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RICERCHE Collana del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti VI Martiri, santi, patroni: per una archeologia della devozione Atti X Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana Università della Calabria Aula Magna, 15-18 settembre 2010 a cura di Adele Coscarella - Paola De Santis Università della Calabria 2012 Le nuove pitture delle catacombe dei ss. Marcellino e Pietro: alcune precisazioni Raffaella Giuliani In 2003 the archeological investigation in the Roman Catacomb of Sts. Peter and Marcellinus brought to light a crypt with remains of fresco decoration and, under these, a rectangular niche to be understood as meant for relics. A irst information about the important indings was given in 2006 (ed. 2007). In addition to the published researches, the Xth Congress of Christian Archeology gave the author the chance to show her hypothetical restitution of the entire fresco panel. he poor state of preservation does not allow the certain identiication of the saints here worshipped, nevertheless the author conirms the hypothesis of the Forty Martyrs, with further support elements. Le pitture oggetto di questo approfondimento vennero in luce nel corso di uno scavo, avviato nel 2003 in circostanze assolutamente casuali, a seguito dell’apertura di una voragine nel sopratterra delle catacombe dei SS. Marcellino e Pietro. Le indagini, che sono state oggetto di una relazione preliminare in una seduta della Pontiicia Accademia Romana di Archeologia, pubblicata nei Rendiconti della stessa, annata 2006-2007, sono ancora in corso ed hanno portato alla scoperta di un altro centro di venerazione, che si aggiunge a quelli già noti, in questa importante catacomba del suburbio romano1, e di una serie di particolarissimi ambienti, forse precedenti all’impianto cimiteriale cristiano, completamente occupati da defunti, disposti con cura gli uni sugli altri, ma senza elementi di divisione tra i corpi2 (Fig. 1). La cripta venerata è sostanzialmente un allargamento della galleria X53, con andamento Est-Ovest3, posta in comunicazione in più punti con l’iter damasiano che conduceva alla vicina cripta dei Martiri Eponimi4, sicché il centro devozionale di recente scoperta si trova ad essere pienamente inserito nel percorso cultuale del cimitero. Nel corso dello scavo, infatti, la galleria X53 ha evidenziato, sulla sua parete Nord, proprio in corrispondenza della verticale della voragine, i resti di decorazione ad afresco, dipinti su una spessa muratura in opera listata che divide la galleria X53 da una galleria, ad essa ortogonale, la X78, facente parte del La bibliograia sulla catacomba è vastissima; per limitarci agli studi del passato ancora fondamentali e a quelli più recenti, si segnalano: Guyon 1987; Guyon 2002; Guyon 2004; Dückers 1992; Bisconti 1994; Bisconti-Giuliani-Tommasi 1995; Giordani 1996; Giuliani 1996a; Giuliani 1996b; Giuliani 1998; Pugliese 1998; Felle 2000; Carletti 2003. Utili approfondimenti in studi di carattere più generale: Augenti 1991, pp. 41-82; Bordignon 2000a, passim; Zimmermann 2002, passim. 2 Giuliani-Castex 2006-2007, Guyon-Giuliani c.s.; sullo scavo, in particolare sulle indagini polispecialistiche che hanno interessato i poliandri, limitandoci alla letteratura archeologica, vd. anche: Castex et alii 2007; Castex et alii 2009; Blanchard-Castex-Giuliani 2010. 3 L’orientamento della galleria X53 è adottato in forma sempliicata. 4 Fiocchi Nicolai 1995, p. 765. 