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L'obbligazione climatica davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo: la sentenza KlimaSeniorinnen e le sue ricadute comparate

2024, DPCE Online

This commentary analyzes the ECtHR's 'KlimaSeniorinnen' decision from two perspectives: on the one hand, it verifies how the ruling responded to the interpretative doubts that had arisen in domestic climate litigation regarding the existence of a climate obligation stemming from Article 8 ECHR. On the other hand, it analyzes the repercussions that the judgment may have on the future development of European climate litigation, from the cases still pending before the ECtHR to the Italian climate case 'Giudizio Universale'. Ultimately, the paper suggests that the Klimaseniorinnen ruling represents a watershed in European climate litigation, as it will to set the tone for the future activity of national judges, who will have to acknowledge the positive obligation of states to combat climate change and the role of the judiciary to verify the fulfillment of this obligation.

L’obbligazione climatica davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo: la sentenza KlimaSeniorinnen e le sue ricadute comparate di Francesco Gallarati Abstract: The climate obligation before the European Court of Human Rights: the KlimaSeniorinnen decision and its comparative implications – This commentary analyzes the ECtHR’s ‘KlimaSeniorinnen’ decision from two perspectives: on the one hand, it verifies how the ruling responded to the interpretative doubts that had arisen in domestic climate litigation regarding the existence of a climate obligation stemming from Article 8 ECHR. On the other hand, it analyzes the repercussions that the judgment may have on the future development of European climate litigation, from the cases still pending before the ECtHR to the Italian climate case ‘Giudizio Universale’. Ultimately, the paper suggests that the Klimaseniorinnen ruling represents a watershed in European climate litigation, as it will to set the tone for the future activity of national judges, who will have to acknowledge the positive obligation of states to combat climate change and the role of the judiciary to verify the fulfillment of this obligation. Keywords: Climate change; Human rights; Positive obligations; Climate litigation; Separation of powers 1. Le tre sentenze “sorelle” della Corte EDU nel prisma del diritto comparato Le tre sentenze “sorelle” (ma non “gemelle”) del 9 aprile 2024, con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha definito i casi Klimaseniorinnen1, Carême2 e Duarte Agostinho3 rappresentano sicuramente un punto di svolta 1 Corte EDU, 9 aprile 2024, Verein Klimaseniorinnen Schweiz e al. c. Svizzera. Tra i primi commenti a questa pronuncia, v. J. Reich, KlimaSeniorinnen and the Choice Between Imperfect Options. Incorporating International Climate Change Law to Maintain the ECHR’s Relevance Amid the Climate Crisis, in VerfBlog, 18 aprile 2024, verfassungsblog.de/klimaseniorinnen-and-the-choice-between-imperfect-options/. E. Guarna Assanti, Verein Klimaseniorinnen and Others v. Switzerland: una conferma del ruolo fondamentale dei diritti umani per la tutela del clima, in Diritti comparati, 18 aprile 2024; J. Letwin, Klimaseniorinnen: the Innovative and the Orthodox, in EJIL Talk!, 17 aprile 2024, www.ejiltalk.org/klimaseniorinnen-the-innovative-and-the-orthodox/. 2 Corte EDU, 9 aprile 2024, Carême c. Francia. 3 Corte EDU, 9 aprile 2024, Duarte Agostinho e al. c. Portogallo e altri 32. 1457 2/2024 – Casi e Questioni DPCE online ISSN: 2037-6677 1458 nell’evoluzione diacronica del contenzioso climatico europeo (e non solo)4. Esse segnano infatti uno spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, ovvero tra le decisioni pronunciate fino ad allora dalle corti nazionali, sulla base di un’interpretazione autonoma e, in un certo senso, predittiva delle disposizioni della CEDU, e le decisioni che saranno pronunciate in futuro dalle stesse corti nazionali, le quali dovranno necessariamente tenere conto di quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo5. Già queste primissime considerazioni rivelano l’importanza che un approccio comparatistico può assumere nell’analizzare le recenti decisioni climatiche della Corte EDU6. Il diritto comparato riveste infatti, in questo ambito, un duplice ruolo. Da un lato, esso permette di collocare le decisioni della Corte di Strasburgo nel contesto della climate litigation europea. Le tre sentenze in commento, invero, non occupano uno spazio vuoto, ma si inseriscono in un panorama già popolato da diverse pronunce adottate negli ultimi anni da corti nazionali e sovranazionali7, con le quali la Corte EDU si pone in dialogo, come dimostrato dall’ampia rassegna di giurisprudenza comparata contenuta nella sentenza KlimaSeniorinnen8. In secondo luogo, l’approccio comparatistico consente di riflettere sulle inevitabili ricadute che le decisioni della Corte EDU potranno avere sull’evoluzione futura del contenzioso climatico europeo, a cominciare dai numerosi casi tuttora pendenti davanti alle corti nazionali, nonché davanti alla stessa Corte di Strasburgo. Per comprendere le ragioni della centralità ricoperta dalla Corte EDU nell’evoluzione del contenzioso climatico europeo (ben superiore, per esempio, a quella della Corte di Giustizia dell’Unione europea9), occorre partire da una considerazione generale, tratta dall’osservazione Per un’analisi dei casi che hanno portato alle tre pronunce citate, si rinvia in dottrina a G. Puleio, L’obbligazione climatica degli Stati nel sistema CEDU. Fondamento normativo e impatto sui rimedi civilistici, in Osservatorio del diritto civile e commerciale, 2023, 247 ss. 5 Che le sentenze climatiche della Corte EDU siano un “momento trasformatore” nell’evoluzione contenzioso climatico europeo è il filo conduttore del dibattito avviato da Verfassungsblog all’indomani della pubblicazione delle tre decisioni. Si vedano in questo senso i contributi introduttivi di M. Bönnemann, M.A. Tigre, The Transformation of European Climate Change Litigation: Introduction to the Blog Symposium, in VerfBlog, 9 aprile 2024, verfassungsblog.de/the-transformation-of-europeanclimate-change-litigation/; S. Arntz, J. Krommendijk, Historic and Unprecedented: Climate Justice in Strasbourg, in VerfBlog, 9 aprile 2024, verfassungsblog.de/historicand-unprecedented/. 6 Sul contributo offerto dal metodo comparatistico allo studio del contenzioso climatico, v. B. Pozzo, Climate Change Litigation in a Comparative Law Perspective, in F. Sindico, M.M. Mbengue (eds.), Comparative climate change litigation: beyond the usual suspects, Cham, 2021, 593-619. 7 Per un esame comparativo dei primi casi di contenzioso climatico europeo, nella dottrina italiana si v. su tutti A. Pisanò, Il diritto al clima. Il ruolo dei diritti nei contenziosi climatici europei, Napoli, 2022, spec. 183 ss. 8 Corte EDU, Verein Klimaseniorinnen, cit., par. 235-272. 9 Come testimoniato dalla scarsa risonanza avuta, anche in dottrina, dalla sentenza della Corte di Giustizia relativa al caso Carvalho (Corte di Giustizia, sentenza del 25 marzo 2021, C-565/19, Armando Carvalho e al. c. Parlamento e Consiglio). Sul ruolo delle due corti europee nella tutela dei diritti umani di fronte al cambiamento climatico, v. F. Zorzi Giustiniani, Contenzioso climatico e diritti umani: il ruolo delle corti europee sovranazionali, in Federalismi.it, 8/2023, 272 ss. 4 DPCE online 2/2024 – Casi e Questioni ISSN: 2037-6677 comparatistica: nella maggioranza dei casi climatici europei, definiti o pendenti a livello nazionale, la questione giuridica principale verte (o verteva) sull’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Infatti, con la parziale eccezione dei due casi francesi Commune de GrandeSynthe10 e Affaire du Siècle11 (basati su un approccio amministrativistico, incentrato sull’osservanza dei precetti della legge climatica nazionale)12 e del caso tedesco Neubauer13 (basato su un approccio prettamente costituzionalistico, incentrato sul rispetto dei diritti fondamentali tutelati dal GrundGesetz)14, i restanti contenziosi proposti a livello nazionale si basano essenzialmente sulla dottrina degli obblighi positivi elaborata dalla Corte EDU, in relazione in particolare agli articoli 2 e 8 della CEDU. Ciò è dovuto, da un lato, ad un effetto di emulazione innescato dal successo del caso Urgenda15, nel quale i ricorrenti avevano basato la loro strategia argomentativa proprio sull’inadempimento, da parte dello Stato olandese, degli obblighi positivi gravanti su di esso a norma della CEDU16. Dall’altro lato, occorre considerare che la maggior parte dei Paesi europei (con la notevole eccezione, ancora una volta, della Germania) difettano di una teoria costituzionale che consenta di dedurre dalla proclamazione dei diritti contenuta nella Costituzione un obbligo positivo per lo Stato di proteggere i titolari dei diritti medesimi17. Il che spiega perché i proponenti i contenziosi 10 Consiglio di Stato, 10 maggio 2023, Commune de Grande Synthe. Tribunale amministrativo di Parigi, 14 ottobre 2021, Notre Affaire à Tous et al v. France. 12 Il carattere sui generis dei contenziosi climatici francesi emerge anche dalla sentenza KlimaSeniorinnen, nella quale la Corte riporta, al paragrafo 246, l’opinione del VicePresidente del Conseil d’État, Bruno Lasserre, riguardo alla differente natura dello scrutinio operato dai giudici amministrativi francesi rispetto al caso Urgenda e al caso Neubauer. 13 Tribunale costituzionale federale, 24 marzo 2021, Neubauer. Su questa pronuncia, v. nella dottrina italiana l’approfondito commento di A. Di Martino, Intertemporalità dei diritti e dintorni: le scelte argomentative del Bundesverfassungsgericht nella sentenza sul clima e le interazioni con i processi democratici, in Rivista di diritti comparati, 2/2023, 56-91. 