Notiziario Archeologico
della Soprintendenza di Palermo
2/2016
a cura della Sezione Archeologica della Soprintendenza per i
Beni culturali e ambientali di Palermo
La diocesi di Cefalù tra alto e basso medioevo
dati storici ed archeologici a confronto
Antonio Alfano
This paper focuses on the territory of the Diocese of Cefalù during
the Norman and Swabian reigns, with the presence of numerous
ecclesiastical institutions set up following the immigration of latin
colonists from Italy and Europe. The diocese was founded during
the reign of Leo III the Isaurian in conjunction with the allocation
of a military contingent in a pattern known in Calabria and Asia
Minor. In 1132 Roger II created the Diocese of Cefalù separating the
territory from Messina. The goal of the following research is to
present the Norman’s bound of diocese, showing the existence of
several extra,territorial property. At the end of this paper we will
consider some religious buildings located along the eastern border,
unfortunately poorly preserved, but also tangible sign of the prestigious
past of the Diocese of Cefalù in the Middle Ages.
Il presente contributo trae spunto dalla elaborazione della tesi di specializzazione in Archeologia Medievale,
discussa nell’a.a. 2009(2010 presso l’Università degli Studi “Sapienza” di Roma1. A distanza di qualche anno,
non sono stati affrontati studi sul territorio madonita nel medioevo e ciò che presenteremo, può ritenersi
aggiornato. Attraverso lo studio di quanto già edito sulle vicende storiche della diocesi, tenteremo di unificare il
dato noto da fonti e toponomastica con quello recuperato archeologicamente. Ritenendo che la storia di un
territorio passi attraverso la storia del suo popolamento, si è cercato di evidenziare l’importanza complessiva
dell’area madonita. Durante il processo di elaborazione della tesi abbiamo infatti tracciato un quadro generale
delle attestazioni archeologiche note a partire dal VI secolo nell’immenso territorio diocesano, che sebbene
delineato in età normanna, ha costituito l’area di studio cui riferirsi. In linea con le ricerche di superficie degli
ultimi anni in Sicilia2, si è operata una ricognizione asistematica concentrando l’attenzione sulle evidenze
monumentali superstiti allo stato di rudere, siano esse, chiese, castelli, mulini. L’immediato areale circostante i
monumenti individuati è stato sottoposto infine a metodologia sistematica raccogliendo tramite campionatura i
materiali archeologici. Anticipando brevemente le conclusioni, ci si è resi conti che quasi in tutti i casi, i luoghi
occupati da monumenti medievali sono stati frequentati nel passato più o meno recente ed a volte durante
l’Eneolitico o l’Età del Bronzo Medio. Ad accompagnare il testo, una serie di carte ed elaborazioni grafiche
realizzate in ambiente GIS.
La prima attestazione documentaria di Cefalù come sede vescovile risale all’ VIII secolo quando risulta
suffraganea della metropolita Siracusa, capitale della Sicilia bizantina3. L’unico nome attestato di un vescovo è
1
A. Alfano, La diocesi di Cefalù in età Normanna e Sveva: proposta di un GIS per il territorio (rel. Prof.ssa F.R. Stasolla).
Cfr. i numerosi contributi in NEF – ARDIZZONE 2014.
CARRA 1992, p. 66; MAURICI 1994, p. 38 e nota 97; PARTHEY 1866, Notitia 1, p. 76, n° 582; Notitia 3, p. 129, n° 717; Notitia 8, p. 171, n° 248; Notitia
9, p. 186, n° 157. In questi ultimi anni la periodizzazione storica legata alle diverse culture che si sono susseguite in Sicilia è stata abbandonata è si è
preferito adottare i termini di tardaoantico ed alto medioevo. In senso strettamante cronologico il tardoantico va dall’età costantiniana alla costituzione del
thema di Sicilia (IV – fine VII); la fase altomedievale abbraccia in pieno VIII e IX secolo. Tale considerazione ha fatto superare la divisione tra età
bizantina ed età islamica. Su queste considerazioni di carattere storico cfr. NEF - PRIGENT 2006. Anche per quanto riguarda la ricerca archeologica la
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Niceta, che era stato presente a Costantinopoli durante la riunione per l’VIII concilio ecumenico nell’ 8694.
Sempre nel IX secolo è attestato un anonimo topotereta di città in qualità di capo del contingente militare
distaccato dell’armata centrale di Costantinopoli. L’importanza di questa figura è duplice e legata sia ai rapporti
con l’impero che al ruolo centrale della Sicilia. Topotereti di città5 sono attestati infatti solo in Tracia e nel thema
di Sicilia, luoghi di importanza militare strategica che necessitavano di un tipo di difesa particolare. Il ruolo
cruciale di Cefalù e del suo territorio sulla costa tirrenica a metà strada tra Palermo e Messina, suggerisce inoltre
una specifica volontà di controllo6. Nonostante queste poche informazioni le evidenze archeologiche ci aiutano a
definire ed ampliare il discorso sulla cittadina anche in epoche precedenti.
Nata come frourion alla fine del V sec. a.C. forse in relazione alla distruzione cartaginese del 409 a.C. di
Himera, ebbe un notevole sviluppo in età ellenistica ed ancor più in quella romana come documentano gli
impianti stradali urbani e la ricchezza delle necropoli7. La cinta muraria in opera poligonale, databile agli anni di
fondazione della cittadina, risulta ancora in uso nel VII secolo come documentano i restauri ed i rifacimenti in
pietrame minuto di diversi settori8. A seguito degli scavi archeologici al Duomo di Cefalù si è ipotizzato di
anticipare la creazione della diocesi ad un periodo anteriore al secolo VIII, ma tale proposta risulta di difficile
accoglimento in mancanza di indagini estensive9. Ad avallare l’ipotesi altomedievale, l’assenza di Cefalù dalle
lettere di Papa Gregorio Magno (590(604) e le poche notizie sulle sedi confinanti più vicine: Termini ad ovest ed
Alesa ad est. Tutte e due sono però documentate dalla metà del VII e la loro nascita è certamente da attribuire
agli anni del regno dell’Imperatore Eraclio10. La costituzione della diocesi è da ricercare negli eventi iniziali del
secolo VIII quando, intorno al 732(733 d.C., avviene una rioganizzazione ecclesiastica dell’Italia del sud per
volontà dell’imperatore Leone III Isaurico. Com’è noto il sovrano sottrae l’Italia del sud e l’Illirico all’autorità dei
pontefici romani e pone le due regioni sotto l’influenza del patriarcato di Costantinopoli. Sia in Calabria che in
Sicilia l’imperatore è promotore di “un’attiva politica di fondazione episcopale” ed è possibile che la diocesi di
Cefalù sia nata in quegli anni11. Ad avallare questa ipotesi è la costituzione dei vescovadi di Trapani, Amantea,
Nicopolis e Rossano, quest’ultimi in Calabria, che avviene negli stessi anni. Questo, secondo il Prigent, rimanda
ad un modello di vescovado fortificato ed avocazione strategica noto anche in Tracia ed Asia Minore cui si
aggiungerebbe la presenza dei topotereti12.
Con l’inizio dell’invasione arabo(musulmana diversi cronisti ci presentano Cefalù quale centro fortificato
strategicamente importante sia per il controllo della costa che per l’area delle Madonie. Un primo assedio alla
città avviene tra l’836 e l’837 ma i Musulmani furono costretti alla ritirata. Tra l’857 e l’858 la città cade in mano
ai conquistatori ma tutti i cittadini furono risparmiati e posti nelle condizioni di allontanarsi liberamente
sebbene la fortezza fosse distrutta13. La città costituiva lo sbocco a mare sul Tirreno di Castrogiovanni(Enna
punto nevralgico della difesa bizantina e capitolata un anno dopo Cefalù14. Questa continuava ad essere
periodizzazione rimane valida e verificata grazie agli scavi stratigrafici degli ultimi anni. Cfr. da ultimo ARCIFA 2010 con bibliografia precedente ed
aggiornata.
KEHR – GIRGERSHON 1975, p. 362. Tale notizia risulta molto interessante in considerazione del fatto che la città era già caduta in mano musulmana da
un decennio. Sempre nel IX secolo è noto un anonimo topotereta di Cefalù. Questi funzionari dell’amministrazione bizantina erano i rappresentanti delle
sedi patriarcali ai concili ecumenici: PRIGENT 2006, p. 149.
In altre zone dell’impero sono noti topotereti ecclesiastici ovvero rappresentanti delle sedi patriarcali durante i concili ecumenici.
La funzione principale dei contingenti militari guidati da un topotereta di città fu, per la Sicilia, quella di difendere gli interessi italiani dell’impero. La
creazione di queste figure è inoltre legata alle prime incursioni degli arabo-musulmani: PRIGENT 2006, p. 155.
TULLIO 1993.
TULLIO 1993-94, p. 1216.
TULLIO 1974, p. 129; Id. 1985, pp. 43 sgg. Il mosaico e le pertinenze del probabile edificio di culto appartengono allo Strato V (individuato durante
l’esplorazione). Il nartece è costituito da un tratto di muro orientato E-O realizzato in doppio paramento di ciottoli, parzialmente sbozzati e legati da malta
di colore bianco, con entrambe le facce intonacate. Cfr. anche TULLIO 2006, p. 31, fig. 12. Sulle sepolture cfr. TULLIO 1985, p. 45, fig. 40. Interessante è
notare come la sacralità del luogo sia rimasta inalterata attraverso i secoli considerando che il luogo verl’area sarà scelta per la costruzione della cattedrale
normanna. Analoghe raffigurazioni sono presenti in mosaici datati al VI secolo soprattutto in area africana, che fanno intendere ancora una volta come la
Sicilia sia parte integrante di un sistema mediterraneo in piena attività legato al commercio transmarino. Sui mosaici di confronto: TULLIO 1985, p. 48. Sul
ruolo centrale della Sicilia in età bizantina valgono ancora le conclusioni di André Guillou: GUILLOU 1975-76. Per un aggiornamento anche bibliografico
cfr. KISLINGER 2002; NEF – PRIGENT 2006. CARRA 1985, pp. 136-140; TULLIO 1994, pp. 57-59. Per altri materiali archeologici riferibili a questo periodo
cfr. TULLIO 2006, p. 21 e note 26-28. Tra i rinvenimenti più interessanti è da segnalare il sigillo plumbeo del patrizio e diochete Antioco di cui si
conoscono altri sigilli datati alla prima metà dell’VIII sec. Cfr. CARRA 1988, p. 62. Sul nostro sigillo, datato al secondo quarto dell’VIII secolo cfr.
KISLINGER – SEIBT 1998, pp. 15-17.
PRIGENT 2014, p. 95. Un calunniosus episcopus Alesae è documentato al concilio lateranense del 649. Altri due vescovi sono noti fino alla seconda
metà del IX secolo: PETTINEO – RAGONESE 2003, p. 9. A Termini i vescovi Pasquale e Giovanni sono documentati rispettivamente ai concili lateranensi
del 649 e del 680 ma la ricerca archeologica degli ultimi anni non ha portato alla scoperta di alcun edificio ecclesiastico e la consistenza insediativa di età
bizantina è molto labile: BELVEDERE et alii 1993; MAURICI 1994, p. 42.
PRIGENT 2009, pp. 223-225.
PRIGENT 2014, p. 96.
AMARI 1854, I, p. 307 e p. 325; PERI 1952-53, pp. 60-61.
Il Maurici ritiene proprio che la caduta di Enna sia stata favorita dalla presa di Cefalù a nord e di Butera ad est per tagliare rispettivamente gli
approvvigionamenti ed i contatti con la capitale Siracusa: MAURICI 1994, p. 39.
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considerata sede vescovile, forse affidata a Reggio Calabria insieme alle altre sedi isolane dopo la caduta di
Siracusa nell’878. In questo senso si spiega la presenza del vescovo Niceta nell’869, dieci anni dopo la caduta, e
nel secolo XI l’arcivescovo di Reggio indicato come metropolita di Calabria e Sicilia15.
In età islamica, infine Cefalù e Caltavuturo sono presenti tra le ‘città’ (mudūn) menzionate dal geografo Al(
Muqqadasī intorno al 98816. Concludendo il discorso sulla diocesi in età altomedievale passiamo a delineare un
quadro generale per il periodo compreso tra la conquista normanna (1063) e la morte di Federico II (1250). Le
prime attestazioni documentarie di età normanna sono riferibili al 1081 – 1082 quando il conquistatore Ruggero
I assegnava Cephalud insieme agli altri abitati delle Madonie e dei Nebrodi alla istituita diocesi di Troina
comprendendo un territorio vastissimo che dalla costa ionica giungeva ad flumen Gorcae (l’odierno Torto)17.
Qualche anno più tardi, nel 1096, lo stesso Ruggero univa Troina a Messina e manteneva inalterati i confini
territoriali: “…vadit per maritimam usque ad flumen Tortum et ascendit per flumen usque ad caput ejusdem
unde ipsum flumen exit, et revertitur ad magnam viam Francigenam Castrinovi et vadit ex illa parte ad
montem S. Petri et vadit ad tres pereiros et descendit ad flumen Salsum de Nicosi…”18. Il passo riporta le stesse
informazioni che erano già presenti nella definizione territoriale del vescovado di Agrigento nato nel 1093,
toponimi oggi rintracciabili nell’area tra Caltavuturo e Petralia che definivano i confini con la diocesi di Troina19.
All’inizio del regno di Ruggero II, nel 1121, un certo Raoul risulta dominus di Cefalù ma, appena dieci anni dopo
ritorna al demanio regio ed è eletta a sede di vescovado20. In realtà la politica ecclesiastica di Ruggero II era
finalizzata ad avere un controllo capillare sul territorio e sulla gerarchia ecclesiastica, tanto che nello stesso anno
(1131) vengono scorporate da Messina le diocesi di Cefalù e Lipari(Patti con una divisione quasi equa
dell’estensione territoriale ed un più capillare controllo delle zone montuose dove nel frattempo erano fiorite
realtà religiose di tutto rispetto. Qualche tempo fa Salvatore Tramontana affermava che “negli anni di Ruggero
II mancava ancora una vera e propria rete di chiese e cappelle rurali sorte, se non sempre e non solo per favorire
processi di colonizzazione o assicurarne la continuità, certamente per offrire alla gente delle campagne un
quadro amministrativo e religioso che garantisse la regolarità dei servizi divini e della liturgia sacramentale,
messa, preghiere, battesimo, confessione, matrimonio, commemorazione e culto dei morti e che rafforzasse il
potere dei signori ed accelerasse nelle zone con larga presenza musulmana le conversioni” 21. Questa
affermazione va in qualche modo corretta poiché in realtà sono diversi ed articolati gli insediamenti religiosi
sorti nel territorio madonita e distribuiti lungo assi viari funzionali anche alle politiche commerciali ed
espansionistiche del regno. Certamente altre aree dell’isola sono interessate da una maggiore presenza nel
territorio di chiese o monasteri, come il territorio dei monti Nebrodi, ma è comunque fondamentale impostare
le linee di ricerca sulla consapevolezza che la ricchezza economica del territorio oggetto del nostro studio
costituiva la base di sostentamento ed accrescimento delle numerose fondazioni religiose22. Al controllo
ecclesiastico del territorio si coniuga la riorganizzazione del sistema viario volto al raggiungimento delle località
più impervie ed all’attraversamento trasversale del territorio isolano23. Il 14 settembre 1131 l’antipapa Anacleto
II creò il vescovado di Cefalù suffraganeo dell’arcidiocesi dei Messina e con un controllo di fatto sulla fondazione
agostiniana di Bagnara Calabra, da cui proveniva il primo vescovo Jocelmo e a cui si riferì Ruggero II per la
creazione del nuovo clero24. Tale fondazione risponderebbe alla riaffermazione della presenza del potere reale
D’ALESSANDRO 1985, p. 9.
La lista delle città è sicuramente incompleta ed integrabile con le fonti della prima età normanna per apprezzare il panorama più ampio possibile
relativamente alla storia del popolamento. Maurici 1988-89, p. 20.
PIRRI 1733, I, p. 495; STARRABBA 1893, pp. 46-48.
PIRRI 1733, I, p. 382 sgg.
I tres pereiros corrisponderebbero ad Pira subtus Petra Heliae sovrastato da un altum montem qui est supra Pyra riconosciuto in Monte Corvo m 1241
slm proprio sopra c.da Peri: CARRA et alii 2007, p. 1945; Una volta superate le sorgenti del fiume Torto il confine proseguiva per la cosiddetta via
Palermo-Messina per le montagne, oggi corrispondente alla SS 120, che tocca tutti i centri pedemontani fino a raggiungere Messina. La stessa strada è poi
attestata dal viaggiatore arabo Idrisi nel 1154. Il percorso descritto da quest’ultimo toccava Palermo, Termini, Caccamo, Pittirana, Sclafani, Caltavuturo,
Polizzi, Petralia, Gangi, Sperlinga, Nicosia, Troina, Maniace e Randazzo. Da qui si valicavano i Nebrodi ed il percorso si biforcava verso Montalbano e
Messina per raggiungere il tirreno, oppure si avanzava verso lo Ionio attraverso Moio, Castiglione, Mascali, Taormina, Messina. ARLOTTA 2005, p. 863,
nota 112 e pp. 866-868, nota 115; RIZZITANO 1994, pp. 32, 36, 48, 60-62. PERI 1955, PP. 627-660.