1 399 Fig. 1. Pianta del settore oggetto delle recenti indagini nel complesso cimiteriale dei SS. Marcellino e Pietro: la freccia indica il muro con i resti pittorici (rielaborazione di P. Giuliani; Archivio Disegni PCAS). Fig. 2. Resti di decorazione ad afresco sul muro di separazione tra le gallerie X53 e X78 (Archivio Fotograico PCAS). 400 singolare sistema anzi accennato di poliandri (Fig. 2). Riassumendo brevemente, per evitare ripetizioni rispetto a quanto già esposto nei Rendiconti, si può osservare che il tratto occidentale della galleria X53 fu rivestito in un primo momento, da collocarsi nel IV secolo avanzato, da intonaco bianco e sulle sue pareti furono aperte pile di loculi. Sul muro divisorio tra X53 ed X78, fu stesa in due fasi successive una decorazione dipinta, purtroppo ridotta a pochi lacerti, di assai diicile lettura, nonostante gli accurati interventi di restauro eseguiti5. Procedendo dal basso verso l’alto, è possibile distinguere verticalmente sul muro dipinto tre settori decorativi. Un primo campo consiste in una imitazione di crustae marmoree6. Il secondo settore è occupato, nella parte destra, da una apertura rettangolare, successivamente risarcita con muratura di reimpiego, la quale è stata manomessa e poi rozzamente riparata. A sinistra permangono dei resti di decorazione ad afresco, quali una semplice incorniciatura in ocra gialla che delimita il campo, e dei resti, forse di decorazione loreale, ricoperti da una stesura successiva di intonaco scialbato. Il terzo settore, quello superiore, è occupato da una composizione igurata, la quale appare come l’intervento pittorico più recente, come si è evidenziato mediante l’osservazione diretta e l’esecuzione di alcune analisi stratigraiche7 (Fig. 3). La composizione igurata, nonostante lo stato di conservazione pessimo, dovuto anche a distruzioni intenzionali come testimoniano i numerosi colpi recati da un oggetto appuntito sull’afresco, presenta nei lacerti rimasti un intonachino solido e levigato, e l’impasto del colore è integro e senza abrasioni. Fig. 3. La composizione igurata del pannello superiore (Archivio Fotograico PCAS). Sui restauri: Giuliani-Castex 2006-2007, p. 86 e nota 3. Sulle imitazioni pittoriche delle crustae marmoree: Assimakopoulou Atzaka 1980, pp. 107-120; Kelly 1987, pp. 99-103, 354, 239; Spera 1995; Guiglia Guidobaldi 2004, pp. 56-59. L’impostazione del pannello, con la parte basale a into marmo, è confrontabile con le zoccolature del presbiterio di S. Maria Antiqua, di molto posteriore perché le crustae del pannello ad duas lauros sono pertinenti alla fase di IV secolo: Wilpert 1916, IV, tav. 151; Nordhagen 1968, p. 39, tav. XLII; per la datazione di questo sistema decorativo e delle zoccolature dell’intera zona presbiteriale in S. Maria Antiqua, oscillante tra gli inizi del VII secolo e il pontiicato di Martino I: Matthiae 1987, pp. 98, 249-250; Andaloro 2004. 7 Giuliani-Castex 2006-2007, p. 88 e nota 6. 5 6 401 Già nei citati Rendiconti avevo tentato una ricostruzione a grandi linee della scena, che in questa sede tenterò di raforzare con qualche ulteriore elemento emerso dallo studio dei resti, in modo da proporre un disegno ricostruttivo - anch’esso al momento work in progress - dell’insieme. Nel pannello igurato trova posto, in un ridotto settore a sinistra, un gruppo serrato di personaggi, barbati e non, abbigliati con tuniche corte, strette in vita da cingulum; non è chiaro se al di sopra della tunica indossino delle paenulae8; hanno acconciature a caschetto, e sembrano rappresentare un gruppo, una categoria omogenea, forse di carattere militare o professionale9: attorno alle singole