14 La sentenza del Tribunale costituzionale federale tedesco, infatti, si basa essenzialmente sul parametro costituzionale nazionale, ed in particolare sugli articoli 2, 14 e 20a GG. Questa scelta è motivata al paragrafo 147 della sentenza, dove il Bundesverfassungsgericht osserva che, sebbene anche la CEDU imponga allo Stato un obbligo positivo di proteggere la vita e la salute contro i rischi derivanti dall’inquinamento ambientale, tale obbligo non conduce ad un ambito di protezione più ampio rispetto a quello accordato dall’art. 2(2) GG. Per questo motivo, il Tribunale costituzionale decide quindi di esaminare la questione solamente alla luce del parametro nazionale. 15 Corte Suprema dei Paesi Bassi, 20 dicembre 2019, Urgenda Foundation v. State of the Netherlands. Per un commento a questa sentenza, nella dottrina italiana, v. M.F. Cavalcanti, M.J. Terstegge, The Urgenda case: the dutch path towards a new climate constitutionalism, in DPCE Online, 2, 2020, 1371-1404; S. Dominelli, Sui limiti – giurisdizionalmente imposti – all’emissione di gas serra: i giudici olandesi diventano i “frontrunners” nella lotta ai cambiamenti climatici, in Riv. giur. dir. amb., 4, 2020, 749-780 16 Sulla circolazione del “modello Urgenda” nei contenziosi climatici europei (e non solo), v. su tutti J. Peel, H. Osofsky, A Rights Turn in Climate Change Litigation?, in Transnational Environmental Law, 2018, 7, 63 ss. 17 Sul tema, si rinvia a F. Gallarati, Gli obblighi costituzionali di protezione: studio comparato sul lato “dimenticato” dei diritti fondamentali, in Rivista AIC, 2/2024, 1 ss., anche per ulteriori riferimenti bibliografici. 11 1459 2/2024 – Casi e Questioni DPCE online ISSN: 2037-6677 1460 climatici generalmente preferiscano fondare l’obbligazione climatica degli Stati sulla CEDU, che pure non contiene alcun riferimento all’ambiente, piuttosto che sulle costituzioni nazionali, benché queste ultime, a differenza della prima, contengano numerose disposizioni ambientali, spesso formulate in termini di “diritti”18. Il limite di questa strategia argomentativa incentrata sulla CEDU era che, fino al 9 aprile 2024, la Corte di Strasburgo non aveva mai chiarito se ed in che misura dalle disposizioni della Convenzione potesse dedursi un’obbligazione climatica a carico degli Stati. Vi erano, sì, dei precedenti “ambientali” della Corte di Strasburgo19, ma questi si riferivano a fattispecie molto diverse, caratterizzate da minacce specifiche alla salute e al benessere degli individui, e quindi non erano estendibili de plano ai rischi collegati ad un fenomeno epocale come il cambiamento climatico20. Di conseguenza, nei contenziosi climatici europei incentrati sulle norme della CEDU, i giudici nazionali hanno proceduto ad interpretare in maniera autonoma la Convenzione, giungendo a risultati talora contrastanti. Il tutto in attesa del responso della Corte di Strasburgo, che è arrivato infine con le tre sentenze in commento. Qual è stata, in definitiva, la risposta fornita dalla Corte EDU rispetto alla configurabilità di un’obbligazione climatica a norma della Convenzione? E quali conseguenze potranno derivarne per i contenziosi climatici europei pendenti o in via di preparazione? Per rispondere a queste domande, nei paragrafi che seguono si prenderanno in esame gli elementi innovativi apportati, su questo specifico punto, dalle recenti sentenze della Corte di Strasburgo21. In particolare, ci si concentrerà sulla sentenza KlimaSeniorinnen, poiché è in quella sede che la Corte ha affrontato nel merito la questione della deducibilità di un obbligo positivo di contenuto climatico dagli articoli 2 e 8 della CEDU. Per contro, le altre due sentenze, essendosi limitate ai profili di ammissibilità, hanno trattato solo marginalmente la tematica, per cui non verranno qui 18 Come già rilevato in F. Gallarati, Il contenzioso climatico di tono costituzionale: studio comparato sull’invocazione delle costituzioni nazionali nei contenziosi climatici, in BioLaw Journal, 2/2022, 180-181. 19 Su cui v. infra, par. 2. 20 Sulla possibilità di estendere la dottrina tradizionale degli obblighi positivi elaborata dalla Corte EDU in materia ambientale ai casi climatici, e sulle difficoltà giuridiche insite in questa operazione, v. K. Braig, S. Panov, The Doctrine of Positive Obligations as Starting Point for Climate Litigation in Strasbourg: The European Court of Human Rights as Hilfssheriff in Combating Climate Change? in 35 Journal of Environmental Law and Litigation, 261-298 (2020); C. Voigt, The climate change dimension of human rights: due diligence and states’ positive obligations, in 13 Journal of Human Rights and the Environment, 152-171 (2022); M. Feria-Tinta, The future of environmental cases in the European Court of Human Rights: extraterritoriality, victim status, treaty interpretation, attribution, imminence and ‘due diligence’ in climate change cases, ivi, 172-194. 21 Non verranno invece analizzate in questa sede altre tematiche affrontate dalla Corte EDU nella sentenza KlimaSeniorinnen, quali ad esempio il nesso di causalità o la legittimazione ad agire. Su questi temi si rinvia agli altri contributi pubblicati su questo numero, ed in particolare a L. Serafinelli, Dal caos all’ordine (e viceversa): l’impatto del trittico della Corte EDU in KlimaSeniorinnen, Grand-Synthe e Duarte Agostinho sul contenzioso climatico europeo di diritto privato, in corso di pubblicazione su questa Rivista. DPCE online 2/2024 – Casi e Questioni ISSN: 2037-6677 esaminate22. Nella parte conclusiva del lavoro, invece, si tenterà un giudizio prognostico sulle possibili ricadute della sentenza KlimaSeniorinnen rispetto ai contenziosi pendenti sul piano sovranazionale o nazionale, compreso il caso italiano Giudizio Universale. 2. L’obbligazione climatica nella sentenza KlimaSeniorinnen Se sia possibile, e in che termini, configurare un’obbligazione climatica gravante sugli Stati a norma della CEDU, è una questione che attraversa tutta la sentenza KlimaSeniorinnen, dove viene affrontata in numerosi passaggi e sotto diversi punti di vista. Per maggiore chiarezza espositiva, è possibile suddividere la tematica in tre quesiti: (i) gli Stati sono obbligati, in base alla CEDU, ad adottare misure di contrasto del cambiamento climatico? (ii) qual è il contenuto di questa obbligazione? (iii) qual è il ruolo della Corte europea (e delle corti in generale) nel controllarne il corretto adempimento? 2.1 L’obbligo positivo di protezione dal cambiamento climatico Il contributo più significativo della sentenza KlimaSeniorinnen al contenzioso climatico europeo è di avere riconosciuto l’esistenza di un obbligo positivo gravante sugli Stati, a norma della Convenzione, di proteggere gli individui dagli effetti del cambiamento climatico. Questa obbligazione viene riconosciuta, una prima volta, nel paragrafo 519 della sentenza23, e poi ribadita nel paragrafo 544, dove la Corte afferma che l’art. 8 CEDU comprende «il diritto degli individui di godere di una protezione effettiva da parte delle autorità statali contro i gravi effetti negativi sulla loro vita, salute, benessere e qualità di vita derivanti dagli effetti nocivi e dai rischi causati dal cambiamento climatico»24. Tale esito non era imprevedibile, ed era stato anticipato da alcune decisioni di corti nazionali negli anni precedenti. Ad esempio, in Urgenda la Corte Suprema olandese aveva affermato che «gli articoli 2 e 8 della CEDU, in relazione al cambiamento climatico, devono essere interpretati nel senso che tali disposizioni obbligano gli Stati contraenti a fare “la loro parte” per contrastare tale pericolo»25. Tuttavia, le conclusioni della Corte EDU non erano scontate, come dimostra il fatto che, negli anni passati, alcune altre corti nazionali avessero negato o comunque messo in dubbio l’esistenza di 22 Per un esame approfondito di queste pronunce, si rinvia al saggio di E. Buono, P. Viola, Climate Litigation Strategy, alcuni apparenti insuccessi e il talento della Corte EDU: quando una dichiarazione di inammissibilità vale una pronuncia di accoglimento, in corso di pubblicazione su questa Rivista. 23 Al paragrafo 519 la Corte afferma: « Sulla base delle considerazioni di cui sopra, e considerando il rapporto causale tra le azioni e/o le omissioni dello Stato relative al cambiamento climatico e i danni, o il rischio di danni, che colpiscono gli individui […], l'articolo 8 deve essere considerato come comprendente il diritto degli individui a un’effettiva protezione da parte delle autorità statali dai gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla loro vita, salute, benessere e qualità di vita» (traduzione libera). 24 Corte EDU, Verein Klimaseniorinnen, cit., par. 544 (traduzione libera). 25 Corte Suprema dei Paesi Bassi, Urgenda, cit., par. 5.8 (traduzione libera). A simili conclusioni è pervenuta anche la Corte di Appello di Bruxelles nel caso Klimaatzaak (su cui v. infra, par. 3). 