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Catalogo Nazionale dei Manoscritti Etiopici in Italia Report 5 Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Martini etiop. 2 OTTATEUCO Catalogo Nazionale dei Manoscritti Etiopici in Italia Report 5 Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Martini etiop. 2 OTTATEUCO Gianfrancesco Lusini, Gioia Bottari, Jacopo Gnisci, Massimo Villa Napoli 2024 Serie: Catalogo Nazionale dei Manoscritti Etiopici in Italia. Reports Editore: UniorPress Direttore: Gianfrancesco Lusini Comitato scientifico: Riccardo Contini, Gianfrancesco Lusini, Andrea Manzo, Antonio Rollo, Gaga Shurgaia Comitato editoriale: Gioia Bottari, Jacopo Gnisci, Gianfrancesco Lusini, Massimo Villa Catalogo Nazionale dei Manoscritti Etiopici in Italia Report 5: Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Martini etiop. 2. Ottateuco. Gianfrancesco Lusini, Gioia Bottari, Jacopo Gnisci, Massimo Villa UniorPress, Via Nuova Marina 59, 80133 Napoli ISSN 2784-9880 ISBN 978-88-6719-297-7 Edizione digitale con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International License Questa pubblicazione è stata realizzata grazie ad un contributo del Progetto MIUR: «Studi e ricerche sulle culture dell’Asia e dell’Africa: tradizione e continuità, rivitalizzazione e divulgazione». Editing a cura di Massimo Villa. In copertina: pagina incipitaria dell’Esodo (MS Pistoia, Bibl. Forteguerriana, Martini etiop. 2, f. 41r). Introduzione: i manoscritti etiopici di Ferdinando Martini di Gianfrancesco Lusini Di Ferdinando Martini (1841–1928), personaggio emblematico della storia nazionale compresa fra il completamento dell’Unità e l’avvento del Fascismo, si è scritto molto, specie in rapporto ai suoi alti incarichi pubblici come Deputato al Parlamento, Ministro dell’Istruzione, Governatore della Colonia Eritrea, Ministro delle Colonie e Senatore del Regno.1 Poco tempo dopo la sua scomparsa (24 aprile 1928), si apprese che fra il 30 dicembre 1929 e il 2 ottobre 1931 la Biblioteca Forteguerriana di Pistoia aveva acquisito dagli eredi, per il tramite della Cassa di Risparmio di Pistoia, “i manoscritti autografi delle opere dello scrittore scomparso, le sue medaglie ricordo, l’archivio di famiglia, le carte e i manoscritti da lui raccolti”.2 Non è difficile individuare dietro questa impegnativa operazione di trasferimento di un rilevante patrimonio storico da Villa Renatico di Monsummano Terme alla più illustre istituzione culturale pistoiese la figura di Quinto Sàntoli (1875–1959), che fin dal 1926, in qualità di direttore e ‘riformatore’ della Forteguerriana, si era strenuamente impegnato nell’acquisizione di fondi librari e manoscritti. Non sappiamo quale impressione possa aver determinato in lui la visione, in mezzo a carte e libri che testimoniavano la vicenda intellettuale del letterato e uomo politico fiorentino, decisamente rivolta al coevo contesto nazionale ed europeo, di cinque manoscritti africani, più specificamente etiopici, oggetti totalmente eccentrici rispetto a tutto il resto del lascito. Piace pensare che il Sàntoli, da uomo di grande cultura qual era, ne abbia immediatamente riconosciuto il valore e ne abbia parlato con una figura di pari statura intellettuale, ovvero Silvio Zanutto (1870–1946), che fin dalla costituzione del Ministero delle Colonie, nel 1912, si era occupato della relativa biblioteca e aveva accumulato una notevole conoscenza delle cose etiopiche. Dei cinque codici, infatti, lo Zanutto dette sùbito una descrizione sommaria in un’opera monografica che fino ad oggi resta un riferimento prezioso per quanti intendano affrontare lo studio del manoscritto etiopico, e alla quale a lungo si è dovuto ricorrere per informazioni sul piccolo, ma significativo, fondo toscano.3 Nel 1897 Ferdinando Martini riceveva l’incarico di “Commissario civile straordinario” della Colonia Eritrea, col cómpito delicato di chiudere e far dimenticare l’esperienza poco lusinghiera dei governatori militari, oscillante fra cocenti sconfitte e sospetti di malversazioni e violenze. I dieci anni che trascorsero dalla data d’insediamento (16 dicembre 1897) all’arrivo del successore, Giuseppe Salvago Raggi (25 marzo 1907), sono stati oggetto di studi approfonditi da parte di specialisti della materia, dalle cui ricerche è emersa una sostanziale convergenza di giudizi, ovvero che il governatorato di Martini fu, dal punto di vista italiano, una svolta positiva nella gestione degli affari eritrei. Si segnala in particolare la capacità non scontata del Martini di intrattenere rapporti non autoritari con i gruppi dirigenti locali, le aristocrazie, le casate, i lignaggi che avevano detenuto il potere economico-giuridico per secoli, prima dell’arrivo degli Italiani. Il riconoscimento della loro funzione di ‘cerniera’ fra le istituzioni coloniali e i gruppi 1 Per un orientamento, si vedano Guazzini (2007), Rosoni (2006). Sàntoli (1932: 149); cfr. anche [Sàntoli] (1931: 161). 3 Zanutto (1932: 81–84), nr. 158. Per una successiva catalogazione, improntata a criteri più vicini agli standard oggi universalmente condivisi, si veda Lusini (2002). 2 1 culturali che compongono tutt’oggi il ‘mosaico’ eritreo, determinò nei rapporti tra governanti e governati quel cambiamento di clima che il Martini si proponeva come obiettivo, al fine di facilitare i programmi di sviluppo civile, agricolo e commerciale della Colonia. Vogliamo dunque chiederci quale legame possa intercorrere tra una personalità di questa formazione culturale e di questa caratura politica e i cinque manoscritti etiopici che egli conservava nella sua biblioteca personale, ovvero se sia possibile capire come e perché essi siano entrati a farne parte, e in quali circostanze. A colpire lo studioso che si avvicina ad essi per la prima volta è il fatto che si tratta di cinque pezzi di notevole pregio. Si direbbero manufatti selezionati, costituenti una collezione più che una raccolta, realizzata da chi aveva l’occhio allenato a discernere e apprezzare il valore delle cose, sia dal punto di vista materiale, sia con riferimento al contenuto testuale. Fig. 1 – Martini etiop. n. 1 (= Zanutto n. 1). Ne è prova Martini etiop. n. 1 (= Zanutto n. 1, Fig. 1), di formato quadrato e di ridotte dimensioni (245 x 218 x 43 mm), contenente una miscellanea di testi storici, cronologici, giuridici, corredata da un notevole apparato illustrativo. Databile agl’inizi del XIX sec., per la fattura accurata e il non comune contenuto testuale si qualifica come un libro commissionato o vergato da un ecclesiastico di cultura, attento a scienze di dominio ristretto quali l’astronomia e i computi cronologici, ma anche la geografia, sia pure nella forma schematica e immaginaria creata nei secoli dalla tradizione (Lusini 2002: 158–61). Se ci rivolgiamo alla miniera di informazioni costituita dal Diario eritreo (Martini 1946), con i suoi costanti riferimenti all’attività svolta dal Martini nella Colonia, osserviamo che, quando vi si accenna alle tradizioni religiose eritree, né troviamo menzionati questi