teste una traccia circolare biancastra ne deinisce l’aureola (Fig. 4); il gruppetto assiste compunto alla scena a cui è riservato il resto dello spazio disponibile: due igure, rappresentate in modulo maggiore rispetto al gruppo di sinistra, si dispongono ai lati di un libro aperto, posto su un alto leggio. Di quello di destra si conserva in parte la testa, intorno alla quale si nota chiaramente l’aureola. Da alcuni resti pittorici e da alcuni dettagli, come la schiena e la posizione sospesa dei piedi del personaggio di sinistra e tracce di colore rosso scuro dietro il personaggio di destra, si può ipotizzare che i due fossero seduti: quello di destra tiene sostenuto dinanzi a sé con le mani forse una tavola iscritta, poggiata sulle ginocchia in modo da mostrarne il testo. Quello di sinistra sembrerebbe avere le mani coperte da un panno e forse porgere qualcosa con esse, facendo dunque pensare che rechi o presenti con riverenza un oggetto sacro o comunque simbolico. Dall’esame recente dei resti pittorici, il personaggio di sinistra sembrerebbe essere seduto su un ammasso roccioso, secondo uno schema difuso che possiamo ritrovare in vari esempi di scultura e pittura funeraria, negli avori e nei codici miniati10. Sul libro aperto del leggio, sulla tavola e sul fondo dell’afresco si disponevano una serie di didascalie dipinte che, data la lacunosità delle pitture, sono oggi quasi del tutto illeggibili. Ribadisco questa circostanza come veramente deplorevole, perché se le iscrizioni si fossero conservate, il pannello igurato sarebbe stato agevolmente decodiicabile. Per quanto riguarda i resti delle scriptae sul fondo azzurro, avevo già evidenziato, accanto alla testa nimbata, i resti di lettere capitali regolari apicate MAR, nelle quali si potrebbe integrare il nome del martire eponimo del cimitero Marcellinus, integrazione confermata, in una recente più accurata disamina, dalla sillaba LI evidenziabile a sinistra del nimbo. Sempre in questo punto, tra i due volti, si può distinguere una rosetta stilizzata e ancora più a sinistra i resti di una E e, su rigo sottostante, la coda della R. Pertanto, sono integrabili entrambi i nomi degli eponimi, Petrus e Marcellinus, disposti su due righe e probabilmente preceduti dall’abbreviatura del titolo sanctus (SCS), sopralineata, secondo l’uso del tempo. All’elemento epigraico, si aggiunge per Pietro, il sostegno della igurazione: i resti del volto del presunto Pietro, infatti, rimandano ad una barba bianca, che evidenzierebbe l’anzianità dell’esorcista - elemento isionomico iltrato attraverso la letteratura agiograica e connotante la sua iconograia in modo costante nel corso dei secoli11. In quest’ottica, anche il seggio Il personaggio in prima ila ha, sulle spalle, dei segmenta ornamentali, segno di una certa distinzione (Franchi de Cavalieri 1928, p. 227). Sull’uso della paenula D’Amato 2005, p. 12. 9 Franchi de Cavalieri 1928b, pp. 216-228; Kolb 1973, pp. 73-116, 158-161; Fuentes 1987; Croom 2000, pp. 34-36; Minasi 2000a; D’Amato 2005, pp. 12-13. 10 A puro titolo di esempio (molti se ne potrebbero rintracciare anche nei grandi cicli musivi delle basiliche romane), si vedano i sarcofagi dai complessi cimiteriali: Deichmann-Bovini-Brandenburg 1967, nn. 25a, 61 (Museo Pio Cristiano) 183, 215 (S. Sebastiano), 384, 461 (S. Callisto), 680 (S. Pietro in Vaticano); per quanto riguarda la pittura, si può citare l’Abramo seduto nella visione di Mambre, nel cubicolo B dell’ipogeo di via Dino Compagni (Ferrua 1990, p. 56, ig. 49) e, per gli avori, la tavoletta con scena di Ascensione (Münich, Bayerische Nationalmuseum) e quella con le Marie al sepolcro (Milano, Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco): Tasso 2000a e Tasso 2000b, pp. 611-613. Nei codici virgiliani sono i pastori ad essere ritratti seduti sulla nuda roccia: Wright 2001, pp. 22-23. 