1461 2/2024 – Casi e Questioni DPCE online ISSN: 2037-6677 1462 una simile obbligazione. In questo senso, oltre al caso norvegese Greenpeace Nordic (su cui v. infra, §3), si può ricordare il caso Klimatická žaloba ČR, nel quale la Corte Suprema amministrativa della Repubblica Ceca aveva escluso, sulla base della giurisprudenza europea allora disponibile, la possibilità di derivare un’obbligazione specifica in materia climatica ai sensi degli articoli 2 e 8 della CEDU26. La Corte di Strasburgo, con la sentenza KlimaSeniorinnen, ha posto fine a questo dibattito, riconoscendo in via definitiva l’esistenza di un’obbligazione climatica gravante sugli Stati a norma della CEDU. Per giungere a questo risultato, la Corte non si è limitata a riprendere i suoi precedenti in materia ambientale, ma vi ha introdotto alcuni elementi di novità, necessari per adattare la propria giurisprudenza ai caratteri specifici della sfida climatica. Per apprezzare l’itinerario argomentativo seguito dalla Corte, bisogna partire dalla premessa che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non contiene una disposizione dedicata all’ambiente, né tantomeno al cambiamento climatico. Inoltre, la Corte ha ripetutamente negato la possibilità di dedurre in via interpretativa, dalle altre disposizioni della CEDU, un diritto convenzionale implicito di vivere in un ambiente salubre27. Questo orientamento non è messo in discussione dalla sentenza in commento, che anzi lo ribadisce in più punti. In particolare, la Corte ricorda che «nessun articolo della Convenzione è specificamente concepito per fornire una protezione generale dell’ambiente in quanto tale» e che «altri strumenti internazionali e la legislazione nazionale sono più adatti a tale fine»28. Inoltre, come ricordato dal giudice Eicke nella sua opinione parzialmente dissenziente, i numerosi tentativi effettuati nel corso degli anni, volti a revisionare la Convenzione per introdurvi un diritto ambientale, sono falliti, a dimostrazione della mancata volontà degli Stati contraenti di impegnarsi a rispettare un’obbligazione il cui contenuto è (percepito come) troppo indeterminato29. Ciò nonostante, è noto che, a partire dalle sentenze Powell e Rayner c. Regno Unito30 e López Ostra c. Spagna31, la Corte di Strasburgo ha elaborato una propria giurisprudenza “ambientale”, tramite la quale ha esteso la protezione accordata dalla Convenzione alle vittime delle minacce ambientali, qualora queste ultime rischino di pregiudicare l’effettivo godimento dei diritti proclamati dalla CEDU. Ciò, tuttavia, non equivale al 26 Corte Suprema amministrativa della Repubblica Ceca, sentenza del 20 febbraio 2023, Klimatická žaloba ČR v. Czech Republic, par. 151-154. La sentenza ha rinviato la questione alla Corte municipale di Praga, che nell’ottobre 2023 ha rigettato l’azione. I ricorrenti hanno annunciato la volontà di rivolgersi nuovamente al Tribunale amministrativo supremo e alla Corte costituzionale. Per ulteriori informazioni, v. il link climatecasechart.com/non-us-case/klimaticka-zaloba-cr-v-czech-republic (ultima consultazione 21 maggio 2024). 27 Cfr. in questo senso Corte EDU, 22 agosto 2003, Kyrtatos c. Grecia, par. 52; Corte EDU, 24 gennaio 2019, Cordella e altri c. Italia, par. 100. 28 Corte EDU, Verein Klimaseniorinnen, cit., par. 445 (traduzione libera). 29 Corte EDU, KlimaSeniorinnen, cit., Opinione parzialmente consenziente e parzialmente dissenziente del Giudice Eicke, par 19. 30 Corte EDU, 21 febbraio 1990, Powell e Rayner c. Regno Unito. 31 Corte EDU, 9 dicembre 1994, López Ostra c. Spagna. DPCE online 2/2024 – Casi e Questioni ISSN: 2037-6677 riconoscimento di un diritto “generale” alla tutela dell’ambiente, poiché in questi casi la protezione della CEDU è subordinata alla condizione che la minaccia in questione non abbia semplicemente causato il deterioramento dell’ambiente in quanto tale, ma abbia effettivamente pregiudicato il godimento individuale di uno dei diritti tutelati dalla Convenzione32. I diritti convenzionali a cui la Corte ha fatto riferimento nella propria giurisprudenza ambientale sono principalmente il diritto alla vita e il diritto al rispetto della vita privata e familiare, sanciti rispettivamente dagli articoli 2 e 8 della CEDU. Le ragioni di questa scelta sono da rinvenire nell’interpretazione evolutiva che, nel corso degli anni, la Corte ha sviluppato in relazione a tali articoli. Da entrambe queste disposizioni, infatti, la Corte ha dedotto l’esistenza non soltanto di “obblighi negativi”, che impongono agli Stati di astenersi dall’adottare condotte lesive dei diritti, ma anche di “obblighi positivi”, in virtù dei quali gli Stati sono tenuti ad adottare le misure necessarie per rendere effettivi tali diritti33. In particolare, nell’ambito degli obblighi positivi scaturenti da queste disposizioni, la Corte ha riconosciuto il dovere degli Stati di proteggere gli individui dalle minacce provenienti (tra l’altro) dalle attività di soggetti terzi34. Nello specifico, con riferimento all’art. 2, la Corte ha affermato l’obbligo degli Stati di proteggere la vittima dalle attività private che espongano la sua vita ad un “rischio reale ed immediato” (real and immediate risk)35, quali ad esempio le attività industriali36. Analogamente, rispetto all’art. 8, la Corte EDU ha in più occasioni affermato l’obbligo positivo degli Stati di proteggere l’individuo dalle minacce alla vita privata e familiare, purché queste comportino una “effettiva interferenza” (actual interference) nel godimento di tali diritti e raggiungano un certo livello di gravità37. In entrambi i casi, sia cioè che l’obbligo positivo sia dedotto dall’art. 2 o dall’art. 8, i principi applicabili sono in larga parte simili, e comportano segnatamente il dovere per lo Stato di istituire un quadro legislativo e amministrativo volto a fornire un’efficace protezione contro le minacce al diritto in questione e di assicurarsi che ogni violazione di tale diritto sia repressa e punita38. È in questo contesto interpretativo che si colloca la giurisprudenza “ambientale” della Corte EDU, la quale ha esteso i principi sopra richiamati alle minacce di matrice ambientale, e ne ha pertanto dedotto l’esistenza di un 32 Cfr. Corte EDU, 22 agosto 2003, Kyrtatos c. Grecia, par. 52. La prima enunciazione della dottrina degli obblighi positivi si è avuta con la sentenza Corte EDU, 13 giugno 1979, Marckx c. Belgio, par. 30, dove la Corte ha affermato che, benché l’obiettivo principale dell’articolo 8 sia di proteggere l’individuo da interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche, «questo articolo tuttavia non si limita a obbligare lo Stato ad astenersi da tali interferenze: oltre a questo impegno principalmente negativo, possono esistere obblighi positivi inerenti a un effettivo “rispetto” della vita familiare» (traduzione libera). Sull’evoluzione della dottrina degli obblighi positivi nel contesto della CEDU, v. V. Stoyanova, Positive Obligations under the European Convention on Human Rights: Within and Beyond Boundaries, Oxford, 2023. 34 La Corte ha statuito per la prima volta in questo senso nella sentenza Corte EDU, 26 marzo 1985, X e Y c. Paesi Bassi, par. 23. 35 Corte EDU, 28 ottobre 1998, Osman c. Regno Unito, par. 116. 36 Cfr. in questo senso Corte EDU, 30 novembre 2004, Öneryıldız c. Turchia, par. 71; Corte EDU, 29 settembre 2008, Budayeva e altri c. Russia, par. 130. 37 Corte EDU, 30 novembre 2005, Fadayeva c. Russia, par. 70. 38 Corte EDU, Budayeva e altri c. Russia, cit., par. 132. 33 1463 2/2024 – Casi e Questioni DPCE online ISSN: 2037-6677 1464 obbligo positivo degli Stati di adottare le misure necessarie per garantire l’effettiva protezione del diritto dei ricorrenti alla vita e al rispetto della loro vita privata e familiare, a fronte di attività inquinanti39. Se e fino a che punto questi stessi principi potessero essere estesi anche ai rischi collegati al cambiamento climatico, non era evidente alla vigilia della decisione del 9 aprile 2024. Il punto è che tali principi sono stati elaborati in relazione a fattispecie molto diverse, caratterizzate dalla presenza di un chiaro nesso tra una fonte specifica di rischio (ad es. un impianto inquinante) e il danno cagionato ad alcune persone determinate (ad es. una malattia). In queste circostanze, l’imputazione allo Stato della responsabilità per non avere adottato le misure necessarie a prevenire il danno, è relativamente agevole40. Il cambiamento climatico, invece, presenta delle caratteristiche peculiari, che mal si adattano a questo schema e che rendono molto più arduo stabilire se il danno lamentato dalla vittima sia imputabile ad una condotta attiva o passiva dello Stato. Tali specificità, che la Corte enumera in dettaglio in alcuni passaggi della sentenza in commento41, attengono essenzialmente alla dissociazione spazio-temporale tra le condotte (in gran parte lecite) che causano il cambiamento climatico e gli effetti negativi che ne derivano42. Da queste specificità deriva quindi l’esigenza, sottolineata dalla Corte in più punti della sentenza, di «adottare un approccio che riconosca e prenda in considerazione le peculiarità del cambiamento climatico e che sia tagliato su misura (tailored) per affrontarne le caratteristiche specifiche»43. Questo approccio “su misura” si traduce nella configurazione di un’obbligazione climatica che, pur muovendosi nel solco della dottrina classica degli obblighi positivi, se ne discosta sotto alcuni rilevanti profili44. 39 Cfr., tra le tante, Corte EDU, 19 febbraio 1998, Guerra e altri c. Italia, par. 58. Cfr. in questo senso Corte EDU, KlimaSeniorinnen, cit., par. 415. 41 Le specificità del cambiamento climatico, che rendono impraticabile trasporre direttamente, in questo contesto, la precedente giurisprudenza europea in materia ambientale, sono messe in luce dalla Corte nei paragrafi 416-421, dove ne sono indicate sette: (i) nel caso del cambiamento climatico, il danno non deriva da una specifica fonte, ma dai gas serra emessi da una pluralità di fonti; (ii) i gas serra non sono di per sé nocivi, ma producono effetti dannosi in conseguenza di una complessa catena di effetti; (iii) questa catena di effetti è dispersa nel tempo e nello spazio, per cui non è possibile stabilire un collegamento diretto tra una determinata causa (una o più fonti di emissioni) e un determinato effetto dannoso; (iv) le emissioni di gas serra non sono prodotte da specifiche attività pericolose, bensì da attività umane basilari esercitate in ogni settore della vita economica e sociale; (v) di conseguenza, le misure di contrasto del cambiamento climatico non possono consistere in interventi limitati a specifiche attività, ma richiedono l’adozione di ampi interventi di riforma che comportano l’imposizione di oneri a carico degli individui (vi) nel contesto del cambiamento climatico, si pone un problema di ripartizione intergenerazionale degli oneri, che invece è assente o attenuato nelle minacce ambientali “classiche”; (vii) a differenza di altre questioni ambientali, la lotta al cambiamento climatico è una sfida globale, sebbene le misure di mitigazione debbano essere adottate a livello nazionale. 