codici, né i commenti mostrano una qualche originalità, venati come sono di un prevedibile e radicato pregiudizio (ampiamente condiviso da tutti i contemporanei) nei confronti di una società che, pur cristiana, appariva a un intellettuale ‘europeo’ un fossile civile e culturale, un ingombro sulla strada del progresso. Lo si evince anche dagli accenni a un suo stretto collaboratore, nonché per qualche tempo Direttore degli Affari politici e civili, quel Carlo Conti Rossini, studioso già di fama internazionale, allievo di Ignazio Guidi e conoscitore come pochi della storia e della civiltà abissine, col quale il Martini ebbe, nei quattro anni del suo soggiorno eritreo (1899–1904), un rapporto contraddittorio (Dore 2014). Pur non mancando mai di manifestare stima per le sue profonde conoscenze storiche e filologiche, e avvalendosene quando si trattava di ricerche volte alla conoscenza di istituti tradizionali di comunità sottoposte al suo governo coloniale, il Martini faticò sempre a capire le ragioni dell’interesse del grande studioso per una civiltà religiosa che gli appariva solo un relitto di un barbarico Medio Evo africano. 2 Fig. 2 – Martini etiop. n. 2 (= Zanutto n. 5). E allora ancor più viene da chiedersi quale significato si debba attribuire alla presenza, fra carte e documenti del Governatore, di un manoscritto come Martini etiop. n. 2 (= Zanutto n. 5, Fig. 2), della prima metà del Quattrocento, cui è dedicato questo Report di CaNaMEI, quinto della serie inaugurata nel 2020. L’imponente Ottateuco (Orit), di ragguardevoli dimensioni (470 x 340 x 116 mm), appartenente alla tipologia del codice ‘di pregio’ (de luxe), espressione di un rapporto speciale tra una committenza aristocratica e un destinatario di rango, da tempo è al centro delle attenzioni di parte della comunità scientifica per alcune sue peculiarità (Lusini 2002: 161–63). In questa monografia, saranno illustrate nuove e dettagliate analisi del manufatto, secondo la consolidata articolazione di competenze propria del gruppo di ricerca, comprendenti lo studio filologico-testuale e paleografico (Massimo Villa), quello codicologico, particolarmente rivolto alle questioni della conservazione e del restauro (Gioia Bottari), e quello storico-artistico, incentrato su una miniatura a tutta pagina (Fiaccadori: 1993; Id.: 1994) e otto frontespizi miniati (ḥaräg), in stile flamboyant e di squisita fattura (Jacopo Gnisci). La presenza di un codice di tal pregio nella biblioteca del Martini richiede almeno un’ipotesi circa le modalità della sua acquisizione. Le funzioni del Governatore di un territorio come la Colonia Eritrea, i cui gruppi dirigenti da secoli riconoscono nel cristianesimo un fattore identitario, non potevano prescindere dallo stabilimento di buoni rapporti con le locali gerarchie ecclesiastiche. Qualunque pregiudizio il Martini avesse nei confronti di tradizioni e liturgie così antiche da apparirgli più simili a un credo superstizioso che a una religione razionale, il rappresentante del Governo del Regno d’Italia non poteva ignorare l’importanza del radicamento della Chiesa Ortodossa nella società eritrea e il grande rispetto di cui i suoi rappresentanti godevano presso la popolazione. Lo sviluppo di relazioni sarà stato inevitabile, e non è da escludere che al Martini sia giunto in omaggio un manufatto di questo genere, come espressione di attenzione o di riconoscenza per un incontro diplomatico, o per un intervento in favore di un monastero. In un quadro di rapporti giuridici non paritari, qual era quello coloniale, questa prassi rientrava fra le modalità con cui segmenti del patrimonio materiale eritreo ed etiopico sono stati trasferiti in Italia. 3 Fig. 3 – Martini etiop. n. 3 (= Zanutto n. 3). Al pari di Martini etiop. 1, Martini etiop. n. 3 (= Zanutto n. 3, Fig. 3), di formato rettangolare e di ridotte dimensioni (182 x 113 x 32 mm), appartiene a una tipologia di manufatti realizzati per uso personale, ma non necessariamente per esigenze liturgiche. Databile al XVIII–XIX sec., contiene un insieme di tradizioni storiografiche note come ‘Storia dei Galla’ (Tarik zägalla, CAe 2419) ovvero gli Oromo, il gruppo linguistico e culturale che più ha inciso nel paesaggio storico dell’Etiopia dei XVI– XVII sec. (Lusini 2002: 163–65). Quindi, come il primo codice qui considerato, anche questo dev’essere stato proprietà di un ecclesiastico cólto e dagli interessi variegati, e piace pensare che una stessa persona avesse nella propria disponibilità entrambi i manoscritti, prima che attraverso percorsi ignoti finissero in questa raccolta, forse a séguito di un dono o di un acquisto, o ancora di un sequestro effettuato a qualche titolo. Certo stupisce ancora una volta l’alto valore intrinseco di questi libri, nella cui selezione si può ragionevolmente ipotizzare che abbia influito l’occhio esperto di un cultore e conoscitore degli studi etiopici, in grado di riconoscere la qualità formale e testuale di un codice. E ad Asmara, negli anni del governatorato di Martini, non erano molte le figure il cui profilo intellettuale poteva corrispondere alla descrizione appena fatta. Fig. 4 – Martini etiop. n. 4 (= Zanutto n. 4). Lo confermerebbe un elemento di dettaglio fornito da Martini etiop. n. 4 (= Zanutto n. 4, Fig. 4), di formato quadrato e di medie dimensioni (334 x 296 x 86 mm). Databile al XVIII sec., contiene l’ampia silloge patristica intitolata ‘Fede dei Padri’ (Haymanotä abäw, CAe 1586) allo studio della cui tradizione questo testimone contribuirebbe non poco (Lusini 2002: 165–71). Quel che ci interessa ora è che 4 all’interno del manoscritto è attualmente inserito un foglio sciolto di produzione europea, formato protocollo (210 x 310 mm), con la seconda carta tagliata a metà; le cc. 1r–2r (fino al bordo tagliato) contengono un importante testo cronografico, in realtà una semplice elencazione di date ed eventi a partire da una ricognizione dei dati forniti dalla tradizione biblica, per arrivare alla storia religiosa e politica dell’Etiopia cristiana nel primo quarto del XIX secolo. Alcune parti di questo foglio sciolto sono state pubblicate da Carlo Conti Rossini in due articoli successivi, datati rispettivamente 1902 e 1922 (Conti Rossini 1902: 374–76; Id. 1922: 295–27), entrambi dedicati a un controverso problema storico, ovvero la determinazione dell’anno in cui la cosiddetta dinastia salomonide si sovrappose con un colpo di mano alla casata degli Zagwe. Proprio a partire da quegli studi, cui contribuì il ritrovamento di questo testo trascritto da un ignoto antigrafo, oggi si ammette comunemente che gli Zagwe regnarono dal 1137 al 1270. Dunque, verosimilmente negli anni del suo servizio come funzionario, lo studioso piemontese vide il codice e, imbattendosi in quella carta ricca di notizie, ne trasse elementi utili alla sua ricostruzione. Per inciso, osserviamo che il Conti Rossini, nel pubblicare quel testo e nel metterlo a frutto per le sue ricostruzioni, non ne dichiarò la provenienza. Solo lo studio diretto di Martini etiop. n. 4 (= Zanutto n. 4) ha