11 Marcellino e Pietro sono rappresentati rispettivamente giovane/imberbe ed anziano/barbato anche nel pannello con i santi della catacomba di Ponziano: vd. infra nota 19. Sui due martiri romani: Acta Sanctorum, Iun. 1, pp. 167-169; BHL, K-Z, p. 776; Kennedy 1963, pp. 165-168 (raccolta delle fonti agiograiche); Amore 1952; Amore 1967; Amore 1975, pp. 110-112 ; Guyon 1987, passim e in part. pp. 387-388, 479-484. Nella chiesa intramuranea romana dei SS. Marcellino e Pietro a via Labicana, un olio di Gaetano Lapis (1706-1776) mostra il permanere nell’arte delle caratteristiche isionomiche dei santi, riprodotti nella scena del martirio nella itta boscaglia. 8 402 Fig. 4. Particolare della composizione igurata: gruppo di personaggi a sinistra (Archivio Fotograico PCAS). roccioso dell’esorcista potrebbe trovare un lato richiamo nel cippus arctissimus, di cui narra la passio dei martiri, cui Pietro era stato legato con catene durante la detenzione nell’obscurissima habitatio carceris del persecutore Artemio, da lui poi convertito12. Per quanto riguarda il seggio di Marcellino, esso si presenta invece come un trono rossastro dall’alto schienale: la seduta è resa più confortevole da un pulvinus. Il seggio poggia su un basamento-suppedaneo, di cui si decifra da minimi resti una decorazione gemmata. Il volto maggiormente conservato di Marcellino ne evidenza l’età giovanile, anch’essa elemento isionomico tradizionale di questo martire. Per quanto riguarda il breve testo dipinto su sei linee sul codice aperto (Fig. 5), preceduto da una piccola croce a bracci patenti, avevo proposto, sulla base dell’elemento a mio giudizio più probabile, la parola inale, disposta su due linee, SCRINIVM forse con nesso N+I, oppure un meno corretto SCRINVM, una costruzione transitiva e pertanto, sulla base dei resti decifrabili, suggerivo: + Hic do/[na]nt / [---] / scr/inium Per quanto riguarda i rimanenti resti di lettere, ai quali poteva essere assegnata la funzione di soggetto, probabilmente però pleonastica se si tiene conto della igurazione che dovrebbe vedere protagonisti gli eponimi del cimitero indicati dalle didascalie, oppure di apposizione attributiva dell’oggetto, già nei Rendiconti avevo evitato di intraprendere congetture troppo avventurose. Pur mantenendo sostanzial- Acta Sanctorum, Iun. 1, cc. 166-204, documenti datati da Agostino Amore da ultimo al V secolo (ma Amore 1952, c. 12, la data al VI secolo, legandola ai lavori di papa Vigilio; successivamente la anticipa al V: Amore 1975, p. 111). 12 403 Fig. 5. Dettaglio del codex aperto su leggio (Archivio Fotograico PCAS). mente questa cauta posizione di fondo, propongo in questa sede la possibilità di individuare13 nella prima parola della seconda pagina del codice le due aste esterne della lettera M, quelle della lettera A con la sua traversa ad angolo, ed inine l’estremità della coda della R, possibile abbreviatura di martyrum, quale genitivo di speciicazione dipendente da scrinium. Un resto scrittorio prima dell’ultima parola, scrinium per l’appunto, potrebbe essere interpretato o come un residuo di crocetta a bracci patenti, oppure - data l'esigua spaziatura - come un resto di numerale. La ristretta supericie scrittoria ritengo che possa essere un elemento suiciente a spiegare il ricorso a forme abbreviate