42 Alcune di queste specificità erano già state ben evidenziate in dottrina da M. Carducci, Cambiamento climatico (diritto costituzionale), in Dig. disc. pubbl., 2021, 67 ss. 43 Corte EDU, KlimaSeniorinnen, cit., par. 422. 44 Cfr. J. Reich, KlimaSeniorinnen and the Choice Between Imperfect Options: Incorporating International Climate Change Law to Maintain the ECHR’s Relevance Amid the Climate 40 DPCE online 2/2024 – Casi e Questioni ISSN: 2037-6677 In primo luogo, esaminando la questione nella prospettiva dell’art. 2, la Corte ha ricordato che, in base alla sua giurisprudenza consolidata, perché possa ravvisarsi in capo allo Stato un obbligo positivo di protezione ai sensi di tale disposizione, non è sufficiente che un’attività pericolosa sia in astratto capace di cagionare la morte della vittima, ma è necessario che vi sia un “rischio reale e imminente”45. Nel contesto del cambiamento climatico, la Corte ha precisato che tale requisito deve essere inteso nel senso di richiedere «una minaccia grave, reale e sufficientemente accertabile alla vita, contenente un elemento di prossimità materiale e temporale della minaccia al danno lamentato dal ricorrente»46. Nella fattispecie, pur riconoscendo che, per sua natura, il cambiamento climatico determina un aumento del rischio di mortalità, soprattutto a danno dei gruppi vulnerabili47, la Corte ha ritenuto “discutibile” (questionable) che gli inadempimenti contestati allo Stato svizzero fossero, in sé considerati, tali da mettere a rischio la vita delle ricorrenti48. Di conseguenza, ha deciso di non esaminare nel merito la questione dal punto di vista dell’art. 2, preferendo invece soffermarsi unicamente sull’art. 8, anche considerato che i principi applicabili a quest’ultima disposizione sono ampiamente sovrapponibili a quelli relativi all’art. 249. Per quel che riguarda l’art. 8 CEDU, la Corte ha ricordato che, in base alla sua giurisprudenza consolidata, perché le minacce ambientali possano rientrare nell’ambito di applicazione di tale disposizione, è necessario, in primo luogo, che vi sia stata una “effettiva interferenza” con il godimento del diritto ivi protetto e, in secondo luogo, che sia stato raggiunto un certo livello di gravità50. Ciò significa che un deterioramento generale dell’ambiente non è sufficiente a far sorgere un obbligo positivo statale di protezione, ma è necessario dimostrare un legame diretto e immediato tra il presunto danno ambientale e la vita privata o familiare o l’abitazione del ricorrente51. Per i motivi illustrati in precedenza, questa condizione non è facile da soddisfare nel caso del cambiamento climatico, dato che non è possibile stabilire un chiaro collegamento tra una o più attività pericolose e i danni subiti da uno specifico individuo. Per questo motivo, nell’esaminare la questione sotto il punto di vista dell’art. 8 CEDU, la Corte ha rivisto parzialmente le modalità di verifica della condizione della “effettiva interferenza”, al fine di adattarle alle peculiarità della questione climatica. Nello specifico, la Corte ha deciso di uniformare il test utilizzato a questo fine a quello, elaborato in un altro punto della sentenza, in relazione alla diversa questione della legittimazione ad agire (locus standi) degli individui e delle associazioni52. In sostanza, la Corte ha ritenuto che, nel contesto dei contenziosi climatici, quando un soggetto è legittimato a Crisis, in VerfBlog, 18 aprile 2024, verfassungsblog.de/klimaseniorinnen-and-thechoice-between-imperfect-options/. 45 Ivi, par. 511. 46 Ivi, par. 513 (traduzione libera). 47 Ivi, par. 509. 48 Ivi, par. 536. 49 Ivi, par. 537. 50 Ivi, par. 514. 51 Ivi, par. 515. 52 Ivi, par. 520. 1465 2/2024 – Casi e Questioni DPCE online ISSN: 2037-6677 1466 proporre un ricorso individuale per violazione dell’art. 8 della CEDU, automaticamente ciò significa che la condotta denunciata soddisfa il requisito della “effettiva interferenza” nel godimento del diritto ivi proclamato. Si tratta, in verità, di una forzatura logico-giuridica, dato che il primo test rappresenta una condizione di ammissibilità dell’azione, mentre il secondo afferisce al giudizio di merito. Tuttavia, tale forzatura ha consentito alla Corte di avvalersi, ai fini del giudizio di merito riguardo all’applicabilità dell’art. 8, delle condizioni di favore introdotte dalla medesima sentenza per l’ammissibilità delle azioni proposte dalle associazioni. In base ai nuovi criteri enunciati dalla Corte, infatti, ai ricorrenti-associazioni non è richiesto di dimostrare di essere stati «direttamente e personalmente colpiti» dalle inadempienze dello Stato (come invece è richiesto ai ricorrenti-individui)53, bensì solamente di agire per conto di individui «che possono presumibilmente (arguably) affermare di essere soggetti a minacce specifiche o a effetti negativi dei cambiamenti climatici sulla loro vita, salute, benessere e qualità di vita»54. Su queste basi, considerato che, nella fattispecie, l’associazione ricorrente agiva in rappresentanza di un gruppo di individui “presumibilmente” esposti agli effetti negativi dei cambiamenti climatici55, la Corte ha concluso che «l’associazione ricorrente ha il necessario locus standi nel presente procedimento e che [pertanto] l’articolo 8 è applicabile al suo ricorso»56. Per concludere su questo punto, l’approccio adottato dalla Corte EDU in questo frangente è improntato ad un forte pragmatismo, che può forse apparire “brutale” a giuristi abituati alla linearità teorico-argomentativa ricercata (almeno di facciata) dalle corti nazionali, ma che tuttavia è coerente con i caratteri di fondo del sistema di protezione dei diritti fondamentali instaurato dalla Convenzione57. Tale approccio infatti si spiega alla luce di due principi che rappresentano linee-guida fondamentali della giurisprudenza europea fin dai suoi primordi58, e che la Corte evoca in più punti della sentenza a giustificazione dei passaggi argomentativi più controversi. Il primo di questi è il principio secondo cui la Convenzione è un living instrument, che deve essere «interpretato alla luce delle condizioni attuali e in conformità con gli sviluppi del diritto internazionale, in modo da riflettere lo standard sempre più elevato richiesto nel settore della protezione dei diritti umani»59. Il secondo principio è quello in base al quale le disposizioni della Convenzione devono essere «interpretate e applicate in 53 Ivi, par. 487. Ivi, par. 502. 55 Ivi, par. 524. 56 Ivi, par. 526. L’espressione tra parentesi quadre è stata qui aggiunta per evidenziare il rapporto di consequenzialità, desumibile dai paragrafi precedenti della sentenza, tra il riconoscimento dell’ammissibilità dell’azione e l’applicabilità nel merito dell’art. 8 CEDU. 57 Sul tradizionale “pragmatismo” della Corte EDU, cfr. O. De Schutter, F. Tulkens, The European Court of Human Rights as a Pragmatic Institution, in E. Brems (ed.), Conflicts Between Fundamental Rights, Intersentia, Antwerp-Oxford, p. 169-216 (2008). 58 Riferimenti a questi principi si ritrovano già nelle prime sentenze in materia di obblighi positivi, tra cui v. Corte EDU, 9 ottobre 1979, Airey c. Irlanda, par. 24 e 26. 59 Corte EDU, KlimaSeniorinnen, cit., par. 434, che a sua volta richiama Corte EDU, 12 novembre 2008, Demir e Baykara c. Turchia, par. 146. 54 DPCE online 2/2024 – Casi e Questioni ISSN: 2037-6677 modo da garantire diritti pratici ed effettivi, non teorici e illusori»60. Da questi principi deriva la necessità, per la Corte, di interpretare gli istituti processuali e sostanziali della Convenzione in modo da garantire una efficace protezione dei diritti ivi proclamati. Ciò si traduce in una notevole flessibilità interpretativa, che può apparire sorprendente se esaminata da una prospettiva strettamente giuspositivistica, ma che si giustifica alla luce dell’obiettivo di mantenere la Convenzione all’altezza delle sfide dei tempi che cambiano. 2.2 Il contenuto dell’obbligazione climatica Una volta stabilito che gli Stati sono positivamente obbligati a proteggere gli individui dagli effetti negativi dei cambiamenti climatici, si pone il problema di definire il contenuto di tale obbligazione, ovvero di stabilire quali misure gli Stati siano in concreto tenuti ad adottare per adempiervi. La Corte ha dedicato a questo tema un intero capitolo della sentenza61, nel quale ha enunciato alcune delle posizioni più innovative e controverse della decisione. Per comprendere il ragionamento della Corte, occorre muovere dalla premessa che la determinazione del contenuto degli obblighi positivi è, per natura, una questione altamente delicata e complessa. Ciò è dovuto ad alcuni caratteri strutturali che contraddistinguono questo tipo di obbligazioni da quelle di segno negativo. Mentre infatti gli obblighi negativi impongono allo Stato di astenersi da compiere ogni azione lesiva dei diritti in questione, in base agli obblighi positivi lo Stato è tenuto ad adottare le misure necessarie per proteggere i diritti medesimi. In questo caso, però, lo Stato non è obbligato a compiere ogni azione protettiva del diritto, bensì almeno una di queste. La scelta di quali misure adottare per adempiere agli obblighi positivi è, quindi, una questione strutturalmente discrezionale62. La natura discrezionale della scelta delle misure protettive si trova riflessa nella giurisprudenza della Corte EDU in materia di obblighi positivi63. Come anticipato, infatti, la Corte è solita desumere dagli artt. 2 e 8 CEDU l’obbligo positivo degli Stati di mettere in atto un quadro legislativo e amministrativo volto a garantire un’efficace protezione contro le minacce ai diritti in questione e di assicurarsi che ogni violazione di tali diritti sia repressa e punita64. Tuttavia, la scelta dei mezzi con cui dare attuazione a tale obbligo è in linea di principio rimessa agli Stati, ai quali è conferito un certo margine di apprezzamento al riguardo65. Ciò si giustifica in virtù del principio di sussidiarietà, in base al quale la responsabilità primaria di garantire i diritti e le libertà definiti dalla Convenzione spetta alle autorità 60 Ivi, par. 545. Ivi, paragrafi 544-554. 