GARUFI 1940, pp. 89-90; VALENZIANO 1979, p. 6
TRAMONTANA 1977, p. 173.
Sul territorio dei Nebrodi per un possibile termine di paragone cfr. NEF 2005; Congresso Messina 1983; SCADUTO 1947.
Il prezzo da pagare per la Legazia Apostolica era un controllo ecclesiastico nominale del territorio che doveva sottostare alla regalità normanna. La
chiesa latina di Roma aveva ottenuto un’isola ricca e politicamente centrale ma doveva scontare le libertà dei conquistatori. Sulle fondazioni in età
normanna e sul rapporto tra potere regio e potere ecclesiatico: CORRAO - D’ALESSANDRO 1994; FODALE 1995 e FONSECA 1987. La prerogativa per la
Sicilia e la Calabria è concessa da Papa Urbano II nel 1098 al conte Ruggero: MALATERRA, libro IV, cap. XXIX, pp. 343–346. Su Cefalù GIUNTA 1979,
p. 17.
WHITE 1984, p. 296.
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tra l’antica capitale dei normanni Messina e la nuova, Palermo25. Nell’ottobre dello stesso anno Ugo arcivescovo
di Messina definisce l’elenco degli abitati che da quel momento avrebbero fatto capo a Cefalù: …Donamus
siquidem, atque authorizamus, iam dicte ecclesie in diocesi nostra ipsum Cephaludum cum omnibus
pertinentiis suis, Amistretum cum suis, Tosam cum suis, Polenam cum suis, Grateram cum suis, Roccam asini
cum suis, Golesanum cum suis, Policium cum suis, Calatabuturum cum suis, Sclafanam cum suis, Alcusam
cum suis, et ut flumen Tortum incipit et ad mare descendit, et a mari usque Cephaludum, et omnia que infra
consistunt cum universo iure episcopali26. Purtroppo questa informazione non fornisce notizie precise sui limiti
del territorio ma ci da informazioni sulle località di pertinenza diocesana da cui probabilmente si traevano le
decime27. Secondo il White le dotazioni alla chiesa di Cefalù avvennero dopo l’innalzamento ufficiale a
vescovado e per questo una ricognizione dei confini fu ordinata da Ruggero II all’ammiraglio Giorgio
d’Antiochia nel febbraio del 1132 (fig. 1).
Il documento costituisce l’unica testimonianza della reale consistenza del territorio diocesano iniziale ed è
per questo oggetto di una serie di considerazioni che ci apprestiamo a fare.
!
Cominciamo col riportare la parte che interessa:
Incipit enim a via ubi est quadrivium unde procedit via que ducit petraliam et castronovum et biccarum
et panormum et hic est finis eiusdem divisionis a parte orientis. Inde discendi per vallem respicientem ad
occidentem et hec vallis est versus orientem de casali Sankeci et discendi sicut predictum est ad occidentem
usque ad vallem super mandram zumac et inde ascendit per semitam respiciendo ad occidentem usque ad
viam qua venitur ab agrigento, et sabuco, et ducit panormum. Inde dividitur predicta semita et descendit ad
occidentem usque ad vallem ubi est quidam vallo et preterit vallonem ipsum et ascendit per vallem usque ad
portam que dicitur rupes cervorum et predicta rupes est a parte meridiei in ipsis terris et de casali quod
nominatur Rahal Ray.
A predicta autem rupe reveritur respiciendo ad orientem et preterit vallonem et ascendit per serram
usque ad rupem que dicitur Themum et inde dividit terras per medium usque ad verticem excelsi montis qui
respicit super casale Rahal Ray et est iste mons a parte meridiei in prefato casali et inde descendit per serram
ad gar gazum et quot aque descendunt a parte orientis sunt episcopatus et quot aque descendunt a parte
occidentis sunt Luce de melli. Inde descendit usque ad vallonem respicientem ab oriente gar gazum et ille vallo
recipit aquam descendentem a fonte qui est in casali Rahal Ray et inde preterit vallonem usque ad vallem
prope existentem et ascendit vallis ipsa ad orientem Rahal Ray usque ad verticem montis qui est in capite
NEF 2003, p. 184.
PIRRI 1733, I, p. 389; VALENZIANO 1979, p. 6. Nell’ordine le località moderne sono: Cefalù, Mistretta, Tusa, Pollina, Gratteri, Isnello, Collesano,
Polizzi Generosa, Caltavuturo, Sclafani e Alcusa. Quest’ultima non rintracciata sul terreno si presume fosse nell’area tra Cerda e Aliminusa: cfr. CUCCO
2007.
In tutte le conferme successive l’elenco presentato rimane inalterato e si aggiungono diverse chiese e casali: VALENZIANO 1979; Id. 1987; WHITE 1984,
pp. 292-315.
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predicte vallis ascendendo per montem ipsum usque ad pedem montis qui est super fontem Rahal Ray et inde
vadit ad parvam vallem que ascendit usque ad magnam via qua venitur Petralia scilicet in loco qui dicitur
hager ben challuf et inde vadit ad viam usque ad campum a parte orientis ad fontem qui dicitur ayn lanreb et
descendit per vallem que est a parte meridiei usque ad hager mengel et usque ad haiar lifac descendendo per
vallem ipsam usque ad flumen Tortum et inde descendit per flumen ipsum usque ad pantanum quod est in
parte orientis ad chandac harse et usque ad viam que est ab oriente in monte excelso et inde preterit per viam
viam usque ad viam quadruvii unde incepit predicta divisa et ita concluditor supradicta divisa28.
Nonostante i rilevanti dati di carattere toponomastico possiamo rintracciare solo alcuni toponimi utili
comunque a dare una definizione d’insieme dei confini.
Il quadrivium in cui si incrociano le vie per Petralia, Castronovo, Vicari e Palermo corrisponderebbe
all’odierno quadrivio di Brignoli, chiamato così per la vicinanza della masseria omonima, in cui le odierne SP 53
ed SP 8 procedono rispettivamente per Vicari, Castronovo e Petralia giungendo alla SS 120 che abbiamo già
visto essere il probabile tracciato per la via Palermo(Messina per le montagne29.
L’abitato di Sankeci o Sankegi sarebbe da localizzare nei pressi di Vallelunga30 mentre Mandram Zumac,
oggi Masseria Mandragiumenta, si trova a circa 1 km a sud del quadrivio. Altro abitato identificato è Rahal Ray,
localizzabile in c.da Regalsciacca a circa 4 km da Castronovo di Sicilia e menzionato nel documento ben cinque
volte31. Indicazione viaria fondamentale è la magnam viam riconducibile alla stessa magnam viam
Francigenam Castrinovi nota già nel 1096 nei confini della diocesi di Messina che attraversava il Torto nella
zona di Alia e proseguiva per Petralia ed ancora attraverso i monti Nebrodi. Il percorso era d’importanza
regionale perché utilizzato anche dai pellegrini che si dirigevano verso Messina prima di partire per Roma,
Gerusalemme o Santiago. Pantanum si riferisce ad un luogo acquitrinoso nei pressi dell’odierna Campofelice di
Roccella da cui parte il confine della divisa oggetto di alcune controversie tra il potere regio e la sfera
ecclesiastica32. Nel nostro caso la località costituirebbe il confine occidentale del primitivo territorio di
pertinenza diocesana. Harse è infine da collegare al Casale di Carsa (Arsa, Harsa), per metà di pertinenza
vescovile. La prima menzione si ottiene dalla bolla pontificia di Alessandro III del 116933 con l’elenco dei beni e
dei diritti vescovili, ma è probabile che il casale fosse già stato donato da re Ruggero II nel 113234. Il territorio
del casale era sicuramente tra i più importanti in possesso della diocesi sia per la sua posizione geografica sia
perché nel corso di tutta l’età normanna e sveva fu oggetto di controversie di natura amministrativa. Ricadeva in
un’area che andava dal fiume Torto fino al fiume Platani nei pressi di Cammarata toccando i confini di una serie
di abitati più o meno grandi; era percorso da un reticolo viario molto articolato che comprendeva gli
attraversamenti verso Agrigento ed i percorsi da e verso il complesso montuoso delle Madonie.
Una prima definizione ci viene da un diploma del 117635 in cui si evince che la parte di pertinenza diocesana
andava dal fiume Torto alla via di Castronovo fino alla masseria Mandragiumenta36 ed al quadrivio di Brignoli.
Il documento riporta tutta una serie di informazioni toponomastiche oggi difficilmente riscontrabili ma
costituisce uno spaccato sulla feudalità in età normanna rendendo diversi dati sulla natura e la consistenza degli
abitati37. L’importanza di questo territorio si apprezza dai documenti successivi in cui si riportano le ricognizioni
dei confini e le delimitazioni con gli abitati vicini; tra questi un diploma del 1189 con una controversia tra i
contadini del casale di Carsa e di quello di Ottumarrano38 ed uno del 1290 che riporta i confini dell’intero
Il testo era sia in greco che in latino ma del primo la pergamena è ridotta in brandelli: SPATA 1862, pp. 423-428.
Nel 1188 il quadrivium è ancora preso come riferimento per la definizione dei confini di alcune terre presso Vicari dove si trovava il casale di Arsa o
Carsa già donato alla diocesi nel 1132: GARUFI 1898, p. 151-153; Id. 1940, pp. 36-37; WHITE 1984, p. 435-437.
BRESC - D’ANGELO 1972, p. 401. Lo stesso risulta abbandonato nel 1188: WHITE 1984, p. 436.
BRESC - D’ANGELO 1972, p. 400; MAURICI 1998, p. 100. Nell’area di Regalsciacca sono note diverse tombe rupestri frequentate in età tardo antica e
poste in relazione alla presenza di piccoli nuclei abitativi o fattorie: GIUSTOLISI 1999, pp. 98-122. La contrada si trova ad sud-ovest del fiume Torto a
circa 5 km ed intorno al 1340 si ricorda il feudo che aveva un’estensione molto vasta. L’importanza della zona è giustificata dalla presenza della via
francigena che attraversava l’area.
La terra de Pantano sarà concessa alla chiesa di Cefalù ne nel 1153. Con questa concessione vi è la volontà precisa di ampliare il patrimonio
ecclesiastico nei pressi della Roccella: NOTO 1980, p. 85 e p. 90. È anche possibile che il pantanum indicato nel diploma non corrisponda al luogo nei
pressi della Roccella ma sia identificabile in generale con un luogo acquitrinoso.
Casale de Arsa cum omnibus pertinentiis suis: GARUFI 1899, p. 113; MIRTO 1972, pp. 37, 157.
Questo si evince da un diploma del 1188 in cui si ricorda che il casale era ex dono domini gloriosi Regis Rogerii beate memorie: GARUFI 1898, p. 151;
WHITE 1984, pp. 435-437.
Il documento è noto attraverso un transunto del 1286: SPATA 1862, p. 452.
L’inchiesta che compare nel documento si era resa necessaria a seguito dei contrasti tra i contadini cristiani e quelli musulmani. I confini vengono
infatti riportati due volte per accogliere le informazioni da entrambe le parti. Per questo il toponimo Mandragiumenta risulta essere mandram zumach e
demnec zemmach.
Nel diploma compaiono: Biccaro, Bonifato, Calatabuturo, Camarata, Casaba, Cassaro, Chiminna, Cuscasino, Gurfa, Michiken, Policio, Petralia,
Yhale, Zyet. Per la maggiore parte di questi il documento è l’unico che li riporta per tutta l’età medievale.
I toponimi moderni sono Garcia e Tumarrano. Cfr. WHITE 1984, pp. 438-439. Sui casali dell’area di Valledolmo: GRANATA 1982, pp. 9-10.
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tenimento39. Da un esame sommario dei dati toponomastici presentati nel documento, possiamo subito
affermare che il territorio descritto corrisponde solo in minima parte a quello che in seguito sarà di pertinenza
diocesana e corrispondente all’area che dal fiume Torto si spinge verso est fino a Campofelice di Roccella a nord
e Caltavuturo ( Polizzi a sud. Considerando che la diocesi era stata creata da pochi mesi è probabile che la
definizione dei confini rispecchi la volontà di rendere disponibile nell’immediato un territorio fertile
assicurandone i proventi al clero appena costituito.
L’affermazione risulta accettabile analizzando altri documenti in cui il territorio diocesano risulta
notevolmente più ampio e ricco sia in beni che in diritti. Tra questi analizziamo un diploma del 1145 in cui
alcuni giustizieri regi intervengono su richiesta del re nella definizione delle divise della chiesa di Cefalù e quelle
delle terre di Gratteri. Il documento si è conservato in modo parziale ma è comunque un utile strumento di
riflessione poiché fornisce una serie di dati toponomastici rimasti pressoché inalterati sino ad oggi. Riportiamo
come prima il passo che interessa:
Itaque convocatis subscriptis ydoneis viri set prudentibus quorum verbis credendum erat ut nostris qui
comprehenderunt certa loca finium predictorum silicet de Petralia et Grateria et Golisano et Cestudo.
Postquam circuivimus et confidavimus studiose ipsas divisas predicte ecclesie discrevimus hoc modo terminis
suis terras eius videlicet quod ascenditur a mari per flumen gratere usque ubi eidem continuatur flumen
sancti yconij. A quo ascenditur per idem flumen gratere ad orientem ut similiter ei continuatur flumen rahal
batal. Inde ad orientem ut dictum est ascenditur per idem flumen usque dum itur in quondam vallonem
montis pilati qui protenditur versus meridiem et per eumdem vallonem usque ubi ulmi sunt et inde in rupem
quamdam in pede montis pilati et inde ascendendo versus orientem itur ad cristam ubi sunt olivastri.
Postmodum obliquando versus meridiem usque ad….ecclesia.…ubi.…similiter olivastri exinde ad viam ubi
olivastri.…descenditur per quemdam vallonem versus orientem per quem vallone usque ad
pantanum.…solicum et inde ad lapidem que est in via que dicitur.…inde ad quemdam lapidem forcuta montis
Gibilmagne a quo.… pantanulum et inde versus orientem.…rupem eiusdem….a qua descenditur ad fontem
frigidam.…et inde per signa ficorum….usque ad vallonem.…inde ad petram.…in pede rupi Cessudi et inde ad
vineam.…usque.…obliquando versus meridiem per serram serram pervenitur ad serronem super vineis
Casudi et inde super terras….ad quoddam pantanulum a quo vadit versus orientem qua pendente versus
aquilonem per serronem usque ad cacumen montis michine a quo ad collem Sorbi et indem per cristam montis
aqui et inde per terras Ursonis vicecomitis per quemdam serram usque ubi est coacervus lapidum fixorum in
divisione….descenditur per vallonem qui dicitur…qui respicit ad aquilonem silicet per vallonem vallonem
calamidorum usque per pedem montis rotundi ubi continuatur alii valloni….per quem vallonem Malpertus
pervenitur a mare40.
Oltre ad una serie di preziose informazioni utili alla ricostruzione dell’ambiente geografico delle Madonie in
età normanna, si hanno delle delimitazioni precise per quanto riguarda il territorio di proprietà ecclesiastica
confinante con quello dei signori di Petralia, Gratteri, Collesano e Cestudo41. Partendo da ovest si riconoscono il
flumen sancti yconij42 ed il flumen gratere oggi rispettivamente torrente Armizzo e torrente Piletto; seguendo il
percorso di quest’ultimo, si raggiungono le pendici di Pizzo Punti (m 1200 slm) e Pizzo Dipilo (m 1385 slm) a
sud di Gratteri, forse identificabile con il montis Pilati. Di sicura identificazione è il montis Gibilmagne, oggi
Pizzo Sant’Angelo, alle cui pendici si trovano il monastero e la piccola frazione di Gibilmanna43.
LA MANTIA 1917, p. 482, doc. 204 e p. 510 doc. 212. Questo diploma esula dalla nostra analisi poiché datato al periodo aragonese ma risulta comunque
di interesse per i dati toponomastici sicuramente rimasti inalterati da età normanna. Tra le informazioni più interessanti si ricordano la pietra detta “de
Palumbis” oggi Roccapalumba nei pressi del fiume Torto e la “crux viarum” che viene da Caltavuturo e va a Cammarata corrispondente al quadrivio di
Brignoli dei documenti precedenti.
Il fiume Rahal batal indica la probabile presenza di un abitato. Cfr. GARUFI 1899, p. 57; Cfr. anche BRESC-D’ANGELO 1972. Lapidum fixorum sono le
pietraie delle creste montuose delle Madonie: CORRAO 1988, p. 357-358. Sull’intero documento GARUFI 1899, pp. 57-59.
Sulle signorie feudali in area madonita cfr. PERI 1952, Id. 1952-53, Id. 1955. L’arrivo dei cavalieri Normanni è fondamentale per la riorganizzazione
del territorio voluta fortemente dal potere regio ed è proprio al rapporto che intercorreva tra queste forze e la sfera ecclesiastica latina che si deve ricorrere
per ricostruire la crescita e lo sviluppo della Sicilia nord-occidentale.
La chiesa di Sant’ Icono – San Cono fu consacrata nel 1148 dal Vescovo Stefano di Mileto e compare nella bolla pontificia di Alessandro III del 1178
tra le conferme alla chiesa di Cefalù: CUSA 1868-1882 p. 481 e 718; MIRTO 1972, p. 159; SPATA 1862, p. 431. Il documento preso in esame attesta che
probabilmente nel 1145 la chiesa era già costruita ma non consacrata. Per quel periodo il signore delle terre di Gratteri è Camerino Gastanel: AA.VV.