inusuali, per dar modo alla parola chiave scrinium, vero fulcro semantico dell’intera composizione, di disporsi su due righe. Ho già chiarito come la parola scrinium deve piuttosto intendersi in senso proprio e materiale e quindi rimandare ad un contenitore di oggetti preziosi, ad uno scrigno, appunto, che, dato il contesto topograico ed iconograico, non può che essere stato riservato a reliquie14. A sostegno di questa interpretazione Alla riga 3 della prima pagina, le lettere C R (o meno probabilmente H) e S, separate da abrasioni, forse un residuo della parola abbreviata Cristi (Christi)? 14 Buschhausen 1971; Bordignon 2000b, pp. 146-147. Scrinium è un termine proprio della burocrazia imperiale, utilizzato in riferimento agli archivi ed ai loro custodi. Soprattutto al plurale, passa per estensione anche a signiicare gli incarichi, gli oicia dell’amministrazione imperiale o ecclesiatica (Lécrivain Ch. s.d.; de Rossi 1888, p. 63, n. 8; Mondin 2001). Per quanto riguarda gli scrittori cristiani: Tert., Ap. XIX, 2; Hier., In Matth., III, 21, 22; Cassiod., Var. XI, 38; Greg. M., Dial. I, VIII, 1; Greg. M., Ep., III, 49, in Corpus Christianorum Series Latina, 140, p. 195). Particolarmente dal periodo medievale, si hanno attestazioni del termine nel senso di «reliquiario» (du Cange, VII, p. 368; Isidori Pacensis Chronicon (VII-VIII sec.), in Patrologia Latina 96, c. 1257). 13 404 interviene - sul piano archeologico - l’apertura rettangolare al di sotto del pannello igurato, già prevista nella sistemazione originale della parete, dove doveva collocarsi il contenitore di reliquie, apertura che è stata più volte violata, come s’è detto dianzi. Dunque, la scena si conigura come una rappresentazione estremamente essenziale, in cui gli eponimi del cimitero, nelle vesti solenni di veri e propri patroni e garanti di esso, si mostrano in un atto che trova la chiave interpretativa nella frase del codex: quello scrinium e quell’ipotetico ma plausibile donant indicherebbero gli Eponimi quali protagonisti dell’accoglienza di un nuovo culto all’interno del loro cimitero, che ha il suo riferimento materiale e memoriale in un contenitore, lo scrinium appunto, di reliquie, allocato nella nicchia sottostante le pitture15. Ho già puntualizzato l’orizzonte stilistico e cronologico dei resti pittorici, in cui si rimarcano i bei volti forti, asciutti ed espressivi di tradizione romana del gruppo a sinistra, con dei punti di ainità con le pitture della basilichetta di Commodilla, che si distribuiscono, secondo le più recenti analisi degli studiosi, tra il pontiicato di Giovanni I (523-526) e l’impero di Costantino IV Pogonato (654-685): ad esempio la scena di Traditio clavium, alcuni ritratti della Maestà di Turtura ed anche il pannello con S. Luca16, ma anche con alcuni volti di santi sia a S. Maria Antiqua17, sia fra le pitture provenienti da San Saba18. Su un piano generale forti sintonie possono essere stabilite - sempre rimanendo all’ambito romano - con il pannello raigurante i santi Pollione, Pietro e Marcellino nella catacomba di Ponziano e con le pitture della fase di VI secolo della basilica inferiore di S. Crisogono19. Ma punti di assonanza signiicativi si possono rintracciare anche nei codici miniati di matrice culturale greco-orientale, ben recepita dalla civiltà artistica romana del tempo20. In sintesi, sulla base di considerazioni di ordine stilistico e iconograico, e in base ai caratteri paleograici delle didascalie dipinte21, proporrei una datazione tra il VI ed il VII secolo, con una maggiore propensione per quest’ultimo22. Come