Critical Hermeneutics, 5(2), 2021
Biannual International Journal of Philosophy
http://ojs.unica.it/index.php/ecch/index
ISSN 2533-1825 (on line); DOI 10.13125/CH/5201
Received: 11/04/2022
Accepted: 11/04/2022
Published: 13/04/2022
Dire le ragioni della vita. Greisch lettore di Heidegger
(Say Reasons for Living: Greisch Interpreter of Heidegger)
Virgilio Cesarone
Abstract
The contribution aims to highlight the specificity and originality of the
interpretation of Martin Heidegger’s thought proposed over the years
by Jean Greisch. A detailed and scrupulous reconstructive attention to
the
path
taken
by the
philosopher
from Meßkirch has
been
accompanied in Greisch’s publications by a productive interpretation
dedicated to the first Fribourg courses, where the interpretative focus
is concentrated on the status of the vie facticielle, as the node around
which the young Heidegger’s philosophical interest revolved. The
analytics of Dasein, its existential constitution juxtaposed to the
categories of the subject and of the metaphysics of presence remain
for Greisch the terrain on which to confront and question the problem
of the transcendental. However, the interpretative tension does not
turn into mere Heideggerian scholasticism, but tries to highlight
problematic issues, one example for all that emerges with the figure of
the last God.
Keywords: hermeneutical phenomenology, formal indication, ontotheological constitution, ultimate God
Abstract
Il
contributo
intende
evidenziare
la
peculiarità
e
l’originalità
dell’interpretazione del pensiero di Martin Heidegger proposta nel corso
Virgilio Cesarone, Dire le ragioni della vita
degli anni da Jean Greisch. Ad una attenta e scrupolosa attenzione
ricostruttiva del cammino intrapreso dal filosofo di Meßkirch, si è
affiancata nelle pubblicazioni di Greisch un’interpretazione produttiva
dedicata ai primi corsi friburghesi, dove il focus interpretativo si è
concentrato sullo statuto della vie facticielle, quale nodo attorno a cui
ruotava l’interesse filosofico del giovane Heidegger. L’analitica del
Dasein, la sua costituzione esistenziale giustapposta alle categorie del
soggetto e della metafisica della presenza rimangono per Greisch il
terreno su cui affrontare e porre di nuovo in questione il problema del
trascendentale. Tuttavia la tensione interpretativa non si tramuta in
mera scolastica heideggeriana, ma cerca di porre in risalto questioni
problematiche, un esempio per tutti quello che emerge con la figura
dell’ultimo Dio.
Parole chiave: fenomenologia ermeneutica, indicazione formale,
costituzione onto-teologica, ultimo Dio
Martin Heidegger è senza dubbio uno dei filosofi del Novecento che ha
dedicato una attenta cura alla propria autointerpretazione, diffidando
nel contempo della cosiddetta letteratura secondaria 1 . Il filosofo di
Meßkirch, nel suo lavoro decostruttivo nei confronti della storia del
pensiero occidentale, sfociato in una Verwindung della metafisica – che
più che oltrepassamento è da intendere come un’opera di avvitamento
sulla storia e sui motivi del pensiero metafisico – sembra aver voluto
mettere in chiaro una volta per tutte, in vista soprattutto dei “Venturi”,
quali siano i criteri entro cui i suoi sforzi avrebbero dovuto e dovranno
In una lettera del 21 febbraio del ‘71, rispondendo a Medard Boss, lo psichiatra che
lo invitava in Svizzera per seminari extraaccademici e chiedeva al filosofo su quali
testi si dovessero preparare i partecipanti, perlopiù medici e psichiatri, Heidegger
rispondeva: «È difficile dare un consiglio per leggere i miei scritti, […]. Come prima
lettura proporrei la lezione Che cosa significa pensare? […] quindi Il principio del
fondamento […] e infine Abbandono e Colloquio su di un sentiero di campagna. […]
Ma sconsiglierei la letteratura su Heidegger» (Heidegger 1987: 360–361).
1
214
Critical Hermeneutics, 5(2), (2021)
trovare accoglimento. Eppure, nonostante ciò, nel corso dei decenni si
è moltiplicata – almeno fino al silenzio imposto dalla pubblicazione degli
Schwarze Hefte, intonato seguendo il politically correct – la diffusione
di testi che cercavano di urbanizzare la provincia heideggeriana
(Habermas 1987: 22), al fine di usare la grammatica speculativa del
filosofo friburghese per continuarne il cammino, o per cercare di
rendere digeribili le spesso insormontabili asperità linguistiche e
concettuali, è continuata senza sosta.
