ss. 23 Come ha opportunamente precisato NAVARRA, M. L., La recidiva nell’esperienza giuridica..., cit. p. 174 “l’esclusione non riguarda soltanto chi commetta nuovamente lo stesso crimine per il quale è già stato una volta condannato, ma tutti coloro che, già rei, siano ricaduti nel reato anche di specie diversa. Impiegando nozioni moderne si potrebbe affermare che l’amnistia non si applica in caso di recidiva generica”. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... testualmente la cancelleria, non si estende, invero, a coloro che hanno erronamente ritenuto di attibuire l’impunità per il delitto precedentemente commesso ad una sorta di consuetudine imperiale, anziché considerarla un’occasione per emendarsi (ut remissionem veniae crimina nisi semel commissa non habeant, ne in eos liberalitatis augustae referatur humanitas, qui inpunitatem veteris admissi non emendationi potius quam consuetudini deputarunt). In buona sostanza, il perdono viene concesso dall’imperatore sul presupposto che il reo si sia effettivamente ravveduto ovvero che possa essere indotto a redimersi proprio grazie alla manifestazione di benevolenza del princeps; pertanto, non potrà fruire nuovamente del beneficio dell’amnistia chi, invece, ricadendo nella commissione del crimine, abbia dimostrato, di fatto, di non essersi realmente utilmente giovato della clemenza imperiale già concessagli una volta. L’esclusione dei recidivi si giustifica, dunque, con la constatazione che in capo al reo non si è verificato l’auspicato percorso di purificazione interiore dal male: se, infatti, chi ha beneficiato dell’impunità torna poi nuovamente a delinquere, ciò vuol dire, evidentemente, che non si è riusciti realmente a correggerlo, che in lui non vi è stato alcun serio ravvedimento; pertanto, non si giustifica un’ulteriore atto di clemenza che, a questo punto, si tradurrebbe in una immotivata impunità24. Il perdono, dunque, non implica anche l’oblio: chi ha goduto dell’amnistia una prima volta, non rimarrà impunito qualora commetta di nuovo un crimine, anche se esso rientri teoricamente tra quelli perdonabili. Si tratta di una significativa novità che troviamo introdotta per la prima volta nei testi normativi concernenti i provvedimenti di clemenza imperiale e che LOVATO, A., Il carcere nel diritto penale romano..., cit. p. 203, al riguardo osserva che “il contenuto giuridico della costituzione ha il sapore della precettistica di stampo etico-religioso, che esalta, insieme alla ‘emenda’ del colpevole, la benevolenza imperiale, l’humanitas, punto di congiunzione fra ideale laico dell’impero e professione di fede cristiana”. 24 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 191 192 Francesco Fasolino sarà confermata dal legislatore anche nei successivi provvedimenti di indulgentia in materia criminale25. A proposito di CTh. 9.38.6 è stato acutamente osservato che “il contenuto giuridico della costituzione ha il sapore della precettistica di stampo eticoreligioso, che esalta, insieme alla ‘emenda’ del colpevole, la benevolenza imperiale, l’humanitas, punto di congiunzione fra ideale laico dell’impero e professione di fede cristiana”26. A fondamento dell’atto di clemenza vi sono, infatti, due presupposti tra di loro interconnessi: da un lato, l’humanitas liberalitatis augustae, e dunque una particolare visione del potere imperiale, influenzata certo dalla morale cristiana, ma chiaramente espressione di una risalente concezione paternalistica, peraltro già evidente sin dalla prima costituzione in tema di ‘amnistia pasquale’ (CTh. 9.38.3), dove l’atto di clemenza viene definito, appunto, come un ‘dono’ concesso dal sovrano27; d’altro canto, strettamente correlata all’humanitas imperiale, vi è, però, anche la funzione di emenda assegnata al perdono, che viene concesso dal sovrano con l’obiettivo del ravvedimento del reo: per questa ragione, infatti, viene ribadito che la concessione dell’indulgenza in occasione della Pasqua non rappresenta una Interessante, in tal senso, anche CTh. 1θ.5.41, emanata nel 40ι, che prevede l’amnistia per gli eretici qualora si ravvedano e si convertano alla fede cattolica, finanche se nel momento estremo di applicazione della pena ad essi comminata, essendo sufficiente che condannino espressamente il loro errore autobiasimandosi. In proposito cfr. DE GIOVANNI, L., Il Libro XVI del Codice Teodosiano..., cit. in part. pp. 88 ss. 26 Così LOVATO, A., Il carcere nel diritto penale..., cit. p. 203. Sull’humanitas come elemento significativo alla base della legislazione imperiale si veda, per un primo riferimento, con l’indicazione della precedente bibliografia, PALMA, A., Humanior interpretatio. ‘Humanitas’ nell’interpretazione e nella normazione da Adriano ai Severi, Torino 1992, pp. 1 ss.; ID., Benignior interpretatio. Benignitas nella giurisprudenza e nella normazione da Adriano ai Severi, Torino 1997, pp. 1 ss. Si veda anche CRIFÒ, G., A proposito di humanitas, in Ars boni et aequi. Festschrift für Wolfang Waldstein zum 65. Geburtstag, Stuttgart 1993, pp. 79 ss., il quale, con riguardo all’humanitas e ai termini collegati, opportunamente si chiede: “il ‘dilagare’ nelle fonti tardoimperiali rispecchia la novità cristiana e, in tal caso, entro quali limiti – o dipende invece da altri motivi?” (p. 82). Su alcuni aspetti riguardanti il concetto di humanitas nella giurisprudenza romana si veda GAROFALO, L. «L’humanitas nel pensiero della giurisprudenza classica», in ID., Fondamenti e svolgimenti della scienza giuridica. Saggi, Padova 2005, pp. 1 ss. Di recente, cfr. NAVARRA, M. L., La recidiva nell’esperienza giuridica romana..., cit. pp. 174 ss. 27 Cfr. CENTOLA, D. A., Osservazioni sui provvedimenti imperiali di clemenza in occasione della Pasqua..., cit. p. 421 s. 25 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... mera consuetudine, nè deve essere intesa come tale, bensì è espressamente finalizzata a riportare i colpevoli sulla retta via, evitando così che possano nuovamente delinquere. Il perdono imperiale assume, quindi, un duplice significato: etico, in quanto l’emendatio, presupponendo il pentimento, è diretta al bene dei destinatari dell’atto di clemenza, ma anche politico, perché la rinuncia a punire da parte del detentore del potere sovrano, essendo finalizzata anche ad evitare che si ripetano in futuro i reati già commessi, appare funzionale alla preservazione della coesione sociale28. In questa prospettiva, dunque, appare ben comprensibile la ratio dell’esclusione dal perdono per i recidivi: la loro ricaduta nel crimine– e, si badi bene, anche in un reato diverso da quello in precedenza commesso ed amnistiato – è la dimostrazione, de facto, che non vi è stata