2001, p. 327; PERI 1952-53, p. 239.
La località è nota dal 1087 come di pertinenza della diocesi di Messina e probabilmente rimarrà tale per tutta l’età normanna e sveva poiché non è citata
in nessuna delle conferme della diocesi di Cefalù: AMICO 1888, p. 2, 26, 50, 65. In possesso di Cefalù è invece la chiesa di Santa Maria de Zibelmagno
presente nel 1178 nella bolla di Papa Alessandro II ed in tutte le conferme successive: 1178: CUSA 1882 p. 481 e 718; MIRTO 1972, p. 159; PIRRI 1733, II,
p. 803; SPATA 1862, p. 431; 1190: GARUFI 1899, p. 234; MIRTO 1972, p. 168; 1228: PIRRI 1733, II, p. 806; 1223: MIRTO 1972, pp. 140 e 203; NOTO 1980,
p. 210. Sul Pizzo Sant’Angelo, a seguito di una ricognizione sono state individuate tracce archeologiche relative ad un insediamento di età ellenistica
posto in relazione con il frourion di Cefalù distante circa 6 km in linea d’aria verso nord: TULLIO 1985a, p. 100. Per il rapporto tra Gratteri, Gibilmanna e
Cefalù cfr. PORTERA 1978, p. 86 sgg.
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Prima del montis Gibilmagne il documento riporta l’esistenza di una via che potrebbe essere l’attuale S.P.
54 bis che ricalca in parte il tracciato della Regia Trazzera n. 115 e l’odierno confine comunale tra Cefalù e
Gratteri. Il confine continuava lasciando ad est il feudo di Tudino, Casudi, appartenente a Gratteri, e
raggiungendo il vallonem Malpertus. Da qui a mare seguendo il corso dell’odierno torrente Malpertugio si
chiudeva la divisa44. Proprio al torrente Malpertugio terminavano i confini orientali diocesani almeno fino al
1159, quando il territorio dell’abitato di Pollina risulta in possesso della chiesa di Cefalù (fig. 2).
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Come abbiamo visto, nel documento di fondazione della diocesi (1131), il territorio di Pollina risulta tra
quelli sui quali venivano pagate le decime alla chiesa di Cefalù e nel 1137 il signore di quelle terre è Roberto di
Montescaglioso, dominator terrae pollae45. Tra questa data ed il 1159 anche il territorio di Pollina rientra tra
quelli della diocesi, facendo avanzare il confine est all’attuale fiume di Pollina ed i cui limiti sono facilmente
rintracciabili nella toponomastica moderna46. Il diploma in questione è il risultato di una controversia che
opponeva Gilberto, Vescovo di Lipari e Patti, e Bosone Vescovo di Cefalù sulle delimitazioni dei confini tra le
rispettive proprietà di Plinga e Pollina. Per dirimere la questione il giustiziere regio Rainaldo di Tusa stabiliva le
delimitazioni di Pollina: ….Ascendit enim versus meridiem per vallonem manhusite quod latine in alio nomine
dicitur malpertus et inde usque ad quoddam trivium in quo est una via que ducit ad casale sancte anastasie et
alia via que ducit ad casale sancti helie et alia via que ducit Pollinam et ab ipso trivio versus meridiem
descenditur per vallonem profundum usque ubi dicitur fastilarnebe et inde per vallem vallem usque ad flumen
asini. ab ipso enim flumine a capite incipitur et descendit usque ad locum ubi est divisio gratere. et inde per
flumen flumen usque ad illud flumen quod dicitur oedezebuchi quod venit de Giracio et inde itur per flumen
usque ad mare.47
Un documento inedito, datato 1146, conservato presso l’ASP Tab. Cefalù, perg. n° 104, riporta delle indicazioni geografiche che ci aiutano a definire in
modo migliore il confine tra Cefalù e le terre limitrofe. Un breve commento è riportato dal Bresc: il confine saliva dal mare attraverso il vallone
Malpertugio e poi proseguiva lasciando ad est il feudo di Sant’Anastasia e quello di Tudino. Da qui attraverso il vallone della Calcaria (odierno Cozzo
Carcarella) raggiungeva il Dirrupum Rubeum (Timpa Rossa nei pressi di Gibilmanna), la Fons Heremite (Romito) e ritornava al mare attraverso il vallone
San Biagio ed il torrente Piletto (il flumen gratere del documento sopra citato). BRESC 1985, p. 58. Il confine di Malpertugio, prossimo a Cefalù, si può
immaginare sia stato sempre un punto di riferimento già dalla fondazione della diocesi nel 1131 in quanto il documento assegna la terra dal fiume Torto
al mare e da qui a Cefalù: “et ut flumen tortum incipit et ad mare descendit, et a mari usque Cephaludum, et omnia que infra consistunt cum universo iure
episcopali”: PIRRI 1733, I, p. 389; VALENZIANO 1979, p. 6.
Nel documento che ce lo presenta lo stesso Roberto e sua moglie fanno alcune donazioni alla chiesa di San Pietro Apostolo quae apud Pollam sita est.
GARUFI 1912, p. 352.
La signoria dei Montescaglioso venne meno in una data imprecisata facendo tornare al demanio le terre e da qui, in data imprecisabile, a Cefalù.
Roberto fu signore tra il 1135 ed 1138: GARUFI 1912, p. 352.
GARUFI 1899, pp. 81-83; PERI 1952-53, p. 70 nota n°3.
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Partendo dalla costa attraverso il vallone Malpertugio, noto anche come manhusite, si prosegue verso sud
fino a raggiungere un trivio probabilmente all’altezza del km 9 della S.S. 286. Qui si incontrano ancora le strade
che conducono alle case ed all’Abazia di S. Anastasia48, in c.da S. Elia49 ed a Pollina. Dal trivio continuando verso
sud si raggiunge l’odierno Bivio Frassalerno e le omonime case, forse identificabile con il vallonem
fastilarnebe50. Per vallem vallem si raggiunge il flumen asini odierno torrente Castelbuono che in realtà diventa
torrente Isnello, in prossimità dell’omonimo paese51. Il confine proseguiva per il torrente Castelbuono, flumen
flumen, e confluiva nell’odierno fiume di Pollina, il flumen oedezebuchi quod venit de giracio52. Abbiamo visto
come in un territorio così piccolo si incontrano diverse entità ecclesiastiche facenti capo a tre sedi diocesane. Da
qui si spiega il fine del documento del 1159 volto ad assicurare territori dall’una e dall’atra parte, probabilmente
raggiungendo un compromesso, ma evitando controversie che potevano infastidire anche l’apparato regio. Il
fiume di Pollina costituiva quindi il confine orientale del territorio diocesano anche se il vescovado percepiva le
decime di abitati che stavano aldilà, quali Tusa e Mistretta. L’estensione geografico(amministrativa di questi
centri costituiva probabilmente un’enclave della diocesi di Cefalù all’interno del più grande territorio della
diocesi di Messina, anche se purtroppo non conosciamo i limiti.
La totale assenza di documenti che trattano il territorio ad est del Pollina conferma l’ipotesi come d’altra
parte si può osservare nei documenti che elencano i beni diocesani. Nel privilegio di fondazione del 1131 si legge
chiaramente che la terra di Cefalù andava dalle sorgenti del fiume Torto al mare e da qui alla cittadina; tra il
1145 ed il 1159 risulta poi l’ampliamento53 verso est che abbiamo appena trattato, così come in tutte le conferme
successive che riguardano il territorio diocesano si fa solo menzione delle decime percepite e non figura alcuna
chiesa di proprietà vescovile a Tusa o Mistretta54. Fonti più tarde (1592), utilissime per la ricostruzione della
storia della chiesa di Cefalù, ci informano invece che il confine andava dal fiume Torto ad una località nei pressi
di Caronia nota come Pietra della Colubra55. L’informazione è giustificata dall’autore sulla base di un privilegio
di re Ruggero II che concedeva a Cefalù la completa giurisdizione sul mare.
Si tratta, con tutta probabilità, di un’interpretazione errata della diplomatica più antica. In due documenti
rispettivamente del 113256 e del 114557 il re concedeva alla chiesa i diritti sulla pesca, sulle tonnare e sui proventi
del porto. Nel secondo si fa un riferimento specifico alla dogana del porto e della tonnara di Tusa, vicina
all’odierno paese di Caronia, ma non vi è alcuna notizia di carattere territoriale58. Procedendo in ordine
cronologico, l’ultima porzione di territorio controllata direttamente dalla diocesi è quella costituita dalla
Roccella59. La località corrisponde probabilmente alla Roccamaris del documento di istituzione della diocesi di
Troina del 1081, ma sicuramente era già esistente quando nel 1098 il Papa Urbano II concede la chiesa di San
Giovanni di Roccella all’Abbazia della SS. Trinità e San Michele Arcangelo di Mileto in Calabria60.
La chiesa normanna è ancora ben conservata e risulta tra i pochi edifici medievali superstiti dell’intera area. Il casale è attestato solo in questo
documento mentre la chiesa risulta esistere già nel 1150 come proprietà della Santa Trinità e San Michele Arcangelo di Mileto in Calabria. Anche nei
documenti successivi rimarrà di competenza miletina: WHITE 1984, p. 295, nota 12. La chiesa è ricordata come S. Anastasie de Grateriis perché fondata
all’interno della divisa di Gratteri il cui signore, abbiamo già visto era Camerino Gastanel.
Il casale è noto solo in questo documento mentre la chiesa di S. Elia è nota già nel 1134 come appartenente insieme a vigne e pascoli alla diocesi di
Lipari e Patti: Ruggero II, p. 102; WHITE 1984, p. 147
In effetti l’area è caratterizzata da un vallone che raggiunge i 200 m slm in prossimità del torrente Castelbuono mentre le aree intorno sono tutte sopra i
350 m slm.
Isnello è conosciuto nelle fonti come al-Himar o Roccam Asini. È noto a partire dal 1131 quando è menzionato tra le pertinenze di Cefalù ed anche
nelle conferme successive. Non compare invece in quelle della diocesi di Messina tanto che il Peri sosteneva che il casale ricadesse in uno dei territori
degli abitati limitrofi: Peri 1952-53, pp. 237-238.
Il fiume di Pollina risulta oggi quello dalla portata più ampia ed effettivamente le sue sorgenti si trovano a poca distanza da Geraci Siculo. L’abitato è
noto già nel IX secolo dalle cronache della conquista ed in seguito sarà di pertinenza della diocesi di Troina e poi Messina: AA. VV. 2001, pp. 324-325. Il
casale di Polla sarà presente in tutti i documenti successivi a partire dalla bolla pontificia di Alessandro III del 1169 che sancisce il riconoscimento
ufficiale della nuova diocesi di Cefalù: GARUFI 1899, p. 113; MIRTO 1972, pp. 37, 157. Oedezebuchi deriva dall’arabo wād ī az-zabbǖğ, fiume
dell’oleastro, riconosciuto nel fiume della Nocilla ossia il fiume di Pollina: CARACAUSI 1983, p. 207, nota 227; CANCILA 2008, pp. 35-36.
È possibile restringere questo arco temporale al periodo compreso fra il 1145 ed il 1159 poiché, come si ricorderà, nel documento che fissa i confini tra
Cefalù e Gratteri si nomina ancora il torrente Malpertugio quale limite orientale.
Un unico riferimento può essere costituito dalla chiesa di Santa Lucia di Mistretta, nota nel 1175 e forse sotto la giurisdizione della diocesi di Cefalù:
GARUFI 1899, p. 16; WHITE 1984, p. 306, nota 71.
TULLIO 1993, p. 61. Nel 1288 sul luogo detto Colubra è presente il diritto ecclesiastico di montare la tonnara: MIRTO 1972, p. 119 sgg.
MIRTO 1972, p. 61 sgg.
FILANGERI 1999, p. 70.
Sul ruolo di Tusa nel mediovo cfr. PETTINEO - RAGONESE 2003, ma la carta del territorio diocesano presentata a pag. 15 nel contributo risulta
sostanzialmente da rivedere.
Il territorio è posto all’interno dei confini diocesani ma apparteneva alla contea di Collesano: NOTO 1980.
La capitale normanna si sposta prima da Mileto a Messina e poi a Palermo. La chiesa rimarrà sotto la giurisdizione di Mileto fino al 1136 quando verrà
posta sotto quella di Cefalù: NOTO 1982, p.87.
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Una data così alta nel tempo è interpretabile come esigenza da parte dei Normanni di cristianizzare un
territorio occupato dai musulmani che, ormai vinti, costituivano comunque la compagine sociale più forte61. Nel
1205 Paolo Cicala conte di Alife e Collesano dona alla chiesa di Cefalù il territorio i cui confini vengono descritti:
…a flumine Gratterie in loco qui dicitur Pantanum usque ad flumen Senescalci sicut incipit a ponte memorati
flumiinis Gratterie et vadit per viam publicam usque ad predictum flumen Senescalci et vadit usque ad mare
ac deinde per maritiman et litus maris reveritur per Roccellam ad supradictum flumen Gratterie et usque ad
Pantanum ad illud videlicet tenimentum quod ibi habuit ex antiquo memorata chepaludensis ecclesia62. Il
flumine Gratterie, incontrato nei documenti precedenti, corrisponde all’odierno torrente Piletto mentre il
flumen Senescalci è l’Imera. Altra nota topografica è la viam publicam, oggi Regia Trazzera 29863, che collega i
due fiumi e ricalca il confine comunale dell’attuale paese di Campofelice di Roccella64. ll toponimo Pantanum
infine è riferibile ad un luogo acquitrinoso localizzabile nella piana costiera ad ovest del torrente Piletto. La
Roccella era animata da una serie di mulini sparsi nel territorio e dal castello medievale con il borgo circostante
dove si trovavano la chiesa di San Giovanni65 e la chiesa di Santa Maria. Quest’ultima è nota a partire dal 1218
quando il Vescovo di Cefalù, Arduino, concede al monastero di Santa Maria di Montevergine, in Calabria, il
castello di Roccella con i diritti ed i tenimenti e la possibilità di costruire una chiesa dedicata a Maria Vergine,
quindi il territorio di Roccella resta in possesso del vescovo per pochi anni mentre rimane la giurisdizione sulla
chiesa di San Giovanni già nota in tutti i documenti precedenti66. Proprio la perdita della Roccella è uno degli
eventi che caratterizzano un periodo di contrasti tra la chiesa cefaludese e l’imperatore Federico II67. In
conclusione il limite più probabile per i confini diocesani in età normanna e sveva potrebbe essere il seguente:
partendo da ovest si risale il corso del Fiume Torto fino alla sorgente nei pressi dell’odierna stazione ferroviaria
di Valledolmo; si prosegue lungo la SP 8 fino alla confluenza nella SS 120 a sud di Caltavuturo, si continua per
Polizzi forse attraverso la RT 28468 e poi si sale verso nord seguendo la RT 115 e la S.P. 54 b verso Gibilmanna ed
il vallone San Biagio, attuale confine comunale tra Cefalù e Gratteri. Lasciando ad est Pizzo Sant’Angelo, Rocca
San Nicola, Cozzo Zurrica e la chiesa di Sant’Anastasia69 si giunge al torrente Malpertugio e si prosegue verso
sud fino al torrente Castelbuono le cui acque si riversano sul fiume di Pollina. Da qui al mare si individua il
confine orientale del territorio diocesano. Un’ultima notazione di carattere territoriale va fatta per le proprietà
fuori dal confine diocesano.
Nel 1140 la contessa Adelicia donava la chiesa di Santa Lucia presso Siracusa ed i casali di Girepizi, Agulia,
Cardinale e Mattile con i villani che vi risiedevano70. Ad eccezione di un diploma del 1172, non conosciamo la
consistenza territoriale odierna di questi casali che rimangono di proprietà vescovile per tutta l’età normanna e
sveva comparendo nei documenti di conferma dei beni diocesani71.
'
(
) (fig. 3)
La creazione della diocesi di Cefalù è uno degli eventi politico(ecclesiastici più rilevanti dell’età di Ruggero II
che segna il sostegno all’antipapa Anacleto II contro il clero latino di Roma capeggiato dal Papa72. Anacleto II
creò nel 1131 il vescovado staccandolo dallo sconfinato territorio di Messina e gli assoggettò la prioria
agostiniana di Bagnara Calabra da cui verranno i primi vescovi di Cefalù. Abbiamo già visto come nello stesso
anno l’Arcivescovo Ugo di Messina definisca l’elenco degli abitati di riferimento per le decime della nuova sede e
di come la definizione dei confini rispecchi la volontà del sovrano di rendere disponibile nell’immediato un
territorio ricco e fertile. Nel marzo del 1132 Ruggero II concedeva a Cefalù l’esenzione doganale sui traffici
HIMERA III. 2, p. 297.
NOTO 1980, pp. 102-105.
La persistenza di questo tracciato dall’età antica è confermata dalla presenza, lungo il percorso, di diversi insediamenti rintracciati dalle prospezioni di
superficie: HIMERA III. 2, p. 253.
Interessantissimo come a distanza di secoli il confine del tenimento risulta invariato. Ancora nel 1852 gli stessi confini sono riportati in una carta
topografica del territorio di Roccella – Campofelice: Himera III. 2, p. 235.
La prima attestazione risale al 1098: WHITE 1984, p. 295, nota 12.