62 Per questa distinzione, v. R. Alexy, Theorie der Grundrechte, Frankfurt am Main, 1994, trad. it., Teoria dei diritti fondamentali, Bologna, 2012, 491 ss. Per un approfondimento sul punto si rinvia a F. Gallarati, Gli obblighi costituzionali, cit., 30 ss., anche per ulteriori riferimenti dottrinali e giurisprudenziali. 63 Come sottolineato da V. Stoyanova, Framing Positive Obligations under the European Convention on Human Rights Law: Mediating between the Abstract and the Concrete, in Human Rights Law Review, 23, 2023, 1-34. 64 Corte EDU, 10 aprile 2012, Di Sarno e altri c. Italia, par. 106. 65 Corte EDU, 8 luglio 2003, Hatton e altri c. Regno Unito, par. 100 e ss. 61 1467 2/2024 – Casi e Questioni DPCE online ISSN: 2037-6677 1468 nazionali, mentre la Corte svolge un ruolo di supervisione66. Questi assunti non sono smentiti dalla sentenza in commento, che anzi li ribadisce in diversi punti. Tuttavia, in considerazione delle specificità della questione climatica, la Corte vi apporta alcuni adattamenti necessari a fornire una risposta “su misura” per questa sfida. In particolare, in uno dei passaggi più significativi della sentenza, la Corte distingue il margine di apprezzamento di cui gli Stati dispongono in relazione, da un lato, alla definizione degli obiettivi di contrasto del cambiamento climatico e, dall’altro, alla scelta dei mezzi destinati a raggiungere tali obiettivi. La Corte osserva infatti che, per quanto riguarda il primo aspetto, la natura e la gravità della minaccia e il consenso internazionale sulla necessità di raggiungere la neutralità climatica, comportano l’attribuzione in favore degli Stati di un margine di apprezzamento “ridotto” (reduced). Per contro, agli Stati spetta un margine di apprezzamento “ampio” (wide) per quanto attiene alla scelta delle politiche da adottare per raggiungere gli obiettivi fissati, anche tenuto conto delle proprie priorità e delle risorse disponibili67. Questa distinzione tra obiettivi e mezzi non è certamente una novità nel panorama del contenzioso climatico europeo. Già alcune corti nazionali avevano in passato implicitamente effettuato una distinzione simile. Ad esempio, nel caso Urgenda, la Corte Suprema olandese aveva ritenuto che l’indicazione giudiziale di un obiettivo di riduzione delle emissioni non fosse lesiva del principio di separazione dei poteri, in quanto si limitava ad ordinare il perseguimento di un determinato traguardo, lasciando però a governo e parlamento il compito di stabilire attraverso quali misure raggiungerlo68. Quel che colpisce nella sentenza KlimaSeniorinnen, tuttavia, è la nettezza e perentorietà con cui la Corte ha operato questa distinzione, che non ha precedenti nella giurisprudenza europea e pare destinata ad assurgere a nuovo criterio-guida per il futuro scrutinio, da parte delle corti nazionali e sovranazionali, delle scelte politico-discrezionali operate dagli Stati nel contesto della lotta al cambiamento climatico. Una volta fissate queste coordinate, la Corte è passata ad esaminare più nel dettaglio i contenuti degli obblighi positivi gravanti sugli Stati nel contesto del cambiamento climatico. Innanzitutto, essa ha stabilito, in linea con la sua precedente giurisprudenza in materia ambientale, che «il dovere primario dello Stato è di adottare, e di applicare effettivamente nella pratica, regolamenti e misure in grado di mitigare gli attuali e potenzialmente irreversibili effetti futuri del cambiamento climatico»69. La Corte, tuttavia, non si è limitata alla generica enunciazione di questi doveri ma, appoggiandosi sugli impegni internazionali assunti dagli Stati nell’ambito dell’UNFCCC e sulle evidenze scientifiche raccolte dall’IPCC, ha compiuto alcuni passi in avanti nella direzione di una maggiore specificazione delle obbligazioni statali. In primo luogo, rifacendosi all’Accordo di Parigi, essa ha affermato che «gli Stati contraenti devono mettere in atto i regolamenti e le misure necessarie per prevenire un aumento delle concentrazioni di gas serra 66 Corte EDU, KlimaSeniorinnen, cit., par. 541. Ivi, par. 543. 68 Corte Suprema dei Paesi Bassi, Urgenda, cit., par. 8.2.5-8.2.7. 69 Corte EDU, KlimaSeniorinnen, cit., par. 545. 67 DPCE online 2/2024 – Casi e Questioni ISSN: 2037-6677 nell’atmosfera terrestre e un aumento della temperatura media globale oltre i livelli in grado di produrre effetti negativi gravi e irreversibili sui diritti umani, in particolare il diritto alla vita privata e familiare e al domicilio ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione»70. In secondo luogo, al fine di tradurre questo impegno di contenimento delle temperature globali in obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni71, la Corte ha aggiunto che «l’effettivo rispetto dei diritti tutelati dall’articolo 8 della Convenzione richiede che ogni Stato contraente intraprenda misure per la riduzione sostanziale e progressiva dei rispettivi livelli di emissioni di gas serra, al fine di raggiungere la neutralità delle emissioni nette entro, in linea di principio, i prossimi tre decenni»72. Da ultimo, la Corte ha precisato che, affinché l’obiettivo di prevenire le conseguenze negative dei cambiamenti climatici sia effettivamente raggiungibile, gli Stati devono «intraprendere azioni immediate e fissare adeguati obiettivi di riduzione intermedi per il periodo che porta alla neutralità» e che tali misure devono essere «inserite in un quadro normativo vincolante a livello nazionale, seguito da un’adeguata attuazione»73. Riguardo a quest’ultimo punto, inoltre, la Corte ha precisato che, in assenza di una quantificazione delle emissioni, attuata attraverso la predisposizione di un carbon budget o di altra metodologia equivalente74, essa avrebbe «difficoltà ad accettare che lo Stato possa essere considerato come effettivamente adempiente all’obbligo normativo derivante dall’articolo 8 della Convenzione»75. Per riassumere, partendo dal riconoscimento del diritto degli individui di essere protetti, ai sensi dell’art. 8 CEDU, dagli effetti negativi del cambiamento climatico, la Corte è giunta, in tre mosse, ad affermare l’obbligo degli Stati europei di adottare tempestivamente un quadro normativo vincolante contenente degli impegni di riduzione delle emissioni che, attraverso la fissazione di obiettivi intermedi e l’adozione di un carbon budget o altra metodologia equivalente, portino al raggiungimento della neutralità climatica «entro, in linea di principio, i prossimi tre decenni». Si tratta, com’è agevole constatare, di un’operazione interpretativa 70 Ivi, par. 546. Ivi, par. 547. 72 Ivi, par. 548. 73 Ivi, par. 549. 74 Cfr. Ivi, par. 550, lett. a). Sull’importanza del carbon budget, nell’ottica del raggiungimento dell’obiettivo ultimo di proteggere gli individui dai rischi derivanti dal cambiamento climatico, si veda l’eccellente ricostruzione di M. Carducci, La sentenza KlimaSeniorinnen e il Carbon Budget come presidio materiale di sicurezza, quantitativa e temporale, contro il pericolo e come limite esterno alla discrezionalità del potere, in corso di pubblicazione su questa Rivista. Come condivisibilmente sottolineato dall’Autore, la condotta materiale richiesta agli Stati a norma dell’art. 8 non si esaurisce nella riduzione delle emissioni; non consiste cioè nella sola mitigazione climatica. Infatti, «la mitigazione in sé non fornisce informazioni sul superamento della temperatura media globale concordata a Parigi; né consente di valutare efficacemente gli impatti che le scelte umane producono e produrranno sul sistema climatico». Quel che è necessario, invece, è che la riduzione delle emissioni si inserisca «in un percorso (Pathway) più articolato, che, considerando tutti i fattori rilevanti del proprio sistema climatico e in funzione della neutralità climatica finale, incida sui tempi di concentrazione dei gas serra in atmosfera e sul conseguente controllo dell’aumento della temperatura media globale». 75 Ivi, par. 572. 71 1469 2/2024 – Casi e Questioni DPCE online ISSN: 2037-6677 alquanto ambiziosa e ardita, che non ha mancato di suscitare critiche e perplessità, alcune delle quali hanno trovato espressione nell’opinione parzialmente dissenziente del giudice Eicke76. Le critiche si appuntano, in particolare, sul fatto che, così facendo, la Corte ha trasformato degli impegni non vincolanti assunti dagli Stati nell’ambito dell’Accordo di Parigi nel contenuto, giuridicamente vincolante, di un obbligo positivo scaturente da un diritto fondamentale77. Allo stesso tempo, alla Corte viene contestato di avere ristretto eccessivamente il margine di apprezzamento concesso agli Stati, rompendo l’atteggiamento di deferenza tradizionalmente serbato dinanzi alle scelte adottate dalle autorità democratiche nazionali, specialmente in “ambiti sociali e tecnici difficili” come quelli ambientali78. Ad essere messo in discussione, in definitiva, è il rispetto da parte della Corte del ruolo ad essa assegnato nel contesto del sistema di protezione dei diritti delineato dalla Convenzione79. Il che ci introduce al terzo punto di questa analisi, ovvero quale sia il ruolo della Corte EDU, e dei giudici in generale, al cospetto dell’obbligazione climatica. 