alcuna effettiva emenda e che perciò quel soggetto continua ad essere pericoloso per la società. In altri termini, la cancelleria imperiale ha inteso chiarire che la concessione dell’indulgenza non doveva comunque vanificare le misure repressive stabilite per i singoli reati e, al contempo, ha voluto precisare che la frequente adozione dei provvedimenti di indulgenza non doveva generare una mal fondata speranza di impunità: il perdono, infatti, deve rappresentare un’occasione di ravvedimento per coloro che ne sono beneficiari e non un incentivo a delinquere di nuovo. La finalità di emenda attribuita all’amnistia risulta confermata ed anzi viene ribadita con maggiore evidenza in una altra costituzione, promulgata nello stesso periodo di CTh. 9, 38, θ dall’imperatore Teodosio I e tramandataci al di fuori del Codice Teodosiano29: Per approfondimenti si rinvia a CRIFÒ, G., La Chiesa e l’impero..., cit. p. 196 e ID., Il lessico del perdono..., cit. 94 ss. Si veda anche, di recente, NAVARRA, M. L., La recidiva..., cit. 175 s. nonché CENTOLA, D. A., Osservazioni sui provvedimenti imperiali di clemenza in occasione della Pasqua..., cit. pp. 425 ss. 29 Sulla datazione della legge, da individuarsi tra il 380 e il 381 d. C., si veda BARZANÒ, A., Il cristianesimo nelle leggi di Roma imperiale, Milano 1996, p. 231. 28 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 193 194 Francesco Fasolino Const. Sirm. 7 imppp. Valentinianus, Theodosius et Arcadius aaa. ad Eutropium praefectum praetorii. Placida beneficia lenitatis dei omnipotentis arbitrio commoti pro felicitate saeculi publicamus, ut illos, quos imminentis supplicii terror exagitat, insperatae miserationis indultio securitati perpetuae restitutos ad communis vitae gaudia depulsa culparum acerbitate perducat, ut novae reparationis luce perfusi melioris vitae teneant novitatem. Ideo denique pro festivitate paschali, quam communi et praecelsa professione veneramur, noxas remittimus, ut ii, quos mansuetudinis nostrae indulgentia liberarit, melioris instituti praecepta sectantes nihil periculosum audeant perpetrare, Eutropi parens carissime atque amantissime, exceptis his, quos quinque inmanitas criminum minime patitur relaxari, ceteros carceris custodia liberatos statui pristino restituat, ut communi traditi libertati concessae securitatis gratia perfruantur30. Nel testo, indirizzato al prefetto del pretorio Eutropio, l’imperatore, mosso da compassione, concede l’indulto (insperatae miserationis indultio) a coloro che sono presi dal timore dell’imminente supplizio affinchè, come egli stesso afferma espressamente, ‘irradiati dalla luce di un profondo rinnovamento, essi conducano una vita più retta’ (ut novae reparationis luce perfusi melioris vitae teneant novitatem). In considerazione della predetta finalità del provvedimento, il beneficio della liberazione si applica tanto ai detenuti in attesa di esecuzione della condanna (quos imminentis supplicii terror exagitat) quanto a coloro che stanno scontandole loro pene, come viene specificato in Const. Sirm. 831. La funzione di emenda del perdono è ulteriormente ribadita nel seguito del dettato normativo della costituzione in esame, laddove si afferma in modo esplicito che le pene sono condonate (noxas remittimus) affinché quelli che beneficiano dell’indulgentia mansuetudinis, seguendo i precetti di un più sano insegnamento, non osino commettere nulla di pericoloso. L’atto di clemenza è, dunque, espressamente e prioritariamente diretto al perseguimento di un fine superiore, vale 30 Sul testo, si veda WALDSTEIN, W., Untersuchungen zum römischen Begnadigungsrecht..., cit. pp. 190-191; LOVATO, A., Il carcere nel diritto penale romano..., cit. p. 205; BARZANÒ, A., Il cristianesimo nelle leggi di Roma..., cit. pp. 231 s.; DI MAURO TODINI, A., Indulgentia principis in età tardoantica..., cit. pp. 207 ss.; RAIMONDI, M., «Gioia interiore e solennità pubblica...», cit. p. 274. 31 Sulle Constituzioni Sirmondianae si rinvia, per approfondimenti, a CIMMA, M. R., «A proposito delle Constitutiones Sirmondianae», in AARC 10 (1995), pp. 359 ss. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... a dire il pieno ravvedimento del colpevole, che al contempo costituisce il fondamento del provvedimento imperiale. In Cost. Sirm. 7, come si è potuto notare, viene posta una evidente relazione tra la Pasqua, momento liturgico particolarmente propizio per un radicale cambiamento di vita, e i vantaggi spirituali e morali che discendono dal provvedimento di clemenza imperiale. A tale riguardo, è stato opportunamente sottolineato, che “la Pasqua non può essere assimilata ai giorni fausti dell’impero sotto il profilo dell’occasione propizia per il ricorso a comuni e usuali misure di tolleranza; costituisce, invece, il fondamento morale del provvedimento grazioso, singolare, sul piano giuridico, per la sua stretta connessione col nucleo stesso del mistero cristiano”32. Del resto, come è indegno del perdono il recidivo, così lo è anche chiunque, dopo la condanna, abbia nuovamente infranto la legge. È quanto si deduce da: CTh. 9,38,10 imppp. Arcad(ius) et Honor(ius) aa. et Theod(osius) a. Romulo p(raefecto) p(raetorio). Omnes omnium criminum reos vel deportatione depulsos vel relegatione aut metallis deputatos, quos insulae variis servitutibus aut loca desolata susceperunt, hac nostra indulgentia liberamus, separatis illis, qui ad locum poenae destinatum contra iudicum sententias ire noluerunt. Indignus est enim humanitate, qui post damnationem commisit in legem. Dat. VIII id. Aug. Rav(ennae) Stilichone et Aureliano conss. Sebbene il testo non si riferisca esplicitamente alla recidiva in senso tecnico, vi è però una evidente connessione tra l’idea, espressa in CTh. 9,38,10, secondo la quale è indignus humanitate (e rimane pertanto escluso dal provvedimento di indulgenza) il criminale che dopo la sentenza di condanna commisit in legem, e quella, enunciata in CTh. 9,38,6, per cui possono essere perdonati esclusivamente quanti hanno delitto una sola volta33. Al fondo vi è, insomma, la medesima concezione etico-giuridica, per la quale non è degno di alcun atto di clemenza colui che, avendo già riportato una precedente condanna, 32 Così VENTRELLA MANCINI, C., Tempo divino e identità religiosa..., cit. p. 135. Nel medesimo senso, da ultimo, anche CENTOLA, Osservazioni sui provvedimenti imperiali di clemenza in occasione della Pasqua..., cit. pp. 417 ss. 33 Così NAVARRA, M. L., La recidiva nell’esperienza giuridica..., cit. p. 180. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 195 196 Francesco Fasolino torni a violare di nuovo la legge, rivelando così una particolare e reprimenda ostinazione a delinquere. Si tratta, in definitiva, di chiari esempi di una legislazione eticamente orientata, in sintonia con i nuovi modelli comportamentali ormai affermatisi nella comunità civile, anche per il forte influsso della religione cattolica34. 3. L’INDULGENTIA PRINCIPIS COME CONSUETUDINE L’adozione di provvedimenti di clemenza in occasione della Pasqua diede luogo ben presto ad una vera e propria prassi consuetudinaria che andò man mano consolidandosi. All’indulgenza pasquale troviamo, infatti, dedicate altre due costituzioni di Valentiniano II, CTh. 9.38.ι e 8, risalenti, rispettivamente, l’una al 384 d. C.35 e l’altra al 385 d.C. Quest’ultima, in particolare, rivolta al prefetto del pretorio Neoterio, dispone che: CTh. 9,38,8 imppp. Gra(tian)anus, Val(entini)anus et Theod(osius) aaa. ad Neoterium p(raefectum) p(raetori)o. Nemo deinceps tardiores fortassis affatus nostrae perennitatis exspectet: exsequantur iudices, quod indulgere consuevimus. Ubi primum dies paschalis extiterit, nullum teneat carcer inclusum, omnium vincla solvantur. Sed ab his secernimus eos, quibus contaminari potius gaudia laetitiamque communem, si dimittantur, 34 Cfr. VENTRELLA MANCINI, C., Tempo divino..., cit. p. 133. CTh. 9.38.7 imppp. Gr(ati)anus, Val(entini)anus et Theod(osius) aaa. ad Marcianum vic(arium). Religio anniversariae obsecrationis hortatur, ut omnes omnino periculo carceris metuque poenarum eximi iuberemus, qui leviore crimine rei sunt postulati: Unde apparet eos excipi, quos atrox cupiditas in scelera compulit saeviora: in quibus est primum crimen et maxime maiestatis, deinde homicidii veneficiique ac maleficiorum, stupri atque adulterii parique immanitate sacrilegii sepulchrique violatio, raptus monetaeque adulterata figuratio. Dat. XI kal. April. Med(iolano) Richomere et Clearcho cons. Nell’inscriptio della legge è erroneamente indicato anche il nome dell’imperatore Graziano che, tuttavia, era stato assassinato nel 383 d. C. In essa, indirizzata al vicario Marciano, si ribadisce che la reverenza per la solenne festività induce l’imperatore ad ordinare che tutti gli accusati di un reato devono essere liberi dal ‘pericolo del carcere’ e dal ‘timore della pena’, fatta eccezione per coloro che sono imputati di scaelera saeviora che sono esclusi, per la loro gravità, dall’atto di clemenza: lesa maestà, omicidio, veneficio, maleficio, stupro, adulterio, sacrilegio, profanazione di sepolcri, rapimento e falsificazione di monete. Sulla costituzione cfr., per una prima indicazione, LOVATO, A., Il carcere nel diritto penale romano..., cit. pp. 203-204 e DI MAURO TODINI, A., Indulgentia principis in età tardoantica..., cit. pp. 218 ss. 35 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... advertimus. Quis enim sacrilego diebus sanctis indulgeat? Quis adultero vel incesti reo tempore castitatis ignoscat? Quis non raptorem in summa quiete et gaudio communi persequatur instantius? Nullam accipiat requiem vinculorum, qui quiescere sepultos quadam sceleris immanitate non sivit; patiatur tormenta veneficus maleficus adulteratorque monetae; homicida quod fecit semper expectet; reus etiam maiestatis de domino, adversum quem talia molitus est, veniam sperare non debet. Data V kal. Mar. Med(iolano) Arcadio a. I et Bautone v. c. conss36, 37. Anche in questo caso risulta inesatto nell’inscriptio il riferimento all’imperatore Graziano, morto nel 383 d. C. Sul testo si veda, per una primo riferimento, W ALDSTEIN, W., Untersuchungen zum römischen Begnadigungsrecht..., cit. pp. 192 s.; LOVATO, A., Il carcere nel diritto penale romano..., cit. pp. 204 s.; DI MAURO TODINI, Indulgentia principis in età tardoantica..., cit. pp. 221 ss.; RAIMONDI, «Gioia interiore e solennità pubblica...», cit. p. 274 e, recentemente, NAVARRA, M. L., La recidiva nell’esperienza giuridica romana..., cit. pp. 176 s. 37 Degna di nota, in materia di indulgenza pasquale, è anche una legge di Teodosio I, promulgata in Oriente, il 22 aprile del 386 d. C., pervenutaci al di fuori del Codice Teodosiano. Si tratta di Const. Sirm. 8: imppp. Valentinianus, Theodosius et Arcadius. Studiis nostrae serenitatis, quibus etiam praeter consuetudinem statutae adque an- nuae lenitatis ad propagandas ex more indulgentias naturali beneficio semper animamur, desideratum bonis mentibus tempus advenit. Neque enim alias magis talibus beneficiis imperatoriam decet aequare pietatem, quam cum toto penitus orbe terrarum sacer dies festiva sollemnitate reparatur. Et nos quidem praeter hanc velut indictam et a maioribus traditam pro religionis observatione clementiam liberandis paene omnibus, quos legum severitas strinxerit, effusa penitus humanitate operam sacrae mentis exserimus. Quin per omne hoc, quod inter venerandos et celebres dies medium fluit tempus, catenis levamus, exilio solvimus, a metallo abstrahimus, deportationibus liberamus, cum satis constet nullum prope diem esse, quo non aliquid clemens sanctumque iubeamus, censentes nos etiam damnum quoddam horarum pati, si qui liberetur nullus occurrerit. Ex quo apparet properato nos semper arripere istam necessariam exsolvendis, quatenus tamen iusta humanitas patitur, legibus sanctimoniamque continuamus omnibus temporum metis voluntariam. Neque enim convenit inter festivas caerimonias et venerabiles sacri temporis ritus strepere infelicium dissonas voces, trahi ad communem misericordiam horrentibus passis feraliter crinibus reos, audiri tractos ex imo pectore gemitus, cum utique bene sibimet sacra et laeta conveniant et non deceat inter serena votorum ac dicatas aeterno numini pias voces aliquid triste sentire audire conspicere. Unde notam beneficiis nostris non sopprimimus lenitatem, aperimus quin etiam carcerem, vincla deponimus, inpexos tenebrosae pedore custodiae crines decenter amovemus. Eripimus omnes feralibus poenis praeter eos, quibus pro magni- tudine scelerum non decet subveniri. Habeant illa generalibus excepta indul gentiis crimina suum fatum et conpetens maiorum scelerum reos exitus teneat. Nullius nos manibus in absolvendis iniuriam faciemus homicidis; nullius inultos toros remissio adulteriorum ac talium scelerum supplicio deseremus; causam, quae late tenditur, maiestatis integram reservamus. Non aliquos in astra peccantes, non venerarios aut magos, non falsae monetae reos absolvendorum felicitati conectimus: si quidem digni non sunt festivae lucis usura, a quibus graviora commissa sunt, quam prudens solet liberare clementia. Et ne diutius in hac criminum serie laetior versetur oratio, exceptis solitis notisque criminibus alios relaxamus, Antiochine carissime ac iucundissime. Quocirca spectabilitas tua nostrae mansuetudinis scita quantocius iubebit impleri, ut velocius laeta