1. La geo-ermeneutica heideggeriana
Le interpretazioni del testo heideggeriano si sono differenziate
certamente dal terminus ad quem, ossia dalla direzione verso cui
intendevano dirigersi; ma l’ermeneutica dell’opera di Heidegger ha
subito senza dubbio anche un influsso di tipo geografico, risentendo
quindi del dibattito che entro propri confini suscitava di volta in volta
l’eco delle opere dello Zauberer aus Meßkirch. Basti pensare al caso
italiano, dove una prima interpretazione avvenuta dagli allievi del
neoidealismo sia gentiliano che crociano (A. Carlini e C. Antoni), portò
anche all’invito in Italia di Heidegger, il quale nel ‘36 tenne la famosa
conferenza su Hölderlin e l’essenza della poesia presso il neonato
Istituto Italiano di Studi Germanici. Dopo la guerra il pensiero di
Heidegger venne accomunato a quello di Jaspers, in vista di una ripresa
di temi kierkegaardiani e volti alla creazione di una filosofia
dell’esistenza (N. Abbagnano, P. Chiodi, L. Pareyson). Questa lettura è
sfociata poi in una tematizzazione ermeneutica e “debolista”, con un
rovesciamento
ermeneutico
della
cronologia
storica,
rileggendo
Nietzsche a partire da Heidegger (G. Vattimo, P.A. Rovatti). Un altro
avvicinamento al pensiero di Heidegger è stato portato avanti
attraverso un confronto con la storia del pensiero occidentale, dal
ritorno a Parmenide (E. Severino), alla ricostruzione della topologia del
moderno con Hegel (V. Vitiello), infine con una valorizzazione della
215
Virgilio Cesarone, Dire le ragioni della vita
matrice aristotelica degli esistenziali heideggeriani (F. Volpi). Grande
attenzione è stata dedicata alle possibili aperture al fenomeno religioso
offerte dal pensare heideggeriano, pur con le necessarie riformulazioni
determinate dalla critica all’onto-teologia (A. Caracciolo, U. Regina, P.
De Vitiis).
Ma è al di là del Reno il luogo in cui, esclusa la ricezione entro i confini
tedeschi, il pensiero di Heidegger ha trovato un terreno fertile e
un’ampia diffusione. Già prima della Seconda guerra mondiale
Heidegger viene letto in continuità con la fenomenologia husserliana,
anche se con una peculiare attenzione alle questioni esistenziali (E.
Levinas, J. Wahl). Nell’immediato dopoguerra è Sartre che dà ampia
risonanza alla filosofia di Heidegger, assunta e interpretata secondo
declinazioni esistenzialistiche. Questa lettura viene contestata da alcuni
allievi francesi di Heidegger come J. Beaufret e F. Fédier che cercano di
seguire le indicazioni interpretative di Heidegger stesso, riportando il
problema della sua filosofia alla questione dell’essere. Ma la ricezione
in Francia di Heidegger si manifesta anche attraverso forme di rifiuto e
contestazione 2 , con prese di distanza che però mostrano la sua
inaggirabile presenza nel dibattito filosofico. È il caso a cui si assiste
con la proposta di un’etica come filosofia prima di Levinas, ma anche
dell’intenzione decostruzionista di Derrida. Degni di menzione sono
sicuramente le letture di J.L. Marion, con il suo tentativo di pensare un
Questo è l’incipit di un celebre lavoro sulla presenza in Francia di Heidegger: “C’era
una volta un povero ragazzo svevo – nato in un piccolo villaggio nella Foresta Nera
orientale. Con la pura forza del suo pensiero e l’implacabilità del suo lavoro personale,
divenne famoso in tutto il mondo e conquistò l’intellighenzia del ‘nemico ereditario’,
la Francia. Come ha potuto Heidegger occupare, per più di mezzo secolo, la posizione
privilegiata di filosofo alla moda e maestro di pensiero a Parigi, capitale
dell’intellighenzia e della cultura? Recentemente, gli americani hanno posto la
questione in modo più schietto: come hanno potuto menti fini e intelligenti come i
più grandi intellettuali francesi, da Sartre a Lacan, lasciarsi prendere dalle bardature
gergali di un contadino svevo, intelligente forse, ma profondamente nazista nel
cuore? Hanno persino fatto di lui un filosofo francese, sostenendo che era rimasto
per cinquant’anni il vero maestro di pensiero di tutta la filosofia francese (che si
sarebbero completamente sbagliati su di lui)” (Janicaud 2001/1: 7).