ho già detto, il culto che si andava ad introdurre doveva essere diretto ad un gruppo martiriale e non ad una singola individualità. Ciò per vari e diversi motivi: innanzitutto, il dato fornito dalle fonti agiograiche e topograiche sul cimitero, che assegnano ad esso diversi gruppi martiriali, quali i XL martiri, il XXX martiri e i IV coronati23, in secondo luogo, il fatto che il culto sia diretto ad un deposito di reliquie, Generalmente nelle catacombe si conservavano i corpi dei martiri, ivi deposti in giacitura primaria, dai quali successivamente vennero prelevate reliquie, più o meno parziali, da destinarsi a ediici di culto urbani. Sull’argomento, di recente: Hartmann 2007. Più raro è il caso di trasporto da fuori, per ragioni diverse, di corpi santi, in tutto o in parte, con successiva loro collocazione in catacomba (Leclercq 1948, c. 2305). 16 Per la traditio clavium: Deckers-Mietke-Weiland 1994, pp. 50-57; per il pannello di S. Luca, Deckers-Mietke-Weiland 1994, pp. 83-84 ; per il pannello di Turtura: Deckers-Mietke-Weiland 1994, pp. 61-65 e Minasi 2000b (ivi bibl. prec.). 17 Si confronti, ad esempio, il ritratto di papa Martino I di S. Maria Antiqua con i resti del volto di Marcellino (Nordhagen 1968, p. 43 e tav. 50). 18 Gandolfo 1989, tavv. 29-31; Andaloro 1992, p. 606. 19 Per il pannello di Ponziano: Farioli 1963, p. 19, nota 33, ig. 5 (la data, con il Cecchelli ed altri, al VI secolo); Osborne 1985, pp. 319, 321 (oscilla tra VI e VII secolo, ma considera questa datazione « …largely speculative … »); Bisconti 1998, p. 264. Per S. Crisogono: Melograni 1990, pp. 146-161. 20 Ad esempio, si confronti il presunto gruppo di soldati con i pretoriani presenti al giudizio di Pilato nel Codice purpureo di Rossano: Haseloff 1898, tav XI; Gebhardt (von)-Harnack 1880, tav. XIV. Sulla datazione, peraltro discussa tra V e VI secolo del codice: de’ Maffei 1980, p. 261. Sulla cultura bizantina a Roma: Matthiae 1987, pp. 128-132, 257-258. 21 Pur essendovi grandi diferenze di registro stilistico tra le diverse scriptae che percorrono l’afresco, le lettere si caratterizzano tutte per un accentuato uso delle apicature. Sulle iscrizioni dipinte degli afreschi tardoantichi ed altomedievali: De Spirito 1994; De Spirito 1998-1999; Supino Martini 2001, pp. 921-968. Per le scriptae del già menzionato pannello di Ponziano: Manna 1924, pp. 163-224. 22 Andaloro 1992, e p. 590, ove l’Autrice osserva che « …in anni a cavallo fra la Roma gota e la Roma bizantina ha una certa fortuna un tipo di pittura nella quale è prevalente il tono spoglio e astrattizzante…. », che forse, a giudicare dai pochi resti disponibili, si può riscontrare anche nella composizione in esame. 23 Eccetto i IV Santi Coronati, localizzabili nel cubicolo 55, al termine della lunga galleria Y (Kanzler 1914; Guyon 15 405 che meglio si prestavano a rappresentare più identità venerabili, ed inine il fatto che nell’afresco siano rappresentati, a sinistra, i resti di un gruppo di personaggi aureolati, che in una composizione così essenziale non possono certo avere una generica funzione di “sfondo” o di corteggio decorativo, e pertanto assumerebbero un ruolo quanto meno di comprimari della igurazione. A tutti questi elementi, va poi aggiunto il fatto che non ritengo casuale l’istallazione del deposito in corrispondenza dei poliandri citati all’inizio di questa comunicazione, i quali, benché allo stato presente delle ricerche si sono appurati precedenti alla nascita del cimitero cristiano, tuttavia vengono da quest’ultimo costantemente rispettati per tutto l’arco