propagentur, adque in communi omnium celebritate suspendi, quicumque meretur absolvi. Data X kal. Mai. Constantinopoli Honorio nobilissimo puero et Evodio conss. Con questo provvedimento, Teodosio I richiama la consuetudine della manifestazione della benevolenza imperiale, ormai a cadenza annuale, e facendo riferimento alla clemenza tramandata dagli antichi per l’osservanza della religione, dispone la liberazione di quasi tutti coloro che la ‘severità delle leggi’ aveva rinchiuso in carcere (liberandis paene omnibus, quos legum severitas 36 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 197 198 Francesco Fasolino Con questa legge, come si è già accennato, il beneficio dell’amnistia pasquale, nell’ambito di un più vasto disegno di riconoscimento di effetti giuridici alla festività liturgica cattolica, viene ad essere stabilizzato38: come si afferma testualmente, l’indulgenza deve essere automaticamente e direttamente applicata dagli iudices in occasione della più importante solennità della religione cattolica, senza alcuna necessità di attendere una formale emanazione del provvedimento imperiale di clemenza39. In CTh. 9.38.8, dunque, l’indulgenza perde l’originario carattere di provvedimento eccezionale per divenire una vera e propria consuetudine imperiale (quod indulgere consuevimus), grazie alla quale, giunto il giorno di Pasqua, nessuno deve rimanere chiuso in carcere (omnium vincla solvantur), con la solita eccezione prevista per i colpevoli di reati molto gravi che, se rimessi in libertà, strinxerit): anche questa volta, infatti, vengono escluse alcune categorie di criminali responsabili di reati di maggiore gravità, quali gli omicidi, gli adulteri, i rei di lesa maestà, gli astrologi, i venerarii o magi, ed infine i falsificatori di monete. Appare significativo, inoltre, che l’imperatore riconosce il beneficio della libertà non solo nel giorno della ricorrenza pasquale, ma anche in quelli precedenti e successivi alla festività: viene ordinato, infatti, che, nel tempo che trascorre inter venerandos et celebres dies, i prigionieri siano liberati dalle catene, gli esiliati dall’exilium, i condannati ad metalla dalle miniere, i deportati dalla deportatio affinché non vi sia nessun giorno nel quale l’imperatore non ordini ‘qualcosa di clemente e di santo’ (cum satis constet nullum prope diem esse, quo non aliquid clemens sanctumque iubeamus). In questo tempo pasquale, afferma l’imperatore, non risulta infatti opportuno che tra le cerimonie festive ed i riti venerabili del sacro tempo liturgico si ascoltino le voci dissonanti e i gemiti degli infelici (neque enim convenit inter festivas caerimonias et venerabiles sacri temporis ritus strepere infelicium dissonas voces). 38 L’‘indulgenza pasquale’, pertanto, da ‘occasionale’ diventa ‘permanente’: in questo senso cfr. JONES, A. H. M., Il tardo impero romano..., cit. p. 743; WALDESTEIN, W., cit. p. 192; RAIMONDI, M., «Gioia interiore e solennità pubblica...», cit. p. 274 e, recentemente, NAVARRA, M. L., La recidiva nell’esperienza giuridica romana..., cit. pp. 176 s. Va sottolineato, inoltre, che della prassi di concedere l’‘amnistia pasquale’ vi sono tracce anche in alcune testimonianze letterarie: cfr., ad esempio, Giovanni Crisostomo, VI Homilia de Statuis (PG 49, col. 84); Cassiodoro, Var. 11, 40; Ambrogio, Ep. 76, 6, sulle quali si veda RAIMONDI, M., «Gioia interiore e solennità pubblica», cit., pp. 269 ss. 39 È risultato evidente, infatti, come nei testi pervenutici il legislatore abbia richiamato, di solito con una terminologia esplicita sin dall’inizio del dettato normativo, la solennità della Pasqua. Particolarmente emblematiche in tal senso si sono rivelate le seguenti espressioni: ob diem paschae, quem intimo corde celebramus con cui si apre CTh. 9.38.3; Paschae celebritas postulat con la quale inizia CTh. 9.38.4; paschalis laetitiae dies che apre CTh. 9.38.6; ideo denique pro festivitate paschali, quam communi et praecelsa professione veneramur in Const. Sirm. 7 e, infine, ubi primum dies paschalis exiterit in CTh. 9.38.8. Da quest’ottica, appare, di certo, innegabile l’ispirazione cristiana e, non a caso, è stato posto in risalto come l’indulgenza imperiale, ricollegandosi al mistero della resurrezione pasquale, risponda in modo più o meno diretto agli ideali del perdono cristiano. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... potrebbero rovinare la gioia e la letizia comune (ab his secernimus eos, quibus contaminari potius gaudia laetitiamque communem, si dimittantur, advertimus)40. Appare oltremodo significativo, a mio avviso, che, di tutta la legislazione emanata in tema di indulgenza pasquale a partire da Valentiniano I fino a Teodosio I, nel Codice di Giustiniano i compilatori, considerando evidentemente superflue in quanto temporalmente circoscritte tutte le altre costituzioni in materia di indulgenza pasquale, hanno ritenuto opportune riprendere solo il dettato normativo di CTh. 9, 38, 8 insieme alla parte finale di CTh. 9, 38, 6, riproducendoli, seconda una tecnica di redazione normativa non inconsueta, in un’unica costituzione: CI. 1, 4, 3, collocata all’interno della rubrica “De episcopali audientia et de diversis capitulis, quae ad ius curamque et reverentiam pontificalem pertinent”41. Il testo è il seguente: Neoterio pp. Nemo deinceps tardiores fortassis adfatus nostrae perennitatis expectet: exsequantur iu- dices, quod indulgere consuevimus. Ubi primum dies paschalis extiterit, nullum teneat carcer inclusum, omnium vincula solvantur. 1.Sed ab his secernimus eos, quibus contaminari potius gaudia laetitiamque communem, si dimittantur, animadvertimus. 2.Quis enim sacrilego diebus sanctis indulgeat? Quis adul- tero vel stupri vel incesti reo tempore castitatis ignoscat? Quis non raptorem virginis in summa quiete et gaudio communi persequatur instantius? 3.Nullam accipiat requiem vinculorum, qui quiescere sepultos quadam sceleris immanitate non sinit: patiatur tormenta veneficus, maleficus, adulterator violatorque monetae: homicida et parricida quod fecit sempre expectet: reus etiam maiestatis de domino, adversus quem talia molitus est, veniam sperare non debet. 4. His ergo tali quoque sub absolutione damnatis in- dultum nostrae serenitatis eo praecepti fine concludimus, ut remissionem veniae crimina nisi semel commissa non habeant, ne in eos liberalitatis Augustae referatur humanitas, 40 Si specifica, in particolare, che non devono essere liberati i sacrileghi, gli adulteri, i rei di incesto, i rapitori, i violatori di sepolcri, gli avvelenatori, gli autori di maleficio, i falsificatori di monete, i colpevoli di omicidio e di lesa maestà. Cfr. anche l’interpretatio a CTh. 9.38.8: Sacrilegus adulter incestus reus, raptor sepulchrorum violator veneficus maleficus adulterator monetae homicida diebus paschae nullatenus absolvantur. Reliqui omnes, quos minorum causarum culpa constringit, diebus venerabilis paschae specialiter absolvantur. 