2
216
Critical Hermeneutics, 5(2), (2021)
Dio senza l’essere, e di J.L. Nancy, il quale anche grazie alla lettura del
Mitsein, giunge alla proposta di un essere singolare plurale.
2. La ricostruzione “integrale” di Jean Greisch
In questo arcipelago, costituito da tante isole e promotori che si
affacciano sul mare magnum della proposta filosofica heideggeriana,
un posto peculiare, e a nostro avviso di tutto rilievo, riveste Jean
Greisch nella recezione francofona del pensiero di Heidegger 3 . Due
sono i testi fondamentali in cui la lettura di questo grande filosofo del
900 prende forma in maniera evidente nella produzione di Greisch,
anche se la “presenza” del suo pensiero traspare anche in saggi che di
primo acchito non sono destinati all’interpretazione dei suoi testi (cfr.
Greisch 2000/1 e 2005). È Greisch stesso a narrare l’incontro con
Heidegger e il modo particolare in cui egli si è avvicinato al suo pensiero:
Da un lato, i miei interessi teologici, molto forti all’inizio, ora
un po’ più attenuati, mi legano a una scuola teologica molto
precisa, quella della cosiddetta ‘teologia trascendentale’ di
Karl Rahner. Se c’è una tradizione di lettura di Heidegger che
mi ha segnato più di altre, un po’ a mia insaputa, è quella
registrata nel suo libro: Hörer des Wortes. Senza questa
provenienza teologica, la Parole heureuse probabilmente non
sarebbe nata. Questo non significa, naturalmente, che sia una
mera trascrizione di temi cripto-teologici in linguaggio
filosofico! (Janicaud 2001/2: 181).
Un aspetto importante da evidenziare è che questa interpretazione si è svolta “fuori”
dall’accademia universitaria, come afferma lo stesso Greisch: “Il fatto che insegno in
un’istituzione universitaria che fa parte della rete delle università cattoliche, ma che,
in virtù di una strana censura statale, non ha il permesso di chiamarsi ‘università’
aumenta ulteriormente la mia sensazione di essere un uccello esotico che, proprio
per questo, può sentirsi libero di pensare, dire e fare ciò che vuole, senza pagare
tributi ai poteri costituiti” (Janicaud 2001/2: 185).
3
217
Virgilio Cesarone, Dire le ragioni della vita
Ma ciò che appare interessante segnalare è che dopo la pubblicazione
di Verità e metodo di Gadamer, che indirizza la contemporaneità a uno
studio ermeneutico di Heidegger, Greisch opera un viaggio a ritroso
verso le radici fenomenologiche husserliane di Heidegger, dedicando
attenzione prima alla genesi di Sein und Zeit, quindi applicandosi con
acribia interpretativa alle prime lezioni friburghesi di Heidegger,
offrendo al pubblico francofono la possibilità di accedere a temi non
ancora accessibili da traduzioni e che avevano goduto fino ad allora di
poco spazio nel dibattito degli heideggeriani di Francia, dediti al
problema della costituzione onto-teologica della metafisica, o alla
critica della metafisica della presenza o alla decostruzione.
La prima grande interpretazione del pensiero di Heidegger di Greisch
la troviamo nel monumentale Ontologie et temporalité. Esquisse d’une
interprétation intégrale de «Sein und Zeit» (Greisch 1994), dove
l’autore non aspira a un commento letterale, ma, come si annuncia fin
dal titolo, a una interpretazione integrale della grande opera di
Heidegger, fornendo una descrizione puntuale dell’itinerario filosofico
che portò alla nascita del capolavoro di Heidegger. Questo sforzo
ermeneutico-ricostruttivo portato avanti da Greisch ha un solo caso
analogo nel panorama degli studi heideggeriani, quello di Theodore
Kisiel (Kisiel 1993).