permesso di ritrovare quella che, con ogni evidenza, fu la fonte delle sue informazioni.4 E allora è lecito immaginare che la presenza nella bibliotheca selecta del Martini di una manciata di codici etiopici di così alto valore filologico e codicologico possa essere effetto del suo rapporto col Conti Rossini, il quale deve aver visto i codici e forse ne consigliò al Governatore l’acquisizione. Fig. 5 – Martini etiop. n. 5 (= Zanutto n. 2). Martini etiop. n. 5 (= Zanutto n. 2, Fig. 5) è un altro bell’esempio di codice realizzato per uso personale, di formato quadrato e di piccole dimensioni (150 x 135 x 75 mm). Databile al XVIII–XIX sec., contiene una miscellanea omiletico-agiografica (Lusini 2002: 171–75). Uno degli aspetti più suggestivi di questo manoscritto è il suo ricco ciclo di illustrazioni, in cui riconosciamo un commento visuale al racconto apocrifo noto come ‘Apocalisse di Maria’ (Raʾyä [ǝgzǝʾǝtǝnä] Maryam, CAe 1124). I passi salienti del racconto apocrifo, incentrato sul viaggio di Maria nell’Aldilà, vengono accompagnati da 4 La carta, originariamente contenuta in Martini etiop. n. 1 (= Zanutto n. 1), attualmente (maggio 2024) risulta ricollocata in Martini etiop. n. 4 (= Zanutto n. 4). Il testo è riedito integralmente in Lusini (2015). 5 immagini che rappresentano le sorti degli eletti e dei dannati, insieme a una scena, più volte ripetuta, che fornisce l’iconografia classica dell’articolo di fede denominato ‘Patto di Misericordia’ (Kidanä mǝḥrät, CAe 1718) in base al quale, per l’intercessione della Madre Maria, il Figlio Gesù si mostrerà clemente nei confronti di quanti avranno fede in lei (Mazzei 2017). Secondo quanto affermato dalla nota possessionis conclusiva (c. Fig. 6 – Martini etiop. n. 5 (= Zanutto n. 2), nota possessionis, c. 163va, Fig. 6), il volume fu di Wälättä Ṣadǝq Ǝǧǧǝgayyähu, madre 163va: “Questo libro è della regina Wälättä Ṣadǝq Ǝǧǧǝgayyähu e del di lei figlio Sahlä Maryam Mǝnilǝk. Chi lo rubasse o lo cancellasse di Sahlä Maryam Mǝnilǝk, ovvero sia maledetto come Ario, per l’autorità di Pietro e Paolo”. Mǝnilǝk II (1844–1913), imperatore d’Etiopia dal 1889 al 1913. Dunque, siamo in presenza di un codice che proviene dalla biblioteca personale della famiglia del sovrano etiopico e che a un certo punto è arrivato nelle mani del Martini, massima autorità della Colonia Eritrea, in circostanze che si può ragionevolmente tentare di definire. Forse siamo in presenza di un dono conseguente all’intensa attività diplomatica che il Martini svolse nel biennio 1898–1899, allorché l’uomo forte del Təgray, ras Mängäša, figlio naturale del defunto Yoḥannes IV, sovrano d’Etiopia dal 1872 al 1889, tentò nuovamente di contrapporsi a Mǝnilǝk, accusandolo di usurpazione del trono. In quel frangente, il Governatore partecipò alle trattative con un attivo ruolo di mediazione, nell’esclusivo interesse del Regno d’Italia e del suo possedimento africano, onde evitare in primis il coinvolgimento della Colonia nella turbolenza politica in atto oltre il confine meridionale. E quando ras Mängäša ricorse alle armi per l’ultima volta, il politico italiano fu determinante nell’allineamento del suo Paese sulle posizioni del sovrano in carica, contribuendo così alla sconfitta del ras tigrino. L’atteggiamento del Martini comportò la soluzione della disputa sul confine eritreo-etiopico che si trascinava dai tempi della drammatica sconfitta di Adua. Malgrado il successivo trattato di pace del 26 ottobre 1896, il mancato accordo sulla definizione della frontiera aveva generato un clima di costante tensione tra Etiopia e Regno d’Italia. Ora, in conseguenza dell’atteggiamento accorto del Governatore, Mǝnilǝk addivenne al trattato del 10 luglio 1900, col quale il confine veniva riconosciuto da entrambe le parti come coincidente col corso dei fiumi Märäb, Bäläsa e Muna, lungo una linea di demarcazione decisamente favorevole agli interessi italiani.5 E piace pensare che, secondo una prassi antica e consolidata dei rapporti fra Stati, il dono di quel libro sia stato parte della trattativa felicemente conclusasi, un sigillo e un segno tangibile della volontà di pace del sovrano etiopico, e in particolare del rapporto di fiducia che si era creato fra Mǝnilǝk e Ferdinando Martini.6 5 Per un orientamento, si veda Romandini (1980). Come e quanto trent’anni dopo tale fiducia sia stata ripagata da parte italiana lo illustrano i fatti: la guerra fascista di aggressione, con il ricorso alle armi chimiche, la strage di Addis Abeba tra il 19 e il 21 febbraio 1937, il massacro dei monaci di Däbrä Libanos tra il 21 e il 29 maggio 1937, e in quegli stessi mesi la prima legge di “tutela della razza” (19 aprile 1937), prologo delle grandi sciagure morali e materiali degli anni successivi. 6 6 Anche il completamento di questo quinto Report di CaNaMEI è stato reso possibile dal concorso di enti e istituzioni che hanno sostenuto le missioni del gruppo di ricerca. Ci riferiamo in primo luogo al Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo, presso il quale è incardinato il progetto triennale ‘I manoscritti etiopici in Italia. Documentare, catalogare, conservare’; all’Istituto per l’Oriente “Carlo Alfonso Nallino”, il cui sito ospita le pagine virtuali dedicate al progetto (https://www.ipocan.it/index.php/it/canamei-2); a ISMEO - Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente, nelle cui linee di ricerca CaNaMEI si è inserito fin dalle sue origini; e all’Accademia Vivarium Novum, che ha contribuito fattivamente con una borsa di ricerca e con l’invito a partecipare ai programmi didattici della sua “Scuola di studi superiori in discipline umanistiche”. Da ultimo, importanti prospettive di ampliamento e consolidamento delle attività vengono ora dalla Letter of intent sottoscritta fra CaNaMEI e ‘Beta maṣāḥǝft: Manuscripts of Ethiopia and Eritrea (2016–2040)’, progetto diretto dal Prof. Alessandro Bausi presso il Hiob Ludolf Centre for Ethiopian and Eritrean Studies (HLCEES) dell’Università di Amburgo, un’intesa che aspira dichiaratamente a sostenere ogni genere di collaborazione riferita allo studio, alla digitalizzazione, alla conservazione e alla catalogazione dei manoscritti etiopici. 