41 Sul testo si veda, per un primo riferimento, WALDSTEIN, W., Untersuchungen zum römischen Begnadigungsrecht..., cit. pp. 191 s.; LOVATO, A., Il carcere nel diritto penale romano..., cit. p. 205 nt. 77; RAIMONDI, M., «Gioia interiore e solennità pubblica...», cit. p. 269 e, recentemente, NAVARRA, M. L., La recidiva nell’esperienza giuridica romana..., cit. pp. 177 s. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 199 200 Francesco Fasolino qui impunitatem veteris admissi non emendationi potius quam consuetudini deputarunt. Data V k. Mart. Mediolani Arcadio A. et Bautone vc. conss42. Unificando quelle che nel codice teodosiano erano due distinte costituzioni, o parti di costituzioni, i compilatori giustinianei hanno in tal modo reso permanente, insieme all’indulgentia pasquale, anche l’esclusione dal beneficio dell’amnistia, ormai a cadenza annuale, di tutti coloro che siano ricaduti in condotte criminose; il principio, già contenuto nella clausola finale di CTh. 9, 38, 6, secondo cui l’indulgenza può essere concessa solo nel caso di reati commessi una sola volta, viene dunque ad essere confermato anche in pieno VI secolo riproducendo la medesima clausola nel Codice di Giustiniano, in chiusura appunto di CI. 1.4.3. Si tratta, come è stato evidenziato43, di una precisa scelta di politica legislativa, in base alla quale, in caso di recidiva, si fa prevalere stabilmente l’opzione per l’interesse pubblico alla punizione anziché per quello alla non punizione, sul presupposto, appunto, della riscontrata inefficacia del perdono già concesso ai fini del ravvedimento del soggetto che ha delinquito. Laddove, infatti, non c’è stata una vera emenda, non si può legittimamente sperare di sfuggire alla meritata punizione beneficiando dell’amnistia ormai concessa in via ordinaria di anno in anno. 4. L’EMENDA DEL REO COME FINALITÀ DEI PROVVEDIMENTI DI CLEMENZA IMPERIALE Il legislatore, dunque, attraverso l’amnistia pasquale mira al perseguimento non soltanto di finalità politiche ma, in primo luogo, in piena consonanza con la È interessante evidenziare che l’idea secondo cui non meritano la clemenza coloro che, dopo essere stati già condannati, tornano a delinquere nuovamente è stata recepita in qualche modo anche dal nostro codice penale, dove all’art. 151 (ultimo capoverso) testualmente si afferma che “l’amnistia non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’art. 99, né ai delinquenti abituali, o professionali, o per tendenza, salvo che il decreto disponga diversamente”. 43 NAVARRA, M. L., La recidiva..., cit. pp. 1ιι s. L’A. pone in evidenza anche come l’idea per cui il perdono può essere concesso una volta sola, già applicata in tema di recidiva con riferimento ai reati militari e presente nelle declamationes minores pseudo quintilianee, in età tardo imperiale, per la probabile influenza della precettistica cristiana, sarebbe diventato un principio informatore nell’ambito della concessione dei provvedimenti di clemenza. 42 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... centralità della ricorrenza liturgica pasquale nella dottrina cristiana, egli persegue un radicale rinnovamento dell’individuo sul piano etico; attribuendo una particolare rilevanza alla suddetta festività, l’imperatore, sostanzialmente, trasfonde in termini normativi il significato escatologico della Redenzione che trova il suo fulcro nella Pasqua cristiana. Il periodo di preparazione alla Pasqua, infatti, come è noto, rappresenta per i fedeli della religione cattolica un tempo di grazia, un’occasione di rinnovamento interiore, un momento di conversione (nel senso strettamente etimolgico di con – vertere=cambiare direzione), dato affinché tutti possano degnamente partecipare alla Resurrezione di Cristo. A tal fine è, quindi, indispensabile la riconciliazione tanto con Dio, mediante la penitenza, che con gli altri, mediante il reciproco perdono. Cambiamento di vita e perdono sono, dunque, strettamente interconnessi affinché venga a realizzarsi l’essenza soteriologica della festività liturgica pasquale e, in essa, tutto si rinnovi44. Pur mantenendo l’antica struttura della abolitio generalis, l’amnistia tra IV e VI sec. d. C. si connota, dunque, per un singolare intreccio di elementi ideali ed intenti spiritual-pedagogici; il provvedimento imperiale di indulgentia viene così, in definitiva, ad assumere una marcata coloritura etica45, mentre rimangono sostanzialmente solo sullo sfondo le altre finalità, cui pure esso è in qualche modo diretto, quali, ad esempio, lo sfoltimento delle carceri, lo snellimento dei processi, la diminuzione degli abusi nell’ambito della repressione criminale46. In età tardoantica, dunque, i provvedimenti di clemenza degli imperatori cristiani evidenziano, proprio in ragione del peculiare collegamento con il tempo liturgico della Pasqua, un forte legame con concezioni di indole morale che influenzano direttamente e significativamente le soluzioni giuridiche adottate; nell’ottica del ravvedimento del reo, l’indulgentia principis si interseca 44 Cfr. DI BERARDINO, A., Tempo cristiano..., cit. pp. 149-150. Cfr. VENTRELLA MANCINI, C., Tempo divino e identità eligiosa, pp. 134 ss. 46 Cfr. a tale proposito, DI BERARDINO, A., Tempo cristiano..., cit., pp. 149 s. e da ultimo CENTOLA, Osservazioni..., cit. pp. 420 s. 45 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 201 202 Francesco Fasolino strettamente con gli insegnamenti della dottrina cattolica in tema di riconciliazione e di remissione delle colpe47. Sotto l’evidente influenza della religione cattolica, quindi, diventa così a scadenza annuale un beneficio grazioso che, in precedenza, gli imperatori solevano concedere solo in occasione di eventi particolari e mai a cadenza fissa o prevedibile. Già con Teodosio I, infatti, era divenuto esplicito il parallelo tra la grazia divina, che rimette i peccati, e il potere di cancellare i reati e condonare le pene riservato esclusivamente all’imperatore. Significativo è anche il mutamento della terminologia impiegata: viene abbandonato il termine abolitio, che nel suo significato tecnico indicava il venir meno dell’azione penale, e ad esso viene preferito quello più generale di indulgentia, applicabile senza distinzione ai provvedimenti di grazia tanto precedenti quanto successivi alla sentenza di condanna48. A tal proposito vi è una evidente analogia tra l’esclusione dal beneficio di alcune categorie di reati e le