2.3 Il ruolo della Corte EDU (e delle corti in generale) 1470 In linea generale, il riconoscimento di un obbligo positivo si pone naturalmente in tensione con il principio di separazione dei poteri. Nel momento in cui un simile obbligo viene affermato, infatti, le autorità democratiche non sono più libere di decidere se adottare delle misure di attuazione di un diritto, ma sono costrette a farlo, e le corti sono investite del compito di verificare il corretto adempimento di tale obbligazione. Ogni affermazione di un obbligo positivo, dunque, porta con sé il problema di stabilire quali siano i limiti del sindacato giurisdizionale di fronte a scelte strutturalmente discrezionali, come quelle che attengono alle modalità di adempimento di tali obbligazioni80. Nella prospettiva della Corte di Strasburgo, questo problema assume dei contorni peculiari, in ragione della sua natura di tribunale internazionale incaricato di vigilare, in via sussidiaria, sul rispetto della Convenzione da parte degli Stati contraenti. Nel contesto della CEDU, pertanto, non si pone soltanto una questione di equilibri tra organi democratici e giurisdizionali, ovvero di separazione dei poteri, ma anche e soprattutto un problema di riparto di responsabilità tra autorità nazionali (giudici compresi) e Corte EDU nell’adempimento degli obblighi derivanti dalla Convenzione, ovvero 76 Corte EDU, KlimaSeniorinnen, Opinione Giudice Eicke, cit. Ivi, par. 14. 78 Ivi, par. 66. 79 Così si esprime il giudice Eicke al paragrafo 2 della propria opinione dissenziente: «Mi trovo in una posizione in cui il mio disaccordo va ben al di là di una semplice differenza nella valutazione delle prove o di una piccola differenza di diritto. Il disaccordo è di natura più fondamentale e, almeno in parte, va al cuore del ruolo della Corte all'interno del sistema della Convenzione e, più in generale, del ruolo di un tribunale nel contesto delle sfide uniche e senza precedenti poste all’umanità (incluso all’interno delle nostre società, ma anche oltre) dal cambiamento climatico antropogenico» (traduzione libera). 80 Su questo argomento, v. più diffusamente F. Gallarati, Gli obblighi costituzionali, cit., 33 ss., anche per ulteriori riferimenti bibliografici. 77 DPCE online 2/2024 – Casi e Questioni ISSN: 2037-6677 di rispetto del principio di sussidiarietà81. Il rapporto tra discrezionalità politica e sindacato giurisdizionale è un tema ricorrente in tutti i contenziosi climatici a livello globale. Limitandoci allo scenario europeo, è possibile ricordare come considerazioni legate al ruolo del potere giudiziario e al principio di separazione dei poteri abbiano portato alla dichiarazione d’inammissibilità in numerosi contenziosi climatici nazionali, quali ad esempio il caso rumeno Declic82 e il caso italiano Giudizio Universale (su cui si tornerà infra, § 3). La questione non poteva non porsi di fronte alla Corte EDU, anche considerato che molte delle difese dei governi intervenuti nel procedimento avevano fatto affidamento su questo genere di argomenti per chiedere il rigetto delle domande dei ricorrenti83. La Corte non si è sottratta al confronto su questi temi, ma li ha affrontati in diversi punti della sentenza, articolando delle osservazioni che troveranno probabilmente risonanza in molti contenziosi climatici a livello nazionale. Alcune di queste considerazioni riguardano il ruolo delle corti (in generale) nel contesto del contenzioso climatico, ed attengono pertanto al principio di separazione dei poteri. Altre invece riguardano la divisione dei ruoli tra le autorità nazionali (comprese le corti) e la Corte EDU, ed afferiscono quindi al principio di sussidiarietà. Per quanto riguarda il primo aspetto, la Corte ha innanzitutto dato atto che il contrasto del cambiamento climatico dipende in larga parte dall’adozione di misure legislative generali o settoriali, le quali «in una democrazia, che è una caratteristica fondamentale dell’ordine pubblico europeo […] dipendono quindi necessariamente da un processo decisionale democratico»84. Per contro, essa ha riconosciuto che «l’intervento giudiziario, anche da parte di questa Corte, non può sostituire o supplire all’azione che deve essere intrapresa dai rami legislativo ed esecutivo del governo»85. Ciò detto, tuttavia, vestendo i panni di una corte costituzionale europea, la Corte ha aggiunto che «la democrazia non può essere ridotta alla volontà della maggioranza degli elettori e dei rappresentanti eletti, senza tener conto dei requisiti dello Stato di diritto (rule of law). Il compito dei tribunali nazionali e della Corte è quindi complementare a questi processi democratici. Il compito del potere giudiziario (judiciary) è quello di garantire la necessaria supervisione del rispetto dei requisiti legali»86. 81 Cfr. Corte EDU, KlimaSeniorinnen, cit, par. 457, dove la Corte osserva di dover «tenere presente il suo ruolo sussidiario e la necessità di concedere agli Stati contraenti un margine di apprezzamento nell’attuazione delle politiche e delle misure di lotta al cambiamento climatico, così come la necessità di garantire un adeguato rispetto dei principi costituzionali preminenti, come quelli relativi alla separazione dei poteri» (traduzione libera). 82 Corte di Appello di Cluj, sentenza No 312/2023, Declic et al. v. The Romanian Government. Contro la sentenza è stato proposto appello davanti all’Alta Corte di Cassazione e Giustizia rumena. Per un resoconto di questo caso v. A. Hereșanu, New climate case in the European Union : Romania’s first climate lawsuit, in blogdroiteuropéen, pubblicato il 20 ottorbe 2023. 83 V. ad es. le argomentazioni dei governi di Irlanda e Norvegia, riportate ai paragrafi 367 e 372 della sentenza. 84 Corte EDU, KlimaSeniorinnen, cit, par. 411. 85 Ivi, par. 412. 86 Ibidem. 1471 2/2024 – Casi e Questioni DPCE online ISSN: 2037-6677 1472 Dopo avere fatto queste premesse, che riguardano il ruolo delle corti in generale al cospetto degli organi democratici, la Corte ha introdotto poi una differenziazione dovuta al particolare contesto ordinamentale all’interno del quale essa si trova ad operare. Essa infatti ha osservato che, in quanto tribunale internazionale, la base giuridica del suo intervento «è sempre limitata alla Convenzione», mentre «l’estensione del sindacato giurisdizionale da parte dei tribunali nazionali può essere notevolmente più ampio e dipenderà dalla natura e dalla base giuridica delle richieste presentate dalle parti»87. Quanto alla definizione del proprio ruolo rispetto a quello delle autorità nazionali, la Corte ha sottolineato a più riprese la sua funzione sussidiaria e la necessità di concedere agli Stati contraenti un certo (benché variabile) margine di apprezzamento nella scelta e nell’attuazione delle misure di lotta al cambiamento climatico88. In particolare, in linea con i suoi precedenti in materia, la Corte ha ribadito che, di fronte a questioni complesse come quelle ambientali, la responsabilità primaria di rispettare gli obblighi convenzionali ricade sulle autorità nazionali89, le quali dispongono di una «legittimazione democratica diretta e, in linea di principio, si trovano in una posizione migliore rispetto a un tribunale internazionale per valutare le esigenze e le condizioni pertinenti»90. Il fatto che queste decisioni siano connotate da discrezionalità politica, tuttavia, ad avviso della Corte, non toglie che, quando queste incidono sui diritti della Convenzione, non si pone più «soltanto una questione di politica, ma anche una questione di diritto che incide sull’interpretazione e sull’applicazione della Convenzione»91. In questi casi, dunque, in quanto organo incaricato di vigilare sul rispetto dei diritti convenzionali, la Corte è competente ad intervenire, seppure «con una sostanziale deferenza nei confronti del decisore politico nazionale e delle misure risultanti dal processo democratico in questione e/o dal controllo giudiziario dei tribunali nazionali»92. Il problema, in definitiva, non è stabilire se, ma come, la Corte debba affrontare l’impatto del cambiamento climatico sui diritti convenzionali93. Si ritorna così al tema, già toccato in precedenza, del margine di apprezzamento da riconoscere alle autorità nazionali nell’adempimento degli obblighi derivanti dalla Convenzione. Il margine di apprezzamento, infatti, «va di pari passo»94 con il controllo operato dalla Corte, nel senso che tanto più estesa è la libertà riconosciuta agli Stati, tanto minore è l’intensità del sindacato esercitato dalla Corte EDU, e viceversa. Nella sentenza in commento, come detto, la Corte ha introdotto una inedita distinzione tra il margine di apprezzamento spettante alle autorità nazionali nella definizione degli obiettivi e nella scelta dei mezzi, il che si traduce (o dovrebbe tradursi) in un diverso atteggiarsi del controllo 87 Ibidem. Ivi, par. 457. 89 Ivi, par. 541. 90 Ivi, par. 449. 91 Ivi, par. 450. 92 Ibidem. 93 Ivi, par. 451. 94 Ivi, par. 450. 88 DPCE online 2/2024 – Casi e Questioni ISSN: 2037-6677 giurisdizionale nei confronti delle misure che attengono al primo o al secondo profilo. Nel caso di specie, questa distinzione si è trovata riflessa, in effetti, nella valutazione operata dalla Corte di Strasburgo in merito al rispetto degli obblighi convenzionali da parte della Confederazione elvetica. Da un lato, infatti, la Corte ha ritenuto che, non avendo elaborato e attuato tempestivamente un quadro normativo coerente in materia di contrasto del cambiamento climatico, lo Stato convenuto avesse oltrepassato il proprio margine di apprezzamento e non avesse perciò adempiuto ai suoi obblighi positivi derivanti dall’art. 8 della CEDU95. Dall’altro lato, tuttavia, considerata la complessità e la natura delle questioni trattate, la Corte ha ritenuto di non essere in condizione di prescrivere dettagliatamente le misure da attuare per dare esecuzione alla sentenza. Ciò in quanto, a suo avviso, «dato il margine di apprezzamento differenziato concesso allo Stato in questo ambito», le autorità nazionali si trovavano in una posizione migliore rispetto ad essa per valutare le misure specifiche da adottare96. 