della sua espansione24. Alla luce di quanto esposto, ho tentato, mediante un disegno ricostruttivo (Fig. 6), una restituzione ipotetica della scena, nella quale Pietro esibisce lo scrinium destinato ad allargare il santorale del cimitero, mentre Marcellino arricchisce l’introduzione di ulteriori particolari, trasmessi forse attraverso le dense scriptae della sua tabula, purtroppo al momento del tutto indecifrabile, quasi fosse una sorta di autentica notarile25. Il ruolo di garanti assicurato dagli eponimi, qui nelle vesti di titolari ultimi dello ius sepulcri dell’intero cimitero, in quanto di fatto gestiscono anche la distribuzione degli spazi di sepoltura e di venerazione, ha particolare ragion d’essere nel caso dell’ammissione di reliquie cumulative, specie se provenienti da regioni lontane dell’orbe cristiano e per le quali esisteva oggettivamente la possibilità di scambi e falsiicazioni26. Propongo questo spunto per una possibile identiicazione del gruppo martiriale introdotto con il XL martiri soldati di Sebastia27. Nonostante l’invito a mantenere riunite le reliquie contenuto nel loro Testamento (la Diatheke)28, come è noto, la difusione di esse ha interessato molti centri dell’impero, e lo conferma anche S. Basilio29: Costantinopoli, Roma (con la testimonianza dell’oratorio omonimo presso S. Maria Antiqua30), Gerusalemme, cui deve aggiungersi Siracusa, dove si conserva, in un oratorio presso le catacombe di S. Lucia, un’articolata rappresentazione di questi martiri31. L’iconograia dei Martiri Sebasteni si attesta frequentemente nella rappresentazione suprema e spettacolare del momento del martirio, con i soldati denudati immersi nelle acque gelide dello stagno in cui trovarono la morte per assideramento32, ma all’atto martiriale, si accosta anche, ad esempio nell’oratorio del Foro, il momento che supera e trascende il sacriicio di sé, ossia quello della gloriicazione e dell’ammissione nel novero dei santi33, a cui si riconnetterebbe appunto la rappresentazione ad duas lauros, in cui i martiri - il cui culto era già letteralmente “esploso” in Oriente, in particolare a Costantinopoli34 - vengono presentati in una situazione funzionale al potenziamento della loro venerazione in Roma. Una scelta iconograica che può anche aver tenuto conto dell’oggettiva opportunità di certiicare, nel caso di specie, l’autenticità del deposito venerato. Si tratterebbe di un’iconograia al momento senza riscontri precisi, se non una generica ispirazione alle scene di traditio, o a quelle di dedicazione di ediici, e per la quale i primi confronti più vicini per tematica possono rintracciarsi soprattutto nelle epoche successive, pienamente medievali. E’ singolare, infatti, la 1987, pp. 399-404), gli altri due gruppi sono stati collocati da Padre Umberto M. Fasola, sulla base di elementi estremamente ipotetici, nell’ambito della regione postcostantiniana C (Fasola 1982-1984; Guyon 1987, pp. 404-406). 24 Giuliani-Castex 2006-2007, pp. 122-123. 25 Ringrazio di cuore la prof.ssa Paola Ventura, docente di disegno, per aver dato, con grande disponibilità e mediante numerosi studi preparatori, forma alle mie ipotesi nell’acquarello con pastelli su cartoncino che qui presento. 26 Leclercq 1948, cc. 2312-2313; Monaci Castagno 2008, cc. 4494-4495. 27 BHL, K-Z, pp. 1092-1093; Franchi de’ Cavalieri 1928a; Amore 1953, Amore 1968; BHG, II, pp. 97-98; sulla difusione del culto, interessanti osservazioni di: Maraval 1999, Gulowsen 2001, pp. 86-92, Gulowsen 2004. 28 BHG, II, p. 98 n. 3. 29 Bas. In XL mart., in Patrologia Graeca 31, cc. 507-526. 