riflessioni sui peccati irremissibili di Tertulliano, De Pudicitia, 2, in PL 2, col. 985. Sull’apporto della letteratura patristica in ordine ai temi della riconciliazione e della remissione dei peccati in relazione alla loro gravità, cfr. VENTRELLA MANCINI, C., Tempo divino ed identità religiosa..., cit. pp. 139 ss. 48 Sull’indulgentia principis: CHARLESWORTH, M. P., Pietas and Victoria: the Emperor and the Citizen, in JRS 33 (1943), pp. 1 ss.; GAUDEMET, J., Indulgentia principis, Trieste 1962, pp. 32 ss.; ID., Indulgentia principis. Conferenze romanistiche II, Milano 1967, pp. 1 ss; WALDSTEIN, W., Untersuchungen zum römischen Begnadigungsrecht…, cit. pp. 255 ss.; ADAM, T., Clementia principis. Der Einfluss hellenisticher Fürstenspiegel auf den Versucheiner rectlichen Fundierungdes Prinzipats durch Seneca, Stuttgart 1970, pp. 148 ss., BAUMAN, R. A., Impietas in Principem. A study of Treason Against the Roman Emperor with Special Reference to the first century A.D., München 1974; SCARANO USSANI, V., I “beneficia principalia” in un dibattito fra primo e second secolo, in Labeo 27 (1981), pp. 315 ss.; PALMA, A., Humanior interpretatio. ‘Humanitas’ nella interpretazione e nella normazione da Adriano ai Severi, Torino 1992, pp. 224 ss.; MINELLI, C., «Le amnistie imperiali nel III secolo», in AA.VV., Amnistia, perdono e vendetta nel mondo antico, Milano 1997, pp. 137 ss.; SCHETTINO, M. T., L’usurpazione del 175 e la ‘clementia’ di Marco Aurelio, ivi, pp. 113 ss.; ID., «Perdono, e’clementia principis’ nello stoicismo del II secolo», in AA.VV., Responsabilità, perdono e vendetta nel mondo antico, Milano, 1998; GALIMBERTI, A., ‘Clementia’ e ‘moderatio’ in Tiberio, ivi.; cfr. anche ROCCO, A., «Amnistia, indulto e grazia nel diritto penale romano», in Riv. pen. 1899, pp. 19 ss. 47 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... Sarebbe però errato, o comunque limitativo, ritenere che i provvedimenti di indulgentia principis fossero dei meri atti di clemenza dettati esclusivamente dall’adesione ai valori e principi del cristianesimo. L’indulgentia, infatti, da valore della sfera etica quale era tipicamente considerata in età repubblicana, diventa in realtà una categoria giuridica, uno strumento attraverso il quale l’imperatore amministra la giustizia e più in generale, esercita la sua autorità: al fondo vi è una concezione tutta nuova del potere che presuppone una totale superiorità dell’imperatore, il quale governa elargendo graziosamente ai sudditi, quasi come dei doni, i propri benefici, in tal modo, al contempo, riaffermando in capo a se stesso soltanto, la titolarità assoluta del potere, cui deve necessariamente corrispondere l’obsequium del suddito. Su tale binomio auctoritas – obsequium viene a fondarsi, in altri termini, una nuova concezione dell’attività amministrativa in età imperiale, il cui funzionamento viene regolato dal principio secondo cui i sudditi rivolgono all’imperatore delle petizioni e questi, se lo ritiene, soddisfa le loro richieste con provvedimenti ad hoc. L’indulgentia, così come l’humanitas, la mansuetudo, la clementia etc. rappresentano, dunque, il corpus delle virtù etiche imperiali sulle quali si legittima l’assoluta preminenza del princeps nell’ambito dell’ordinamento politico istituzionale dell’impero e si giustifica, altresì, l’attribuzione al suo insindacabile giudizio del metro della liceità e della giustizia nella concreta azione di governo. In tale logica, ben si comprende allora perché la gran parte dei provvedimenti adottati nei quali si fa espressamente richiamo all’indulgentia principis concernano il settore della giustizia o quello fiscale, ambiti nei quali è, con tutta evidenza, maggiormente e plasticamente palpabile la manifestazione dell’esercizio del potere sovrano. Da un lato, infatti, nell’ipotesi dell’appello avverso la sentenza di condanna, non si privilegia la sua natura di mezzo diretto ad ottenere la riforma della sentenza VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 203 204 Francesco Fasolino viziata o comunque ingiusta (prospettiva quest’ultima che invece sarà seguita soltanto con il codice giustinianeo): l’appello nel codice teodosiano è, invero, considerato solamente uno dei modi attraverso cui si può arrivare al tribunale dell’imperatore e, al contempo, nell’ottica di quest’ultimo costituisce un irrinunciabile strumento di esercizio del suo potere sovrano e di controllo sull’operato dei funzionari dei tribunali periferici. D’altro canto, la grazia dell’imperatore può essere impetrata o concessa anche verso le sentenze ormai inappellabili: si giunge così ad ammettere esplicitamente che tutte le sentenze di condanna siano revocabili dal princeps, come si afferma in CTh. 9.40.13, testualmente ripresa in C. 9.47.20., nella quale l’imperatore si riserva, entro trenta giorni, di ripensare alle condanne a morte, da lui pronunciate in un impeto di sdegno e ira: Si vindicari in aliquos severius contra nostrum consuetudinem pro causae intuit iusserimus, statim eos aut subire poenam aut excipere sententiam, sed per dies XXX super eorum sors et fortuna suspense sit. Ecco perché, come è stato osservato49, per le sentenze penali di condanna di questo periodo storico appare forse più appropriato parlare, allora, anziché di giudicato stricto sensu, piuttosto di provvedimenti connotati da un regime di efficacia sic stantibus rebus, tipico dei provvedimenti di natura amministrativa o di governo. In definitiva, si delinea un quadro generale dell’amministrazione della giustizia penale nell’ambito del quale risulta assai difficile rinvenire i capisaldi cui la nostra sensibilità di giuristi moderni ci indirizza quasi naturalmente, col rischio di indurci verso prospettive storiche non effettivamente e realmente adeguate all’oggetto dell’indagine50. 49 Da BASSANELLI SOMMARIVA, G., «Il giudicato penale e la sua esecuzione», in AARC 11 (1996), pp. 41 ss. 50 Per ulteriori approfondimenti, mi sia consentito il rinvio a FASOLINO, F., «Osservazioni in tema di certezza del diritto e della pena nell’ambito del sistema di repressione criminale tra IV e V sec. d. C.», in Koinonia 40 (2016), pp. 195 ss. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... 