3. Le possibili ricadute della sentenza KlimaSeniorinnen sul contenzioso climatico europeo La sentenza KlimaSeniorinnen, pur segnando un importante punto di svolta nell’evoluzione del contenzioso climatico europeo, non rappresenta però certamente il punto di arrivo di tale percorso. In questa decisione, infatti, la Corte EDU ha lasciato aperte diverse questioni formali o sostanziali, sulle quali i giudici nazionali saranno chiamati a pronunciarsi nei prossimi anni. Il contributo imprescindibile delle corti nazionali all’evoluzione del contenzioso climatico è stato, d’altra parte, evidenziato dalla stessa Corte di Strasburgo, in un passaggio significativo della sua pronuncia, nel quale essa ha tenuto a «sottolineare il ruolo chiave che i tribunali nazionali hanno svolto e svolgeranno nella mitigazione del clima, come dimostra la giurisprudenza adottata finora in alcuni Stati membri del Consiglio d’Europa, che sottolinea l’importanza dell’accesso alla giustizia in questo campo»97 (enfasi aggiunta). Più in generale, come già rilevato, il ruolo di primo piano dei giudici nazionali, in quanto autorità statali, nel dare attuazione agli obblighi derivanti dalla Convenzione, è stato sottolineato a più riprese nel corso della decisione, quasi come se la Corte di Strasburgo, entrando in dialogo con i suoi omologhi nazionali, avesse voluto rivolgersi ad essi perché completino l’opera che essa ha potuto soltanto cominciare. Ed infatti, come già notato, la Corte ha insistito molto sulla circostanza che i giudici nazionali, a differenza sua, dispongono di possibilità d’intervento più ampie, che derivano da un lato dalla possibilità di fare affidamento su basi giuridiche diverse rispetto alla sola Convenzione, tra cui segnatamente le Costituzioni e le leggi nazionali, e dall’altro dal fatto di non essere limitati dal rispetto del principio di sussidiarietà. Quest’ultimo punto merita un’ulteriore sottolineatura: il ruolo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e della giurisprudenza della Corte 95 Ivi, par. 573. Ivi, par. 657. 97 Ivi, par. 639. 96 1473 2/2024 – Casi e Questioni DPCE online ISSN: 2037-6677 1474 EDU, non è di fissare lo standard massimo di tutela dei diritti fondamentali, bensì al contrario di garantire un livello minimo comune di protezione dei (soli) diritti convenzionali in tutti gli Stati aderenti al Consiglio d’Europa. La posizione sussidiaria delle garanzie offerte dalla CEDU, rispetto alle costituzioni e alle legislazioni nazionali, vale a maggior ragione nel caso dei diritti ambientali, che come detto non trovano una protezione diretta (né esplicita né implicita) nell’ambito della Convenzione, a differenza di quanto avviene in molti sistemi costituzionali statali. Alla luce di ciò, appare perlomeno singolare (per non dire paradossale) che – con la notevole ma isolata eccezione del Bundesverfassungsgericht – le corti costituzionali (in senso lato) dei Paesi europei non abbiano potuto o voluto, fino a questo momento, prendere posizione in tema di cambiamento climatico, lasciando che a questo compito provvedesse la Corte di Strasburgo98. Il che dovrebbe forse indurre a riflessione sull’attualità della concezione (ancora prevalentemente “negativa”) dei diritti fondamentali accolta negli ordinamenti nazionali99, e sulla relativa capacità di far fronte alle grandi sfide del tempo presente, di cui la crisi climatica rappresenta una tragica esemplificazione. Ciò detto, volgendosi alle possibili ricadute della sentenza in commento sul contenzioso climatico europeo, è possibile innanzitutto prevedere con ragionevole certezza che la decisione avrà un effetto moltiplicatore sulla proposizione di climate cases in Europa. Da un lato, infatti, il riconoscimento espresso di un’obbligazione climatica scaturente dall’art. 8 CEDU darà ulteriore impulso alla presentazione di cause climatiche rightsbased, rafforzando un fenomeno già avviato a seguito della sentenza Urgenda100. Dall’altro lato, l’abbassamento degli standard di legittimazione attiva richiesti per i ricorsi proposti dalle associazioni consente di prevedere un’intensificazione dell’attivismo di queste ultime nella promozione di contenziosi climatici in tutti i Paesi aderenti alla Convenzione101. Guardando poi ai contenziosi attualmente pendenti, occorre considerare che, oltre ai tre casi definiti il 9 aprile, almeno altri sei ricorsi sono tuttora in attesa di essere giudicati dalla Corte EDU102. Mentre alcuni di questi si ispirano al modello Duarte Agostinho e ne seguiranno 98 Tra le corti costituzionali nazionali che, pur essendo state chiamate a pronunciarsi in casi riguardanti il cambiamento climatico, hanno rigettato le domande per motivi di forma o di merito, si può ricordare il Tribunale costituzionale austriaco (caso Children of Austria), e il Consiglio costituzionale francese (decisione n° 2021-825 DC del 13 agosto 2021). 99 Per un approfondimento sul caso italiano, si rinvia a F. Gallarati, Gli obblighi costituzionali, cit., 38 ss. 100 Su questo fenomeno, v. in dottrina su tutti J. Peel, H. Osofsky, A Rights Turn, cit., 37-67; A. Savaresi, J. Auz, Climate Change Litigation and Human Rights: Pushing the Boundaries, in Climate Law, 2019, 9(3), 244-262; A. Savaresi, J. Setzer, Rights-based litigation in the climate emergency: mapping the landscape and new knowledge frontiers, in Journal of Human Rights and the Environment, 13(1), 2022, 7-34 101 Cfr. in questo senso P. Abel, Mixed Signals for Domestic Climate Law: The Climate Rulings of the European Court of Human Rights, in VerfBlog, 17 aprile 2024, verfassungsblog.de/mixed-signals-for-domestic-climate-law/. 102 Cfr. il comunicato stampa della Corte disponibile al seguente indirizzo: hudoc.echr.coe.int/eng-press#{%22itemid%22:[%22003-7566368-10398533%22]} (ultima consultazione: 22 maggio 2024). DPCE online 2/2024 – Casi e Questioni ISSN: 2037-6677 probabilmente il destino103, altri invece sono stati proposti, come nel caso KlimaSeniorinnen, dopo che le corti nazionali avevano rigettato le argomentazioni basate sul mancato rispetto dell’obbligazione climatica. Tra questi, particolarmente significativo è il caso Greenpeace Nordic e altri c. Norvegia104. Si tratta di un ricorso presentato davanti alla Corte EDU da due ONG e da alcuni individui dopo che, nel 2020, la Corte Suprema norvegese105 aveva rigettato la loro azione diretta a contestare la validità di alcune licenze di estrazione di petrolio e gas rilasciate dal Governo norvegese nell’Artico, in quanto ritenute incompatibili (tra l’altro) con i diritti di cui agli artt. 2 e 8 CEDU. Nello specifico, le argomentazioni basate sul rispetto della CEDU erano state rigettate dalla Corte Suprema, sulla base di un’applicazione conservativa dei precedenti ambientali della Corte di Strasburgo. In particolare, per quanto riguarda l’art. 2, la Corte norvegese aveva ritenuto che, sebbene la minaccia climatica fosse effettiva, il rilascio delle licenze non comportasse «un rischio “reale e immediato” di perdita di vite umane per i cittadini norvegesi»106. Inoltre, per quanto riguarda gli obblighi derivanti dall’art. 8, la Corte suprema norvegese aveva osservato che, in base alla giurisprudenza europea, questi entrano in gioco «solo se esiste un legame diretto e immediato tra la situazione controversa e il domicilio o la vita privata o familiare del richiedente»107. Su queste basi, il giudice redattore aveva così concluso: «Considerando il significato che la Corte [EDU] ha finora attribuito al termine “diretto e immediato”, ritengo chiaro che gli effetti delle possibili emissioni future dovute alle licenze concesse […] non rientrano nell’articolo 8 della CEDU»108. Chiaramente, queste conclusioni dovranno essere riviste alla luce dei nuovi (più tenui) criteri previsti dalla sentenza KlimaSeniorinnen ai fini del riconoscimento di un obbligo positivo in materia climatica a norma dell’art. 8 CEDU. Questo non significa che la Corte EDU riterrà senz’altro illegittima la decisione del Governo norvegese di emettere nuove licenze, anche considerato che questa non afferisce alla definizione degli obiettivi, bensì alla scelta dei mezzi, per la quale gli Stati dispongono di un più ampio margine di apprezzamento. Tuttavia, è probabile che la Corte di Strasburgo, a differenza dei giudici nazionali, non escluda a priori l’applicabilità della Convenzione, ma proceda ad una verifica nel merito circa la coerenza della politica estrattiva norvegese con il necessario adempimento dell’obbligo positivo derivante dall’articolo 8 della CEDU. Volgendosi infine ai contenziosi pendenti davanti alle giurisdizioni domestiche, bisogna distinguere tra i casi che, nei primi gradi di giudizio, hanno trovato accoglimento e quelli che invece, dopo essere stati respinti in prima o seconda istanza, sperano di vedere ribaltato il verdetto dalle corti superiori. Tra i contenziosi del primo tipo, il più significativo è il caso 103 Application no. 34068/21 presentata il 15 giugno 2021. Il riferimento è ai casi Uricchio c. Italia e altri 32 Stati e De Conto c. Italia e altri 32 Stati. 105 Corte Suprema norvegese, sentenza del 22 dicembre 2020, caso Greenpeace Nordic Ass’n v. Ministry of Petroleum and Energy (People v Arctic Oil). 106 Ivi, par. 169. 107 Ivi, par. 170. 108 Ivi, par. 171. 