30 Wilpert 1916, tavv. 199-200; Tea 1937, pp. 55-58, 344-354; Gulowsen 2001, pp. 86-92, Gulowsen 2004; Brandt 2004; Kalas 2004. 31 Sgarlata-Salvo 2006, pp. 60-103. 32 Come avviene appunto nell’oratorio del Foro Romano e nell’esempio siracusano, fra le più antiche testimonianze dell’iconograia in questione. 33 Wilpert 1916, tav. 200; Tea 1937, p. 347; Kaster 1976. 34 Cfr. al riguardo in particolare le osservazioni in Maraval 1999 e Gulowsen 2001. 406 circostanza che siano relativamente scarse nel periodo più antico le igurazioni riguardanti le reliquie e le loro vicende, nonostante l’assoluta centralità che esse hanno, insieme al culto dei santi, nel modo cristiano in dai primordi di esso, come ha ben dimostrato, un nome per tutti, Peter Brown35. Per l’epoca altomedievale, può essere ricordato il celebre avorio di provenienza orientale, custodito nel Tesoro del Duomo di Treviri, di datazione discussa (ma da Delbrück circoscritta con argomenti ancora validi all’impero di Giustiniano II: 685-695, 705-711), che propone però il tema della pompa che accompagna il trasporto di reliquie36, tema che diverrà molto frequentato in epoca pienamente medievale, in rapporto alle “storie” delle diverse reliquie (le cosiddette inventiones)37. Ma a questo punto proseguire l’analisi mi porterebbe troppo al di fuori dei limiti tematici e di spazio di questo contributo38, che vuole proporsi soprattutto come un’oferta, aperta al dibattito, di possibili spunti interpretativi, nel diicile tentativo di collocare nel contesto di pertinenza una testimonianza pittorica il cui stato di conservazione consente unicamente percorsi di ricerca ipotetici. Fig. 6. Ipotesi ricostruttiva della scena del pannello superiore (realizzazione: acquarello e pastelli su cartoncino di Paola Ventura per la PCAS). Brown 1981; sulle reliquie: Dobschütz (von) 1971, cc. 541-546; Angenendt 1994; Bozóky -Helvétius (eds.) 1999; Monaci Castagno 2008. 36 Delbrück 2009, pp. 394-404. 37 Illustrate ad esempio sui portici delle grandi basiliche romane (S. Lorenzo in agro Verano, S. Pietro), giacché la basilica è locus sanctus proprio in virtù delle reliquie che conserva. Nella basilica inferiore di S. Clemente, vi è, come è noto, la scena della traslazione delle spoglie sante (di S. Clemente?) distese sul catafalco, trasportate dal Vaticano alla basilica dedicata al martire, alla presenza del ponteice Nicolò (Adriano II?), che le depone con un ricco cerimoniale. Dalla piena età medievale si potrebbero trarre altri esempi, come quelli della cattedrale di Anagni (col corteo che trasporta le spoglie di S. Magno e di S. Secondina) o quello degli splendidi rilievi del portale dell’abbazia di S. Clemente di Casauria. Altri esempi si potrebbero aggiungere da manoscritti di sacramentari, lezionari e, per l’Oriente, di menologi. 38 Desidero ringraziare il Professori Giuseppe Roma e Carlo Carletti, rispettivamente del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università della Calabria e del Dipartimento di Studi Classici e Cristiani dell’Università degli Studi di Bari, per l’invito rivoltomi a partecipare a questo importante e stimolante appuntamento congressuale e per l’ottima organizzazione dei lavori. 35 407 Bibliografia Amore A. 1952, Marcellino e Pietro, santi, martiri, in Enciclopedia Cattolica, VIII, Roma, cc. 11-12. Amore A. 1953, Quaranta Martiri di Sebastia, in Enciclopedia Cattolica, X, Roma, cc. 375-376. Amore A. 1967, Marcellino e Pietro, santi, martiri di Roma, in Bibliotheca Sanctorum, VIII, Roma, coll. 657658. 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