7 Descrizione testuale di Massimo Villa L’Ottateuco (gǝʿǝz Orit, CAe 2083) è una ben nota e stabile tipologia di manoscritto contenente i primi otto libri dell’Antico Testamento, ossia i cinque del Pentateuco più Giosuè, Giudici e Rut. Il termine gǝʿǝz Orit (lett. “Legge mosaica”) è un prestito giudeo-aramaico pervenuto già in età tardoantica (sulla provenienza dall’aramaico o dal siriaco, vedi Polotsky 1970: 5; Ullendorff 1968: 119–25; Witakowski 1989–1990: 192). I più antichi esemplari noti di Ottateuco, certamente anteriori allo splendido manufatto pistoiese, sono il MS Paris, BnF Éth. 3 (Zotenberg 1877: 4a–6a), secondo il colofone vergato da uno scriba di nome Yoḥannəs al tempo dello aṣe Yəkunno Amlak (r. 1270–1285),7 e il MS Ethio-SPaRe UM-040 (XIII–XIV sec.), incompleto, fotografato a più riprese nel sito nord-etiopico di ʿUra Qirqos e catalogato dal progetto Ethio-SPaRe. Antichi sono anche i MSS EMML 6913 (Betä Mädḫane Aläm, XIII–XIV sec.), acefalo e mutilo (da Gen 35:26 a Num 1:20, con diverse lacune intermedie); Paris, BnF Éth. Abb. 22 (= CR 1; Conti Rossini 1914: 29–30). Benché esemplari anteriori al XIII–XIV secolo non siano sopravvissuti, è ragionevole supporre che la disposizione in otto libri sia molto antica e derivi presumibilmente dall’età aksumita (Fiaccadori 1994; Pietruschka 2010: 7a). I singoli testi non circolano infatti in forma indipendente. Tra gli esempi più peculiari di Ottateuco non può inoltre non menzionarsi il Mäṣḥafä ṭəfut, o “Libro dei grani di ṭeff”, voluminoso codice quattrocentesco conservato nella chiesa di Ǝgziʾabḥer Ab ad Amba Gəšän in Wällo (Haile Gabriel Dagne 2003) e contenente, oltre agli otto libri, anche i quattro vangeli (Caquot 1950: 90). Infine, da ricordare l’Ottateuco di Däbrä Maryam (Qwähayn, Eritrea), copiato nel 1408/09 e contenente la cosiddetta “Operetta di Yosṭinos”, documento letterario di notevole importanza per la ricostruzione della storia eustaziana (Lusini 1993: 11). L’unica edizione completa dell’Ottateuco resta quella pubblicata da August Dillmann nel 1853, sulla base di diversi manoscritti. All’edizione di Dillmann seguì il progetto editoriale di James Oscar Boyd, che utilizzò l’antico codice parigino come manoscritto di base l’antico e già menzionato MS Paris, BnF Éth. 3. Boyd pubblicò nel 1909 il testo della Genesi e nel 1911 quello di Esodo e Levitico. La sua iniziativa rimase tuttavia incompleta e i successivi volumi III e IV, che avrebbero dovuto contenere l’uno Numeri e Deuteronomio e l’altro i restanti tre libri, non furono mai pubblicati. Non sarà quindi inutile ripetere che edizioni critiche affidabili dei libri dell’Antico Testamento sono un cruciale desideratum. Un recente e più sistematico studio sulla trasmissione biblica, inclusi alcuni libri tradizionalmente tramandati nell’Ottateuco, è stato effettuato nel quadro del progetto Textual History of the Ethiopic Old Testament (THEOT). THEOT ha proceduto a trascrivere, analizzare e interpretare statisticamente un gran numero di copie di manoscritti veterotestamentari, incluso il codice pistoiese. Sono state quindi identificate famiglie (“cluster”) di manoscritti per ciascuno dei testi presi in esame, tra cui figurano il Deuteronomio e Rut (Assefa, Delamarter, Jost et. al. 2020). Il codice pistoiese appartiene ad un “supercluster” antico, che si ritrova in esemplari del XIV–XVI sec. e precedente alla standardizzazione del XVI–XVII secolo. Sia per quanto riguarda il Deuteronomio che Rut, la maggiore affinità di varianti del 7 Il colofone, situato alla c. 186v, è pubblicato e commentato da Zotenberg, che ne attribuì completa veridicità. Boyd (1909: xii–xiii) nota tuttavia che esso è vergato in una mano manifestamente diversa da quella del testo principale, indubbiamente successiva di secoli (si notino gli anelli rettangoli e separati di መ) e analoga piuttosto a quella di una mano che corresse altrove il codice. Non ci sono quindi elementi per considerare il colofone autentico. Boyd considera il codice non anteriore alla prima metà del XIV secolo. 8 codice Forteguerriano è in termini assoluti proprio con l’antico e già menzionato Ethio-SPaRe UM-040 (Fig. 1 in Assefa, Delamarter, Jost et. al. 2020: 88). Fig. 7 – Intestazione e incipit della Genesi, c. 6ra. 1. Cc. Ca6ra–40vb: Genesi (Orit zä-lədät). C. 6ra, intestazione rubricata (Fig. 7): ኦሪት፡ ዘልደት። C. 6ra, incipit su righi alternativamente rubricati: በቀዳሚ፡ ገብረ፡ እግዚአብሔር፡ ሰማየ፡ ወምድር ሰ፡ ሀለወት፡ እምትካት፡ ወኢታስተርኢ፡ ወምድርሰ፡ ኢኮነ፡ ድልውተ፡ ወጽልመት፡ ወመልዕልተ፡ ቀላይ፡ ወመንፈሰ፡ እግዚአብሔር፡ ይጼልል፡ መልዕልተ፡ ማይ፡ ወይቤ፡ እግዚአብሔር፡ ለይኩን፡ ብርሃነ፡ ወኮነ፡ ብርሃነ፡ C. 40vb, explicit: ወይቤሎሙ፡ ዮሴፍ፡ ለአኃዊሁ፡ እንዘ፡ ይብል፡ አንሰ፡ እመውት፡ ወአመ፡ ኀወ ጸክሙ፡ እግዚአብሔር፡ ወአውፅአክሙ፡ እምዛቲ፡ ምድር፡ ውስተ፡ ምድር፡ እንተ፡ ማኅለ፡ እግዚአ ብሔር፡ ለአበዊነ፡ ለአብርሃም፡ ወለይስሐቅ፡ ወለያዕቆብ። አምሐሎሙ፡ ዮሴፍ፡ ለደቂቀ፡ እስራኤ ል፡ ወይቤሎሙ፡ አመ፡ ይኄውጸክሙ፡ እግዚአብሔር፡ አውፅኡ፡ አዕጽምትየ፡ እምዝተ፡ ምስሌክ ሙ። ወሞተ፡ ዮሴፍ፡ በ፻ወ፲ዓመት፡ ወቀበርዎ፡ ወሴምዎ። በነፍቅ፡ ውስተ፡ ብሔረ፡ ግብጽ። =። Fig. 8 – Sottoscrizione della Genesi, c. 40vb. 9 C. 40vb, sottoscrizione (Fig. 8): ኦሪት፡ ዘልደት፡ ተፈጸመ። =። =። CAe 1546; testo edito in Dillmann (1853: 3–95), Boyd (1909). Edizione recente in Blaine (1995). 2. Cc. 41ra–67vb: Esodo (Orit zä-ḍäʾat). C. 41ra, incipit su righi alternativamente rubricati: ዝውእቱ፡ አስማቲሆሙ፡ ለደቂቀ፡ እስራኤል፡ እለ፡ ቦኡ፡ ብሔረ፡ ግብጽ፡ ምስለ፡ ያዕቆብ፡ አቡሆሙ፡ ለአሐዱ፡ አሐዱ፡ በበአዕጻዲሆሙ፡ ቦኡ፡ ሮቤል፡ ወስምዖን፡ ወሌዊ፡ ወይሁዳ፡ ወይሳኮር፡ ወዛብሎን፡ ወብንያም። ወዳን፡ ወንፍታሌም፡ ወጋ ድ፡ ወአሴር፡ ወዮሴፍሰ፡ ሀሎ፡ ብሔረ፡ ግብጽ፡ ወኮነት፡ ኵሉ፡ ነፍስ፡ እንተ፡ እም፡ ፸ወ፭ C. 67vb, explicit: ወእምከመ፡ ሰሰለ፡ ደመና፡ እምላዕለ፡ ደብተራ፡ ይግዕዙ፡ ደቂቀ፡ እስራኤል። በመንገዶሙ፡ ወእመሰ፡ ኢሰሰለ፡ ደመና፡ ኢይግዕዙ፡ እስከ፡ አመ፡ ይሴስል፡ ደመና። =። እስመ፡ ደመና፡ ይነብር፡ ላዕለ፡ ደብተራ፡ መዐልተ፡ ወእሳት፡ ላዕሌሃ፡ ሌሊተ፡ ቅድመ፡ ኵሉ፡ እስራኤል፡ በኵላሄ፡ ኀበ፡ ግዕዙ። =። C. 67vb, sottoscrizione: ኦሪት፡ ዘፀአት፡ ተፈጸመ። =። CAe 1367; testo edito in Dillmann (1853: 96–169), Boyd (1911: 1–137). 3. Cc. 68ra–92va: Levitico (Orit zä-lewawəyyan). C. 68ra, intestazione rubricata (Fig. 9): ኦሪት፡ ዘሌዋውያን፡ C. 68ra, incipit su righi alternativamente rubricati: ወጸውዖ፡ እግዚአብሔር፡ ለሙሴ፡ ወተናገሮ፡ እምውስተ፡ ደብተራ፡ ዘመርጡል፡ ወይቤሎ{በሎ}ሙ፡ ለደቂቀ፡ እስራኤል፡ ወአይድዖሙ፡ እመ ቦ፡ ዘአብአ፡ ብእሲ፡ መባእ፡ እምኔክሙ፡ ለእግዚአብሔር፡ እምእንስሳ፡ ወእምነ፡ ላህም፡ ወ<እ> ምነ፡ አባግዕ፡ ታበውኡ፡ መባአክሙ፡ C. 92va, explicit: ወኵሎ፡ ዘይትነዳእ፡ በበትር፡ ለኆልቈ፡ ቅዱስ፡ ውእቱ፡ ወዓሥራቲሁ፡ ለእግዚ አብሔር። ወኢይዌልጥዎ፡ ሠናየ፡ በእኩይ፡ ወእኩየ፡ በእኩይ፡ ወእምሰ፡ ወልጦ፡ ወለጦ፡ ቅዱስ፡ Fig. 9 – Intestazione e titolo del Levitico, c. 68r. 10 ውእቱ፡ ተውለጡ፡ ወኢይትቤዘዉ። =። ዝንቱ፡ ውእቱ፡ ትእዛዝ፡ ዘአዘዞ፡ እግዚአብሔር፡ ለሙሴ፡ በደብረ፡ ሲና፡ ከመ፡ ይንግሮሙ፡ ለደቂቀ፡ እስራኤል። =። C. 92va, sottoscrizione rubricata: ተፈጸመ፡ ኦሪት፡ ዘለዋውያን። CAe 1793; testo edito in Dillmann (1853: 170–228), Boyd (1911: 138–238). 4. Cc. 93ra–125va: Numeri (Orit zä-ḫwəlqw). C. 93ra, incipit su righi alternativamente rubricati: ወነበቦ፡ እግዚአብሔር፡ ለሙሴ፡ በገዳም፡ ዘሲ ና፡ በውስተ፡ ደብተራ፡ ዘመርጡል፡ አመርእሰ፡ ሠርቀ፡ ከል<እ፡ ወ>ርኅ፡ በካልእት፡ ዓመት፡ ዘወፅ ኡ፡ እምድረ፡ ግብጽ፡ ወይቤሎሙ፡ አኀዙ፡ እምጥንቱ፡ ወኆልቍዎሙ፡ ለኵሉ፡ ተዓይኒሆሙ፡ ለ ደቂቀ፡ እስራኤል፡ በበ፡ ነገዶሙ፡ ወበቤተ፡ አበዊሆሙ፡ C. 125va, explicit: ወአውሰባ፡ አዋልደ፡ ሰለጰአድ፡ ዘእምደቂቀ፡ ቅሩባን፡ ዘእምውስተ፡ ነገደ፡ ደቂ ቀ፡ ምናሴ፡ ደቂቀ፡ ዮሴፍ፡ መሐለ፡ ወቴርስ፡ ወሔግላ፡ ወሜልክ፡ ወኖኅ፡ ወገብአ፡ መክፈልቶ ሙ<፡> ውስተ፡ ነገደ፡ ሕዝበ፡ አበዊሆን። ዝንቱ፡ ውእቱ፡ ትእዛዘ፡ ወኵነኔ፡ ወፍትሐ፡ ዘአዘዘ፡ እግ ዚአብሔር፡ በእደ፡ ሙሴ፡ በዐረቢሃ፡ ለሞአብ፡ በኀበ፡ ዮርዳኖስ፡ ዘመንገለ፡ ኢያሪኮ። =። C. 125va, sottoscrizione: ተፈጸመ። ኦሪት። ዘኆልቍ። CAe 2075; testo edito in Dillmann (1853: 229–309). 5. Cc. 126ra–154vb: Deuteronomio (Orit zä-dagəm [ḥəgg]). C. 126ra, incipit su righi alternativamente rubricati: ዝውእቱ፡ ዘተናግሮሙ፡ ሙሴ፡ ለኵሉ፡ እስራ ኤል፡ በማዕዶተ፡ ዮርዳኖስ፡ መንገለ፡ ዐረቢሃ። በኀበ፡ ባሕረ፡ ኢርትራ፡ በማእከለ፡ ፋረንጦፌል፡ ወ ሎቦላ፡ ወአውሎን፡ ወዘከሪሴአ። በዐሡር፡ መዋዕል፡ በኮሬብ፡ በፍኖተ፡ ደብር፡ ሰይር፡ እስከ፡ ቃዴ ስ፡ በርኔ፡ ወኮነ፡ አመ፡ ፵ዓም፡ አመ፡ ፲ወ፩ወርኅ፡ አመ፡ ሠርቀ፡ ወርኅ፡ C. 154vb, explicit: ወኢተንሥአ፡ እንከ፡ ነቢይ፡ ውስተ፡ እስራኤል፡ ዘከመ፡ ሙሴ፡ ዘተናገሮ፡ እ ግዚአብሔር፡ ገጸ፡ በገጽ፡ ወበኵሉ፡ ተአምረ፡ ወመድምመ፡ ዘፈነዎ፡ እግዚአብሔር፡ ከመ፡ ይግበ ሮ፡ ለምድረ፡ ግብጽ፡ ከመ፡ ይግበር፡ ላዕለ፡ ፈርዖን፡ ወመገብቱ፡ ወላዕለ፡ ምድሩ፡ ዐበይተ፡ ወመድ ምመ፡ ወእደ፡ ጽንዕት፡ ወመዝራዕት፡ ልዑል። =። ኵሉ፡ ዘገብረ፡ ሙሴ፡ በቅድመ፡ ኵሉ፡ እስራ ኤል። =። C. 154vb, sottoscrizione: ተፈጸመ፡ ኦሪት፡ ዘዳግም፡ ህግ። CAe 2637; testo edito in Dillmann (1853: 310–80). 