1136: GARUFI 1899, p. 25-26, PIRRI 1733, II, p. 799; 1178: MIRTO 1972, p. 59; GARUFI 1899, p. 202; PIRRI 1733, II, p. 803; 1190: MIRTO 1972, p. 168;
GARUFI 1899, p. 234; 1223: MIRTO 1972, pp. 140 e 203; NOTO 1980, p. 210. Secondo la Cucco la chiesa di Santa Maria Vergine potrebbe invece segnare
il rinnovato diritto di proprietà sul territorio della Roccella da parte dell’Abbazia di Montevergine: HIMERA III. 2, p.301.
D’ALESSANDRO 1985, pp. 12-13.
Questo primo tratto concide con la magnam via Francigena Castrinovi.
Gibilmanna ed il suo territorio apparterranno per tutta l’età normanna e sveva alla diocesi di Messina mentre Cefalù possedeva solo la chiesa di Santa
Maria de Zibelmagno.
Casalisbus Girepicii et Cardinalis, Agulie et Mactile cum villanis eorum dono et concedo Cephaludensi ecclesie : GARUFI 1912, p. 353; PIRRI 1733, II,
p. 799; WHITE 1984, p. 296 e pp. 312-315;
Nel documento del 1172 sono descritti i confini del casale di Girepizi: GARUFI 1899, pp. 150-51. Sempre nel 1172 risulta che viene restituito al vescovo
il pantano di Agulia per piantare una vigna: SPATA 1862, pp. 443-444. Di recente Giseppe Cacciaguerra ha delineato i confini su cartografia moderna del
casale di Agulia che comprendeva l’intero abitato dell’attuale paese di Priolo Gargallo, di fronte all’isola di Thapos: cfr. CACCIAGUERRA 2011.
- Sull’età di Ruggero II cfr. CASPAR 1999.
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marittimi sino ad Amalfi e tutti i proventi sulla pesca e sulle tonnare; inoltre il vescovo doveva percepire tutti i
diritti e le tasse di ancoraggio nell’approdo di Cefalù73.
(
)
Ulteriore incremento dei possedimenti diocesani si ha nel 1136 quando Ruggero II dona alla chiesa di Cefalù
le chiese di San Giovanni di Roccella e SS. Cosma e Damiano presso Cefalù con i rispettivi beni e 39 villani74. Le
due chiese erano già note dal 1098 come appartenenti all’Abbazia della Santa Trinità e San Michele Arcangelo di
Mileto in Calabria75. Tre documenti del 1140 ci informano sulle donazioni della contessa Adelicia nipote di
Ruggero I. Il primo riguarda i possedimenti extra(territoriali presso Siracusa con la chiesa di Santa Lucia ed i
casali di Girepizi, Agulia, Cardinale e Mattile; gli altri due fanno riferimento alla chiesa di San Pietro di
Collesano. Entrambi citano la donazione di un forno a Collesano, la possibilità di tagliare legna nei boschi della
contessa ed il diritto di pascolo sulle terre di Adelicia. Non vi è alcun riferimento esplicito sull’appartenenza
della chiesa alla giurisdizione di Cefalù ma è la più probabile conclusione già rimarcata da numerosi storici76.
Nel 1145 il re Ruggero II concedeva in perpetuo una serie di privilegi che avrebbero accresciuto il potere
della signoria vescovile di Cefalù77: dovevano pervenire alla chiesa le rendite ed i diritti regi sulla città e sul
mare; si doveva essere giudicati nel tribunale del vescovo per tutti i reati di natura civile e penale tranne per
quelli di omicidio e tradimento; gli abitanti di Cefalù erano esenti dal servizio militare; si poteva tagliare
MIRTO 1972, p. 61. Interessante risulta l’esenzione sulle importazioni del legno necessario “ad hedificandos domos”, segno della ricostruzione della
città dopo le distruzioni operate durante la conquista. Proprio in questi anni si data il nuovo piano urbanistico della cittadina il cui fulcro è costituito dalla
grande piazza della Cattedrale.
GARUFI 1899, p. 25.
A seguito del passaggio a Cefalù il re concede dei beni in Calabria all’abate David di Mileto che era stato protagonista delle donazioni: WHITE 1984, p.
296 e pp. 398-400.
BATTAGLIA 1896, p. 113; D’ALESSANDRO 1985, p. 11; GARUFI 1899, p. 38. Il White riteneva invece che San Pietro non appartenesse a Cefalù: WHITE
1984, p. 297. A favore dello studioso si ricorda un documento del 1181 in cui Roberto di San Giovanni dona al vescovo di Cefalù la chiesa di San Pietro
de Golisano (Collesano) con tutti i suoi possedimenti.
MIRTO 1972, p. 42 sgg.. PIRRI, II, p. 800.
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liberamente la legna nella foresta per usi edilizi o domestici; si potevano vendere i propri beni immobili purchè
l’acquirente continuasse a risiedere a Cefalù78; veniva concessa la possibilità di sottrarsi alla carcerazione
pagando una fideiussione.
Tutte queste prerogative vengono proposte dal re con l’intento di attrarre importanti dignitari ed
ecclesiastici latini che avevano attraversato lo Stretto di Messina con i predecessori di Ruggero II ed ora si
stavano stabilendo definitivamente nelle terre tolte ai Musulmani. Sull’esempio di Ruggero II anche la nobiltà
normanna fu generosa in concessioni al vescovado stabilendo un rapporto di fiducia con la gerarchia
ecclesiastica79. Tra le prime concessioni si deve alla contessa Adelicia, nipote di Ruggero II, la donazione della
chiesa di San Nicola de Malo Vicino (Malvicino) nel 1156, nei pressi di Isnello con il suo territorio ed un
mulino80. Arduino vescovo di Cefalù aveva affidato la rettoria della chiesa a Giovanni di Brucato, un protetto di
Adelicia81. Nel 1185 il vescovo Bosone concedeva a Rainaldo della famiglia dei San Giovanni la rettoria a vita
della chiesa di San Nicola de Malo Vicino82. Nel XIV secolo il feudo in cui sorge la chiesa sarà ricordato come
Bonvicino, segno di augurio per il ripopolamento del territorio83. Della chiesa restano oggi solo due aperture
realizzate in mattoni ed inglobate in un edificio successivo. Sempre il vescovo Bosone nel 1167 concedeva a
Pietro di Tolosa di edificare la chiesa di San Nicola de Franchis con annesso ospedale84. Già nel 1137, un conte,
Roberto di Montescaglioso, che si definisce dominator terrae Pollae, fa alcune donazioni alla chiesa di San
Pietro Apostolo apud Pollam85. Non sappiamo se la chiesa appartenesse al vescovado poiché non compare in
nessuna conferma successiva, ma è probabile che lo sia stata. Dalla metà del XII secolo si evidenziano una serie
di donazioni alla chiesa di Cefalù di proprietà extra(territoriali che contribuiscono ad aumentare il quadro dei
beni. Nel 1140, come abbiamo già visto, vengono donati la chiesa di Santa Lucia presso Siracusa ed i casali vicini
presenti in tutte le conferme successive. Nel 1141 una devota benefattrice, Lucia di Cammarata dona al vescovo
Jocelmo la chiesa di Santa Maria poco fuori Cammarata nel territorio della diocesi di Agrigento86. Diversi
documenti successivi ampliano le dotazioni di questo edificio di culto che sarà dedicato nel 1153 alla presenza
dell’arcivescovo Giovanni di Bari87. Ancora, nel 1168 un’inchiesta reale ci porta a conoscenza della chiesa di S.
Salvatore di Capizzi ricostruita da un notaio di nome Rapaldo e donata a Cefalù. Non conosciamo la data della
sua prima costruzione e/o dedicazione ma la chiesa risulta presente tra i beni diocesani anche nelle conferme
successive fino ad età sveva88.
L’ultimo edificio cultuale di proprietà cefaludense fuori dal territorio di pertinenza risulta essere la chiesa di
Santa Lucia di Mistretta; ne abbiamo notizia da un diploma del 1175 in cui un certo Riccardo, ex canonico di
Cefalù, la riceve in dono proprio dal vescovo Guido a condizione che, alla sua morte, lasciasse tutte le sue
proprietà alla chiesa89. Il vescovado era nato sotto la forte influenza di Ruggero II che aveva avuto il sostegno
dell’Antipapa Anacleto II; con l’età dei Guglielmi i rapporti con il papato di Roma si fanno più intensi e si
stringono alleanze volte a favorire la penetrazione della chiesa latina in Sicilia. Nel 1169, da Papa Alessandro III,
vengono “finalmente” riconosciute ufficialmente la diocesi di Cefalù e quella di Lipari(Patti suffraganee
dell’arcivescovado di Messina che doveva provvedere anche alla scelta dei vescovi per le due sedi90.
Con l’ufficializzazione del vescovado lo stesso Papa emanerà tre bolle che ci aiutano a definire quasi tutti i
beni ed i diritti vescovili allo scadere dell’età normanna. In un primo documento datato al 1169 compaiono la
stessa Cefalù, i casali di Arsa e di Polla, le chiese di Santa Lucia di Siracusa con i casali e di Santa Maria di
Cammarata91. Nel 1171 viene rinnovata la conferma per Cefalù, i casali di Arsa e Polla, le chiese di Santa Lucia di
Siracusa con i casali, di Santa Maria di Cammarata ed in aggiunta all’elenco precedente, la chiesa del SS.
Salvatore a Capizzi; viene infine riportato l’elenco delle decime della diocesi: Cefalù, Mistretta, Tusa, Pollina,
Segno della volontà di ripopolamento della nuova cittadina dopo la conquista.
Sulle signorie feudali dell’area madonita cfr. PERI 1952, pp. 190-194.
Il territorio era di pertinenza del signore di Gratteri della famiglia dei Gastinel: BRESC 1985, p. 59.
GARUFI 1899, p. 76; PIRRI, II, p. 801.
GARUFI 1899, pp. 202-204. Rainaldo era figlio di Roberto di San Giovanni cui il vescovo Bosone aveva concesso le chiese di Collesano e Polizzi:
GARUFI 1941, app. doc. 2.
AA. VV. 2001, pp. 292-293; BRESC 1985.
WHITE 1984, p. 304. FARELLA 1977, p. 6.
GARUFI 1912, p. 352.
Le rovine erano presso il convento francescano di Santa Maria di Cacciapensieri poco fuori dal paese di Cammarata: WHITE 1984, p. 298, nota 27.
GARUFI 1899, p. 64.
CUSA 1868-1882, p. 484 e 723; MIRTO 1972, pp. 140 e 203; NOTO 1980, p. 110; SPATA 1862, p. 437.
Prima di quella data è probabile che la chiesa fosse tra i beni diocesani ma non resta alcun documento a conferma. GARUFI 1899, pp. 161-162; WHITE
1984, p. 306, nota 71.
Prima di questa data i vescovi di Cefalù erano noti come eletti. Il primo che si definisce episcopus è Bosone (electus nel 1157 ed episcopus fino al
1172).
GARUFI 1899, p. 113; MIRTO 1972, pp. 37 e p. 157.
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Gratteri, Isnello, Collesano, Polizzi, Caltavuturo, Sclafani, Alcusa92. L’ultimo documento datato al 1178 ci
fornisce la conoscenza più particolareggiata delle proprietà vescovili93: i casali di Arsa e Polla, i benefici
ecclesiastici di Collesano, Caltavuturo, Polizzi e Mistretta donati dalla contessa Adelicia94, le chiese di Santa
Lucia di Siracusa con i casali, Santa Maria di Cammarata, San Nicola di Malvicino di Polizzi95, San Nicola di
Caorata o Capiata di Polizzi, Santa Maria di Gibilmanna96, Sant’Icono di Gratteri97, San Giovanni di Roccella e
del SS. Salvatore a Capizzi; vengono nuovamente elencati i diritti di decima per Cefalù, Mistretta, Tusa, Pollina,
Gratteri, Isnello, Collesano, Polizzi, Caltavuturo, Sclafani, Alcusa cui si aggiunge il casale di Bacco; infine si
aggiunge l’obbedienza di tutte le chiese nel territorio diocesano compreso il priorato premonstratese di San
Giorgio di Gratteri. Quest’ultimo merita un ampliamento del discorso poiché ci aiuta a definire la natura e la
struttura religiosa dei diversi monasteri, chiese o eremi presenti nel territorio delle Madonie in età basso
medievale. La chiesa faceva parte di un cenobio Premonstatense (Agostiniani riformati) venuti dalla Normandia
al seguito dei cavalieri normanni e costituisce l’unica casa di quest’ordine fondata in Sicilia98. Oggi si conserva la
struttura architettonica della chiesa mentre del cenobio rimane solo qualche traccia nei muri affioranti sul
terreno circostante. Non conosciamo la data certa di fondazione ma possiamo presumere sia avvenuta prima del
1148, anno della morte di Ruggero III di Puglia primogenito di Ruggero II; infatti nel 1191 in un diploma con cui
il re Tancredi, figlio di Ruggero III, concede al priore Salatiel della chiesa di San Giorgio di Gratteri il casale
Amballut99, si ricorda che l’edificio fu fondato dal padre100.
Il Pirri riporta la notizia della fondazione al 1140 confermata poi da una bolla papale di Innocenzo II (1139(
1143)101. Nel 1155 re Guglielmo II dona alla chiesa delle proprietà terriere tra Petralia e Gangi nel territorio della
diocesi di Messina. Il documento più importante sulla conoscenza dei beni di proprietà della chiesa è relativo ad
un privilegio di conferma dei beni di Papa Lucio III datato al 1182. Nell’elenco sono riportate le chiese di San
Leonardo di Isnello con mulini, San Nicola de Gratta102, San Cataldo di Partinico con mulini e San Pietro de
Prato Gange103. In età Sveva Papa Innocenzo III conferma all’ abate del monastero, Gerardo, i beni già citati più
la vigna Raal Germani, la vigna Sancti Yconii104, la vigna Gellebi, la mandram de Sarno ed il diritto di pascolo
nei territori di Petralia e Castrogiovanni105. Nel XIV secolo la chiesa passa tra le proprietà dell’ordine degli
Ospedalieri di San Giovanni di Messina106. Tornando all’elenco dei beni riportato nel terzo diploma di Papa
Alessandro III del 1178, vediamo che non compaiono alcune chiese che documenti precedenti ci informano
essere di proprietà vescovile. In una data indefinita del 1166 Martino di Bisignano dona al vescovo Bosone la
chiesa di Santa Maria e Domenica a Polizzi che aveva precedentemente fatto costruire107.
Sempre a Polizzi lo stesso vescovo Bosone concede agli eredi di Mauro Blancabarba l’amministrazione della
chiesa di San Filippo108. Infine nel 1178 è nota tra le proprietà di Cefalù la chiesa di Santa Maria di Gratteri
confermata anche in un diploma del 1196109. Ulteriore ampliamento dei beni vescovili risulta dalla bolla di Papa
Clemente III del 1190 che, al solito elenco dei beni, aggiunge il casale di Montemaggiore tra quelli in cui la
“Prenominatam videlicet civitatem cephaludenssem cum omnibus pertinentiis suis, Mistretam cum suis, Tosam cum suis, Pollenam cum suis,
Grateram cum suis, Roccam Asini cum suis, Golesanum cum suis, Policium cum suis, Calatabuturum cum suis, Sclafanam cum suis, Alcusam cum suis, et
ut flumen torte incipit et ad mare descendit, et a mari usque Cephaludum”: MIRTO 1972, pp.162-164; PIRRI 1733, II, p. 801.
MIRTO 1972, pp.159-161.
Non abbiamo purtroppo alcun documento su queste donazioni mentre abbiamo già visto qualcosa sulla chiesa di Santa Lucia di Mistretta. Nel 1176
conosciamo anche un certo Biagio priore di Caltavuturo che acquista per conto del vescovo di Cefalù un piccolo casale ed una cisterna sempre a
Caltavuturo: GARUFI 1899, p. 154.
Secondo il Bresc Malvicino rimaneva il nome di un territorio e di un mulino di proprietà della chiesa di San Nicola ma né casale né terra sembrano
esistenti in quella data. È possibile che Malvicino sia stato un tentativo mal riuscito di insediamento territoriale: BRESC 1985.
Gibilmanna rimane un centro legato alla diocesi di Messina ancora in età sveva. Con tutta probabilità, all’interno dell’abitato la diocesi di Cefalù aveva
la proprietà della chiesa di Santa Maria. Il territorio di Gibilmanna apparteneva comunque già dal 1145 a Cefalù come si evidenzia nei documenti che
definiscono i confini tra Gratteri e Cefalù.
La chiesa viene consacrata nel 1148 ma è probabile che sia esistita anche prima come documenta il “flumen sancti yconij” presente nella definizione
dei confini tra Gratteri e Cefalù del 1145: GARUFI 1899, p. 57.
SCELSI 1981, p. 65. Sulla storia del priorato cfr. WHITE 1984, pp. 316-317.
Casale quod dicitur Amballut quod fuit olim Symonis Senescalci cum iustis tenimentis et pertinentiis suis. MIRTO 1972, p. 64; VALENZANO 1987, pp.
23-24. Il luogo in cui sorgeva il casale forse corrisponde a Buonfornello: MAURICI 1998, p. 66.
GARUFI 1899, p. 247; MIRTO 1972, p. 64.
PIRRI 1733, II, p. 839; KEHR – GIRGERSHON 1975, p.366. Questi documenti non sono però conservati.
Sorgeva di fronte alla Grotta Grattara ma fu sommersa da un’ alluvione nel 1914: SCELSI 1981, pp. 71-72.