Di primo acchito ciò che risalta è soprattutto la volontà didascalica di
Greisch (l’opera nasce da un corso dedicato all’ontologia e tenuto nel
1991-92 e rientra in progetto di studi più ampio dedicato alla questione
del tempo nella filosofia occidentale) di presentare in maniera piana “il
cantiere di lavoro” inaugurato nel 1919, che porterà a Sein und Zeit,
eliminando le asprezze e il gergo peculiare del filosofo friburghese, per
cercare di esplicitare pazientemente la questione propria all’analitica
heideggeriana, fino alla prolusione del 1929 Che cos’è metafisica?. A
tal fine Greisch non disdegna di chiamare in causa alcuni degli interpreti
che lo hanno preceduto, da noi già citati, come Levinas ma anche
218
Critical Hermeneutics, 5(2), (2021)
Ricoeur, che a buon diritto possono essere considerati gli apripista per
la lettura greischiana di Heidegger. Tale lettura non cerca di ricostruire
solo l’ontogenesi della questione dell’essere, ma anche la sua filogenesi,
ossia di mostrare come l’articolazione della domanda sull’essere abbia
subito influenze dagli incontri e dal clima culturale a cui lo stesso
Heidegger partecipava prima come giovane docente a Friburgo, quindi
come professore nella neokantiana Marburgo, tra tutti Rickert,
Brentano, Husserl, Dilthey e Jaspers.
Lasciando da parte le prime due parti di cui è composta l’opera,
concentriamoci brevemente sulla terza, intitolata “Tempo ed essere.
L’invenzione della differenza ontologica”. Qui, riprendendo un giudizio
formulato da J.F. Courtine, secondo il quale tale capolavoro sarebbe un
tentativo «doublement inachevé» (Courtine 1990: 161), Greisch scrive:
Se la prima incompiutezza, cioè l’assenza delle tre grandi
decostruzioni
storiche
annunciate
–
che
trattano
rispettivamente la dottrina kantiana dello schematismo, il
cogito cartesiano e il trattato aristotelico sul tempo – è […]
ampiamente compensata dalle Vorlesungen del periodo di
Marburgo,
lo
stesso
non
si
può
dire
della
seconda
incompiutezza, cioè il mantenimento della terza sezione della
prima parte, che avrebbe dovuto essere intitolata: “Tempo ed
essere” (Greisch 1994: 423).
Questo mostrerebbe, a parere di Greisch, che il cantiere di Sein und
Zeit non è, a tutti gli effetti, mai definitivamente chiuso. Ed è proprio
la prolusione del ‘29 che segna l’inizio di una nuova tappa nel cammino
del pensiero di Heidegger. E dunque Greisch è convinto che il
riconoscimento di Heidegger del fallimento dell’“impresa” di Sein und
Zeit, esplicitato nelle sue lezioni su Schelling (Heidegger 1991: 39–40),
non testimoni affatto l’abbandono del “cantiere Sein und Zeit”.
219
Virgilio Cesarone, Dire le ragioni della vita
3. Dire la vita in filosofia
Come detto, lo scavo successivo dell’opera di Heidegger compirà un
passo a ritroso, il cui frutto è stato il volume L’Arbre de la vie et l’arbre
du savoir (Greisch 2000/3), in cui lo sforzo è quello di fornire
un’interpretazione integrale e sistematica del pensiero di Heidegger
fino alle soglie del periodo marburghese, quello destinato a gettare le
basi per l’analitica di Sein und Zeit. Greisch si sforza di mostrare come
Heidegger cerchi la propria strada filosofica tra due influenze, decisive
per la sua maturazione e contemporaneamente distanti, quella della
filosofia trascendentale husserliana e quella della filosofia della vita di
matrice diltheyana.
Soffermiamoci adesso brevemente su questo testo per comprendere il
valore e l’importanza che esso riveste negli studi heideggeriani non solo
nei paesi francofoni. Innanzitutto Greisch segue senza dubbio l’impulso
dato agli studi heideggeriani di Theodore Kisiel, il quale, come detto,
fu il primo a cercare di ricostruire il cammino che portò Heidegger a
scrivere il suo opus majus. Ma ciò che si evince dalle pagine di L’Arbre
del la vie è l’intento, ermeneuticamente fondato, di non volere leggere
le prime lezioni friburghesi a partire dal “necessario” punto di approdo,
Essere e tempo, quanto di indagare il terminus a quo del movimento
del
pensare
heideggeriano.