6. Cc. 155ra–173vb: Giosuè (Orit zä-ʾIyasu). C. 155ra, incipit su righi alternativamente rubricati: ወኮነ፡ እምድኅረ፡ ሞተ፡ ሙሴ፡ ገብረ፡ እግዚ አብሔር፡ ለኢያሱ፡ ወልደ፡ ኔዌ፡ ለለአኩ፡ (sic) ለሙሴ፡ እንዘ፡ ይብል፡ ናሁ፡ ሞተ፡ ሙሴ፡ ቍል ዔየ፡ ወይእዜኒ፡ ተንሥእ፡ ወዕድዎ፡ ለዝንቱ፡ ዮርዳኖስ፡ አንተ፡ ወኵሉ፡ ሕዝብ፡ ውስተ፡ ምድር፡ እንተ፡ እሁበክሙ፡ አነ፡ ለክሙ፡ ለደቂቀ፡ እስራኤል፡ ኵሉ፡ መካን፡ ኀበ፡ ኬደት፡ እገሪክሙ፡ ለክ ሙ፡ እሁበክሙ። C. 173vb, explicit: ወከረዩ፡ ሎቱ፡ ውስተ፡ ገባኦን፡ ውስተ፡ ምድሮሙ፡ ወአተዉ፡ ኵሎሙ፡ ደቂ ቀ፡ እስራኤል፡ ውስተ፡ አብያቲሆሙ፡ ወውስተ፡ አህጉሪሆሙ። ወአምላኩ፡ ደቂቀ፡ እስራኤል፡ አስ ጥሮጥን፡ ወአስጥሮት፡ ወአማልክተ፡ አሕዛብ፡ እለ፡ አውዶሙ፡ ወአግብኦሙ፡ እግዚአብሔር፡ ውስ ተ፡ ኤቀሎም፡ ንጉሠ፡ ሞአብ፡ ወቀነዮሙ፡ ፲ወ፰ዓመተ። 11 C. 173vb, sottoscrizione rubricata (Fig. 10): ተፈጸመ፡ ኦሪት፡ ዘሆሴዕ (!)። =። CAe 1696; testo edito in Dillmann (1853: 381–430). Da notare che la forma Iyasu, che compare nell’incipit alterna nella sottoscrizione con l’aberrante forma Hoseʿ, che indica invece il profeta Osea. La forma Hoseʿ in questa posizione non è in realtà così rara: si trova infatti anche nella sottoscrizione di molti altri codici, a partire dall’antico MS Paris, BnF Éth. 3 (Zotenberg 1877: 5a) e in altri testimoni Fig. 10 – Explicit e sottoscrizione rubricata di Giosuè, c. coevi al codice pistoiese (per es. Gundä 173vb. Gunde GG-140, XV sec.) o più tardi (per es. MS Gundä Gunde GG-088, XVI sec., qui persino nel titolo ኦሪት ዘሆሴዕ aggiunto sul piatto anteriore). L’antico MS Ethio-SPaRe UM-040 di ʿUra Qirqos ha invece Yoseʿ nell’intestazione e nella sottoscrizione. Dillmann (1853) utilizza la forma Iyäsus. 7. Cc. 174ra–192vb: Giudici (Orit zä-mäsafənt). C. 174ra, incipit su righi alternativamente rubricati: ወኮነ፡ እምድኅረ፡ ሞተ፡ ኢያሱ፡ ወተስእሉ፡ ደቂቀ፡ እስራኤል፡ እንዘ፡ ይብሉ፡ መኑ፡ የዐርግ፡ ለነ፡ ኀበ፡ ከናኔዎን፡ መልአክ፡ ዘይትቃተሎሙ፡ ለነ። ወይቤሎ፡ እግዚአብሔር፡ ለይሁዳ፡ ይዕርግ። ወናሁ፡ አግባእክዋ፡ ለምድር፡ ውስተ፡ እዴሁ፡ ወይቤሎ፡ ይሁዳ፡ ለስምዖን፡ እኁሁ፡ ዕርግ፡ ምስሌየ፡ በውስተ፡ መክፈልትየ፡ C. 192vb, explicit: ወአተዉ፡ ደቂቀ፡ እስራኤል፡ ብእሲ፡ ውስተ፡ ሕዝቡ፡ ወውስተ፡ ነገዱ፡ ወአተ ዉ፡ እምህየ፡ ብእሲ፡ ብእሲ፡ ውስተ፡ ርስቶሙ፡ በእማንቱ፡ መዋዕል፡ አልቦሙ፡ ንጉሠ፡ እስራኤ ል። ብእሲ፡ ብእሲ፡ ዘአደሞ፡ ቅድመ፡ አዕይንቲሁ፡ ይገብር። =። C. 192vb, sottoscrizione rubricata: ኦሪት፡ ዘመሳፍንት፡ ተፈጸመ። =። Clavis, edizioni e bibliografia: CAe 1700; testo edito in Dillmann (1853: 431–78). 8. Cc. 193ra–195rb: Rut (Orit zä-Rut). C. 193ra, incipit su righi alternativamente rubricati: ወኮነ፡ በመዋዕለ፡ ይኴንኑ፡ መሳፍንት፡ መጽ አ፡ ረኀብ፡ ውስተ፡ ብሔር፡ ወሖረ፡ አሐዱ፡ ብእሲ፡ እምነ፡ ቤተ፡ ልሔም፡ ዘይሁዳ፡ ከመ፡ ይንበ ር፡ ውስተ፡ ሞአብ፡ ውእቱ፡ ወብእሲቱ፡ ወደቂቁ፡ ወስሙ፡ ለውእቱ፡ ብእሲ፡ አቢሜሌክ፡ ወአስማ ተ፡ ደቂቁ፡ ክልኤቱ፡ መሐሎን፡ ወኬሌዎን፡ ኤፍራታዊያን፡ እምነ፡ ቤተ፡ ልሔም፡ ዘይሁዳ፡ ወመ ጽኡ፡ ውስተ፡ ሐቅለ፡ ሞአብ፡ ወነበረ፡ ህየ። =። C. 195rb, explicit: ወከመዝ፡ ተወልዱ፡ ለፋሬስ። ፋሬስ፡ ወለዶ፡ ለኤስሮም፡ ወኤስሮም፡ ወለዶ፡ ለአራም። አራም፡ ወለዶ፡ ለአሚናዳብ። ወአሚናዳብ፡ ወለዶ፡ ለነአሶን። ወነአሶን፡ ወለዶ፡ ለሰሎሞ ን፡ ወሰሎሞን፡ ወለዶ፡ ለባዖስ፡ ወቦዖስ፡ ወለዶ፡ ለኢዮቤድ። ኢዮቤድ፡ ወለዶ፡ ለእሴ። እሴ፡ ወለ ዶ፡ ለዳዊት። =። C. 195rb, sottoscrizione rubricata: ተፈጸመ፡ ኦሪት፡ ዘሩት። =። Clavis, edizioni e bibliografia: CAe 2229; testo edito in Dillmann (1853: 479–85). 12 C. 195rb, colofone (Fig. 11): ወተጽሕፈት፡ ዛቲ፡ መጽሐፍ፡ በ ዓመተ፡ ምሕረት፡ ወተወጠነት፡ በወ<ርኀ፡> የካቲት፡ ወተፈጸመት፡ በወርኃ፡ ነሐሲ፡ ወንጉሥነ፡ ዘርአ<፡> ያዕቆብ፡ ወጳጳ<ስ>ነ፡ አ ባ፡ በርተሎሜዎስ። ወዘአፅሐፋ፡ አቡነ፡ ገብረ<፡> ማርያም፡ ይጽሐፍ፡ ስሞ፡ እግዚአብሔር፡ ኀበ፡ ዓምደ፡ ወርቅ፡ በቀለመ፡ ዕንቍ፡ ውስተ፡ ኢየሩሳሌም፡ ሰማያዊት፡ ምስለ፡ ኵሎሙ፡ ደቂቁ፡ ለዓለ መ፡ ዓለም፡ አሜን። =። ኆልቍ፡ ወዘዳግም፡ ሕግ፡ ወዮሴዕ፡ መልከ፡ ጼዴቅ፡ ጸሐፈ፡ ወዘካልአን ሰ፡ አነ፡ ጳውሎስ፡ ለእመቦ፡ ዘወሰክነ፡ ወከፈልነ። እመሂ፡ በአእምሮ፡ ወእመሂ፡ በኢያእምሮ፡ ስረ ዩ፡ ወባርኩነ፡ ለዓለመ፡ ዓእም፡ (!) አሜን። ወለሰራሕተ፡ ብራና፡ ባርክዎሙ፡ እስመ፡ ጻመዉ፡ ብዙ ኃ። =። “È stato scritto questo libro nell’anno di misericordia […]. È stato iniziato nel mese di Yäkkatit ed è stato terminato nel mese di Näḥase, essendo nostro re Zärʾa Yaʿqob e metropolita (ṗaṗas) Abba Bärtälomewos, e chi l’ha fatto scrivere è l’Abunä Gäbrä Maryam. Scriva il Signore il nome di lui su una colonna aurea con calamo gemmato nella Celeste Gerusalemme, insieme a tutti i suoi figli [spirituali], per i secoli dei secoli, amen. I Numeri, il Deuteronomio e Giosuè li ha scritti Mälkä Ṣedeq, quanto ai restanti [li ho scritti] io, Ṗawlos. Se abbiamo aggiunto o tolto alcunché, consapevolmente o meno, perdonate e benediteci, per i secoli dei secoli, amen. Benedite gli addetti alla produzione della pergamena, poiché molto hanno penato”. Fig. 11 – Explicit e sottoscrizione rubricata di Giosuè, c. 173vb. Il colofone è stato pubblicato e tradotto in Fiaccadori (1993: 162–63) e in Lusini (2002: 162). Esso fornisce informazioni di eccezionale rilevanza circa le prassi scrittorie in uso nel XV secolo: non solo esso menziona esplicitamente i pergamentarii (ሰራሕተ፡ ብራና) in quanto distinti dagli scribi (su questo si veda Bausi 2008: 522), ma essendo stato il manoscritto copiato in parte dallo scriba Ṗawlos, che già si era firmato come autore della miniatura alla c. 5v nella didascalia in calce alla stessa, ci informa che scriba e illustratore potevano coincidere. Il colofone ci fornisce infine una stima dei tempi di realizzazione di un codice di alto pregio come il presente Ottateuco: sappiamo infatti che la produzione del libro richiese sei mesi di lavoro, poiché iniziò nel mese di Yäkkatit, ossia gennaio/febbraio, e terminò nel mese di Näḥase, ossia luglio/agosto. Un commento merita l’indicazione dell’anno di produzione del codice. L’anno di grazia, indicato in inchiostro rosso, è scarsamente leggibile a causa di una macchia di umidità. Il numerale è stato interpretato univocamente come ፺, ossia 90 (Fiaccadori 1993; Id. 1994; Lusini 2002), che corrisponde nel calendario gregoriano al 1438/39, ma letture alternative sono possibili (vi si può scorgere la forma antica del numerale ፮, ossia 6). Il numerale è riprodotto in corpo minore e in inchiostro nero, come aide- 13 mémoire per la rubricatura, sul margine destro del colofone, secondo una ben nota prassi scrittoria (Fig. 12). Neppure la lettura dello aide-mémoire è univoca, perciò la datazione del codice al 1438/39 non può essere confermata. La menzione del sovrano Zärʾa Yaʿqob, intronizzato nel 1434 e morto nel 1468, fornisce un intervallo cronologico sicuro Fig. 12 – Dettaglio del numerale nel colofone. per ancorare la produzione del manoscritto al secondo terzo del XV secolo. La forbice cronologica può essere ulteriormente ristretta dalla menzione del metropolita Abba Bärtälomewos. A costui infatti, giunto in Etiopia nel 1398/99, al tempo del re Dawit II, succedettero i noti vescovi egiziani Mikaʾel e Gäbrəʾel, che diverse fonti indicano essere arrivati in Etiopia nel 1438 (Taddesse Tamrat 1970: 106, n. 101; Id. 1972: 228). Il manoscritto sarebbe stato dunque prodotto tra il 1434 e il 1438. Piuttosto, alla luce dell’incerta lettura del testo del colofone, converrà considerare meno sicura la datazione della morte di Abba Bärtälomewos, ascritta al 1438 proprio sulla base del colofone stesso. Che Bärtälomewos fosse stato, quanto meno per un breve periodo, contemporaneo di Zärʾa Yaʿqob è confermato anche da Taddesse Tamrat sulla base di un non meglio specificato manoscritto del Gädlä Filəṗṗos di Däbrä Libanos in Šäwa (Taddesse Tamrat 1970: 105, n. 92), mentre la nota addizionale aggiunta al termine del celebre omeliario di Däbrä Ḥayq Ǝsṭifanos (MS EMML 1763, c. 280ra) e datata aprile/maggio 1436 AD fa cenno, nello spazio deputato alla menzione del metropolita, dello Eṗis qoṗos Abba Mikaʾel. A partire da queste fonti Taddesse Tamrat colloca la morte di Bärtälomewos tra il 1434 e il 1436, e al medesimo intervallo di tempo occorrerà, seguendo l’interpretazione dei dati di Taddesse Tamrat, datare la realizzazione del presente Ottateuco. 