Non identificata.
Abbiamo già parlato del flumen sancti yconii e della chiesa di San Cono di Gratteri cui sicuramente si riferisce il territorio in cui sorgeva questa vigna.
PETRACCA 2006, p. 144.
PETRACCA 2006, pp. 143-144.
GARUFI 1899, pp. 95-96; ; PIRRI 1733, II, p. 801; WHITE 1984, p. 303. Dal 1199 la chiesa rientrerà tra i possedimenti del monastero di San Filippo
d’Agira: PIRRI 1733, II, p. 1250.
GARUFI 1899, p. 146.
PIRRI 1733, II, p. 804. La chiesa è oggi nota con il nome di Santa Maria di Gesù: SCELSI 1981, pp. 77-80.
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chiesa aveva diritto di decima110. Nel casale era presente la chiesa di Santa Maria di Montemaggiore, donata ai
monaci cluniacensi dal vescovo di Cefalù nel 1157111. Questo documento segna lo stato dei possedimenti alla fine
dell’età normanna. Nel 1195 l’imperatore Enrico VI di Svevia dà una conferma dei beni e delle prerogative al
vescovo Giovanni Cicala (1194(1216) senza alcuna nuova aggiunzione112. Nuovi beni risultano invece da una
concessione dell’imperatrice Costanza del 1198 che dona il casale di Odesver e fa restituire all’episcopio i diritti
sul mulino detto Fundeca presso Scillato113. Prima di passare a trattare il periodo in cui regna Federico II
dobbiamo rivolgere la nostra attenzione alle proprietà sul territorio vescovile di altri enti o istituzioni
ecclesiastiche. Antecedentemente alla fondazione del vescovado nel 1131 l’Abbazia della SS. Trinità e San
Michele Arcangelo di Mileto possedeva le chiese di San Giovanni di Roccella114, San Cosma e Damiano presso
Cefalù115, Santi Innocenti, San Filippo e Santo Stefano a Mistretta, Santa Barbara a Caltavuturo, Sant’Anastasia
in territorio di Gratteri116 e San Nicola de Caca. Tutte queste strutture sono note a partire dal 1098 e saranno
confermate tra i possedimenti dell’Abbazia per tutta l’età normanna117. Vi sono inoltre le proprietà della diocesi
di Lipari(Patti, nata nel 1131 insieme a quella di Cefalù: Santa Maria e Santa Venera a Tusa, San Pietro nel casale
di Sichro118, Santa Maria Grecorum o Vocante o de Bucanto a Mistretta ed infine la chiesa di Sant’Elia di
Gratteri119. Infine vi sono le proprietà di altre istituzioni religiose come gli ospitalieri di San Giovanni di
Gerusalemme che possedevano a Polizzi la chiesa di San Nicola con annesso ospedale120 o ancora il monastero di
San Filippo di Agira proprietario della chiesa di Santa Maria Di Gadera o La Latina di Polizzi con il suo
vastissimo territorio121; i cluniacensi possedevano Santa Maria di Montemaggiore122 ed infine i teutonici
tenevano il casale della Gulfa – Gurfa e numerosi beni a Polizzi e Gangi. L’articolato elenco definisce, se ancora
ce ne fosse bisogno, la grande impronta territoriale che i Normanni hanno dato a quest’area caratterizzata da
una forte presenza musulmana, ma anche dalle numerose famiglie feudali latine venute al seguito dei nuovi
conquistatori123. L’età di Federico II si apre con un diploma del 1201 che conferma alla chiesa di Cefalù beni e
privilegi acquisiti a partire dalla fondazione; nel documento si fa esplicito riferimento al tenimentum di
Odesver124, a quello di Carsa ed al castello di Pollina125. Proprio il regno di Federico II segna uno stravolgimento
dell’assetto territoriale di tutta la Sicilia con una modifica sostanziale dell’aspetto delle campagne. L’abitato
accentrato di medie e grandi dimensioni, quasi sempre fortificato, risulta il nuovo ed unico tipo di insediamento
rurale esistente126. È così che molti degli abitati presenti nel territorio oggetto del nostro studio scompaiono
entro la seconda metà del XIII secolo: Bacco(Vacco, Marcatobianco ( Bonifato, Burgitabis, Calcusa, Coscasino,
Gulfa, Miccichè, Raciura, Regalsciacca, Sant’Elia, Sant’Anastasia e Sankegi127. Così come accade in Sicilia
occidentale, le rivolte hanno ifluito sull’abbandono di questi abitati poiché ancora alla fine del XII secolo la
popolazione era costituita in maggioranza da musulmani128. I rapporti tra l’Imperatore ed il vescovado sono
contrassegnati da una serie di episodi atti a favorire la diocesi di Palermo a discapito di quella di Cefalù; tra
Montem Maiorem cum pertinentiis suis. GARUFI 1899, p. 235; MIRTO 1972, p.169.
BRUEL 1894, V, 538. La chiesa corrisponde all’attuale Santa Maria degli Angeli poco fuori dal paese in direzione Alia. Nelle fondamenta della chiesa è
stata trovata un’epigrafe in caratteri greci attestante il culto di San Giacomo ma non si sa se questo sia indice della presenza di monaci officianti in rito
greco: CUCCO 2007a, p. 95.
MIRTO 1972, pp. 74-76.
MIRTO 1972, pp. 30-31 e pp. 57 e sgg. Il casale Odesver inglobava le rovine del Tempio della Vittoria di Imera costruito dopo il 480 a.C. a seguito
della vittoria sui cartaginesi. Per portare alla luce il tempio classico furono distrutte tutte le strutture successive: cfr. MAURICI 1998, pp. 69-70. A Scillato
in c.da Fondaco esiste ancora un mulino.
Passa sotto il protettorato del vescovo di Cefalù nel 1136: GARUFI 1899, p. 25-26, PIRRI 1733, II, p. 799.
Passa sotto il protettorato del vescovo di Cefalù nel 1136: GARUFI 1899, p. 25 sgg.
L’edificio si trova oggi in territorio comunale di Castelbuono.
Per le date delle conferme si rimanda all’elenco alla fine del capitolo. WHITE 1984, p. 295, nota12.
L’odierno paese di Castelbuono sarà fondato nel XIV secolo presso il belvedere di Ypsigro.
L’abbiamo già incontrata nella definizione dei confini tra Pollina e Plinga nel 1145.
PIRRI 1733, II, p. 831.
La chiesa è nota già nel 1033-34 quando ancora la potenza musulmana non era stata sconfitta: DI GIOVANNI 1880.
Vi sono altre chiese di cui non si conoscono le appartenenze ma con tutta probabilità dovevano riferirsi a Cefalù. Si rimanda all’elenco alla fine del
capitolo per i riferimenti principali in cui sono note nei documenti.
I feudatari si pongono subito in un rapporto di favore con il vescovo di Cefalù e fanno notevoli elargizioni di beni o chiese alla diocesi.
“Odesver quod est ad flumen quod dicitur Senescalci”. Il flumen Senescalci corrisponde all’attuale Imera.
MIRTO 1972, pp. 52-56.
La repressione antimusulmana si fa acuta negli anni tra il 1220 ed il 1240 con il conseguente spostamento della popolazione dalle campagne ai centri
fortificati: BRESC 1976, p. 190; MAURICI 1998, pp. 42-44.
Per i singoli siti si rimanda all’elenco alla fine del capitolo in cui compaiono le date principali che li menzionano nelle fonti documentarie. Dai
documenti sappiamo che alcuni abitanti dei casali, ormai spopolati, si trasferiscono in abitati più grandi: Bartolomeo di Coscasino risiede a Castronovo nel
1289 e Nicola di Cassaro abita a Petralia Sottana nello stesso periodo: BRESC – D’ANGELO 1972, p. 380, nota 4. Abbiamo notizia anche dello
spopolamento precoce di certi insediamenti come il casale Sankegi già 1188: “locum ubi dicebatur fuisse casale Sankegi”. WHITE 1984, p. 436; GARUFI
1898, p. 151.
MAURICI 1995, p. 9; Sulla popolazione delle Madonie in età normanna: GIUNTA 1985, p. 20; PERI 1978, p. 66.
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questi si segnala il trasferimento forzato dei sarcofagi ruggeriani nella Cattedrale di Palermo e la perdita del
possesso del Castello di Cefalù. Il primo episodio vede come protagonista il vescovo Giovanni Cicala che, al
ritorno da una missione in Levante, scomunica l’Imperatore per il fatto commesso. Questi in risposta donava il
tenimento di Cultura o Cuctura senza restituire le due arche funerarie129. I contrasti si acuirono qualche anno
dopo tra Federico II ed il nuovo vescovo Arduino II eletto intorno al 1217 è mandato in esilio perché accusato
dalla curia regia di sperpero. Il presule aveva allora chiesto l’intervento di Papa Onorio III che aveva emanato
una bolla di conferma dei beni della chiesa; tale documento, datato al 1223, ci riferisce lo stesso elenco di beni e
diritti che aveva la chiesa già da tempo con l’aggiunta dei diritti di decima per il casale di Coscasino130. Nel 1224
si apre il processo al vescovo Arduino II, presieduto dall’arcivescovo di Cosenza in qualità di legato apostolico.
Accusato di sperpero dei beni della chiesa, di mancata manutenzione della Cattedrale e di condotta poco decente
si difende affermando: di aver iniziato la riparazione di molti edifici di culto; di aver speso 800 tarì per il castello
di Pollina; di aver fatto costruire alcuni mulini e di aver riparato quello di Roccella; di aver acquistato la chiesa
di Santa Maria di Roccella131; di aver avuto restituiti i feudi di Caltavuturo, Cammarata, Capizzi e Mistretta;
infine di aver ricomprato i beni della chiesa di Santa Lucia di Siracusa, donati dalla Contessa Adelicia e venduti
dai suoi predecessori. Processo e contesa si chiudono con un compromesso: Federico II acquisisce la custodia
del castello di Cefalù ed Arduino II viene reintegrato nei suoi privilegi ottenendo la restituzione dei beni che
erano stati usurpati alla chiesa di Cefalù. Il fortilizio era considerato di importanza fondamentale per la presenza
imperiale nel territorio delle Madonie in favore di una completa latinizzazione ed eliminazione dei fedeli di
religione musulmana132.
La pace sembrava fatta ma alcuni anni dopo, nel 1238, il vescovo fu definitivamente rimosso e mandato in
esilio dallo stesso imperatore che evidentemente non aveva gradito l’esito del contenzioso133. Dopo la morte di
Federico II (1250) altri avvenimenti caratterizzano il controverso rapporto tra l’impero ed il vescovado di Cefalù
il cui nuovo rappresentante, Riccardo Guzzetta, lamentava nel 1251 di non ricevere più i diritti di decima su
Caltavuturo, Collesano, Polizzi e Scillato134. L’età sveva si conclude nel 1266 con un’indagine sui diritti di
percepire i proventi del porto di Cefalù usurpati a partire dall’esilio del vescovo Arduino II135. Da questo
momento in poi iniziano una serie di inchieste per verificare i diritti del vescovado sia sulla stessa Cefalù che sul
territorio diocesano nel quale si andavano affermando i poteri signorili di alcune nuove famiglie come i
Ventimiglia conti di Geraci cui si deve la costruzione di Castelbuono nei pressi dell’antico casale di Sichro136.
Infatti a partire dall’età sveva si verifica uno iato tra i poteri di carattere pubblico ed il controllo ecclesiastico del
territorio dovuto proprio all’emergere di nuovi domini signorili che si erano già affermati in età normanna137. La
famiglia Ventimiglia, approdata in Sicilia dopo il 1242 sarà quella più ricca e influente nell’intero territorio
madonita e sarà partecipe del rapporto tra l’impero ed il vescovado di Cefalù138.
*
)
%
. In generale: MAURICI 1998, p. 72;
: Alcusam cum suis. PIRRI 1733, I, p. 389;
VALENZANO 1978, p. 86; ,-: Alcusam cum suis. PIRRI 1733, I, 802; - : Alcusam cum suis. MIRTO 1972, p.
162; PIRRI, II, p. 801. -.: Algusam cum suis. MIRTO 1972, p. 159; PIRRI, II, p. 803. /0: Algusam cum
pertinentiis suis. GARUFI 1899, p. 234; MIRTO 1972, p.168. !! : Alcusam. MIRTO 1972, p. 141
(1
(+
. ,/: Casale de Arsa cum omnibus pertinentiis suis. GARUFI 1899, p. 113; MIRTO
1972, pp. 37, 157. - : Casale de Arsa cum omnibus pertinentiis suis. MIRTO 1972, p. 162; PIRRI 1733, II, p. 801.
-.: Casale de Arsa cum omnibus
!., #
-,&: Casale Charse. SPATA 1862, p. 452.
..: Casalis Arshe quod est ecclesie
pertinentiis suis. MIRTO 1972, p. 159; PIRRI 1733, II, p. 803.
cephaludensis. WHITE 1984, p. 436; GARUFI 1898, p. 151. ./: Divisionum Harse et Huedmarram. GARUFI
+
MIRTO 1972, p. 32.
MIRTO 1972, p. 140-143. L’elenco riprende l’ordine dei beni e dei diritti tracciati dalla bolla di Papa Alessandro III nel 1178.
Nota in effetti a partire dal 1218: NOTO 1980, pp. 106-109.
I castelli erano instrumenta regni permettendo il controllo e lo sviluppo del territorio regolandone la vita. Proprio nel corso delle guerre ai saraceni nel
castello di Cefalù furono tenuti dei prigionieri di fede non cristiana: cfr. BRESC 1985, p.62; BRESC – D’ANGELO 1972, p. 378.
Sul processo al vescovo Arduino II: cfr. GRANÀ 1988.
Nel documento si riporta che gli stessi diritti si percepivano già dalla morte dell’Imperatrice Costanza: cfr. MIRTO 1972, pp. 193 - 195. Su Scillato
FRISA 2005.
MIRTO 1972, p. 110.
CANCILA 2008.
Sulla situazione dei domini territoriali in età tardo-medievale cfr. LESNES 1997.
CANCILA 2010; CORRAO 1985; MOGAVERO FINA 1980: Enrico Ventimiglia, figlio di Filippo, viene in Sicilia ed ottiene l’intera Contea di Geraci per
effetto del matrimonio con Elisabetta contessa di Geraci, Ischia, Procida e Lementini, fortemente sostenuto dall’Imperatore Federico II. Sui rapporti tra i
Ventimiglia ed il Vescovado: cfr. CORRAO 1993; FODALE 1985.
http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/NotiziarioArcheoPalermo.html
Notiziario Archeologico Palermo - 2/2016
A. Alfano, La diocesi di Cefalù tra alto e basso medioevo
15
1898, p. 153. /0: Casale de Arsa cum omnibus pertinentiis suis. GARUFI 1899, p. 234; MIRTO 1972, p.168.
!0 : Tenimentum Harsa. MIRTO 1972, p. 55; PIRRI, II, p. 804. !! : Casale de Arsa cum omnibus pertinentiis
suis. MIRTO 1972, p. 141. !/0: (confini di Carsa in età aragonese – LA MANTIA 1917, p. 482, doc. 204 e p. 510
doc. 212). '
. In generale: MAURICI 1998, p. 66. - : Casale de Bacco .GARUFI 1914, pp. 175(76. -.:
Casale de Baccho cum suis. MIRTO 1972, p. 160. /0: Casale de Bacco cum pertinentiis suis. GARUFI 1899, p.
234; MIRTO 1972, p.168. !! : Casale de Baccho. MIRTO 1972, p. 141.
0. %.!: Calatabutor. PIRRI I, p. 495. 0.-: Castellum Calatubuturi. PIRRI I, p. 495
:
Calatabutur cum suis. PIRRI 1733, I, p. 389. 20: abitato fotificato (hisn) in Idrisi – AMARI 1880(81, I, p. 112.
2,: ότάρτος τού χάλάτουδουθούρ. CUSA 1888, p. 482.
,,:
2 : Calatabutor. AMICO 1888, p. 16.
Calatabutor. AMICO 1888, p. 26. - : Calatabuturum cum suis. MIRTO 1972, p. 162; PIRRI, II, p. 801. !.,
(
-,): Calatabuturo. SPATA 1862, p. 452. -.: Callatabuturum cum suis. MIRTO 1972, p. 159.
/0: Calatabuturi. GARUFI 1899, p. 234; MIRTO 1972, p.168. !! : Calatabuturum. MIRTO 1972, p. 141. !2 :
Calatabuturo. MIRTO 1972, p. 193.
0. %.!: Golisanum. PIRRI I, p. 495. 0, : Golisanum. MALATERRA, p. 45. 0.-: Golesanum.
AMICO 1888, p. 2.
: Gollisanum cum suis. PIRRI 1733, I, p. 389. 2 : Golesanum. AMICO 1888, p. 16. ,,:
Golosanum. AMICO 1888, p. 26. ,-: Omnia igitur illa que ab ecclesia nostra ipse in Golosano et Policio diu
sub nostro et predecessorum nostrorum. VALENZANO 1979, p. 43. - : Golesanum cum suis. MIRTO 1972, p.
162; PIRRI, II, p. 801. -.. Golesani cum suis. MIRTO 1972, p. 159. /0: Golisani. GARUFI 1899, p. 234; MIRTO
1972, p.168. !! : Golesanum. MIRTO 1972, p. 141. !2 : Golisano. MIRTO 1972, p. 193.