Giustamente
Greisch
mostra
come
l’autointerpretazione di Heidegger e la cronologia delle opere, cercano
di allestire una sorta di reductio ad unum di ciò che invece contiene in
sé una ricchezza di spunti e di tracciati che non possono essere
collazionati in una e unica via maestra, quella del pensiero dell’essere;
altrimenti, paradossalmente, tutta la produzione filosofica di Heidegger
non sarebbe altro che una preparazione all’ultimo seminario da lui
tenuto, quello di Le Thor. Ma, a mio personale avviso, ciò che è degno
di
220
somma
considerazione
è
l’attenzione
posta
da
Greisch
Critical Hermeneutics, 5(2), (2021)
all’interpretazione del faktisches Leben, della vie facticielle, della vita
fattiva che emerge nelle prime lezioni friburghesi. L’elemento di
assoluta novità in questo sguardo fenomenologico di Heidegger sulla
vita è quello di provare a descrivere l’accadere della vita nel suo temporealizzarsi senza coartarla in una concettualità definitoria. Il fulcro di
questa operazione ermeneutica è la cosiddetta indicazione formale, con
cui il giovane docente cerca di non venir meno alla necessaria ricerca
dell’universalità della filosofia, da porre in correlazione con l’accadere
storico del fenomeno. L’esercizio di questo sguardo ermeneuticofenomenologico sono le lettere di Paolo, e la lettura heideggeriana
riveste un ruolo fondamentale per un approccio ermeneutico alla
questione della filosofia della religione, ma il problema è anche quello
della chiarificazione della logica ermeneutica, o forse della logica della
stessa filosofia tout court. Un primo principio essenziale da cui partire
è quello per cui un fenomeno non va confuso con un oggetto
[Gegenstand]. Questa distinzione fondamentale permette ad Heidegger,
secondo
Greisch,
di
operare
un
distacco
dalla
nozione
di
formalizzazione propria alla fenomenologia husserliana. Senza entrare
qui nei dettagli, il problema rimasto insoluto nell’approccio husserliano
sarebbe stato il mantenimento di un ordine preventivamente dato del
fenomeno come oggetto, a cui fa da sfondo conseguentemente una
teoria di mathesis universalis. In altre parole la formalizzazione della
fenomenologia husserliana non teneva in conto alcuno i termini di
riferimento del fenomeno e le modalità di compimento degli stessi:
L’indicazione formale lavora sulla sfida, a prima vista
paradossale, che consiste nel liberarsi in misura ancora
maggiore
rispetto
alla
formalizzazione
di
ogni
ordine
presupposto, e allo stesso tempo nel rendere possibile una
esplicitazione fenomenologica dell’esperienza nascente dalla
cura dell’accoglimento radicale dei fenomeni, come essi si
221
Virgilio Cesarone, Dire le ragioni della vita
donano, senza per questo sottrarsi alla sfida del compimento
effettivo (2000/3: 127).
Da questa esigenza emerge una nuova concezione della fenomenologia,
che Heidegger esplicita ai suoi studenti ben prima del famoso §7 di
Sein und Zeit, una fenomenologia che cerca di portare alla luce il
contenuto, il riferimento e il moto di compimento del fenomeno, perché
il senso del fenomeno si dispiega in queste tre direttrici. Tutto questo
vuol dire, come sottolinea Greisch, che non è possibile utilizzare una
tavola delle categorie poggiante su di una visione immanente per
comprendere cosa sia un fenomeno, ma è necessario tener presente la
pluridimensionalità dello stesso. Ciò non significa abbandonare la
possibilità di utilizzare le categorie all’interno di una logica ermeneutica,
ma di ancorarle nell’esistenza stessa. È in queste lezioni, che verranno
poi editate sotto il nome di Fenomenologia della vita religiosa
(Heidegger 1995), che Heidegger porrà in evidenza la differenza tra
categorie ed esistenziali.
Ma questa lettura heideggeriana di Greisch avrà risvolti fondamentali
per tutto la produzione a venire di Greisch stesso, perché è nelle lezioni
della prima docenza friburghese che si assiste a un superamento
dell’opposizione tra vita e logica, nelle cui difficoltà si sono arenati
molteplici tentativi dei filosofi della vita. La vita fattiva non si
categorizza tramite un linguaggio esteriore, ma viene a se stessa
attraverso un verbum mentis, un verbo interiore. La logica della vita
fattiva non è quindi una logica epistemologica, ma una logica della
filosofia, intesa come logica del cuore e del pensiero, logica pre-teorica
e pratica. Possiamo affermare che l’interesse di Greisch per il giovane
Heidegger non ha intenti ricostruttivi e nemmeno teleologici, ma cerca
di indagare – così come ha sperimentato Bernhard Casper (Casper
2008), un altro importante interprete di Heidegger – l’intreccio tra la
vita nella sua temporizzazione e la sua possibilità di venire al concetto.