9. Testi addizionali (additiones) 1. C. 195rb: Simbolo Niceno-Costantinopolitano (in gǝʿǝz: Ṣälotä haymanot, lett. “Preghiera di fede”, CAe 3308). Incipit: ጸሎተ፡ ሀይማኖት፡ ነአምን፡ በ፩አምላክ፡ እግዚአብሔር፡ አብ፡ አሀዜ፡ ኵሉ፡ አለም፡ ገባሬ፡ ሰማያት፡ ወመድር፡ ዘይሬኢ፡ ወዘኢወበ (sic). Il testo, scritto in una calligrafia rapida e non esperta, è incompleto. Prima edizione in Ludolf (1691: 352–53). Il testo è correntemente incorporato nel Mäṣḥafä qǝddase (il messale) ed è correntemente ristampato nelle edizioni locali del messale a cura della Chiesa ortodossa etiopica Täwaḥǝdo, per es.: Anon. (1957/58: ፹፮ [86]). 14 Descrizione codicologica di Gioia Bottari 1. Layout 470 x 340 x 116 mm; 195 carte. Su due colonne. Il numero di linee per colonna è variabile tra 36 e 38. Specchio di scrittura (c. 97r): 353x259 mm. L’intercolumnio è pari a 26 mm, mentre per i margini si registrano le seguenti dimensioni: margine superiore di 45 mm, margine inferiore di 67 mm, margine laterale di sinistra di 24 mm e margine laterale di destra di 73 mm. La foratura è tracciata sul margine esterno del foglio con una serie di fori verticali. I fori di costruzione dell’area di testo e i fori di rigatura sono visibili, eccetto sulle carte 3 e 4. Rigatura a secco: Leroy 00C2 = Muzerelle 1-1-11/0/0/C. La scrittura poggia sulla prima linea di rigatura. 2. Materiale scrittorio La pergamena utilizzata nella realizzazione del manoscritto è di manifattura tradizionale etiopica. A sostegno di tale tesi sono stati raccolti dati materiali e immagini in microscopia digitale. Primo tra i dati materiali è la difformità rilevata negli spessori delle singole carte, indizio di una lavorazione artigianale. Si registrano valori minimi di 0,17 millimetri (c. 12) fino a massimi di 0,37 millimetri (c. 1). Le caratteristiche venature descritte da Godet (1980/82: 206) sono estremamente diffuse sulla superficie scrittoria e risultano visibili soprattutto nel margine inferiore, dove non c’è il testo. Sono presenti svariati difetti di lavorazione, alcuni dei quali imputabili al processo di tensionamento della pergamena sul telaio e riparati in sede di manifattura (cc. 34, 47, 49, 62, 66, 75, 90, 109, 110, 112, 116, 121, 137, 138, 142, 147, 153, 177) e altri preesistenti sull’animale, accresciuti in fase di lavorazione (cc. 2, 3, 26, 34, 42, 47, 48, 53, 54, 63, 64, 65, 67, 79, 90, 114, 119, 122, 127, 142, 143, 146, 147, 153, 158, 165, 167, 180, 186, 191). A causa delle passate condizioni di conservazione del manoscritto, nella maggior parte dei casi non è stato possibile rilevare nel margine superiore della piega di ciascun fascicolo la presenza dei caratteristici fori attraverso i quali normalmente scorre un filo (chiamato sir)8 e impiegato in sede di manifattura per mantenere solidali i fascicoli ed agevolare il processo di cucitura. Tuttavia, tra le carte 25v–26r, 64v–65r, 71v–72r, 144v–145r, 160v–161r, 168v–169r, 178v–179r, 185v–186r, 192v–193r sono visibili piccoli frammenti di filo di origine animale. Per appurare la specie animale utilizzata, è stata svolta un’analisi con microscopio digitale Dino-Lite AD4113-I2V. Al fine di rilevare la disposizione reciproca di più gruppi di pori piliferi, osservando contemporaneamente anche le caratteristiche morfologiche di ciascuno di essi, è stata svolta un’analisi a bassi ingrandimenti, eseguita con luce radente. Durante il processo di manifattura della pergamena, l’arrangiamento follicolare proprio di ciascuna specie animale non viene sostanzialmente alterato. Negli ovini i follicoli appaiono di regola in gruppi relativamente distanti l’uno dall’altro e i secondari sono di norma più numerosi dei primari. Per quanto riguarda l’inclinazione dei peli rispetto alla superficie della pelle, nelle pecore essa tende all’angolo retto, senza una generale regolarità. Queste caratteristiche sono state osservate nel manoscritto in analisi, portando alla conclusione che sia stato prodotto utilizzando pelli di pecora (Fig. 13). 8 Balicka-Witakowska, Bausi, Bosc-Tiessé, Nosnitsin (2015). 15 Tra le cc. 4v e 5r è stato inserito un frammento membranaceo manoscritto (proveniente certamente dalla parte terminale della carta di un altro codice), in precedenza utilizzata per ancorare (tramite quindici passaggi di filo di cucitura ancora visibili) la miniatura che ora si trova sulla c. 5 (Fig. 14). Riguardo alla vistosa inclinazione della miniatura sulla c. 5v, è possibile fare alcune consideFig. 13 – Pori piliferi ovini, fotografati con microscopio Dino-Lite. razioni. Sulla parte posteriore dell’illustrazione è ben visibile uno schema di rigatura che, pur non coincidendo con quello realizzato per il resto del codice, presenta linee verticali e orizzontali dritte (Fig. 15). Questo dato induce Fig. 14 – Brachetta cucita tra le cc. 4v e 5r. Fig. 15 – C. 50r. 16 a pensare che probabilmente l’illustrazione sia stata appositamente realizzata con la spiccata inclinazione oggi visibile. Infatti, se l’inclinazione fosse effetto di una rifilatura successiva, anche le linee di rigatura avrebbero un andamento obliquo. La presenza del differente schema di rigatura rilevato sulla c. 5r e la scelta di cucire la carta al frammento membranaceo oggi collocato tra le cc. 4v e 5r (Fig. 16) fa ipotizzare che la carta non sia sempre stata parte del codice. Una delle possibilità è che la c. 5 sia stata estratta da un altro codice e aggiunta in un secondo momento all’Ottateuco. Fig. 16 – Cucitura di c. 5 prima del restauro del codice. 3. Fascicolazione Il manoscritto è costituito da 26 fascicoli, con cartulazione indicata sul recto di ciascuna carta, al centro del margine inferiore. La maggioranza dei fascicoli (dodici) sono quaternioni, seguiti da un numero inferiore (sette) di quinioni. Il fascicolo 14 è composto da tre carte (cc. 90–92) legate tra loro tramite cucitura a sopraggitto. Il fascicolo 19 è costituito da sedici carte legate in maniera differente alla compagine: è possibile individuare carte tra loro cucite a sopraggitto, bifoli e carte cucite tramite talloni. Tra le cc. 113v e 121r, così come tra le cc. 136v e 137r, 178v e 179r, 185v e 186r, è stato aggiunto un filo più scuro per rinforzare la cucitura primaria. Stringa sintetica di rappresentazione della struttura fascicolare secondo la formulazione elaborata in Andrist (2016): cc.1-2 1I + 2Icc.3-4 + 3(V-pos. 3, 4, 10)cc.5-13 + 4IVcc.14-21 + 5(V-pos. 4, 8)cc.22-29 + 6(V-pos. 4, 8)cc.30-37 + 7(Vpos. 3, 7)cc.38-45 + 8IVcc.46-53 + 9IVcc.54-61 + 10(IV-pos. 2, 6)cc.62-67 + 11IVcc.68-75 + 12IVcc.75-83 + 13IIIcc.84-89 + cc.90-92 + 15(V-pos. 3, 9)cc.93-100 + 16IVcc.101-108 + 17(V-pos. 3, 7)cc.109-116 + 18IVcc.117-124 + 14(tre carte singole) 19(16 carte: cc. 125, 129, 132, 133 sono cucite a sopraggitto; cc. 126-127, 130-131, 135-138, 136-137 sono bifoli; cc. 128, 134, 139, 140 sono carte singole con tallone)cc.125-140 + 20IVcc.141-148 + 21(V-pos. 4, 8)cc.149-156 + 22IVcc.157-164 + 23(VI-pos. 2, 4, 8)cc.165-173 + 24IVcc.174-181 + 25IVcc.182-189 + 26IIIcc.190-195 17 4. Legatura Legatura tradizionale etiopica con piatti in legno e frammento in cuoio di colore marrone rossiccio sulla parte superiore del dorso. Cucitura tradizionale