104 1475 2/2024 – Casi e Questioni DPCE online ISSN: 2037-6677 1476 Klimaatzaak, deciso dalla Corte di Appello di Bruxelles nel novembre 2023109 e attualmente in attesa di giudizio da parte della Corte di Cassazione belga110. In questo caso, sia il giudice di prima istanza sia quello di appello hanno accertato l’inadempimento, da parte dello Stato del Belgio e delle Regioni convenute, dell’obbligo positivo di contrastare il cambiamento climatico derivante dagli artt. 2 e 8 della CEDU. A tale conclusione le corti sono pervenute, seguendo la via tracciata dalla sentenza Urgenda, sulla base della considerazione che il cambiamento climatico rappresenti un rischio reale e immediato per il godimento del diritto alla vita111, nonché una minaccia grave per le condizioni di vita degli individui112. Quanto alle conseguenze di tale accertamento, la Corte di Appello, riformando sul punto la sentenza di primo grado, ha ritenuto che l’adozione di un’ingiunzione nei confronti del legislatore non fosse in contrasto con il principio di separazione dei poteri, nella misura in cui il legislatore restava libero di scegliere le misure attraverso cui adempiere all’ingiunzione medesima113. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha quindi ordinato allo Stato belga e alle Regioni convenute di adottare, ciascuno secondo le proprie competenze, le misure necessarie per ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Riguardo a questo caso, è relativamente agevole prevedere che la sentenza KlimaSeniorinnen andrà a rafforzare la posizione processuale dei ricorrenti in merito ad entrambi gli aspetti sopra richiamati. Da un lato, infatti, la Corte di Strasburgo ha attenuato i requisiti necessari per ravvisare un obbligo positivo dello Stato ai sensi degli articoli 2 e 8 della CEDU, rendendo sotto questo profilo più lieve l’onere argomentativo gravante sulla Corte di Cassazione belga. Dall’altro lato, la distinzione introdotta dalla Corte EDU tra il margine di apprezzamento (ridotto) spettante agli Stati in relazione alla fissazione degli obiettivi e quello (più ampio) relativo alla scelta dei mezzi, corrobora l’argomentazione della Corte di Appello belga (e già sostenuta dalla Corte Suprema olandese nel caso Urgenda114), secondo cui le corti sono legittimate a ingiungere il perseguimento di determinati obiettivi di riduzione delle emissioni, purché lascino alle autorità democratiche la scelta dei mezzi attraverso cui pervenire a tali risultati. Più complesso è invece prevedere quale possa essere l’impatto della sentenza in commento sui casi nei quali i giudici nazionali hanno finora rigettato, per ragioni di forma o di merito, le domande dei ricorrenti. Tra questi, un’attenzione particolare merita il caso italiano Giudizio Universale, 109 Corte di Appello di Bruxelles, sentenza del 30 novembre 2023, caso VZW Klimaatzaak v. Kingdom of Belgium & Others. Su questo caso, v. i commenti di A. Briegleb, A. De Spiegeleir, From Urgenda toKlimaatzaak: A New Chapter in Climate Litigation, VerfBlog, 5 dicembre 2023, verfassungsblog.de/from-urgenda-toklimaatzaak/; M. Petel, N. Vander Putten, The Belgian Climate Case: Navigating the Tensions Between Climate Justice and Separation of Powers,VerfBlog, 5 dicembre 2023, verfassungsblog.de/the-belgian-climate-case/. 110 Come riportato sul sito affaire-climat.be/fr/the-case, contro la sentenza della Corte di Appello è stato proposto ricorso in Cassazione da parte della sola Regione delle Fiandre. 111 Corte di Appello di Bruxelles, Klimaatzaak, cit., par. 164. 112 Ivi, par. 213. 113 Ivi, par. 217 ss. 114 Su cui v. supra par. 2.2. DPCE online 2/2024 – Casi e Questioni ISSN: 2037-6677 definito in primo grado dal Tribunale di Roma il 26 febbraio 2024115, ossia poche settimane prima della pubblicazione delle tre sentenze della Corte EDU. Con questa pronuncia, come noto, il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione la domanda degli attori, volta a fare accertare la responsabilità extracontrattuale dello Stato italiano per inadempimento dell’obbligo di protezione derivante (tra l’altro) dagli artt. 2 e 8 della CEDU. Nel motivare la propria decisione, il giudice civile ha ritenuto non «sussistere una obbligazione dello Stato (di natura civile coercibile da parte del singolo) di ridurre le emissioni nel senso voluto dagli attori», dato che «l’interesse invocato dagli attori non rientra nel novero degli interessi soggettivi giuridicamente tutelati». Ciò in quanto, a suo avviso, «le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico […] rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nell’odierno giudizio», pena la «violazione di un principio cardine dell’ordinamento rappresentato dal principio di separazione dei poteri»116. In sostanza, pur nella sua estrema sinteticità, la motivazione del Tribunale di Roma si basa su due argomenti di diritto, collegati ma distinti: da un lato, secondo il Tribunale non sussisterebbe un obbligo statale, coercibile da parte dei singoli, di ridurre le emissioni climalteranti – ovvero, detto altrimenti, un diritto individuale, direttamente azionabile, a che lo Stato riduca le emissioni medesime. Dall’altro lato, il Tribunale ritiene che le decisioni relative alle modalità di contrasto del cambiamento climatico rientrino nella sfera di competenza degli organi politici e quindi non siano sindacabili dagli organi giurisdizionali in virtù del principio di separazione dei poteri. Ebbene, entrambi questi argomenti sono stati smentiti dalla sentenza KlimaSeniorinnen. Per quanto riguarda il primo argomento, infatti, come detto, la Corte ha riconosciuto l’esistenza di un diritto individuale, basato sull’art. 8 della CEDU, «a un’effettiva protezione da parte delle autorità statali dai gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla loro vita, salute, benessere e qualità di vita»117, il quale implica, tra l’altro, l’obbligo positivo per gli Stati di raggiungere la neutralità climatica entro tre decenni118. Che questo diritto convenzionale abbia rilevanza nell’ordinamento interno appare fuor di dubbio, anche tenuto conto della particolare forza giuridica attribuita alla CEDU a seguito della riforma costituzionale del 2001119. Si può discutere se l’azione civile per responsabilità aquiliana sia lo strumento più adatto per fare valere 115 Trib. Roma, II Sez. civ., sentenza del 26 febbraio 2024, Giudizio Universale. Su questa pronuncia, v. i primi commenti di U. Lattanzi, Climate Litigation reaches Italian Courts: Giudizio Universale, VerfBlog, 12 aprile 2024, verfassungsblog.de/climate-litigationreaches-italian-courts/; G. Palombino, Il “Giudizio universale” è inammissibile: quali prospettiveper la giustizia climatica in Italia?, in lacostituzione.info, 25 marzo 2024; R. Cecchi, Il giudizio (o silenzio?) universale: una sentenza che non farà la storia, in Diritti comparati, 15 maggio 2024. 116 Ivi, pag. 11. 117 Corte EDU, KlimaSeniorinnen, cit, par. 519. 118 Ivi, par. 548. 119 Su cui v. le sentenze “gemelle” della Corte costituzionale, n. 348 e 349 del 2007. 1477 2/2024 – Casi e Questioni DPCE online ISSN: 2037-6677 1478 l’inadempimento degli obblighi di protezione gravanti sullo Stato ai sensi dell’art. 8 della CEDU; quel che è certo, però, è che i giudici nazionali non possono semplicemente rifiutarsi di conoscere tali inadempimenti, pena la violazione degli impegni assunti dalle autorità nazionali (di cui i giudici fanno parte) a norma della Convenzione. Quanto al secondo argomento, la Corte EDU ha messo in chiaro che, sebbene l’adozione (o la mancata adozione) delle misure di contrasto del cambiamento climatico sia una questione eminentemente politica, quando questa si traduce nella violazione di un diritto convenzionale, essa diviene anche una questione giuridica, su cui la Corte di Strasburgo, e le corti nazionali prima di essa, sono competenti a pronunciarsi120. Ciò non toglie, ovviamente, che la scelta delle misure da adottare spetti primariamente alle autorità politico-democratiche, che dispongono di un certo margine di discrezionalità a tale fine; tuttavia, tale discrezionalità non è illimitata e le corti sono incaricate di vigilare che le autorità politiche non fuoriescano dal proprio spazio di manovra. Applicando tali principi al caso italiano, si può pertanto ritenere che il Tribunale di Roma non avrebbe dovuto declinare la propria giurisdizione, bensì valutare nel merito se le azioni adottate dallo Stato italiano rientrassero nel margine di discrezionalità ad esso riconosciuto nell’adempimento degli obblighi di protezione derivanti dalla CEDU. Beninteso, non si sta dicendo che, alla luce della sentenza KlimaSeniorinnen, la causa italiana Giudizio Universale avrebbe dovuto senz’altro essere accolta. La domanda di condanna formulata dagli attori chiedeva la fissazione di obiettivi di riduzione delle emissioni (del 92% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990) ben lontani da quelli indicati dalla Corte EDU, e alla prova dei fatti non è detto che le misure adottate dallo Stato italiano sarebbero risultate incongrue rispetto agli obblighi convenzionali. Tuttavia, il giudice avrebbe dovuto procedere a tale valutazione, anche avvalendosi della consulenza di esperti ove necessario121. Invece, ha preferito trincerarsi dietro una dichiarazione di non liquet, che appariva già ingiustificata allora, ma che è divenuta assolutamente insostenibile a seguito del pronunciamento della Corte EDU. Non resta quindi che sperare che il giudice di appello recepisca le indicazioni provenienti da Strasburgo e ponga il contenzioso climatico italiano finalmente al passo con quello europeo. Francesco Gallarati Dip.to di Scienze politiche e internazionali Università degli Studi di Genova francesco.gallarati@unige.it 120 Corte EDU, KlimaSeniorinnen, cit, par. 450. Diversamente da quanto dichiarato dal Tribunale di Roma, secondo cui le valutazioni prognostiche di parte attrice, in merito alla inadeguatezza delle scelte politiche adottate dallo Stato, sarebbero state «non verificabili in questa sede, non disponendo questo Giudice delle informazioni necessarie per l’accertamento della correttezza delle complesse decisioni prese dal Parlamento e dal Governo». 121