222
Critical Hermeneutics, 5(2), (2021)
Quest’attenzione contrassegna, a parere di Greisch, il quarto momento
della lettura di Heidegger in Francia, che succede alle precedenti
rappresentate dalla recezione esistenzialista di Essere e tempo, a cui è
subentrata la Lettera sull’umanismo, per vedere negli anni settanta una
rilettura di Sein und Zeit sulla scorta della fenomenologia delle lezioni
marburghesi. La quarta generazione di lettori di Heidegger dovrà
invece confrontarsi con questi primi tentativi di articolazione di un
pensiero ermeneutico-fenomenologico, non per una ricostruzione
integrale del cammino, ma per scoprire l’avvenire dell’ermeneutica e
della filosofia.
Quest’opera, dunque, riveste certamente un ruolo fondamentale per la
comprensione della genesi del pensiero di Heidegger, ma nel contempo,
soprattutto nel capitolo X, Le sens de l’être de la vie: vers quelle
ontologie?,
emergono
questioni
che
investono
il
dibattito
contemporaneo della filosofia e spiegano il titolo stesso dell’opera, che
offre un rimando a due riferimenti testuali pieni di significato. Se è
presente il motivo biblico, nel riferimento all’albero della vita e a quello
della conoscenza, l’opposizione tra albero della vita e albero del sapere
simbolizza le differenze tra la fenomenologia ermeneutica di Heidegger
e quella trascendentale di Husserl, contrassegnato dal motivo
cartesiano dell’albero del sapere. Greisch pone in risalto, in definitiva,
che l’opzione tra i due alberi, rimane ancora una scelta decisiva per la
filosofia dei nostri giorni.
Ciò che possiamo evidenziare come tratto peculiare dell’interpretazione
di Heidegger portata avanti da Greisch nel corso degli anni è, quindi,
da una parte la volontà di evitare una ricostruzione teleologica del suo
pensiero, che porterebbe a sorvolare sui cambi di direzione e sulle
Sackgassen in cui è incappato nel corso degli anni il filosofo di Meßkirch.
D’altro canto è chiara la predilezione di Greisch per le questioni legate
alla temporalità del Dasein, da collegare con il problema del soggetto
trascendentale, che egli ha affrontato con una sua personale proposta
223
Virgilio Cesarone, Dire le ragioni della vita
in Le Cogito ermeneutique. Resta certamente in ombra, forse troppo
poco esaminata, la fase se vogliamo “esoterica” dei Beiträge, ossia
quella dei trattati pubblicati a partire dal 1989, a cento anni dalla
nascita di Heidegger. E tuttavia se Greisch non mostra particolare
interesse per la storia dell’essere a partire dall’Ereignis, molto fecondi,
per il pensiero che vuole incamminarsi a partire da Heidegger, è ciò che
egli scrive su Der letzte Gott, l’ultimo Dio, o il Dio ultimo.
4. La povertà dell’ultimo Dio
A questo tema Greisch dedica un saggio volutamente provocatorio fin
dal titolo: La pauvreté du dernier Dieu (Greisch 2000/2) 4 , in cui
vengono prese in esame le tracce, i cenni, i rimandi al problema
dell’ultimo Dio, ma in generale della divinità del divino e della sua
sdivinizzazione nell’età della metafisica, presenti nei primi tre trattati
della fine degli anni Trenta: Beiträge zur Philosophie, Besinnung, e Die
Geschichte des Seins. Innanzitutto c’è da considerare che il tema
dell’ultimo Dio si innesta con quanto lo stesso Greisch aveva trattato in
un saggio precedente, in cui la questione centrale era il nuovo
“posizionamento” che la questione di Dio assume all’interno del
percorso di Heidegger che inizia con una fenomenologia ermeneutica,
per assumere, dopo il capovolgimento dell’ontologia fondamentale, i
tratti di una metafisica dell’esserci (Greisch 1998). Ebbene quel saggio
si concludeva con una domanda che mostrava perplessità: che cosa
farne dell’ultimo Dio di Heidegger?