In generale: MAURICI 1998, p. 79. !., #
-,&: Cuscasino. SPATA 1862, p. 452.
. : AMARI 1854(1868, vol. III, parte I, pp. 291(292. !! : Coscasinum. MIRTO 1972, p. 203(206. In questa
data vengono riconosciuti al vescovo i diritti parrocchiali sul centro. Tale informazione indica implicitamente
l’esistenza di almeno una chiesa.
3
0. %.!: Grattera. PIRRI I, p. 495. 0.-: Gratera. AMICO 1888, p. 2.
: Gratteram cum suis.
PIRRI 1733, I, p. 389. ,,: Grateram. AMICO 1888, p. 26 - : Grateram cum suis. MIRTO 1972, p. 162; PIRRI,
II, p. 801.
-.. Grateram cum suis. MIRTO 1972, p. 159. /0: Grateram cum pertinentiis suis. GARUFI 1899,
p. 234; MIRTO 1972, p.168. !! : Gratteram. MIRTO 1972, p. 141. !20: in un documento si parla di castella.
MONGITORE 1734, p. 107
.
: Roccam Asini cum suis. PIRRI 1733, I, p. 389. - : Roccam Asini cum suis. MIRTO 1972, p.
162; PIRRI, II, p. 801. 20: al,Himar o Rocca Asini. AMARI 1880(81, I, p. 114. -.: Roccam Asini cum suis.
MIRTO 1972, p. 159. /0: Roccam Asini. GARUFI 1899, p. 234. MIRTO 1972, p.168. !! : Roccam Asini. MIRTO
1972, p. 141. !20: in un documento si parla di castellum e castrum. Mongitore 1734, p. 107.
4
0. %.!: Mistrectum. PIRRI I, p. 495. 0.-: Mistretum. AMICO 1888, p. 2. 0 : villa et
castellum. MAURICI 1992, p. 325. !!: è in possesso di Matteo Bonello che viene ricordato come di Creun o di
: Amistretum cum suis. PIRRI 1733, I, p. 389. 2 : Mistretum. AMICO
ά=έστάτου. PERI 1952(53, p. 257.
1888, p. 16. ,,: Mistrettum. AMICO 1888, p. 26. - : Mistretam cum suis. MIRTO 1972, p. 162; PIRRI, II, p.
801. -,: il centro è ricordato come villa che può indicare sia un abitato fortificato che un casale. MAURICI
1998a; PIRRI, II, p. 1043. -.. Mistretam cum suis. MIRTO 1972, p. 159. /0: Mistrettam cum pertinentiis
suis. GARUFI 1899, p. 234; MIRTO 1972, p.168. !! : Mistretam. MIRTO 1972, p. 141.
4
In generale: MAURICI 1998, p. 91; MENDOLA 2010, pp. 15(27. 2/: È attestato un
Gervaius de Monte Majori baro. GARUFI 1899, p. 83. /0: Montem Maiorem cum pertinentiis suis. GARUFI
1899, p. 235; MIRTO 1972, p.169. !! : Montem Maiorem. MIRTO 1972, p. 141.
/.: Casalis Odesver quod ipsa domina Imperatrix
5
In generale: MAURICI 1998, p. 69.
concesserat ecclesiae Cephaludensis. BATTAGLIA 1896, p. 124. !0 : Tenimentum quoque Odesver quod est ad
flumen quod dicitur Senescalsci. Mirto 1972, p. 55; Tenimentum quoque Odesver .PIRRI, II, p. 804. !! :
Casale Odesver cum viribus et pertinentiis suis. MIRTO 1972, p. 141.
0. %.!: In generale BORGESE 1999. Politium. PIRRI I, p. 495. 0.-: Polich. AMICO 1888, p. 2.
: Policium cum suis. PIRRI 1733, I, p. 389. 2 : Polich. AMICO 1888, p. 16. ,,: Poliz. AMICO 1888, p. 26.
,-: Omnia igitur illa que ab ecclesia nostra ipse in Golosano et Policio diu sub nostro et predecessorum
nostrorum. VALENZANO 1979, p. 43.
- : Policium cum suis. MIRTO 1972, p. 162; PIRRI, II, p. 801. !.,
(
-,): Policio. SPATA 1862, p. 452. -.: Policium cum suis. MIRTO 1972, p. 162. /0:
Policium cum pertinetiis suis. MIRTO 1972, p.169. !! : Policium. MIRTO 1972, p. 141. !2 : Policio. MIRTO
1972, p. 193.
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16
%
. In generale: MAURICI 1998, p. 94. 0. %.!: Polla. PIRRI I, p. 495.
: Pollinam cum suis.
-: Roberto di Montescaglioso si definisce dominator terrae Pollae e fa alcune
PIRRI 1733, I, p. 389.
donazioni alla chiesa di San Pietro Apostolo apud Pollam sita est. GARUFI 1912, p. 352. 2 : Polam. AMICO
1888, p. 16. 2/: Polline. GARUFI 1899, p. 82; PERI 1953, I, p. 70. ,,: Polam. AMICO 1888, p. 26. ,/:
Casale de Polla cum omnibus pertinentiis suis. GARUFI 1899, p. 113; MIRTO 1972, pp. 37, 157. - : Casalia de
Polla cum omnibus pertinentiis suis e Pollenam cum suis .MIRTO 1972, p. 162; Casale de Polla cum omnibus
pertinentiis suis e Pollinam cum suis. PIRRI, II, 801. -.: Casalia de Polla cum omnibus pertinentiis suis e
Polenam cum suis. MIRTO 1972, p. 159; Casale de Pollina cum omnibus pertinentiis suis e Pollinam cum suis.
PIRRI, II, p. 803. /0: Casalia de Polla cum omnibus pertinentiis suis e Palenam cum pertinentiis suis. GARUFI
1899, p. 235; Casalia de Polla cum omnibus pertinentiis suis e Pollenam cum suis MIRTO 1972, p.168. !0 :
Castellum Polline cum tenimentis et pertinentiis suis. MIRTO 1972, p. 55 e p. 205; PIRRI, II, p. 804. !! :
Casalia de Polla cum omnibus pertinentiis suis. MIRTO 1972, p. 141. ! !: Castellum Polline. PIRRI, II, p. 806
0. %.!: Roccamaris. PIRRI I, p. 495. 0.-: Roccamaris. AMICO 1888, p. 2. 20: da Idrisi è
ricordata come Sakhrat al,hadīd. AMARI 1854(1868, I, p. 64. 2 : Roccammaris. AMICO 1888, p. 16. ,,:
Roccam maris. AMICO 1888, p. 26. !! : è ricordato il castello di Roccella in cui Federico II mantiene una
guarnigione. AA. VV. 2001, p. 355.
: Sclafam cum suis. PIRRI
0. %.!: Schafa. PIRRI I, p. 495. 0.-: Sclafa. AMICO 1888, p. 2.
1733, I, p. 389. 2 : Sclaphan. AMICO 1888, p. 16. ,6: appartiene a Goffredo di Montescaglioso. AA. VV.
2001, p. 359. ,,: Sclafam. AMICO 1888, p. 26. - : Sclafanam cum suis. MIRTO 1972, p. 162; PIRRI, II, p.
801. !2 : Sclafano. MIRTO 1972, p. 193.
: Tusam cum suis. PIRRI 1733, I,
7
0. %.!: Tosa. PIRRI I, p. 495. 0.-: Tosa. AMICO 1888, p. 2.
p. 389. 2 : Tosam. AMICO 1888, p. 16. ,,: Tosam. AMICO 1888, p. 26. - : Tosam cum suis. MIRTO 1972,
-.: Tosam cum suis. MIRTO 1972, p. 162. /0: Tosam cum petinentiis suis. MIRTO
p. 162; PIRRI, II, p. 801.
1972, p.168. !! : Tosam. MIRTO 1972, p. 141
3
(+
(
(4
(presso Siracusa): 60: Casalisbus Girepicii et Cardinalis, Agulie
et Mactile cum villanis eorum dono et concedo Cephaludensi ecclesie. GARUFI 1912, p. 353; PIRRI, II, p. 799;
WHITE 1984, pp. 312(315. ,/ (non vengono citati espressamente): GARUFI 1899, p. 313; MIRTO 1972, p. 37.
- (non vengono citati espressamente): MIRTO 1972, p. 162; PIRRI, II, p. 801. -! (definizione dei confini di
-. (non
Girepizi): GARUFI 1899, pp. 150(51. -! (si parla del pantano di Agulia): SPATA 1862, pp. 443(444.
vengono citati espressamente): MIRTO 1972, p. 159; PIRRI, II, p. 803. /0 (non vengono citati espressamente):
GARUFI 1899, p. 234; MIRTO 1972, p. 168. !! (non vengono citati espressamente): MIRTO 1972, pp. 140 e 203;
NOTO 1980, p. 110.
+
+
appartenente a San Giorgio di Gratteri. In generale: MAURICI 1998, p. 66; / : Casale quod
dicitur Ambullat quod fuit olim Symonis Senescalci cum iustis tenimentis et pertinentiis suis. MIRTO 1972, p.
64; VALENZANO 1987, pp. 23(24.
8+
6,: BRESC 1985, p. 58, nota 4. 20 (chiesa): PIRRI, II, 1263(64. 2 (chiesa): WHITE
1984, p. 295. 2/ (casale): Casale Sancte Anastasie. GARUFI 1899, p. 82. -0 (chiesa): WHITE 1984, p. 295.
-/ (chiesa): WHITE 1984, p. 295.
'
94
!., (
-,): Gaitus aly el Bonifati. SPATA 1862, p. 452.
'
%'
. In generale: MAURICI 1998, p. 70. /.: Burgidebus. BATTAGLIA 1896, pp. 123(
124.
-,): Cassaro. SPATA 1862, p. 452.
In generale: MAURICI 1998, p. 74. !., (
..: et reliqua medietas est casalis Cassari, et mandra est in tenimento cassari. WHITE 1984, p. 436; GARUFI
1898, p. 152.
8*
6 (chiesa): PIRRI II, p.774; Ruggero II, p. 102; WHITE 1984, p. 147. 2/ (casale): Casale
Sancti Helie. GARUFI 1899, p. 82;
62: montis
3
. In generale: MAURICI 1998, p. 92. 0.-: Gibelman. AMICO 1888, p. 2.
Gibilmagne. GARUFI 1899, p. 58. ,,: Gibelman. AMICO 1888, p. 26. /.: Gibelman. AMICO 1888, p. 50.
! ,: Gibelman. AMICO 1888, p. 65.
-,): Gurfa. SPATA 1862, p. 452. 20:
3
In generale: MAURICI 1998, p. 84. !., (
Casale Gurfe. Ruggero II, p. 312.
) '
(il toponimo indica la presenza di un abitato ma è noto solo un fiume con questo nome).
62: flumen Rahal batal. GARUFI 1899, p. 57.
http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/NotiziarioArcheoPalermo.html
Notiziario Archeologico Palermo - 2/2016
A. Alfano, La diocesi di Cefalù tra alto e basso medioevo
17
)
: (
. Nella descrizione dei confini della diocesi di Cefalù.
!: Casali quod
nominatur Rahal Ray. SPATA 1862, p. 425.
In generale: MAURICI 1998, p. 96. -0: GARUFI 1914, p. 100. !60: COLLURA 1961, p. 311.
;
%
; . (nei pressi di Valledolmo). Nella descrizione dei confini della diocesi di Cefalù.
!:
Casali Sankeci. SPATA 1862, p. 424 ..: Locum ubi dicebatur fuisse casale Sankegi. WHITE 1984, p. 436;
GARUFI 1898, p. 151.
. /,: Sillatum. MIRTO 1972, p. 57 sgg.
6: CATALIOTO 2007, pp. 206(207 e
) . 02: Casale quod vocatur Sichro. CATALIOTO 2007, p. 184.
249
7
%
62: GARUFI 1899, pp. 57(58. 6,: BRESC 1985, p. 58 ..: è noto un certo Adam de
Tudino: GARUFI 1899, p. 226.
-,): SPATA 1862, p. 452.
<)
(forse Alia) .In generale: MAURICI 1998, p. 65. !., (
)
8+
7
4 )
+
4
2 :
8+
3
. 6,: BRESC 1985, p. 58, nota 4. 20: PIRRI 1733, II, 1263(64.
-/: WHITE 1984, p.
UGHELLI 1717(1722, pp. 952(953. 2/: GARUFI 1899, p. 82. -0: WHITE 1984, p. 295.
295.
'
. (Passa in seguito alle proprietà di Sant’Anastasia di Caltabellotta) 0/.:
WHITE 1984, p. 295. 00: WHITE 1984, p. 295. !!: WHITE 1984, p. 295. 2 : UGHELLI 1717(1722, pp. 952(
953. -0: WHITE 1984, p. 295. -/: WHITE 1984, p. 295.
"
. 0/.: WHITE 1984, p. 295. 00: WHITE 1984, p. 295. !!:
, (la chiesa passa sotto la giurisdizione della diocesi di Cefalù): GARUFI 1899, p. 25 ssg.
WHITE 1984, p. 295.
2 : UGHELLI 1717(1722, pp. 952(953. -0: WHITE 1984, p. 296. -/: WHITE 1984, p. 296.
4
. 0. : WHITE 1984, p. 295. -0: WHITE 1984, p. 295. -/: WHITE 1984, p.
295.
3
(passa a Cefalù nel 1136 – NOTO 1982, p.87). 0/.: WHITE 1984, p. 295. 00:
WHITE 1984, p. 295. !!: WHITE 1984, p. 295.
4
. 0. : WHITE 1984, p. 295. 0/.: WHITE 1984, p. 295. 00: WHITE
1984, p. 295. !!: WHITE 1984, p. 295. 2 : UGHELLI 1717(1722, pp. 952(953. -0: WHITE 1984, p. 295.
-/: WHITE 1984, p. 295.
=
0/.: White 1984, p. 295. 00: White 1984, p. 295. !!: White 1984, p. 295.
2 : UGHELLI 1717(1722, pp. 952(953. -0: WHITE 1984, p. 295. -/: WHITE 1984, p. 295.
4
. 2 : WHITE 1984, p. 295. -0: WHITE 1984, p. 295. -/: WHITE 1984, p.
295.
)
%
8*
3
6: PIRRI 1733, II, p.774; Ruggero II, p. 102; WHITE 1984, p. 147. 2/: GARUFI
1899, p. 82;
4
>
'
4
: CATALIOTO 2007, p. 42 e PIRRI 1733, II,
pp. 1016, 1027, 1029, 1042, 1053, 1057, 1059, 1060. 0.%
0: SELLA 1944, p. 30.
4
7
6: CATALIOTO 2007, pp. 206(207 e 249;
6: CATALIOTO
? (Sichro). 02: CATALIOTO 2007, pp. 184; WHITE 1984, p. 388.
2007, pp. 206(207 e 249.
2: CATALIOTO 2007, pp. 208(209 e
>
7
6: CATALIOTO 2007, pp. 206(207 e 249.
249.
)
8+
4
!!: WHITE 1984, p. 70
"
3
02: CATALIOTO 2007, p. 184; WHITE 1984, p. 388. In una
definizione di confini nei pressi di Sichro (Castelbuono si riporta “transit rivulum in via sancti (sic) cosme e
damiani”. 6!%6 : WHITE 1984, p. 70.
3
. La chiesa era annessa ad un ospedale e posta sotto la protezione della
regina Costanza. /,: PERI 1952(53, p. 229 nota n° .3
3
'
anche nota
4
4
(appartenente all’ordine dei Giovanniti). --: PIRRI 1733, II, p. 830; 0.%
0: SELLA 1944, p. 30
http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/NotiziarioArcheoPalermo.html
Notiziario Archeologico Palermo - 2/2016
A. Alfano, La diocesi di Cefalù tra alto e basso medioevo
18
4
" 3
. 0 %66: DI GIOVANNI 1880, p. 17; Per tutta l’età
normanna la chiesa appartiene al monastero di San Filippo di Agira in diocesi di Messina. 26: CUSA 1882, p.
650(52.
-!: PIRRI 1733, II, p. 830. !!2: AMICO 1888 , Lexicon topograph. sicul. v. not. S. Philippi de Agyrio,
p. 100.
4
0: DE PASSAFLUMINE 1645, p. 57; PIRRI 1733, II, p. 833;
SCADUTO 1947, p. 163. 0.% 0: SELLA 1944, p. 30
4
4
. Fondazione cluniacense (MENDOLA 2010, pp. 15(17). 2-: BRUEL
1894, V, 538. -!: WHITE 1984, p. 231 e p. 301. 0.%
0: SELLA 1944, p. 30.
+
-: Roberto di Montescaglioso si definisce dominator terrae
Pollae e fa alcune donazioni alla chiesa di San Pietro Apostolo quae apud Pollam sita est. GARUFI 1912, p. 352.
,: Ruggero II, p. 12
)
"
. -!: Il vescovo Bosone di Cefalù concede agli eredi di Mauro Blancabarba
l’amministrazione della chiesa. GARUFI 1899, p. 146; WHITE 1984, p. 305.
3
. .6: nel diploma si parla di una bottega sitam in vico a porta maris itur ad
portam civitatis quintam videlicet ab ecclesia sancti Georgii. GARUFI 1899, pp. 198(200.
3
. (Compare anche tra le chiese di proprietà di Mileto in Calabria ma nel 1136
passa a Cefalù).