usuale a doppia catenella (o catenella a due fili) su sei stazioni di cucitura, realizzata con filo di origine animale (probabilmente tendini). Le assi lignee dell’Ottateuco sono state ottenute da un legname di prima scelta (Fig. 17), tagliate sezionando longitudinalmente il tronco dell’albero e realizzando poi un taglio trasversale al terzo del suo diametro. La piallatura è avvenuta con ferri di dimensione media, infatti non sono presenti avvallamenti o dislivelli sulle tavole. Come finitura superficiale è stata cosparsa della cera nella parte esterna di entrambe le assi, così da impermeabilizzarle e renderle più lucide. L’asse anteriore ha uno spessore superiore rispetto a quella posteriore: la prima si attesta su una media di 12,5 millimetri, mentre la seconda attorno ai 10,5 millimetri. Fig. 17 – Asse anteriore dell’Ottateuco. Fig. 18 – Filo di cucitura fotografato con microscopio Dino-Lite. 18 L’asse posteriore è l’unica a presentare una frattura passante riparata con dello spago tramite tre coppie di fori collocati nella sua prossimità. Il filo che vi scorre all’interno (Fig. 18) è della stessa tipologia di quello utilizzato per cucire il blocco delle carte, sia dal punto di vista del materiale d’origine (animale), sia per la tipologia di numeri di capi (due) e di torsione (a “Z”). Entrambe le assi presentano fratture passanti riparate con spille metalliche (una per ciascuna asse) e sull’asse anteriore si registra la presenza di una piccola frattura non passante sul margine laterale interno. Sulla parte superiore del dorso, per un’altezza di circa 250 millimetri ed una larghezza di circa 280, è visibile un frammento in cuoio di colore marrone rossiccio. Lo spessore del lacerto è di circa 0,98 millimetri ed è stato cucito al dorso tramite due passaggi di filo. Presumibilmente in origine il cuoio era presente anche nella porzione inferiore del dorso, dal momento che in prossimità degli angoli inferiori delle assi collocati vicino al dorso la cera sembra essere assente. Tra le assi lignee e le controguardie del codice è ancorato un capitello monocromatico (Fig. 19). La tipologia è tipicamente etiopica: una treccia in cuoio di colore marrone, sovrabbondante rispetto all’ampiezza del dorso. All’interno di ciascun fascicolo è presente una calata di filo utile per ancorare il capitello. Nel margine inferiore sono visibili le medesime calate, segno che probabilmente in origine il codice era munito di entrambi i capitelli. 5. Stato di conservazione L’Ottateuco è stato restaurato a Firenze nel 2007 presso “Il Laboratorio S.r.l.”, nell’ambito del progetto “Salviamo un Codice”. L’intervento di restauro ha previsto le seguenti operazioni, oggi ben visibili sul manoscritto: • controllo cartulazione, primo intervento di spolveratura con pennello a setola morbida; • indagine di verifica dei danni sul dorso del manoscritto derivanti da pregresso attacco murino e controllo della cucitura originale; • intervento di pulitura a secco dei depositi presenti su alcune carte; • intervento di spianamento delle pieghe tramite umidificazione dei supporti pergamenacei con goretex e carta assorbente; • distacco, spianamento e restauro delle prime e ultime carte semi-distaccate e fortemente danneggiate e riaggancio dei fascicoli parzialmente scuciti; • restauro della frattura verticale dell’asse lignea posteriore; • rimozione delle puntine di ferro che tenevano bloccato il frammento di dorso in pelle originale e suo consolidamento; • costruzione di un contenitore bivalve idoneo alla conservazione, con rivestimento interno in velluto ed esterno in tela. Le operazioni di restauro sono state effettuate con lo scopo principale di rendere consultabile il codice senza correre il rischio di provocare ulteriori danni meccanici. Nonostante il restauro abbia raggiunto lo scopo prefissato è stato molto invasivo e parzialmente distruttivo. La scelta di inserire quattro perni in legno nell’asse posteriore per manFig. 19 – Ingrandimento del capitello del codice. tenere salda la porzione di asse lignea distaccata è 19 Fig. 20 – Inserimento dei perni nell'asse posteriore. stata conservativamente poco indicata, oltre che non idonea alla tipologia codicologica in esame (Fig. 20). Discutibile anche la decisione di saldare tra loro con dell’adesivo i frammenti mobili dell’asse lignea, originariamente tenuti insieme da tre passaggi di filo tra loro paralleli. Ulteriore passaggio critico del restauro effettuato è senza dubbio l’assenza di studio del legno campionato durante il carotaggio effettuato sull’asse. Sul cuoio presente sulla cuffia superiore continuano ad essere visibili camminamenti di insetti, sebbene il restauro abbia previsto l’inserimento di un frammento in cuoio sotto al lacerto originario (Fig. 21). Il blocco delle carte è interamente restaurato, ma la piega dei fascicoli, specialmente nella porzione esterna visibile sul dorso, risulta ad oggi ancora molto lacunosa. Fig. 21 – Restauro della cuffia superiore. 20 Paleografia di Massimo Villa Il colofone (c. 195rb) documenta l’intervento di due distinti scribi, uno, di nome Ṗawlos (mano A), responsabile della copiatura di Genesi, Esodo, Levitico, Giudici, Rut e del colofone (cc. 5v–92va, 174ra–195rb); l’altro, di nome Mälkä Ṣedeq (mano B), autore di Numeri, Deuteronomio e Giosuè (cc. 93ra–173vb). Allo stesso Ṗawlos è attribuita, secondo la didascalia alla c. 5v, la miniatura policroma a pagina intera raffigurante Mosè (si veda pp. 24–25). La scrittura è databile su base paleografica al XV secolo e ricade nel «periodo III» della classificazione di Siegbert Uhlig (Uhlig 1988). Entrambe le mani mostrano i tratti distintivi del periodo: gli elementi caratterizzanti della lettera si trovano nella parte superiore; gli anelli di መ non sono completamente separati e hanno forma triangolare; di forma triangolare sono anche ሠ e ዐ; ን e ፺ (90) sono privi del tratto verticale in alto a sinistra; l’occhiello di ኴ e ᎎ è aperto; i numerali sono quasi sempre privi del trattino sopra- e sottolineare; l’opposizione tra i numerali 1 e 4 (፩ e ፬) e tra 6 e 7 (፮ e ፯) è di tipo arcaico. Si evidenziano poche differenze tra la mano A (Ṗawlos) e la mano B (Mälkä Ṣedeq). La prima è caratterizzata da un aspetto più verticale delle lettere, alternanza tra forme antiche e moderne di ሎ (ossia con l’anello del settimo ordine unito o separato dal corpo di lettera mediante un tratto di legamento), forma arcaica di 2 (፪), con gli anelli non separati tra di loro. La mano B si contraddistingue per un aspetto generalmente più arrotondato delle lettere, uso esclusivo della forma di ሎ con l’anello separato dal corpo di lettera e dagli anelli separati nel numerale 2 (፪). Il segno ዝየ scritto in legatura e in inchiostro rosso è utilizzato sul margine esterno della c. 9va. Tra i segni di cesura, si rilevano sequenze singole o doppie di linee e punti in inchiostro nero e rosso al termine dei singoli libri, prima e/o dopo la sottoscrizione (es., cc. 40va-b, 92va, 67vb, 125va, 154vb, 173vb). Alle cc. 67vb e 154vb sono seguite da sequenze di coronidi