L’ultimo Dio, come noto, è il tutt’altro rispetto a quelli del passato,
compreso il Dio cristiano (Heidegger 1989: 403). Ma l’alterità
4
È evidente che la pubblicazione dei Beiträge e dei trattati a essi collegati ha mostrato
l’insufficienza di interpretazioni precedenti dedicate al problema del divino nella
filosofia di Heidegger, anche quelle di illustri filosofi della religione come B. Welte
(2007). Per una trattazione che tiene conto delle possibilità aperte dalla pubblicazione
dei trattati inediti si vedano Esposito (1998), Thurner (1992), Hübner (1998), von
Herrmann (2007).
224
Critical Hermeneutics, 5(2), (2021)
dell’ultimo Dio possiamo comprenderla pienamente nel momento in cui
l’applichiamo alle categorie concettuali metafisiche, vale a dire al Dio
causa sui. Certamente è importante chiarire cosa si intenda con questo
contrapporsi rispetto al Dio della metafisica. Qui Greisch legge in
maniera aperta i vari significati del confronto con la tradizione dell’ontoteologia: il raffronto può essere un tentativo di dire ciò che lì si
affermava ma in altre modalità; può essere anche un’opposizione, che
cerca però un’interlocuzione; oppure può essere un tentativo di dire
Dio in una maniera completamente diversa, ossia secondo le modalità
incerte che concede il pensiero dell’Ereignis: «Quello che qui si tratta
di pensare è lo zampillio degli dèi e della loro divinità a partire dalla
verità
stessa
dell’essere»
(Greisch
2000/2:
408).
E
tuttavia
permangono ambiguità, che ben si accordano con l’intento di proporre
questi pensieri all’interno di Contributi alla filosofia o in una Meditazione,
che non vogliono utilizzare un discorso apofantico, quanto osare in
maniera di domanda e meditazione appunto ciò che dice. Queste
ambiguità si mostrano anche nel momento in cui cerchiamo di
nominare questo Dio, e troviamo solo un aggettivo come ausilio, ultimo.
Se non dobbiamo intenderlo come cessazione di una serie, è evidente
che l’ultimo Dio mostra un rapporto paradossale con l’inizio (che
potrebbe richiamare il motto evangelico secondo cui gli ultimi saranno
i primi). Ma a ben vedere di fronte a questo ultimo Dio l’atteggiamento
degli uomini dovrebbe riproporre caratteristiche già conosciute dalla
fenomenologia della religione, quella modalità che assale di fronte
all’estraneità manifestantesi nel binomio del
fascinosum e del
tremendum.
È chiaro che con il rimando alla povertà, presente fin nel titolo del
saggio di Greisch, l’ultimo Dio, che noi possiamo pensare a partire dalla
nozione di verità dell’essere, non ci conduce a una reiterazione della
pienezza del Dio della metafisica, di quella compiutezza manifestativa
che nel tedesco Offenbarung traspare molto più che nel latino revelatio.
225
Virgilio Cesarone, Dire le ragioni della vita
Qui si fa riferimento piuttosto una verità che si mostra nella sua povertà,
ossia nella sua spoliazione; una rappresentazione del divino che ben si
accorda con una visione post-metafisica 5 . Ma Greisch usa questa
formulazione anche in un senso polemico, in riferimento alla possibilità
di “entrata” nel pensiero dell’evento di questo Dio post-metafisico,
ossia liberato dalle coartazioni concettuali dell’onto-teologia.
Ora, riassumendo, Greisch evidenzia alcuni punti essenziali della
concezione di questo Dio post-metafisico. Egli è sì povero, ma vista a
partire dalla storia dell’essere, la sua stessa povertà non è la
sempiternitas divina, bensì qualcosa di temporale; inoltre a differenza
dell’Ipsum esse subsistens non dobbiamo confondere l’ultimo Dio con
l’Essere [Seyn]; differente è anche il rapporto che questo Dio ha con
l’uomo, a partire dal fatto che anche l’ultimo Dio ha bisogno dell’Essere;
dunque, da quello che si evince nei trattati, l’ultimo Dio non è un
oggetto di conoscenza e di esso non è possibile scorgere tracce nella
storia passata delle religioni; Egli infine è innominabile, non nel senso
della teologia negativa però, ma perché «fa appello alle possibilità
ultime del linguaggio stesso» (Greisch 2000/2: 415). Partendo da
queste considerazioni, la chiusura del saggio offre la misura del
confronto
critico
di
Greisch
col
pensiero
di
Heidegger,
una
Auseinandersetzung che non si fa mai Scolastica, ma interrogazione
profonda sulle possibilità stesse del pensare a partire dalle aporie che
si evincono nella questione dell’ultimo Dio.