,: GARUFi 1899, p. 25(26, PIRRI 1733, II, p. 799. 2 : UGHELLI(COLETI I, pp. 952(953. -.:
MIRTO 1972, p. 159; GARUFI 1899, p. 202; PIRRI 1733, II, p. 803. /0: MIRTO 1972, p. 168; GARUFI 1899, p. 234.
!! : MIRTO 1972, pp. 140 e 203; NOTO 1980, p. 110.
8
3
. 62: Nella definizione dei confini tra Gratteri e Cefalù è menzionato un
): CUSA 1882 p. 481 e 718; SPATA
“flumen sancti yconij”. GARUFI 1899, p. 57. 6. (
1862, p. 431. -.: MIRTO 1972, p. 159; PIRRI 1733, II, p. 803; WHITE 1984, p. 307. /0: GARUFI 1899, p. 234;
MIRTO 1972, p. 168. /,@ PIRRI 1733, II, p. 804. !! : MIRTO 1972, pp. 140 e 203; NOTO 1980, p. 210.
4
3
. -.: MIRTO 1972, p. 159; PIRRI 1733, II, p. 803. /0: GARUFI 1899, p.
234; MIRTO 1972, p. 168. !! : MIRTO 1972, pp. 140 e 203; NOTO 1980, p. 210. !!.: PIRRI 1733, II, p. 806.
!,,: sottoscrive un documento un certo frate Andrea in qualità di priore di Santa Maria di Gibilmanna: MIRTO
1972, p. 110.
4
3
(oggi
4
3
). -.: PIRRI 1733, II, p. 804. /,@ PIRRI 1733,
II, p. 804.
4
"
."
,,: GARUFI 1899, p. 95; PIRRI 1733, II, p. 801; WHITE
1984, p. 303. //: proprietà di San Filippo d’Agira, PIRRI 1733, II, p. 1250.
=
4
. In generale BRESC 1985, pp. 54(70. 2,: GARUFI 1899, p. 76; PIRRI 1733, II, p.
.2: GARUFI 1899, p. 202.
/0: GARUFI 1899,
801 e p. 803. -.: MIRTO 1972, p. 159; PIRRI 1733, II, p. 803.
p. 234; MIRTO 1972, p. 168. !! : MIRTO 1972, pp. 140 e 203; NOTO 1980, p. 110.
=
. -.: MIRTO 1972, p. 159; PIRRI 1733, II (San Nicola de
Camarata), p. 803. /0: GARUFI 1899, p. 234; MIRTO 1972, p. 168. !! : MIRTO 1972, pp. 140 e 203; NOTO
1980, p. 110.
4
4
: dedicata a Santa Maria si trovava all’interno del castello di Isnello. Oggi in
stato di rudere: VIRGA 1877, p. 50.
4
! .: NOTO 1980, pp. 106(109. ! !: PIRRI 1733, II, p. 806
#
4
=
&. 60: BATTAGLIA 1895, p. 113; GARUFI 1899,
. (la chiesa
p. 38: San Pietro appartiene a Cefalù. WHITE 1984, p. 297: San Pietro non appartiene a Cefalù.
viene donata a Cefalù): GARUFI 1899, p. 173
>
nota nel XIV secolo ma databile per la struttura ad epoca
normanna: BRUNAZZI 1997, p. 365 PIRRI 1733, II, p. 828.
!! : In questa data vengono riconosciuti al vescovo i diritti parrocchiali sul centro. Tale
informazione indica implicitamente l’esistenza di almeno una chiesa. MIRTO 1972, pp. 203(206.
A
%
4
. -2: GARUFI 1899, p. 161. La chiesa era probabilmente sotto la giurisdizione di
Cefalù: WHITE 1984, p. 306, nota 71.
60: GARUFI 1912, p. 353; PIRRI 1733, II, p. 799; WHITE 1984, p. 296 e pp. 312(
315. ,/: GARUFI 1899, p. 313; MIRTO 1972, p. 37 e p. 137; - : MIRTO 1972, p. 162; PIRRI 1733, II, p. 801.
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19
-.: MIRTO 1972, p. 159; PIRRI 1733, II, p. 803. /0: GARUFI 1899, p. 234; MIRTO 1972, p. 168. !! : MIRTO
1972, pp. 140 e 203; NOTO 1980, p. 110.
4
–
4
"
: 6 : PIRRI 1733, II, p. 799; WHITE 1984, p. 298,
nota 27 (Le rovine insistono presso il convento francescano di Santa Maria di Cacciapensieri poco fuori dal
paese di Cammarata). 62: CUSA 1882 p. 615(617 e p. 716. 6,: CUSA 1882 p. 617(619 e p. 717. 20: PIRRI
1733 II, p. 801. 2 : GARUFI 1899, p. 64. ,/: GARUFI 1899, p. 313; MIRTO 1972, p. 37 e p. 137. - : MIRTO
1972, p. 162; PIRRI 1733, II, p. 801. -.: MIRTO 1972, p. 159; PIRRI 1733, II, p. 803. /0: GARUFI 1899, p. 234;
MIRTO 1972, p. 168. !! : MIRTO 1972, pp. 140 e 203; NOTO 1980, p. 110.
. ,. (risulta ricostruita): CUSA 1882, p. 484 e 723; SPATA 1862, p. 437; WHITE
1984, p. 305. - : MIRTO 1972, p. 162; PIRRI 1733, II, p. 801. -.: MIRTO 1972, p. 159; GARUFI 1899, p. 202;
PIRRI 1733, II, p. 803. /0: MIRTO 1972, p. 168; GARUFI 1899, p. 234. !! : MIRTO 1972, pp. 140 e 203; NOTO
1980, p. 110.
3
3
La chiesa è fondata dal duca Ruggero III di Puglia, primogenito di Ruggero II, che muore nel 6.. 60:
22: CUSA 1882, p. 360. ,2: MAZZARESE FARDELLA 1983, pp. 3(5. -.: MIRTO 1972, p.
PIRRI 1733, II, p. 839.
160; PIRRI 1733, II, p. 803. .!: MIRTO 1972, p. 165. /0: GARUFI 1899, p. 234; MIRTO 1972, p. 168. / :
GARUFI 1899, p. 247; MIRTO 1972, p. 64. !0 : MAZZARESE FARDELLA 1983, pp. 10(12; MIRTO 1972, p. 59. !! :
MIRTO 1972, pp. 140 e 203; NOTO 1980, p. 110. Tra le proprietà della chiesa erano:
=
( .!: MIRTO 1972, p. 165; !0.: PETRACCA 2006, p. 144);
3
93
( .!: MIRTO 1972, p. 165); o anche
=
7
(Gratteri) ( !0.: PETRACCA
2006, p. 144);
( ,2: MAZZARESE FARDELLA 1983, pp. 3(5; .!: MIRTO 1972, p.
3
( .!: MIRTO 1972, p. 165); %
165; !0.: PETRACCA 2006, p. 144);
(noto anche nel / : Casale quod
3
( !0.: PETRACCA 2006, p. 144); il casale +
dicitur Ambullat quod fuit olim Symonis Senescalci cum iustis tenimentis et pertinentiis suis. MIRTO 1972, p.
64; VALENZANO 1987, pp. 23(24). Lo stesso casale anche nella conferma di Papa Innocenzo III del 1208
PETRACCA 2006, p. 144). Nel 1201 si aggiungono un mulino in contrada Dehyr (?) o Tehyr, la mandram di
Acquaviva ed un villano: BRESC – DI SALVO 2001, p. 29; MIRTO 1972, p. 59. Nel 1208 ancora la vigna Sancti
Yconii, la vigna Gellebi, altri mulini da localizzarsi nel territorio delle Madonie, la mandram de Sarno ed il
diritto di libero pascolo nei territori di Petralia e Castrogiovanni ( !0.: PETRACCA 2006, p. 144).
)
0.%
0
4
3
'
. PIRRI 1733, II, p. 830. Nota anche come
4
ed appartenente al’ordine dei Giovanniti.
4
. Nota già nel 1033(34.
=
'
. Corrisponde alla chiesa di San Nicola di Malvicino (PERI 1993, p. 188, nota
218).
4
4
. Nota nel 1157 (BRUEL 1894, V, 538)
4
.
4
. Forse nota già nel 1130: DE PASSAFLUMINE 1645, p. 57;
PIRRI 1733, II, p. 833; SCADUTO 1947, p. 163.
4
3
(Il castrum Sparthi si trovava nel luogo ove sorge oggi Motta
d’Affermo, BRESC 1975a, nota 10).
4
3
>
'
4
. CATALIOTO 2007, p. 42 e PIRRI 1733, II,
pp. 1016, 1027, 1029, 1042, 1053, 1057, 1059, 1060.
>
4
=
. La chiesa nota anche come
'
si trovava a Polizzi.
La prima notizia si ha nel 1177 poiché vicino si trovava un mulino donato da Ruggero d’Aquila, conte di Avellino
agli Ospitalieri di Messina. PIRRI 1733, II, p. 934; TOOMASPOEG 2003, p. 125.
=
(?)
4
3
=
+
. Nota nel 1116.
=
. Corrisponde alla chiesa di San Nicola de Franchis o dei
Latini o dei Normanni, eretta nel 1167 per volere di Pietro di Tolosa al tempo del vescovo Bosone (1157(1172) che
fu capo di Capitania quando la città, alla fine del XII secolo, si divise in sei capitanie. È nota anche la chiesa di
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20
Santa Niculeddu d’i mulina del XV secolo ma forse sorta su preesistenze: CARCASIO 2000, pp. 193(194. Nel XIV
secolo il termine capitania scompare e nei documenti si comincia a parlare di quartieri che prendono il nome
dalle chiese già a capo di capitania: San Blasio, San Giorgio, Santa Maria Maddalena, Santa Maria Maggiore,
San Nicolo e San Pancrazio (PERI 1993, pp. 183(184).
"
. Era a capo di capitania e poi quartiere.
'
)
Gli elenchi appena presentati costitutiscono un enorme fonte di informazioni per il medioevo normanno di
area madonita, ma se passiamo in rassegna i dati archeologici dobbiamo cedere ad uno sconfortante panorama
di assolutà assenza di scavi o semplice analisi delle strutture murarie siano essi pertinenti a castelli, chiese o
mulini. Sebbene le evidenze siano spesso a bella vista non si registra nessuno scavo in abitati, chiese o castelli
citati che ci possa essere di aiuto alla ricostruzione del popolamento rurale nel medioevo. In questo panorama
gli unici elementi archeologici sono costituiti dagli studi editi intorno alla colonia di Himera139, dallo studio
inedito sulla Valle del Torto140 e da quello di taglio preistorico intorno all’area di Scillato141. Grazie a queste
informazioni si sono potute calare nella cartografia moderna circa 150 UT che abbracciano l’intero panorama
del medioevo dal VI al XIII secolo (fig. 4).
Durante l’elaborazione della tesi di specializzazione la nostra attenzione si è concentrata sul territorio
interno compreso tra Cefalù e Polizzi (fig. 5).
6
#> %$
&
HIMERA III. 1 e HIMERA III.2
CUCCO 1999-2000.
FORGIA 2008-2009; Ead. 2009.
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2
8
21
3
)
Sono infatti le due località più ricche di informazioni storiche e quelle in cui si concentra il maggior numero
di edifici di culto. Lungo il percorso infine si distribuiscono altri luoghi sacri frequentati fino al basso medioevo
ed anche in età moderna, ad indicare la persistenza e l’importanza di questo attraversamento. Lungi da noi
tentare di identificare il possibile tracciato del percorso, sebbene l’orografia montuosa e valliva abbia certamente
costituito un elemento imprescindibile per l’attraversamento in più punti rintracciabili fino ad ora. Nel tentativo
di ricostruire questo itinerario attraverso la presenza di luoghi di culto, un punto a nostro sfavore è costituito
dalla copertura boschiva attuale, che, eccezionale e varia dal punto di vista scientifico e naturalistico, costituisce
un grosso elemento ostativo per l’esplorazione di ampie porzioni di territorio. Fino almeno al medioevo svevo
infatti, come si può ricavare dalle fonti, molte zone, ora non accessibili, erano occupate da coltivazioni
specializzate. L’itinerario religioso parte da Polizzi e tocca i territori attuali di Collesano, Isnello e Gratteri per
poi giungere a Cefalù (figg. 6(7).
Lungo il percorso si incontrano qundici chiese, se consideriamo anche il territorio extra(urbano, il
monastero di San Giorgio a Gratteri e i due ospedali di Polizzi e Cefalù. L’alto numero di fondazioni religiose è
legato direttamente proprio alla presenza degli ospedali fondati entrambi da Pietro di Tolosa nel 1167.
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22
,+
Nel 1205 a Cefalù si aggiungerà anche l’hospitale di Cefalù e Roccella poiché dotato del feudo di Roccella142.
Erano punti di sosta obbligati per i pellegrini in transito che proseguivano per Messina attraverso la costa. Di un
itineraro interno tra Polizzi e Cefalù parla anche Idrisi143 e ciò costituisce la prova ulteriore di questo importante
percorso, oggi non più esistente, che ha condizionato la vita sociale e religiosa di quest’area madonita. Nello
specifico infine, tratteremo di tre edifici religiosi, oggi semi(diruti, dislocati lungo l’itinerario: San Pietro di
Polizzi, San Leonardo di Isnello e San Giorgio di Gratteri.
Su questi ospedali ARLOTTA 2005 con ampia bibliografia.
RIZZITANO 1994.
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-
23
3
3
(fig. 8)
Localizzazione: periferia del centro abitato.
Toponimo: San Pietro di c.da Samperi.
Microtoponimo: Piano del Signore.
Altitudine: 900 m s.l.m.
UTM: 33SVB131853.
.
)
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Descrizione: la chiesa orientata E(O resta visibile nella sua volumetria solo per la parte absidale (fig. 9) ed il
lato nord di cui si conserva un ampio lacerto lungo 7 m. Tutto il lato sud è costituito da blocchi di cemento di
misura standard 20x40 cm e la facciata non si conserva.
/
8
L’intero edificio è realizzato in blocchi parallelepipedi di roccia scistosa disposti su filari orizzontali.
Un’unica apertura nella parte alta dell’abside è strombata verso l’interno ed ha il lato esterno costruito in
blocchi di calcarenite di diversa grandezza lavorati verso l’interno con un piano obliquo.
Lungo il lato nord è stata praticata un’apertura in tempi moderni (fig. 10), larga ca. 1 m e funzionale
all’utilizzo della chiesa come stalla, di cui rimane ampia traccia nelle due mangiatoie che si trovano sui lati
lunghi.
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Il catino absidale (fig. 11), con una corda di 4 m, si conserva sino all’imposta dell’arco. A circa 1,70 m dal
piano di calpestio, alla base della finestra, è inserita una cornice in blocchi di calcarenite che fuoriescono a 45°
dal filo della muratura e si concludono in alto con un piccolo listello (se ne conservano 5 a destra e 4 a sinistra
alti 20 cm con le superfici molto rovinate) (fig. 12).
!
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Sulla destra dell’abside, a ca. 50 cm dal pavimento si trova una nicchia quadrangolare (45x45x30 cm) in
blocchi di calcarenite ricavata nella muratura (fig. 13). Il tetto è realizzato in mattoni sistemati su di una
intelaiatura in ferro ed il pavimento è in cemento.
=
)
B
Altre informazioni: a circa 500 m di distanza, sempre in contrada san pietro (samperi), è venuta alla luce
una necropoli ellenistica la cui fase di vita si colloca tra il IVed il III sec. a.C. Al di sotto dello strato superficiale
di accumulo si sono evidenziati i resti di un insediamento medievale cui la Chiesa di San pietro probabilmente
faceva parte.
Bibliografia essenziale: CONTINO 1993; SALAMONE CRISTODARO 1987, pp. 13(20; TULLIO1993, pp. 5(24;
TULLIO et alii 2005, pp. 15(18;
(fig. 14)
Localizzazione: da Isnello si svolta al km 23 della sp 9 bis a sinistra e si percorre una mulattiera fino a
scorgere i ruderi della chiesa.
Toponimo: contrada giacchino.
Microtoponimo: contrada giacchino.
Altitudine: 650 m s.l.m.
UTM: 33SVB115983.
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6
)
)
27
8
#
&
Descrizione: la chiesa orientata e(o resta visibile nella sua volumetria solo nella parte nord ed in una
porzione del lato est dove si individuano i resti di una nicchia o abside semicircolare a destra della quale resta un
ampio tratto del catino absidale (figg. 15(16).
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,
Ampi tratti murari pertinenti alla struttura sono affioranti lungo il perimetro ma quasi del tutto coperti
dalla vegetazione di tipo avventizio.L’ edificio è realizzato in blocchi parallelepipedi di calcare, sistemati in filari
orizzontali, alternati in modo casuale a pietre di medie e grandi dimensioni appena sbozzate e diversi frammenti
di tegole negli interstizi (fig. 17).
-
Il tutto è legato con poca malta ma a seguito dell’uso continuativo della struttura si riscontra, in diverse
parti, un ampio uso di cemento. L’ingresso originario, ad ovest, è articolato in due aperture che immettono in un
endonartece di cui resta parte del pilastro occidentale. Il lato nord è servito da due ingressi: uno ora tamponato
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all’interno del nartece ed uno nell’aula di culto. Una nicchia rettangolare (70X74X100 cm) è ricavata nella
muratura, sicuramente funzionale al culto, reca tracce di intonaco (fig. 18).