5. INDULGENTIA PRINCIPIS, CORREZIONE E PERDONO In quanto finalisticamente orientata alla correzione del colpevole, l’amnistia concessa dal princeps fuoriesce dalla logica imperativistica tipica dei provvedimenti di indulgentia e, pertanto, non costituisce una pura manifestazione di autorità, un instrumentum regni quod principi placuit51, bensì assurge a pratica di governo qualificata da una dimensione topica dell’idea di scopo e diventa così strumento di un’azione politica eticamente orientata; in tale prospettiva, l’intervento dell’imperatore non è quindi frutto di una scelta arbitraria ma si legittima in quanto e nella misura in cui egli si pone come difensore dei valori e dei bisogni collettivi maggiormente condivisi. L’intima ragione e gli scopi ultimi dell’esercizio dell’indulgentia imperiale nel tardo antico, dunque, possono essere adeguatamente compresi soltanto a patto di deporre l’impostazione, ormai consueta nella dottrina penalistica contemporanea, secondo cui gli atti di clemenza collettiva si giustificano e si legittimano in quanto strumenti eccezionali di pacificazione sociale, di adattamento del diritto, ovvero quali mezzi straordinari di correzione delle distorsioni funzionali del sistema della giustizia penale nel suo complesso. È infatti proprio l’obiettivo dell’emenda che sottrae ai provvedimenti di clemenza imperiale quell’originaria caratteristica che li rendeva espressione e strumento di decisioni puramente discrezionali del potere politico sovrano: tanto è vero che, come si è visto dianzi, l’eventuale constatazione, in caso di recidiva, del mancato raggiungimento, in concreto, di quell’obiettivo comporta di conseguenza, e necessariamente, l’esclusione del colpevole dal beneficio. Proprio la decisione sovrana di non consentire che dell’amnistia si possa essere ammessi a godere reiteratamente senza un effettivo ravvedimento interiore Cfr., in proposito, PORTINARO, P. P., L’amnistia tra esigenze di giustizia e ragion di Stato, introduzione a QUARTSCH, H., Giustizia politica, a cura di PORTINARO, P. P., Milano 1995, p. 22, secondo il quale “l’amnistia è la tipica manifestazione di una concezione imperativistica del diritto, è un atto di statuizione giuridica, è voluntas e non ratio, risponde alla logica della auctoritas, non veritas facit legem”. 51 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 205 206 Francesco Fasolino palesa, appunto, la gamma valoriale sottesa ai provvedimenti di clemenza imperiale. Ciò posto, sembra allora opportuno, ai fini di una migliore e più adeguata comprensione del fenomeno in esame, dismettere la logica, tipica del giurista moderno, figlio dell’illuminismo, per la quale i provvedimenti di clemenza generale, in quanto derogatori al diritto vigente, rappresentano essenzialmente un vulnus, sul piano formale, all’effettività dell’ordinamento e, al contempo, alle comuni aspettative di giustizia diffuse nella collettività e nel comune sentire. Nell’ordinamento giuridico romano del tardo antico, le manifestazioni della clementia imperiale non sono, infatti, la mera espressione di valutazioni di opportunità politica bensì presentano evidenti nessi con la dimensione valoriale e la logica funzionale che, come si è visto, ispirano la politica di repressione criminale quantomeno a partire dall’età del Principato quando, cioè, si afferma, in ambito giurisprudenziale ma anche normativo, la funzione di prevenzione della sanzione penale. Superata l’ossessione retributiva, infatti, il ricorso a misure retroattive di non punibilità non appare, quindi, né all’imperatore né ai giuristi, in contraddizione con gli scopi perseguiti dal sistema penale: da un lato, infatti, come si detto, la clemenza del sovrano mira essenzialmente al recupero del delinquente, dall’altro, l’indefettibile caratteristica di straordinarietà (almeno fino agli inizi del VI sec. d.C.) delle manifestazioni di indulgentia, ribadisce il fondamento del potere punitivo conferito all’autorità e al contempo rafforza la credibilità e la tenuta sociale del sistema repressivo senza privarlo di una sua interna coerenza funzionale. La concessione dell’amnistia non è, perciò, un atto arbitrario del sovrano, espressione di un principio di autorità e di statuizione, rispondente alla logica del VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... noto principio “auctoritas non veritas facit legem”52; pertanto esso non va ad ostacolare la effettiva realizzabilità dei compiti di orientamento della libertà individuale e di difesa dei beni giuridici di maggiore rilevanza che connotano ed ispirano il complesso delle sanzioni penali. In ogni caso, clemenza non equivale a dimenticanza od oblio, tant’è vero che, lo si ribadisce, in caso di recidiva, gli effetti del reato commesso ed amnistiato rivivono ed impediscono di fruire nuovamente del beneficio imperiale, giacché, per l’appunto, la reiterazione di un reato (eventualmente anche diverso da quello precedente amnistiato) è indice irrefutabile del fatto che l’auspicata emenda del reo non si è in concreto verificata. In quanto non è remissione, la clemenza imperiale non equivale neppure al perdono; del resto, quest’ultimo rappresenta un’alternativa alla pena mentre la clementia è, invece, come si è visto, un atto discrezionale finalisticamente orientato che rientra negli atti cd. di opportunità. Tale differenza, peraltro, era ben nota alla cultura romana: già Seneca, invero, nella sua opera ‘de clementia’, si era soffermato sull’intrinseca diversità tra perdono e clemenza, affermando che: De clem. 7. 1-5: 1. 'At quare non ignoscet?' Agedum constituamus nunc quoque, quid sit venia, et sciemus dari illam a sapiente non debere. Venia est poenae meritae remissio. Hanc sapiens quare non debeat dare, reddunt rationem diutius, quibus hoc propositum est; ego ut breviter tamquam in alieno iudicio dicam: Ei ignoscitur, qui puniri debuit; sapiens autem nihil facit, quod non debet, nihil praetermittit, quod debet; itaque poenam, quam exigere debet, non donat. 2. Sed illud, quod ex venia consequi vis, honestiore tibi via tribuet; parcet enim sapiens, consulet et corriget; idem faciet, quod, si ignosceret, nec ignoscet, quoniam, qui ignoscit, fatetur aliquid se, quod fieri debuit, omisisse. Aliquem verbis tantum admonebit, poena non adficiet aetatem eius emendabilem intuens; aliquem invidia criminis manifeste laborantem iubebit incolumem esse, quia deceptus est, quia per vinum lapsus; hostes dimittet salvos, aliquando etiam laudatos, si honestis causis pro fide, pro foedere, pro libertate in bellum acciti sunt. 3. Haec omnia non veniae, sed clementiae 52 Il brocardo in questione, come è noto, risale ad HOBBES, TH., «Leviathan sive de materia, forma et potestate civitatis ecclesiasticae et civilis», 1651, tr. lat. 1670, in Opera philosophica quae latine scripsit omnia, a cura di MOLESSWORTH, W., 1839-45, rist. Aalen 1965, III, cap. XXVI, p. 202. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 207 208 Francesco Fasolino opera sunt. Clementia liberum arbitrium habet; non sub formula, sed ex aequo et bono iudicat; et absolvere illi licet et, quanti vult, taxare litem. Nihil ex his facit, tamquam iusto minus fecerit, sed tamquam id, quod constituit, iustissimum sit. Ignoscere autem est, quem iudices puniendum, non punire; venia debitae poenae remissio est. Clementia hoc primum praestat, ut, quos dimittit, nihil aliud illos pati debuisse pronuntiet; plenior est quam venia, honestior est. 4. De verbo, ut mea fert opinio, controversia est, de re quidem convenit. Sapiens multa remittet, multos parum sani, sed sanabilis ingenii servabit. Agricolas bonos imitabitur, qui non tantum rectas procerasque arbores colunt; illis quoque, quas aliqua depravavit causa, adminicula, quibus derigantur, adplicant; alias circumcidunt, ne proceritatem rami premant, quasdam infirmas vitio loci nutriunt, quibusdam aliena umbra laborantibus caelum aperiunt. 5. Videbit, quod ingenium qua ratione tractandum sit, quo modo in rectum prava flectantur53. Come spiega articolatamente Seneca, essere clementi non equivale, dunque, a rimettere una pena meritata. Mentre il perdono è la remissione di una pena meritata, la clemenza, invece, implica prendersi cura del colpevole al fine di correggerlo ovvero in considerazione di particolari condizioni e circostanze le quali denotano che il colpevole ha agito per un particolare valore morale o sociale. Il filosofo, dunque, il quale, come è noto, è stato uno dei principali fautori della finalità specialpreventiva della sanzione penale54, coerentemente individua a giustificazione e fondamento dell’atto di clemenza uno scopo ulteriore che è rappresentato, appunto, dalla correzione del reo, fermo restando che si tratta pur Cfr. SENECA, «De Clementia», in Dell’ira, Della clemenza, trad. it. di DEL RE, R., Bologna 1971: “Ma perché il saggio non perdonerà a nessuno? Stabiliamo ora anche che cosa è il perdono, e ci renderemo conto che non può essere concesso dal saggio. Il perdono è la remissione di una pena meritata. Perché il saggio non debba concederla, lo spiegano più estesamente coloro che trattano questo argomento specificamente: io, per essere breve, come conviene in un processo che riguarda altri, dirò: ‘Si perdona a colui che deve essere punito’ ma il saggio non fa nulla di ciò che non deve fare e non tralascia mai nulla di ciò che deve fare, ‘perciò non condona la pena che deve infliggere’. Ma quel risultato che tu vuoi ottenere col perdono, te lo procurerà per una via più conforme al bene: il saggio, infatti, risparmierà il colpevole, si prenderà cura di lui, lo correggerà; farà le stesse cose che farebbe se perdonasse, ma non perdonerà, poiché chi perdona riconosce di aver trascurato qualcosa che si doveva fare. Qualcuno lo ammonirà solo con parole e non gli infliggerà una pena, considerando l’età suscettibile di correzione, un altro, che chiaramente è vittima dell’odiosità della colpa attribuitagli, lo farà restare sano e salvo, poiché è stato ingannato o perché ha sbagliato mentre era ubriaco: lascerà andare incolumi i nemici, e qualche volta persino dopo averli lodati, se sono stati condotti alla guerra da motivi onorevoli, per la parola data, per un trattato, per la libertà. ‘Tutti questi sono atti non di perdono ma di clemenza’”. 54 Cfr. FASOLINO, F., Pena, amnistia, emenda: una prospettiva storico-giuridica, Milano, 2016, in part. pp. 92 ss. 53 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 Indulgentia principis ed emenda: aspetti della politica criminale... sempre di un atto discrezionale. Come egli stesso specificherà ancor più puntualmente in un’altra sua opera, il De ira, l’atto di clemenza è sostanzialmente una decisione ispirata al criterio del bonum et equum, che mira a realizzare la giustizia del caso concreto55. Questo, tuttavia, non implica, ovviamente, che fosse escluso del tutto dall’orizzonte dell’imperatore qualunque obiettivo di tipo congiunturale: il sovrano, evidentemente, era ben consapevole delle formidabili potenzialità di produzione del consenso notoriamente insite nella gestione della res poenales, sia nei casi in cui questa risulti orientata in senso repressivo-deterrente sia quando indulga a manifestazioni di clemenza collettiva. Se ciò consente di ritenere che questi provvedimenti venissero adottati dall’imperatore quale atto di discrezionalità politica, non è però di per sé sufficiente a fondare logicamente l’affermazione secondo cui essi sarebbero stati espressione di mera arbitrarietà politica. Tale prospettiva, infatti, appare storicamente infondata ed epistemicamente non corretta se rapportata all’ordinamento giuridico romano, in quanto risente in maniera diretta ed evidente di una sensibilità moderna, talmente diffusa da sembrare connaturale, per cui la clemenza, quale espressione del principio di sovranità interna dello Stato (nell’accezione di suprema potestas superiorem non recognoscentem), per ciò stesso si porrebbe come fattore eversivo dei postulati, dei principi e delle regole che definiscono e fondano lo Stato di diritto56 e, pertanto, De ira, 8, 9 “la clemenza ha libero arbitrio: non giudica in base ad una formula, ma in base all’equità e alla bontà; e le è permesso di assolvere o di stimare i danni alla somma che vuole. E non fa mai queste cose credendo di fare qualcosa di meno del giusto, ma convinta che ciò che ha deciso sia la cosa più giusta. Perdonare, invece, è non punire uno che tu giudichi che dovrebbe essere punito: il perdono è la remissione di una pena dovuta. La clemenza per prima cosa intende proclamare che chi viene lasciato andare da lei senza punizione non doveva essere trattato diversamente; essa è, dunque, più perfetta del perdono, più conforme al bene”. 56 In tal senso cfr. MAIELLO, V., Clemenza e sistema penale. Amnistia e indulto dall’indulgentia principis all’idea dello scopo, Napoli 2007, pp. 49 s., cui si rinvia per ulteriori approfondimenti. Sulla tendenziale incompatibilità tra il principio di sovranità interna e il modello dello Stato di diritto, cfr. FERRAJOLI, L., La sovranità nel mondo moderno, Roma-Bari 1997, pp. 29 ss. 55 VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394 209 210 Francesco Fasolino potrebbe essere accettata solo se configurata come un’eccezione che non scardina l’intima coerenza del sistema penale complessivamente inteso. L’amnistia concessa in vista e sul presupposto dell’emenda, invece, non è configurabile come esercizio di una mera prerogativa di puro potere sovrano ma, al contrario, conferisce un senso, quale espressione di un criterio politico-criminale, all’atto di clemenza generale, raccordando e vincolando la decisione di chi è investito della relativa potestà ad una logica materiale interna alle funzioni assegnate al sistema di repressione criminale in un determinato contesto storicotemporale. VERGENTIS 4 [Junio 2017] pp. 179-210 ISSN: 2445-2394