La prima questione problematica riguarda la relazione d’appartenenza
che lega l’esserci all’Ereignis, una relazione che è sempre un gioco tra
chiamata, Zuruf, e ascolto/appartenenza, Zugehör. Entro questa
dimensione circolare si apre lo spazio per l’incontro col divino, ma qui
la prima domanda: L’ultimo Dio può salvarci? Certamente l’ultimo Dio
5
Interessante a questo proposito è il saggio di J. Caputo per chiarire il contesto
(Caputo 2004).
226
Critical Hermeneutics, 5(2), (2021)
è diverso rispetto a quello della metafisica. «Dinanzi a questo Dio –
scriveva infatti Heidegger – l’uomo non può né pregare né innalzare
sacrifici. Di fronte alla causa sui l’uomo non può né cadere in ginocchio
dal timore né può fare musica o danzare» (Heidegger 2006: 77). E
tuttavia non sembra che l’uomo possa pregare l’ultimo Dio. In altre
parole, qui non c’è spazio per la redenzione, così come ci si libera
dall’alternativa
tra
paganesimo
e
cristianesimo,
l’escatologia
dell’Essere non ha nulla di soteriologico e non va confusa con una
escatologia della speranza.
È quindi possibile “credere” nell’ultimo Dio, gli si deve credere, è un
Dio credibile, si chiede Greisch? Potrebbe sembrare che l’Ereignis esiga
qualcosa come una fede, e tutti i trattati “giocano” su questa possibilità
che si schiude a coloro che si aprono alla verità dell’Essere come a un
credere, e attraverso questa disposizione avranno un presentimento
(Ahnung) dell’ultimo Dio. Greisch, da acuto interprete, rinviene questo
legame tra il domandare e l’ambito “religioso” in una conferenza di
Heidegger molto citata, spesso a sproposito, Die Frage nach der
Technik. Ebbene qui la conclusione è lasciata a una frase sibillina, ma
che rimanda proprio alla trattazione dell’ultimo Dio: «Poiché il
domandare è la pietà del pensiero» (Heidegger 2000: 49)6. In questa
conferenza non vi è alcun rimando all’ultimo Dio, ma al pericolo che si
paventa per l’incombere della tecnica partecipa, secondo Greisch,
anche l’idea della causalità propria del Dio della metafisica. Per questo
non è forse lecito pensare alla pietà del domandare come modo di
rapportarsi, in maniera domandante e non dogmatica, anche all’ultimo
Dio? Eppure, conclude Greisch richiamando un passo della Gaia scienza,
resta la domanda se di fronte a quest’ultimo Dio la nostra fede non sia
la nostra più grande menzogna, o, invece, la menzogna più corta di un
pensiero che non riesce a mantenere le sue promesse. Heidegger, in
6
Su questo argomento di veda Riedel 1998.
227
Virgilio Cesarone, Dire le ragioni della vita
definitiva, non ripropone in fondo una volontà di (ri)costruire una
teologia filosofica, senza più avere il coraggio di chiamarla con il suo
nome (Casper 2003)? Ci avviciniamo forse con l’ultimo Dio alla
differenziazione schellinghiana tra filosofia negativa e positiva, oppure
alla sentenza nietzschiana della morte di Dio?
Rispetto al problema interpretativo che si apre con l’ultimo Dio, Greisch
confessa il suo imbarazzo, che riguarda in generale tutto il ciclo dei
Beiträge, come dichiara a Janicaud; un imbarazzo legato anche,
pensiamo, agli anni immediatamente successivi all’engagement politico
del ‘33:
Devo confessare, tuttavia, che ho letto questi testi con
sentimenti molto contrastanti, come se avessi a che fare con
una sorta di tremendum fascinosum. Per quanto ne sia
affascinato, è più di una volta accoppiato a un sentimento di
disagio – un disagio che ho espresso nella mia recensione del
Feldweg-Gespräche, tra gli altri. Il modo in cui il dialogo tra
due prigionieri tedeschi in un campo di prigionia in Russia
evita la questione della responsabilità morale e si concentra
solo sul male dell’essere umano mi ha dato una sensazione di
disagio da cui non mi sono ancora ripreso completamente
(Janicaud 2001/1: 185).
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