sormontate da croci ansate (Fig. 22). Le rubricature sono state effettuate per diversi scopi. Sono indicati in rosso gli incipit di tutti i testi, alternativamente con righi neri, così come gli incipit di numerose sezioni interne degli stessi. Rubricate sono anche la didascalia dell’illustrazione a pagina intera alla c. 4v, le indicazioni lettura aggiunte sul margine superiore del testo e le sottoscrizioni conclusive di Levitico, Giosuè, Giudici, Rut. Sono vergati in rosso anche i numerali etiopici, inclusi i tratti sopra- e sottolineari (non solo in corpo di testo ma anche negli aide-mémoire). Parziale rubricatura interessa le coronidi alle cc. 67vb e 154vb e i segni di interpunzione lungo tutto il testo. Tra le osservazioni scrittorie, vale la pena menzionare gli indicatori di fascicolo. I fascicoli sono numerati con cifre etiopiche in inchiostro nero sul margine interno, superiore o inferiore, della prima e ultima carta del fascicolo: cc. 13v (፩, in basso), 14r (፪, in alto), 21v (፪, in basso), 22r (፫, in alto), Fig. 22 – Coronidi e croci ansate (c. 67vb). 21 29v (፫, in basso), 30r (፬, in alto), 37v (፬, in basso), 38r (፭, in alto), 45v (፭, in basso), 46r (፮, in alto), 53v (፮, in basso), 54r (፯, in alto), 61v (፯, in basso), 62r (፰, in alto), 67v (፰, in basso), 68r (፱, in alto), 75v (፱, in basso), 76r (፲, in alto), 83v (፲, in basso), 84r (፲፩, in alto), 89v (፲፩, in basso) 90r (፲፪, in alto), 92v (፲፪, in basso, dilavato) 93r (፲፫, da qui in poi tutti sul margine superiore), 100v (፩), 101r (፪), 109r (፫), 116v (፬), 117r (፬), 124v (፭), 125r (፭), 126v (፬), 127r (፬), 132v (፮), 133r (፮), 140v (፯), 141r (፯), 148v (፰), 149r (፰), 156v (፱), 157r (፱),164v (፲), 165r (፲). La numerazione dei fascicoli rivela sistemi di computazione e strategie diversi. Nella prima parte del blocco di testo (fino alla c. 92v) ciascun fascicolo è numerato in modo progressivo sul margine superiore del recto della prima carta e sul margine inferiore del verso dell’ultima carta. Nella seconda parte del blocco di testo, dopo la c. 93r, la numerazione ricomincia daccapo, le cifre sono collocate tutte sul margine superiore e dalla c. 116v quelle sul verso dell’ultima carta di un fascicolo indicano in realtà (contrariamente alla prima parte del codice) il numero del fascicolo successivo. Nella terza parte del blocco di testo, dalla c. 173r in poi, i fascicoli non sono più numerati. È verosimile supporre che queste differenze siano da ricondurre alle due mani che hanno vergato il codice, ossia Ṗawlos e Mälkä Ṣedeq, dal momento che il primo ha copiato la prima e la terza parte del blocco di testo (cc. 5v–92va, 174ra– 195rb) e il secondo è responsabile della seconda parte (cc. 93ra–173vb), cfr. il colofone (p. 13). Decorazioni di Jacopo Gnisci9 Il manoscritto contiene diverse bordure che segnano l’incipit degli otto libri biblici dell’Ottateuco (cc. 6r, 41r, 68r, 93r, 126r, 155r, 174r, 193r) e una miniatura che funge da frontespizio all’intero volume (c. 5v, Fig. 23). Questa miniatura, in cui si vede Mosè ricevere le tavole della Legge, è stata oggetto di due studi del Fiaccadori tanto eruditi quanto ancorati ad una concezione a volte troppo rigida dello sviluppo della miniatura che trae spunto dal metodo filologico di Kurt Weitzmann.10 Fatta eccezione per queste due pubblicazioni, non sono stati condotti studi sistematici sull'iconografia di Mosè nell’arte etiopica del primo periodo salomonico, ma si trovano occasionali riferimenti al tema nella letteratura pertinente (e.g. Lepage 1975: 66–67; Balicka-Witakowska 1983: 22–23; Gnisci 2020: 13–14). Mosè riceve le Tavole della Legge direttamente dalla mano di Dio. Il profeta è identificato da una didascalia in cui si implora anche la sua protezione: “Immagine del profeta Mosè, la sua preghiera ci costudisca, amen”.11 La mano di Dio non emerge da una nuvola o da una sfera celeste – dettagli che ricorrono frequentemente in rappresentazioni di questo tema in altri contesti a partire dai mosaici giustinianei di S. Caterina del Sinai e di S. Vitale a Ravenna – ma da una manica a forma di mezza croce. Mosè ha le mani scoperte ed affiancato da due figure: Giosuè, a sinistra, e Aronne a destra.12 Entrambi I finanziamenti per la realizzazione di questa parte dello studio provengono dal progetto AHRC-DFG “Demarginalizing medieval Africa: Images, texts, and identity in early Solomonic Ethiopia (1270-1527)” (ref. no. 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In alcuni esempi, si vede il solo Mosè che riceve una o due tavole dalla mano di Dio (e.g. Paris, BnF, Éth. 10, c. 113v), in altri la mano divina è assente ed il profeta mostra le tavole allo spettatore (e.g. Addis Ababa, IES 837, c. 140v).13 Aronne si trova occasionalmente ma solo nelle miniature in cui la mano di Dio è assente, mentre Giosuè non è presente in nessuno degli altri esempi a me noti. La miniatura forteguerriana è dunque un unicum nel panorama dell’iconografia etiopica. Tutte e tre le figure presentano un’aureola con bordo bianco probabilmente eseguita con un compasso. Aureole comparabili, eseguite da artisti diversi, si trovano in numerosi manoscritti della metà del Degno di nota è l’affresco nella chiesa di Gännäta Maryam nel Lasta, in cui Mosè mostra una tavoletta quadrata con una croce sopra che rappresenta chiaramente una tavola d’altare. 13 23 Fig. 24 – Iscrizione di committenza, c. 5r. XV secolo. La tunica rossa di Mosè è decorata più riccamente rispetto a quella dei due astanti e presenta un'elegante trama di rombi. Il suo mantello sembra essere avvolto attorno alla parte inferiore del corpo e annodato dietro la schiena. Qui Fiaccadori ravvede un possibile fraintendimento dei “tradizionali attributi del Sinai – la roccia, la fiamma o più probabilmente le nubi – son diventati una fascia ed un ‘nastro’ sull’abito di Mosè” (1993: 178). Resta da capire se l’artista etiopico abbia attribuito a questo dettaglio un significato particolare. Uno studio dettagliato delle fonti potrebbe, ad esempio, rivelare la prassi di rimuovere la sopravveste di fronte ad oggetti particolarmente sacri come un tabot. Il dettaglio più interessante della miniatura dell’Ottateuco è l’iscrizione in calce alla pagina in cui vengono identificati copista e committente della miniatura: “Chi ha fatto dipingere [questa immagine] è Abunä Gäbrä Maryam e chi l’ha dipinta sono io, P ̣awlos” (Fig. 24).14 Come già sottolineato da Fiaccadori (1993: 168), questa dedica, più unica che rara per quel che riguarda la tradizione etiopica, fa riferimento agli stessi personaggi identificati nel colofone alla c. 195rb (si veda p. 13). L’iscrizione è confrontabile con quella sull’icona di Daga Ǝsṭifanos (Heldman 1993: 24–25), ma non trova altri riscontri nelle miniature etiopiche del XV secolo. 14 ዘሥዐለ፡ አቡነ፡ ገብረማርያም፡ ወዘሠዓልከዎ፡ አነ፡ ጳውሎስ፡ 24 Bibliografia Andrist, Patrick (2016), Manuscrits grecs de la Fondation Martin Bodmer. Étude et catalogue scientifique. Schwabe-Fondation Martin Bodmer: Bâle, 2016. Anon. (1957/58), መጽሐፈ፡ ቅዳሴ፡ (Mäṣḥafä qǝddase). 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