.=
)
B
La stessa è oggi occupata nel suo volume da una serie di blocchi di forma rettangolare allettati con cemento.
Nell’aula di culto si trovano infine i resti di una struttura realizzata in età moderna il cui muro occidentale si
appoggia sul lato interno della chiesa medievale e non contribuisce ad una lettura completa dell’edificio antico.
Allo stato attuale non risulta alcuna traccia del pavimento, coperto con tutta probabibilità dalla fitta
vegetazione. Di particolare interesse è la presenza di alcuni lacerti di affreschi a soggetto religioso. Si trovano
nella parete interna, in prossimità dell’alloggio quadrangolare ed i soggetti riconoscibili sono costituiti dalla
parte inferiore di due figure in tunica e manipolo all’interno di una cornice (fig. 19).
Bibliografia essenziale: SAMONÀ 1935, pp. 6(7; VIRGA 1878.
3
3
(fig. 20)
Localizzazione: sentiero di 1.7 km a S(O del paese percorribile a piedi o in auto.
Toponimo: Vallone San Giorgio.
Microtoponimo: San Giorgio.
Altitudine: 667 m s.l.m.
UTM: 33SVC089012
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!0
)
)
30
3
Descrizione: l’edificio orientato NO(SE presenta un unico ingresso a nord ed è diviso internamente in tre
navate che si concludono in absidi semicircolari. Quella centrale è grande circa il doppio delle laterali e presenta
un’ unica apertura a sesto acuto a circa 3,5 m dal piano di calpestio. L’ingresso è sormontato da un arco a triplice
ghiera segnato in alto da una cornice a cilindretti sfalsati. Nella muratura, ai lati dell’ingresso, sono scolpiti due
capitelli: quello di sx con motivo di cespo di foglie (fig. 21) e quello di dx con ordito geometrico e volute (fig. 22)
!
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31
!!
Sopra l’arco, in facciata, restano i piedritti di due archi che forse facevano parte di un protiro d’ingresso.
sempre nella parte alta della facciata, speculari all’ingresso per circa 5 m sono due aperture circolari. Anche in
controfacciata sono i resti dei piedritti degli archi che dividevano l’aula in tre navate. Sono presenti ampi tratti
del pavimento originario costituito da irregolari lastre calcaree. sul lato est si aprono sei monofore mentre ad
ovest sono sette. sul fianco esposto ad est inoltre si trovano due ingressi, con arco a sesto acuto, a metà ed in
prossimità dell’abside sinistra che si conserva per circa un terzo della sua estensione. Dell’apertura mediana si
conservano anche gli otto gradini d’ingresso in calcare e di forma rettangolare. Nelle absidi rimangono ampie
tracce dei risparmi lungo i muri che dovevano costituire l’alloggio per le colonne (fig. 23).
! +
8
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32
Due pilastri realizzati in blocchi squadrati dividono le absidi; quello di destra è conservato nella sua
interezza perchè sfruttato come appoggio per un muro successivo che fa parte di una struttura rettangolare per il
ricovero di animali che ingloba l’abside destra. L’ingresso dell’ambiente è a nord preceduto da cinque gradini
poichè il piano è soprelevato di circa 1 m rispetto alla chiesa. Al suo interno sul lato sinistro sono due grandi
aperture rettangolari e strombate ora tamponate ed una terza apertura quadrata più piccola (fig. 24).
!6
8
8
Il tetto, conservato in parte, ha un’intelaiatura lignea sulla quale sono poggiate delle tegole. nella parte alta
dell’abside l’intonaco scrostato evidenzia la tecnica costruttiva in filari di piccoli blocchi di calcarenite alternati a
frammenti di mattoni o tegole (fig. 25).
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Tornando alla chiesa, nella parte interna del muro est, in prossimità dell’ingresso, sono resti di decorazioni
geometriche incise su intonaco e campite in rosso. Passando al retro, solo l’abside centrale risulta emergere
mentre le laterali sono nascoste da un muro rettilineo. Sia quest’ultimo che il muro dell’abside principale
presentano una partitura movimentata da lesene appiattite. L’imposta di un arco si nota chiaramente sul lato
sud. Il presbiterio è realizzato in blocchi squadrati di calcarenite così come tutte le aperture mentre il resto della
chiesa in pietre calcaree di medie dimensioni unite da malta. Ad ovest della chiesa (circa 50 m) è presente un
grande serbatoio per le acque, di forma poligonale utilizzato per convogliare la portata di un piccolo torrente.
Alla base del lato occidentale dell'edificio si intravedono una serie di muri, disposti con diversi orientamenti, i
cui rapporti con la chiesa non sono chiari a causa di una vegetazione avventizia costituita principalmente da
edere e rovi. Tutte le creste dei muri sono ad un livello inferiore rispetto al piano di calpestio della chiesa. A circa
15 m dallo stesso lato occidentale corre un muro parallelo alla chiesa alto 60(90 cm che potrebbe costituire il
limite di un terrazzamento o un contenimento per le strutture che si trovano tra il suddetto muro e la chiesa.
L’edificio costituisce ciò che resta del priorato di San Giorgio di Gratteri che aveva una sua autonomia all’interno
della diocesi di Cefalù. All’esterno della chiesa sul lato occidentale, la presenza di muri affiornanti realizzati nella
stessa tecnica costruttiva della chiesa può essere indice della presenza delle strutture del priorato che non si
sono conservate altrettanto bene come la chiesa. La presenza di un muro trasversale che si lega all'angolo nord(
occidentale della chiesa potrebbe essere indizio che gli spazi del priorato fossero legati strutturalmente alla
chiesa anche se non vi sono altri segni che questo (fig. 26).
!,
)
(
Sul lato est, all’esterno, si trovano degli scassi quadrati per travi sia sopra la prima apertura che ai lati della
seconda forse segno della presenza di un portico. Il ricovero per animali che occulta l’abside destra ha
sicuramente avuto due fasi di vita: una prima corrispondente alle aperture rettangolari strombate ed una
seconda, dopo la loro tamponatura, quando è stata aperta una finestra più piccola sullo stesso lato.
Altre informazioni: nel terreno tutt’intorno alla chiesa si raccolgono diversi frammenti reperti archeologici
tra cui si riconoscono ceramiche invetriate e smaltate ed anche coppi a superficie striata, segno della
frequentazione del luogo probabilmente già dal VI(VII secolo.
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Analizzando nel complesso il lavoro possiamo giungere ad alcune considerazioni sia di carattere storico che
archeologico. Il censimento di circa 150 evidenze documentarie e materiali ci pone di fronte al problema di
verificare ed individuare le linee evolutive dell’insediamento tra la fine dell’età tardoantica ed il periodo svevo.
Scendendo nel dettaglio il territorio oggetto dello studio presenta ad oggi due principali fasi nella storia
dell’insediamento: la prima alla fine dell’età tardoantica tra il VI ed il VII, e la seconda nella piena età normanna
e l’età di Federico II. Si presenta inoltre una certa difficoltà relativa alla sostanziale differenza delle informazioni
in nostro possesso per i due grandi periodi storici; tutte le UT censite per il VI(VII secolo (ben 59) derivano da
testimonianze materiali con la totale assenza di dati storiografici, mentre le UT di XI(XIII (ben 98) sono note,
quasi esclusivamente, da notizie riportate nella diplomatica medievale ed in generale dalle fonti archivistiche.
Come già ampiamente discusso, si ricorda che gli studi di topografia nel nostro territorio si contano sulle dita di
una mano, e che sono concentrati nella valle del fiume Imera e dei suoi affluenti. Per le altre zone si è davanti ad
un terreno vergine in attesa di essere esplorato in modo sistematico e le cui informazioni potranno colmare il
vuoto di conoscenza che attualmente abbiamo.
Tornando all’età tardoantica le evidenze archeologiche mostrano la probabile specializzazione nella
distribuzione dell’insediamento; si va dai grandi insediamenti o fattorie, noti già in precedenza, come le UT 2, 3,
12, 15, 16, 17, 19, 20, 22(24, 26, ed altri ancora, alle testimonianze che presentano una continuità di vita o una
rioccupazione in età medievale delle UT 1, 12, 18, 25, 32, 34, 36, 43, 44, 117. In tutti i casi si tratta di località i cui
indicatori cronologici principali sono costituiti dalla terra sigillata africana di tipo D, da anfore e da coppi a
superficie striata che spesso costituiscono l’unica testimonianza di antichi luoghi d’abitazione o lavoro.
Interessante è poi la presenza di UT che definiamo “d’altura” per la semplice localizzazione geografica a
quota piuttosto elevata come ad esempio le UT 116, 117, 133(138. Si tratta di frequentazioni, in linea con la realtà
dell’insediamento sparso di età tardoantica, che si pongono in posizione privilegiata ad una quota notevole
rispetto all’area circostante.
Sicuramente aree non dedite alla coltura monocerealicola ma caratterizzate da una produzione diversificata
che sfruttavano le risorse legate al bosco ed alla pastorizia. La presenza di anfore tardo antiche di produzione
africana poneva comunque questi luoghi all’interno dei traffici commerciali. Per quanto riguarda i periodi storici
successivi sono 7 e UT di VIII(IX secolo, tutte nell’area della Valle dell’Imera oltre a Cefalù e Caltavuturo. Alle
cronache della conquista arabo(musulamana risalgono ancora Caltavuturo (UT 66), Collesano (UT 53), Qal’at
as(sirat (UT 54), Sclafani (UT 76) e Cefalù (UT 143). È probabile che la nascita della diocesi nel corso dell’ VIII
secolo abbia influito molto sulle dinamiche insediative dell’area madonita ma ci sfugge la consistenza materiale
di questi insediamenti. Le diocesi di Termini ed Alesa non sopravvivono alla conquista mentre quella di Cefalù
sembra sopravvivere almeno fino alla seconda metà del IX secolo, quando è attestato il vescovo Niceta, il cui
nome chiaramente greco, ci permette di avanzare qualche considerazione riguardo alla presenza bizantina nel
territorio oggetto dello studio. Sono infatti numerosi gli agiotoponimi di natura greca presenti nel territorio
quali San Nicola, San Calogero, Sant’Anastasia, San Giorgio, San Basilio ed altri ancora che potrebbero indicare
la presenza bizantina almeno fino alla fine del IX secolo. Inoltre una delle UT, la 13, indica la presenza del culto
di San Giacomo (attuale Santa Maria degli Angeli di Montemaggiore) con la testimonianza di un’epigrafe in
caratteri greci.
Le altre attestazioni, per i secoli altomedievali, riguardano città arroccate che potevano garantire una
maggiore difesa ma ci sfugge la conoscenza dell’insediamento rurale di tipo sparso. Tra questi centri solo Cefalù
(UT 143) e Caltavuturo (UT 66) sono menzionati nel IX secolo, probabilmente perché posti sulla direttrice di
attraversamento verso l’interno e verso Enna, luogo strategico fondamentale. Anche per il X secolo i dati
archeologici e documentari sono scarsi nonostante un’importante fonte sulla storia del popolamento quale il
rescritto del califfo fatimida Mu’izz. Questo prevedeva la costruzione di una città fortificata in ognuno dei
distretti in cui era divisa l’isola, dove la popolazione sparsa per le campagne potesse essere concentrata, e dove
una moschea principale sarebbe stata un punto di aggregazione e controllo. Il supporto archeologico a queste
affermazioni è praticamente assente ma siamo comunque informati che l’abitato sparso fosse la principale
forma insediativa. La stessa considerazione va fatta per l’età normanna che aggiunge a queste scarne
informazioni una mole di dati in gran parte ancora da verificare.
Come supposto già per altri luoghi della Sicilia, è probabile che la maggior parte degli abitati noti in questo
periodo fossero fondazioni più antiche144. La presenza di toponimi in rahal (UT 84) o di chiara derivazione araba
Il dato è ampiamente verificato nell’area dello Jato e del Bèlice destro in Sicilia ocidentale: cfr. ALFANO – SACCO 2014.
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come Amballut (UT 77) ci può essere d’aiuto nel ricostruire la storia del territorio, ma bisogna procedere con
cautela poiché nulla vieta di pensare che siano da attribuire ad iniziative di popolamento di età normanna: ciò
perché la compagine sociale del periodo prevedeva una notevole presenza di musulmani così come ebrei e
ortodossi. Le circa 90 UT di questo periodo, divise tra abitati, castelli, chiese e mulini ci informano di un
territorio popolato in maniera capillare in cui alla rete insediativa corrispondeva una efficace rete stradale.
Questa favoriva la penetrazione verso sud (la cosiddetta strada di Polizzi di un documento del 1145) o gli
attraversamenti trasversali dalla valle del fiume Torto verso l’area centro(meridionale delle Madonie per mezzo
della magnam viam Francigenam Castrinovi, già nota nel 1096. Accanto ai centri fortificati, sede dei diversi
poteri feudali (UT 6, 67, 71, 85, 87, 143), si pongono gli abitati di carattere aperto basati sullo sfruttamento
agricolo o sulle risorse legate al bosco (UT 65, 68, 73, 77(84, 86, 89(91). Diversi risultano poi i mulini,
importanti anche per la gerarchia ecclesiastica che ne possedeva molti.
Tra questi solo quelli ricadenti nell’area di Polizzi possono essere attribuiti con buona probabilità ad età
normanna (UT 93, 94, 95) mentre per gli altri disponiamo di attestazioni documentarie (UT 139(142) o di
strutture posteriori che forse ricalcano le antiche (UT 109, 112).
La novità più consistente, ed anche più importante per le caratteristiche dell’insediamento rurale, è la
diffusione di fondazioni religiose. Le stesse sono distribuite in maniera eterogenea in tutto il territorio diocesano
e costituiscono un importante strumento di controllo del potere, favorito in ogni modo dai feudatari, che
dispensano beni e risorse per garantirsi favori ecclesiastici.
La stragrande maggioranza delle fondazioni risponde al rito latino, segno della grande impronta territoriale
che la politica normanna aveva voluto per l’intera isola.
Per la verità le fondazioni sotto il controllo diretto della diocesi di Cefalù sono poche (UT 51, 82, 101, 102,
103, 106, 123, 124, 126, 127) mentre abbiamo già visto come altre istituzioni religiose posseggano diversi centri
religiosi, come la diocesi di Lipari(Patti cui appartiene la chiesa di Sant’Elia (UT 144) o l’Abbazia della
Santissima Trinità e San Michele Arcangelo di Mileto che possedeva le chiese di Sant’Anastasia (UT 99), Santa
Barbara (UT 118), San Cosma e Damiano (UT 120) e San Giovanni (UT 51); Quel che risulta è che
l’organizzazione territoriale riflette una varietà sociale molto differenziata, frutto dell’ottima politica di controllo
della monarchia normanna e delle rigide disposizioni delle gerarchie ecclesiastiche. Con l’inizio dell’età
federiciana subisce profonde trasformazioni anche l’assetto territoriale in cui gli abitati che si possono
considerare minori tendono a scomparire, mentre si fortificano i centri posti in posizione privilegiata.
In particolare i casali di Alcusa (UT 62), Bacco (UT 65), Coscasino (UT 68), Bonifato (UT 79), Cassaro (UT
80) Gulfa (UT 83), Raciura (UT 86) e Burgitabis (UT 50), individuabili, se si esclude l’ultimo, lungo il fiume
Torto, scompaiono dalla documentazione archivistica entro la metà del XIII secolo. L’unico centro della valle del
Torto che ancora resiste è Montemaggiore (UT 72) nel cui territorio si riscontrano diverse altre attività (UT 1, 4,
5, 12, 14), la presenza della chiesa cluniacense di Santa Maria (UT 13) e del Castellum di Monte Roccelito (UT 6)
che conferisce all’area la natura di centro privilegiato. Di contro, alla sparizione di questi centri, altri assumono
un ruolo più importante testimoniato anche dalla presenza di diversi centri religiosi. Il tipo di abitato che si
viene a delineare è quello di dimensioni medio(grandi, fortificato ed in possesso di potenti famiglie feudali, che
dalle fonti è noto come terra. La floridezza di questi centri, tutti nel massiccio montuoso delle Madonie, si
ripercuote nella presenza di fondazioni religiose garanti della latinizzazione dei luoghi. È possibile che le rivolte
musulmane che caratterizzano la Sicilia occidentale in questo periodo abbiano coinvolto anche il territorio
madonita e la popolazione si fosse spostata presso i centri più grandi. A tal proposito è interessante ricordare
come i centri a resistere siano quelli tenuti sin dall’inizio dalla feudalità normanna che aveva garantito la
latinizzazione dei territori.
Collesano (UT 53), Caltavuturo (UT 66), Gratteri (UT 69), Polizzi (60), Scillato (UT 75) e Sclafani (UT 76)
sono gli abitati principali di questo territorio che rimarranno floridi per tutto il basso(medioevo, favoriti dalla
politica della famiglia Ventimiglia. È probabile che in alcuni casi l’uso delle fonti sia stato un po’ ingenuo, anche
se, in mancanza di riscontri archeologici, non si possono fare ipotesi più precise sulla conoscenza del territorio
in età medievale. Si spera di poter approfondire la ricerca sul campo anche solo in aree campione che già dalle
prime indagini si sono rivelate interessanti, come quelle intorno alla valle del torrente Isnello. Occorre quindi
verificare sul terreno ciò che si è conservato, sia per chiarire i problemi cronologici che di storia
dell’insediamento, al fine di sottoporre a tutela un patrimonio comunitario che altrimenti andrebbe perso.
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